Alpha Centauri

Alpha Centauri Sistem Size Comparation

Ormai, quando parliamo di astronomia, cosmologia o astrofisica, siamo abituati a confrontarci con distanze immense, di centinaia, migliaia o addirittura milioni di anni luce. Queste distanze incommensurabili ci inducono ad associare agli oggetti al di fuori del sistema solare un alone di mistero. Ma anche il sistema stellare più vicino a noi, Alpha centauri, è ricco di misteri e costituisce, inoltre, uno stimolo per i ricercatori, che si arrovellano nel tentativo di scoprire come raggiungere quel sistema planetario che, quando parliamo di distanze interstellari, costituisce il nostro "vicino" galattico. Ma quali sono le caratteristiche del sistema Alpha Centauri? Quali misteri cela? Come si potrebbe raggiungere, in tempi razionalmente gestibili, qualcosa distante vari anni luce? Vi potrebbe essere vita sui pianeti attorno alle stelle del sistema? Seguiteci su Eagle sera per avere le risposte!



Glossario: Proxima centauri

Proxima Centauri è una stella del sistema triplo di Alpha Centauri. Le altre stelle di questo sistema sono Alpha Centauri A e Alpha Centauri B.



Prima di analizzare le stelle del sistema Alpha Centauri analizziamo il sistema in generale.


Alpha Centauri: caratteristiche, posizione, moto, possibilità di vita

Il sistema di α Centauri come apparirebbe se osservato da un ipotetico pianeta orbitante attorno alla stella primaria, α Centauri A.

Alfa Centauri (α Cen/ α Centauri/ Alfa Centauri; conosciuta anche come Rigel Kentaurus o Rigil Kent o, più raramente, come Toliman) è un sistema stellare triplo situato nella costellazione australe del Centauro. È la stella più luminosa della costellazione, nonché terza stella più brillante del cielo notturno a occhio nudo, dopo Sirio e Canopo: infatti, sommando la magnitudine apparente delle due componenti, A (+0,01) e B (+1,34), come si osserva a occhio nudo, il sistema appare di magnitudine −0,27. È anche il sistema stellare più vicino al sistema solare, in quanto ne dista 4,365 anni luce. In particolare Proxima Centauri, delle tre stelle che compongono il sistema, è in assoluto, dopo il Sole, la stella più vicina alla Terra. Il sistema di α Centauri è costituito da una coppia di stelle di sequenza principale di simile luminosità, una nana gialla e una nana arancione molto vicine fra loro, al punto che a occhio nudo o con un piccolo binocolo sembrano essere un'unica stella. In aggiunta a queste se ne trova una terza, una nana rossa molto più distante e meno luminosa, chiamata Proxima Centauri, la quale compie un'orbita molto ampia attorno alla coppia principale. Nell'ottobre del 2012, dopo lunghe ricerche, è stata pubblicata la scoperta di un pianeta terrestre orbitante attorno alla componente B del sistema. Il sistema di α Centauri appare a occhio nudo come una stella singola di colore giallastro; si osserva in direzione della Via Lattea australe, a una declinazione di −60°50', dunque invisibile dall'intera area dell'Europa continentale, dal Mar Mediterraneo, dalla Cina settentrionale e da gran parte dell'America del Nord. Inizia invece a essere osservabile a sud del 29º parallelo nord, corrispondente all'Egitto, al Texas, alla Penisola Arabica, al nord dell'India e alla Cina del sud; i mesi migliori per la sua osservazione dall'emisfero nord sono quelli di aprile-maggio. Dall'emisfero australe la stella diventa circumpolare appena lasciato in direzione sud il Tropico del Capricorno: dalla Nuova Zelanda e dal sud dell'Australia fino a Sydney, come pure dall'Argentina, è visibile durante tutto l'anno. La culminazione a mezzanotte di α Centauri è il 9 aprile, mentre la culminazione alle 21:00 è l'8 giugno. L'area di cielo in cui si trova α Centauri è particolarmente ricca di stelle brillanti, il che facilita notevolmente il suo riconoscimento: è infatti accoppiata a un'altra stella molto luminosa, Hadar (β Centauri), un astro di colore azzurro distante apparentemente solo pochi gradi; continuando l'allineamento delle due stelle verso ovest per un breve tratto si raggiunge un altro gruppo di stelle molto luminoso e particolarmente conosciuto, che forma la costellazione della Croce del Sud. Per questa ragione nell'emisfero australe α Centauri e Hadar vengono chiamate Puntatori del Sud. Sebbene α Centauri appaia molto meno luminosa di Sirio e di Canopo la sua luminosità può rivaleggiare con quella di alcuni pianeti, come Saturno e talvolta anche Marte, a seconda della loro distanza da noi. Le due componenti principali del sistema, α Centauri A e α Centauri B, sono troppo vicine fra di loro per potere essere distinte a occhio nudo, dato che la loro separazione angolare varia fra 2 e 22 secondi d'arco, ma per gran parte del loro periodo orbitale sono risolvibili con facilità tramite dei potenti binocoli o un telescopio amatoriale. Vista dalla Terra la terza componente del sistema, Proxima Centauri, si trova circa 2,2° a sud-ovest di α Centauri; questa separazione apparente equivale a circa quattro volte il diametro apparente della Luna Piena e a circa la metà della distanza angolare fra α Centauri e Hadar. Proxima appare come una stella di colore rosso intenso di magnitudine apparente pari a 13,1, in un campo povero di altre stelle di fondo; è indicata come V645 Cen nel General Catalogue of Variable Stars: si tratta infatti di una stella variabile UV Ceti, che può variare fino a raggiungere la magnitudine 11 senza un periodo regolare. Alcuni astronomi amatoriali e professionisti sono soliti monitorare le variazioni di luminosità di questa stella tramite l'uso di telescopi ottici o radiotelescopi. Il riconoscimento di α Centauri come sistema composto da due stelle risale al dicembre 1689, quando Padre Richaud risolse le due componenti per la prima volta dalla città indiana di Pondicherry, durante l'osservazione di una cometa. Nel 1752 Nicholas Louis de Lacaille fece degli studi astrometrici del sistema usando un circolo meridiano, uno strumento per determinare il punto in cui una stella raggiunge il punto più alto sull'orizzonte (passa il meridiano); nel 1834 furono invece condotte le prime osservazioni micrometriche, a opera di John Herschel. Dai primi anni del XX secolo, le osservazioni vennero condotte su lastre fotografiche. Nel 1926 William Stephen Finsen calcolò dei parametri orbitali approssimativi prossimi a quelli oggi accettati per questo sistema. Tutte le posizioni future sono ora abbastanza accurate da permettere a un osservatore di determinare le posizioni relative delle stelle sulla base di effemeridi delle stelle doppie. La scoperta che il sistema di α Centauri è in realtà quello più vicino a noi fu di Thomas James Henderson, che misurò la parallasse trigonometrica del sistema fra l'aprile del 1832 e il maggio del 1833; egli non pubblicò subito i suoi risultati, poiché temeva che le sue misurazioni fossero troppo grandi per essere verosimili, ma dopo che Friedrich Wilhelm Bessel ebbe pubblicato i risultati dei suoi studi della parallasse di 61 Cygni, nel 1838, si decise a pubblicare a sua volta i risultati per α Centauri l'anno successivo. α Centauri fu così ufficialmente la seconda stella la cui distanza era stata misurata. Robert Innes fu il primo a scoprire, nel 1915 dal Sudafrica, la stella Proxima Centauri, utilizzando delle lastre fotografiche prese in periodi differenti durante uno studio dedicato al monitoraggio del moto proprio delle stelle. Il grande moto proprio e la parallasse di questa apparentemente anonima stellina rossa sembravano perfettamente compatibili con quelli del sistema di α Centauri AB. Trovandosi a una distanza di 4,22 anni luce dalla Terra Proxima Centauri fu così riconosciuta come la stella più vicina in assoluto. Le distanze attualmente accettate derivano dalle misure di parallasse eseguite dal satellite Hipparcos e riportate nell'omonimo catalogo. Nel 1951 l'astronomo americano Harlow Shapley annunciò che Proxima Centauri è una stella variabile di tipo UV Ceti. Shapley scoprì le variazioni della stella esaminando vecchie lastre fotografiche che mostravano in alcuni casi un incremento della sua luminosità di circa l'8% rispetto al normale, facendone di fatto la più attiva variabile di tipo UV Ceti allora conosciuta. α Centauri attualmente appare come una delle stelle luminose più meridionali; in epoche passate, tuttavia, la precessione degli equinozi aveva portato questa e le altre stelle circostanti a declinazioni più prossime all'equatore celeste, così che potevano essere osservate, 4000-5000 anni fa, anche dall'Europa centrale. Nell'epoca presente infatti la stella possiede un'ascensione retta pari a 14h 39m, dunque si trova in quella fascia di coordinate di ascensione retta compresa fra le 6h e le 18h, in cui gli oggetti tendono ad assumere declinazioni sempre più meridionali (tranne l'area attorno al polo sud dell'eclittica). Ciò è dovuto al fatto che l'asse terrestre, in direzione sud, tende ad avvicinarsi a questa parte di cielo; ne consegue che l'area di cielo verso cui l'asse tende a puntare assume declinazioni meridionali, mentre l'area di cielo da cui si allontana tende a diventare visibile anche a latitudini più settentrionali. All'epoca dei Greci e dei Romani la parte di cielo in cui si trova α Centauri era visibile anche alle latitudini medie del Mediterraneo; i popoli mediterranei infatti conoscevano bene questa stella, che veniva considerata come il piede del Centauro: il nome proprio di α Centauri infatti è Rigel Kentaurus, e anche se derivato dalla frase araba per "Piede del Centauro", ricorda sempre la sua "funzione" all'interno della costellazione. Fra circa 3000 anni l'ascensione retta di α Centauri sarà pari a 18h, che equivale al punto più meridionale che la stella potrà raggiungere; dopo di che, l'asse terrestre inizierà a riallontanarsi da questa stella, che quindi assumerà declinazioni sempre più settentrionali. A questo movimento si aggiunge il grande moto proprio della stella stessa, che essendo molto vicina è logicamente notevole: infatti α Centauri sembra muoversi nella direzione di Hadar, alla velocità di 6,1 minuti d'arco al secolo. Con una magnitudine apparente integrata di −0,27,[6] α Centauri appare a occhio nudo come una stella singola, un po' meno brillante di Sirio e di Canopo, anch'esse poste nell'emisfero australe; la quarta stella più luminosa è invece Arturo, con una magnitudine di −0,04, nell'emisfero boreale. Se si considera invece il sistema di α Centauri come due stelle separate, la stella primaria del sistema, α Centauri A, ha una magnitudine apparente di +0,01, ossia appena meno luminosa di Arturo e impercettibilmente meno luminosa di Vega, la quinta stella, ponendosi così al quarto posto fra le stelle più luminose. La seconda compagna, α Centauri B, possiede invece una magnitudine di 1,33, diventando la ventunesima stella del cielo in ordine di luminosità. α Centauri A è il membro principale (o primario) del sistema, e appare leggermente più luminoso del nostro Sole, in termini assoluti. Si tratta comunque di una stella simile al nostro astro, di sequenza principale, con un colore tendente al giallastro, la cui classificazione è G2 V. Questa stella è circa il 10% più massiccia del nostro Sole, con un raggio del 23% più grande; La velocità di rotazione (v × sini) di α Centauri A è 2,7±0,7 km/s, che equivale a un periodo di rotazione di 22 giorni. α Centauri B è la componente secondaria del sistema, leggermente più piccola e meno luminosa del nostro Sole; anche questa è nella fase di sequenza principale; la sua classe spettrale è K1 V, ossia una stella di colore giallo-arancione. La sua massa è pari al 90% di quella del Sole e il suo raggio è del 14% più piccolo; la velocità di rotazione è 1,1±0,8 km/s, equivalente a un periodo di 41 giorni. Una stima precedente indicava questo valore pari a 36,8 giorni. Osservazioni effettuate nei raggi X con i satelliti ROSAT e XMM-Newton hanno evidenziato che la componente B emette più energia in questo intervallo spettrale rispetto ad α Centauri A, nonostante sia complessivamente la meno luminosa delle due. Le curve di luce in banda X hanno evidenziato inoltre una certa variabilità delle due stelle, più rapida per α Centauri B che per A. Per quest'ultima la spiegazione più accreditata è la presenza di un ciclo solare simile a quello undecennale del Sole, mentre α Centauri B è una vera e propria stella a brillamento: sono stati infatti osservati due brillamenti, sia con ROSAT che con XMM-Newton, anche se sono fra i più deboli registrati per questo tipo di stelle. La terza componente, α Centauri C, è anche nota come Proxima Centauri; la sua classe spettrale è M5Ve o M5VIe, il che suggerisce che possa trattarsi o di una stella di sequenza principale (tipo V) o una stella subnana (tipo VI) il cui spettro presenta linee di emissione; l'indice di colore B-V è pari a +1,81. La sua massa è circa 0,12 M☉. Le due componenti visibili luminose del sistema doppio sono chiamate α Centauri AB: la designazione "AB" indica il centro gravitazionale apparente delle componenti principali relativamente all'altra (o alle altre) compagna minore. "AB-C" si riferisce all'orbita di Proxima attorno alla coppia centrale. Questo sistema di designazione consente agli astronomi specializzati in sistemi stellari multipli di definire gli astri componenti in funzione delle diverse relazioni che intercorrono fra essi, come nel caso di questo terzetto di stelle. La designazione di tutte le componenti viene gestita e controllata dallo U.S. Naval Observatory, in un catalogo aggiornato continuamente chiamato Washington Double Star Catalog (WDS), che contiene oltre 100 000 stelle doppie, indicate secondo questa nomenclatura. Alcuni vecchi riferimenti riportano la designazione, oggi deprecata, di A×B. Dato che la distanza fra il Sole e α Centauri AB non è significativamente diversa rispetto a quella fra il Sole e le singole componenti, da un punto di vista gravitazionale questo sistema è considerato come se fosse un unico oggetto. Le componenti AB di α Centauri percorrono le loro orbite attorno al baricentro del sistema in un periodo di 79,91 anni,[16] avvicinandosi reciprocamente fino a 11,2 au (1,68 miliardi di chilometri), circa la distanza media fra il Sole e Saturno) e allontanandosi fino a una distanza di 35,6 au (5,33 miliardi di chilometri), circa la distanza media fra il Sole e Plutone.[16][39] Le orbite delle due stelle sono dunque ellittiche, ma a differenza di quelle dei pianeti del Sistema solare, la loro eccentricità è notevole (e = 0,5179). Dai parametri orbitali, utilizzando la terza legge di Keplero, è possibile risalire alla massa del sistema, che risulta essere pari a circa 2 M⊙; una stima delle masse delle due singole stelle è di 1,09 M⊙ e 0,90 M⊙ rispettivamente per α Centauri A e B. Stime successive, tuttavia, danno valori leggermente più alti: 1,14 M☉ per α Centauri A e 0,92 M☉ per α Centauri B, portando la massa complessiva del sistema a 2,06 M☉ . α Centauri A e B hanno una magnitudine assoluta pari rispettivamente a +4,38 e +4,71. Questi valori, insieme alle caratteristiche spettrali dei due astri, permettono di desumere l'età delle due stelle che, secondo le attuali teorie sull'evoluzione stellare, oscillerebbe fra i 5 e i 6 miliardi di anni, leggermente più vecchie del Sole. Vista dalla Terra l'orbita apparente di questa stella binaria risulta essere fortemente inclinata (oltre 79º), causando una notevole variazione della separazione angolare dei due astri nel corso del tempo: fino al febbraio del 2016 le due stelle si avvicineranno sempre di più, raggiungendo una distanza minima apparente di quattro secondi d'arco, dopo di che riprenderanno ad allontanarsi. La minima separazione angolare possibile è di poco inferiore a 2", mentre la massima è di 22" e si è avuta l'ultima volta nel febbraio del 1976; la prossima si avrà nel gennaio del 2056. Se consideriamo l'orbita reale, invece, le due stelle hanno raggiunto il periastro (il punto di minima distanza reale) nell'agosto del 1956, mentre il prossimo sarà raggiunto nel maggio del 2035; il punto di massimo allontanamento (apoastro) è stato raggiunto invece nel maggio 1995, mentre il prossimo lo sarà nel 2075. In questa fase dell'orbita, pertanto, le due stelle sono in fase di reciproco avvicinamento. Proxima Centauri (spesso chiamata anche solo Proxima) è la debolissima nana rossa che si trova a circa 12000 o 13000 au dal sistema α Centauri AB, equivalente a 0,12 anni luce o 1,94 bilioni di km (circa il 5% della distanza fra il Sole e la coppia α Centauri AB). Proxima appare gravitazionalmente legata al sistema AB, compiendo un'orbita attorno alle due stelle in un periodo di circa 550000 anni, con un'eccentricità pari a circa 0,50; ciò determina che la stella raggiunga una distanza da α di circa 4300 au al periastro (ossia il punto più vicino dell'orbita rispetto al sistema centrale) e di circa 13000 au all'apoastro (il punto più lontano dell'orbita rispetto al sistema centrale). Proxima è una nana rossa di classe spettrale M5.5V, con una magnitudine assoluta di +15,53, dunque notevolmente inferiore a quella del Sole. La massa di questa stella è stimata sui 0,123±0,06 M⊙ (arrotondato a 0,12 M☉) o circa un ottavo di quella del Sole. Tutte le componenti di α Centauri mostrano un moto proprio notevole rispetto alle stelle di fondo, similmente a quanto avviene per altre stelle luminose, come Sirio e Arturo. Nel corso dei secoli questo causa un lento spostamento della posizione apparente della stella; stelle di questo tipo vengono chiamate stelle a elevato moto proprio. Questi moti stellari erano sconosciuti agli antichi astronomi, che credevano che le stelle fossero eterne e permanentemente fissate sulla sfera celeste, come si evince per esempio dalle opere del filosofo Aristotele. Edmond Halley nel 1718 scoprì che alcune stelle si erano notevolmente spostate dalla posizione astrometrica rilevata in passato;[49] per esempio, la brillante stella Arturo (α Boo), nella costellazione di Boote, mostrava di essersi spostata di circa mezzo grado in 1800 anni, come pure Sirio (α CMa), nel Cane Maggiore. Il raffronto che fece Halley si basò sulle posizioni indicate nel catalogo di Tolomeo (l'Almagesto), i cui dati si basavano sulle misurazioni eseguite da Ipparco durante il I secolo a.C. Gran parte dei moti propri stellari rilevati da Halley furono relativi a stelle dell'emisfero boreale, così quello di α Centauri non fu determinato fino all'Ottocento. L'osservatore scozzese Thomas James Henderson fu colui che scoprì, all'inizio dell'Ottocento, la vera distanza di α Centauri, dal Royal Observatory sul Capo di Buona Speranza. Le sue conclusioni furono dovute proprio allo studio dell'insolitamente alto moto proprio del sistema che comportava che la velocità reale osservata attraverso lo spazio doveva essere molto più elevata. In questo caso il moto stellare apparente fu trovato utilizzando le osservazioni astrometriche condotte da Nicholas Louis de Lacaille risalenti al 1751-1752, attraverso le discrepanze di posizione fra quelle del Lacaille e quelle dell'epoca di Henderson. Dai dati del Catalogo Hipparcos (HIP), risulta che il moto proprio delle singole componenti del sistema sia pari a −3678 mas/anno (ovvero −3,678 secondi d'arco all'anno) in ascensione retta e +481,84 mas/anno (0,48184 secondi d'arco all'anno) in declinazione. Dato che il moto proprio è cumulativo, il movimento di α Centauri è pari a circa 6,1 minuti d'arco/secolo (367,8 secondi d'arco/secolo), quindi 61,3 minuti d'arco/millennio (1,02°/millennio). Questi movimenti sono pari rispettivamente a un quinto e due volte il diametro della Luna Piena. La spettroscopia ha determinato la velocità radiale di α Centauri AB pari a −25,1±0,3 km/s. Un calcolo più preciso prende in considerazione anche la leggera differenza di distanza stellare rispetto al moto della stella: attualmente infatti sia il moto proprio che la parallasse di α Centauri aumentano leggermente a causa del fatto che il sistema si sta avvicinando a noi. Tali cambiamenti si osservano pure nelle dimensioni del semiasse maggiore a dell'orbita apparente, che sta aumentando a un ritmo di 0,03 secondi d'arco al secolo come le due stelle si avvicinano. Anche il periodo orbitale di α Centauri AB si accorcia brevemente (circa 0,006 anni al secolo), sebbene sia una variazione apparente causata dalla riduzione del tempo che la luce impiega a giungere fino a noi, come la distanza si riduce.[37] Di conseguenza, l'angolo di posizione osservato delle stelle è soggetto a cambiamenti degli elementi orbitali nel tempo, come fu determinato dall'equazione di W. H. van den Bos nel 1926. Alcune piccole ulteriori differenze, di circa 0,5% nella misura del moto proprio, sono causate dal movimento orbitale di α Centauri AB. Basandosi su queste misure di moto proprio e velocità radiale osservate, si può affermare che α Centauri continuerà in futuro a diventare leggermente più luminosa, passando dapprima a meno di un grado da Hadar e poi poco a nord della Croce del Sud, muovendosi poi verso nord-ovest e infine verso l'equatore celeste, allontanandosi sempre più dalla scia della Via Lattea. Attorno all'anno 29700 α Centauri si troverà nell'area dell'attuale costellazione dell'Idra e sarà a una distanza di esattamente 1 pc (3,3 anni luce) dal Sistema solare. Quindi raggiungerà una velocità radiale (RVel) stazionaria di 0,0 km/s. Subito dopo questa fase il sistema inizierà ad allontanarsi da noi, mostrando così una velocità radiale positiva. Attorno al 43300 α Centauri passerà vicino alla stella di seconda magnitudine Alphard (α Hydrae); a quel punto la sua distanza sarà aumentata a 1,64 pc (5,3 anni luce). A causa della prospettiva, fra circa 100000 anni, il sistema di α Centauri raggiungerà il punto di fuga finale e scomparirà rapidamente confondendosi fra le deboli stelle di fondo della Via Lattea. A quel punto quella che una volta era una brillante stella gialla finirà al di sotto della visibilità a occhio nudo, in un punto situato nell'attuale debole costellazione australe del Telescopio: quest'insolito punto di fuga (insolito perché attualmente la stella sembra dirigersi proprio nella direzione opposta a questa costellazione) è dovuto all'orbita di α Centauri attorno al centro galattico, che è molto inclinata rispetto al piano galattico e anche rispetto a quella del nostro Sole.


