Stelle uniche

In questo nuovissimo articolo di Eagle sera, andremo a scoprire i segreti delle stelle più uniche del nostro cosmo. Seguiteci, per scoprire i misteri che si celano dietro di esse!



Betelgeuse

Betelgeuse (IPA: /betelˈʤɛuze/[14][15]; α Ori / α Orionis / Alfa Orionis) è la seconda stella più luminosa della costellazione di Orione, dopo Rigel, e mediamente la decima più brillante del cielo notturno vista ad occhio nudo, data la sua magnitudine apparente fissata sul valore medio di +0,58.È uno dei vertici dell'asterismo del Triangolo invernale, assieme a Sirio e Procione. Betelgeuse è una supergigante rossa di classe spettrale M1-2 Iab, ovvero una stella in una fase già piuttosto avanzata della sua evoluzione, che mostra episodi di variabilità dovuti a pulsazioni quasi regolari dell'astro con un periodo tra i 2070 e i 2355 giorni. La sua distanza dalla Terra era stimata sino a pochi anni fa sui 427 anni luce (a.l.), ma recenti ri-misurazioni della parallasse hanno suggerito un valore maggiore, pari a circa 600-640 a.l.; sulla base di questo nuovo valore è stato necessario aggiornare buona parte dei suoi parametri stellari, in particolare il raggio. Il diametro angolare misurato dalla Terra suggerisce, da questa distanza, che Betelgeuse sia una stella di dimensioni colossali, addirittura una tra le più grandi conosciute: il suo raggio misurerebbe in media 4,6 UA, pari a circa 1000-1050 volte il raggio solare. Data la grande superficie radiante, Betelgeuse possiede anche una forte luminosità, oltre 135 000 volte quella della nostra stella, che la rende anche una tra le stelle più luminose in assoluto. Tuttavia questa luminosità non è imputabile esclusivamente alla vasta superficie; per questa ragione gli astronomi propendono a ritenere che la stella possieda una massa elevata, pari a 15-20 volte quella del Sole. Pertanto è possibile che la stella concluderà la sua esistenza esplodendo in una supernova. Alcune indagini condotte nella seconda metà degli anni ottanta suggerivano l'eventualità che Betelgeuse fosse un sistema multiplo, costituito almeno da tre componenti; però successive osservazioni non hanno confermato quest'ipotesi. Il nome Betelgeuse deriva dall'arabo يد الجوزاء Yad al-Jawzāʾ, "la mano di al-Jawzāʾ (Gigante)", corrotto poi, a seguito di un errore di traslitterazione in epoca medievale, in بد الجوزاء Bad al-Jawzāʾ (più propriamente ابط الجوزاء Ibţ al-Jawzāʾ), assumendo il significato riconosciuto di "l'ascella" o "la spalla del Gigante".

Osservazione e storia delle osservazioni

Betelgeuse è una stella dell'emisfero boreale, infatti possiede una declinazione di +7° 24', ma è comunque abbastanza vicina all'equatore celeste da risultare osservabile da tutte le aree della Terra, ad eccezione della parte più interna del continente antartico; a nord invece la stella appare circumpolare ben oltre il circolo polare artico.[26][N 2] Si può distinguere Betelgeuse facilmente anche dalle grandi città: infatti è la decima stella più brillante del cielo se vista ad occhio nudo, la nona considerando singolarmente le componenti dei sistemi multipli; inoltre fa parte dell'inconfondibile costellazione di Orione, di cui costituisce il vertice nord-orientale, e spicca rispetto alle altre per il suo colore arancione intenso che contrasta con l'azzurro tipico delle altre stelle luminose di quest'area di cielo. Costituisce inoltre il vertice nord-occidentale del grande e brillante asterismo del Triangolo invernale. Betelgeuse inizia a scorgersi bassa sull'orizzonte orientale nelle serate tardo-autunnali di inizio dicembre ed è durante i mesi di gennaio e febbraio che l'astro domina il cielo notturno, essendo la stella di colore rosso vivo più brillante dell'inverno. Il mese di maggio invece la vede tramontare definitivamente sotto l'orizzonte ovest, tra le luci del crepuscolo; torna ad essere visibile ad est, poco prima dell'alba, nel mese di agosto. Betelgeuse appare come la seconda stella più luminosa della costellazione alla quale appartiene: la sua magnitudine media è di +0,58; Rigel (β Ori), la stella più brillante di Orione, posta nel vertice sud-occidentale della costellazione, in posizione diametralmente opposta a Betelgeuse, è di magnitudine +0,12. Betelgeuse, Rigel e Deneb (α Cyg) sono le più distanti fra tutte le stelle di prima magnitudine, che in totale sono circa una ventina nel cielo notturno: Betelgeuse si trova a circa 640 anni luce dalla Terra, segno questo che anche la sua reale luminosità è molto elevata. La sua escursione di luminosità, apprezzabile solo nell'arco di alcuni anni, è percepibile quando si raffronta la sua brillantezza con quella delle stelle vicine più luminose: al momento della minima luminosità, la sua magnitudine raggiunge un valore di +1,2, diventando simile in brillantezza a Polluce (β Gem), di magnitudine +1,15, e poco più luminosa della vicina Bellatrix (γ Ori), la spalla destra di Orione, di magnitudine +1,64.; nella fase di massimo invece sale fino ad una magnitudine di +0,3, paragonabile a quella della biancastra Procione (α CMi) e molto simile a quella di Rigel. La stella è ben conosciuta sin dall'antichità, data la sua grande luminosità e il suo caratteristico colore arancione-rossastro. Nel 1982 un gruppo di archeologi scoprì in Cina una serie di relazioni astronomiche, intitolate Shi Chi e redatte da un certo Sima Qian nel I secolo, che descrivevano la stella come un astro dal tipico colore bianco-giallastro. Tuttavia già Claudio Tolomeo nel suo Almagesto, risalente alla metà del secolo successivo, la descriveva come una stella tipicamente rossa, assieme a Sirio, sul cui colore bianco-azzurro molto intenso hanno dibattuto numerosi studiosi, Antares - α Sco -, Aldebaran - α Tau -, Arturo - α Boo - e Polluce, tutte effettivamente di un colore che va dall'arancione al rosso intenso. L'astrofisico cinese Fang Lizhi, dando credito allo scritto del I secolo, ipotizzò che la stella potesse essersi evoluta in supergigante rossa in questo lasso di tempo; ma la teoria ebbe poco seguito in quanto sembrava contraddire i modelli sull'evoluzione stellare, secondo cui la transizione avviene in un arco temporale molto più lungo. È possibile che questo cambiamento di colore della stella, da rosso a giallo-bianco, sia dovuto all'espulsione di uno strato superficiale di polveri e gas. La variabilità della stella è stata scoperta nel 1836 da John Herschel che la descrisse per la prima volta in uno scritto, pubblicato nel 1849, dal titolo Outlines of Astronomy, in cui trattò dell'aumento e della diminuzione di luminosità dell'astro nel periodo compreso tra il 1836 e il 1840. Figlio dell'astronomo anglo-tedesco William Herschel, egli notò nel 1849 che il ciclo di variabilità era divenuto più breve, caratterizzato da picchi più alti di luminosità in cui la magnitudine apparente della stella arrivava a rivaleggiare con quella di Rigel, come avvenne nel massimo del 1852. Le osservazioni compiute nel resto del XIX secolo e durante tutto il XX secolo hanno permesso di registrare dei massimi insolitamente alti, con un intervallo di pochi anni, cui fanno eccezione gli anni compresi tra il 1957 e il 1967 in cui si sono registrate solo piccole variazioni. Nel 1919 Albert Michelson e Francis Pease montarono un interferometro, inventato da Michelson, sul telescopio da 2,5 metri dell'Osservatorio di Monte Wilson. Michelson compì una serie di misurazioni del diametro angolare della stella, ottenendo una misura pari a 0,044 secondi d'arco ("). Mettendo in relazione la misura con il valore allora noto della parallasse, 0,018", fu possibile stimare il raggio della stella, che risultava avere un valore di 3,84 × 108 km; il valore però era affetto da una cospicua incertezza, soprattutto per quanto riguardava l'effettivo oscuramento al bordo, molto accentuato, ed eventuali errori durante la misurazione stessa. Osservazioni condotte più recentemente alle lunghezze d'onda del visibile mostrano che in realtà il raggio di Betelgeuse varia tra 0,0568" e 0,0592". Nel 1975 l'utilizzo della tecnica dell'interferometria a macchie consentì agli astronomi di scoprire la presenza di formazioni attive, presumibilmente analoghe alle macchie solari, sulla superficie della stella; Betelgeuse divenne quindi la prima stella, oltre al Sole, sulla cui superficie sia stata accertata la presenza di macchie fotosferiche. Nella seconda metà degli anni ottanta è stata ipotizzata, a seguito di alcune osservazioni interferometriche, la presenza di eventuali compagni stellari attorno a Betelgeuse, ma successivi studi non hanno confermato pienamente il tutto. La stella divenne, verso la fine degli anni ottanta e l'inizio degli anni novanta, oggetto di osservazioni nel visibile e nell'infrarosso grazie alla nuova tecnica dell'interferometria con maschera d'apertura, che rivelò sulla superficie della stella la presenza di formazioni luminose, definite in seguito hot spots (punti caldi), che si riteneva fossero dovute a moti convettivi in prossimità della superficie stellare; si tratta delle primissime immagini della superficie di una stella diversa dal Sole. Nel 1995 la Faint Object Camera del Telescopio spaziale Hubble fu puntata in direzione della stella per catturarne delle immagini agli ultravioletti ad alta risoluzione; venne così ottenuta la prima immagine ad alta risoluzione del disco di una stella esterna al sistema solare: il grado di dettaglio di quest'immagine agli ultravioletti non può essere raggiunto con nessun telescopio di terra. L'immagine mostra una macchia brillante indicante una regione a temperatura più alta, nella parte sudoccidentale della superficie stellare; le osservazioni visive hanno mostrato che l'asse di rotazione di Betelgeuse ha un'inclinazione di circa 20° rispetto alla direzione della Terra e un angolo di posizione di circa 55°. Si è dunque ipotizzato che il punto caldo osservato nell'immagine ultravioletta potesse coincidere con una delle regioni polari della stella. A causa del fenomeno della precessione degli equinozi, le coordinate di Betelgeuse variano sensibilmente col trascorrere del tempo. L'ascensione retta di Betelgeuse è pari a 5h 55m, ossia estremamente prossima alle 6h, che corrisponde al punto più settentrionale che l'eclittica raggiunge a nord dell'equatore celeste e dunque segna anche il punto più settentrionale che un oggetto celeste, che si trova presso di essa, può raggiungere. Dunque Betelgeuse si trova alla sua declinazione più settentrionale, che corrisponde a circa +7°. Nell'epoca precessionale opposta alla nostra, avvenuta circa 13 000 anni fa, Betelgeuse aveva una coordinata di ascensione retta pari a 18h, che corrisponde alla declinazione più meridionale che un oggetto può raggiungere; sottraendo ai +7° attuali un valore di 47°, pari al doppio dell'angolo di inclinazione dell'asse terrestre, si ottiene la declinazione di −40°. Questo significa che 13 000 anni fa Betelgeuse era una stella piuttosto meridionale e poteva essere osservata solo a sud del 50º parallelo nord. Dunque, per buona parte dell'epoca precessionale completa, Betelgeuse non sarebbe osservabile da molte regioni dell'emisfero boreale. A questo movimento sarebbe poi da aggiungere il moto proprio della stella, che però ha effetti minimi sulla sua posizione apparente, data la grande distanza. Betelgeuse ha raggiunto la massima declinazione nord, assieme a quasi tutta la costellazione di Orione, che si trova ora a cavallo dell'equatore celeste. Tra circa 5 000 anni, l'intera figura di Orione, compresa Betelgeuse, si troverà interamente nell'emisfero australe.

Dove si trova Betelgeuse

La maggior parte delle stelle della costellazione di Orione appartiene ad un'associazione stellare, l'associazione Orion OB1, di cui fanno parte quasi tutte le stelle blu visibili nella costellazione, in particolar modo quelle che costituiscono la Cintura e la Spada, che si trova in stretta associazione con il vasto complesso di nubi molecolari giganti noto come complesso di Orione. L'associazione si suddivide in quattro sottoassociazioni di stelle OB di differenti età, dalle più giovani fino a quelle più antiche, formatesi a partire da 10 milioni di anni fa.[44] Betelgeuse si trova all'incirca a metà strada tra questa struttura (da cui dista circa 200 pc, ~ 650 anni luce) e il sistema solare da cui dista circa 600-640 anni luce. Per lungo tempo la distanza della stella, calcolata mediante il metodo della parallasse, era stimata intorno ai 427 anni luce; tuttavia una nuova misurazione della parallasse, compiuta tramite il satellite Hipparcos e le osservazioni condotte nel visibile e nel continuum radio dal Very Large Array (VLA), colloca la stella alla distanza ritenuta più plausibile; tuttavia la misura è affetta ancora da una certa incertezza, per via delle caratteristiche intrinseche della stella che rendono difficoltosa la misurazione della parallasse, che ammette un intervallo di distanze compreso tra 595 e 790 a.l.[4] Il moto proprio della stella rispetto al mezzo interstellare circostante è pari a circa 30 km/s ed è rivolto a NE, verso la vicina costellazione dei Gemelli, in direzione del piano galattico. Questo alto valore di moto proprio, associato a valori altrettanto elevati di velocità radiale, rende Betelgeuse una stella moderatamente run-away; questi valori sono simili a quelli delle stelle che costituiscono il raggruppamento di 25 Ori, situato nella sottoassociazione Orion OB1a. Le proiezioni del moto della stella a ritroso nel tempo hanno mostrato che la stella non avrebbe mai avuto alcune relazioni con l'associazione OB e che anzi si sarebbe originata in una regione di spazio al di fuori del disco galattico; tuttavia quest'ipotesi non è stata presa in considerazione, dal momento che le regioni di formazione stellare si trovano fondamentalmente nei pressi del piano della Galassia. Gli astronomi hanno formulato una seconda ipotesi, secondo cui la stella si sia formata o in un'associazione, oggi estinta, che si trovava a SE di OB1a, oppure, considerando anche l'età stimata per Betelgeuse pari a circa 10 milioni di anni[5] e coincidente con l'età stimata per l'associazione, che la stella si sia formata nei pressi dell'associazione, ma che abbia subito due accelerazioni gravitazionali che l'hanno portata nell'attuale posizione: una prima che l'avrebbe spostata dalla regione di formazione a circa 200 pc dal sistema solare e una seconda, avvenuta circa un milione di anni fa, responsabile dell'attuale moto proprio. Questa seconda accelerazione sarebbe stata causata dall'esplosione, nella regione compresa tra l'associazione e la vicina bolla di Eridano, di una o più supernovae, le cui onde d'urto avrebbero modificato il moto di rivoluzione dell'astro attorno al centro galattico in un moto lineare. Betelgeuse e il complesso si trovano all'interno della Via Lattea e precisamente nel Braccio di Orione, un braccio galattico secondario posto tra il Braccio di Perseo e il Braccio del Sagittario al cui interno è situato anche il nostro sistema solare; i due bracci sono separati da circa 6500 anni luce di distanza.

Come funziona Betelgeuse?

