Gioviani caldi

In questo nuovo articolo parleremo dei Gioviani caldi, pianeti simili a Giove ma molto, molto più caldi. Ma perché sono così caldi? Come sono fatti? Se volete altre notizie su questi esopianeti seguiteci su Eagle sera.


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Prima di avventurarci tra i misteri dei gioviani caldi, dobbiamo studiare Giove. Un gioviano caldo è, infatti, strutturalmente simile a Giove. Per capire la struttura degli "esopianeti infernali", come sono stati definiti, dobbiamo prima approfondire le caratteristiche di quest'ultimo...


Giove

Giove (dal latino Iovem, accusativo di Iuppiter) è il quinto pianeta del sistema solare in ordine di distanza dal Sole e il più grande di tutto il sistema planetario: la sua massa corrisponde a due volte e mezzo la somma di quelle di tutti gli altri pianeti messi insieme. È classificato, al pari di Saturno, Urano e Nettuno, come gigante gassoso. Giove ha una composizione simile a quella del Sole: infatti è costituito principalmente da idrogeno ed elio con piccole quantità di altri composti, quali ammoniaca, metano ed acqua. Si ritiene che il pianeta possegga una struttura pluristratificata, con un nucleo solido, presumibilmente di natura rocciosa e costituito da carbonio e silicati di ferro, sopra il quale gravano un mantello di idrogeno metallico ed una vasta copertura atmosferica che esercitano su di esso altissime pressioni. L'atmosfera esterna è caratterizzata da numerose bande e zone di tonalità variabili dal color crema al marrone, costellate da formazioni cicloniche ed anticicloniche, tra le quali spicca la Grande Macchia Rossa. La rapida rotazione del pianeta gli conferisce l'aspetto di uno sferoide schiacciato ai poli e genera un intenso campo magnetico che dà origine ad un'estesa magnetosfera; inoltre, a causa del meccanismo di Kelvin-Helmholtz, Giove (come tutti gli altri giganti gassosi) emette una quantità di energia superiore a quella che riceve dal Sole. A causa delle sue dimensioni e della composizione simile a quella solare, Giove è stato considerato per lungo tempo una "stella fallita": in realtà solamente se avesse avuto l'opportunità di accrescere la propria massa sino a 75-80 volte quella attuale il suo nucleo avrebbe ospitato le condizioni di temperatura e pressione favorevoli all'innesco delle reazioni di fusione dell'idrogeno in elio, il che avrebbe reso il sistema solare un sistema stellare binario. L'intenso campo gravitazionale di Giove influenza il sistema solare nella sua struttura perturbando le orbite degli altri pianeti e lo "ripulisce" da detriti che altrimenti rischierebbero di colpire i pianeti più interni. Intorno a Giove orbitano numerosi satelliti e un sistema di anelli scarsamente visibili; l'azione combinata dei campi gravitazionali di Giove e del Sole, inoltre, stabilizza le orbite di due gruppi di asteroidi troiani. Il pianeta, conosciuto sin dall'antichità, ha rivestito un ruolo preponderante nel credo religioso di numerose culture, tra cui i Babilonesi, i Greci e i Romani, che lo hanno identificato con il sovrano degli dei. Il simbolo astronomico del pianeta (♃) è una rappresentazione stilizzata del fulmine, principale attributo di quella divinità.

Giove appare ad occhio nudo come un astro biancastro molto brillante a causa della sua elevata albedo. È il quarto oggetto più brillante nel cielo, dopo il Sole, la Luna e Venere con cui, quando quest'ultimo risulta inosservabile, si spartisce il ruolo di "stella del mattino" o "stella della sera". La sua magnitudine apparente varia, a seconda della posizione durante il suo moto di rivoluzione, da −1,6 a −2,8, mentre il suo diametro apparente varia da 29,8 a 50,1 secondi d'arco. Il periodo sinodico del pianeta è di 398,88 giorni, al termine dei quali il corpo celeste inizia una fase di moto retrogrado apparente, in cui sembra spostarsi all'indietro nel cielo notturno rispetto allo sfondo delle stelle "fisse" eseguendo una traiettoria sigmoide. Giove, nei 12 anni circa della propria rivoluzione, attraversa tutte le costellazioni dello zodiaco. Il pianeta è interessante da un punto di vista osservativo in quanto già con piccoli strumenti è possibile apprezzarne alcuni caratteristici dettagli superficiali. I periodi più propizi per osservare il pianeta corrispondono alle opposizioni e in particolare alle "grandi opposizioni", che si verificano ogni qual volta Giove transita al perielio. Queste circostanze, in cui l'astro raggiunge le dimensioni apparenti massime, consentono all'osservatore amatoriale, munito delle adeguate attrezzature, di scorgere più facilmente gran parte delle caratteristiche del pianeta. Un binocolo 10×50 o un piccolo telescopio rifrattore consentono già di osservare attorno al pianeta quattro piccoli punti luminosi, disposti lungo il prolungamento dell'equatore del pianeta: si tratta dei satelliti medicei. Poiché essi orbitano abbastanza velocemente intorno al pianeta, è possibile notarne i movimenti già tra una notte e l'altra: il più interno, Io, arriva a compiere tra una notte e la successiva quasi un'orbita completa. Un telescopio da 60 mm permette già di osservare le caratteristiche bande nuvolose e, qualora le condizioni atmosferiche siano perfette, anche la caratteristica più nota del pianeta, la Grande Macchia Rossa che però è maggiormente visibile con un telescopio di 25 cm di apertura che consente di osservare meglio le nubi e le formazioni più fini del pianeta. Il pianeta risulta osservabile non solo nel visibile, ma anche ad altre lunghezze d'onda dello spettro elettromagnetico, principalmente nell'infrarosso. L'osservazione a più lunghezze d'onda si rivela utile soprattutto nell'analisi della struttura e della composizione dell'atmosfera e nello studio delle

Per la sua caratteristica luminosità il pianeta è ben conosciuto sin dai primordi dell'umanità. Una delle prime civiltà a studiare i moti di Giove e degli altri pianeti visibili ad occhio nudo (Mercurio, Venere, Marte e Saturno) fu quella assiro-babilonese. Gli astronomi di corte dei re babilonesi riuscirono a determinare con precisione il periodo sinodico del pianeta; inoltre, si servirono del suo moto attraverso la sfera celeste per delineare le costellazioni zodiacali. La scoperta negli archivi reali di Ninive di tavolette recanti precisi resoconti di osservazioni astronomiche e il frequente rinvenimento di parti di strumentazioni a probabile destinazione astronomica, come lenti di cristallo di rocca e tubi d'oro (datati al I millennio a.C.), indussero alcuni archeoastronomi a ipotizzare che la civiltà assira fosse già in possesso di un "prototipo" di cannocchiale, con il quale si ritiene sia stato possibile osservare anche Giove. Anche i cinesi, noti per la raffinatezza delle loro tecniche astronomiche, riuscirono a ricavare in maniera precisa i periodi sinodici ed orbitali dei pianeti visibili ad occhio nudo. Nel 1980 lo storico cinese Xi Zezong ha annunciato che Gan De, astronomo contemporaneo di Shi Shen, sarebbe riuscito ad osservare almeno uno dei satelliti di Giove già nel 362 a.C. a occhio nudo, presumibilmente Ganimede, schermando la vista del pianeta con un albero o qualcosa di analogo. Bisognerà però attendere il XVII secolo prima che l'esistenza dei satelliti di Giove sia appurata da Galileo Galilei, che, nel 1610, scoprì i quattro satelliti medicei: Io, Europa, Ganimede e Callisto; fu però Simon Marius, che si attribuì la paternità della scoperta dei satelliti, alimentando in questo modo una fiera diatriba con Galileo, a conferire nel 1614 i nomi mitologici attualmente in uso a ciascuno di essi. Nell'autunno del 1639 l'ottico napoletano Francesco Fontana, diffusore del telescopio a oculare convergente (kepleriano), testando un telescopio di 22 palmi di sua produzione scoprì le caratteristiche bande dell'atmosfera del pianeta. Negli anni sessanta del XVII secolo l'astronomo Gian Domenico Cassini, scoprì la presenza di macchie sulla superficie di Giove e che il pianeta stesso ha la forma di uno sferoide oblato. L'astronomo riuscì poi a determinarne il periodo di rotazione,[44] e nel 1690 scoprì che l'atmosfera è soggetta a una rotazione differenziale; egli è inoltre accreditato come lo scopritore, assieme, ma indipendentemente, a Robert Hooke, della Grande Macchia Rossa. Lo stesso Cassini, assieme a Giovanni Alfonso Borelli, stese precise relazioni sul movimento dei quattro satelliti galileiani, formulando dei modelli matematici che consentissero di prevederne le posizioni. Tuttavia nel trentennio 1670-1700, si osservò che, quando Giove si trova in un punto dell'orbita prossimo alla congiunzione col Sole, si registra nel transito dei satelliti un ritardo di circa 17 minuti rispetto al previsto. L'astronomo danese Ole Rømer ipotizzò che la visione di Giove non fosse istantanea (conclusione che Cassini aveva precedentemente respinto) e che dunque la luce avesse una velocità finita (indicata con c). Di questa costante abbiamo parlato in un articolo che puoi leggere cliccando qui.