Nell'animazione sottostante: il moto e le variazioni di luminosità di Alpha Centauri nel corso dei millenni.


In virtù della sua vicinanza al sistema solare α Centauri appare come la terza stella più brillante del cielo; Sirio è l'attuale stella più luminosa del cielo notturno (con una magnitudine di −1,46) e resterà ancora tale per i prossimi 50 000 anni, durante i quali aumenterà la propria luminosità (fino quasi a sfiorare la magnitudine −1,7) per poi andare incontro a un progressivo affievolimento. Le simulazioni suggeriscono che la combinazione del suo moto in avvicinamento e il contemporaneo allontanamento e il conseguente affievolimento di alcune delle stelle più brillanti dell'epoca attuale, renderanno Vega, per il periodo compreso, la stella più brillante del cielo, con una magnitudine apparente di −0,81; Più in fretta ancora aumenterà la luminosità di Altair, che passerà da un attuale valore di +0,77 a −0,53 in 140 000 anni, per poi decadere altrettanto rapidamente. Arturo si trova attualmente al punto più vicino a noi, dunque in futuro la sua luminosità diminuirà, come quella di Canopo, che fino a 100 000 anni fa era la stella più brillante del cielo. Il suo moto in avvicinamento verso il sistema solare, che la porterà sino alla distanza di 1 pc, farà sì che α Centauri nei prossimi 30 000 anni incrementi la propria luminosità apparente, sino a raggiungere un valore di circa −0,86, superando la brillantezza di Canopo. Il successivo allontanamento porterà la stella a diminuire la propria brillantezza; tra 40 000 anni la sua magnitudine sarà scesa a +1,03. La tabella sottostante indica i dati delle magnitudini apparenti delle stelle esaminate nel grafico, con un campionamento di 25 000 anni; il grassetto indica la stella più luminosa nel periodo indicato. In passato si pensava che la presenza di pianeti extrasolari orbitanti attorno a stelle doppie fosse improbabile, a causa delle perturbazioni gravitazionali indotte delle stelle componenti il sistema. Ma la scoperta di pianeti attorno ad alcune stelle doppie, come γ Cephei, ha fatto ritenere possibile l'esistenza di pianeti di tipo terrestre nel sistema di α Centauri. Essi possono infatti orbitare attorno alla componente A o alla componente B, oppure possedere un'orbita sufficientemente ampia da comprendere entrambe le stelle. Le due stelle principali del sistema mostrano caratteristiche molto simili a quelle del nostro Sole (come per esempio l'età e la metallicità, quest'ultima un fattore molto importante per la formazione di pianeti rocciosi di tipo terrestre), per cui l'interesse degli astronomi verso questo sistema è ulteriormente incrementato. Vari gruppi di ricerca specializzati nel trovare pianeti extrasolari hanno utilizzato diversi sistemi di misurazione della velocità radiale o del transito per cercare eventuali corpi orbitanti attorno alle due stelle principali,[71] ma per un lungo periodo tutte le ricerche condotte non avevano permesso di individuare attorno alle due stelle principali di α Centauri alcun corpo celeste, come nane brune, pianeti gioviani o piccoli pianeti terrestri. Il 17 ottobre 2012 viene pubblicata su Nature la scoperta, annunciata dall'Osservatorio Europeo Australe (ESO), di un possibile esopianeta, orbitante intorno alla componente B del sistema stellare, avente una massa di poco superiore a quella terrestre denominato Alfa Centauri Bb. Tuttavia l'estrema vicinanza alla sua stella lo collocherebbe ben al di qua della cosiddetta zona abitabile. Modelli simulati al computer suggeriscono che la formazione di giganti gassosi simili a Giove e Saturno sia molto improbabile, a causa dei forti effetti gravitazionali e del momento angolare orbitale di questo sistema binario. Basandosi su simulazioni al computer inizialmente alcuni astronomi fecero l'ipotesi che eventuali pianeti terrestri orbitanti vicino alla zona abitabile non avrebbero potuto mantenere il loro moto di rivoluzione stabile in quella fascia per diverso tempo. La perdita di questi piccoli corpi sarebbe potuta avvenire alcuni miliardi di anni fa, durante la formazione del sistema, a causa delle forti perturbazioni a opera delle due componenti stellari. Studi successivi hanno invece dimostrato che entrambe le componenti possono mantenere in orbite stabili eventuali pianeti di tipo terrestre. La vicinanza del sistema lo rende il primo candidato per un'eventuale missione spaziale interstellare. Per percorrere la distanza che separa α Centauri dal Sole occorrerebbero, con la tecnologia attuale, non meno di alcuni secoli. Il 25 marzo 2015 Demory et al. hanno pubblicato un articolo con i risultati di 40 ore di osservazioni compiute su Alfa Centauri B con il telescopio spaziale Hubble.  Anche se il gruppo di astronomi ha escluso eventi di transito per Alfa Centauri Bb (che non esclude la sua esistenza, ma solamente che il pianeta non si trova sullo stesso piano rispetto al Sole e α Centauri)), hanno rilevato un evento di transito corrispondente a un possibile corpo planetario. Questo pianeta molto probabilmente orbita attorno a Alfa Centauri B in un periodo di 20,4 giorni circa, con una probabilità del 5% che la sua orbita sia più lunga. Se confermato, questo pianeta sarebbe chiamato Alfa Centauri Bc, e anch'esso, come Alfa Centauri Bb, sarebbe troppo vicino alla sua stella madre per potere ospitare la vita. Nel 2016 arrivò notizia dall'osservatorio australe europeo di La Silla, in Cile, della presenza di un pianeta roccioso simile alla Terra intorno alla stella Proxima Centauri. Risulta inoltre che il pianeta di Proxima Centauri ha un'atmosfera contenente metano e ossigeno, gas che possono fare pensare alla presenza di alghe e di batteri. A una sonda da spedire verso Proxima Centauri punta un progetto finanziato dal miliardario russo Yuri Milner. Questo progetto era sostenuto anche dal fisico Steven Hawking. Diversi studi hanno suggerito che attorno alle componenti di α Centauri esistono delle regioni in cui eventuali pianeti possano avere delle orbite stabili; queste orbite possono trovarsi a non meno di 70 au attorno alle due componenti, oppure a meno di 3 UA da ciascuna delle due componenti prese singolarmente. Alcuni astronomi credono però che eventuali pianeti di tipo terrestre potrebbero essere aridi o non possedere un'atmosfera con spessore sufficiente a sostenere la vita; questo perché nel nostro sistema solare sia Giove che Saturno furono probabilmente fondamentali nel perturbare l'orbita delle comete, dirigendole verso la parte più interna del sistema solare, dove avrebbero fornito ghiaccio, e quindi acqua, ai pianeti interni. Le comete avrebbero potuto trovarsi in una sorta di "Nube di Oort" posta nelle regioni più esterne del sistema, quando avrebbero potuto essere influenzate gravitazionalmente sia da giganti gassosi sia da eventuali stelle che transitavano nelle vicinanze, così che queste avrebbero potuto viaggiare verso la zona interna. Tuttavia non ci sono state finora dirette evidenze dell'esistenza di una "Nube di Oort" attorno a α Centauri AB e teoricamente questa potrebbe essere stata completamente disgregata durante la formazione del sistema. Altri invece sostengono che l'esistenza di una Nube di Oort non può essere al momento esclusa, e comunque il ruolo di Giove e Saturno potrebbe essere stato svolto dall'azione gravitazionale di una delle stelle del sistema nei confronti dell'altra. Un eventuale pianeta simile alla Terra attorno a α Centauri A dovrebbe trovarsi a circa 1,25 UA dalla stella (circa a metà strada fra la distanza dell'orbita terrestre e quella marziana) per avere delle condizioni climatiche che consentano la presenza di acqua allo stato liquido. Per mantenere queste condizioni attorno a α Centauri B, un pianeta dovrebbe trovarsi a una distanza di 0,7 UA, con un'orbita dunque simile a quella di Venere. Per trovare prove dell'esistenza di questi pianeti sia Proxima Centauri che il sistema α Centauri AB sono fra gli obiettivi della Space Interferometry Mission (SIM) della NASA; trovare pianeti con una massa pari o inferiore a tre masse terrestri compresi entro due UA sarà possibile tramite l'applicazione di questo programma, che comunque non partirà prima del 2015. Un monitoraggio del sistema su base decennale effettuato con il telescopio Chandra ha concluso che eventuali pianeti orbitanti intorno alle due stelle più luminose del sistema, con buona probabilità vengono colpiti dai raggi X della propria stella in misura inferiore rispetto a pianeti simili orbitanti intorno al sole, stimando eventuali prospettive di vita favorevoli. Osservato dalla coppia di stelle più interna del sistema di α Centauri, il cielo (a parte le tre stelle del sistema) apparirebbe quasi identico a come appare visto dalla Terra, con la maggior parte delle costellazioni, come l'Orsa Maggiore e Orione, praticamente invariate. Tuttavia, il Centauro perderebbe la sua stella più brillante e il nostro Sole apparirebbe come una stella di magnitudine 0,5 nella costellazione di Cassiopea, vicino a ε Cassiopeiae. La sua posizione è facilmente calcolabile, poiché sarebbe agli antipodi della posizione di α Centauri vista dalla Terra: avrebbe ascensione retta 02h 39m 35s e declinazione +60° 50′ 00″. Un ipotetico osservatore vedrebbe così la caratteristica "\/\/" di Cassiopea mutata in un segno simile a questo "/\/\/". Le stelle vicine brillanti come Sirio e Procione si troverebbero in posizioni molto diverse, come pure Altair con uno scarto minore. Sirio andrebbe a fare parte della costellazione di Orione, due gradi a ovest di Betelgeuse, poco più debole che visto dalla Terra (−1,2). Fomalhaut e Vega, invece, essendo abbastanza lontane, sarebbero visibili quasi nella stessa posizione. Proxima Centauri, pur facendo parte dello stesso sistema, sarebbe appena visibile a occhio nudo, con magnitudine 4,5. Un pianeta attorno a α Centauri A o B vede l'altra stella come un "secondo sole". Per esempio un ipotetico pianeta terrestre a 1,25 UA da α Centauri A (con una rivoluzione di 1,34 anni) sarebbe illuminato come dal Sole dalla sua primaria, mentre α Centauri B apparirebbe da 5,7 a 8,6 magnitudini più fioca (da −21 a −18,2), da 190 a 2700 volte più debole della primaria, ma ancora da 29 a 9 volte più luminoso della Luna piena. Viceversa un pianeta a 0,71 AU da α Centauri B (con un periodo di 0,63 anni) sarebbe illuminato come dal Sole dalla sua primaria e vedrebbe la secondaria da 4,6 a 7,3 magnitudini più debole (da −22,1 a −19,4), da 70 a 840 volte più fioca della principale, ma ancora da 45 a 15 volte più luminosa della Luna piena. In entrambi i casi il sole secondario farebbe il giro di tutto il cielo durante l'anno planetario, partendo a fianco del principale e finendo, mezzo periodo dopo, nella posizione opposta: si avrebbero dunque le condizioni del "Sole di mezzanotte", con almeno uno o due giorni privi di scambio notte-giorno. Questa brillante stella del sud ben nota con il nome di α Centauri (secondo la designazione di Bayer), possiede in realtà diversi nomi propri; il più diffuso è quello di Rigel Kentaurus spesso abbreviato nella forma Rigil Kentaurus, inizialmente derivante da Rijil Kentaurus[ (Riguel Kentaurus in portoghese), tutte forme derivate dall'arabo Rijl Qanṯūris (o Rijl al-Qanṯūris, con il significato di "Piede del Centauro"). Un nome alternativo, ma meno usato in italiano, è Toliman, la cui etimologia deriva sempre dall'arabo, al-Ẕulmān ("le ostriche"). Durante l'Ottocento l'astrofilo Elijah H. Burritt chiamò questa stella Bungula, forse unendo la lettera "β" (sebbene la lettera di questa stella sia "α") al termine latino ungula ("zoccolo"). Quest'ultimo nome è raramente usato. La luminosità di questo sistema stellare e soprattutto la sua vicinanza a noi (quattro anni luce sono davvero un'inezia se paragonati alle normali distanze spaziali) ha giocato un ruolo fondamentale nel fare sì che α Centauri fosse oggetto di speculazioni fantascientifiche, che venisse citata nella letteratura e nei videogiochi.