Betelgeuse è una stella di particolare interesse per gli astronomi: infatti è la terza stella per diametro angolare apparente visto dalla Terra, dopo il Sole ed R Doradus, una gigante rossa più piccola di Betelgeuse che appare più grande solo in virtù della sua minor distanza dal sistema solare. Inoltre è una delle poche stelle che i telescopi, sia di terra sia spaziali, sono riusciti a risolvere come un disco e non solamente come un punto luminoso. Betelgeuse è stata una delle prime stelle il cui diametro sia stato misurato tramite l'utilizzo di tecniche interferometriche, come l'interferometria a macchie e l'interferometria a maschera d'apertura, che hanno permesso di determinarne il diametro angolare apparente: 59,2 mas (milliarcosecondi) nel visibile, 54,7 ± 0,3 mas nell'infrarosso. La discrepanza di quasi cinque millisecondi d'arco è dovuta al fatto che l'osservazione nell'infrarosso non prende in considerazione ogni eventuale contributo luminoso causato dai punti caldi, che appaiono meno apprezzabili a queste lunghezze d'onda, e abbatte in maniera considerevole gli effetti dell'oscuramento al bordo; ed è proprio l'accentuato oscuramento al bordo della stella, associato al fatto che la stella stessa come tutte le supergiganti rosse non possiede un bordo ben definito, a rendere estremamente difficoltoso definire con esatta precisione le dimensioni della stella. La combinazione di questo dato con la distanza dell'astro, stimata in 640 anni luce, consente di determinare con una certa approssimazione il raggio effettivo della stella che sarebbe compreso mediamente tra le 990 e le 1000 volte quello solare, corrispondenti a 4,6 unità astronomiche (UA). Queste dimensioni rendono Betelgeuse una delle stelle più grandi conosciute: se la stella si trovasse al posto del Sole la sua superficie si addentrerebbe nella fascia principale degli asteroidi, arrivando ad inglobare l'orbita di Giove. Le grandi dimensioni sono anche, in parte, all'origine dell'elevata luminosità della stella, che nel visibile è circa 9400 volte la luminosità solare; combinando questo valore con la distanza, si ottiene una magnitudine assoluta pari a −5,14. Tuttavia, se si tiene in considerazione l'emissione alle altre lunghezze d'onda dello spettro elettromagnetico, in particolare nell'infrarosso, la stella raggiunge una luminosità nettamente superiore, oltre 135 000 volte quella del Sole; ciò la rende una tra le stelle più luminose conosciute. La ragione di questa grande emissione nell'infrarosso è dovuta alla bassa temperatura superficiale (circa 3500 K) che, in conformità con la legge di Wien, fa sì che il picco dell'emissione luminosa si collochi nell'infrarosso; infatti l'astro emette solamente il 13% della sua energia radiante sotto forma di luce visibile. Se l'occhio umano fosse sensibile a tutte le lunghezze d'onda dello spettro elettromagnetico, Betelgeuse sarebbe la stella più brillante del cielo ed apparirebbe con una magnitudine apparente vicina a quella del pianeta Venere (−4,6). La grande superficie radiante non è sufficiente a spiegare questa luminosità; pertanto si stima che la stella possieda una massa piuttosto elevata, che gli astronomi hanno quantificato, grazie a simulazioni computerizzate, in 15-20 masse solari. Tuttavia il limite di incertezza è ancora piuttosto elevato, tanto che alcuni astronomi non considerano remota la possibilità che la stella abbia una massa inferiore, intorno a 10-12 volte la massa del Sole. Considerando insieme dimensioni e massa, la densità della stella risulta estremamente bassa: infatti, sebbene il volume dell'astro sia oltre 160 milioni di volte il volume del Sole, il rapporto massa-volume dà una densità media di 2-9 × 10−8 volte quella della nostra stella,[6] una densità addirittura inferiore al miglior vuoto spinto realizzabile sulla Terra. La bassissima densità è tuttavia una caratteristica comune a tutte le supergiganti rosse. I risultati di alcuni studi, resi noti nel corso del 214º convegno dell'American Astronomical Society, hanno mostrato che Betelgeuse ha subito dal 1993 al 2009 una contrazione delle sue dimensioni che sembra essere indipendente dalla sua variabilità, pari al 15%. Infatti le indagini a lungo termine, condotte nell'infrarosso a λ=11,15 µm dall'Infrared Spatial Interferometer dell'osservatorio di Monte Wilson, hanno dimostrato che il raggio della stella si è progressivamente rimpicciolito negli ultimi sedici anni, passando da 5,6 a 4,8 UA, una riduzione pari alla distanza che separa Venere dal Sole. La causa di questa contrazione è oggetto di studio. Alcuni astronomi ipotizzano che possa trattarsi di un'oscillazione dimensionale a lungo termine, dovuta a un collasso gravitazionale o a un'espulsione di materia collegata alla sua imminente esplosione in supernova. Altri invece ritengono che più semplicemente la stella, in seguito alla sua rotazione, stia ora mostrando una differente porzione della sua superficie molto irregolare. Betelgeuse è una tra le prime stelle, eccezion fatta per il Sole, sulla cui fotosfera, ovvero la sua superficie visibile, siano state osservate da un telescopio delle strutture attive. La scoperta è stata effettuata e puntualizzata in più tappe, dapprima grazie a campagne osservative condotte a Terra mediante l'uso di interferometri a maschera d'apertura, poi dallo spazio tramite il telescopio spaziale Hubble, quindi grazie a osservazioni ad altissima risoluzione effettuate dal Cambridge Optical Aperture Synthesis Telescope. La fotosfera di Betelgeuse presenta un fortissimo oscuramento al bordo, associato a un aspetto piuttosto asimmetrico ed irregolare; questo aspetto è attribuito alla presenza dei cosiddetti punti caldi, ovvero delle regioni a temperatura molto maggiore, anche di oltre 2000 K, di quella delle regioni circostanti. Si ritiene che i punti caldi siano prodotti da gigantesche celle convettive distribuite in maniera disomogenea su tutta la superficie. Le osservazioni spettroscopiche mostrano delle variazioni nella velocità e nella temperatura delle celle, su un tempo di circa 400 giorni, che delineano il sistematico, ma caotico, moto di risalita e ricaduta del materiale fotosferico al loro interno. La spiegazione più plausibile di queste variazioni risiede nelle oscillazioni di breve durata che accompagnano la formazione di nuove celle convettive giganti sulla superficie della stella. La formazione delle celle giganti sarebbe da imputarsi alla presenza del campo magnetico, che si ritiene possa essere generato da una dinamo locale a piccola scala presumibilmente simile alla dinamo solare. Al di sopra della fotosfera si estende una vasta atmosfera che si sviluppa a partire dalla superficie sino a oltre 34 unità astronomiche, quasi 10 volte il raggio della stella. L'atmosfera di Betelgeuse è stata studiata fondamentalmente mediante le osservazioni condotte dal VLA nelle onde radio alla lunghezza di 7 mm. Le osservazioni condotte in questa banda hanno mostrato che l'atmosfera è costituita quasi totalmente da un gas rarefatto la cui temperatura possiede un valore prossimo alla temperatura fotosferica a una distanza dalla stella pari al suo raggio e quindi tende a diminuire man mano che aumenta la distanza dalla stella. Questa tendenza è stata confermata dalle osservazioni nell'ultravioletto del telescopio Hubble che però ha riscontrato che la bassa atmosfera, la cromosfera che si estende dalla superficie della stella sino ad una distanza da essa di poco inferiore al suo raggio, possiede una temperatura di gran lunga superiore, pari a 5500 ± 400 K. La ragione di questa temperatura insolitamente alta è stata imputata dagli astrofisici alla collisione tra il flusso di gas che si originerebbe dalla sommità delle celle convettive fotosferiche, da cui si dipartono dei vasti pennacchi, e il gas atmosferico; questo fenomeno sarebbe anche il principale responsabile della forte asimmetria morfologica riscontrata nelle osservazioni dell'atmosfera della supergigante. Inoltre la rilevazione delle linee di assorbimento dell'Hα ha suggerito agli astrofisici che la cromosfera abbia un'estensione piuttosto vasta e mostri delle espansioni e delle contrazioni a intervalli di tempo irregolari. I dati raccolti dallo strumento AMBER del Very Large Telescope dell'European Southern Observatory (ESO) hanno permesso di individuare delle macroturbolenze e dei vigorosi spostamenti convettivi di gas in varie aree dell'atmosfera stellare a ridosso della fotosfera, macroturbolenze che generano delle bolle di gas di dimensioni paragonabili a quelle della stella stessa. Inoltre è stato visualizzato un esteso involucro asimmetrico, denominato MOLsphere (contrazione dell'inglese molecular sphere, sfera molecolare), che si estende a una distanza dalla stella pari a 1,4−1,5 volte il suo raggio. Al suo interno sono stare rilevate cospicue quantità di CO e CN, corroborando i risultati dell'indagine spettroscopica che ha rilevato la presenza di una certa abbondanza di carbonio, azoto ed ossigeno, elementi di natura endogena che sarebbero stati nucleosintetizzati in eccesso come intermedi del ciclo CNO e poi portati in superficie dai moti convettivi degli strati interni della stella. È stata scoperta anche la presenza di un tenue inviluppo costituito da vapore acqueo, che appare piuttosto debole all'osservazione nell'infrarosso medio (λ= 5-25 µm). I modelli fisici formulati mostrano che la stella ha una metallicità, ovvero una quantità di elementi più pesanti dell'elio, simile a quella del Sole. Betelgeuse è circondata da un'estesa nube di polveri e gas che essa stessa ha emesso. Queste polveri si generano all'interno della MOLsphere, dove la temperatura è sufficientemente bassa (~ 1500 K) da consentire l'aggregazione degli atomi in molecole e complessi sovramolecolari. La pressione di radiazione dovuta alla forte luminosità della stella trasporta poi questi granuli di polvere verso lo spazio circostante, dando luogo ad un vento stellare dalla velocità piuttosto bassa di circa 17 km/s e conseguentemente molto polveroso. Tramite il vento la stella perde massa al ritmo molto elevato di circa 10−7-10−6 M☉ l'anno. Le immagini ad altissima risoluzione ottenute nel visibile e nell'infrarosso vicino tramite l'ottica adattiva NACO del VLT e la tecnica del lucky imaging hanno permesso di far luce sui meccanismi alla base della perdita di massa, comune a tutte le supergiganti rosse. Infatti le immagini hanno mostrato la presenza di un vasto pennacchio di gas che si diparte dal quadrante sudoccidentale della superficie di Betelgeuse e si estende nello spazio circostante per circa sei volte il raggio della stella, pari alla distanza che separa il Sole da Nettuno. La scoperta di questo pennacchio ha evidenziato come la perdita di massa non abbia luogo omogeneamente da tutta la superficie stellare, ma da specifiche aree che coincidono con le bolle convettive giganti dell'atmosfera. La materia espulsa dal vento va a costituire attorno alla supergigante una serie di nebulosità e anelli di polveri che presentano delle strutture piuttosto complesse e irregolari. Un primo, parziale anello di polveri si trova a una distanza dalla stella pari a tre volte il suo raggio; a circa 400 UA è presente un altro addensamento nebulare, costituito prevalentemente da polveri di alluminio e silicati e un accumulo più consistente è stato trovato ad una distanza di 650 UA. A 12 000 UA di distanza si ha un ulteriore addensamento di polveri, mentre a una distanza tripla (36 000 UA) è stata riscontrata anche la presenza di una grande quantità di gas. Infine più esternamente è stata scoperta l'esistenza di un guscio di polveri che si estende sino a una distanza di circa 3,3 anni luce (~1 pc) dalla stella. Poco oltre lo strato di polveri, a una distanza di circa 3,5 anni luce dall'astro, è stato individuato, mediante osservazioni agli infrarossi condotte dal telescopio IRAS e più recentemente dal telescopio spaziale AKARI, progettato e costruito dall'agenzia spaziale giapponese (JAXA), un bow shock che si origina dalla collisione tra il vento della stella e il mezzo interstellare circostante. Se osservata a λ = 60 µm relativamente stretta, questa formazione appare asimmetrica e orientata lungo la direzione del moto della stella; la massa complessiva della materia confinata in questa regione sembra ammontare a 0,14 M☉. Betelgeuse è una variabile semiregolare, un particolare tipo di variabile pulsante caratterizzato da imprevedibili e spesso elevate fluttuazioni nella luminosità con una ciclicità di qualche mese, che nel caso di Betelgeuse è tra 150 e 300 giorni, che si sovrappongono a periodi di variazione luminosa quasi regolari più estesi, in questo caso di 2070-2355 giorni ovvero circa 5,7 anni; durante questo lasso temporale la stella oscilla senza preavviso intorno alla sua magnitudine apparente media pari a 0,5, con escursioni luminose variabili da ciclo a ciclo. I dati in possesso dell'American Association of Variable Star Observers (AAVSO) mostrano che la magnitudine della stella raggiunse il minimo di 0,2, durante i massimi del 1933 e del 1942, quando arrivava a rivaleggiare con la luminosità di Rigel, mentre il massimo di 1,2, con i minimi del 1927 e del 1941, quando raggiungeva una brillantezza appena superiore a quella della vicina Bellatrix. Le osservazioni registrate in altre epoche, in particolare quelle di John Herschel, mostrarono che in altri periodi Betelgeuse arrivò ad avere anche un intervallo di luminosità ben più ampio di quello misurato dall'AAVSO, con punte di −0,1 nel massimo del 1852 quando superò la luminosità di Rigel, e minimi di luminosità con magnitudine 1,3 e punte anche di 1,5 e 1,6. Dunque è una stella variabile di particolare interesse osservativo: infatti nessun'altra stella di prima grandezza mostra delle marcate variazioni di luminosità in intervalli di tempo così relativamente brevi come Betelgeuse. I meccanismi alla base delle variazioni luminose della stella non sono stati ancora completamente chiariti, sebbene siano stati oggetto di studi intensivi; per questo motivo è stato necessario ricorrere allo sviluppo di modelli fisico-matematici che spiegassero il fenomeno osservato. Il modello più accreditato da parte degli astronomi prevede che la stella vada incontro per alcuni anni a una lenta espansione, seguita poi da una repentina contrazione degli strati più esterni, che ne provocano una variazione nella superficie radiante, nella temperatura e dunque nell'emissione luminosa. Le supergiganti rosse manifestano delle pulsazioni per via di instabilità atmosferiche: quando la stella è più contratta, l'atmosfera assorbe una maggiore quantità dell'energia irradiata dalla fotosfera, sicché si riscalda e, in conformità alle leggi dei gas, si espande. Durante la fase di espansione, la densità dell'atmosfera diminuisce; di conseguenza l'energia luminosa l'attraversa con maggiore facilità, mentre il gas si raffredda e man mano si contrae nuovamente. Tuttavia il ciclo di pulsazioni avviene su Betelgeuse con una certa asimmetria, probabilmente dovuta al contributo dei punti caldi cromosferici. Durante il ciclo pulsatorio, Betelgeuse varia le proprie dimensioni di oltre il 60%, passando da circa 840 ad oltre 1400 R☉. Inoltre la variabilità della stella sembra esser correlata a periodi di grosse espulsioni di massa e maggior formazione di polveri, così come all'oscillazione, con un andamento secondario di 420 giorni, dei punti caldi riscontrati in superficie. Alcune particolarità riscontrate nelle osservazioni interferometriche, in particolare l'interferometria a macchie, hanno indotto alcuni astronomi ad ipotizzare la presenza di eventuali compagni stellari in orbita attorno a Betelgeuse. Nel 1985 l'astrofisica Margarita Karovska suggerì la presenza di una possibile compagna ad una distanza di 2,5 raggi stellari dalla primaria, con un periodo orbitale di 2,2 anni.[20] Le osservazioni interferometriche da lei stessa condotte l'anno successivo avrebbero individuato la presenza di una seconda compagna, consentendo di determinare con migliore approssimazione i parametri orbitali di entrambe: la prima si troverebbe ad una distanza angolare di 0,06 secondi d'arco dalla principale, con un angolo di posizione di 273°; la seconda a 0,51 secondi d'arco (circa 40-50 UA di distanza dalla primaria), con un angolo di posizione di 278°. La Karovska calcolò una possibile orbita per l'ipotetica compagna più vicina: adottando un valore di 20 M☉ per la massa di Betelgeuse e 4 per la compagna, le due stelle dovrebbero orbitare attorno al comune baricentro in un periodo di 2,08 anni e disterebbero 4,7 UA l'una dall'altra. Stando alle rilevazioni, la componente minore dovrebbe essere una gigante gialla di tipo almeno G5, avente un raggio 10 volte quello del Sole; è stato anche ipotizzato un trasferimento di massa tra le due componenti, attraverso un disco di accrescimento attorno alla più piccola. La grande vicinanza di questa ipotetica stella ha indotto alcuni astronomi ad ipotizzare che essa, anche se solo per una minima parte del proprio periodo orbitale, potrebbe attraversare gli strati più esterni della supergigante, non solamente la sua atmosfera; questo fenomeno sarebbe possibile per via della bassissima densità dei livelli esterni della supergigante rossa. Le successive osservazioni non hanno confermato la presenza di questi compagni attorno alla stella; pertanto, in attesa di future scoperte che facciano luce con maggior chiarezza su tale eventualità, Betelgeuse continua ad essere considerata una stella singola. Betelgeuse si trova nelle ultime fasi della propria evoluzione: la fase di supergigante rossa, altamente instabile, è infatti il preludio all'estinzione dell'astro. Gli astronomi ritengono che Betelgeuse, per via della sua massa, durante la sua fase di sequenza principale sia stata una stella di classe B, dal tipico colore bianco-azzurro, e che sia rimasta in questa fase per almeno 8-10 milioni di anni. Conclusa questa fase di stabilità, nell'ultimo milione di anni la stella avrebbe subito una serie di collassi che ne avrebbero innescato le successive reazioni nucleari, provocandone alla fine l'espansione allo stato attuale di supergigante rossa. Data la sua grande massa, gli astronomi ritengono che la stella concluderà la propria esistenza esplodendo in una brillantissima supernova di tipo II. Non si sa con esattezza quando ciò avverrà; le opinioni sono differenti. Alcuni vedono la variabilità della stella come un indizio del fatto che si trovi già nella fase di fusione del carbonio in ossigeno e neon e sia quindi a qualche migliaio di anni dalla fine. Altri rifiutano questa ipotesi, ritenendo che sarà necessario ancora qualche milione di anni prima che si verifichi l'esplosione; altri ancora non ritengono improbabile che il fenomeno possa essere già avvenuto, ma escludono che sarà visibile entro un tempo relativamente breve (su scala umana), al massimo qualche secolo. Pur non essendo noto quando Betelgeuse diverrà una supernova, è possibile determinare tramite modelli fisico-matematici la complessa serie di eventi che precederà e seguirà l'esplosione della stella. Come modello è stata presa l'esplosione di una tipica supernova di tipo II-P, caratterizzata da una curva di luce che mostra un appiattimento (plateau) indicante un periodo in cui la luminosità diminuisce ad un ritmo molto lento. La stella si è mantenuta in vita grazie alle reazioni di fusione nucleare (nucleosintesi) all'interno del suo core, che hanno sprigionato l'energia necessaria a contrastare la forza di gravità che altrimenti avrebbe fatto collassare l'astro su se stesso. Mentre le stelle meno massicce (come il Sole), nelle fasi seguenti la sequenza principale fondono l'idrogeno in uno strato superiore al nucleo di elio e, solamente qualora la massa sia sufficiente, possono arrivare a fondere l'elio in carbonio ed ossigeno,[80] le stelle massicce, conclusa la fusione dell'elio in carbonio, raggiungono nei loro nuclei le condizioni di temperatura e pressione necessarie a far avvenire la fusione di quest'ultimo in elementi più pesanti: ossigeno, neon, silicio e zolfo. I prodotti finali della nucleosintesi sono il nichel-56 (56Ni) e il cobalto-56 (56Co), risultato del processo di fusione del silicio. Nichel-56 e cobalto-56 decadono rapidamente in ferro-56 (56Fe), che si deposita inerte al centro della stella. Quando il nucleo ferroso raggiunge una massa superiore al limite di Chandrasekhar, esso diviene instabile e collassa in una stella di neutroni; la formazione della stella di neutroni provoca l'emissione di un flusso di circa 1046 joule di neutrini, che impiega circa un'ora per attraversare lo strato esterno di idrogeno della stella e fuggire nello spazio circostante. Il collasso genera una serie di onde d'urto che, dopo aver impiegato circa un giorno per raggiungere la superficie stellare, ne provocano lo smembramento, dando luogo ad un improvviso flash di radiazione ultravioletta di intensità pari a 100 miliardi di volte la luminosità solare. Nelle due settimane successive all'esplosione, la luminosità totale della supernova subisce inizialmente una diminuzione, per poi raggiungere la brillantezza massima, mentre il materiale espulso si espande, raffreddandosi, fino ad una distanza pari a 100 UA dalla stella. A questo punto, la supernova permane in uno stato stazionario (simboleggiato dal plateau della curva di luce) per circa 2-3 mesi, durante i quali la luminosità assoluta si attesta su un valore pari a un miliardo di volte quella del Sole, mentre la temperatura effettiva si mantiene sui 6000 K.[77] Dalla distanza di 640 anni luce, Betelgeuse sarà visibile dalla Terra con una magnitudine apparente di −12, pari a quella di un quarto di Luna. In questa fase Betelgeuse risulterà visibile anche durante le ore diurne e tali condizioni perdureranno per diversi mesi, compatibilmente col tasso di diminuzione della luminosità. Gli anni immediatamente seguenti saranno segnati dal decadimento radioattivo del cobalto-56 in ferro-56. Nel millennio successivo all'esplosione gli strati esterni che costituivano la stella si espandono sino a raggiungere i 20 anni luce di estensione, diventando sempre più freddi e rarefatti e poco luminosi; si forma così il resto di supernova, che arricchirà il mezzo interstellare circostante degli elementi pesanti prodotti dalla stella sia durante le sue ultime fasi di vita sia nel corso dell'esplosione. Nonostante la relativa vicinanza, si ritiene che le radiazioni emesse dall'esplosione di Betelgeuse non causeranno grossi danni alla biosfera del nostro pianeta. Per via della sua luminosità nel cielo notturno e del suo colore rosso pieno Betelgeuse ha avuto una certa influenza sulla cultura e sulla mitologia di diversi popoli antichi e moderni. Il suo intenso colore rosso le ha fruttato numerosi epiteti bellici, come la Stella Marziale, e nell'astrologia è considerata foriera di onori militari o civili.

Etimologia

Il nome Betelgeuse viene dall'arabo يد الجوزاء (Yad al-Jawzā), "la mano di al-Jawzā, tradotto come "il Gigante" e "Colui che sta al Centro": tali epiteti, con cui ci si riferiva dapprima alla vicina costellazione dei Gemelli, sono poi passati a designare la costellazione di Orione. L'esperto di nomenclatura stellare tedesco Paul Kunitzsch notò tuttavia come gli Arabi caratterizzassero la costellazione con attributi femminili; pertanto, la traduzione più consona di al-Jawzā sarebbe "Colei che sta al Centro". È oggetto di dibattito quale sia effettivamente questo "centro" cui si fa riferimento nel nome: alcuni sono propensi a ritenere che si tratti del "Centro del Cielo", dato che la costellazione di Orione giace sull'equatore celeste; altri ritengono che originariamente la costellazione o una parte di essa dovesse simboleggiare una particolare razza ovina, la quale era caratterizzata da una macchia o cintura bianca nella pelliccia nella regione addominale o comunque in una porzione centrale del corpo.[24] Kunitzsch ritiene che il nome attuale derivi dalla corruzione, durante l'epoca medioevale, del nome originario in بد الجوزاء Bad al-Jawzā, dovuta ad un errore di traslitterazione dall'arabo al latino (Bedalgeuze) causato forse dalla confusione della lettera ي, yāʼ, che codifica il fonema /y/, con la lettera ب, bāʼ, che codifica il suono /b/;[6] le ragioni di questo errore sarebbero da ricondurre al fatto che le due lettere, ad inizio parola, sono molto simili e differiscono solo per un segno diacritico (la yāʼ possiede due punti inferiori, mentre la bāʼ ne possiede uno solo). Così trasformata, la perifrasi venne ad assumere il significato di "ascella di Colei che sta al Centro", sebbene più correttamente in lingua araba il termine "ascella" sia ابط Ibţ; sarebbe questo il motivo che portò nel 1899 Richard Hinckley Allen ad ipotizzare, erroneamente, che fosse ابط الجوزاء Ibţ al-Jawzā il nome originario della stella. L'errore non ricevette alcun emendamento, preservandosi e trasformandosi durante il Rinascimento in Bait al-Jawzā, da cui deriva la forma corrente. In tedesco il nome della stella presenta un'ulteriore corruzione, dovuta all'errata interpretazione della "l" come una "i": il risultato è Beteigeuze. Nel corso del diciannovesimo e nei primi anni del XX secolo godettero di una discreta diffusione anche altre varianti del nome, come Betelgeuze o Betelgeux, ma entrambe sono state rimpiazzate da Betelgeuse, che si è affermato come grafia standard. Altri nomi con cui la stella è nota sono:

  • in arabo al-Dhirāˁ ("il braccio"), al-Mankib ("la spalla") ed al-Yad al-Yamin ("la mano destra");
  • in hindi Ardra;[87]
  • in farsi Besn ("il braccio");
  • in copto Klaria ("bracciale");
  • in giapponese 平家星 ("La stella del clan Heike");
  • altri nomi derivati dall'originale arabo: Bed Elgueze, Beit Algueze, Ied Algeuze e Yedelgeuse.

Non sembrano esistere leggende specifiche su Betelgeuse, forse perché gran parte della mitologia si è sviluppata più sull'intera figura di Orione che non su una sua specifica stella.[86] È noto che l'antico nome sanscrito della stella era बहु Bahu, che significa "il Braccio"; tuttavia R. H. Allen sostiene che il nome si riferisse non ad un arto umano, ma che si trattasse di una delle zampe di un'antilope predata dal vicino Mrigavyadha, il cacciatore impersonato dalla stella Sirio. Robert Burnham, Jr. nota come lo scrittore di horror-fantasy Howard Phillips Lovecraft identifichi Betelgeuse come la patria dei "Grandi Antichi", creature infinitamente sagge venerate come divinità nel Ciclo di Cthulhu, mentre gli Elfi della Terra di Mezzo dei romanzi di J. R. R. Tolkien chiamino o Betelgeuse o Aldebaran col nome Borgil, "la Stella di Fuoco". Betelgeuse è spesso citata in racconti a carattere fantascientifico. Nella serie di romanzi Guida galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams, Ford Prefect, uno dei personaggi, proviene da un mondo "nelle vicinanze di Betelgeuse",[94] mentre nel romanzo Il pianeta delle scimmie Betelgeuse è la stella attorno a cui orbita il pianeta Soror, sul quale è ambientata la storia. Nella serie Star Trek, la stella è sede di un sistema planetario posto entro l'area di influenza della Federazione dei Pianeti Uniti, sul cui secondo pianeta (Betelgeuse II) vive una razza aliena piuttosto oscura, i Betelgeusiani. Dal nome della stella trae spunto anche il nome di un pianeta dell'universo di Dune di Frank Herbert: si tratta di Bela Tegeuse, il "quinto pianeta di Kuentsing". Betelgeuse (pronunciato /ˈbiːtəldʒuːz/, come l'inglese beetle juice, "succo di scarafaggio") è anche il nome di uno spiritello mascalzone, protagonista del film Beetlejuice - Spiritello porcello di Tim Burton. Il nome dello spirito, stando ad una dichiarazione dello sceneggiatore del film, Michael McDowell, deriva proprio da quello della stella. La stella è nominata anche in numerosi manga, sia come astro principale di un sistema planetario fittizio, sia come nome dei personaggi. In 2001 Nights si immagina l'esistenza di un pianeta terrestre orbitante attorno alla supergigante: il suo clima è caldo tropicale (ovviamente quando Betelgeuse non era una supergigante il corpo celeste doveva risultare ghiacciato), con scarsità di ossigeno nell'atmosfera ed una flora che si è evoluta fino a sviluppare la capacità di proiettare nello spazio "arche" biologiche cariche di semi dirette verso pianeti abitabili in sistemi stabili. Alcuni personaggi ipotizzano anche l'esistenza di altri pianeti in passato, che sarebbero stati inglobati dalla stella durante la sua espansione. Ne I Cavalieri dello Zodiaco, Betelgeuse è il cavaliere, mandato dal Grande Sacerdote, che scocca la freccia d'oro che raggiungerà il petto di Lady Isabel (la dea Atena), mentre i protagonisti iniziano la scalata alle Dodici Case, avventurandosi verso la Prima Casa di Ariete.