Dopo due secoli privi di significative scoperte, il farmacista Heinrich Schwabe disegnò la prima carta completa di Giove, comprendente anche la Grande Macchia Rossa, e la pubblicò nel 1831. Le osservazioni della tempesta hanno permesso di registrare dei momenti in cui essa appariva più debole (come tra il 1665 e il 1708, nel 1883 ed all'inizio del XX secolo), ed altri in cui appariva rinforzata, tanto da risultare molto ben evidente all'osservazione telescopica (come nel 1878). Nel 1892 Edward Emerson Barnard scoprì, grazie al telescopio rifrattore da 910 mm dell'Osservatorio Lick, la presenza attorno al pianeta di un quinto satellite, battezzato Amaltea. Nel 1932 Rupert Wildt identificò, analizzando lo spettro del pianeta, delle bande di assorbimento proprie dell'ammoniaca e del metano. Sei anni dopo furono osservate, a sud della Grande Macchia Rossa, tre tempeste anticicloniche che apparivano come dei particolari ovali biancastri. Per diversi decenni le tre tempeste sono rimaste delle entità distinte, non riuscendo mai a fondersi pur avvicinandosi periodicamente; tuttavia, nel 1998, due di questi ovali si sono fusi, assorbendo infine anche il terzo nel 2000 e dando origine a quella tempesta che oggi è nota come Ovale BA. Nel 1955 Bernard Burke e Kenneth Franklin individuarono dei lampi radio provenienti da Giove alla frequenza di 22,2 MHz; si trattava della prima prova dell'esistenza della magnetosfera gioviana. La conferma giunse quattro anni dopo, quando Frank Drake ed Hein Hvatum scoprirono le emissioni radio decimetriche. Nel periodo compreso tra il 16 e il 22 luglio 1994 oltre 20 frammenti provenienti dalla cometa Shoemaker-Levy 9 collisero con Giove in corrispondenza del suo emisfero australe; fu la prima osservazione diretta della collisione tra due oggetti del sistema solare. L'impatto permise di ottenere importanti dati sulla composizione dell'atmosfera gioviana. Sin dal 1973 numerose sonde automatiche hanno visitato il pianeta, sia come obiettivo di studio, sia come tappa intermedia, per sfruttarne il potente effetto fionda per ridurre la durata del volo verso le regioni più esterne del sistema solare. I viaggi interplanetari richiedono un grande dispendio energetico, impiegato per provocare una netta variazione della velocità della sonda nota come delta-v (Δv). Il raggiungimento di Giove dalla Terra richiede un Δv di 9,2 km/s, confrontabile con il Δv di 9,7 km/s necessario per raggiungere l'orbita terrestre bassa. L'effetto fionda consente di modificare la velocità del veicolo senza consumare combustibile. Dal 1973 diverse sonde hanno compiuto sorvoli ravvicinati (fly-by) del pianeta. La prima fu la Pioneer 10, che eseguì un fly-by di Giove nel dicembre del 1973, seguita dalla Pioneer 11 un anno più tardi. Le due sonde ottennero le prime immagini ravvicinate dell'atmosfera, delle nubi gioviane e di alcuni suoi satelliti, la prima misura precisa del suo campo magnetico; scoprirono inoltre che la quantità di radiazioni in prossimità del pianeta era assai superiore a quella attesa. Le traiettorie delle sonde furono utilizzate per raffinare la stima della massa del sistema gioviano, mentre l'occultazione delle sonde dietro il disco del pianeta migliorò le stime del valore del diametro equatoriale e dello schiacciamento polare. 

Sei anni dopo fu la volta delle missioni Voyager (1 e 2). Le due sonde migliorarono enormemente la comprensione di alcune dinamiche dei satelliti galileiani e dell'atmosfera di Giove, tra cui la conferma della natura anticiclonica della Grande Macchia Rossa e l'individuazione di lampi e formazioni temporalesche; le sonde permisero inoltre di scoprire gli anelli di Giove e otto satelliti naturali, che si andarono ad aggiungere ai cinque già noti. Le Voyager rintracciarono la presenza di un toroide di plasma ed atomi ionizzati in corrispondenza dell'orbita di Io, sulla cui superficie furono scoperti numerosi edifici vulcanici, alcuni dei quali nell'atto di eruttare. Nel febbraio del 1992 raggiunse Giove la sonda solare Ulysses, che sorvolò il pianeta ad una distanza minima di 450 000 km (6,3 raggi gioviani). Il fly-by fu programmato per raggiungere un'orbita polare attorno al Sole, ma fu sfruttato per condurre studi sulla magnetosfera di Giove. La sonda non aveva telecamere e non fu ripresa alcuna immagine. Nel 2000 la sonda Cassini, durante la sua rotta verso Saturno, sorvolò Giove e fornì alcune delle immagini più dettagliate mai scattate del pianeta. Sette anni dopo, Giove fu raggiunto dalla sonda New Horizons, diretta verso Plutone e la fascia di Kuiper. Nell'attraversamento del sistema di Giove, la sonda misurò l'energia del plasma emesso dai vulcani di Io e studiò brevemente ma in dettaglio i quattro satelliti medicei, conducendo anche indagini a distanza dei satelliti più esterni Imalia ed Elara. La prima sonda progettata per lo studio del pianeta è stata la Galileo, entrata in orbita attorno a Giove il 7 dicembre del 1995 e rimastavi oltre 7 anni, compiendo sorvoli ravvicinati di tutti i satelliti galileiani e di Amaltea. Nel 1994, mentre giungeva verso il pianeta gigante, la sonda ha registrato l'impatto della cometa Shoemaker-Levy 9. Nel luglio del 1995 è stato sganciato dalla sonda madre un piccolo modulo-sonda, entrato nell'atmosfera del pianeta il 7 dicembre; il modulo ha raccolto dati per 75 minuti, penetrando per 159 km prima di essere distrutto dalle alte pressioni e temperature dell'atmosfera inferiore (circa 28 atmosfere - ~2,8×106 Pa, e 185 °C (458 K). La stessa sorte è toccata alla sonda madre quando, il 21 settembre 2003, fu deliberatamente spinta verso il pianeta a una velocità di oltre 50 km/s, per evitare qualsiasi possibilità che in futuro potesse collidere con il satellite Europa e contaminarlo. La NASA ha progettato una sonda per lo studio di Giove da un'orbita polare; battezzata Juno, fu lanciata nell'agosto 2011 ed è arrivata nei pressi del pianeta a luglio 2016. Juno ha scoperto 8 vortici uguali al polo nord disposti ai vertici di un'ottagono (l'ottagono di Giove), con al centro un nono vortice, e 5 vortici uguali al polo sud disposti come i vertici di un pentagono con al centro un sesto vortice. In un passaggio successivo nel novembre 2019, la scoperta di un nuovo vortice ha mostrato una nuova forma della disposizione degli stessi, che diversamente da quello precedente che era un pentagono ha assunto la forma di un esagono, similmente all'esagono di Saturno. Osserviamo la possibilità di missioni future. La possibile presenza di un oceano di acqua liquida sui satelliti Europa, Ganimede e Callisto ha portato ad un crescente interesse per uno studio ravvicinato dei satelliti ghiacciati del sistema solare esterno. L'ESA ha studiato una missione per lo studio di Europa denominata Jovian Europa Orbiter (JEO); il progetto della missione è stato però implementato da quello della Europa Jupiter System Mission (EJSM), frutto della collaborazione con la NASA e studiato per l'esplorazione di Giove e dei satelliti, il cui lancio è previsto attorno al 2020. La EJSM è costituita da due unità, la Jupiter Europa Orbiter, gestita e sviluppata dalla NASA, e la Jupiter Ganymede Orbiter, gestita dall'ESA.