Andiamo ora ad esplorare le stelle del sistema Alpha Centauri...


Proxima Centauri

Proxima Centauri (dal latino Proxima, col significato di "prossima", "la più vicina"), spesso abbreviata in Proxima, è una stella nana rossa di classe spettrale M5 Ve, posta a circa 4,2 al in direzione della costellazione del Centauro; fu scoperta da Robert Innes, direttore dello Union Observatory, in Sudafrica, nel 1915. Parte del sistema di α Centauri, è la stella più vicina al Sole. Grazie alla sua vicinanza, il suo diametro angolare può essere misurato direttamente; le misurazioni indicano che il suo raggio equivale a circa un settimo di quello solare. La massa equivale a circa un ottavo di quella solare, mentre la densità è quaranta volte superiore a quella del Sole. Sebbene Proxima possieda una luminosità molto bassa, è soggetta a improvvisi e casuali brillamenti, causati dalla sua attività magnetica. Il campo magnetico di questa stella è alimentato dai moti convettivi che avvengono nel suo interno e il brillamento che ne risulta periodicamente genera un'emissione a raggi X simile a quella prodotta dal Sole. La composizione di Proxima, il suo basso tasso di produzione di energia e le sue dinamiche indicano che resterà nella sequenza principale per almeno altri 4 000 miliardi di anni, ossia per circa 300 volte l'età attuale dell'Universo. Nel 2016 è stato individuato un pianeta potenzialmente dotato di acqua liquida superficiale nella fascia orbitale abitabile. Data la sua natura di nana rossa e di stella a brillamento, la possibilità che sul pianeta possa svilupparsi la vita è ancora da accertare. A causa della sua declinazione fortemente australe, Proxima Centauri, come del resto anche le componenti primarie del sistema di α Centauri, resta invisibile da gran parte delle aree dell'emisfero boreale; soltanto in prossimità del Tropico del Cancro le componenti maggiori diventano visibili, mentre Proxima, trovandosi quasi due gradi più a sud, si leva sull'orizzonte meridionale soltanto a partire dal 27º parallelo nord, equivalente alla latitudine della Florida, dell'Alto Egitto e dell'India settentrionale. Per contro, da gran parte dell'emisfero australe, questa stella si presenta circumpolare e può essere osservata durante tutto l'anno. Le nane rosse come questa sono in realtà troppo deboli, anche quando sono vicine, per poter essere osservate ad occhio nudo; basta pensare che da un ipotetico pianeta orbitante attorno ad una delle due stelle centrali del sistema, Proxima sarebbe soltanto di quinta magnitudine, ossia al limite della visibilità ad occhio nudo. La sua magnitudine apparente è pari a circa 11, così per poter essere osservata occorre un telescopio con un'apertura di almeno 80-100 mm ed un cielo in condizioni atmosferiche ottimali, possibilmente senza Luna e con Proxima non rasente l'orizzonte. Robert Innes fu il primo a scoprire, nel 1915, che Proxima Centauri possiede lo stesso moto proprio del sistema di α Centauri; egli suggerì anche quello che poi sarebbe diventato il suo nome proprio attuale. Nel 1917, l'astronomo olandese Joan Voûte, nel Royal Observatory del Capo di Buona Speranza misurò la parallasse trigonometrica della stella, scoprendo che Proxima Centauri si trovava ad una distanza dal Sole simile a quella di α Centauri; inoltre all'epoca Proxima era anche la stella con la più bassa luminosità assoluta conosciuta (MV = 15,5). Nel 1951, Harlow Shapley annunciò che Proxima Centauri era in realtà una stella a brillamento: uno studio comparato delle lastre fotografiche antecedenti aveva infatti mostrato che la stella si mostrava più luminosa in circa l'8% delle immagini, diventando così la stella a brillamento più attiva conosciuta. La sua vicinanza consentì inoltre di studiare i suoi brillamenti molto dettagliatamente; nel 1980 l'Osservatorio Einstein produsse una curva precisa dell'energia dei raggi X rilasciata durante i brillamenti. Ulteriori osservazioni dell'attività della stella sono stati compiuti dai satelliti EXOSAT e ROSAT, mentre le emissioni minori, simili a quelle solari, sono state osservate dal satellite giapponese ASCA nel 1995. Proxima Centauri è stata anche oggetto di ricerca da parte dei principali osservatori a raggi X, fra cui XMM-Newton e Chandra. Proxima Centauri è classificata come una nana rossa, ossia una stella di classe spettrale M (a cui corrisponde un colore rosso) che si trova nella fase di sequenza principale nel diagramma HR; in seguito è stata classificata come M5.5, ossia una nana rossa al limite inferiore di massa. La sua magnitudine assoluta, ossia la magnitudine apparente che la stella avrebbe se posta ad una distanza di 10 pc è 15,5; la sua luminosità totale, comprendendo tutte le lunghezze d'onda, è pari allo 0,17% di quella del Sole, sebbene se osservata alle lunghezze d'onda della luce visibile possieda solo lo 0,0056% della luminosità solare. Oltre l'85% dell'energia irradiata dalla stella si osserva infatti alle lunghezze d'onda dell'infrarosso. Nel 2002 l'interferometro ottico del Very Large Telescope permise di misurare direttamente il diametro angolare della stella, equivalente a 1,02±0,08 mas; rapportato alla distanza, emerge che il diametro effettivo di Proxima Centauri è circa un settimo di quello solare, cioè una volta e mezzo maggiore di quello di Giove; la massa della stella è stata stimata in appena il 12,3% di quella solare, pari a centoventinove volte quella di Giove. Dato che la densità media di una stella di sequenza principale è inversamente proporzionale alla massa della stella stessa, la densità di Proxima Centauri è comunque maggiore di quella del Sole: 56800 kg/m³ contro 1409 kg/m³. A causa della sua piccola massa, la struttura interna di Proxima è costituita interamente da una zona convettiva, che provoca un movimento di energia dall'interno all'esterno soltanto tramite un movimento fisico del plasma, anziché attraverso una zona radiativa; ciò implica che l'elio prodotto dalla fusione nucleare dell'idrogeno non si accumula nel nucleo, ma viene messo in circolo in tutta la stella. A differenza del Sole, che brucerà soltanto il 10% del suo idrogeno disponibile prima di uscire dalla sequenza principale, Proxima Centauri consumerà quasi totalmente la sua riserva di idrogeno prima di evolvere.vLa convezione è associata alla generazione e alla persistenza di un campo magnetico stellare; l'energia magnetica che proviene da questo campo viene rilasciata sulla superficie tramite i brillamenti, che aumentano brevemente la luminosità complessiva della stella. I brillamenti possono far sì che una porzione della superficie della stella possa raggiungere temperature fino a 27 milioni di K, sufficienti per emettere raggi X. La cromosfera di questa stella è attiva e il suo spettro mostra una forte linea di emissione tipica del magnesio monoionizzato, alla lunghezza d'onda di 280 nm. Circa l'88% della superficie di Proxima Centauri potrebbe essere attiva, una percentuale molto più alta di quella del Sole quando è al picco del ciclo solare. Anche durante i periodi di quiescenza con pochi o nessun brillamento, quest'attività costante aumenta la temperatura della corona fino a 3,5 milioni di K, mentre quella solare raggiunge al massimo i 2 milioni. Tuttavia, il livello totale di attività di questa stella è considerato relativamente basso rispetto ad altre stelle nane di classe M,[13] che è comunque elevato se rapportato all'età stimata della stella, dato che ci si aspetta che il livello di attività di una nana rossa cali costantemente nel corso dei miliardi di anni, come il tasso di rotazione stellare diminuisce. Da alcuni studi il livello di attività sembrava variare con un periodo di circa 442 giorni, un lasso di tempo più breve del ciclo solare, che dura 11 anni, tuttavia uno studio del 2016 sembra confermare che la stella ha un ciclo simile a quello del Sole, della durata di circa 7 anni. Proxima Centauri possiede anche un vento stellare, relativamente debole, consistente in non più del 20% del tasso di perdita di materia tipico del vento del nostro Sole. Poiché la stella è molto più piccola del nostro astro, tuttavia, il tasso di perdita per unità di superficie di Proxima Centauri risulta essere in proporzione fino a otto volte più elevato di quello della superficie solare. Una nana rossa con la massa di Proxima Centauri rimarrà nello stadio di sequenza principale per circa altri quattro bilioni (4×1012) di anni; come l'abbondanza di elio aumenta a seguito dei processi di fusione dell'idrogeno, la stella diventerà più piccola e più calda, cambiando il suo colore da rosso a blu, diventando così una nana blu evoluta. Quando il suo ciclo vitale sarà quasi al termine, diventerà pure più luminosa, raggiungendo il 2,5% della luminosità solare e riscaldando eventuali corpi orbitanti attorno ad essa per un periodo di diversi miliardi di anni. Una volta che la riserva di idrogeno si sarà esaurita, Proxima Centauri evolverà verso lo stadio di nana bianca (senza passare la fase di gigante rossa), esaurendo progressivamente la sua energia termica. 