Vega

Vega (AFI: /ˈvɛɡa/; α Lyr / α Lyrae / Alfa Lyrae) è la stella più brillante della costellazione della Lira, la quinta più luminosa del cielo notturno, nonché la seconda più luminosa nell'emisfero celeste boreale, dopo Arturo. Vertice nord-occidentale dell'asterismo del Triangolo estivo, Vega è una stella piuttosto vicina, posta a soli 25 anni luce di distanza, la più luminosa in termini assoluti entro un raggio di 30 anni luce dal sistema solare. Si tratta di una stella bianca di sequenza principale di classe spettrale A0 V, che possiede una massa circa due volte quella solare ed una luminosità circa 37 volte superiore. L'astro è caratterizzato da un'altissima velocità di rotazione sul proprio asse, che gli conferisce l'aspetto di uno sferoide oblato. Questa rapida rotazione, a causa di un fenomeno noto come oscuramento gravitazionale, si riflette sulla temperatura effettiva fotosferica, che varia a seconda della latitudine presa in esame: infatti, si è notato che la temperatura all'equatore è di circa 2000 K più bassa rispetto a quella rilevata ai poli, ed è proprio in direzione di uno di essi che la stella risulta visibile dalla Terra. È inoltre una sospetta variabile Delta Scuti, che manifesta pulsazioni nella luminosità di pochi centesimi di magnitudine ogni 0,19 giorni (circa 4,56 ore). Vega, definita dagli astronomi "la stella più importante nel cielo dopo il Sole", riveste una grande importanza nell'astronomia, dal momento è stata impiegata per calibrare gli strumenti osservativi e come riferimento per la misurazione di alcuni parametri comuni a tutte le stelle; inoltre, circa 12 000 anni fa, a causa della precessione dell'asse terrestre, ha svolto il ruolo di stella polare, e lo ricoprirà nuovamente tra altri 13 700 anni. A metà degli anni ottanta il satellite IRAS ha scoperto che la stella presenta un eccesso di emissione infrarossa, attribuito alla presenza in orbita di un disco di polveri circumstellare. Queste polveri sarebbero il risultato di collisioni plurime tra gli oggetti orbitanti all'interno di una cintura asteroidale, assimilabile alla fascia di Kuiper nel sistema solare. Alcune irregolarità riscontrate nel disco suggerirebbero la presenza in orbita di almeno un pianeta, per massa simile a Giove. Il nome Vega deriva dalla seconda parte del nome in arabo della stella النسر الواقع an-nasr al-wāqi', Aquila che plana. Vega è la quinta stella più brillante del cielo se vista ad occhio nudo, data la sua magnitudine apparente pari a +0,03, che, associata al caratteristico colore bianco-azzurro, la rende facilmente distinguibile anche dal cielo fortemente inquinato delle grandi città. La facile rintracciabilità della stella è favorita anche dal fatto che Vega costituisce uno dei vertici dell'asterismo chiamato Triangolo estivo, le cui componenti sono, oltre a Vega, Deneb (α Cygni) e Altair (α Aquilae). Questo esteso triangolo rettangolo è molto ben riconoscibile nei cieli notturni poiché non sono presenti stelle altrettanto luminose nelle sue vicinanze; Vega, la più brillante delle tre, si trova sul vertice nord-occidentale, che coincide con l'angolo retto. Vega domina la costellazione di piccole dimensioni in cui si trova, la Lira, per la maggior parte costituita da stelle relativamente poco luminose; trovandosi quindi in un ambiente povero di stelle luminose, specialmente in direzione ovest, la sua brillantezza risulta particolarmente risaltata. Data la sua declinazione di +38,7°, Vega è una stella dell'emisfero celeste boreale; questa declinazione fortemente settentrionale fa sì che essa possa risultare visibile solo da latitudini a nord di 51° S, mentre a nord di 51° N appare circumpolare, ossia non tramonta mai sotto l'orizzonte. Alle latitudini temperate boreali la stella può essere osservata vicino allo zenit durante le serate estive; in realtà, in virtù della sua posizione molto settentrionale, da questo emisfero è visibile per la gran parte dell'anno. L'astro inizia a diventare ben visibile, in direzione est, nelle sere di fine aprile-inizio maggio; in quest'occasione appare come la seconda stella più brillante della notte, dopo Arturo, che è lievemente più luminosa. Durante i mesi estivi Vega raggiunge il culmine, dominando il cielo; l'astro resta visibile anche durante le serate autunnali in direzione ovest, sempre relativamente alto sull'orizzonte. Il mese di gennaio la vede tramontare sotto l'orizzonte ovest alle luci del crepuscolo, sebbene, poiché si trova molto a nord rispetto all'eclittica, fosse già visibile ad est poco prima dell'alba nel mese di novembre. Alle medie latitudini australi invece si presenta bassa sopra l'orizzonte durante la stagione invernale e permane visibile nel cielo notturno solo per pochi mesi all'anno. Il suo sorgere eliaco avviene a marzo, mentre tramonta col Sole a settembre; il periodo migliore per la sua osservazione nel cielo serale australe è dunque compreso fra luglio e agosto. Vega è ben nota sin dall'antichità, data la sua grande luminosità e il suo brillante colore bianco-azzurro. I pochi riferimenti "scientifici" giuntici da quest'epoca riguardano principalmente i cataloghi stellari compilati dagli astronomi greci e greco-romani (Ipparco e Tolomeo in particolare) e dagli astronomi arabi nel Medioevo. L'astrofotografia, ovvero la fotografia di oggetti celesti, iniziò nel 1840 quando John William Draper riprese un'immagine della Luna. La prima stella ad essere fotografata, a parte il Sole, fu proprio Vega; la stella venne ripresa il 17 luglio 1850 presso l'Harvard College Observatory con un'esposizione di circa cento secondi, sfruttando le tecniche della dagherrotipia. Henry Draper, redattore di un importante catalogo stellare, fu l'autore, nell'agosto 1872, della prima ripresa dello spettro di una stella differente dal Sole: egli infatti immortalò lo spettro di Vega, riuscendo a mostrare per la prima volta la presenza di linee di assorbimento, simili a quelle rilevate nello spettro del Sole. Nel 1879 William Huggins analizzò le immagini dello spettro di Vega e di altre stelle simili, ed identificò un gruppo di dodici "linee molto marcate" che erano comuni a quella categoria stellare: si trattava delle linee della serie di Balmer. Uno dei primi tentativi di misurare una distanza stellare fu compiuto da Friedrich Georg Wilhelm von Struve, che, sfruttando il metodo della parallasse, stimò per Vega il valore di 0,125 arcosecondi. Friedrich Bessel mostrò scetticismo nei confronti della misurazione di Struve e, quando Bessel pubblicò un valore di 0,314″ per la stella 61 Cygni, Struve riesaminò i suoi dati arrivando quasi a raddoppiare la sua precedente stima. Questo fatto gettò discredito sulle misurazioni di Struve e portò ad accreditare Bessel come l'autore della prima misurazione di una parallasse stellare. In realtà, il primo valore ottenuto da Struve per Vega è molto vicino al valore attualmente accettato, pari a 0,129″. Le rilevazioni fotometriche effettuate negli anni trenta hanno mostrato una leggera variazione della luminosità della stella, pari a ± 0,03 magnitudini. Poiché questo valore era al limite della sensibilità degli strumenti dell'epoca, la variabilità di Vega è rimastata un'ipotesi; le osservazioni effettuate nel 1981 presso il David Dunlap Observatory permisero di rilevare nuovamente la presenza di queste leggere variazioni, imputate a pulsazioni intrinseche dell'astro che lo renderebbero quindi una variabile Delta Scuti. Anche se Vega corrisponde in larga parte al profilo fisico caratteristico di questo tipo di stelle variabili, tali variazioni non sono state rilevate da altri osservatori; per questa ragione si è giunti persino a supporre che tali misurazioni siano affette da un errore sistematico nella misurazione. Nel 1983 fu scoperto per la prima volta un disco di polveri attorno a Vega, tramite l'Infrared Astronomical Satellite (IRAS), che rilevò un eccesso di radiazione infrarossa, dovuta all'energia emessa da polvere orbitante che viene scaldata dalla stella. Vega è una delle stelle più interessanti del cielo: la sua posizione, a 39° di declinazione nord e coincidente con le 18h di ascensione retta, fa in modo che venga a trovarsi molto lontano dall'eclittica, al punto da essere la stella di prima magnitudine più vicina al polo nord dell'eclittica, che ricade nella vicina costellazione del Dragone, a poco meno di 27° da essa. A causa del fenomeno conosciuto come precessione degli equinozi, le coordinate celesti di stelle e costellazioni possono variare sensibilmente, a seconda della loro distanza dal polo nord e sud dell'eclittica; un ciclo precessionale ha una durata di 25 770 anni circa, durante i quali l'asse di rotazione terrestre compie un movimento rotatorio descrivendo in cielo due cerchi opposti, uno nell'emisfero nord e uno in quello sud.[20] Nel corso delle epoche l'asse di rotazione visto dalla Terra tende ad avvicinarsi o ad allontanarsi apparentemente da varie stelle; attualmente esso punta il nord in direzione di una stella di seconda magnitudine nota anticamente come Cynosura, la coda dell'Orsa Minore, che oggi prende il nome di Polaris, la stella polare. Fra circa 13 700 anni, quando l'epoca precessionale sarà opposta a quella attuale, l'asse di rotazione terrestre punterà a pochi gradi da Vega, che diventerà così la nuova indicatrice del polo nord celeste; per raggiungerla, l'asse si avvicinerà e attraverserà dapprima la costellazione di Cefeo e infine lambirà la parte nordoccidentale del Cigno. Anche 12 000 anni fa Vega era la Stella Polare, mentre l'attuale Polare, Cynosura, assumerà una declinazione simile a quella che Vega ha al giorno d'oggi, sorgendo e tramontando regolarmente anche nelle regioni di latitudine boreale media. Vega è la più brillante tra tutte le stelle che si sono alternate e si alterneranno nel ruolo di stella polare. Vega è classificata come una stella bianca di tipo spettrale A0 V che si trova nella sequenza principale,[9] dove, come la maggior parte delle altre stelle, sta convertendo nel suo nucleo l'idrogeno in elio per mezzo della fusione nucleare. Durante questa fase di stabilità Vega produce la maggior parte dell'energia che irradia tramite il ciclo CNO, un processo di fusione che, servendosi come intermedi del carbonio, dell'azoto e dell'ossigeno, combina protoni per formare nuclei di elio. Questo processo richiede, per poter avvenire efficientemente, una temperatura di almeno 15 000 000-17 000 000 di K, superiore a quella presente nel nucleo del Sole (circa 13 000 000 -15 000 000[50]), ed è più redditizio del meccanismo usato dalla nostra stella come mezzo principale per produrre energia, la catena protone-protone. Il ciclo CNO è molto sensibile alla temperatura; per questa ragione il nucleo della stella, contrariamente a quanto accade nel nucleo solare, è sede di intensi movimenti convettivi che permettono di "rimescolare" e distribuire uniformemente i materiali residuati dai processi nucleari; la regione sovrastante invece si trova in uno stato di equilibrio radiativo. Questa configurazione è esattamente opposta a quella del Sole, che invece presenta una zona radiativa centrata sul nucleo e una regione convettiva al di sopra di essa. Alla luce poi di una bassa emissione di raggi X, si pensa che la stella possieda una corona molto debole, o addirittura che questa sia inesistente. Vega si trova nella sequenza principale da circa 386 - 511 milioni di anni, e si stima che vi permarrà per almeno altri 700 - 500 milioni di anni; dunque Vega si troverebbe all'incirca a metà della propria sequenza principale, proprio come il Sole, la cui sequenza principale è però dieci volte più lunga. Infatti, le stelle più massicce (e, di conseguenza, più luminose) utilizzano il loro combustibile nucleare più rapidamente delle altre, a causa del fatto che le reazioni nucleari procedono a un ritmo più sostenuto per contrastare il collasso gravitazionale, direttamente proporzionale alla massa, cui la stella è naturalmente soggetta: Vega è infatti circa 2,11 volte più massiccia e circa 37 ± 3 volte più luminosa della nostra stella. Lo scenario successivo al termine della sequenza principale è prevedibile grazie ai modelli fisico-matematici sviluppati sull'evoluzione stellare: infatti, giunta al termine della sequenza principale, la stella attraverserà una serie di fasi di instabilità, che la porteranno dapprima ad espandersi in gigante rossa, quindi, dopo diversi cicli di reazioni nucleari che culmineranno con la produzione del carbonio e dell'ossigeno, a contrarsi in un'evanescente nana bianca. Le osservazioni e le misurazioni fotometriche hanno permesso di scoprire che Vega possiede una piccola variabilità, con un periodo di 0,107 giorni, presumibilmente associata a pulsazioni radiali del corpo celeste; non si è tuttavia certi dell'effettiva appartenenza alla classe delle variabili Delta Scuti, nonostante le caratteristiche fisiche di Vega siano in larga parte corrispondenti a quelle di questa categoria di variabili. La determinazione del raggio di Vega, resa possibile dall'utilizzo di tecniche interferometriche, ha restituito un valore inaspettatamente elevato, pari a circa 2,73 ± 0,01 volte quello solare e superiore di circa il 60% rispetto a quello di Sirio; secondo i modelli fisici invece il diametro di Vega avrebbe dovuto eccedere di non più del 12% il diametro di Sirio. La causa di questa discrepanza fu sin dall'inizio attribuita alla rapida rotazione della stella, dato che ha trovato conferme nelle osservazioni condotte tramite il CHARA Array nel 2005. La velocità di rotazione all'equatore è pari a 274 km/s e corrisponde al 91% della velocità limite che porterebbe una stella a disintegrarsi a causa della forza centrifuga; ad una simile velocità, la stella impiega appena 12,5 ore per compiere una rotazione sul proprio asse. Questa rapida rotazione fa assumere all'astro l'aspetto di uno sferoide oblato, caratterizzato quindi da un forte schiacciamento polare e da un altrettanto pronunciato rigonfiamento equatoriale: il raggio all'equatore è superiore del 23% rispetto al raggio polare. Il raggio polare della stella risulta quindi pari a 2,26 ± 0,02 raggi solari (R☉), mentre il raggio equatoriale è di 2,78 ± 0,02 R☉. È però necessario tener presente che, dato che l'asse di rotazione di Vega risulta inclinato di non più di 5 gradi rispetto alla linea di vista che la congiunge alla Terra,[9] il rigonfiamento equatoriale è osservato in direzione del polo, il che può portare ad una sovrastima del valore effettivo del raggio. Poiché, per effetto della rotazione, l'accelerazione risultante dalla somma vettoriale dell'accelerazione gravitazionale locale e dell'accelerazione tangenziale sui poli è maggiore rispetto all'equatore, per il teorema di von Zeipel anche la luminosità locale e la temperatura effettiva risultano maggiori ai poli: le misurazioni hanno mostrato che i poli che raggiungono una temperatura di 10 000 K, mentre all'equatore è di soli 7 600 K. Di conseguenza, nel rispetto della legge di Stefan-Boltzmann, se Vega fosse osservata dal piano equatoriale, la sua luminosità apparirebbe più che dimezzata.[19][64] Il gradiente termico che si viene a generare crea una regione di convezione nell'atmosfera circostante l'equatore, mentre il resto dell'atmosfera è probabilmente in uno stato di equilibrio radiativo. Questa grande differenza tra i poli e l'equatore produce un effetto di oscuramento gravitazionale: osservata ai poli la stella presenta infatti un bordo più scuro rispetto a quello che si osserverebbe normalmente nel caso di una stella quasi perfettamente sferica (il cosiddetto oscuramento al bordo). Se Vega possedesse una velocità di rotazione ben più inferiore (e quindi fosse simmetricamente sferica) ed irradiasse in tutte le direzioni la stessa quantità di energia che irradia dai poli, la sua luminosità sarebbe 57 volte quella del Sole, un valore ben superiore a quello ottenuto dalle osservazioni;[6] un tale valore sarebbe tuttavia molto più alto rispetto a quello teoricamente previsto per una stella di massa simile a Vega, che non supererebbe le 40 L☉. Lo spettro visibile di Vega è dominato dalle linee di assorbimento dell'idrogeno, in particolare dalla serie di Balmer, costituita, nel visibile, da quattro righe a diverse lunghezze d'onda, che sono prodotte dall'emissione di un fotone da parte dell'unico elettrone dell'atomo di idrogeno che, da uno stato eccitato, si sposta al livello quantico descritto dal numero quantico principale n = 2. Le linee degli altri elementi sono relativamente deboli, e le principali sono relative al magnesio ionizzato, ferro e cromo. Le indagini spettrali hanno permesso di determinare la metallicità della stella; gli astronomi usano il termine "metalli" per definire generalmente gli elementi che hanno un numero atomico superiore a quello dell'elio. La metallicità della fotosfera di Vega è solo il 32% dell'abbondanza di elementi pesanti presenti nell'atmosfera solare; per raffronto il Sole possiede una metallicità (Z) di circa Z☉ = 0,0172 ± 0,002. Quindi, in termini di abbondanza, appena lo 0,54% di Vega consiste di elementi più pesanti dell'elio. Questa metallicità insolitamente bassa rende Vega una stella di tipo Lambda Bootis. Il rapporto tra idrogeno ed elio osservato per Vega è 0,030 ± 0,005, circa il 60% di quello del Sole; questa differenza potrebbe essere dovuta alla mancanza di una zona convettiva poco al di sotto della fotosfera (essa infatti è ubicata, all'interno di Vega, a ridosso del nucleo): il trasferimento dell'energia avviene infatti prevalentemente mediante irraggiamento, il che potrebbe essere all'origine anche di un'anomala diffusione degli elementi all'interno della stella. Le rilevazioni più precise disponibili sul moto spaziale di Vega indicano che la sua velocità radiale, ovvero la componente del moto stellare orientata nella direzione di vista della Terra, è −13,9 ± 0,9 km/s; il segno negativo indica che la sua luce risulta spostata verso il blu, e quindi che la stella è in avvicinamento al sistema solare. Il moto proprio, ovvero la componente del moto trasversale rispetto alla linea di vista, fa sì che Vega si sposti rispetto allo sfondo delle stelle più distanti. Precise misurazioni della sua posizione hanno permesso di calcolare un movimento di 202,04 ± 0,63 milliarcosecondi all'anno (mas/anno) in ascensione retta e 287,47 ± 0,54 mas/anno in declinazione; il movimento netto della stella è di 327,78 milliarcosecondi all'anno, equivalente ad uno spostamento di un grado ogni 11 000 anni. Nel sistema di coordinate galattiche le componenti della velocità della stella sono U = −13,9 ± 0,9, V= −6,3 ± 0,8 e W = −7,7 ± 0,3, dove U indica la velocità rispetto al centro galattico, V rispetto al senso di rotazione galattico e W rispetto al polo nord galattico, con una velocità netta di 17 km/s. La componente radiale, nella direzione del Sole, è −13,9 km/s e la velocità trasversale è di 9,9 km/s. Il raffronto dei dati astrometrici di Vega e di altre stelle hanno mostrato che essa fa parte di un'associazione stellare, l'associazione di Castore, che comprende 16 stelle tra cui Zubenelgenubi (α Lib), Alderamin (α Cep), Castore (α Gem) e Fomalhaut (α PsA). Le componenti dell'associazione si muovono quasi in parallelo con velocità simili (attorno a 16,5 km/s); questa caratteristica implicherebbe una comune origine del gruppo come ammasso aperto da una nube molecolare gigante, il quale nel corso dei milioni di anni si è disperso dando luogo all'attuale associazione. L'età stimata di questo gruppo è circa 200 ± 100 milioni di anni, in linea con l'età media dei membri dell'associazione. Vega dista attualmente 25,3 anni luce dal Sole; da questa distanza l'astro appare come la quinta stella più brillante del cielo. Tuttavia, il suo progressivo avvicinamento al sistema solare la porterà, entro i prossimi 200 000 anni, ad aumentare piuttosto rapidamente la sua luminosità apparente; Sirio è l'attuale stella più brillante del cielo (con una magnitudine di −1,46) e resterà tale ancora per i prossimi 60 000 anni, durante i quali aumenterà la propria luminosità (fino quasi a sfiorare la magnitudine −1,7) per poi andare incontro a un progressivo affievolimento; più in fretta ancora aumenterà la luminosità di Altair, che passerà da un attuale valore di 0,77 a −0,53 in 140 000 anni, per poi decadere altrettanto rapidamente.