Lune di Giove: modelli 3D

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Giove orbita ad una distanza media dal Sole di 778,33 milioni di chilometri (5,202 au) e completa la sua rivoluzione attorno alla stella ogni 11,86 anni; questo periodo corrisponde esattamente ai due quinti del periodo orbitale di Saturno, con cui si trova dunque in una risonanza di 5:2. L'orbita di Giove è inclinata di 1,31º rispetto al piano dell'eclittica; per via della sua eccentricità pari a 0,048, la distanza tra il pianeta e il Sole varia di circa 75 milioni di chilometri tra i due apsidi, il perielio (740 742 598 km) e l'afelio (816 081 455 km). La velocità orbitale media di Giove è di 13 056 m/s (47 001 km/h), mentre la circonferenza orbitale misura complessivamente 4 774 000 000 km. L'inclinazione dell'asse di rotazione è relativamente piccola, solamente 3,13º, e precede ogni 12 000 anni; di conseguenza, il pianeta non sperimenta significative variazioni stagionali, contrariamente a quanto accade sulla Terra e su Marte. Poiché Giove non è un corpo solido, la sua atmosfera superiore è soggetta ad una rotazione differenziale: infatti, la rotazione delle regioni polari del pianeta è più lunga di circa 5 minuti rispetto a quella all'equatore. Sono stati adottati tre sistemi di riferimento per monitorare la rotazione delle strutture atmosferiche permanenti. Il sistema I si applica alle latitudini comprese tra 10º N e 10º S; il suo periodo di rotazione è il più breve del pianeta, pari a 9 h 50 min 30,0 s. Il sistema II si applica a tutte le latitudini a nord e a sud di quelle del sistema I; il suo periodo è pari a 9 h 55 min 40,6 s. Il sistema III fu originariamente definito tramite osservazioni radio e corrisponde alla rotazione della magnetosfera del pianeta; la sua durata è presa come il periodo di rotazione "ufficiale" del pianeta (9 h 55 min 29,685 s); Giove quindi presenta la rotazione più rapida di tutti i pianeti del sistema solare. L'alta velocità di rotazione è all'origine di un marcato rigonfiamento equatoriale, facilmente visibile anche tramite un telescopio amatoriale; questo rigonfiamento è causato dall'alta accelerazione centripeta all'equatore, pari a circa 1,67 m/s², che, combinata con l'accelerazione di gravità media del pianeta (24,79 m/s²), dà un'accelerazione risultante pari a 23,12 m/s²: di conseguenza, un ipotetico oggetto posto all'equatore del pianeta peserebbe meno rispetto ad un corpo di identica massa posto alle medie latitudini. Queste caratteristiche conferiscono quindi al pianeta l'aspetto di uno sferoide oblato, il cui diametro equatoriale è maggiore rispetto al diametro polare: il diametro misurato all'equatore supera infatti di 9275 km il diametro misurato ai poli.

Formazione

Dopo la formazione del Sole, avvenuta circa 4,6 miliardi di anni fa, il materiale residuato dal processo, ricco in polveri metalliche, si è disposto in un disco circumstellare da cui hanno avuto origine dapprima i planetesimi, quindi, per aggregazione di questi ultimi, i protopianeti. La formazione di Giove ha avuto inizio a partire dalla coalescenza di planetesimi di natura ghiacciata poco al di là della cosiddetta frost line, una linea oltre la quale si addensarono i planetesimi costituiti in prevalenza da materiale a basso punto di fusione;[91] la frost line ha agito da barriera, provocando un rapido accumulo di materia a circa 5 au dal Sole. L'embrione planetario così formato, di massa pari ad almeno 10 masse terrestri (M⊕), ha iniziato ad accrescere materia gassosa a partire dall'idrogeno e dall'elio avanzati dalla formazione del Sole e confinati nelle regioni periferiche del sistema dal vento della stella neoformata. Il tasso di accrescimento dei planetesimi, inizialmente più intenso di quello dei gas, proseguì sino a quando il numero di planetesimi nella fascia orbitale del proto-Giove non andò incontro a una netta diminuzione; a questo punto il tasso di accrescimento dei planetesimi e quello dei gas dapprima raggiunsero valori simili, quindi quest'ultimo iniziò a predominare sul primo, favorito dalla rapida contrazione dell'involucro gassoso in accrescimento e dalla rapida espansione del confine esterno del sistema, proporzionale all'incremento della massa dal pianeta. Il proto-Giove cresce a ritmo serrato sottraendo idrogeno dalla nebulosa solare e raggiungendo in circa mille anni le 150 M⊕ e, dopo qualche migliaio di anni, le definitive 318 M⊕. Il processo di accrescimento del pianeta è stato mediato dalla formazione di un disco circumplanetario all'interno del disco circumsolare; terminato il processo di accrescimento per esaurimento dei materiali volatili, ormai andati a costituire il pianeta, i materiali residui, in prevalenza rocciosi, sono andati a costituire il sistema di satelliti del pianeta, che si è infoltito a seguito della cattura, da parte della grande forza di gravità di Giove, di numerosi altri corpi minori. Conclusa la sua formazione, il pianeta ha subito un processo di migrazione orbitale: il pianeta infatti si sarebbe formato a circa 5,65 UA, circa 0,45 UA (70 milioni di chilometri) più esternamente rispetto ad oggi, e nei 100 000 anni successivi, a causa della perdita del momento angolare dovuta all'attrito con il debole disco di polveri residuato dalla formazione della stella e dei pianeti, sarebbe man mano scivolato verso l'attuale orbita, stabilizzandosi ed entrando in risonanza 5:2 con Saturno. Durante questa fase Giove avrebbe catturato i suoi asteroidi troiani, originariamente oggetti della fascia principale o della fascia di Kuiper destabilizzati dalle loro orbite originarie e vincolati in corrispondenza dei punti lagrangiani L4 ed L5. L'atmosfera superiore di Giove è composta in volume da un 88-92% di idrogeno molecolare e da un 8-12% di elio. Queste percentuali cambiano se si tiene in considerazione la proporzione delle masse dei singoli elementi e composti, dal momento che l'atomo di elio è circa quattro volte più massiccio dell'atomo di idrogeno; l'atmosfera gioviana è quindi costituita da un 75% in massa di idrogeno e da un 24% di elio, mentre il restante 1% è costituito da altri elementi e composti presenti in quantità molto più esigue. La composizione varia leggermente man mano che si procede verso le regioni interne del pianeta, date le alte densità in gioco; alla base dell'atmosfera si ha quindi un 71% in massa di idrogeno, un 24% di elio e il restante 5% di elementi più pesanti e composti: vapore acqueo, ammoniaca, composti del silicio, carbonio e idrocarburi (soprattutto metano ed etano), acido solfidrico, neon, ossigeno, fosforo e zolfo. Nelle regioni più esterne dell'atmosfera sono inoltre presenti dei consistenti strati di cristalli di ammoniaca solida. Le proporzioni atmosferiche di idrogeno ed elio sono molto vicine a quelle riscontrate nel Sole e teoricamente predette per la nebulosa solare primordiale; tuttavia le abbondanze dell'ossigeno, dell'azoto, dello zolfo e dei gas nobili sono superiori di un fattore tre rispetto ai valori misurati nel Sole; invece la quantità di neon nell'alta atmosfera è pari in massa solamente a 20 parti per milione, circa un decimo rispetto alla sua quantità nella stella. Anche la quantità di elio appare decisamente inferiore, presumibilmente a causa di precipitazioni che, secondo le simulazioni, interessano una porzione abbastanza profonda dell'atmosfera gioviana in cui il gas condensa in goccioline anziché mescolarsi in modo omogeneo con l'idrogeno. Le quantità dei gas nobili di peso atomico maggiore (argon, kripton, xeno, radon) sono circa due o tre volte quelle della nostra stella.