Approfondiamo: le nane rosse

Rappresentazione artistica di una nana rossa

In astronomia, una nana rossa (o stella M V) è una stella piccola e relativamente fredda (Teff ≤ 3500 K), di tipo spettrale M (colorazione fotosferica in media gialla intensa-arancione), posta sulla sequenza principale del diagramma Hertzsprung-Russell. Si tratta della tipologia stellare più diffusa nell'universo: le nane rosse costituiscono infatti almeno il 67,5% di tutte le stelle presenti nella Via Lattea e recenti studi indicano che possano essere anche l'80%. Hanno masse comprese tra 0,4 e 0,08 masse solari, che costituisce il limite minimo perché una stella possa dirsi tale: al di sotto di questo limite infatti non si creano le condizioni di temperatura e pressione tali da innescare le reazioni di fusione dell'idrogeno in elio. Al di sotto di questa massa limite si trovano le nane brune, oggetti che possiedono una massa troppo piccola per compiere la fusione nucleare, ma comunque nettamente superiore a quella di un pianeta. Si ritiene che le nane rosse, data la loro abbondanza nella nostra galassia (o per lo meno nelle vicinanze del Sole), siano la tipologia stellare più diffusa nell'universo. Proxima Centauri, la stella più vicina al sistema solare, è una nana rossa (classe M5, magnitudine apparente 11,05), così come venti delle trenta stelle più vicine alla Terra. Tuttavia, a causa della loro bassa luminosità, le singole nane rosse non sono facilmente osservabili, tanto da risultare completamente invisibili ad occhio nudo. Anche nelle vicinanze del Sole, non tutte le nane rosse sono state finora scoperte. Le nane rosse sono stelle con massa piccola, generalmente non superiore al 40% della massa della nostra stella, il Sole. Di conseguenza, possiedono delle temperature nucleari relativamente basse, appena sufficienti perché abbia luogo la fusione dell'idrogeno in elio tramite la catena protone-protone. Per questo motivo le nane rosse emettono una debole quantità di luce, spesso inferiore a un decimillesimo della quantità di radiazione emessa dal Sole; anche le nane rosse più grandi arrivano a possedere al massimo il 10% della luminosità solare. In generale, le nane rosse trasportano l'energia prodotta nel nucleo verso la superficie tramite moti convettivi. La convezione risulta infatti avvantaggiata rispetto ad altri metodi di trasporto energetico (come la conduzione o l'irraggiamento) a causa dell'opacità degli strati interni dell'astro, che possiedono una densità relativamente alta per quella temperatura. Poiché dunque le nane rosse sono completamente convettive, l'elio non si accumula immediatamente in un nucleo inerte e quindi, rispetto ad altre stelle più massicce, come proprio il Sole, arrivano a fondere una quantità di idrogeno proporzionalmente maggiore prima di lasciare la sequenza principale. Di conseguenza, la durata del ciclo vitale di una nana rossa sarebbe di gran lunga superiore all'età dell'Universo; pertanto, le stelle con masse inferiori a 0,8 M☉ non hanno ancora avuto il tempo di lasciare la sequenza principale. Infatti, quanto più piccola è la massa della nana rossa, tanto più lunga sarà la durata del suo ciclo vitale. Si ritiene che la durata dell'evoluzione di una nana rossa sia superiore a quella del Sole di un fattore pari alla terza o alla quarta potenza del rapporto tra la massa del Sole e la massa della nana rossa; sicché, la sequenza principale di una nana rossa di 0,1 M☉ può durare per 10 bilioni (1013, 10 000 miliardi) di anni. Man mano che diminuisce la quantità di idrogeno all'interno della stella, la velocità delle reazioni nucleari rallenta progressivamente mentre il nucleo inizia a contrarsi. L'energia gravitazionale generata da questa contrazione è convertita in energia termica, la quale viene portata in superficie dalla convezione. Il fatto che le nane rosse e le altre stelle di piccola o media massa (come le nane arancioni o le nane gialle) rimangano nella sequenza principale mentre le stelle più massicce proseguano la propria evoluzione nel ramo delle giganti consente di stimare l'età degli ammassi stellari determinando preliminarmente la massa delle singole stelle. Tali stime consentono di datare anche alcune strutture della Galassia, come l'alone o il piano galattico. Un mistero che non è ancora stato risolto riguarda l'assenza nelle nane rosse di povere in metalli (gli elementi più pesanti di idrogeno ed elio). I modelli fisico-matematici sviluppati sull'evoluzione cosmica suggeriscono che la prima generazione di stelle fosse costituita solamente da idrogeno, elio e tracce di litio (elementi prodotti nella nucleosintesi primordiale). Se tra queste stelle primitive vi fossero state le nane rosse, esse sarebbero ancora oggi osservabili; tuttavia, nessuna di esse è ancora stata identificata. Una possibile spiegazione a tale mancanza è che in tali condizioni di abbondanza di elementi potessero svilupparsi solo stelle molto massicce, le cosiddette stelle di popolazione III, che bruciarono molto velocemente le proprie riserve di idrogeno rilasciando, dopo la loro fine, gli elementi pesanti che permisero la formazione delle prime nane. Delle spiegazioni alternative, come quella che vorrebbe le nane rosse povere in metalli molto più deboli e rare dal punto di vista numerico, sono ritenute molto meno verosimili, in quanto sembrano andare contro i modelli dell'evoluzione stellare. Una nana blu è un'ipotetica tipologia stellare che si svilupperebbe da una nana rossa non appena essa ha fuso in elio buona parte dell'idrogeno nel suo nucleo. Finché la fusione, all'interno della nana rossa, procede lentamente ed i moti convettivi rimescolano la materia all'interno dell'astro, permettendo ad una maggiore quantità di idrogeno di essere fuso, la stella permane stabile per un lunghissimo periodo, nettamente superiore all'attuale età dell'Universo: si ritiene perciò che non si sia ancora formata alcuna stella di questo tipo. Per tale motivo, la loro esistenza è ipotizzata sulla base di modelli teorici. Le stelle aumentano di luminosità man mano che invecchiano, e una stella più luminosa necessita di irradiare la propria energia più velocemente ed intensamente per mantenere l'equilibrio. Per fare questo le stelle più grandi rispetto alle nane rosse, espandono il proprio volume e la propria superficie radiante evolvendosi in giganti rosse. Si ritiene però che le nane rosse, anziché espandersi in giganti, incrementino la velocità delle radiazioni aumentando le proprie temperature superficiali, assumendo di conseguenza una colorazione più tendente al blu. Ciò accadrebbe perché gli strati superficiali della stella non diventerebbero significativamente più opachi al crescere della temperatura. Le nane blu evolverebbero poi in nane bianche quando il loro idrogeno è completamente esaurito. Recentemente sono stati scoperti diversi pianeti extrasolari in orbita attorno a delle nane rosse. Nel 2005 è stato scoperto attorno alla stella Gliese 581 un pianeta di massa paragonabile a Nettuno (Gliese 581 b, circa 17 M⊕), che le orbita ad una distanza media di appena 6 milioni di km (0,04 UA); data la vicinanza e nonostante la debolezza della stella, il pianeta possiede una temperatura superficiale di 150 °C. Nel 2006 è stato scoperto un pianeta ancora meno massiccio (OGLE-2005-BLG-390Lb, solamente 5,5 M⊕) intorno alla nana OGLE-2005-BLG-390L; orbita attorno all'astro ad una distanza di circa 390 milioni di km (2,6 UA) e possiede una temperatura superficiale molto bassa, corrispondente a −220 °C (56 K). Nel 2007 è stato scoperto un secondo pianeta in orbita attorno a Gliese 581 potenzialmente abitabile, Gliese 581 c. Se la massa stimata dagli scopritori (un gruppo di astrofisici guidato da Stéphane Udry), corrispondente a 5,03 M⊕, fosse corretta, Gliese 581 c sarebbe l'esopianeta meno massiccio in orbita attorno ad una stella di sequenza principale. Gli scopritori hanno stimato per il pianeta un raggio 1,5 volte quello del nostro pianeta. Il pianeta si trova all'interno della cosiddetta "zona abitabile" di Gliese 581, ovvero ad una distanza tale perché l'acqua, eventualmente presente sulla superficie del pianeta, possa presentarsi allo stato liquido. L'abitabilità dei sistemi delle nane rosse è oggetto di dibattito presso gli astrofisici e gli astrobiologi. A dispetto del loro grande numero e della grande durata del loro ciclo vitale, vi sono diversi fattori che pregiudicherebbero lo sviluppo della vita in un pianeta orbitante attorno ad una nana rossa. In primis, i pianeti nella zona abitabile di una nana rossa dovrebbero essere così vicini alla stella da risentire delle interazioni mareali dell'astro, che bloccherebbero il pianeta su una rotazione sincrona; ciò significherebbe che un emisfero del pianeta sarebbe eternamente illuminato mentre l'emisfero opposto sarebbe sempre al buio. Per questo motivo potrebbero venirsi a creare delle enormi variazioni termiche tra la zona in ombra e la zona illuminata del pianeta che renderebbe difficoltosa l'evoluzione di forme di vita simili a quelle terrestri. D'altro canto, recenti teorie suggeriscono che anche una debole atmosfera o un oceano planetario potrebbero potenzialmente far circolare il calore sul pianeta. Un altro problema, sempre legato alla presenza di un'orbita sincrona, potrebbe portare il pianeta a non avere una magnetosfera utile a proteggere l'atmosfera, così come avviene sulla Terra. Nel corso di milioni di anni il seppur limitato vento solare di questo tipo di stella potrebbe asportare totalmente l'atmosfera del pianeta, rendendolo sterile e arido come è accaduto su Marte. Inoltre, le nane rosse emettono gran parte della propria radiazione alle lunghezze d'onda degli infrarossi, mentre sulla Terra i vegetali si servono principalmente delle lunghezze d'onda del visibile. L'attività magnetica della stella può inoltre avere delle ripercussioni negative sullo sviluppo della vita. Le nane rosse sono spesso coperte da vaste macchie, che arrivano a ridurre la quantità di radiazione emessa dalla fotosfera anche del 40%. Vi sono anche alcune nane rosse, dette stelle UV Ceti (dal prototipo UV Ceti), che emettono dei colossali flare, che arrivano anche a raddoppiare in un istante la luminosità della stella. Tale variabilità può allo stesso modo pregiudicare lo sviluppo della vita nelle immediate vicinanze della stella. Gibor Basri, della University of California, Berkeley, ritiene che un pianeta in orbita stretta attorno ad una nana rossa possa mantenere la propria atmosfera anche se la stella manifesta un'elevata attività di flare. Il 22 febbraio 2017 ha destato molto clamore la notizia della scoperta di un sistema composto da sette esopianeti di dimensioni terrestri orbitanti attorno a TRAPPIST-1, una nana rossa ultrafredda di classe spettrale M8, distante 39,5 anni luce dal sistema solare, osservabile nella costellazione dell'Aquario. La scoperta è stata effettuata tramite il metodo del transito.

Glossario: la zona abitabile

In astronomia e astrobiologia, zona abitabile, e più precisamente, zona abitabile circumstellare o CHZ, è il termine scientifico per indicare la regione intorno ad una stella dove è teoricamente possibile per un pianeta mantenere acqua liquida sulla sua superficie. Il concetto è basato sulle condizioni favorevoli per la vita per come noi la conosciamo sulla Terra, dove l'acqua liquida è essenziale per tutte le forme di vita conosciute; quindi i pianeti in grado di avere acqua liquida in superficie sono considerati tra i più favorevoli per ospitare vita extraterrestre. "Zona abitabile" è talvolta usato più generalmente per indicare diverse regioni che sono considerate favorevoli alla vita, come ad esempio la zona galattica abitabile, termine coniato da Guillermo Gonzalez nel 1995, e che rappresenta la distanza di un pianeta dal centro galattico. La posizione dei pianeti e dei satelliti naturali all'interno della zona abitabile della propria stella madre (e un'orbita quasi circolare) non è che uno dei tanti criteri da prendere in considerazione circa l'abitabilità planetaria ed è teoricamente possibile che esistano pianeti abitabili al di fuori della suddetta zona. Il termine inglese "Goldilocks planet" è usato per ogni pianeta che si trova all'interno della zona abitabile circumstellare (CHZ), mentre il termine abitabilità planetaria implica che i pianeti abbiano certe similitudini con la Terra e che siano pianeti rocciosi. Sono state scoperte decine di pianeti nella zona abitabile, anche se la maggior parte di essi sembrano significativamente più grandi della Terra; probabilmente ciò è dovuto al fatto che date le grandi distanze coinvolte, è più facile rilevare pianeti di maggiori dimensioni. Le stime attuali indicano che esistono almeno 500 milioni di pianeti all'interno della zona abitabile in tutta la Via Lattea.

Approfondiamo: esistono pianeti abitabili attorno alle nane rosse?

La determinazione dell'abitabilità dei sistemi planetari delle nane rosse può aiutare a rivelare come la vita extraterrestre possa eventualmente esistere, dato che le nane rosse sono il tipo di stelle più diffuso all'interno della nostra e probabilmente di tutte le galassie. I fattori critici per l'abitabilità planetaria includono la relativamente bassa energia proveniente dalla stella madre, che riduce le fasce della zona abitabile, la possibilità di pianeti marealmente bloccati e quindi indotti alla rotazione sincrona e la forte variabilità della stella[1]. Questa combinazione di fattori indica che le probabilità di vita su pianeti attorno a nane rosse sia sensibilmente minore rispetto a stelle di classe G, come il Sole Tuttavia, l'ubiquità e la longevità delle nane rosse sono fattori estremamente positivi che suggeriscono che l'esistenza di pianeti abitabili attorno a questo tipo di stelle siano eventi tutt'altro che rari. Basandosi sui dati pubblici del telescopio spaziale Kepler, nel 2013 alcuni astronomi del Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics hanno stimato una statistica in base alla quale il 6% delle nane rosse della nostra galassia avrebbe almeno un pianeta abitabile. Considerando che le nane rosse nella nostra galassia sono decine di miliardi, il numero di pianeti potenzialmente abitabile in orbita attorno a nane rosse è estremamente elevato. Le nane brune sono probabilmente ancor più numerose delle nane rosse; tuttavia, non sono in genere classificate come stelle, né potrebbero aiutare a sostenere la vita così come noi la intendiamo, dato che emettono una bassissima quantità di energia. Per molti anni gli astronomi hanno scartato l'ipotesi che le nane rosse possano favorire la vita: a causa delle loro piccole dimensioni (da 0,1 a 0,6 masse solari) le loro reazioni di fusione nucleare procedono in modo molto lento, emettendo così una luce molto debole (dal 3% di quella prodotta dal Sole fino ad appena lo 0,01%). Un pianeta in orbita attorno a queste stelle dovrebbe trovarsi molto in prossimità della sua stella madre per poter godere di condizioni climatiche simili a quelle terrestri: da 0,3 UA (poco all'interno dell'orbita di Mercurio) per stelle come Lacaille 8760 ad appena 0,032 UA per una stella come Proxima Centauri (un pianeta così vicino avrebbe un'orbita di appena 6,3 giorni). A queste distanze, la gravità della stella potrebbe causare un blocco mareale, vale a dire il pianeta mostrerebbe alla sua stella sempre la stessa faccia, come accade con la Luna attorno alla Terra. Che un pianeta sia abitabile o meno dipende in parte anche dalla presenza o meno di un'atmosfera che causi sulla superficie un effetto serra e, se presente, dall'entità dell'effetto serra stesso. Alla parte sempre illuminata del pianeta si contrapporrebbe una parte sempre in ombra, per cui le condizioni sarebbero di caldo infernale nella parte illuminata e di freddo polare in quella sempre al buio, a meno che l'atmosfera planetaria non sia sufficientemente spessa da consentire un transito di energia verso la parte in ombra. D'altra parte, un'atmosfera troppo spessa sarebbe in grado di bloccare i raggi della stella, non permettendo la fotosintesi. Questo pessimismo è stato stemperato dalle ricerche; studi più moderni da parte della NASA hanno mostrato che un'atmosfera planetaria (assumendo che vi si trovino anche gas serra come CO2 e H2O), per essere in grado di portare il calore verso la parte non illuminata del pianeta, può essere anche solo del 10% più spessa di quella terrestre (ovvero con una pressione superiore di 100 millibar). Questo livello sarebbe ancora sufficiente per la realizzazione della fotosintesi, comunque l'acqua resterebbe ghiacciata nella parte oscura del pianeta, secondo alcuni modelli teorici. L'acqua di mare potrebbe essere allo stato liquido se il fondale marino fosse abbastanza profondo da lasciare sufficiente spazio fra gli strati idrici superficiali, ghiacciati, e le parti inferiori, che resterebbero liquide, non diversamente da come avviene ai poli terrestri. La liquidità delle masse d'acqua sarebbe favorita dall'eventuale presenza di sorgenti geotermiche. Si è ipotizzato che persino le piante superiori possano sopravvivere sviluppando la fotosintesi anche in pianeti marealmente bloccati. Diversi astronomi che hanno effettuato simulazioni al computer ritengono che nei pianeti in blocco mareale attorno a nane rosse la vita sia possibile lungo il terminatore. Se provvisto di atmosfera e sufficiente acqua, questa evaporerebbe dall'emisfero diurno e verrebbe trasportata dai venti in quello notturno, dove congelerebbe. Tuttavia lo scambio di calore causato dai venti e la pressione dei ghiacci accumulati nell'emisfero oscuro farebbe sciogliere parte dell'acqua lungo il terminatore, consentendo l'esistenza di una fascia abitabile dove l'acqua liquida potrebbe scorrere in fiumi che, addentrandosi nell'emisfero diurno evaporerebbero, continuando il ciclo. Le dimensioni non sono l'unico fattore che renderebbero le nane rosse potenzialmente inadatte a sostenere la vita. Su un pianeta orbitante attorno ad una di queste stelle, la fotosintesi avrebbe forti limiti di territorio, in quanto sarebbe impossibile che essa avvenga nella parte in ombra del pianeta; nella parte esposta invece, poiché la stella sarebbe sempre presente in cielo nello stesso punto, le aree in ombra a causa della morfologia del territorio (rilievi, depressioni, spaccature) resterebbero sempre in ombra. La fotosintesi come noi la intendiamo sarebbe inoltre complicata dal fatto che una nana rossa produce la gran parte della sua radiazione nell'infrarosso, mentre sulla Terra il processo dipende dallo sfruttamento della luce visibile. Su questo tipo di pianeti servirebbero pertanto sei fotoni per scindere la molecola dell'acqua, a fronte di due necessari sulla Terra, a causa del loro basso livello di energia media. Dovendosi adattare al tipo di spettro per ricevere la massima quantità di energia, il fogliame di ipotetiche piante viventi in un pianeta di questo tipo dovrebbe probabilmente apparire nero. Le nane rosse sono molto più variabili e turbolente rispetto alle stelle più grandi; sulla Terra la vita si è adattata a livelli di variazioni meno estremi e può sopravvivere in ibernazione, come pure nelle profondità marine, dove le temperature anche durante l'inverno restano relativamente stabili. Nell'eventualità in cui anche l'intera superficie oceanica ghiacciasse, il colore del ghiaccio rifletterebbe verso l'esterno il calore ricevuto dal pianeta, trasformandolo in una sorta di Terra "palla di neve". Talvolta, come nel caso di Proxima Centauri, le nane rosse sono soggette ad improvvisi brillamenti che ne raddoppiano la luminosità nel giro di pochi minuti. Queste variazioni potrebbero essere molto pericolose per la vita, potendo influenzare e disgregare le molecole organiche complesse destinate a formare le basi della vita. I brillamenti potrebbero inoltre spazzare via parti rilevanti dell'atmosfera planetaria, la quale potrebbe essere protetta soltanto da un forte campo magnetico, causato da una forte rotazione del pianeta. Ma i pianeti marealmente bloccati hanno un periodo di rotazione molto lento, coincidente con quello di rivoluzione attorno al proprio astro. Si ritiene peraltro che i brillamenti più violenti avvengano solo nel primo periodo di vita delle nane rosse, ossia entro i primi 1,2 miliardi di anni. Se un pianeta formatosi in orbite più esterne, che quindi non sia mai stato influenzato dai brillamenti, migrasse verso un'orbita interna in una fase successiva, la vita avrebbe una possibilità di evolversi. La vita inizialmente potrebbe proteggersi dalle radiazioni restando sott'acqua fino a quando la stella non abbia concluso le sue fasi di instabilità iniziali. Una volta raggiunta la terraferma, la bassa percentuale di raggi ultravioletti prodotta dalla nana rossa farebbe sì che la fascia di ozono non sia indispensabile. Altri scienziati non credono invece che le nane rosse possano sostenere la vita, in particolare coloro che favoriscono l'ipotesi della rarità della Terra, in quanto il blocco mareale e le espulsioni di massa coronali sottoporrebbero l'atmosfera planetaria ad una forte erosione, spazzandola via e rendendo il pianeta completamente inabitabile. C'è tuttavia un vantaggio molto importante per eventuali forme di vita ospitate nei sistemi delle nane rosse: le stelle di questo tipo sono molto longeve. Ci sono voluti 4,5 miliardi di anni prima che l'uomo apparisse sulla Terra, mentre la vita che noi conosciamo ha sperimentato le migliori condizioni soltanto da mezzo miliardo di anni. Le nane rosse possono invece avere una vita stabile lunga diversi miliardi di anni, poiché le reazioni nucleari sono molto più lente rispetto alle stelle più grandi. Inoltre, se è vero che trovare un pianeta nella zona abitabile di una specifica nana rossa è una possibilità molto esigua, è anche vero che la somma totale delle aree abitabili di tutte le nane rosse è uguale alla somma di tutte le aree abitabili attorno a stelle come il Sole. Un'altra possibilità di vita attorno alle nane rosse potrebbe darsi in un lontano futuro, quando esaurito l'idrogeno interno queste si evolvono in nane blu. In questo stadio esse sono più luminose e pianeti che precedentemente erano completamente congelati potrebbero avere un clima confortevole per diversi miliardi di anni (5 miliardi di anni per una stella di 0,16 M⊙), il che darebbe alla vita l'opportunità di evolversi.