[83] Arturo si trova attualmente al punto più vicino a noi, dunque in futuro la sua luminosità diminuirà, come quella di Canopo, che fino a 90 000 anni fa era la stella più brillante del cielo. L'attuale stella più vicina a noi è α Centauri, la quale continuerà ad avvicinarsi e ad aumentare in luminosità per i prossimi 25 000 anni, trascorsi i quali l'astro inizierà ad allontanarsi dal sistema solare e a diminuire in luminosità apparente. Le simulazioni suggeriscono che la combinazione del suo moto in avvicinamento e il contemporaneo allontanamento e il conseguente affievolimento di alcune delle stelle più brillanti dell'epoca attuale, renderanno Vega, per il periodo compreso tra 210 000 e 480 000 anni, la stella più brillante del cielo; Vega raggiungerà una magnitudine di picco pari a −0,81 entro 290 000 anni, periodo di tempo necessario perché giunga alla distanza minima di 17 anni luce dal sistema solare. In seguito, la stella si allontanerà, diminuendo progressivamente la sua luminosità apparente fino a raggiungere, nel giro di alcuni milioni di anni, una distanza tale da renderla invisibile ad occhio nudo. La tabella sottostante indica i dati delle magnitudini apparenti delle stelle esaminate nel grafico, con un campionamento di 25 000 anni; il grassetto indica la stella più luminosa nel periodo indicato. Vega è stata utilizzata a lungo come "stella modello" per calibrare i telescopi ed altri strumenti osservativi e come riferimento per la misurazione di alcuni parametri comuni a tutte le stelle, quali magnitudine, luminosità, temperatura effettiva, indice di colore e spettro. La brillantezza di una stella osservata dalla Terra viene espressa tramite una scala logaritmica standard, la magnitudine: si tratta di un valore numerico che decresce all'aumentare della luminosità della stella. Nel cielo notturno le stelle più deboli che possono essere percepite ad occhio nudo sono circa di magnitudine 6, mentre le stelle più brillanti hanno valori di magnitudine negativi. Per standardizzare la scala delle magnitudini, gli astronomi hanno scelto Vega per rappresentare la magnitudine 0; per molti anni quindi la stella fu utilizzata per calibrare le scale di luminosità nella fotometria. Attualmente il valore di magnitudine zero viene tuttavia definito in termini di flusso, poiché risulta di maggiore comodità: Vega infatti non è sempre visibile per effettuare direttamente le calibrazioni. Il sistema fotometrico UBV misura la magnitudine delle stelle mediante filtri ultravioletti, blu e gialli che corrispondono ai valori U, B e V. Vega è una delle sei stelle utilizzate per stabilire i valori medi per questo sistema fotometrico al momento della sua introduzione negli anni cinquanta. La magnitudine media per queste stelle fu definita come U − B = B − V = 0, essendo la medesima per le controparti gialle, blu e ultraviolette dello spettro elettromagnetico.[87] Vega ha quindi uno spettro elettromagnetico relativamente piatto nella regione visibile (350nm<λ<850 nm), in quanto la radiazione che emette ha una densità di flusso di 2000-4000 jansky (Jy). Tuttavia si è notato che la densità di flusso di Vega diminuisce rapidamente nella regione dell'infrarosso, con un valore di circa 100 Jy ad una lunghezza d'onda di 5000 nm (5 micrometri - µm -). La scoperta della sua rapida rotazione potrebbe mettere in discussione molti dei dati formulati assumendo per la stella una simmetria sferica; l'affinamento di queste conoscenze, insieme allo sviluppo di nuovi modelli fisici, permette un miglioramento degli strumenti di calibrazione.[90] Una delle prime scoperte compiute dal satellite IRAS (InfraRed Astronomy Satellite) fu, nel 1983, quella di un eccesso di emissione di radiazione infrarossa da parte di Vega. Misurato alle lunghezze d'onda di 25, 60 e 100 µm, la sua origine è stata circoscritta ad una regione di spazio centrata sulla stella il cui raggio era pari a circa 10 secondi d'arco ("); in base alla distanza stimata della stella, si è dedotto che questo raggio corrispondesse ad un'area di circa 80 unità astronomiche (UA) centrata su di essa. Le prime ipotesi formulate sostenevano che questa radiazione provenisse da un campo di materia orbitante attorno alla stella, che rifletteva sotto forma di radiazione infrarossa la luce che riceveva dalla Vega. Inizialmente si riteneva che questo disco circumstellare fosse costituito da polveri di dimensioni millimetriche; infatti, se le particelle fossero state più piccole, esse sarebbero state spazzate via facilmente dal vento e dalla radiazione della stella, o risucchiate verso di essa a causa dell'effetto Poynting-Robertson. Ulteriori misure, effettuate alla lunghezza d'onda di 193 µm, hanno mostrato un flusso radiativo inferiore a quello previsto dall'ipotesi delle particelle millimetriche, il che suggeriva che le particelle dovessero avere dimensioni ben più modeste, dell'ordine di 100 µm o inferiori. Questo implicava che, per mantenere un simile quantitativo di polveri in orbita, data la loro volatilità, dovesse essere presente una fonte che provvedesse al ricambio di tali materiali. Uno dei meccanismi proposti, ma in seguito scartati, per mantenere costante il livello delle polveri prevedeva la presenza di un disco di materia fusa in procinto di formare un pianeta. I modelli formulati in merito alla distribuzione delle polveri indicavano una disposizione a disco circolare, con un raggio di 120 UA, all'interno del quale era presente una lacuna di raggio non inferiore a 80 UA. Le analisi spettroscopiche hanno mostrato che le polveri del disco di Vega sono composte prevalentemente da grafite ed altri allotropi amorfi del carbonio, con una piccola percentuale (~5%) di silicati, in particolare olivine e forsteriti. Vega è il prototipo di una classe di stelle di sequenza principale che presentano tutte un particolare eccesso di emissione infrarossa, dovuto alla presenza in orbita di un disco di polveri; tali stelle, dette stelle di tipo Vega o, in lingua inglese, Vega-like, rivestono particolare importanza in quanto il loro studio potrebbe fornire importanti indicazioni sull'origine del sistema solare. Nel 2005 il telescopio spaziale Spitzer della NASA ha ripreso delle immagini ad alta risoluzione a diverse lunghezze d'onda dell'infrarosso delle polveri attorno a Vega; a seconda della lunghezza d'onda (λ) presa in considerazione si è notato che le polveri presentano una differente estensione: a λ=24 µm il disco di polveri si estende per 43" (oltre 330 UA), a λ=70 µm per 70" (543 UA) e a λ=160 µm per 105" (815 UA). Le indagini condotte su queste immagini hanno rivelato che il disco si presenta pressoché circolare e privo di addensamenti di materia, e che sarebbe costituito da particelle di dimensioni variabili tra 1 e 50 µm. La massa totale delle polveri è stata stimata in circa 3 × 10−3 volte la massa della Terra.[99] La produzione di tali polveri sarebbe dovuta alle molteplici collisioni che si verificherebbero tra gli asteroidi di una popolazione analoga a quella presente nella fascia di Kuiper del sistema solare; quindi quello in orbita attorno a Vega sarebbe in realtà da considerarsi più un disco di detriti che non un disco protoplanetario, come è stato ipotizzato in precedenza. Il confine interno del disco, posto a circa a 11" ± 2" (70-102 UA), è delimitato dalla pressione della radiazione emessa dalla stella, che quindi spinge verso l'esterno i detriti generati nelle collisioni all'interno della cintura. Tuttavia, per spiegare la continua produzione di polveri osservata, il disco avrebbe dovuto possedere una massa iniziale estremamente grande, stimata in centinaia di volte la massa di Giove; un simile valore risulta, ovviamente, spropositato. Per questo motivo si ritiene più probabile che queste polveri siano state prodotte dalla rottura, a seguito di una collisione recente con una cometa o asteroide di dimensioni medio/grandi, di un oggetto di dimensioni paragonabili a quelle di Plutone, ad una distanza di circa 90 UA dalla stella. Il disco di polveri sarebbe quindi molto più giovane rispetto all'età della stella, e si ritiene che verrà spazzato via dal vento stellare entro mille anni se non avverranno altre collisioni in grado di ristabilire la quantità originaria delle polveri perse. Le osservazioni condotte nell'infrarosso vicino dal CHARA Array nel 2006 hanno rivelato l'esistenza di una seconda banda di polveri più interna, ad una distanza di circa 5-8 UA dalla stella, surriscaldata dalla radiazione stellare sino ad oltre 1500 K. Poiché l'intensa pressione di radiazione della stella sarebbe in grado di spazzar via questa struttura in pochi anni, gli astronomi ritengono che all'interno di essa vi sia un alto tasso di produzione di polveri, dovuto a continue collisioni di corpi cometari o asteroidali. Un simile bombardamento troverebbe una spiegazione ipotizzando la migrazione all'interno del disco maggiore di uno o più pianeti giganti gassosi, i quali avrebbero quindi perturbato le orbite degli asteroidi di questa fascia catapultandoli verso le regioni interne. Queste teorie alimentano l'ipotesi che attorno a Vega possa orbitare quindi un vero e proprio sistema planetario. Le osservazioni effettuate dal James Clerk Maxwell Telescope (JCMT) nel 1997 hanno rivelato una "regione brillante e allungata" ad una distanza di 70 UA da Vega. Si è ipotizzato che questa struttura potesse essere il risultato di una perturbazione del disco di polveri causata da un pianeta o da un altro oggetto orbitante circondato dalle polveri. Gli astronomi del Joint Astronomy Centre, che gestisce il JCMT, hanno ipotizzato che l'immagine potrebbe mostrare un sistema planetario in formazione. Le ricerche condotte dagli astronomi, sfruttando anche i telescopi Keck, non sono riuscite a rilevare l'eventuale radiazione emessa da possibili pianeti o nane brune in orbita attorno alla stella. In una pubblicazione del 2002 si è ipotizzato che i particolari agglomerati nel disco potessero essere causati da un pianeta di massa paragonabile a quella di Giove, posto su un'orbita altamente eccentrica; le polveri si sarebbero accumulate in orbite in risonanza con questo ipotetico pianeta, dando origine ai conglomerati osservati. Nel 2003 è stata formulata un'altra ipotesi, che prevedeva l'esistenza di un pianeta di massa paragonabile a quella di Nettuno, migrato da una distanza di 40 UA fino a 65 UA in circa 56 milioni di anni, con un'orbita sufficientemente ampia da non perturbare le regioni interne del sistema e permettere quindi la formazione di pianeti rocciosi vicini alla stella. La migrazione avrebbe richiesto l'interazione gravitazionale con un secondo pianeta di massa più elevata posto in un'orbita più interna. Nel 2005, mediante l'utilizzo di un coronografo montato sul telescopio Subaru alle Hawaii, gli astronomi sono riusciti ad affinare le stime sulle dimensioni del probabile pianeta, affermando che avrebbe una massa non superiore alle 5-10 masse gioviane. Anche se un pianeta attorno a Vega non è stato ancora osservato direttamente (come è accaduto, al contrario, nei casi di Fomalhaut o HR 8799, due stelle Vega-like), o comunque confermato mediante altri metodi di individuazione, non può essere esclusa la presenza di un sistema planetario, contenente probabilmente anche degli eventuali pianeti di tipo terrestre in un'orbita più vicina alla stella. L'inclinazione orbitale degli eventuali pianeti sarebbe verosimilmente allineata al piano equatoriale della stella. Nel 2021, una pubblicazione su osservazioni degli spettri di Vega in un periodo di tempo di 10 anni, hanno rilevato il segnale di un candidato esopianeta con un periodo di 2,3 giorni; gli autori sostengono che le possibilità che sia un falso positivo sono solo dell'1%. Il pianeta avrebbe una massa minima di 22 volte quella della Terra, tuttavia non è nota l'inclinazione orbitale ed essendo Vega vista da Terra da uno dei suoi poli (i=6,2°) la massa minima richiederebbe un'orbita polare, mentre se il pianeta orbitasse sullo stesso piano della rotazione di Vega la massa sarebbe 10 volte maggiore, ossia 0,6 volte quella di Giove.[108] Un ipotetico osservatore situato su un eventuale pianeta in orbita attorno a Vega vedrebbe il cielo leggermente diverso da quello osservabile sulla Terra: questo perché le distanze dal sistema solare di molte delle stelle più brillanti visibili dal nostro pianeta differiscono in maniera sostanziale rispetto a quelle che le separano da Vega. Altair dista da Vega 14,8 anni luce, contro i 16,7 che la separano dal Sole;[110] apparirebbe quindi appena più brillante (con una magnitudine apparente pari a 0,49) che vista dalla Terra. Lo stesso discorso vale per Arturo, che dista dall'astro principale della Lira 32 a.l. (contro i 37 che la distanziano dal sistema solare), e quindi appare nel cielo di Vega come un oggetto di magnitudine −0,33.[111] Sirio e Procione, rispettivamente prima e ottava stella più brillante del cielo terrestre, distano rispettivamente 33 e 34 a.l. da Vega, il che le farebbe apparire come delle modeste stelle di seconda e terza grandezza. Un aspetto curioso riguarda come apparirebbe il Sole se osservato da Vega. Com'è noto, Vega è visibile dal sistema solare in direzione di uno dei suoi poli; se l'asse di rotazione di questo ipotetico pianeta fosse perpendicolare al piano orbitale, e quindi puntasse nella medesima direzione dell'asse stellare, il Sole apparirebbe come la stella polare. Il Sole apparirebbe comunque come un debole astro di magnitudine 4,2, e risulterebbe visibile alle coordinate diametralmente opposte a quelle alle quali Vega risulta visibile dalla Terra (nel sistema di coordinate equatoriali terrestri sarebbero AR=6h 36m 56,3364s - Dec=−38° 47′ 01,291″), che corrispondono alla regione occidentale della costellazione della Colomba. Non lontano dalla nostra stella risulterebbe visibile Sirio, mentre dalla parte opposta brillerebbe Canopo, che apparirebbe lievemente meno brillante rispetto al cielo terrestre. Il nome originario della stella, Wega (in seguito corrotto in Vega), deriva da una libera traslitterazione della parola araba wāqi (planante), estratta dalla frase النسر الواقع‎ an-nasr al-wāqi', "l'avvoltoio planante", che era il nome con cui designarono la stella gli astronomi arabi dell'XI secolo, i quali videro nella Lira la forma di un'aquila (o un altro uccello rapace, probabilmente un avvoltoio) nell'atto di planare. La rappresentazione della costellazione come un avvoltoio non era nuova: era infatti già riconosciuta come tale dagli Egizi e nell'antica India. Il nome comparve per la prima volta in Occidente nelle tavole alfonsine, compilate tra il 1215 e il 1270 per ordine del re di Castiglia Alfonso X, e si affermò nel corso del XIII secolo. In quest'epoca erano molto diffuse diverse varianti del nome originale arabo, in particolare Waghi, Vagieh e Veka. Intorno a Vega, per via della sua grande brillantezza e della sua posizione nel cielo notturno, si è intessuto un discreto apparato mitologico e religioso-esoterico. Per gli Assiri la stella si chiamava Dayan-same, il "Giudice dei Cieli", mentre per gli Accadi era Tir-anna, la "Vita del Cielo"; i Babilonesi la conoscevano presumibilmente con nome Dilgan, "il Messaggero della Luce", attribuito anche ad altre stelle. Gli antichi Greci, così come i Romani dopo di loro, ritenevano che la costellazione della Lira rappresentasse lo strumento musicale di Orfeo, costruito da Ermes sfruttando il carapace di una tartaruga come cassa armonica e il budello di una pecora per fabbricare le corde; Vega rappresentava il manico della lira ed era nota col nome di Λύρα (Lyra). Presso i Romani l'astro era noto, oltre che col nome Lyra, anche con i sinonimi Fidis, Fides e Fidicula, tutti indicanti lo strumento di Orfeo; inoltre la data d'inizio della stagione autunnale era stata scelta in modo da coincidere con la data in cui Vega tramontava al sorgere del Sole. La stella è associata al mito di 七夕 (Qi Xi, " I Sette Crepuscoli"), originario della Cina ma molto diffuso, seppur con alcune varianti, anche in Corea e Giappone. Il mito tratta della storia d'amore che lega 織女 (Zhi Nü, "la Tessitrice", che rappresenta Vega) e il marito 牛郎 (Niu Lang, "il Mandriano", ovvero la stella Altair), che si trova insieme ai due figli della coppia (le vicine stelle Tarazed e Alshain); i due coniugi sono costretti a restare separati alle due sponde del 銀河 "Fiume d'Argento" (la Via Lattea). Tuttavia, i due possono incontrarsi per un solo giorno all'anno, la "settima notte della settima luna" (ovvero il settimo giorno del settimo mese del calendario lunisolare cinese, corrispondente nel calendario gregoriano agli inizi del mese di agosto); in questa circostanza le gazze si adoperano per formare con le loro ali un momentaneo ponte che unisca le due rive del fiume, permettendo l'incontro dei due amanti. Da questo mito traggono origine due festività: in Cina il Qi Qiao Jie, mentre in Giappone il Tanabata. Presso i popoli polinesiani Vega era nota come whetu o te tau, la stella dell'anno: infatti il sorgere eliaco della stella, per un certo periodo della storia di queste popolazioni, segnava l'inizio del nuovo anno e il momento in cui il terreno poteva essere preparato per piantare i vegetali coltivati; questa funzione fu in seguito assunta dalle Pleiadi. Nella religione zoroastriana era talvolta associata a Vanant, una divinità minore il cui nome significa "conquistatore". Nell'astrologia medioevale occidentale ed araba Vega era annoverata tra le quindici stelle fisse beheniane, stelle di importanza magica denominate da Agrippa di Nettesheim Behenii (donde il loro nome), dall'arabo bahman che significa radice; i suoi pianeti collegati erano Mercurio e Venere, la pietra preziosa l'olivina e la pianta la santoreggia invernale. Agrippa assegnò inoltre alla stella il simbolo cabalistico Agrippa1531 Vulturcadens.png con il nome Vultur cadens ("Avvoltoio cadente"), una traduzione letterale in latino del nome arabo. La stella ha dato il proprio nome a numerosi manufatti umani, prevalentemente mezzi di trasporto e strumenti scientifici. Vega è stata la prima stella a cui sia stata intitolata, nel 1971, un'automobile, la Chevrolet Vega; alla stella è stato intitolato anche un velivolo, il Lockheed Vega. L'Agenzia Spaziale Europea ha assegnato il nome della stella ad un suo lanciatore, mentre l'Unione Sovietica alle sonde Vega 1 e 2, dalle iniziali delle destinazioni esplorative, il sorvolo di Venere (VEnus) e l'analisi della cometa di Halley (GAlley, nella pronuncia russa)