Curiosità extra: massa fredda

Giove possiede il maggior volume per una massa fredda: i dati teorici indicano che se il pianeta fosse più massiccio avrebbe dimensioni minori. Infatti, a basse densità della materia come quelle del pianeta, l'oggetto è mantenuto tale da forze di natura elettromagnetica: gli atomi interagiscono tra loro formando dei legami. Se la massa è piuttosto grande, come quella di Giove, la gravità al centro del corpo è talmente elevata che la materia è ionizzata: gli elettroni degli orbitali sono strappati all'attrazione dei loro nuclei e sono liberi di muoversi, rendendo impossibile la formazione di legami. Pertanto, l'incremento di gravità dovuto all'aumento di massa non è più esattamente controbilanciato e il pianeta subisce una contrazione. Un ulteriore aumento di massa provoca la degenerazione degli elettroni, costretti a occupare il livello quantico ad energia più bassa disponibile. Gli elettroni obbediscono al principio di esclusione di Pauli; di conseguenza sono di norma obbligati a occupare una banda piuttosto vasta di livelli a bassa energia. In questa circostanza, quindi, le strutture atomiche sono alterate dalla crescente gravità, che costringe tale banda ad allargarsi, sicché la sola pressione degli elettroni degeneri manterrebbe in equilibrio il nucleo contro il collasso gravitazionale cui sarebbe naturalmente soggetto.

Giove è il pianeta più massiccio del sistema solare, 2 volte e mezzo più massiccio di tutti gli altri pianeti messi insieme; la sua massa è tale che il baricentro del sistema Sole-Giove cade esternamente alla stella, precisamente a 47 500 km (0,068 R☉) dalla sua superficie. Il valore della massa gioviana (indicata con MJ) è utilizzato come raffronto per le masse degli altri pianeti gassosi ed in particolare dei pianeti extrasolari. In raffronto alla Terra, Giove è 317,938 volte più massiccio, ha un volume 1 319 volte superiore ma una densità più bassa, appena superiore a quella dell'acqua: 1,319 × 10³ kg/m³ contro i 5,5153 × 10³ kg/m³ della Terra. Il diametro è 11,2008 volte maggiore di quello terrestre.Giove si comprime di circa 2 cm all'anno. Probabilmente alla base di questo fenomeno sta il meccanismo di Kelvin-Helmholtz: il pianeta compensa, comprimendosi in maniera adiabatica, la dispersione nello spazio del calore endogeno. Questa compressione riscalda il nucleo, incrementando la quantità di calore emessa; il risultato è che il pianeta irradia nello spazio una quantità di energia superiore a quella che riceve per insolazione, con un rapporto emissione/insolazione stimato in 1,67 ± 0,09. Per queste ragioni, si ritiene che, appena formato, il pianeta dovesse essere più caldo e grande di circa il doppio rispetto ad ora. Giove ha il maggior volume possibile per una massa fredda. Tuttavia i modelli teorici indicano che se Giove fosse più massiccio avrebbe un diametro inferiore a quello che possiede attualmente. Questo comportamento varrebbe fino a masse comprese tra 10 e 50 volte la massa di Giove; oltre questo limite, infatti, ulteriori aumenti di massa determinerebbero aumenti effettivi di volume e causerebbero il raggiungimento di temperature, nel nucleo, tali da innescare la fusione del deuterio (13MJ) e del litio (65MJ): si forma così una nana bruna. Qualora l'oggetto raggiungesse una massa pari a circa 75-80 volte quella di Giove si raggiungerebbe la massa critica per l'innesco di reazioni termonucleari di fusione dell'idrogeno in elio, che porterebbe alla formazione di una stella, nella fattispecie una nana rossa. Anche se Giove dovrebbe essere circa 75 volte più massiccio per essere una stella, il diametro della più piccola stella sinora scoperta, AB Doradus C, è solamente il 40% più grande rispetto al diametro del pianeta.

Struttura interna

La struttura interna del pianeta è oggetto di studi da parte degli astrofisici e dei planetologi; si ritiene che il pianeta sia costituito da più strati, ciascuno con caratteristiche chimico-fisiche ben precise. Partendo dall'interno verso l'esterno si incontrano, in sequenza: un nucleo, un mantello di idrogeno metallico liquido, uno strato di idrogeno molecolare liquido, elio ed altri elementi, ed una turbolenta atmosfera. Secondo i modelli astrofisici più moderni e ormai accettati da tutta la comunità scientifica, Giove non possiede una crosta solida; il gas atmosferico diventa sempre più denso procedendo verso l'interno e gradualmente si converte in liquido, al quale si aggiunge una piccola percentuale di elio, ammoniaca, metano, zolfo, acido solfidrico ed altri composti in percentuale minore. La temperatura e la pressione all'interno di Giove aumentano costantemente man mano che si procede verso il nucleo. Al nucleo del pianeta è spesso attribuita una natura rocciosa, ma la sua composizione dettagliata, così come le proprietà dei materiali che lo costituiscono e le temperature e le pressioni cui sono soggetti, e persino la sua stessa esistenza, sono ancora in gran parte oggetto di speculazione. Secondo i modelli, il nucleo, con una massa stimata in 14-18 M⊕, sarebbe costituito in prevalenza da carbonio e silicati, con temperature stimate sui 36 000 K e pressioni dell'ordine dei 4500 gigapascal (GPa). La regione nucleare è circondata da un denso mantello di idrogeno liquido metallico, che si estende sino al 78% (circa i 2/3) del raggio del pianeta ed è sottoposto a temperature dell'ordine dei 10 000 K e pressioni dell'ordine dei 200 GPa. Al di sopra di esso si trova un cospicuo strato di idrogeno liquido e gassoso, che si estende sino a 1000 km dalla superficie e si fonde con le parti più interne dell'atmosfera del pianeta.

Atmosfera

L'atmosfera di Giove è la più estesa atmosfera planetaria del sistema solare; manca di un netto confine inferiore, ma gradualmente transisce negli strati interni del pianeta. Dal più basso al più alto, gli stati dell'atmosfera sono: troposfera, stratosfera, termosfera ed esosfera; ogni strato è caratterizzato da un gradiente di temperatura specifico. Al confine tra la troposfera e la stratosfera, ovvero la tropopausa, è collocato un sistema complicato di nubi e foschie costituito da stratificazioni di ammoniaca, idrosolfuro di ammonio ed acqua. La copertura nuvolosa di Giove è spessa circa 50 km e consiste almeno di due strati di nubi di ammoniaca: uno strato inferiore piuttosto denso ed una regione superiore più rarefatta. I sistemi nuvolosi sono organizzati in fasce orizzontali lungo le diverse latitudini. Si suddividono in zone, di tonalità chiara, e bande, le quali appaiono scure per via della presenza su di esse di una minore copertura nuvolosa rispetto alle zone. La loro interazione dà luogo a violente tempeste, i cui venti raggiungono, come nel caso delle correnti a getto delle zone, velocità superiori ai 100-120 m/s (360-400 km/h). Le osservazioni del pianeta hanno mostrato che tali formazioni variano nel tempo in spessore, colore e attività, ma mantengono comunque una certa stabilità, in virtù della quale gli astronomi le considerano delle strutture permanenti e hanno deciso di assegnare loro una nomenclatura. Le bande sono inoltre occasionalmente interessate da fenomeni, noti come disturbi, che ne frammentano il decorso; uno di questi fenomeni interessa a intervalli irregolari di 3-15 anni la banda equatoriale meridionale (South Equatorial Belt, SEB), la quale improvvisamente "scompare", dal momento che vira sul colore bianco rendendosi indistinguibile dalle chiare zone circostanti, per poi tornare otticamente individuabile nel giro di alcune settimane o mesi. La causa dei disturbi è attribuita alla momentanea sovrapposizione con le bande interessate di alcuni strati nuvolosi posti ad una quota maggiore. La caratteristica colorazione marrone-arancio delle nubi gioviane è causata da composti chimici complessi, noti come cromofori, che emettono luce in questo colore quando sono esposti alla radiazione ultravioletta solare. L'esatta composizione di queste sostanze rimane incerta, ma si ritiene che vi siano discrete quantità di fosforo, zolfo ed idrocarburi complessi; questi composti colorati si mescolano con lo strato di nubi più profondo e più caldo. Il caratteristico bandeggio si forma a causa della convezione atmosferica: nelle zone si ha l'emergere in superficie delle celle convettive dell'atmosfera inferiore, che determina la cristallizzazione dell'ammoniaca che di conseguenza cela alla vista gli strati immediatamente sottostanti; nelle bande invece il movimento convettivo è discendente ed avviene in regioni a temperatura più alte.È stata ipotizzata la presenza di un sottile strato di vapore acqueo al di sotto delle nubi di ammoniaca, come dimostrerebbero i fulmini registrati dalla sonda Galileo, che raggiungono intensità anche decine di migliaia di volte superiori a quelle dei fulmini terrestri: la molecola dell'acqua, essendo polare, è infatti capace di assumere una parziale carica in grado di creare la differenza di potenziale necessaria per generare la scarica. Le nubi d'acqua, grazie all'apporto del calore interno del pianeta, possono quindi formare dei complessi temporaleschi simili a quelli terrestri. I fulmini gioviani, in precedenza studiati visivamente o in onde radio dalle sonde Voyager 1 e 2, Galileo, Cassini, sono stati oggetto di analisi approfondite dalla sonda Juno in un ampio spettro di frequenze e a quote molto inferiori. Tali studi hanno evidenziato un'attività temporalesca ben diversa da quella terrestre: su Giove l'attività è più concentrata vicino ai poli e quasi assente in prossimità dell'equatore. Questo è dovuto alla maggiore instabilità atmosferica presente ai poli gioviani che, pur essendo meno calda dell'area equatoriale, consente ai gas caldi provenienti dall'interno del pianeta di salire in quota favorendo la convezione. Giove, in virtù della sua seppur bassa inclinazione assiale, espone i propri poli a una radiazione solare inferiore, anche se di poco, rispetto a quella delle regioni equatoriali; la convezione all'interno del pianeta trasporta tuttavia più energia ai poli, bilanciando le temperature degli strati nuvolosi alle diverse latitudini.