Basandosi sulla parallasse di 772,3±2,4 millisecondi d'arco, misurata da Hipparcos (e l'ancor più precisa misurazione ottenuta utilizzando il Telescopio Spaziale Hubble, pari a 768,7±0,3[8] millisecondi d'arco), Proxima Centauri si trova a circa 4,2 anni luce di distanza da noi, pari a 270 000 volte la distanza fra la Terra e il Sole. Dal nostro Sistema solare Proxima si trova a 2,18° da α Centauri, equivalente in termini apparenti a quattro volte il diametro angolare della Luna; Proxima possiede anche un elevato moto proprio, pari a circa 3,85 secondi d'arco all'anno. La velocità radiale è di 21,7 km/s. Fra le stelle finora conosciute, Proxima è la stella più vicina a noi da circa 32 000 anni e resterà tale per almeno altri 33 000 anni, dopo i quali la stella più vicina diventerà Ross 248, un'altra nana rossa. Proxima continuerà ad avvicinarsi al Sole per i prossimi 26 700 anni, quando raggiungerà una distanza di appena 3,11 anni luce. La stella orbita nella Via Lattea ad una distanza dal centro che varia fra 8,3 e 9,5 kpc, con un'eccentricità pari a 0,07. Fin dalla scoperta di Proxima, fu ipotizzato che potesse trattarsi di una possibile compagna del sistema di α Centauri: la stella infatti si trova ad una distanza di appena 0,21 al (13 000 au) dalla coppia principale, della quale condivide il moto spaziale. La probabilità che ciò fosse solo casuale è stata data in circa una su un milione in uno studio del 1993. Per questa ragione, Proxima è talvolta indicata con la sigla α Centauri C. Anche i dati raccolti dal satellite Hipparcos, combinati con le osservazioni condotte a terra, supportarono l'ipotesi che le tre stelle fossero effettivamente parte di un unico sistema, con la possibilità che Proxima fosse vicina al suo apoastro, ossia il punto più lontano dell'orbita rispetto al sistema centrale. Mancavano tuttavia delle misure della velocità radiale dei tre astri sufficientemente accurate per ottenere una conferma definitiva. Queste sono state ottenute tra il 2004 e il 2016 tramite lo spettrografo HARPS, installato sul telescopio di 3,6 metri di diametro dell'ESO posto all'Osservatorio di La Silla, sviluppato per individuare nuovi pianeti extrasolari con il metodo delle velocità radiali. I risultati delle analisi, pubblicati nel 2016, indicano che Proxima orbita attorno alla coppia principale con un periodo orbitale dell'ordine di 550 000 anni, ad una distanza media di 8 700 UA. L'orbita presenta un valore piuttosto elevato dell'eccentricità orbitale, pari a circa 0,50; ciò determina che la stella raggiunga una distanza di circa 4 300 UA al periastro (ossia il punto più vicino dell'orbita rispetto al sistema centrale) e di circa 13 000 UA all'apoastro. Conseguenza che Proxima sia legata gravitazionalmente ad α Centauri è che le tre stelle abbiano condiviso il processo di formazione ed abbiano probabilmente la stessa composizione chimica; è inoltre possibile che l'interazione gravitazionale tra le tre stelle abbia avuto un'importante influenza sulla formazione e sulle caratteristiche dei pianeti nel sistema. Sei singole stelle, due sistemi binari ed una stella tripla mostrano un moto comune a quello del sistema di α Centauri attraverso lo spazio; le velocità spaziali di questo gruppo di stelle sono tutte comprese entro i 10 km/s rispetto al moto mostrato da α Centauri. Ciò farebbe pensare che si possa trattare di un'associazione stellare, che indicherebbe pertanto pure un punto di origine comune, come avviene negli ammassi aperti. Dopo tre anni di misure della velocità radiale della stella attraverso lo spettrografo HARPS, il 24 aprile del 2016 è stata annunciata la scoperta di un pianeta extrasolare, Proxima Centauri b (o Proxima b) avente una massa stimata di 1,27±0,18 M⊕ e che orbita nella zona abitabile di Proxima Centauri in poco più di undici giorni. Nel dicembre 2017 è stata annunciata la possibile scoperta mediante il metodo dei transiti di un ulteriore pianeta. Il pianeta, ancora da confermare, avrebbe un periodo di rivoluzione di 2-4 giorni e un diametro e massa inferiori a quelli della Terra. È però misurando le variazioni della velocità radiale che, nel 2019, un gruppo guidato da Mario Damasso dell'INAF ha annunciato la probabile presenza di un secondo pianeta in orbita a Proxima Centauri. Un primo annuncio è avvenuto nell'aprile del 2019, al quale ha fatto seguito una pubblicazione nel gennaio del 2020 sulla rivista Science Advances. Il pianeta sarà studiato nel 2020 e nel 2021 per la definitiva conferma con lo spettrografo HARPS, da Terra, e con il satellite Gaia dallo spazio. Proxima c sarebbe una super Terra con una massa circa 6 volte quella terrestre, in orbita a circa 1,5 UA dalla stella e con un periodo orbitale di 5,2 anni. Nel novembre del 2017 è stata annunciata[61] la scoperta da parte del radiotelescopio ALMA di una fascia di polveri attorno a Proxima Centauri. Secondo l'autore della ricerca, Guillem Anglada, la fascia di polveri fredde è ''la prima indicazione della presenza di un elaborato sistema planetario e non solo di un solo pianeta, attorno alla stella più vicina al nostro Sole''. Le particelle di roccia e ghiaccio varierebbero in dimensioni da meno di un millimetro sino a diversi chilometri di diametro, ad una temperatura di circa -230° e con una massa totale di circa un centesimo di quella terrestre. I dati di ALMA suggeriscono la presenza di una seconda cintura ancora più fredda, entrambe ad una distanza molto superiore rispetto a Proxima b che orbita a soli quattro milioni di chilometri dalla stella madre. Sempre secondo Anglada, «questo risultato suggerisce che Proxima Centauri possa avere un sistema a pianeti multipli con una ricca storia di interazioni che hanno portato alla formazione di una cintura di polvere.» L'autore dello studio condivide il proprio nome con l'astronomo che ha guidato il gruppo che ha scoperto Proxima Centauri b, Guillem Anglada-Escudé. Proxima Centauri è stata spesso suggerita come destinazione logica per il primo viaggio interstellare dell'umanità nonostante le stelle a brillamento non siano particolarmente ospitali. In ogni caso, la velocità massima che un veicolo può raggiungere con le attuali tecnologie è sufficiente solo per raggiungere la stella dopo ben 110000 anni. Tuttavia, sfruttando l'effetto fionda, una sonda spaziale può superare questa velocità, arrivando a raggiungere i 17 km/s, a fronte degli 8,3 km/s delle missioni Apollo. Le sonde Voyager 1 e Voyager 2 si stanno allontanando dal nostro sistema solare a questa velocità. Un più probabile viaggio di una sonda spaziale in grado di accelerare continuamente, con un motore atomico a ioni, fino al 30% della velocità della luce, con una analoga decelerazione nella parte finale del viaggio, impiegherebbe poco meno di venti anni, più quattro anni necessari perché il segnale radio giunga fino a noi. Il Sole da Proxima Centauri apparirebbe come una stella di magnitudine apparente 0,4, in direzione della costellazione di Cassiopea, in una posizione leggermente diversa rispetto a come apparirebbe dalle stelle centrali del sistema di α Centauri.


Alpha Centauri A

Alfa Centauri A (α Cen A / α Centauri A) è una stella nana gialla della costellazione del Centauro. Si tratta della stella più brillante delle tre che compongono il sistema di Alfa Centauri; le sue due compagne sono α Centauri B e Proxima Centauri. La α Centauri A è anche una delle stelle più vicine al Sistema solare, trovandosi ad appena 4,36 al dal Sole, e la quarta stella per luminosità nel cielo notturno terrestre. La distanza ravvicinata al Sistema solare conferisce inoltre ad α Centauri un elevato moto proprio. α Centauri A appare estremamente simile al Sole per massa, diametro e temperatura; è infatti circa il 10% più massiccia del nostro astro, con un raggio del 23% più grande. Si tratta di una stella di sequenza principale, la cui classificazione è G2 V. La velocità di rotazione (v.sin i) di α Centauri A è 2,7 ± 0,7 km s-1, che equivale ad un periodo di rotazione di 22 giorni (per confronto quello del Sole è di 25 giorni). α Centauri A ha una magnitudine assoluta pari a +4,38. Questo valore, insieme alle caratteristiche spettrali dell'astro, permette di desumere l'età della stella che, secondo le attuali teorie sull'evoluzione stellare, oscillerebbe fra i 5 e i 6 miliardi di anni, leggermente più vecchia del Sole. Osservazioni effettuate nei raggi X con i satelliti ROSAT e XMM-Newton hanno evidenziato che α Centauri A emette meno energia in questo intervallo spettrale rispetto ad α Centauri B, nonostante quest'ultima sia complessivamente la meno luminosa delle due. Le curve di luce in banda X hanno evidenziato inoltre una certa variabilità delle due stelle, più rapida per α Centauri B che per A. Per quest'ultima la spiegazione più accreditata è la presenza di un ciclo solare simile a quello undecennale del Sole.


Alpha Centauri B

Alfa Centauri B (α Cen B) è una stella nana arancione del sistema stellare di Alfa Centauri. Si tratta della seconda stella più brillante delle tre che compongono il sistema di Alfa Centauri; le sue due compagne sono α Centauri A e Proxima Centauri. Si trova a 4,40 anni luce dal Sistema solare, ed è una delle stelle più vicine. La distanza ravvicinata dal Sistema solare conferisce inoltre ad α Centauri un elevato moto proprio. α Centauri B è leggermente più piccola e meno luminosa del nostro Sole; anche questa è nella fase di sequenza principale, la cui classe spettrale è K1 V, ossia una stella di colore giallo-arancione. La sua massa è pari al 90% di quella del Sole e il suo raggio è del 14% più piccolo; la velocità di rotazione è 1,1±0,8 km/s, equivalente ad un periodo di 41 giorni. Una stima precedente indicava questo valore pari a 36,8 giorni. Osservazioni effettuate nei raggi X con i satelliti ROSAT e XMM-Newton hanno evidenziato che la componente B emette più energia in questo intervallo spettrale rispetto ad α Centauri A, nonostante sia complessivamente la meno luminosa delle due. Le curve di luce in banda X hanno evidenziato inoltre una certa variabilità della stella. α Centauri B è infatti una vera e propria stella a brillamento: sono stati infatti osservati due brillamenti, sia con ROSAT che con XMM-Newton, anche se sono fra i più deboli registrati per questo tipo di stelle. Il 17 ottobre 2012 sul settimanale Nature è stato pubblicato un articolo[8] che annunciava la scoperta tramite il metodo delle velocità radiali di un pianeta in orbita attorno alla stella. Tale pianeta, denominato Alfa Centauri Bb, possiede una massa di sole 1,14 M⊕ ed è tra i più piccoli esopianeti conosciuti. Orbita attorno alla sua stella madre con un periodo di 3,236 giorni ad una distanza di sole 0,04 au. Si tratta dell'esopianeta più prossimo alla Terra finora individuato. Il 25 marzo 2015, Demory et al. hanno pubblicato un articolo con i risultati di 40 ore di osservazioni compiute su Alfa Centauri B con il telescopio spaziale Hubble.[9] Anche se il gruppo di astronomi ha escluso eventi di transito per Alfa Centauri Bb (che non esclude la sua esistenza, ma solamente che il pianeta non si trova sullo stesso piano rispetto al Sole e α Centauri), hanno rilevato un evento di transito corrispondente ad un possibile corpo planetario. Questo pianeta molto probabilmente orbita attorno a Alfa Centauri B in un periodo di 20,4 giorni circa, con una probabilità del 5% che la sua orbita sia più lunga. Se confermato, questo pianeta sarebbe chiamato Alfa Centauri Bc, e anch'esso, come Alfa Centauri Bb, sarebbe troppo vicino alla sua stella madre per poter ospitare la vita. Nell'ottobre del 2015, un team di scienziati dell'Università di Oxford ha smentito l'esistenza del pianeta, dimostrando i difetti delle analisi dei dati di tre anni prima, al tempo della scoperta. Dumusque, lo scopritore del pianeta nel 2012, si è dichiarato d'accordo con questa analisi, affermando che il pianeta b molto probabilmente non esiste.


Adesso che conosciamo le stelle del sistema di Alpha Centauri possiamo andare ad esplorare i suoi pianeti... 


Proxima Centauri B

Proxima Centauri b (chiamato anche Proxima b) è un pianeta extrasolare in orbita nella zona abitabile della nana rossa Proxima Centauri (componente C del sistema Alfa Centauri che si trova nella costellazione del Centauro). Proxima Centauri, distante dalla Terra 4,224 anni luce, è la stella più vicina al Sistema Solare e questo rende Proxima b l'esopianeta conosciuto più vicino possibile alla Terra e, a maggio 2020, quello con l'ottavo ESI (indice di similarità terrestre) più alto tra tutti gli esopianeti conosciuti (0,87). La scoperta è stata resa possibile da osservazioni della velocità radiale di α Centauri C attraverso lo spettrografo HARPS, montato sul telescopio da 3,6 m di diametro presso l'Osservatorio di La Silla dello European Southern Observatory (ESO), condotte dal 2013 al 2016 da un gruppo di astronomi afferenti alla Queen Mary, University of London a seguito di una campagna osservativa denominata Pale Red Dot. L'annuncio della sua scoperta è stato dato il 24 agosto 2016 con un resoconto scientifico pubblicato online dalla rivista Nature, con Guillem Anglada-Escudé quale primo firmatario. Il pianeta è stato scoperto attraverso il metodo delle velocità radiali, rilevando le variazione prodotte dall'effetto Doppler nello spettro di α Centauri C. Grazie alla precisione di HARPS sono state rilevate variazioni corrispondenti a velocità radiali di 5 km/h. Data la piccola massa della stella madre e i relativi modelli disponibili per stelle di questo tipo, non sembra plausibile l'ipotesi che un pianeta come Proxima Centauri b si sia formato nella sua attuale posizione, ed è più probabile che abbia avuto origine in un'altra zona del sistema e che solo successivamente sia migrato nella sua orbita attuale. In caso contrario dovrebbero essere rivisti gli attuali modelli sulla formazione planetaria.