Il sistema di Alpha Centauri

Alfa Centauri (α Cen/ α Centauri/ Alfa Centauri; conosciuta anche come Rigel Kentaurus o Rigil Kent o, più raramente, come Toliman) è un sistema stellare triplo situato nella costellazione australe del Centauro. È la stella più luminosa della costellazione, nonché terza stella più brillante del cielo notturno a occhio nudo, dopo Sirio e Canopo: infatti, sommando la magnitudine apparente delle due componenti, A (+0,01) e B (+1,34), come si osserva a occhio nudo, il sistema appare di magnitudine −0,27. È anche il sistema stellare più vicino al sistema solare, in quanto ne dista 4,365 anni luce. In particolare Proxima Centauri, delle tre stelle che compongono il sistema, è in assoluto, dopo il Sole, la stella più vicina alla Terra. Il sistema di α Centauri è costituito da una coppia di stelle di sequenza principale di simile luminosità, una nana gialla e una nana arancione molto vicine fra loro, al punto che a occhio nudo o con un piccolo binocolo sembrano essere un'unica stella. In aggiunta a queste se ne trova una terza, una nana rossa molto più distante e meno luminosa, chiamata Proxima Centauri, la quale compie un'orbita molto ampia attorno alla coppia principale. Nell'ottobre del 2012, dopo lunghe ricerche, è stata pubblicata la scoperta di un pianeta terrestre orbitante attorno alla componente B del sistema. Il sistema di α Centauri appare a occhio nudo come una stella singola di colore giallastro; si osserva in direzione della Via Lattea australe, a una declinazione di −60°50', dunque invisibile dall'intera area dell'Europa continentale, dal Mar Mediterraneo, dalla Cina settentrionale e da gran parte dell'America del Nord. Inizia invece a essere osservabile a sud del 29º parallelo nord, corrispondente all'Egitto, al Texas, alla Penisola Arabica, al nord dell'India e alla Cina del sud; i mesi migliori per la sua osservazione dall'emisfero nord sono quelli di aprile-maggio. Dall'emisfero australe la stella diventa circumpolare appena lasciato in direzione sud il Tropico del Capricorno: dalla Nuova Zelanda e dal sud dell'Australia fino a Sydney, come pure dall'Argentina, è visibile durante tutto l'anno. La culminazione a mezzanotte di α Centauri è il 9 aprile, mentre la culminazione alle 21:00 è l'8 giugno. L'area di cielo in cui si trova α Centauri è particolarmente ricca di stelle brillanti, il che facilita notevolmente il suo riconoscimento: è infatti accoppiata a un'altra stella molto luminosa, Hadar (β Centauri), un astro di colore azzurro distante apparentemente solo pochi gradi; continuando l'allineamento delle due stelle verso ovest per un breve tratto si raggiunge un altro gruppo di stelle molto luminoso e particolarmente conosciuto, che forma la costellazione della Croce del Sud. Per questa ragione nell'emisfero australe α Centauri e Hadar vengono chiamate Puntatori del Sud. Sebbene α Centauri appaia molto meno luminosa di Sirio e di Canopo la sua luminosità può rivaleggiare con quella di alcuni pianeti, come Saturno e talvolta anche Marte, a seconda della loro distanza da noi. Le due componenti principali del sistema, α Centauri A e α Centauri B, sono troppo vicine fra di loro per potere essere distinte a occhio nudo, dato che la loro separazione angolare varia fra 2 e 22 secondi d'arco, ma per gran parte del loro periodo orbitale sono risolvibili con facilità tramite dei potenti binocoli o un telescopio amatoriale. Vista dalla Terra la terza componente del sistema, Proxima Centauri, si trova circa 2,2° a sud-ovest di α Centauri; questa separazione apparente equivale a circa quattro volte il diametro apparente della Luna Piena e a circa la metà della distanza angolare fra α Centauri e Hadar. Proxima appare come una stella di colore rosso intenso di magnitudine apparente pari a 13,1, in un campo povero di altre stelle di fondo; è indicata come V645 Cen nel General Catalogue of Variable Stars: si tratta infatti di una stella variabile UV Ceti, che può variare fino a raggiungere la magnitudine 11 senza un periodo regolare. Alcuni astronomi amatoriali e professionisti sono soliti monitorare le variazioni di luminosità di questa stella tramite l'uso di telescopi ottici o radiotelescopi. Il riconoscimento di α Centauri come sistema composto da due stelle risale al dicembre 1689, quando Padre Richaud risolse le due componenti per la prima volta dalla città indiana di Pondicherry, durante l'osservazione di una cometa. Nel 1752 Nicholas Louis de Lacaille fece degli studi astrometrici del sistema usando un circolo meridiano, uno strumento per determinare il punto in cui una stella raggiunge il punto più alto sull'orizzonte (passa il meridiano); nel 1834 furono invece condotte le prime osservazioni micrometriche, a opera di John Herschel. Dai primi anni del XX secolo, le osservazioni vennero condotte su lastre fotografiche. Nel 1926 William Stephen Finsen calcolò dei parametri orbitali approssimativi prossimi a quelli oggi accettati per questo sistema. Tutte le posizioni future sono ora abbastanza accurate da permettere a un osservatore di determinare le posizioni relative delle stelle sulla base di effemeridi delle stelle doppie. La scoperta che il sistema di α Centauri è in realtà quello più vicino a noi fu di Thomas James Henderson, che misurò la parallasse trigonometrica del sistema fra l'aprile del 1832 e il maggio del 1833; egli non pubblicò subito i suoi risultati, poiché temeva che le sue misurazioni fossero troppo grandi per essere verosimili, ma dopo che Friedrich Wilhelm Bessel ebbe pubblicato i risultati dei suoi studi della parallasse di 61 Cygni, nel 1838, si decise a pubblicare a sua volta i risultati per α Centauri l'anno successivo. α Centauri fu così ufficialmente la seconda stella la cui distanza era stata misurata. Robert Innes fu il primo a scoprire, nel 1915 dal Sudafrica, la stella Proxima Centauri, utilizzando delle lastre fotografiche prese in periodi differenti durante uno studio dedicato al monitoraggio del moto proprio delle stelle. Il grande moto proprio e la parallasse di questa apparentemente anonima stellina rossa sembravano perfettamente compatibili con quelli del sistema di α Centauri AB. Trovandosi a una distanza di 4,22 anni luce dalla Terra Proxima Centauri fu così riconosciuta come la stella più vicina in assoluto. Le distanze attualmente accettate derivano dalle misure di parallasse eseguite dal satellite Hipparcos e riportate nell'omonimo catalogo. Nel 1951 l'astronomo americano Harlow Shapley annunciò che Proxima Centauri è una stella variabile di tipo UV Ceti. Shapley scoprì le variazioni della stella esaminando vecchie lastre fotografiche che mostravano in alcuni casi un incremento della sua luminosità di circa l'8% rispetto al normale, facendone di fatto la più attiva variabile di tipo UV Ceti allora conosciuta. α Centauri attualmente appare come una delle stelle luminose più meridionali; in epoche passate, tuttavia, la precessione degli equinozi aveva portato questa e le altre stelle circostanti a declinazioni più prossime all'equatore celeste, così che potevano essere osservate, 4000-5000 anni fa, anche dall'Europa centrale. Nell'epoca presente infatti la stella possiede un'ascensione retta pari a 14h 39m, dunque si trova in quella fascia di coordinate di ascensione retta compresa fra le 6h e le 18h, in cui gli oggetti tendono ad assumere declinazioni sempre più meridionali (tranne l'area attorno al polo sud dell'eclittica). Ciò è dovuto al fatto che l'asse terrestre, in direzione sud, tende ad avvicinarsi a questa parte di cielo; ne consegue che l'area di cielo verso cui l'asse tende a puntare assume declinazioni meridionali, mentre l'area di cielo da cui si allontana tende a diventare visibile anche a latitudini più settentrionali. All'epoca dei Greci e dei Romani la parte di cielo in cui si trova α Centauri era visibile anche alle latitudini medie del Mediterraneo; i popoli mediterranei infatti conoscevano bene questa stella, che veniva considerata come il piede del Centauro: il nome proprio di α Centauri infatti è Rigel Kentaurus, e anche se derivato dalla frase araba per "Piede del Centauro", ricorda sempre la sua "funzione" all'interno della costellazione. Fra circa 3000 anni l'ascensione retta di α Centauri sarà pari a 18h, che equivale al punto più meridionale che la stella potrà raggiungere; dopo di che, l'asse terrestre inizierà a riallontanarsi da questa stella, che quindi assumerà declinazioni sempre più settentrionali. A questo movimento si aggiunge il grande moto proprio della stella stessa, che essendo molto vicina è logicamente notevole: infatti α Centauri sembra muoversi nella direzione di Hadar, alla velocità di 6,1 minuti d'arco al secolo. Con una magnitudine apparente integrata di −0,27,[6] α Centauri appare a occhio nudo come una stella singola, un po' meno brillante di Sirio e di Canopo, anch'esse poste nell'emisfero australe; la quarta stella più luminosa è invece Arturo, con una magnitudine di −0,04, nell'emisfero boreale. Se si considera invece il sistema di α Centauri come due stelle separate, la stella primaria del sistema, α Centauri A, ha una magnitudine apparente di +0,01, ossia appena meno luminosa di Arturo e impercettibilmente meno luminosa di Vega, la quinta stella, ponendosi così al quarto posto fra le stelle più luminose. La seconda compagna, α Centauri B, possiede invece una magnitudine di 1,33, diventando la ventunesima stella del cielo in ordine di luminosità. α Centauri A è il membro principale (o primario) del sistema, e appare leggermente più luminoso del nostro Sole, in termini assoluti. Si tratta comunque di una stella simile al nostro astro, di sequenza principale, con un colore tendente al giallastro, la cui classificazione è G2 V. Questa stella è circa il 10% più massiccia del nostro Sole, con un raggio del 23% più grande; La velocità di rotazione (v × sini) di α Centauri A è 2,7±0,7 km/s, che equivale a un periodo di rotazione di 22 giorni. α Centauri B è la componente secondaria del sistema, leggermente più piccola e meno luminosa del nostro Sole; anche questa è nella fase di sequenza principale; la sua classe spettrale è K1 V, ossia una stella di colore giallo-arancione. La sua massa è pari al 90% di quella del Sole e il suo raggio è del 14% più piccolo; la velocità di rotazione è 1,1±0,8 km/s, equivalente a un periodo di 41 giorni. Una stima precedente indicava questo valore pari a 36,8 giorni. Osservazioni effettuate nei raggi X con i satelliti ROSAT e XMM-Newton hanno evidenziato che la componente B emette più energia in questo intervallo spettrale rispetto ad α Centauri A, nonostante sia complessivamente la meno luminosa delle due. Le curve di luce in banda X hanno evidenziato inoltre una certa variabilità delle due stelle, più rapida per α Centauri B che per A. Per quest'ultima la spiegazione più accreditata è la presenza di un ciclo solare simile a quello undecennale del Sole, mentre α Centauri B è una vera e propria stella a brillamento: sono stati infatti osservati due brillamenti, sia con ROSAT che con XMM-Newton, anche se sono fra i più deboli registrati per questo tipo di stelle. La terza componente, α Centauri C, è anche nota come Proxima Centauri; la sua classe spettrale è M5Ve o M5VIe, il che suggerisce che possa trattarsi o di una stella di sequenza principale (tipo V) o una stella subnana (tipo VI) il cui spettro presenta linee di emissione; l'indice di colore B-V è pari a +1,81. La sua massa è circa 0,12 M☉. Le due componenti visibili luminose del sistema doppio sono chiamate α Centauri AB: la designazione "AB" indica il centro gravitazionale apparente delle componenti principali relativamente all'altra (o alle altre) compagna minore. "AB-C" si riferisce all'orbita di Proxima attorno alla coppia centrale. Questo sistema di designazione consente agli astronomi specializzati in sistemi stellari multipli di definire gli astri componenti in funzione delle diverse relazioni che intercorrono fra essi, come nel caso di questo terzetto di stelle. La designazione di tutte le componenti viene gestita e controllata dallo U.S. Naval Observatory, in un catalogo aggiornato continuamente chiamato Washington Double Star Catalog (WDS), che contiene oltre 100 000 stelle doppie, indicate secondo questa nomenclatura. Alcuni vecchi riferimenti riportano la designazione, oggi deprecata, di A×B. Dato che la distanza fra il Sole e α Centauri AB non è significativamente diversa rispetto a quella fra il Sole e le singole componenti, da un punto di vista gravitazionale questo sistema è considerato come se fosse un unico oggetto. Le componenti AB di α Centauri percorrono le loro orbite attorno al baricentro del sistema in un periodo di 79,91 anni,[16] avvicinandosi reciprocamente fino a 11,2 au (1,68 miliardi di chilometri), circa la distanza media fra il Sole e Saturno) e allontanandosi fino a una distanza di 35,6 au (5,33 miliardi di chilometri), circa la distanza media fra il Sole e Plutone.[16][39] Le orbite delle due stelle sono dunque ellittiche, ma a differenza di quelle dei pianeti del Sistema solare, la loro eccentricità è notevole (e = 0,5179). Dai parametri orbitali, utilizzando la terza legge di Keplero, è possibile risalire alla massa del sistema, che risulta essere pari a circa 2 M⊙; una stima delle masse delle due singole stelle è di 1,09 M⊙ e 0,90 M⊙ rispettivamente per α Centauri A e B. Stime successive, tuttavia, danno valori leggermente più alti: 1,14 M☉ per α Centauri A e 0,92 M☉ per α Centauri B, portando la massa complessiva del sistema a 2,06 M☉ . α Centauri A e B hanno una magnitudine assoluta pari rispettivamente a +4,38 e +4,71. Questi valori, insieme alle caratteristiche spettrali dei due astri, permettono di desumere l'età delle due stelle che, secondo le attuali teorie sull'evoluzione stellare, oscillerebbe fra i 5 e i 6 miliardi di anni, leggermente più vecchie del Sole. Vista dalla Terra l'orbita apparente di questa stella binaria risulta essere fortemente inclinata (oltre 79º), causando una notevole variazione della separazione angolare dei due astri nel corso del tempo: fino al febbraio del 2016 le due stelle si avvicineranno sempre di più, raggiungendo una distanza minima apparente di quattro secondi d'arco, dopo di che riprenderanno ad allontanarsi. La minima separazione angolare possibile è di poco inferiore a 2", mentre la massima è di 22" e si è avuta l'ultima volta nel febbraio del 1976; la prossima si avrà nel gennaio del 2056. Se consideriamo l'orbita reale, invece, le due stelle hanno raggiunto il periastro (il punto di minima distanza reale) nell'agosto del 1956, mentre il prossimo sarà raggiunto nel maggio del 2035; il punto di massimo allontanamento (apoastro) è stato raggiunto invece nel maggio 1995, mentre il prossimo lo sarà nel 2075. In questa fase dell'orbita, pertanto, le due stelle sono in fase di reciproco avvicinamento. Proxima Centauri (spesso chiamata anche solo Proxima) è la debolissima nana rossa che si trova a circa 12000 o 13000 au dal sistema α Centauri AB, equivalente a 0,12 anni luce o 1,94 bilioni di km (circa il 5% della distanza fra il Sole e la coppia α Centauri AB). Proxima appare gravitazionalmente legata al sistema AB, compiendo un'orbita attorno alle due stelle in un periodo di circa 550000 anni, con un'eccentricità pari a circa 0,50; ciò determina che la stella raggiunga una distanza da α di circa 4300 au al periastro (ossia il punto più vicino dell'orbita rispetto al sistema centrale) e di circa 13000 au all'apoastro (il punto più lontano dell'orbita rispetto al sistema centrale). Proxima è una nana rossa di classe spettrale M5.5V, con una magnitudine assoluta di +15,53, dunque notevolmente inferiore a quella del Sole. La massa di questa stella è stimata sui 0,123±0,06 M⊙ (arrotondato a 0,12 M☉) o circa un ottavo di quella del Sole. Tutte le componenti di α Centauri mostrano un moto proprio notevole rispetto alle stelle di fondo, similmente a quanto avviene per altre stelle luminose, come Sirio e Arturo. Nel corso dei secoli questo causa un lento spostamento della posizione apparente della stella; stelle di questo tipo vengono chiamate stelle a elevato moto proprio. Questi moti stellari erano sconosciuti agli antichi astronomi, che credevano che le stelle fossero eterne e permanentemente fissate sulla sfera celeste, come si evince per esempio dalle opere del filosofo Aristotele. Edmond Halley nel 1718 scoprì che alcune stelle si erano notevolmente spostate dalla posizione astrometrica rilevata in passato;[49] per esempio, la brillante stella Arturo (α Boo), nella costellazione di Boote, mostrava di essersi spostata di circa mezzo grado in 1800 anni, come pure Sirio (α CMa), nel Cane Maggiore. Il raffronto che fece Halley si basò sulle posizioni indicate nel catalogo di Tolomeo (l'Almagesto), i cui dati si basavano sulle misurazioni eseguite da Ipparco durante il I secolo a.C. Gran parte dei moti propri stellari rilevati da Halley furono relativi a stelle dell'emisfero boreale, così quello di α Centauri non fu determinato fino all'Ottocento. L'osservatore scozzese Thomas James Henderson fu colui che scoprì, all'inizio dell'Ottocento, la vera distanza di α Centauri, dal Royal Observatory sul Capo di Buona Speranza. Le sue conclusioni furono dovute proprio allo studio dell'insolitamente alto moto proprio del sistema che comportava che la velocità reale osservata attraverso lo spazio doveva essere molto più elevata. In questo caso il moto stellare apparente fu trovato utilizzando le osservazioni astrometriche condotte da Nicholas Louis de Lacaille risalenti al 1751-1752, attraverso le discrepanze di posizione fra quelle del Lacaille e quelle dell'epoca di Henderson. Dai dati del Catalogo Hipparcos (HIP), risulta che il moto proprio delle singole componenti del sistema sia pari a −3678 mas/anno (ovvero −3,678 secondi d'arco all'anno) in ascensione retta e +481,84 mas/anno (0,48184 secondi d'arco all'anno) in declinazione. Dato che il moto proprio è cumulativo, il movimento di α Centauri è pari a circa 6,1 minuti d'arco/secolo (367,8 secondi d'arco/secolo), quindi 61,3 minuti d'arco/millennio (1,02°/millennio). Questi movimenti sono pari rispettivamente a un quinto e due volte il diametro della Luna Piena. La spettroscopia ha determinato la velocità radiale di α Centauri AB pari a −25,1±0,3 km/s. Un calcolo più preciso prende in considerazione anche la leggera differenza di distanza stellare rispetto al moto della stella: attualmente infatti sia il moto proprio che la parallasse di α Centauri aumentano leggermente a causa del fatto che il sistema si sta avvicinando a noi. Tali cambiamenti si osservano pure nelle dimensioni del semiasse maggiore a dell'orbita apparente, che sta aumentando a un ritmo di 0,03 secondi d'arco al secolo come le due stelle si avvicinano. Anche il periodo orbitale di α Centauri AB si accorcia brevemente (circa 0,006 anni al secolo), sebbene sia una variazione apparente causata dalla riduzione del tempo che la luce impiega a giungere fino a noi, come la distanza si riduce.[37] Di conseguenza, l'angolo di posizione osservato delle stelle è soggetto a cambiamenti degli elementi orbitali nel tempo, come fu determinato dall'equazione di W. H. van den Bos nel 1926. Alcune piccole ulteriori differenze, di circa 0,5% nella misura del moto proprio, sono causate dal movimento orbitale di α Centauri AB. Basandosi su queste misure di moto proprio e velocità radiale osservate, si può affermare che α Centauri continuerà in futuro a diventare leggermente più luminosa, passando dapprima a meno di un grado da Hadar e poi poco a nord della Croce del Sud, muovendosi poi verso nord-ovest e infine verso l'equatore celeste, allontanandosi sempre più dalla scia della Via Lattea. Attorno all'anno 29700 α Centauri si troverà nell'area dell'attuale costellazione dell'Idra e sarà a una distanza di esattamente 1 pc (3,3 anni luce) dal Sistema solare. Quindi raggiungerà una velocità radiale (RVel) stazionaria di 0,0 km/s. Subito dopo questa fase il sistema inizierà ad allontanarsi da noi, mostrando così una velocità radiale positiva. Attorno al 43300 α Centauri passerà vicino alla stella di seconda magnitudine Alphard (α Hydrae); a quel punto la sua distanza sarà aumentata a 1,64 pc (5,3 anni luce). A causa della prospettiva, fra circa 100000 anni, il sistema di α Centauri raggiungerà il punto di fuga finale e scomparirà rapidamente confondendosi fra le deboli stelle di fondo della Via Lattea. A quel punto quella che una volta era una brillante stella gialla finirà al di sotto della visibilità a occhio nudo, in un punto situato nell'attuale debole costellazione australe del Telescopio: quest'insolito punto di fuga (insolito perché attualmente la stella sembra dirigersi proprio nella direzione opposta a questa costellazione) è dovuto all'orbita di α Centauri attorno al centro galattico, che è molto inclinata rispetto al piano galattico e anche rispetto a quella del nostro Sole. In virtù della sua vicinanza al sistema solare α Centauri appare come la terza stella più brillante del cielo; Sirio è l'attuale stella più luminosa del cielo notturno (con una magnitudine di −1,46) e resterà ancora tale per i prossimi 50 000 anni, durante i quali aumenterà la propria luminosità (fino quasi a sfiorare la magnitudine −1,7) per poi andare incontro a un progressivo affievolimento. Le simulazioni suggeriscono che la combinazione del suo moto in avvicinamento e il contemporaneo allontanamento e il conseguente affievolimento di alcune delle stelle più brillanti dell'epoca attuale, renderanno Vega, per il periodo compreso, la stella più brillante del cielo, con una magnitudine apparente di −0,81; Più in fretta ancora aumenterà la luminosità di Altair, che passerà da un attuale valore di +0,77 a −0,53 in 140 000 anni, per poi decadere altrettanto rapidamente. Arturo si trova attualmente al punto più vicino a noi, dunque in futuro la sua luminosità diminuirà, come quella di Canopo, che fino a 100 000 anni fa era la stella più brillante del cielo. Il suo moto in avvicinamento verso il sistema solare, che la porterà sino alla distanza di 1 pc, farà sì che α Centauri nei prossimi 30 000 anni incrementi la propria luminosità apparente, sino a raggiungere un valore di circa −0,86, superando la brillantezza di Canopo. Il successivo allontanamento porterà la stella a diminuire la propria brillantezza; tra 40 000 anni la sua magnitudine sarà scesa a +1,03. La tabella sottostante indica i dati delle magnitudini apparenti delle stelle esaminate nel grafico, con un