Grande macchia rossa

L'atmosfera di Giove ospita centinaia di vortici, strutture rotanti circolari che, come nell'atmosfera della Terra, possono essere divisi in due classi: cicloni ed anticicloni; i primi ruotano nel verso di rotazione del pianeta (antiorario nell'emisfero settentrionale ed orario in quello meridionale), mentre i secondi nel verso opposto. Una delle principali differenze con l'atmosfera terrestre è che su Giove gli anticicloni dominano numericamente sui cicloni, dal momento che il 90% dei vortici con un diametro superiore ai 2000 km sono anticicloni. La durata dei vortici varia da diversi giorni a centinaia di anni in base alle dimensioni: per esempio, la durata media di anticicloni con diametri compresi tra i 1000 ed i 6000 km è di 1-3 anni. Non sono mai stati osservati vortici nella regione equatoriale di Giove (entro i 10° di latitudine), in quanto la circolazione atmosferica di tale regione li renderebbe instabili. Come accade su ogni pianeta rapidamente rotante, gli anticicloni su Giove sono centri di alta pressione, mentre i cicloni lo sono di bassa pressione. Il vortice sicuramente più noto è la Grande Macchia Rossa (GRS, dall'inglese Great Red Spot), una vasta tempesta anticiclonica posta 22º a sud dell'equatore del pianeta. La formazione presenta un aspetto ovale e ruota in senso antiorario con un periodo di circa sei giorni. Le sue dimensioni, variabili, sono 24-40 000 km × 12-14 000 km: è quindi abbastanza grande da essere visibile già con telescopi amatoriali. Si tratta di una struttura svincolata da altre formazioni più profonde dell'atmosfera planetaria: le indagini infrarosse hanno mostrato che la tempesta è più fredda rispetto alle zone circostanti, segno che si trova più in alto rispetto ad esse: lo strato più alto di nubi della GRS infatti svetta di circa 8 km sugli strati circostanti. Anche prima che le sonde Voyager dimostrassero che si trattava di una tempesta, vi era già una forte evidenza che la Macchia fosse una struttura a sé stante, come d'altronde appariva dalla sua rotazione lungo il pianeta tutto sommato indipendente dal resto dell'atmosfera.

Curiosità extra: variazioni nella grande macchia rossa e altre tempeste

La Macchia varia notevolmente di gradazione, passando dal rosso mattone al salmone pastello, e talvolta anche al bianco; non è ancora noto cosa determini la colorazione rossa della macchia. Alcune teorie, suffragate dai dati sperimentali, suggeriscono che possa essere causata dai medesimi cromofori, in quantità differenti, presenti nel resto dell'atmosfera gioviana. Non è noto se i cambiamenti che la Macchia manifesta siano il risultato di normali fluttuazioni periodiche, né tanto meno per quanto ancora essa durerà; i modelli fisico-matematici suggeriscono però che la tempesta sia stabile e quindi possa costituire, al contrario di altre, una formazione permanente del pianeta. Tempeste simili a questa, anche se temporanee, non sono infrequenti nelle atmosfere dei pianeti giganti gassosi: per esempio, Nettuno ha posseduto per un certo tempo una Grande Macchia Scura, e Saturno mostra periodicamente per brevi periodi delle Grandi Macchie Bianche. Anche Giove presenta degli ovali bianchi (detti WOS, acronimo di White Oval Spots, Macchie Ovali Bianche), assieme ad altri marroni; si tratta tuttavia di tempeste minori transitorie, per questo prive di una denominazione. Gli ovali bianchi sono in genere composti da nubi relativamente fredde poste nell'alta atmosfera; gli ovali marroni sono invece più caldi, e si trovano ad altitudini medie. La durata di queste tempeste si aggira indifferentemente tra poche ore o molti anni. Nel 2000, nell'emisfero australe del pianeta, si è originata dalla fusione di tre ovali bianchi una formazione simile alla GRS, ma di dimensioni più piccole. Denominata tecnicamente Ovale BA, la formazione ha subito un'intensificazione dell'attività e un cambiamento di colore dal bianco al rosso, che le è valso il soprannome di Red Spot Junior. Infine Juno ha scoperto 8 vortici uguali al polo nord disposti ai vertici di un ottagono (l'ottagono di Giove), con al centro un nono vortice, e 5 vortici uguali al polo sud disposti come i vertici di un pentagono (il pentagono di Giove), con al centro un sesto vortice, poi trasformatosi in un esagono. Sono simili all'esagono di Saturno.