Approfondiamo: il modello di formazione planetaria

Per capire al meglio il modo in cui gli astronomi hanno compreso le dinamiche della formazione di Proxima Centauri B dobbiamo approfondire il modello della formazione planetaria e, più nello specifico, l'ipotesi della nebulosa solare. L'ipotesi della nebulosa solare (SNDM, acronimo dell'inglese Solar Nebular Disk Model) è il modello maggiormente accettato dalla comunità scientifica per spiegare la formazione del sistema solare e, più in generale, dei pianeti e dei sistemi planetari. Nella sua prima formulazione, l'ipotesi fu proposta nel 1734 da Swedenborg e successivamente ripresa e riadattata da Kant, che riconosce apertamente il suo debito nei confronti di Lucrezio[4], e Laplace, donde il nome alternativo di modello di Kant-Laplace. Il processo di formazione planetaria è strettamente legato a quello della formazione stellare, di cui costituisce un sottoprodotto. In accordo con il modello standard della formazione stellare, la nascita di una stella avviene attraverso il collasso di una nube molecolare, il cui prodotto è la protostella. Non appena la stella nascente conclude questa fase e fa ingresso nella pre-sequenza principale, il disco che ne ha mediato l'accrescimento diviene protoplanetario; la sua temperatura diminuisce, permettendo la formazione di piccoli grani di polvere costituiti da roccia (in prevalenza silicati) e ghiacci di varia natura, che a loro volta possono fondersi tra loro per dar luogo a blocchi di diversi chilometri, i planetesimi. Se la massa del disco è sufficientemente grande, in un lasso di tempo astronomicamente breve (100 000-300 000 anni) i planetesimi possono fondersi tra loro per dar luogo a embrioni planetari, detti protopianeti, i quali, in un arco temporale compreso tra 100 milioni e un miliardo di anni, vanno incontro ad una fase di violente collisioni e fusioni con altri corpi simili; il risultato finale sarà la formazione di alcuni pianeti terrestri. La formazione dei giganti gassosi è invece un processo più complicato, che avverrebbe al di là della cosiddetta frost line, regione popolata da un gran numero di protopianeti ghiacciati più grandi di quelli esclusivamente rocciosi. Non è completamente chiaro cosa succeda in seguito alla formazione dei protopianeti ghiacciati; sembra tuttavia che alcuni di questi, in forza delle collisioni, crescano fino a raggiungere una massa di circa 10 masse terrestri - M⊕ -, superata la quale si innescherebbe un processo di accrescimento, simile a quello cui è andata incontro la stella ma su scala ridotta, a partire dall'idrogeno e dall'elio accumulatisi nelle regioni esterne del disco. Questa fase si conclude con l'esaurimento dei gas disponibili. Successivamente il pianeta subisce, in seguito alle interazioni col disco residuo, un processo di migrazione orbitale, più o meno accentuato a seconda dell'entità delle interazioni. Si ritiene che i giganti ghiacciati, come Urano e Nettuno, costituiscano dei "nuclei falliti", formatisi quando ormai gran parte dei gas erano stati esauriti. Non tutte le stelle sono in grado di creare le condizioni necessarie per consentire la formazione di pianeti: infatti, le stelle più massicce, di classe O e B, emettono una quantità di radiazioni e vento tali da spazzare via completamente ciò che resta del disco di accrescimento, disperdendo dunque la materia prima per la formazione di nuovi pianeti. L'ipotesi della nebulosa solare fu proposta per la prima volta nel 1734 da Emanuel Swedenborg e fu ripresa e sviluppata nel 1755 da Immanuel Kant, che conosceva bene i lavori di Swedenborg, e formulata indipendentemente da Pierre-Simon Laplace nel 1796.[1] Tuttavia già Cartesio, nel 1644, aveva proposto una teoria simile, che ipotizzava la presenza di vortici primordiali di materia in contrazione caratterizzati da masse e dimensioni differenti; da uno dei più grandi ebbe origine il Sole, mentre dai più piccoli si formarono i pianeti, che a causa della rotazione globale si misero in orbita intorno ad esso. L'ipotesi di Kant-Laplace suggerisce che il Sole e i pianeti che gli orbitano attorno abbiano tratto origine tutti da una stessa nebulosa primordiale, la nebulosa solare. La formazione del sistema avrebbe avuto inizio dalla contrazione della nebulosa, che avrebbe determinato un aumento della propria velocità di rotazione, facendo sì che essa assumesse un aspetto discoidale con un maggiore addensamento di materia in corrispondenza del suo centro, da cui sarebbe nato il proto-Sole. Il resto della materia circumsolare si sarebbe dapprima condensato in anelli, da cui poi avrebbero avuto origine i pianeti. Sebbene abbia goduto di gran credito nel XIX secolo, l'ipotesi laplaciana non riusciva a spiegare alcune particolarità riscontrate, prima fra tutte la distribuzione del momento angolare tra Sole e pianeti: i pianeti infatti detengono il 99% del momento angolare, mentre il semplice modello della nebulosa prevede una più "equa" distribuzione del momento angolare tra Sole e pianeti; per questa ragione tale modello fu accantonato all'inizio del XX secolo. La caduta del modello di Laplace stimolò gli astronomi a ricercare delle valide alternative in grado di sostituirlo. Nel corso del XX secolo furono proposte numerose teorie, tra cui la teoria dei planetesimi di Thomas Chamberlin e Forest Moulton (1901), il modello mareale di Jeans (1917), il modello dell'accrescimento di Otto Schmidt (1944), la teoria protoplanetaria di William McCrea (1960) e infine la teoria della cattura di Michael Woolfson. Tuttavia questi modelli spesso non trovarono alcun riscontro osservativo. Gli insuccessi dei modelli alternativi e l'individuazione nel corso degli ultimi decenni del Novecento di strutture analoghe al disco protosolare attorno ad oggetti stellari giovani portarono alla rivalutazione dell'idea laplaciana. Nel 1978 Andrew Prentice riprese le idee di base del modello di Laplace formulandone una moderna revisione.[1] La nascita dell'attuale teoria della formazione dei sistemi planetari, il Solar Nebular Disk Model (SNDM), si deve tuttavia all'astronomo sovietico Viktor Safronov, il cui lavoro ha avuto un'influenza duratura sul modo di pensare degli scienziati in merito alla formazione planetaria.[18] Egli, nelle sue opere, formulò e risolse la gran parte dei maggiori problemi riscontrabili nella fisica del processo di formazione planetaria. Le idee di Safronov furono in seguito sviluppate nell'opera di George Wetherill, che scoprì il fenomeno dell'accrescimento galoppante.Nonostante sia stato originariamente applicato solo al sistema solare, il modello della nebulosa è stato poi esteso, almeno in via teorica, a tutto l'universo; una sua conferma è venuta dalla scoperta, a partire dal 1995, di oltre 4000 pianeti al di fuori del sistema solare nella nostra galassia. Condizione preliminare necessaria perché possa generarsi un sistema planetario è la formazione della stella madre. Il modello che attualmente gode di maggior credito presso la comunità astronomica, detto modello standard della formazione stellare, prevede che una stella nasca a partire dal collasso gravitazionale e dalla frammentazione delle porzioni più dense (dette "nuclei") di una nube molecolare e dal successivo accrescimento dell'embrione stellare, originatosi dal collasso dei frammenti, a partire dai materiali presenti nella nube. Una tipica nube molecolare gigante possiede una densità dell'ordine delle 100 particelle al cm3, un diametro di oltre 100 anni luce, una massa superiore al milione di masse solari (M☉) e una temperatura media, all'interno, di 10 K. La nube permane in uno stato di equilibrio dinamico finché l'energia cinetica del gas, che genera una pressione verso l'esterno, e l'energia potenziale della gravità, con verso centripeto, si equivalgono. Nel corso dei milioni di anni, tuttavia, i moti turbolenti interni del gas o influenze esterne (esplosioni di supernovae, interazioni tra galassie ecc.) determinano una maggiore suscettibilità al collasso gravitazionale e una frammentazione della nube in porzioni gerarchicamente sempre più piccole, finché i frammenti non raggiungono una massa stellare. Questi frammenti protostellari possiedono diametri dell'ordine dei 0,01-0,1 parsec (2 000-20 000 unità astronomiche - UA) e una densità di circa 10 000-100 000 particelle per cm3. Il collasso iniziale di una nebulosa protostellare di massa solare dura circa 100 000 anni.vOgni nebulosa possiede all'inizio un certo quantitativo di momento angolare. Il gas presente nelle porzioni più centrali della nebulosa, il cui momento angolare è relativamente basso, va incontro ad una rapida compressione fino a formare un nucleo idrostatico caldo (non in contrazione), contenente solo una piccola frazione della massa complessiva della nebulosa, sul quale precipitano i gas residuati dal primo collasso; questo nucleo costituisce il primitivo embrione della futura stella. Man mano che il collasso prosegue, la velocità di rotazione del materiale in caduta libera incrementa in ossequio al principio di conservazione del momento angolare; di conseguenza il gas della nube non ricade direttamente sul nucleo centrale, ma viene costretto in una struttura discoidale, allineata col piano equatoriale dell'embrione, in cui la materia gradualmente spiraleggia verso il nucleo centrale in fase di accrescimento. Quando questa fase di accrescimento si arresta si ha la formazione della protostella. In questa fase, la protostella e il suo disco di accrescimento sono inosservabili in quanto fortemente oscurati da un inviluppo (o envelope) costituito dai gas e dalle polveri della nube, la cui opacità è così elevata da bloccare anche la radiazione millimetrica; alle lunghezze d'onda submillimetriche tali strutture appaiono invece come degli addensamenti brillanti. Gli astrofisici definiscono questa fase evolutiva della protostella come "classe 0". Il collasso è spesso accompagnato dall'emissione, lungo l'asse di rotazione della protostella, di getti bipolari, frutto forse dell'interazione del disco con le linee di forza del campo magnetico protostellare, che si dipartono dai poli della protostella probabilmente allo scopo di disperdere l'eccesso di momento angolare che altrimenti condurrebbe la protostella alla frammentazione. Tali getti sono spesso osservati nelle regioni di formazione stellare sotto forma di oggetti di Herbig-Haro. La luminosità di una protostella di classe 0 è elevata: una protostella di massa solare può irradiare fino a 100 volte il quantitativo di energia irradiato dal Sole. La principale fonte energetica della protostella è il collasso stesso, dato che in questa fase ancora precoce la protostella non fonde idrogeno. Man mano che prosegue la caduta verso il disco del materiale dell'inviluppo, esso diviene sempre più trasparente otticamente, rendendo osservabile l'oggetto stellare giovane dapprima nell'infrarosso lontano, quindi nel visibile. A questo punto, circa 100 000 anni dopo l'inizio del collasso, la stella inizia a fondere un isotopo dell'idrogeno, il deuterio. L'oggetto diviene così una stella T Tauri ed entra a far parte della classe I. La stella nascente ha già acquisito gran parte della sua massa definitiva: la massa complessiva del disco e dell'inviluppo residuo non supera il 10-20% della massa dell'oggetto centrale. Circa un milione di anni dopo l'inviluppo scompare, essendo stato completamente assorbito dal disco, mentre la giovane T Tauri al suo centro diviene ben visibile. La massa del disco intorno ad una T Tauri classica corrisponde a circa l'1-3% della massa della giovane stella, e determina un suo ulteriore accrescimento al ritmo di 10−7-10−9 masse solari all'anno; spesso è presente una coppia di getti polari perpendicolari al piano del disco. Il processo di accrescimento spiega tutte le particolarità delle T Tauri classiche: intensi flussi (fino al 100% della luminosità della stella) e intense linee di emissione presenti nel suo spettro. La fase di T Tauri classica si conclude dopo una decina di milioni di anni, tempo necessario perché nel nucleo siano raggiunte le condizioni di temperatura e pressione adatte all'innesco della fusione dell'idrogeno pròzio; la stella entra così nella sequenza principale. Come si è visto, la presenza di un disco circumstellare è una conseguenza della necessità della stella in formazione di disperdere l'eccesso di momento angolare; di conseguenza, è una struttura che si forma precocemente durante la formazione stellare, ma risulta inosservabile per buona parte delle fasi iniziali per via dell'opacità dei gas e delle polveri circostanti. Il disco di una protostella di classe 0 è un tipico disco di accrescimento, massiccio e caldo, con una temperatura che facilmente supera i 400 K entro 5 UA e i 1 000 K entro 1 UA. Tali temperature, dovute al riscaldamento determinato dalla dissipazione delle turbolenze viscose interne e dal moto di caduta libera del gas verso il centro, fanno sì che gli elementi più volatili, come l'acqua, diversi composti organici e alcune rocce, evaporino, relegandoli nelle regioni più periferiche del disco e lasciando nelle regioni interne i materiali a più alto punto di sublimazione, come il ferro. Il principale problema nella fisica dei dischi di accrescimento concerne le modalità che conducono alla formazione delle turbolenze e i meccanismi responsabili delle alte viscosità riscontrate. La viscosità turbolenta è ritenuta responsabile del trasferimento di massa dall'inviluppo gassoso verso la protostella centrale e del momento angolare verso la periferia del disco; quest'ultima condizione è vitale perché l'accrescimento possa proseguire, dal momento che il gas può accrescere la protostella solo se questa perde gran parte del proprio momento angolare. Il risultato di questo processo è la crescita sia della protostella sia del raggio del disco, che può raggiungere anche 1 000 UA se il momento angolare iniziale della nebulosa è sufficientemente grande. Vasti dischi sono normalmente osservati in molte regioni di formazione stellare, come la Nebulosa di Orione. La vita dei dischi d'accrescimento è di circa 10 milioni di anni.[39] Quando la stella nascente raggiunge la fase di T Tauri classica, il disco diviene più sottile e si raffredda,[33] permettendo ai materiali meno volatili presenti nelle regioni più interne, come i silicati, di condensare ed eventualmente cristallizzare, formando dei granuli di polvere grandi 0,1-1 µm.[40] Il disco diviene così protoplanetario.[5][39][41] Il trasferimento della materia dalle regioni più esterne verso il centro del disco permette ai granuli di nuova formazione di "mescolarsi" con quelli preesistenti provenienti dalla periferia, che contengono materia organica e altri materiali volatili. Questo fenomeno spiegherebbe alcune peculiarità nella composizione dei corpi minori del sistema solare, come la presenza di residui di polvere interstellare nei meteoriti più antichi e inclusioni refrattarie nelle comete. L'instabilità gravitazionale del disco può determinarne la frammentazione in cospicui ammassi, i più densi dei quali possono collassare, determinando la rapida formazione (si stima in circa 1 000 anni) di alcuni giganti gassosi o persino nane brune. Sembra però che questo meccanismo di formazione planetaria sia appannaggio solamente dei dischi più massicci (0,3 M☉, per raffronto in media i dischi hanno una massa di 0,01-0,03 M☉); dal momento che dischi con simili masse sono rari, tale meccanismo risulta alquanto infrequente. Dal momento che i planetesimi sono estremamente numerosi e ampiamente distribuiti lungo il disco, alcuni di questi non partecipano alla formazione di pianeti. Oggi si ritiene che gli asteroidi e le comete costituiscano ciò che resta di antichi planetesimi frammentatisi a causa delle numerose collisioni succedutesi nel tempo. Diversi possono essere i motivi che conducono alla scomparsa dei dischi protoplanetari: il loro assorbimento da parte della stella madre che si accresce o l'espulsione di materiale tramite i getti bipolari; l'effetto Poynting-Robertson; come conseguenza della fotoevaporazione da parte della radiazione UV emessa dalla stella centrale durante la fase di T Tauri o da stelle vicine. Il gas della porzione centrale può inoltre andare ad accrescere i pianeti in formazione oppure essere espulso da questi, mentre le polveri più leggere vengono spazzate via dalla pressione di radiazione della stella centrale. Il risultato finale sarà o la formazione di un sistema planetario o di un disco di detriti residui, oppure non ne rimarrà nulla, nell'eventualità che non sia stata possibile la formazione di planetesimi. Le particelle di polvere interagiscono con i gas presenti nel disco; i grani più grandi del millimetro orbitano attorno alla stella ad una velocità superiore al gas, il quale esercita un effetto di frenamento che li costringe a percorrere un'orbita a spirale verso il centro del disco. Man mano che procedono verso il centro, i granuli di polvere si riscaldano e, giunti in corrispondenza di un preciso punto del sistema, la coltre di ghiaccio d'acqua che li riveste sublima. La regione in cui ciò avviene prende il nome di frost line o limite della neve e delimita il sistema in una regione interna, ove prevalgono le rocce, e una regione esterna, in cui invece si ha una prevalenza di materiali volatili allo stato solido. In corrispondenza della frost line le molecole d'acqua tendono ad accumularsi sui grani; si hanno così delle ripercussioni nelle proprietà dei gas, che