campionamento di 25 000 anni; il grassetto indica la stella più luminosa nel periodo indicato. In passato si pensava che la presenza di pianeti extrasolari orbitanti attorno a stelle doppie fosse improbabile, a causa delle perturbazioni gravitazionali indotte delle stelle componenti il sistema. Ma la scoperta di pianeti attorno ad alcune stelle doppie, come γ Cephei, ha fatto ritenere possibile l'esistenza di pianeti di tipo terrestre nel sistema di α Centauri. Essi possono infatti orbitare attorno alla componente A o alla componente B, oppure possedere un'orbita sufficientemente ampia da comprendere entrambe le stelle. Le due stelle principali del sistema mostrano caratteristiche molto simili a quelle del nostro Sole (come per esempio l'età e la metallicità, quest'ultima un fattore molto importante per la formazione di pianeti rocciosi di tipo terrestre), per cui l'interesse degli astronomi verso questo sistema è ulteriormente incrementato. Vari gruppi di ricerca specializzati nel trovare pianeti extrasolari hanno utilizzato diversi sistemi di misurazione della velocità radiale o del transito per cercare eventuali corpi orbitanti attorno alle due stelle principali,[71] ma per un lungo periodo tutte le ricerche condotte non avevano permesso di individuare attorno alle due stelle principali di α Centauri alcun corpo celeste, come nane brune, pianeti gioviani o piccoli pianeti terrestri. Il 17 ottobre 2012 viene pubblicata su Nature la scoperta, annunciata dall'Osservatorio Europeo Australe (ESO), di un possibile esopianeta, orbitante intorno alla componente B del sistema stellare, avente una massa di poco superiore a quella terrestre denominato Alfa Centauri Bb. Tuttavia l'estrema vicinanza alla sua stella lo collocherebbe ben al di qua della cosiddetta zona abitabile. Modelli simulati al computer suggeriscono che la formazione di giganti gassosi simili a Giove e Saturno sia molto improbabile, a causa dei forti effetti gravitazionali e del momento angolare orbitale di questo sistema binario. Basandosi su simulazioni al computer inizialmente alcuni astronomi fecero l'ipotesi che eventuali pianeti terrestri orbitanti vicino alla zona abitabile non avrebbero potuto mantenere il loro moto di rivoluzione stabile in quella fascia per diverso tempo. La perdita di questi piccoli corpi sarebbe potuta avvenire alcuni miliardi di anni fa, durante la formazione del sistema, a causa delle forti perturbazioni a opera delle due componenti stellari. Studi successivi hanno invece dimostrato che entrambe le componenti possono mantenere in orbite stabili eventuali pianeti di tipo terrestre. La vicinanza del sistema lo rende il primo candidato per un'eventuale missione spaziale interstellare. Per percorrere la distanza che separa α Centauri dal Sole occorrerebbero, con la tecnologia attuale, non meno di alcuni secoli. Il 25 marzo 2015 Demory et al. hanno pubblicato un articolo con i risultati di 40 ore di osservazioni compiute su Alfa Centauri B con il telescopio spaziale Hubble. Anche se il gruppo di astronomi ha escluso eventi di transito per Alfa Centauri Bb (che non esclude la sua esistenza, ma solamente che il pianeta non si trova sullo stesso piano rispetto al Sole e α Centauri)), hanno rilevato un evento di transito corrispondente a un possibile corpo planetario. Questo pianeta molto probabilmente orbita attorno a Alfa Centauri B in un periodo di 20,4 giorni circa, con una probabilità del 5% che la sua orbita sia più lunga. Se confermato, questo pianeta sarebbe chiamato Alfa Centauri Bc, e anch'esso, come Alfa Centauri Bb, sarebbe troppo vicino alla sua stella madre per potere ospitare la vita. Nel 2016 arrivò notizia dall'osservatorio australe europeo di La Silla, in Cile, della presenza di un pianeta roccioso simile alla Terra intorno alla stella Proxima Centauri. Risulta inoltre che il pianeta di Proxima Centauri ha un'atmosfera contenente metano e ossigeno, gas che possono fare pensare alla presenza di alghe e di batteri. A una sonda da spedire verso Proxima Centauri punta un progetto finanziato dal miliardario russo Yuri Milner. Questo progetto era sostenuto anche dal fisico Steven Hawking. Diversi studi hanno suggerito che attorno alle componenti di α Centauri esistono delle regioni in cui eventuali pianeti possano avere delle orbite stabili; queste orbite possono trovarsi a non meno di 70 au attorno alle due componenti, oppure a meno di 3 UA da ciascuna delle due componenti prese singolarmente. Alcuni astronomi credono però che eventuali pianeti di tipo terrestre potrebbero essere aridi o non possedere un'atmosfera con spessore sufficiente a sostenere la vita; questo perché nel nostro sistema solare sia Giove che Saturno furono probabilmente fondamentali nel perturbare l'orbita delle comete, dirigendole verso la parte più interna del sistema solare, dove avrebbero fornito ghiaccio, e quindi acqua, ai pianeti interni. Le comete avrebbero potuto trovarsi in una sorta di "Nube di Oort" posta nelle regioni più esterne del sistema, quando avrebbero potuto essere influenzate gravitazionalmente sia da giganti gassosi sia da eventuali stelle che transitavano nelle vicinanze, così che queste avrebbero potuto viaggiare verso la zona interna. Tuttavia non ci sono state finora dirette evidenze dell'esistenza di una "Nube di Oort" attorno a α Centauri AB e teoricamente questa potrebbe essere stata completamente disgregata durante la formazione del sistema. Altri invece sostengono che l'esistenza di una Nube di Oort non può essere al momento esclusa, e comunque il ruolo di Giove e Saturno potrebbe essere stato svolto dall'azione gravitazionale di una delle stelle del sistema nei confronti dell'altra. Un eventuale pianeta simile alla Terra attorno a α Centauri A dovrebbe trovarsi a circa 1,25 UA dalla stella (circa a metà strada fra la distanza dell'orbita terrestre e quella marziana) per avere delle condizioni climatiche che consentano la presenza di acqua allo stato liquido. Per mantenere queste condizioni attorno a α Centauri B, un pianeta dovrebbe trovarsi a una distanza di 0,7 UA, con un'orbita dunque simile a quella di Venere. Per trovare prove dell'esistenza di questi pianeti sia Proxima Centauri che il sistema α Centauri AB sono fra gli obiettivi della Space Interferometry Mission (SIM) della NASA; trovare pianeti con una massa pari o inferiore a tre masse terrestri compresi entro due UA sarà possibile tramite l'applicazione di questo programma, che comunque non partirà prima del 2015. Un monitoraggio del sistema su base decennale effettuato con il telescopio Chandra ha concluso che eventuali pianeti orbitanti intorno alle due stelle più luminose del sistema, con buona probabilità vengono colpiti dai raggi X della propria stella in misura inferiore rispetto a pianeti simili orbitanti intorno al sole, stimando eventuali prospettive di vita favorevoli. Osservato dalla coppia di stelle più interna del sistema di α Centauri, il cielo (a parte le tre stelle del sistema) apparirebbe quasi identico a come appare visto dalla Terra, con la maggior parte delle costellazioni, come l'Orsa Maggiore e Orione, praticamente invariate. Tuttavia, il Centauro perderebbe la sua stella più brillante e il nostro Sole apparirebbe come una stella di magnitudine 0,5 nella costellazione di Cassiopea, vicino a ε Cassiopeiae. La sua posizione è facilmente calcolabile, poiché sarebbe agli antipodi della posizione di α Centauri vista dalla Terra: avrebbe ascensione retta 02h 39m 35s e declinazione +60° 50′ 00″. Un ipotetico osservatore vedrebbe così la caratteristica "\/\/" di Cassiopea mutata in un segno simile a questo "/\/\/". Le stelle vicine brillanti come Sirio e Procione si troverebbero in posizioni molto diverse, come pure Altair con uno scarto minore. Sirio andrebbe a fare parte della costellazione di Orione, due gradi a ovest di Betelgeuse, poco più debole che visto dalla Terra (−1,2). Fomalhaut e Vega, invece, essendo abbastanza lontane, sarebbero visibili quasi nella stessa posizione. Proxima Centauri, pur facendo parte dello stesso sistema, sarebbe appena visibile a occhio nudo, con magnitudine 4,5. Un pianeta attorno a α Centauri A o B vede l'altra stella come un "secondo sole". Per esempio un ipotetico pianeta terrestre a 1,25 UA da α Centauri A (con una rivoluzione di 1,34 anni) sarebbe illuminato come dal Sole dalla sua primaria, mentre α Centauri B apparirebbe da 5,7 a 8,6 magnitudini più fioca (da −21 a −18,2), da 190 a 2700 volte più debole della primaria, ma ancora da 29 a 9 volte più luminoso della Luna piena. Viceversa un pianeta a 0,71 AU da α Centauri B (con un periodo di 0,63 anni) sarebbe illuminato come dal Sole dalla sua primaria e vedrebbe la secondaria da 4,6 a 7,3 magnitudini più debole (da −22,1 a −19,4), da 70 a 840 volte più fioca della principale, ma ancora da 45 a 15 volte più luminosa della Luna piena. In entrambi i casi il sole secondario farebbe il giro di tutto il cielo durante l'anno planetario, partendo a fianco del principale e finendo, mezzo periodo dopo, nella posizione opposta: si avrebbero dunque le condizioni del "Sole di mezzanotte", con almeno uno o due giorni privi di scambio notte-giorno. Questa brillante stella del sud ben nota con il nome di α Centauri (secondo la designazione di Bayer), possiede in realtà diversi nomi propri; il più diffuso è quello di Rigel Kentaurus spesso abbreviato nella forma Rigil Kentaurus, inizialmente derivante da Rijil Kentaurus[ (Riguel Kentaurus in portoghese), tutte forme derivate dall'arabo Rijl Qanṯūris (o Rijl al-Qanṯūris, con il significato di "Piede del Centauro"). Un nome alternativo, ma meno usato in italiano, è Toliman, la cui etimologia deriva sempre dall'arabo, al-Ẕulmān ("le ostriche"). Durante l'Ottocento l'astrofilo Elijah H. Burritt chiamò questa stella Bungula, forse unendo la lettera "β" (sebbene la lettera di questa stella sia "α") al termine latino ungula ("zoccolo"). Quest'ultimo nome è raramente usato. La luminosità di questo sistema stellare e soprattutto la sua vicinanza a noi (quattro anni luce sono davvero un'inezia se paragonati alle normali distanze spaziali) ha giocato un ruolo fondamentale nel fare sì che α Centauri fosse oggetto di speculazioni fantascientifiche, che venisse citata nella letteratura e nei videogiochi. Proxima Centauri (dal latino Proxima, col significato di "prossima", "la più vicina"), spesso abbreviata in Proxima, è una stella nana rossa di classe spettrale M5 Ve, posta a circa 4,2 al in direzione della costellazione del Centauro; fu scoperta da Robert Innes, direttore dello Union Observatory, in Sudafrica, nel 1915. Parte del sistema di α Centauri, è la stella più vicina al Sole. Grazie alla sua vicinanza, il suo diametro angolare può essere misurato direttamente; le misurazioni indicano che il suo raggio equivale a circa un settimo di quello solare. La massa equivale a circa un ottavo di quella solare, mentre la densità è quaranta volte superiore a quella del Sole. Sebbene Proxima possieda una luminosità molto bassa, è soggetta a improvvisi e casuali brillamenti, causati dalla sua attività magnetica. Il campo magnetico di questa stella è alimentato dai moti convettivi che avvengono nel suo interno e il brillamento che ne risulta periodicamente genera un'emissione a raggi X simile a quella prodotta dal Sole. La composizione di Proxima, il suo basso tasso di produzione di energia e le sue dinamiche indicano che resterà nella sequenza principale per almeno altri 4 000 miliardi di anni, ossia per circa 300 volte l'età attuale dell'Universo. Nel 2016 è stato individuato un pianeta potenzialmente dotato di acqua liquida superficiale nella fascia orbitale abitabile. Data la sua natura di nana rossa e di stella a brillamento, la possibilità che sul pianeta possa svilupparsi la vita è ancora da accertare. A causa della sua declinazione fortemente australe, Proxima Centauri, come del resto anche le componenti primarie del sistema di α Centauri, resta invisibile da gran parte delle aree dell'emisfero boreale; soltanto in prossimità del Tropico del Cancro le componenti maggiori diventano visibili, mentre Proxima, trovandosi quasi due gradi più a sud, si leva sull'orizzonte meridionale soltanto a partire dal 27º parallelo nord, equivalente alla latitudine della Florida, dell'Alto Egitto e dell'India settentrionale. Per contro, da gran parte dell'emisfero australe, questa stella si presenta circumpolare e può essere osservata durante tutto l'anno. Le nane rosse come questa sono in realtà troppo deboli, anche quando sono vicine, per poter essere osservate ad occhio nudo; basta pensare che da un ipotetico pianeta orbitante attorno ad una delle due stelle centrali del sistema, Proxima sarebbe soltanto di quinta magnitudine, ossia al limite della visibilità ad occhio nudo. La sua magnitudine apparente è pari a circa 11, così per poter essere osservata occorre un telescopio con un'apertura di almeno 80-100 mm ed un cielo in condizioni atmosferiche ottimali, possibilmente senza Luna e con Proxima non rasente l'orizzonte. Robert Innes fu il primo a scoprire, nel 1915, che Proxima Centauri possiede lo stesso moto proprio del sistema di α Centauri; egli suggerì anche quello che poi sarebbe diventato il suo nome proprio attuale. Nel 1917, l'astronomo olandese Joan Voûte, nel Royal Observatory del Capo di Buona Speranza misurò la parallasse trigonometrica della stella, scoprendo che Proxima Centauri si trovava ad una distanza dal Sole simile a quella di α Centauri; inoltre all'epoca Proxima era anche la stella con la più bassa luminosità assoluta conosciuta (MV = 15,5). Nel 1951, Harlow Shapley annunciò che Proxima Centauri era in realtà una stella a brillamento: uno studio comparato delle lastre fotografiche antecedenti aveva infatti mostrato che la stella si mostrava più luminosa in circa l'8% delle immagini, diventando così la stella a brillamento più attiva conosciuta. La sua vicinanza consentì inoltre di studiare i suoi brillamenti molto dettagliatamente; nel 1980 l'Osservatorio Einstein produsse una curva precisa dell'energia dei raggi X rilasciata durante i brillamenti. Ulteriori osservazioni dell'attività della stella sono stati compiuti dai satelliti EXOSAT e ROSAT, mentre le emissioni minori, simili a quelle solari, sono state osservate dal satellite giapponese ASCA nel 1995. Proxima Centauri è stata anche oggetto di ricerca da parte dei principali osservatori a raggi X, fra cui XMM-Newton e Chandra. Proxima Centauri è classificata come una nana rossa, ossia una stella di classe spettrale M (a cui corrisponde un colore rosso) che si trova nella fase di sequenza principale nel diagramma HR; in seguito è stata classificata come M5.5, ossia una nana rossa al limite inferiore di massa. La sua magnitudine assoluta, ossia la magnitudine apparente che la stella avrebbe se posta ad una distanza di 10 pc è 15,5; la sua luminosità totale, comprendendo tutte le lunghezze d'onda, è pari allo 0,17% di quella del Sole, sebbene se osservata alle lunghezze d'onda della luce visibile possieda solo lo 0,0056% della luminosità solare. Oltre l'85% dell'energia irradiata dalla stella si osserva infatti alle lunghezze d'onda dell'infrarosso. Nel 2002 l'interferometro ottico del Very Large Telescope permise di misurare direttamente il diametro angolare della stella, equivalente a 1,02±0,08 mas; rapportato alla distanza, emerge che il diametro effettivo di Proxima Centauri è circa un settimo di quello solare, cioè una volta e mezzo maggiore di quello di Giove; la massa della stella è stata stimata in appena il 12,3% di quella solare, pari a centoventinove volte quella di Giove. Dato che la densità media di una stella di sequenza principale è inversamente proporzionale alla massa della stella stessa, la densità di Proxima Centauri è comunque maggiore di quella del Sole: 56800 kg/m³ contro 1409 kg/m³. A causa della sua piccola massa, la struttura interna di Proxima è costituita interamente da una zona convettiva, che provoca un movimento di energia dall'interno all'esterno soltanto tramite un movimento fisico del plasma, anziché attraverso una zona radiativa; ciò implica che l'elio prodotto dalla fusione nucleare dell'idrogeno non si accumula nel nucleo, ma viene messo in circolo in tutta la stella. A differenza del Sole, che brucerà soltanto il 10% del suo idrogeno disponibile prima di uscire dalla sequenza principale, Proxima Centauri consumerà quasi totalmente la sua riserva di idrogeno prima di evolvere.vLa convezione è associata alla generazione e alla persistenza di un campo magnetico stellare; l'energia magnetica che proviene da questo campo viene rilasciata sulla superficie tramite i brillamenti, che aumentano brevemente la luminosità complessiva della stella. I brillamenti possono far sì che una porzione della superficie della stella possa raggiungere temperature fino a 27 milioni di K, sufficienti per emettere raggi X. La cromosfera di questa stella è attiva e il suo spettro mostra una forte linea di emissione tipica del magnesio monoionizzato, alla lunghezza d'onda di 280 nm. Circa l'88% della superficie di Proxima Centauri potrebbe essere attiva, una percentuale molto più alta di quella del Sole quando è al picco del ciclo solare. Anche durante i periodi di quiescenza con pochi o nessun brillamento, quest'attività costante aumenta la temperatura della corona fino a 3,5 milioni di K, mentre quella solare raggiunge al massimo i 2 milioni. Tuttavia, il livello totale di attività di questa stella è considerato relativamente basso rispetto ad altre stelle nane di classe M,[13] che è comunque elevato se rapportato all'età stimata della stella, dato che ci si aspetta che il livello di attività di una nana rossa cali costantemente nel corso dei miliardi di anni, come il tasso di rotazione stellare diminuisce. Da alcuni studi il livello di attività sembrava variare con un periodo di circa 442 giorni, un lasso di tempo più breve del ciclo solare, che dura 11 anni, tuttavia uno studio del 2016 sembra confermare che la stella ha un ciclo simile a quello del Sole, della durata di circa 7 anni. Proxima Centauri possiede anche un vento stellare, relativamente debole, consistente in non più del 20% del tasso di perdita di materia tipico del vento del nostro Sole. Poiché la stella è molto più piccola del nostro astro, tuttavia, il tasso di perdita per unità di superficie di Proxima Centauri risulta essere in proporzione fino a otto volte più elevato di quello della superficie solare. Una nana rossa con la massa di Proxima Centauri rimarrà nello stadio di sequenza principale per circa altri quattro bilioni (4×1012) di anni; come l'abbondanza di elio aumenta a seguito dei processi di fusione dell'idrogeno, la stella diventerà più piccola e più calda, cambiando il suo colore da rosso a blu, diventando così una nana blu evoluta. Quando il suo ciclo vitale sarà quasi al termine, diventerà pure più luminosa, raggiungendo il 2,5% della luminosità solare e riscaldando eventuali corpi orbitanti attorno ad essa per un periodo di diversi miliardi di anni. Una volta che la riserva di idrogeno si sarà esaurita, Proxima Centauri evolverà verso lo stadio di nana bianca (senza passare la fase di gigante rossa), esaurendo progressivamente la sua energia termica. Basandosi sulla parallasse di 772,3±2,4 millisecondi d'arco, misurata da Hipparcos (e l'ancor più precisa misurazione ottenuta utilizzando il Telescopio Spaziale Hubble, pari a 768,7±0,3[8] millisecondi d'arco), Proxima Centauri si trova a circa 4,2 anni luce di distanza da noi, pari a 270 000 volte la distanza fra la Terra e il Sole. Dal nostro Sistema solare Proxima si trova a 2,18° da α Centauri, equivalente in termini apparenti a quattro volte il diametro angolare della Luna; Proxima possiede anche un elevato moto proprio, pari a circa 3,85 secondi d'arco all'anno. La velocità radiale è di 21,7 km/s. Fra le stelle finora conosciute, Proxima è la stella più vicina a noi da circa 32 000 anni e resterà tale per almeno altri 33 000 anni, dopo i quali la stella più vicina diventerà Ross 248, un'altra nana rossa. Proxima continuerà ad avvicinarsi al Sole per i prossimi 26 700 anni, quando raggiungerà una distanza di appena 3,11 anni luce. La stella orbita nella Via Lattea ad una distanza dal centro che varia fra 8,3 e 9,5 kpc, con un'eccentricità pari a 0,07. Fin dalla scoperta di Proxima, fu ipotizzato che potesse trattarsi di una possibile compagna del sistema di α Centauri: la stella infatti si trova ad una distanza di appena 0,21 al (13 000 au) dalla coppia principale, della quale condivide il moto spaziale. La probabilità che ciò fosse solo casuale è stata data in circa una su un milione in uno studio del 1993. Per questa ragione, Proxima è talvolta indicata con la sigla α Centauri C. Anche i dati raccolti dal satellite Hipparcos, combinati con le osservazioni condotte a terra, supportarono l'ipotesi che le tre stelle fossero effettivamente parte di un unico sistema, con la possibilità che Proxima fosse vicina al suo apoastro, ossia il punto più lontano dell'orbita rispetto al sistema centrale. Mancavano tuttavia delle misure della velocità radiale dei tre astri sufficientemente accurate per ottenere una conferma definitiva. Queste sono state ottenute tra il 2004 e il 2016 tramite lo spettrografo HARPS, installato sul telescopio di 3,6 metri di diametro dell'ESO posto all'Osservatorio di La Silla, sviluppato per individuare nuovi pianeti extrasolari con il metodo delle velocità radiali. I risultati delle analisi, pubblicati nel 2016, indicano che Proxima orbita attorno alla coppia principale con un periodo orbitale dell'ordine di 550 000 anni, ad una distanza media di 8 700 UA. L'orbita presenta un valore piuttosto elevato dell'eccentricità orbitale, pari a circa 0,50; ciò determina che la stella raggiunga una distanza di circa 4 300 UA al periastro (ossia il punto più vicino dell'orbita rispetto al sistema centrale) e di circa 13 000 UA all'apoastro. Conseguenza che Proxima sia legata gravitazionalmente ad α Centauri è che le tre stelle abbiano condiviso il processo di formazione ed abbiano probabilmente la stessa composizione chimica; è inoltre possibile che l'interazione gravitazionale tra le tre stelle abbia avuto un'importante influenza sulla formazione e sulle caratteristiche dei pianeti nel sistema. Sei singole stelle, due sistemi binari ed una stella tripla mostrano un moto comune a quello del sistema di α Centauri attraverso lo spazio; le velocità spaziali di questo gruppo di stelle sono tutte comprese entro i 10 km/s