Campo magnetico e magnetosfera

Le correnti elettriche all'interno del mantello di idrogeno metallico generano un campo magnetico dipolare, inclinato di 10º rispetto all'asse di rotazione del pianeta. Il campo raggiunge un'intensità variabile tra 0,42 millitesla - mT - all'equatore e 1,3 mT ai poli, che lo rende il più intenso campo magnetico del sistema solare (con l'eccezione di quello nelle macchie solari), 14 volte superiore al campo geomagnetico. Il campo magnetico di Giove preserva la sua atmosfera dalle interazioni col vento solare deflettendolo e creando una regione appiattita, la magnetosfera, costituita da un plasma di composizione molto differente da quello del vento solare. La magnetosfera gioviana è la più grande e potente fra tutte le magnetosfere dei pianeti del sistema solare, nonché la struttura più grande del sistema non appartenente al Sole: si estende nel sistema solare esterno per molte volte il raggio di Giove (RJ) e raggiunge un'ampiezza massima che può superare l'orbita di Saturno. La magnetosfera di Giove è convenzionalmente divisa in tre parti: la magnetosfera interna, intermedia ed esterna. La magnetosfera interna è situata ad una distanza inferiore a 10 raggi gioviani (RJ) dal pianeta; il campo magnetico al suo interno rimane sostanzialmente dipolare, poiché ogni contributo proveniente dalle correnti che fluiscono dal plasma magnetosferico equatoriale risulta piccolo. Nelle regioni intermedie (tra 10 e 40 RJ) ed esterne (oltre 40 RJ) il campo magnetico non è più dipolare e risulta seriamente disturbato dalle sue interazioni col plasma solare. Le eruzioni che avvengono sul satellite galileiano Io contribuiscono ad alimentare la magnetosfera gioviana generando un importante toroide di plasma, che carica e rafforza il campo magnetico formando la struttura denominata magnetodisk. Le forti correnti che circolano nella regione interna della magnetosfera danno origine ad intense fasce di radiazione, simili alle fasce di van Allen terrestri, ma migliaia di volte più potenti. Queste forze generano delle aurore perenni attorno ai poli del pianeta ed intense emissioni radio. L'interazione delle particelle energetiche con la superficie delle lune galileiane maggiori influenza notevolmente le loro proprietà chimiche e fisiche, ed entrambi influenzano e sono influenzati dal particolare moto del sottile sistema di anelli del pianeta. Ad una distanza media di 75 RJ (compresa tra circa 45 e 100 RJ a seconda del periodo del ciclo solare) dalla sommità delle nubi del pianeta è presente una lacuna tra il plasma del vento solare e il plasma magnetosferico, che prende il nome di magnetopausa. Al di là di essa, ad una distanza media di 84 RJ dal pianeta, si trova il bow shock, il punto in cui il flusso del vento viene deflesso dal campo magnetico. Giove possiede un debole sistema di anelli planetari, il terzo ad esser stato scoperto nel sistema solare, dopo quello di Saturno e quello di Urano. Fu osservato per la prima volta nel 1979 dalla sonda Voyager 1, ma fu analizzato più approfonditamente negli anni novanta dalla sonda Galileo e, a seguire, dal telescopio spaziale Hubble e dai più grandi telescopi di Terra. Il sistema di anelli consiste principalmente di polveri, presumibilmente silicati. È suddiviso in quattro parti principali: un denso toro di particelle noto come anello di alone; una fascia relativamente brillante, ma eccezionalmente sottile nota come anello principale; due deboli fasce più esterne, detti anelli Gossamer (letteralmente garza), che prendono il nome dai satelliti il cui materiale superficiale ha dato origine a questi anelli: Amaltea (anello Gossamer di Amaltea) e Tebe (anello Gossamer di Tebe). L'anello principale e l'anello di alone sono costituiti da polveri originarie dei satelliti Metis e Adrastea ed espulse nello spazio in seguito a violenti impatti meteorici. Le immagini ottenute nel febbraio e nel marzo 2007 dalla missione New Horizons hanno mostrato inoltre che l'anello principale possiede una ricca struttura molto fine. All'osservazione nel visibile e nell'infrarosso vicino gli anelli hanno un colore tendente al rosso, eccezion fatta per l'anello di alone, che appare di un colore neutro o comunque tendente al blu. Le dimensioni delle polveri che compongono il sistema sono variabili, ma è stata riscontrata una netta prevalenza di polveri di raggio pari a circa 15 μm in tutti gli anelli tranne in quello di alone, probabilmente dominato da polveri di dimensioni nanometriche. La massa totale del sistema di anelli è scarsamente conosciuta, ma è probabilmente compresa tra 1011 e 1016 kg. L'età del sistema è sconosciuta, ma si ritiene che esista sin dalla formazione del pianeta madre.

I troiani

Gli anelli di Giove

Oltre al sistema di satelliti, il campo gravitazionale di Giove controlla numerosi asteroidi, detti asteroidi troiani, che sono vincolati in corrispondenza di alcuni punti di equilibrio del sistema gravitazionale Sole-Giove, i punti di Lagrange, in cui l'attrazione complessiva è nulla. In particolare, il maggiore addensamento di asteroidi si ha in corrispondenza dei punti L4 ed L5 (che, rispettivamente, precede e segue di 60º Giove nel suo tragitto orbitale), poiché il triangolo di forze con vertici Giove-Sole-L4 oppure Giove-Sole-L5 permette ad essi di avere un'orbita stabile. Gli asteroidi troiani si distribuiscono in due regioni oblunghe e curve attorno ai punti lagrangiani, e possiedono orbite attorno al Sole con semiasse maggiore medio di circa 5,2 au. Il primo asteroide troiano, 588 Achilles, fu scoperto nel 1906 da Max Wolf;[180] attualmente se ne conoscono oltre 4000, ma si ritiene che il numero di troiani più grandi di 1  km sia dell'ordine del milione, vicino a quello calcolato per gli asteroidi più grandi di 1 km nella fascia principale. Come nella maggior parte delle cinture asteroidali, i troiani si raggruppano in famiglie. I troiani di Giove sono degli oggetti oscuri con spettri tendenti al rosso e privi di formazioni, che non rivelano la presenza certa di acqua o composti organici. I nomi degli asteroidi troiani di Giove derivano da quelli degli eroi che, secondo la mitologia greca, presero parte alla Guerra di Troia; i troiani di Giove si dividono in due gruppi principali: il campo greco (o gruppo di Achille), posto sul punto L4, in cui gli asteroidi hanno i nomi degli eroi greci, e il campo troiano (o gruppo di Patroclo), sul punto L5, i cui asteroidi hanno il nome degli eroi troiani. Tuttavia, alcuni asteroidi non seguono questo schema: 617 Patroclus e 624 Hektor vennero denominati prima che venisse scelto di operare questa divisione; di conseguenza, un eroe greco appare nel campo troiano e un eroe troiano si trova nel campo greco.

Rapporto con l'origine della vita

Nel 1953 il neolaureato Stanley Miller e il suo professore Harold Urey realizzarono un esperimento che provò che molecole organiche si sarebbero potute formare spontaneamente sulla Terra primordiale a partire da precursori inorganici. In quello che è passato alla storia come l'"esperimento di Miller-Urey" si fece uso di una soluzione gassosa altamente riducente, contenente metano, ammoniaca, idrogeno e vapore acqueo, per formare, sotto l'esposizione di una scarica elettrica continua (che simulava i frequenti fulmini che dovevano squarciare i cieli della Terra primitiva), sostanze organiche complesse e alcuni monomeri di macromolecole fondamentali per la vita, come gli amminoacidi delle proteine. Poiché la composizione dell'atmosfera di Giove ricalca quella che doveva essere la composizione dell'atmosfera terrestre primordiale e al suo interno avvengono con una certa frequenza intensi fenomeni elettrici, lo stesso esperimento è stato replicato per verificarne le potenzialità nel generare le molecole che stanno alla base della vita. Tuttavia, la forte circolazione verticale dell'atmosfera gioviana porterebbe via gli eventuali composti che si verrebbero a produrre nelle zone basse dell'atmosfera del pianeta; inoltre, le elevate temperature di queste regioni provocherebbero la decomposizione di queste molecole, impedendo in tal modo la formazione della vita così come la conosciamo. Per queste ragioni, si ritiene altamente improbabile che su Giove vi possa essere vita simile a quella terrestre, anche in forme molto semplici come i procarioti, per via degli scarsi quantitativi d'acqua, per l'assenza di una superficie solida e per le altissime pressioni che si riscontrano nelle aree interne. Tuttavia nel 1976, prima delle missioni Voyager, si ipotizzava che nelle regioni più alte dell'atmosfera gioviana potessero evolversi delle forme di vita basate sull'ammoniaca e su altri composti dell'azoto; la congettura è stata formulata prendendo spunto dall'ecologia dei mari terrestri, in cui, a ridosso della superficie, si addensano semplici organismi fotosintetici, come il fitoplancton, subito al di sotto dei quali si trovano i pesci che si cibano di essi, e più in profondità i predatori marini che si nutrono dei pesci. I tre ipotetici equivalenti di questi organismi su Giove sono stati definiti da Sagan e Salpeter rispettivamente "galleggiatori", "sprofondatori" e "cacciatori" (in lingua inglese, floaters, sinkers e hunters), e sono stati immaginati come delle creature simili a bolle di dimensioni gigantesche che si muovono per propulsione, espellendo l'elio atmosferico. I dati forniti dalle due Voyager nel 1979 hanno confermato la non idoneità del gigante gassoso a supportare eventuali forme di vita.


Finalmente abbiamo capito come funziona un gigante gassoso. Atmosfera, formazione, influenza sugli altri corpi, struttura, pressione... conosciamo tutti questi particolari importantissimi per comprendere il vero argomento di oggi: i gioviani caldi! Partiamo dunque alla volta di un lontanissimo sistema planetario, dove un pianeta simile a Giove orbita a pochissima distanza dalla sua stella...