determinano un abbassamento della pressione che viene compensato da un incremento della velocità di rotazione del gas. I grani di polvere in questo modo non subiscono più un rallentamento, bensì un'accelerazione che ne rallenta la ricaduta verso il centro del sistema. Ciò determina un progressivo accumulo delle polveri in corrispondenza della frost line, che favorisce le collisioni tra i granuli e la formazione di corpi di dimensioni maggiori, fino ad alcuni centimetri, alcuni dei quali proseguono nella loro avanzata verso le regioni interne del disco. Segni di questa fase si osservano analizzando all'infrarosso lo spettro del disco. Ulteriori processi di aggregazione conducono alla formazione di blocchi rocciosi di dimensioni dell'ordine del chilometro, i planetesimi, considerati i "mattoni" dei futuri pianeti. Alcune recenti teorie ritengono improbabile che i planetesimi possano formarsi dalla collisione di pochi corpi di grandi dimensioni, per via del fatto che possiederebbero campi gravitazionali esigui e le interazioni elettrostatiche perderebbero di valore per corpi di dimensioni superiori a pochi centimetri. Per tale ragione, sarebbe più probabile che i planetesimi si formino dalla coalescenza di tanti piccoli corpi spinti dalla loro stessa gravità, simulando un collasso gravitazionale in piccola scala. In seguito alla loro formazione, i planetesimi vanno incontro ad un processo noto come accrescimento galoppante (in inglese runaway accretion), così detto perché il tasso di crescita della massa è proporzionale a R4~M4/3, dove R ed M sono rispettivamente il raggio e la massa del corpo in crescita. Dal momento che la velocità di accrescimento aumenta all'aumentare della massa, i corpi di dimensioni maggiori crescono più rapidamente e a spese dei corpi più piccoli. Questa fase dura tra i 10 000 e i 100 000 anni e si conclude quando i corpi di dimensioni maggiori raggiungono circa i 1 000 km di diametro. Il progressivo rallentamento della velocità di accrescimento è determinato dalle perturbazioni gravitazionali esercitate dai corpi più grandi sui restanti planetesimi, causando in aggiunta l'arresto della crescita dei corpi più piccoli. La fase successiva è l'accrescimento oligarchico (oligarchic accretion) e deve il suo nome al fatto che il disco interno appare dominato da poche centinaia di corpi di grandi dimensioni (soprannominati oligarchi) che continuano lentamente ad accrescere inglobando planetesimi;[51] il termine "oligarchi" è giustificato anche dal fatto che nessun altro corpo eccetto loro può continuare ad accrescere la propria massa. In questa fase la velocità di accrescimento è proporzionale a R2, che deriva dalla sezione dell'oligarca; il tasso di accrescimento specifico è proporzionale a M−1/3 e diminuisce all'aumentare della massa dell'oggetto, permettendo agli oligarchi più piccoli di raggiungere i più grandi. Gli oligarchi sono mantenuti ad una distanza di circa 10·Hr[N 4] l'uno dall'altro dall'influenza gravitazionale dei planetesimi residui, mentre eccentricità ed inclinazioni orbitali permangono piccole. Gli oligarchi continuano a crescere finché vi è disponibilità di planetesimi nelle loro vicinanze; accade talvolta che oligarchi vicini si fondano. La massa finale di un oligarca dipende dalla distanza dalla stella centrale e dalla densità di planetesimi nelle vicinanze e prende il nome di "massa di isolamento". Il risultato della fase oligarchica è la formazione di circa 100 corpi di massa compresa tra quella della Luna e quella di Marte, uniformemente sparsi a circa 10·Hr. Si ritiene che questi corpi risiedano all'interno di lacune del disco e che siano separati gli uni dagli altri da sottili anelli di planetesimi residui. Questa fase durerebbe poche centinaia di migliaia di anni e porta alla formazione di un certo numero di embrioni planetari, o protopianeti. La formazione dei giganti gassosi è un problema di rilievo nelle scienze planetarie. Due teorie in proposito sono state formulate nell'ambito del modello della nebulosa solare. La prima, il modello dell'instabilità del disco (disk instability model), prevede che i giganti gassosi si formino a partire dalla frammentazione, sotto l'azione della gravità, di dischi protoplanetari massicci (si veda anche il paragrafo Dal disco di accrescimento al disco protoplanetario), dai quali possono avere origine anche delle nane brune, considerate una via di mezzo tra pianeti e stelle. Il secondo modello proposto è il modello dell'accrescimento del nucleo (core accretion model) o modello dell'instabilità dei nuclei (nucleated instability model); quest'ultimo sembra essere il modello più attendibile, dal momento che spiega come si formino dei giganti gassosi a partire da dischi relativamente poco massicci (<0,1 M⊙). In questo modello la formazione dei pianeti giganti è suddivisa in due fasi: a) accrescimento di un nucleo di circa 10 M⊕; b) accrescimento del gas sul nucleo a partire dai gas del disco protoplanetario. Si ritiene che la formazione del nucleo di un gigante gassoso proceda grossomodo come la formazione dei pianeti terrestri: i planetesimi vanno incontro ad una fase di accrescimento galoppante cui segue una fase di accrescimento oligarchico; le ipotesi non prevedono una fase di fusione, a causa della bassa probabilità di collisione tra i protopianeti nelle regioni esterne del sistema planetario. Un'altra differenza è costituita dalla composizione dei planetesimi: infatti, i planetesimi da cui avranno origine i giganti gassosi si formano al di là della frost line e sono costituiti principalmente da ghiacci, con un rapporto ghiaccio:roccia di 4:1.[54] La frost line riveste una grande importanza nella genesi dei pianeti gassosi, dal momento che agisce da barriera provocando un rapido accumulo di materia appena al di là di essa. I modelli mostrano tuttavia che dai dischi meno massicci, in grado comunque di dar luogo a pianeti terrestri, possono formarsi solamente dei nuclei di 1-2 M⊕ a 5 UA dalla stella (distanza simile a quella che separa Giove dal Sole nel sistema solare) nell'arco di 10 milioni di anni, tempo che rappresenta la durata media dei dischi attorno a stelle simili al Sole. Diverse soluzioni sono state proposte per spiegare la formazione di nuclei di 10 M⊕: un incremento della massa del disco (almeno dieci volte); migrazione dei protopianeti, che consente a questi di aggregare molti più planetesimi; infine incremento del tasso di accrescimento in seguito all'innescarsi di fenomeni di resistenza fluidodinamica negli involucri gassosi degli embrioni planetari. La combinazione di alcune delle soluzioni appena proposte può spiegare la formazione dei nuclei da cui hanno avuto origine pianeti come Giove e Saturno; la formazione di pianeti simili a Urano e Nettuno è invece più problematica, dal momento che nessuna teoria è stata in grado di spiegare la formazione in situ dei loro nuclei ad una distanza media dalla stella di 20-30 UA. Per risolvere la questione si è ipotizzato che i loro nuclei inizialmente si siano formati nella regione di Giove e Saturno e che successivamente, in seguito alle interazioni gravitazionali, siano stati sospinti più esternamente fino alle loro attuali orbite. Raggiunta una massa sufficiente (5-10 M⊕), i nuclei iniziano a sottrarre i gas residui dal disco. Il processo prosegue inizialmente a regime ridotto, fino al raggiungimento di circa 30 M⊕ in pochi milioni di anni; quindi il tasso di accrescimento subisce una forte accelerazione (accrescimento galoppante o runaway accretion), che porta ad accumulare il restante 90% della massa definitiva del pianeta in circa 10 000 anni.[55] L'accrescimento del gas si arresta all'esaurimento della materia prima, il che avviene quando una lacuna si apre nel disco protoplanetario. Stando a questo modello, i "giganti ghiacciati" (ovvero Urano e Nettuno) costituiscono dei "nuclei falliti", che hanno iniziato ad accrescere il gas troppo tardi, quando era in gran parte già stato o incorporato dagli altri due pianeti o espulso dal sistema a causa del vento solare. La fase successiva all'accrescimento galoppante è caratterizzata dalla migrazione dei pianeti neoformati e da una continua ma più lenta aggregazione di una quota ridotta di gas. La migrazione è causata dalle interazioni tra i pianeti e il disco residuo, il cui attrito determina un decadimento dell'orbita, che spesso porta a un enorme avvicinamento del pianeta alla stella, come nel caso dei pianeti gioviani caldi ("Giovi caldi" o Hot Jupiters), giganti gassosi che orbitano ad una distanza ridotta dalla loro stella (spesso molto inferiore a quella che separa Mercurio dal Sole). I giganti gassosi esercitano un'ulteriore influenza sulla regione prospiciente dei pianeti rocciosi: le orbite degli embrioni di questi ultimi possono raggiungere eccentricità così elevate da favorire un loro incontro ravvicinato con un pianeta gassoso ed eventualmente, a causa dell'effetto fionda gravitazionale, da determinarne l'espulsione dal sistema planetario; qualora tutti i protopianeti rocciosi andassero incontro a tale destino non si formerà alcun pianeta di questo tipo. Una conseguenza di una tale situazione è che permane un alto numero di planetesimi, dal momento che i giganti gassosi sono incapaci di assorbirli tutti senza l'aiuto dei protopianeti rocciosi. La massa complessiva dei planetesimi rimanenti è comunque relativamente esigua, dal momento che l'azione combinata degli embrioni dei pianeti rocciosi (prima che siano espulsi) e dei pianeti giganti è abbastanza intensa da rimuovere il 99% degli oggetti più piccoli. Tale regione potrà successivamente evolversi fino a formare una cintura asteroidale analoga alla fascia principale del sistema solare, collocata tra 2 e 4 UA dal Sole. Circa il 25% degli Hot Jupiters conosciuti, come WASP-17 b, sembra possedere un'orbita retrograda rispetto al verso di rotazione della stella madre. Le ragioni di tale fenomeno sono state spiegate tramite simulazioni computerizzate in cui vengono prese in considerazione le perturbazioni gravitazionali che un pianeta posto in un'orbita esterna esercita su un pianeta più interno ma comunque localizzato ai margini della frost line. Tali perturbazioni sono deboli ma si sommano lungo un arco temporale molto lungo, determinando due sostanziali modificazioni: da una parte, l'accentuazione del decadimento dell'orbita del pianeta più interno, che diviene molto stretta; dall'altra, l'inversione del verso di rivoluzione; quest'ultimo fenomeno si verifica perché tra le due orbite si ha uno scambio di momento angolare e, in aggiunta, il pianeta interno perde ulteriore energia in seguito alle interazioni mareali con la stella. I pianeti rocciosi si formano nella porzione più interna del disco protoplanetario, internamente alla frost line, dove la temperatura è abbastanza alta da evitare la condensazione dei materiali volatili (come l'acqua), determinando dunque dapprima la formazione di granuli di polvere rocciosa e quindi la formazione di planetesimi rocciosi. Per una stella simile al Sole, si ritiene che simili condizioni si verifichino nelle 3-4 UA più interne del disco. Dopo le fasi di accrescimento galoppante e crescita oligarchica, si ha la formazione di un esiguo numero di protopianeti con una massa di isolamento che arriva a 0,1 masse terrestri M⊕ (equivalente alla massa di Marte).[5] Successivamente i protopianeti più massicci iniziano a perturbarsi l'un l'altro facendo sì che le loro orbite divengano caotiche; ha così inizio la fase finale della formazione dei pianeti rocciosi, che prende il nome di fase di fusione (merger stage). Durante questa fase i protopianeti espellono i restanti planetesimi e collidono vicendevolmente, andando a formare, nel corso di 10-100 milioni di anni, un numero limitato di corpi di massa terrestre, secondo le simulazioni tra 2 e 5. Nel sistema solare, il risultato di questa fase può essere rappresentato dalla Terra e da Venere: si stima che la formazione di entrambi i pianeti abbia richiesto la fusione di circa 10-20 protopianeti, mentre un numero pressoché uguale di protopianeti sarebbe stato espulso dal sistema; Marte e Mercurio invece potrebbero essere dei protopianeti minori sopravvissuti alla formazione degli altri due pianeti. Dopo aver terminato questa fase di fusione, i pianeti rocciosi si stabiliscono in orbite più o meno stabili, il che spiega come mai certi sistemi, quale quello individuato intorno a Kepler-11, risultino molto compatti. La formazione delle super Terre, pianeti rocciosi di massa compresa tra 1,9 e 10 M⊕, avverrebbe secondo modalità simili, soprattutto per quanto riguarda le super Terre povere d'acqua; le ipotetiche super Terre ricche in acqua, i cosiddetti "pianeti oceano", si formerebbero invece al di là della frost line, come accade per i giganti gassosi, ma la loro massa sarebbe insufficiente ad attrarre le cospicue quantità di gas che caratterizzano i pianeti giganti. Una grande influenza sulla formazione dei pianeti rocciosi è esercitata da eventuali giganti gassosi presenti nel sistema. La presenza di pianeti giganti tende infatti ad incrementare l'eccentricità e l'inclinazione dei planetesimi e dei protopianeti presenti internamente alla frost line; d'altro canto però, se si formano troppo precocemente, possono rallentare o impedire l'accrescimento di pianeti più interni. Se invece si formano quasi al termine della fase oligarchica, come sembra sia accaduto nel sistema solare, influenzeranno la fusione degli embrioni planetari rendendola più violenta: il risultato sarà la formazione di un numero inferiore pianeti rocciosi ma più massicci. Inoltre, le dimensioni della zona dei pianeti rocciosi risulterà più compatta, dal momento che essi si formeranno più vicini alla stella centrale. Si ritiene che nel sistema solare l'influenza dei pianeti giganti, in particolare Giove, sia stata limitata dal momento che essi sono abbastanza lontani dai pianeti terrestri. Una volta formati, i pianeti vanno incontro ad una riorganizzazione delle orbite fino al raggiungimento di una configurazione stabile nel tempo. Perché ciò possa verificarsi, spesso i pianeti sono costretti a migrare, vale a dire subire un cambiamento di alcuni parametri orbitali, in particolare del semiasse maggiore. Sono descritti due tipi di migrazione orbitale. La migrazione di tipo I coinvolge i pianeti rocciosi, i quali emettono delle onde di densità a spirale mentre si muovono all'interno del disco residuo. Il verificarsi di uno squilibrio nella forza delle interazioni tra il gas e le onde anteriormente e posteriormente al pianeta, con queste ultime che esercitano una forza di torsione maggiore, determina una perdita di momento angolare da parte dell'oggetto e una sua conseguente rapida migrazione verso l'interno. La migrazione di tipo II vede coinvolti invece i giganti gassosi, capaci di aprire delle lacune all'interno del disco in grado di arrestare una migrazione secondo il primo tipo. Tuttavia, l'afflusso di materiale del disco nella lacuna determina comunque una perdita di momento angolare, che causa un ulteriore decadimento dell'orbita e della lacuna. Questa fase si conclude quando il disco scompare oppure quando i pianeti migranti hanno raggiunto il bordo interno del disco, come nel caso dei pianeti gioviani caldi. In seguito, dopo la dissipazione di ciò che resta del disco protoplanetario, i pianeti, e in particolare i giganti gassosi, interagiscono tra loro causando delle modificazioni nei parametri orbitali; una delle conseguenze del fenomeno è il cosiddetto scattering gravitazionale, che determina un allargamento delle orbite. Un fenomeno simile sarebbe avvenuto nel sistema solare ed è descritto dal modello di Nizza: originariamente, i pianeti esterni del sistema solare percorrevano orbite più vicine al Sole, con raggi compresi tra ~5,5 e ~17 UA; al di là del pianeta più esterno si estendeva una vasta e densa cintura di planetesimi fino a circa 35 UA. Dopo alcune centinaia di milioni di anni di lenta e graduale migrazione, i due giganti più interni, Giove e Saturno, si assestarono in una risonanza orbitale 2:1; l'instaurarsi di questo fenomeno ha comportato un aumento delle loro eccentricità orbitali, destabilizzando l'intero sistema planetario: l'arrangiamento delle orbite planetarie si è alterato con drammatica rapidità. Giove ha spinto Saturno verso l'esterno, nella sua attuale posizione; questa ricollocazione ha causato delle mutue interazioni gravitazionali tra il pianeta e i due giganti ghiacciati, costretti ad assumere orbite più eccentriche. In questo modo i due pianeti si sono addentrati nella cintura planetesimale esterna, scambiandosi di posizione e perturbando violentemente le orbite di milioni di planetesimi, scagliandoli via dalla cintura; si stima che in questo modo il disco esterno abbia perso il 99% della sua massa iniziale. Alcuni dei planetesimi scagliati via dai giganti ghiacciati sono stati sospinti nel sistema solare interno, provocando un incremento degli impatti nei pianeti rocciosi, il cosiddetto intenso bombardamento tardivo. La migrazione dei pianeti più esterni e le interazioni con Giove spiegano le caratteristiche delle regioni più esterne del sistema solare: secondo il modello, gli oggetti costretti da Giove in orbite altamente ellittiche andarono a formare la nube di Oort, serbatoio della gran parte delle comete del sistema solare, mentre gli oggetti vincolati da Nettuno durante la sua migrazione andarono a costituire l'attuale cintura di Kuiper e il disco diffuso. 