rispetto al moto mostrato da α Centauri. Ciò farebbe pensare che si possa trattare di un'associazione stellare, che indicherebbe pertanto pure un punto di origine comune, come avviene negli ammassi aperti. Dopo tre anni di misure della velocità radiale della stella attraverso lo spettrografo HARPS, il 24 aprile del 2016 è stata annunciata la scoperta di un pianeta extrasolare, Proxima Centauri b (o Proxima b) avente una massa stimata di 1,27±0,18 M⊕ e che orbita nella zona abitabile di Proxima Centauri in poco più di undici giorni. Nel dicembre 2017 è stata annunciata la possibile scoperta mediante il metodo dei transiti di un ulteriore pianeta. Il pianeta, ancora da confermare, avrebbe un periodo di rivoluzione di 2-4 giorni e un diametro e massa inferiori a quelli della Terra. È però misurando le variazioni della velocità radiale che, nel 2019, un gruppo guidato da Mario Damasso dell'INAF ha annunciato la probabile presenza di un secondo pianeta in orbita a Proxima Centauri. Un primo annuncio è avvenuto nell'aprile del 2019, al quale ha fatto seguito una pubblicazione nel gennaio del 2020 sulla rivista Science Advances. Il pianeta sarà studiato nel 2020 e nel 2021 per la definitiva conferma con lo spettrografo HARPS, da Terra, e con il satellite Gaia dallo spazio. Proxima c sarebbe una super Terra con una massa circa 6 volte quella terrestre, in orbita a circa 1,5 UA dalla stella e con un periodo orbitale di 5,2 anni. Nel novembre del 2017 è stata annunciata[61] la scoperta da parte del radiotelescopio ALMA di una fascia di polveri attorno a Proxima Centauri. Secondo l'autore della ricerca, Guillem Anglada, la fascia di polveri fredde è ''la prima indicazione della presenza di un elaborato sistema planetario e non solo di un solo pianeta, attorno alla stella più vicina al nostro Sole''. Le particelle di roccia e ghiaccio varierebbero in dimensioni da meno di un millimetro sino a diversi chilometri di diametro, ad una temperatura di circa -230° e con una massa totale di circa un centesimo di quella terrestre. I dati di ALMA suggeriscono la presenza di una seconda cintura ancora più fredda, entrambe ad una distanza molto superiore rispetto a Proxima b che orbita a soli quattro milioni di chilometri dalla stella madre. Sempre secondo Anglada, «questo risultato suggerisce che Proxima Centauri possa avere un sistema a pianeti multipli con una ricca storia di interazioni che hanno portato alla formazione di una cintura di polvere.» L'autore dello studio condivide il proprio nome con l'astronomo che ha guidato il gruppo che ha scoperto Proxima Centauri b, Guillem Anglada-Escudé. Proxima Centauri è stata spesso suggerita come destinazione logica per il primo viaggio interstellare dell'umanità nonostante le stelle a brillamento non siano particolarmente ospitali. In ogni caso, la velocità massima che un veicolo può raggiungere con le attuali tecnologie è sufficiente solo per raggiungere la stella dopo ben 110000 anni. Tuttavia, sfruttando l'effetto fionda, una sonda spaziale può superare questa velocità, arrivando a raggiungere i 17 km/s, a fronte degli 8,3 km/s delle missioni Apollo. Le sonde Voyager 1 e Voyager 2 si stanno allontanando dal nostro sistema solare a questa velocità. Un più probabile viaggio di una sonda spaziale in grado di accelerare continuamente, con un motore atomico a ioni, fino al 30% della velocità della luce, con una analoga decelerazione nella parte finale del viaggio, impiegherebbe poco meno di venti anni, più quattro anni necessari perché il segnale radio giunga fino a noi. Il Sole da Proxima Centauri apparirebbe come una stella di magnitudine apparente 0,4, in direzione della costellazione di Cassiopea, in una posizione leggermente diversa rispetto a come apparirebbe dalle stelle centrali del sistema di α Centauri. Alfa Centauri A (α Cen A / α Centauri A) è una stella nana gialla della costellazione del Centauro. Si tratta della stella più brillante delle tre che compongono il sistema di Alfa Centauri; le sue due compagne sono α Centauri B e Proxima Centauri. La α Centauri A è anche una delle stelle più vicine al Sistema solare, trovandosi ad appena 4,36 al dal Sole, e la quarta stella per luminosità nel cielo notturno terrestre. La distanza ravvicinata al Sistema solare conferisce inoltre ad α Centauri un elevato moto proprio. α Centauri A appare estremamente simile al Sole per massa, diametro e temperatura; è infatti circa il 10% più massiccia del nostro astro, con un raggio del 23% più grande. Si tratta di una stella di sequenza principale, la cui classificazione è G2 V. La velocità di rotazione (v.sin i) di α Centauri A è 2,7 ± 0,7 km s-1, che equivale ad un periodo di rotazione di 22 giorni (per confronto quello del Sole è di 25 giorni). α Centauri A ha una magnitudine assoluta pari a +4,38. Questo valore, insieme alle caratteristiche spettrali dell'astro, permette di desumere l'età della stella che, secondo le attuali teorie sull'evoluzione stellare, oscillerebbe fra i 5 e i 6 miliardi di anni, leggermente più vecchia del Sole. Osservazioni effettuate nei raggi X con i satelliti ROSAT e XMM-Newton hanno evidenziato che α Centauri A emette meno energia in questo intervallo spettrale rispetto ad α Centauri B, nonostante quest'ultima sia complessivamente la meno luminosa delle due. Le curve di luce in banda X hanno evidenziato inoltre una certa variabilità delle due stelle, più rapida per α Centauri B che per A. Per quest'ultima la spiegazione più accreditata è la presenza di un ciclo solare simile a quello undecennale del Sole. Alfa Centauri B (α Cen B) è una stella nana arancione del sistema stellare di Alfa Centauri. Si tratta della seconda stella più brillante delle tre che compongono il sistema di Alfa Centauri; le sue due compagne sono α Centauri A e Proxima Centauri. Si trova a 4,40 anni luce dal Sistema solare, ed è una delle stelle più vicine. La distanza ravvicinata dal Sistema solare conferisce inoltre ad α Centauri un elevato moto proprio. α Centauri B è leggermente più piccola e meno luminosa del nostro Sole; anche questa è nella fase di sequenza principale, la cui classe spettrale è K1 V, ossia una stella di colore giallo-arancione. La sua massa è pari al 90% di quella del Sole e il suo raggio è del 14% più piccolo; la velocità di rotazione è 1,1±0,8 km/s, equivalente ad un periodo di 41 giorni. Una stima precedente indicava questo valore pari a 36,8 giorni. Osservazioni effettuate nei raggi X con i satelliti ROSAT e XMM-Newton hanno evidenziato che la componente B emette più energia in questo intervallo spettrale rispetto ad α Centauri A, nonostante sia complessivamente la meno luminosa delle due. Le curve di luce in banda X hanno evidenziato inoltre una certa variabilità della stella. α Centauri B è infatti una vera e propria stella a brillamento: sono stati infatti osservati due brillamenti, sia con ROSAT che con XMM-Newton, anche se sono fra i più deboli registrati per questo tipo di stelle. Il 17 ottobre 2012 sul settimanale Nature è stato pubblicato un articolo[8] che annunciava la scoperta tramite il metodo delle velocità radiali di un pianeta in orbita attorno alla stella. Tale pianeta, denominato Alfa Centauri Bb, possiede una massa di sole 1,14 M⊕ ed è tra i più piccoli esopianeti conosciuti. Orbita attorno alla sua stella madre con un periodo di 3,236 giorni ad una distanza di sole 0,04 au. Si tratta dell'esopianeta più prossimo alla Terra finora individuato. Il 25 marzo 2015, Demory et al. hanno pubblicato un articolo con i risultati di 40 ore di osservazioni compiute su Alfa Centauri B con il telescopio spaziale Hubble.[9] Anche se il gruppo di astronomi ha escluso eventi di transito per Alfa Centauri Bb (che non esclude la sua esistenza, ma solamente che il pianeta non si trova sullo stesso piano rispetto al Sole e α Centauri), hanno rilevato un evento di transito corrispondente ad un possibile corpo planetario. Questo pianeta molto probabilmente orbita attorno a Alfa Centauri B in un periodo di 20,4 giorni circa, con una probabilità del 5% che la sua orbita sia più lunga. Se confermato, questo pianeta sarebbe chiamato Alfa Centauri Bc, e anch'esso, come Alfa Centauri Bb, sarebbe troppo vicino alla sua stella madre per poter ospitare la vita. Nell'ottobre del 2015, un team di scienziati dell'Università di Oxford ha smentito l'esistenza del pianeta, dimostrando i difetti delle analisi dei dati di tre anni prima, al tempo della scoperta. Dumusque, lo scopritore del pianeta nel 2012, si è dichiarato d'accordo con questa analisi, affermando che il pianeta b molto probabilmente non esiste. Proxima Centauri b (chiamato anche Proxima b) è un pianeta extrasolare in orbita nella zona abitabile della nana rossa Proxima Centauri (componente C del sistema Alfa Centauri che si trova nella costellazione del Centauro). Proxima Centauri, distante dalla Terra 4,224 anni luce, è la stella più vicina al Sistema Solare e questo rende Proxima b l'esopianeta conosciuto più vicino possibile alla Terra e, a maggio 2020, quello con l'ottavo ESI (indice di similarità terrestre) più alto tra tutti gli esopianeti conosciuti (0,87). La scoperta è stata resa possibile da osservazioni della velocità radiale di α Centauri C attraverso lo spettrografo HARPS, montato sul telescopio da 3,6 m di diametro presso l'Osservatorio di La Silla dello European Southern Observatory (ESO), condotte dal 2013 al 2016 da un gruppo di astronomi afferenti alla Queen Mary, University of London a seguito di una campagna osservativa denominata Pale Red Dot. L'annuncio della sua scoperta è stato dato il 24 agosto 2016 con un resoconto scientifico pubblicato online dalla rivista Nature, con Guillem Anglada-Escudé quale primo firmatario. Il pianeta è stato scoperto attraverso il metodo delle velocità radiali, rilevando le variazione prodotte dall'effetto Doppler nello spettro di α Centauri C. Grazie alla precisione di HARPS sono state rilevate variazioni corrispondenti a velocità radiali di 5 km/h. Data la piccola massa della stella madre e i relativi modelli disponibili per stelle di questo tipo, non sembra plausibile l'ipotesi che un pianeta come Proxima Centauri b si sia formato nella sua attuale posizione, ed è più probabile che abbia avuto origine in un'altra zona del sistema e che solo successivamente sia migrato nella sua orbita attuale. In caso contrario dovrebbero essere rivisti gli attuali modelli sulla formazione planetaria. Proxima Centauri b orbita a 0,05 au dalla sua stella, un ottavo circa della distanza che separa Mercurio dal Sole, all'interno della zona abitabile del sistema, compiendo un'orbita completa in 11,186 giorni (11 giorni, 4 ore, 27 minuti e 50,4 secondi). È probabile che sia in rotazione sincrona a causa della prossimità con la sua stella. Per la sua massa è stato stimato un limite inferiore di 1,17 masse terrestri. Per una stima più accurata sarebbe necessario conoscere il valore della sua inclinazione orbitale, per ora incognito. Il 90% delle possibili orientazioni comportano una massa del pianeta comunque inferiore a 3 masse terrestri. Non è noto con precisione il raggio, in quanto non è stato osservato nessun transito del pianeta davanti alla propria stella madre, tuttavia esso dovrebbe essere compreso tra 0,94 e 1,4 volte il raggio terrestre. Se il pianeta fosse roccioso e con una densità simile a quella della Terra, la sua dimensione potrebbe essere il 10% maggiore di quella terrestre. Rimangono sconosciute composizione e condizioni atmosferiche, dal momento che non sono stati osservati suoi transiti. La sua massa suggerisce possa trattarsi di un pianeta terrestre, nel caso il suo raggio sia attorno ai valori terrestri, mentre nel caso della stima più elevata (1,4 R⊕) è probabile che esso sia completamente ricoperto da un unico oceano profondo 200 km. In quest'ultimo caso si tratterebbe dunque di un pianeta oceano. Proxima b riceve dalla sua stella all'incirca il 65% del flusso luminoso totale che la Terra riceve dal Sole, anche se la maggior parte del flusso elettromagnetico proveniente da una fredda nana rossa è nell'infrarosso, e nella banda della luce visibile il pianeta riceve solo il 2% della radiazione che la Terra riceve dal Sole, e la luminosità sul pianeta non sarebbe visualmente mai superiore a quella di un crepuscolo terrestre. Tuttavia riceve anche circa 400 volte il flusso di raggi X che la Terra riceve dal Sole. La sua temperatura di equilibrio planetaria è stata stimata essere 234 K (−39 °C), tuttavia a causa della forte escursione termica tra la faccia perennemente illuminata e quella in ombra è probabile che esista una zona intermedia in cui sia possibile la presenza di acqua allo stato liquido. Non è noto al momento se il pianeta sia abitabile o meno. Proxima b orbita all'interno della zona abitabile di Proxima Centauri, cioè in quella regione di spazio che è alla distanza giusta dalla propria stella affinché, nelle corrette condizioni e proprietà atmosferiche, sia possibile l'esistenza di acqua liquida sulla superficie del pianeta. Essendo la stella però una nana rossa, quindi molto più fredda del nostro Sole, un pianeta che orbita Proxima, per rientrare nella zona abitabile, deve essere molto più vicino alla propria stella di quanto lo sarebbe se orbitasse una stella più calda, come il Sole. Proxima b è così vicino alla propria stella che potrebbe essere in rotazione sincrona, cioè avrebbe sempre la stessa faccia rivolta verso la stella. Ciò comporterebbe che una metà del pianeta sia costantemente illuminata e quindi caldissima, mentre l'altra metà sia costantemente oscurata e quindi congelata[20]. Al limite tra queste due aree estreme, cioè nella zona crepuscolare, le temperature potrebbero essere però ideali per l'esistenza di acqua liquida sulla superficie. La presenza di un'atmosfera abbastanza spessa da garantire uno scambio termico tra le due zone renderebbe la porzione abitabile del pianeta più vasta. L'ipotesi di rotazione sincrona dipende dall'eccentricità dell'orbita, la quale non è ancora nota con esattezza, ma si sa essere comunque inferiore a 0,35[22] e quindi abbastanza elevata per poter garantire la possibilità di una risonanza orbitale 3:2, simile a quella di Mercurio con il Sole, che renderebbe possibile un'alternanza del giorno e della notte (a differenza della rotazione sincrona) e quindi un ambiente molto meno estremo e con temperature medie più simili a quelle terrestri. Il fatto che Proxima Centauri sia una stella a brillamento potrebbe precludere l'abitabilità di Proxima b perché continui brillamenti potrebbero portare via porzioni di atmosfera dal pianeta e le intense radiazioni sarebbero fatali per la vita sul pianeta, se non fosse protetto da un forte campo magnetico planetario. La presenza di tale campo magnetico, che dipende da fattori come la velocità di rotazione del pianeta e il riscaldamento interno mareale, non è esclusa rendendo teoricamente possibile la vita. Inoltre, osservazioni e simulazioni al computer del 2016 confermano che la stella ha un ciclo come il Sole di circa 7 anni; l'instabilità delle nane rosse riguarda i primissimi miliardi di anni della loro vita, ma Proxima, con un'età stimata di circa 5 miliardi di anni, potrebbe essere più stabile di ciò che si pensava in precedenza, anche se ciò non esclude che sia ancora soggetta a forti brillamenti, in proporzione molto più violenti di quelli delle stelle di tipo solare. Il primo studio deterministico per rilevare il clima su Proxima b è stato effettuato da ricercatori dell'Università di Exeter, utilizzando un programma modificato di meteorologia, il Met Office Unified Model, utilizzato per le previsioni climatiche terrestri. Uno studio effettuato a luglio 2017 con ulteriori modelli deterministici ha evidenziato che se un pianeta come la Terra orbitasse alla stessa posizione di Centauri-b intorno al proprio astro, l'intensa radiazione stellare ionizzerebbe rapidamente il gas atmosferico disperdendone rapidamente gli elementi nello spazio. Uno studio successivo basato sull'analisi di un super-brillamento osservato nel 2016 su Proxima b congiuntamente ad altri brillamenti inferiori avvenuti e rilevati dall'osservatorio di Cerro Tololo, ha evidenziato che la luce UV generata da tali brillamenti avrebbe raggiunto la superficie del pianeta con un'intensità cento volte maggiore di quella necessaria ad uccidere eventuali microorganismi UV resistenti e riducendo del 90% in cinque anni eventuali concentrazioni di ozono presenti e necessarie a bloccarne i raggi su un'atmosfera simile alla Terra. Alfa Centauri Bb è un ipotetico pianeta extrasolare in orbita intorno alla componente B del sistema Alfa Centauri che si trova nella costellazione del Centauro, la cui esistenza è stata però smentita nel 2015. Alla distanza dalla Terra di 4,37 anni luce, era l'esopianeta scoperto più vicino alla Terra fino alla scoperta di Proxima Centauri b avvenuta nel 2016. L'annuncio della scoperta di Alfa Centauri Bb ricevette l'attenzione dei media, e l'esistenza di questo pianeta fu vista come un punto di riferimento importante per gli studi futuri sugli esopianeti. Tuttavia, nel mese di ottobre del 2015, alcuni astronomi dell'Università di Oxford hanno pubblicato un articolo scientifico smentendo l'esistenza del pianeta, affermando che si trattava probabilmente di un artefatto nell'analisi dei dati. Lo stesso Dumusque, scopritore del pianeta tre anni prima, ha accettato il risultato, e affermato che, nonostante non ci sia la certezza assoluta della smentita, il pianeta probabilmente non esiste. La scoperta fu resa possibile da osservazioni della velocità radiale di α Centauri B attraverso lo spettrografo HARPS,[9] montato sul telescopio da 3,6 m di diametro presso l'Osservatorio di La Silla dello European Southern Observatory (ESO), condotte dal febbraio del 2008 al luglio del 2011 da un gruppo di astronomi europei afferenti all'Osservatorio di Ginevra e al Centro di Astrofisica dell'Università di Porto. Nei quattro anni della ricerca, sono state condotte 459 osservazioni dello spettro della stella, che sono state successivamente analizzate con metodi statistici. L'annuncio venne dato il 16 ottobre 2012 ed un resoconto scientifico pubblicato online il giorno seguente dalla rivista Nature, con Xavier Dumusque quale primo firmatario. Il pianeta era stato scoperto attraverso il metodo delle velocità radiali, rilevando le variazioni prodotte dall'effetto Doppler nello spettro di α Centauri B. Grazie alla precisione di HARPS sono state rilevate variazioni corrispondenti a velocità radiali di 51 cm/s. La probabilità che la scoperta possa rilevarsi spuria è dello 0,02%. Le caratteristiche che vennero annunciate al tempo della scoperta di Alfa Centauri Bb erano di un corpo che orbita a 0,04 au dalla sua stella, un decimo circa della distanza che separa Mercurio dal Sole, in 3,236 giorni (3 giorni, 5 ore, 39 minuti e 24,5 ± 69 secondi), al di fuori della zona abitabile del sistema, probabilmente in rotazione sincrona. La sua massa era stata stimata in, minimo, 1,13 masse terrestri. Rimanevano comunque sconosciute le sue dimensioni, composizione e condizioni atmosferiche, dal momento che non sono stati osservati suoi transiti. Tuttavia, la sua massa suggerisce possa trattarsi di una Super Terra. La temperatura superficiale è stata stimata in 1200 °C, superiore alla temperatura di fusione di molti silicati. (Per confronto, sulla superficie di Venere - la più calda del sistema solare - si raggiungono al massimo i 460 °C). A tali temperature, quindi, vaste zone della superficie potrebbero essere fuse e il pianeta apparirebbe come un "mondo di lava". Si ritiene che l'orbita di un pianeta con tali caratteristiche, così come quelle incluse nella zona abitabile di α Centauri B, non fossero destabilizzate dall'influenza gravitazione della compagna α Centauri A, il cui massimo avvicinamento è di 8,5 UA - valore confrontabile con quello dell'orbita di Saturno attorno al Sole. Al massimo avvicinamento, α Centauri A raggiungerebbe una magnitudine di −22,5 - pari a circa il 2% di come appare il Sole visto dalla Terra. La nostra stella, vista dal pianeta, raggiungerebbe una magnitudine di +0,47, leggermente più fioca di quanto appaia Procione dalla Terra. Analisi astrosismiche, dell'attività cromosferica e studi sulla rotazione stellare per le stelle A e B indicano che il sistema di α Centauri sia leggermente più vecchio del sistema solare, con un'età stimata compresa tra 4,5 e 7 miliardi di anni. Per mostrare l'influenza di un pianeta sulla velocità radiale della stella si sono dovute isolare diverse componenti, come gli effetti di macchie stellari, della rotazione e della fotosfera della stella, nonché le interferenze della vicina Alfa Centauri A. La variazione della velocità radiale era al limite della strumentazione di HARPS,[13] che ha una precisione a lungo termine di 0,8 m/s[1]. Il cacciatore di esopianeti Artie Hatzes ha tuttavia espresso dubbi sull'esistenza del pianeta, e suggerito che necessitano ulteriori conferme. Egli ha infatti provato prima a rimuovere il segnale periodico più forte trovando solo una debole traccia dell'esistenza di un corpo substellare, quindi ha provato altre tecniche tra cui quella di generare un falso segnale per trovare un corpo "estraneo", senza arrivare a nessun risultato. L'astronoma statunitense Debra Fischer approva invece il nuovo metodo di ricerca di Dumusque, tuttavia sottolinea che una conferma osservativa sia necessaria. L'astronoma e il suo team hanno iniziato una campagna di osservazione, tuttora in corso, all'osservatorio di Cerro Tololo poco dopo l'annuncio della scoperta del pianeta. Il gruppo europeo che ha fatto la scoperta tenterà di rilevare in futuro un transito planetario sulla stella madre e ha chiesto la disponibilità del telescopio spaziale Hubble per le osservazioni. Un transito potrebbe fornire informazioni su dimensioni del pianeta, composizione e condizioni atmosferiche. Tuttavia, data la linea di vista rispetto alla Terra, le dimensioni relativamente ridotte del pianeta e la natura binaria del sistema stellare, le possibilità di un transito di Alpha Centauri Bb osservabile dalla Terra sono stimate solo tra il 10 e il 30%. Nell'ottobre del 2015, un team di scienziati dell'Università di Oxford ha smentito l'esistenza del pianeta, dimostrando i difetti delle analisi dei dati di tre anni prima, al tempo della scoperta. Dumusque, lo scopritore del pianeta nel 2012, si è dichiarato d'accordo con questa analisi, affermando che il pianeta molto probabilmente non esiste.