Gioviani caldi

Nello sfondo: un gioviano caldo

Un pianeta gioviano caldo (anche noto come Giove caldo, o più raramente con l'appellativo di pianeta di tipo Pegasi) è un pianeta extrasolare la cui massa è confrontabile o superiore a quella di Giove (1,9×1027kg), ma che, a differenza di quanto avviene nel sistema solare, dove Giove orbita a circa 5 UA dal Sole, orbita molto vicino alla propria stella madre, tipicamente tra 0,5 UA (75×106km) e 0,015 UA (2,2×106km). Un tipico pianeta gioviano caldo è otto volte più vicino alla superficie della propria stella rispetto a quanto Mercurio dista dal Sole. La temperatura di questi oggetti è quindi di solito elevatissima, da qui l'aggettivo caldo. Il più conosciuto di questi e modello base di tale classe di pianeti, è 51 Pegasi b, soprannominato Bellerofonte. È stato inoltre il primo pianeta extrasolare scoperto (1995) in orbita attorno a una stella simile al Sole. HD 209458 b, soprannominato Osiris, è un altro gioviano caldo molto conosciuto per il fatto che perde dalle 100 alle 500 milioni di tonnellate di idrogeno al secondo sotto l'effetto del vento stellare del proprio astro madre, in ragione della sua orbita dal raggio di sole 0,047 UA. Questi pianeti appartengono generalmente alle classi IV e V della classificazione di Sudarsky, anche se la loro composizione si può discostare sensibilmente dalla definizione, come per esempio WASP-12 b, più simile a un pianeta di carbonio. 

  • I pianeti gioviani caldi hanno una maggiore possibilità di transitare davanti alla propria stella madre, quando osservati dalla Terra, rispetto ad altri pianeti dalle dimensioni simili ma dall'orbita più grande.
  • La loro densità è generalmente minore di quella di Giove, a causa dell'alto livello di insolazione; questo si riflette sui metodi per la determinazione del loro raggio, resa ancor più difficoltosa dal fenomeno dell'oscuramento al bordo che impedisce di stabilire precisamente il momento di inizio e di termine del transito.
  • Si ritiene che tutti abbiano subìto un processo di migrazione planetaria, perché il materiale presente nelle parti più interne del disco protoplanetario non è tale da rendere possibile la formazione di un gigante gassoso in situ.
  • Sono tutti accomunati da una bassa eccentricità orbitale. Questo perché la loro orbita è stata resa circolare, o è in fase di circolarizzazione, dal processo di librazione. Tale processo causa anche la sincronizzazione dei periodi di rotazione e di rivoluzione del pianeta, forzandolo così in un regime di rotazione sincrona e quindi a rivolgere sempre la stessa faccia alla stella madre. Si dice che il pianeta è in una situazione di blocco mareale.
  • Mostrano di possedere un forte rimescolamento atmosferico, prodotto dai venti ad alta velocità che ridistribuiscono il calore del lato diurno nel lato notturno, rendendo così la differenza di temperatura tra i due lati relativamente bassa.

Si pensa che i gioviani caldi si formino a una distanza dalla stella oltre la frost line, dove i pianeti possono formarsi per accrescimento secondario da roccia, ghiaccio e gas. Il pianeta in seguito migra verso le regioni interne del sistema, dove si assesterà in un'orbita stabile, e di solito ciò avviene tramite una migrazione di tipo II o per interazioni con altri pianeti. La migrazione avviene durante la fase di disco protoplanetario, e si ferma tipicamente quando la stella entra nella fase T Tauri. I forti venti stellari a questo punto soffiano via il materiale rimanente della nebulosa, bloccando i processi di accrescimento e migrazione. L'eccessiva vicinanza del pianeta alla stella può causare anche l'abrasione della sua atmosfera, tramite il processo di fuga idrodinamica, sotto l'azione dei potenti venti stellari. Questi pianeti sono anche definiti "pianeti dal periodo ultracorto".

Come scoprire un gioviano caldo

Transito

La scoperta avviene monitorando per molto tempo la luce di una stella, e se questa hai dei picchi di bassa luminosità a intervalli regolari allora se ne studia la curva di luce. Dalla forma di questa curva si può risalire all'esistenza e in seguito al diametro di un eventuale oggetto transitante. Un pianeta gioviano è di diametro ragguardevole, sia rispetto agli altri pianeti del suo stesso sistema e sia rispetto al diametro della stella stessa. Essendo inoltre molto vicino alla stella madre è molto più facile che dalla Terra lo si veda transitare davanti ad essa, in quanto il diametro e la vicinanza compensano l'eventuale inclinazione dell'orbita, che renderebbe il pianeta non transitante se avesse un'orbita più larga. A dimostrazione di ciò, la gran parte dei pianeti extrasolari finora scoperti dalle missioni dedicate ai pianeti transitanti appartiene a questa categoria. Servono quindi strumenti sempre più precisi per rilevare pianeti sempre più piccoli. Ultimamente l'aumento di sensibilità degli strumenti per lo studio dei transiti stellari, quali i telescopi delle missioni CoRoT e Kepler, ha portato ad un netto aumento del numero dei pianeti nettuniani e superterrestri transitanti rispetto ai gioviani caldi. L'ulteriore evoluzione delle tecnologie impiegate probabilmente porterà a breve anche alla scoperta dei primi pianeti di dimensioni terrestri e delle prime esolune.

Velocità radiali

Un pianeta gioviano caldo, essendo molto vicino alla propria stella, esercita su questa un'attrazione gravitazionale che la fa oscillare. Dalla Terra possiamo, tramite l'effetto doppler, misurarne e calcolarne la velocità e periodo di oscillazione e, conoscendo la massa della stella, ricavare massa e orbita del pianeta. Tale sistema ci permette di scoprire il pianeta anche se questo non si interponesse direttamente tra di noi e la stella. Di nuovo sono i gioviani caldi la categoria a essere più rilevata con tale sistema, in quanto solo un pianeta molto massiccio e molto vicino alla propria stella può influenzarla abbastanza da generare oscillazioni rilevabili dai nostri strumenti. Un pianeta come Giove posto alla distanza di un gioviano caldo genera effetti migliaia di volte maggiori che alla distanza a cui si trovano i giganti gassosi del sistema solare. Tale metodo è utilizzato essenzialmente da osservatori a terra, quali il progetto HARPS.

Una simulazione ha mostrato che la migrazione di pianeti gioviani attraverso il disco protoplanetario interno (la regione che nel sistema solare è occupata dai pianeti rocciosi e dalla cintura di asteroidi, approssimativamente tra 5 e 0,1 UA) non è distruttiva così come si potrebbe pensare. Più del 60% del materiale del disco sopravvive venendo disperso verso orbite esterne dal gigante gassoso, insieme a planetesimi e protopianeti. Il disco è così in grado di riformarsi e la formazione planetaria di riprendere. Nella simulazione sono stati in grado di formarsi pianeti fino a due masse terrestri nella fascia abitabile, dopo che il gigante gassoso si è stabilizzato a 0,1 UA. La simulazione mostra inoltre che, per il mescolamento dei materiali del sistema planetario interno con materiali provenienti da quello esterno, gli eventuali pianeti terrestri formatisi dopo il passaggio del gigante in migrazione sarebbero particolarmente ricchi di acqua, gli ipotetici pianeti oceano, mentre, al contrario, potrebbero essere carenti di materiali rocciosi. Tuttavia, esistono ancora diversi dubbi sulla possibile formazione di pianeti terrestri abitabili ove è presente un gioviano caldo nelle parti interne del sistema. È stato scoperto che molti gioviani caldi possiedono orbite retrograde, e ciò pone in discussione le teorie sulla formazione dei sistemi planetari. È probabile che questo fenomeno sia dovuto, più che a un disturbo dell'orbita del pianeta, al ribaltamento della stella stessa durante le prime fasi di formazione del proprio sistema, dovuto all'interazione tra il campo magnetico della stella e il disco protoplanetario. Combinando nuove osservazioni con i vecchi dati si è scoperto che più della metà dei gioviani caldi studiati ha orbite disallineate con l'asse di rotazione delle loro stelle madri, e ben sei hanno moto retrogrado.