Tornando a Proxima Centauri B, vi sono altri concetti da evidenziare. Proxima Centauri b orbita a 0,05 au dalla sua stella, un ottavo circa della distanza che separa Mercurio dal Sole, all'interno della zona abitabile del sistema, compiendo un'orbita completa in 11,186 giorni (11 giorni, 4 ore, 27 minuti e 50,4 secondi). È probabile che sia in rotazione sincrona a causa della prossimità con la sua stella. Per la sua massa è stato stimato un limite inferiore di 1,17 masse terrestri. Per una stima più accurata sarebbe necessario conoscere il valore della sua inclinazione orbitale, per ora incognito. Il 90% delle possibili orientazioni comportano una massa del pianeta comunque inferiore a 3 masse terrestri. Non è noto con precisione il raggio, in quanto non è stato osservato nessun transito del pianeta davanti alla propria stella madre, tuttavia esso dovrebbe essere compreso tra 0,94 e 1,4 volte il raggio terrestre. Se il pianeta fosse roccioso e con una densità simile a quella della Terra, la sua dimensione potrebbe essere il 10% maggiore di quella terrestre. Rimangono sconosciute composizione e condizioni atmosferiche, dal momento che non sono stati osservati suoi transiti. La sua massa suggerisce possa trattarsi di un pianeta terrestre, nel caso il suo raggio sia attorno ai valori terrestri, mentre nel caso della stima più elevata (1,4 R⊕) è probabile che esso sia completamente ricoperto da un unico oceano profondo 200 km. In quest'ultimo caso si tratterebbe dunque di un pianeta oceano. Proxima b riceve dalla sua stella all'incirca il 65% del flusso luminoso totale che la Terra riceve dal Sole, anche se la maggior parte del flusso elettromagnetico proveniente da una fredda nana rossa è nell'infrarosso, e nella banda della luce visibile il pianeta riceve solo il 2% della radiazione che la Terra riceve dal Sole, e la luminosità sul pianeta non sarebbe visualmente mai superiore a quella di un crepuscolo terrestre. Tuttavia riceve anche circa 400 volte il flusso di raggi X che la Terra riceve dal Sole. La sua temperatura di equilibrio planetaria è stata stimata essere 234 K (−39 °C), tuttavia a causa della forte escursione termica tra la faccia perennemente illuminata e quella in ombra è probabile che esista una zona intermedia in cui sia possibile la presenza di acqua allo stato liquido. Non è noto al momento se il pianeta sia abitabile o meno. Proxima b orbita all'interno della zona abitabile di Proxima Centauri, cioè in quella regione di spazio che è alla distanza giusta dalla propria stella affinché, nelle corrette condizioni e proprietà atmosferiche, sia possibile l'esistenza di acqua liquida sulla superficie del pianeta. Essendo la stella però una nana rossa, quindi molto più fredda del nostro Sole, un pianeta che orbita Proxima, per rientrare nella zona abitabile, deve essere molto più vicino alla propria stella di quanto lo sarebbe se orbitasse una stella più calda, come il Sole. Proxima b è così vicino alla propria stella che potrebbe essere in rotazione sincrona, cioè avrebbe sempre la stessa faccia rivolta verso la stella. Ciò comporterebbe che una metà del pianeta sia costantemente illuminata e quindi caldissima, mentre l'altra metà sia costantemente oscurata e quindi congelata[20]. Al limite tra queste due aree estreme, cioè nella zona crepuscolare, le temperature potrebbero essere però ideali per l'esistenza di acqua liquida sulla superficie. La presenza di un'atmosfera abbastanza spessa da garantire uno scambio termico tra le due zone renderebbe la porzione abitabile del pianeta più vasta. L'ipotesi di rotazione sincrona dipende dall'eccentricità dell'orbita, la quale non è ancora nota con esattezza, ma si sa essere comunque inferiore a 0,35[22] e quindi abbastanza elevata per poter garantire la possibilità di una risonanza orbitale 3:2, simile a quella di Mercurio con il Sole, che renderebbe possibile un'alternanza del giorno e della notte (a differenza della rotazione sincrona) e quindi un ambiente molto meno estremo e con temperature medie più simili a quelle terrestri. Il fatto che Proxima Centauri sia una stella a brillamento potrebbe precludere l'abitabilità di Proxima b perché continui brillamenti potrebbero portare via porzioni di atmosfera dal pianeta e le intense radiazioni sarebbero fatali per la vita sul pianeta, se non fosse protetto da un forte campo magnetico planetario. La presenza di tale campo magnetico, che dipende da fattori come la velocità di rotazione del pianeta e il riscaldamento interno mareale, non è esclusa rendendo teoricamente possibile la vita. Inoltre, osservazioni e simulazioni al computer del 2016 confermano che la stella ha un ciclo come il Sole di circa 7 anni; l'instabilità delle nane rosse riguarda i primissimi miliardi di anni della loro vita, ma Proxima, con un'età stimata di circa 5 miliardi di anni, potrebbe essere più stabile di ciò che si pensava in precedenza, anche se ciò non esclude che sia ancora soggetta a forti brillamenti, in proporzione molto più violenti di quelli delle stelle di tipo solare. Il primo studio deterministico per rilevare il clima su Proxima b è stato effettuato da ricercatori dell'Università di Exeter, utilizzando un programma modificato di meteorologia, il Met Office Unified Model, utilizzato per le previsioni climatiche terrestri. Uno studio effettuato a luglio 2017 con ulteriori modelli deterministici ha evidenziato che se un pianeta come la Terra orbitasse alla stessa posizione di Centauri-b intorno al proprio astro, l'intensa radiazione stellare ionizzerebbe rapidamente il gas atmosferico disperdendone rapidamente gli elementi nello spazio. Uno studio successivo basato sull'analisi di un super-brillamento osservato nel 2016 su Proxima b congiuntamente ad altri brillamenti inferiori avvenuti e rilevati dall'osservatorio di Cerro Tololo, ha evidenziato che la luce UV generata da tali brillamenti avrebbe raggiunto la superficie del pianeta con un'intensità cento volte maggiore di quella necessaria ad uccidere eventuali microorganismi UV resistenti e riducendo del 90% in cinque anni eventuali concentrazioni di ozono presenti e necessarie a bloccarne i raggi su un'atmosfera simile alla Terra. 


Alpha Centauri Bb

Alfa Centauri Bb è un ipotetico pianeta extrasolare in orbita intorno alla componente B del sistema Alfa Centauri che si trova nella costellazione del Centauro, la cui esistenza è stata però smentita nel 2015. Alla distanza dalla Terra di 4,37 anni luce, era l'esopianeta scoperto più vicino alla Terra fino alla scoperta di Proxima Centauri b avvenuta nel 2016. L'annuncio della scoperta di Alfa Centauri Bb ricevette l'attenzione dei media, e l'esistenza di questo pianeta fu vista come un punto di riferimento importante per gli studi futuri sugli esopianeti. Tuttavia, nel mese di ottobre del 2015, alcuni astronomi dell'Università di Oxford hanno pubblicato un articolo scientifico smentendo l'esistenza del pianeta, affermando che si trattava probabilmente di un artefatto nell'analisi dei dati. Lo stesso Dumusque, scopritore del pianeta tre anni prima, ha accettato il risultato, e affermato che, nonostante non ci sia la certezza assoluta della smentita, il pianeta probabilmente non esiste. La scoperta fu resa possibile da osservazioni della velocità radiale di α Centauri B attraverso lo spettrografo HARPS,[9] montato sul telescopio da 3,6 m di diametro presso l'Osservatorio di La Silla dello European Southern Observatory (ESO), condotte dal febbraio del 2008 al luglio del 2011 da un gruppo di astronomi europei afferenti all'Osservatorio di Ginevra e al Centro di Astrofisica dell'Università di Porto. Nei quattro anni della ricerca, sono state condotte 459 osservazioni dello spettro della stella, che sono state successivamente analizzate con metodi statistici. L'annuncio venne dato il 16 ottobre 2012 ed un resoconto scientifico pubblicato online il giorno seguente dalla rivista Nature, con Xavier Dumusque quale primo firmatario. Il pianeta era stato scoperto attraverso il metodo delle velocità radiali, rilevando le variazioni prodotte dall'effetto Doppler nello spettro di α Centauri B. Grazie alla precisione di HARPS sono state rilevate variazioni corrispondenti a velocità radiali di 51 cm/s. La probabilità che la scoperta possa rilevarsi spuria è dello 0,02%. Le caratteristiche che vennero annunciate al tempo della scoperta di Alfa Centauri Bb erano di un corpo che orbita a 0,04 au dalla sua stella, un decimo circa della distanza che separa Mercurio dal Sole, in 3,236 giorni (3 giorni, 5 ore, 39 minuti e 24,5 ± 69 secondi), al di fuori della zona abitabile del sistema, probabilmente in rotazione sincrona. La sua massa era stata stimata in, minimo, 1,13 masse terrestri. Rimanevano comunque sconosciute le sue dimensioni, composizione e condizioni atmosferiche, dal momento che non sono stati osservati suoi transiti. Tuttavia, la sua massa suggerisce possa trattarsi di una Super Terra. La temperatura superficiale è stata stimata in 1200 °C, superiore alla temperatura di fusione di molti silicati. (Per confronto, sulla superficie di Venere - la più calda del sistema solare - si raggiungono al massimo i 460 °C). A tali temperature, quindi, vaste zone della superficie potrebbero essere fuse e il pianeta apparirebbe come un "mondo di lava". Si ritiene che l'orbita di un pianeta con tali caratteristiche, così come quelle incluse nella zona abitabile di α Centauri B, non fossero destabilizzate dall'influenza gravitazione della compagna α Centauri A, il cui massimo avvicinamento è di 8,5 UA - valore confrontabile con quello dell'orbita di Saturno attorno al Sole. Al massimo avvicinamento, α Centauri A raggiungerebbe una magnitudine di −22,5 - pari a circa il 2% di come appare il Sole visto dalla Terra. La nostra stella, vista dal pianeta, raggiungerebbe una magnitudine di +0,47, leggermente più fioca di quanto appaia Procione dalla Terra. Analisi astrosismiche, dell'attività cromosferica e studi sulla rotazione stellare per le stelle A e B indicano che il sistema di α Centauri sia leggermente più vecchio del sistema solare, con un'età stimata compresa tra 4,5 e 7 miliardi di anni. Per mostrare l'influenza di un pianeta sulla velocità radiale della stella si sono dovute isolare diverse componenti, come gli effetti di macchie stellari, della rotazione e della fotosfera della stella, nonché le interferenze della vicina Alfa Centauri A. La variazione della velocità radiale era al limite della strumentazione di HARPS,[13] che ha una precisione a lungo termine di 0,8 m/s[1]. Il cacciatore di esopianeti Artie Hatzes ha tuttavia espresso dubbi sull'esistenza del pianeta, e suggerito che necessitano ulteriori conferme. Egli ha infatti provato prima a rimuovere il segnale periodico più forte trovando solo una debole traccia dell'esistenza di un corpo substellare, quindi ha provato altre tecniche tra cui quella di generare un falso segnale per trovare un corpo "estraneo", senza arrivare a nessun risultato. L'astronoma statunitense Debra Fischer approva invece il nuovo metodo di ricerca di Dumusque, tuttavia sottolinea che una conferma osservativa sia necessaria. L'astronoma e il suo team hanno iniziato una campagna di osservazione, tuttora in corso, all'osservatorio di Cerro Tololo poco dopo l'annuncio della scoperta del pianeta. Il gruppo europeo che ha fatto la scoperta tenterà di rilevare in futuro un transito planetario sulla stella madre e ha chiesto la disponibilità del telescopio spaziale Hubble per le osservazioni. Un transito potrebbe fornire informazioni su dimensioni del pianeta, composizione e condizioni atmosferiche. Tuttavia, data la linea di vista rispetto alla Terra, le dimensioni relativamente ridotte del pianeta e la natura binaria del sistema stellare, le possibilità di un transito di Alpha Centauri Bb osservabile dalla Terra sono stimate solo tra il 10 e il 30%. Nell'ottobre del 2015, un team di scienziati dell'Università di Oxford ha smentito l'esistenza del pianeta, dimostrando i difetti delle analisi dei dati di tre anni prima, al tempo della scoperta. Dumusque, lo scopritore del pianeta nel 2012, si è dichiarato d'accordo con questa analisi, affermando che il pianeta molto probabilmente non esiste.


Adesso che conosciamo in tutti i particolari il sistema Alpha Centauri possiamo ragionare su un quesito che ci riguarda da vicino: è possibile raggiungere quel sistema?


Verso Alpha Centauri...

La più grande sfida ingegneristica che l'uomo abbia ma intrapreso: raggiungere un altro sistema solare in tempi ragionevoli. Stephen Hawking ha avuto un'idea che sembra fantascienza ma, in teoria, è... fattibile!

New York (askanews) - Dalla Terra ad Alpha Centauri, il sistema stellare più vicino al nostro (distante dal Sole poco più di 4,3 anni luce), in soli 20 anni. Non è fantascienza; è Starshot, l'ambizioso programma scientifico da 10 miliardi di dollari della fondazione Breakthrough, che vede coinvolti l'astrofisico britannico Stephen Hawking e il miliardario russo Yuri Milner ed è sostenuto anche dal guru dei social network, Mark Zuckerberg. A viaggiare saranno nano-astronavi simili a questa non più grandi di una farfalla che, sospinte da un potente laser e trascinate da una specie di vela mossa dalla luce del sole, potranno raggiungere il 20% della velocità della luce, circa 60mila chilometri al secondo, abbastanza per affrontare il viaggio in un arco di tempo congruo con la vita media di una generazione umana. "È una cosa fenomenale - ha spiegato l'ex astronauta della Nasa Mae Jamison, prima afroamericana a volare nello Spazio - fino ad ora non avevamo mai pensato davvero che avremmo potuto accelerare un'astronave fino ad arrivare su un'altra stella nel tempo della nostra vita e di sicuro non nel tempo della nostra stessa generazione". Secondo Milner ci vorranno almeno 20 anni, e tanti soldi, per costruire le micro astronavi con "a bordo" le nano-tecnologie necessarie ad affrontare la missione. Altri 20 anni (o poco più) saranno necessari per raggiungere Alpha Centauri e poi 4 anni e mezzo circa per avere dei feedback sui pianeti di quel sistema stellare, con immagini e dati rimandati verso la Terra alla velocità della luce. L'obiettivo, neanche troppo celato, è chiaramente quello di cercare tracce di vita extraterrestre e, al tempo stesso, scoprire nuovi pianeti abitabili su cui il genere umano potrebbe trasferirsi e sopravvivere all'estinzione una volta che la Terra avrà esaurito le proprie risorse.


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