Pianeti dal periodo ultracorto

I pianeti dal periodo ultracorto sono una classe di gioviani caldi il cui periodo di rivoluzione è inferiore al giorno terrestre; essi si trovano solo attorno a stelle di massa inferiore alle 1,25 masse solari. Orbitano più vicino alla loro stella di ogni altro oggetto descritto precedentemente, con semiassi dell'orbita dell'ordine di solo qualche milione di chilometri. Molto spesso il pianeta è talmente vicino alla propria stella che il vento stellare di questa ne sta consumando l'atmosfera, strappando milioni di tonnellate di gas ogni secondo. Pianeti gioviani a 0,02 UA dalla stella perderanno durante la propria vita fino al 5-7% circa della propria massa, mentre una distanza inferiore può causare la totale evaporazione dell'involucro gassoso, lasciando come residuo il nucleo roccioso completamente spogliato. Tali oggetti possiedono masse di una decina circa di masse terrestri, sono più densi di un pianeta di tipo terrestre e sono definiti pianeti ctoni. Un esempio di pianeta gigante dal periodo ultracorto è WASP-18 b, probabilmente nella stessa situazione di abrasione atmosferica del già citato HD 209458 b, mentre CoRoT-7 b è il primo rappresentante scoperto della classe dei pianeti ctoni.

Puffy Planets

Tradotto letteralmente pianeti paffuti, gonfi, sono pianeti giganti gassosi dal grande raggio e dalla bassa densità, e per questo anche chiamati saturniani caldi, per la somiglianza della loro densità con quella di Saturno. Sono gioviani caldi la cui atmosfera, fortemente riscaldata dalla stella molto vicina e dal calore interno, si espande e gonfia, fino a fuoriuscire talvolta dal campo gravitazionale del pianeta e ad essere strappata via dal vento stellare. Sei pianeti rappresentativi di questa categoria sono stati rilevati con il metodo del transito; in ordine di scoperta sono HAT-P-1 b, CoRoT-1 b, TrES-4, WASP-12 b, WASP-17 b, e Kepler-7 b. La gran parte di questi pianeti hanno masse inferiori alle due masse gioviane, perché pianeti più massicci avrebbero anche gravità maggiore, che contribuirebbe a contenere il raggio del pianeta entro valori simili a quelli di Giove stesso. Alcuni gioviani caldi rilevati con il metodo delle velocità radiali potrebbero essere puffy planets, ma non conoscendone i raggi non se ne ha la certezza. Nel 2019, osservazioni col telescopio spaziale Hubble su tre pianeti scoperti nel 2012 e orbitanti attorno alla giovane stella di tipo solare Kepler-51, hanno rivelato delle densità ancora minori, meno di un decimo di quella dell'acqua, comprese tra 0,034 e 0,064 g/cm³. Per comparazione, il pianeta meno denso del sistema solare, Saturno, con una densità di 0,69 g/cm³ è circa 20 volte più denso dei pianeti di Kepler-51.

Morte dei gioviani caldi

Orbita instabile

E' possibile che un pianeta gioviano caldo si avvicini troppo alla stella. Il campo gravitazionale di quest'ultima farà accelerare la migrazione del pianeta che finirà per schiantarsi contro la stella madre.

Perdita di gas

Un pianeta che si avvicina in modo estremo alla stella, senza, però, entrare in collisione con essa, inizierà a perdere gas che formeranno una specie di anello attorno alla stella madre. Essendo i gioviani composti prevalentemente di gas, dopo qualche milione di anni, l'intero pianeta non esisterà più. Al suo posto sorgerà un anello di gas che finirà per cadere nella stella. A volte la vicinanza della stella crea semplici code dietro il pianeta, che perde i gas esattamente come una cometa perde vapore acqueo. In questo caso non si forma nessun anello, ma il risultato è altrettanto spettacolare.


Pianeti gioviani caldi scoperti recentemente

NEONATO GIGANTE. Un recente studio pubblicato sull' Astronomical Journal evidenzia la scoperta di un nuovo pianeta gioviano caldo: un corpo celeste molto giovane, distante 490 anni luce dalla Terra e chiamato HIP67522 b. La stella attorno alla quale orbita questo pianeta è pure lei molto giovane: ha "solo" 17 milioni di anni e quindi HIP67522 non può che essere diversi milioni di anni più recente: secondo gli astronomi è il pianeta di questo tipo più giovane mai osservato e il suo studio potrebbe consentire ai ricercatori di fare luce su diverse caratteristiche di questi giganti del cosmo. HIP67522 b è stato scoperto da TESS (Transiting Exoplanet Survey Satellite), un satellite della NASA che rileva la presenza di esopianeti analizzando la variazione di luminosità che il loro transito provoca sulla relativa stella. Il neonato pianeta ha un diametro che è circa 10 volte quello terrestre ed è composto per lo più da gas. LE TEORIE. Ma come mai si trovano così vicino al loro sole? Gli scienziati hanno formulato tre possibili ipotesi. La prima è che si siano formati proprio lì, nelle immediate vicinanze della stella. Un'altra teoria afferma invece che i gioviani caldi si siano spostati su orbite più interne nel corso del tempo. L'ultima ipotesi, in assoluti la più improbabile, afferma che i pianeti gioviani caldi siano stati spinti nella loro posizione dall'effetto gravitazionale di altri pianeti. «Gli scienziati vogliono scoprire se c'è un meccanismo dominante nella formazione dei pianeti gioviani caldi. Al momento nella comunità scientifica non c'è consenso su una teoria specifica e la scoperta di questo pianeta così giovane è davvero eccitante», ha spiegato Yasuhiro Hasegawa, astrofisico della NASA. In un articolo pubblicato il 26 luglio su arXiv.org, degli astronomi hanno riportato di aver scoperto quattro nuovi pianeti gioviani caldi, utilizzando il telescopio WASP-sud. I nuovi infernali mondi sono stati chiamati rispettivamente WASP-178b, WASP-184b, WASP-185b e WASP-192b. Un gioviano caldo è un pianeta extrasolare la cui massa è confrontabile o superiore a quella di Giove che orbita molto vicino alla sua stella madre, caratteristica che gli permette di avere temperature estreme. Per trovare i corpi celesti, gli astronomi hanno identificato i segnali di transito nelle curve di luce di quattro stelle, durante una campagna osservativa che si è svolta tra il 2006 e il 2014. WASP-178b è stato classificato come gioviano ultra caldo, con una temperatura di circa 2196 gradi Celsius (uno dei pianeti più caldi trovati). Le osservazioni mostrano che WASP-178b ha un raggio del 81% percento più grande di quello di Giove, con una massa di 1.66 volte quella del gigante gassoso del nostro sistema solare. Il pianeta impiega circa 3.34 giorni per orbitare completamente la sua stella (circa due volte più massiccia del sole, con una temperatura effettiva di 9076° C), a una distanza di circa 8 milioni di chilometri (0.056 unità astronomiche). WASP-184b è il pianeta meno massiccio del quartetto scoperto, con una massa 0.57 volte quella di Giove, ma 33 volte più grande. Questo mondo completa un'orbita intorno alla sua stella ogni 5.18 giorni, a circa 9 milioni di chilometri. La temperatura del pianeta è di 1206° C, mentre la sua stella, situata a 2100 anni luce da noi, è il 65% più grande e il 23% più massiccia del nostro Sole. WASP-185b è massiccio quanto Giove, ma alcune caratteristiche del pianeta lo rendono raro. Le osservazioni indicano che questo mondo extrasolare ha un'orbita eccentrica e un periodo orbitale relativamente lungo di circa 9.4 giorni. La distanza media del pianeta dall'ospite è di circa 0.09 unità astronomiche e con una temperatura di 886° C (si trova a 900 anni luce da noi). Ultimo, ma non meno importante, è WASP-192b l'esopianeta più massiccio riportato nel documento, con un raggio di circa 1.23 quello di Giove e 2.3 volte più massiccio. Il pianeta orbita attorno a WASP-192 (una stella con una massa di circa 1.09 volte quella del Sole e una temperatura di 5626,85° C) ogni 2.88 giorni, a una distanza di circa 6 milioni di chilometri e con un temperatura di 1346.85° C (si trova a 1.600 anni luce di distanza dalla Terra).


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