Il Sole

Il Sole è sicuramente la stella che conosciamo in modo più approfondito.

Il Sole (dal latino: Sol) è la stella madre del sistema solare, attorno alla quale orbitano gli otto pianeti principali (tra cui la Terra), i pianeti nani, i loro satelliti, innumerevoli altri corpi minori e la polvere diffusa per lo spazio, che forma il mezzo interplanetario. La massa del Sole, che ammonta a circa 2×1030 kg, rappresenta da sola il 99,86% della massa complessiva del sistema solare. Il Sole è una stella di dimensioni medio-piccole costituita principalmente da idrogeno (circa il 74% della sua massa, il 92,1% del suo volume) ed elio (circa il 24-25% della massa, il 7,8% del volume), cui si aggiungono altri elementi più pesanti presenti in tracce. È classificato come una "nana gialla" di tipo spettrale G2 V: "G2" indica che la stella ha una temperatura superficiale di 5 777 K (5 504 °C), caratteristica che le conferisce un colore bianco estremamente intenso e cromaticamente freddo, che però spesso può apparire giallognolo, a causa della diffusione luminosa nell'atmosfera terrestre, in ragione dell'elevazione dell'astro sull'orizzonte e nondimeno della limpidezza atmosferica. La V (5 in numeri romani) indica che il Sole, come la maggior parte delle stelle, è nella sequenza principale, ovvero in una lunga fase di equilibrio stabile in cui l'astro fonde, nel proprio nucleo, l'idrogeno in elio. Tale processo genera ogni secondo una grande quantità di energia (equivalente a una potenza di 3,9×1026 W), emessa nello spazio sotto forma di radiazioni elettromagnetiche (radiazioni solari), flusso di particelle (vento solare) e neutrini. La radiazione solare, emessa fondamentalmente come luce visibile ed infrarossi, consente la vita sulla Terra fornendo l'energia necessaria ad attivare i principali meccanismi che ne stanno alla base; inoltre l'insolazione della superficie terrestre regola il clima e la maggior parte dei fenomeni meteorologici. Collocato all'interno del Braccio di Orione, un braccio secondario della spirale galattica, il Sole orbita attorno al centro della Via Lattea ad una distanza media di circa 26 000 anni luce e completa la propria rivoluzione in 225-250 milioni di anni. Tra le stelle più vicine, poste entro un raggio di 17 anni luce, il Sole è la quinta più luminosa in termini intrinseci: la sua magnitudine assoluta, infatti, è pari a +4,83. Se fosse possibile osservare la nostra stella da α Centauri, il sistema stellare più vicino, essa apparirebbe nella costellazione di Cassiopea con una magnitudine apparente di 0,5. Il simbolo del Sole consiste di una circonferenza con un punto al centro.

Osservazione

La locuzione osservazione del Sole indica l'insieme di procedimenti legati all'osservazione astronomica atti a rivelare e studiare i fenomeni che caratterizzano la superficie (e di riflesso gli strati interni) della nostra stella. Il Sole è l'unica stella la cui forma possa essere apprezzata semplicemente alla vista. Possiede infatti un diametro angolare apparente medio di 32' 03" d'arco, che varia però a seconda del punto in cui la Terra si trova nel corso della sua orbita: raggiunge infatti il valore massimo (32' 35") quando il nostro pianeta si trova al perielio, mentre il valore minimo (31' 31") all'afelio. Simili dimensioni apparenti consentono, previo l'utilizzo di particolare strumentazione ed adeguate protezioni, di osservare i dettagli della superficie della nostra stella allo scopo di rivelare e studiare i fenomeni che la caratterizzano. A occhio nudo è possibile distinguere il disco solare al tramonto o in presenza di nebbia e nubi, quando l'intensità luminosa decresce sensibilmente. Tali osservazioni permettono, seppure in rare circostanze, di osservare delle macchie solari particolarmente estese. Utilizzando poi un modesto telescopio, dotato di un adeguato filtro o utilizzato per proiettare l'immagine della stella su uno schermo bianco, è possibile osservare agevolmente le macchie solari e i brillamenti. Il conteggio delle macchie e il calcolo del numero di Wolf rappresenta un'attività legata alle campagne osservative astronomiche cui molti astrofili prendono parte. Tuttavia, a causa dei rischi a cui è soggetta la retina dell'occhio, l'osservazione del Sole senza le giuste protezioni è dannosa alla vista. La combinazione delle dimensioni e della distanza dalla Terra del Sole e della Luna sono tali che i due astri appaiono nel cielo pressappoco col medesimo diametro; tale situazione è all'origine di periodiche occultazioni della stella da parte del nostro unico satellite naturale, che prendono il nome di eclissi solari; le eclissi totali, in particolare, consentono di visualizzare la corona solare e le protuberanze. Un altro tipo di osservazione non riguarda direttamente la stella ma i suoi moti apparenti sulla volta celeste. Il moto apparente del Sole nell'arco della giornata è sfruttato dagli uomini nella scansione delle ore, grazie anche all'utilizzo di strumenti preposti come le meridiane. Inoltre, la stella sembra compiere, nell'arco di un anno, un tragitto lungo la fascia zodiacale che varia di giorno in giorno. La traiettoria descritta dal Sole, rilevata alla stessa ora ogni giorno durante l'anno, prende il nome di analemma ed ha una forma assomigliante ad un numero 8, allineato secondo un asse nord-sud. La variazione della declinazione solare annua in senso nord-sud è di circa 47° (per via dell'inclinazione dell'asse terrestre rispetto all'eclittica di 66° 33', causa fondamentale dell'alternarsi delle stagioni), mentre vi è anche una piccola variazione in senso est-ovest causata dalla differente velocità orbitale della Terra, che, nel rispetto delle leggi di Keplero, è massima al perielio e minima all'afelio. La luce solare è estremamente forte e guardare direttamente il Sole ad occhio nudo, anche per brevi periodi, può essere doloroso, relativamente dannoso per un normale occhio anche se con pupille non dilatate. Un'osservazione prolungata senza precauzioni può tuttavia causare una sensazione luminosa di puntini o scintille, nota come fosfene, ed una temporanea cecità parziale: infatti la retina viene moderatamente riscaldata da circa 4 milliwatt di luce solare, che causano una momentanea risposta errata alla luminosità da parte degli occhi. L'esposizione diretta ai raggi ultravioletti (raggi UV) è altresì dannosa per gli occhi: infatti, nel corso degli anni, può portare ad una progressiva opacizzazione del cristallino (la "lente" dell'occhio), che risulta nella formazione di una cataratta. Inoltre i raggi UV sono responsabili di lesioni retinee simili ad ustioni, che iniziano a manifestarsi dopo circa 100 secondi dall'esposizione, soprattutto nel caso in cui la radiazione ultravioletta sia particolarmente intensa e ben messa a fuoco. Gli individui giovani (in grado di tollerare un carico di ultravioletti superiore agli individui più vecchi) o che hanno subito un impianto di cristallino sono più esposti al pericolo di lesioni retinee da raggi UV, così come coloro che osservano il Sole da altitudini elevate o quando si trova vicino allo zenit. Il filtro minimo per osservare direttamente il sole in sicurezza è il Neutral Density ND 5.0 che abbatte la luce di 1:100000 volte, vedere Valori filtri a densità neutra. Vedere il Sole attraverso strumenti ottici che concentrano la luce, come i binocoli, è rischioso senza l'uso di adeguati filtri che blocchino gli ultravioletti e riducano sostanzialmente l'intensità luminosa. È necessario tuttavia scegliere i filtri più adatti: un filtro a densità neutra attenuante potrebbe rivelarsi insufficiente, poiché potrebbe non filtrare correttamente i raggi UV. I binocoli senza filtri possono concentrare sulla retina fino ad oltre 500 volte la quantità di energia solare che raggiungerebbe normalmente l'occhio nudo, distruggendo le cellule retinee quasi istantaneamente: infatti, sebbene l'energia luminosa che raggiunge ogni unità d'area della retina sia la stessa sia col binocolo sia ad occhio nudo, nel primo caso il calore non può essere disperso sufficientemente in fretta perché l'area dell'immagine risulta ingrandita. Osservare il Sole a mezzogiorno attraverso binocoli non filtrati può pertanto causare cecità permanente. Un modo per osservare la stella in sicurezza è proiettare la sua immagine su uno schermo usando un telescopio e un oculare senza elementi cementati; il tutto è possibile con un piccolo telescopio rifrattore (o con un binocolo) con un oculare senza filtri. Non è consigliabile usare altri tipi di telescopi per questa procedura, in quanto potrebbero risultarne danneggiati. I filtri attenuanti per osservare il Sole dovrebbero essere progettati per questo specifico uso: i filtri improvvisati possono non filtrare adeguatamente i raggi UV. Inoltre i filtri per telescopi o binocoli dovrebbero essere montati sugli obiettivi o sull'apertura dello strumento, mai sull'oculare, perché i filtri da oculare si possono rompere facilmente e senza preavviso a causa dell'elevato calore che passa attraverso l'oculare stesso e che viene assorbito dal filtro. Delle lenti da saldatore con opacità non inferiore a UNI EN169 W13 sono dei filtri solari accettabili per l'osservazione fugace del sole, non in modo continuo, il W14 è adatto, mentre i rullini fotografici, anche se non impressionati ("in nero", vergini) sarebbero da evitare, in quanto lasciano passare troppi infrarossi. Le eclissi parziali sono pericolose da osservare ad occhio nudo, poiché le pupille, che non sono abituate agli alti contrasti tra la luminosità della stella e l'ombra proiettata dalla Luna, si dilatano in base alla quantità totale di luce presente nel campo visivo e non rispetto all'oggetto più luminoso nel campo. Durante le eclissi parziali, infatti, gran parte dei raggi emessi dalla stella sono oscurati dalla Luna, che viene a interporsi tra la Terra e il Sole, ma la parte della fotosfera non oscurata ha la stessa luminosità superficiale che possiede normalmente la stella. Nell'area di oscurità, la pupilla si dilata da 2 mm fino a circa 6 mm, esponendo così ogni cellula retinea ad una quantità di luce circa dieci volte superiore rispetto alle osservazioni in condizioni normali; le cellule retinee sono così gravemente danneggiate o uccise, mentre nella retina permangono delle piccole aree di cellule morte. Questo tipo di azzardo è insidioso per gli osservatori inesperti o per i bambini, perché non si ha una percezione immediata del danno causato alla vista dall'osservazione, né questo provoca dolore. Durante l'alba e il tramonto, la luminosità della stella appare attenuata a causa della diffusione (in inglese scattering) della luce solare da parte dell'atmosfera, soprattutto la diffusione di Rayleigh e di Mie: infatti, i raggi solari vengono riflessi mentre attraversano strati estremamente densi dell'atmosfera terrestre, al punto che il disco solare può essere visto senza problemi anche a occhio nudo o con delle lenti, facendo attenzione che il Sole sia sufficientemente basso, in modo che non ci sia il rischio di improvvisi brillamenti in caso di apertura di eventuali nuvole basse sull'orizzonte. Condizioni di cielo velato, umidità e presenza di polveri atmosferiche contribuiscono ad attenuare ulteriormente i raggi solari.

Storia delle osservazioni

L'uomo, fin dalle sue origini, ha reso oggetto di attenzioni e spesso venerazione molti fenomeni naturali, tra cui il Sole. Le prime conoscenze astronomiche dell'uomo preistorico, che riteneva le stelle dei puntini immutabili "incastonati" nella sfera celeste, consistevano essenzialmente nella previsione dei moti del Sole, della Luna e dei pianeti sullo sfondo delle stelle fisse. Un esempio di questa "protoastronomia" è dato dagli orientamenti dei primi monumenti megalitici, che tenevano conto della posizione del Sole nei vari periodi dell'anno: in particolare i megaliti di Nabta Playa (in Egitto) e Stonehenge (in Inghilterra) erano stati costruiti tenendo conto della posizione dell'astro durante il solstizio d'estate. Molti altri monumenti dell'antichità sono stati costruiti tenendo in considerazione i moti apparenti del Sole: un esempio è il Tempio di Kukulkan (meglio noto come El Castillo) a Chichén Itzá, nel Messico, che è stato progettato per proiettare ombre a forma di serpente durante gli equinozi. Il moto apparente del Sole sullo sfondo delle stelle fisse e dell'orizzonte fu utilizzato per redigere i primi calendari, impiegati per regolare le pratiche agricole. Rispetto alle stelle fisse, infatti, il Sole sembra compiere una rotazione attorno alla Terra nell'arco di un anno (sul piano dell'eclittica, lungo la fascia zodiacale); per questo la nostra stella, contrariamente a quanto oggi noto, fu considerata dagli antichi astronomi greci come uno dei pianeti che ruotavano attorno alla Terra, la quale era ritenuta al centro dell'Universo; tale concezione prende il nome di "sistema geocentrico" o "sistema aristotelico-tolemaico" (dai nomi del filosofo greco Aristotele, IV secolo a.C., e dell'astronomo alessandrino Claudio Tolomeo, II secolo d.C.). Una delle prime "spiegazioni scientifiche" sul Sole venne fornita dal filosofo greco Anassagora. Questi lo immaginava come una grande sfera di metallo infiammato più grande del Peloponneso e riteneva impossibile che potesse esser trascinato dal carro del dio Elio. Per aver insegnato questa dottrina, considerata eretica, venne accusato dalle autorità di empietà, imprigionato e condannato a morte (venne però in seguito rilasciato per intervento di Pericle). Eratostene di Cirene, probabilmente, fu il primo a calcolare accuratamente la distanza della Terra dal Sole, nel III secolo a.C.; secondo quanto tramandatoci da Eusebio di Cesarea,[30] egli calcolò la distanza dalla nostra stella in «σταδίων μυριάδας τετρακοσίας καὶ ὀκτωκισμυρίας» (stadìōn myrìadas tetrakosìas kài oktōkismyrìas), ovvero 804 milioni di stadi, equivalenti a 149 milioni di chilometri: un risultato sorprendentemente molto simile a quello attualmente accettato, da cui differisce di appena l'1%. Un altro scienziato che sfidò le credenze del suo tempo fu Niccolò Copernico, che nel XVI secolo riprese e sviluppò la teoria eliocentrica (che considerava il Sole al centro dell'Universo), già postulata nel II secolo a.C. dallo scienziato greco Aristarco di Samo. È grazie anche all'opera di importanti scienziati del XVII secolo, come Galileo Galilei, Cartesio e Newton, che il sistema eliocentrico arrivò, infine, a prevalere su quello geocentrico. Galileo fu inoltre il pioniere dell'osservazione solare, grazie al cannocchiale; lo scienziato pisano scoprì nel 1610 le macchie solari, e confutò una presunta dimostrazione dello Scheiner che esse fossero oggetti transitanti tra la Terra ed il Sole piuttosto che presenti sulla superficie solare. Isaac Newton, il padre della legge di gravitazione universale, osservò la luce bianca solare attraverso un prisma, dimostrando che essa era composta da un gran numero di gradazioni di colore, mentre verso la fine del XVIII secolo William Herschel scoprì la radiazione infrarossa, presente oltre la parte rossa dello spettro solare. Nel XIX secolo la spettroscopia conseguì enormi progressi: Joseph von Fraunhofer, considerato il "padre" di questa disciplina, effettuò le prime osservazioni delle linee di assorbimento dello spettro solare, che attualmente vengono chiamate, in suo onore, linee di Fraunhofer. Nei primi anni dell'era scientifica moderna gli scienziati si interrogavano su quale fosse la causa dell'energia solare. William Thomson, I barone Kelvin, ipotizzò che il Sole fosse un corpo liquido in graduale raffreddamento, che emetteva nello spazio la sua riserva interna di calore; l'emissione energetica venne spiegata da Kelvin e Hermann von Helmholtz attraverso la teoria detta meccanismo di Kelvin-Helmholtz, secondo la quale l'età del Sole era di 20 milioni di anni: un valore nettamente inferiore ai 4,6 miliardi di anni suggeriti per il nostro pianeta dagli studi geologici. Nel 1890 Joseph Lockyer, scopritore dell'elio nello spettro solare, suggerì che la stella si fosse formata dalla progressiva aggregazione di frammenti rocciosi simili alle meteore. Una possibile soluzione alla discrepanza tra il dato di Kelvin-Helmholtz e quello geologico arrivò nel 1904, quando Ernest Rutherford suggerì che l'energia del Sole potesse essere originata da una fonte interna di calore, generata da un meccanismo di decadimento radioattivo. Fu tuttavia Albert Einstein a fornire lo spunto decisivo sulla questione, con la sua relazione massa-energia E=mc². Lo stesso Einstein riuscì a dimostrare tra il 1905 ed il 1920 la ragione del particolare moto orbitale di Mercurio, attribuita inizialmente alle perturbazioni di un pianeta più interno, chiamato dagli astronomi Vulcano. Einstein suppose che il particolare moto del pianeta non fosse dovuto ad alcuna perturbazione planetaria, bensì al campo gravitazionale del Sole, la cui enorme massa genera una curvatura dello spazio-tempo.[40] L'entità della curvatura dipenderebbe dalla relazione:

(GxM)/(Rxc^2)

Dove G è la costante di gravitazione universale, M è la massa del corpo, R indica la deflessione dei raggi (misurata in gradi) e c è la velocità della luce nel vuoto. Tale curvatura sarebbe dunque responsabile della precessione del perielio del pianeta e della lieve deflessione che la luce e qualunque altra radiazione elettromagnetica, in conseguenza della teoria della relatività generale, subirebbe in prossimità del campo gravitazionale del Sole. Si è calcolato che la curvatura spaziotemporale provocherebbe uno spostamento nella posizione di una stella pari a 1,7 secondi d'arco.Nel 1919 il fisico inglese Arthur Eddington confermò la teoria in occasione di un'eclissi. L'anno successivo il fisico inglese ipotizzò che l'energia solare fosse il risultato delle reazioni di fusione nucleare, causate dalla pressione e dalla temperatura interna del Sole, che trasformerebbero l'idrogeno in elio e produrrebbero energia a causa della differenza di massa. La teoria venne ulteriormente sviluppata negli anni trenta dagli astrofisici Subrahmanyan Chandrasekhar e Hans Bethe; quest'ultimo studiò nei dettagli le due principali reazioni nucleari che producono energia nelle stelle, ovvero la catena protone-protone ed il ciclo del carbonio-azoto, calcolando il quantitativo energetico sviluppato da ciascuna reazione. Nel 1957 venne poi pubblicato un articolo, intitolato Synthesis of the Elements in Stars,[39] in cui veniva proposto un modello consistente con i dati a disposizione, e a tutt'oggi valido, secondo il quale la maggior parte degli elementi nell'Universo furono creati dalle reazioni nucleari all'interno delle stelle, a eccezione di idrogeno, elio e litio, formatisi in massima parte durante la nucleosintesi primordiale e dunque già presenti in notevole quantità prima che si formassero le prime stelle.

Esplorazione del Sole

Con l'avvento, nei primi anni cinquanta, dell'era spaziale e l'inizio delle esplorazioni del sistema solare, numerose sono state le sonde appositamente progettate per l'esplorazione del Sole, allo scopo fondamentalmente di studiarne le caratteristiche fisico-chimiche non rilevabili dal nostro pianeta. I primi satelliti progettati per osservare il Sole furono i Pioneer 5, 6, 7, 8 e 9 della NASA, lanciati tra il 1959 e il 1968. Le sonde orbitarono attorno al Sole ad una distanza di poco inferiore a quella dell'orbita terrestre ed effettuarono le prime misure dettagliate del vento e del campo magnetico solare. La sonda Pioneer 9 operò per molto tempo, trasmettendo dati fino al 1987. Negli anni settanta la sonda Helios 1 e la stazione spaziale Skylab fornirono agli scienziati nuovi e significativi dati sull'emissione del vento solare e sulla corona. Il satellite Helios 1 fu una joint-venture tra gli USA e la Germania Ovest e studiò il vento solare attraverso un'orbita passante all'interno del perielio di Mercurio. La stazione spaziale, lanciata dalla NASA nel 1973, includeva un modulo che fungeva da osservatorio solare (denominato Apollo Telescope Mount) impiegato dagli astronauti che risiedevano nella stazione. Effettuò le prime osservazioni della zona di transizione solare e delle emissioni ultraviolette da parte della corona solare; vennero osservate anche le prime espulsioni di massa e i buchi della corona solare. La NASA lanciò nel 1980 la Solar Maximum Mission, costituita da una sonda progettata per osservare le radiazioni ultraviolette, i raggi gamma ed X emanati dai flare solari durante il periodo di massima attività. Tuttavia, dopo qualche mese di operatività, un guasto elettronico fece entrare la sonda in standby e rimase in questo stato per i successivi tre anni. Nel 1984 la missione STS-41C dello Space Shuttle Challenger riparò il guasto e la sonda acquisì migliaia di immagini della corona solare, prima di rientrare nell'atmosfera terrestre e disintegrarsi nel giugno 1989. Il satellite giapponese Yohkoh (letteralmente raggio di Sole) venne lanciato nel 1991 e osservò i flare solari alle lunghezze d'onda dei raggi X. I dati raccolti permisero di identificare diversi tipi di flare e dimostrarono che la corona solare, anche nei periodi diversi da quelli di massima attività, fosse più attiva e dinamica di quanto non si supponesse in precedenza. La sonda entrò in modalità standby quando un'eclissi anulare nel 2001 le fece perdere l'orientamento verso il Sole; si è disintegrata durante il rientro in atmosfera nel 2005. Una delle principali missioni solari è stata svolta dal Solar and Heliospheric Observatory (SOHO), frutto della collaborazione tra ESA e NASA, lanciato il 2 dicembre del 1995. Concepita inizialmente come una missione biennale, SOHO è operativa da oltre dieci anni, durante i quali si è dimostrata talmente utile che il lancio della missione successiva, la Solar Dynamics Observatory (SDO), è stato posticipato al 26 gennaio 2010. Situata in corrispondenza del punto di Lagrange tra la Terra e il Sole (in cui è uguale l'attrazione gravitazionale esercitata dai due corpi), SOHO ha garantito sin dal suo lancio una costante osservazione della nostra stella in gran parte delle lunghezze d'onda dello spettro elettromagnetico. Oltre all'osservazione solare, SOHO ha permesso di scoprire un gran numero di comete, gran parte delle quali classificate come radenti (un particolare tipo di cometa che al perielio passa molto vicino alla superficie solare). Queste sonde hanno tuttavia effettuato osservazioni dettagliate solamente delle regioni equatoriali del Sole, visto che le loro orbite erano situate sul piano dell'eclittica. La sonda Ulysses venne invece progettata per studiare le regioni polari; lanciata nel 1990, fu inizialmente diretta verso Giove in modo da sfruttare l'effetto fionda gravitazionale del gigante gassoso ed allontanarsi dal piano delle orbite planetarie. Per una interessante coincidenza, la Ulysses si trovò in un buon punto per osservare la collisione della cometa Shoemaker-Levy 9 con Giove nel 1994. Una volta nell'orbita prevista, la sonda iniziò le misurazioni del vento solare e dell'intensità del campo magnetico. Nel 1998 fu lanciata la sonda TRACE, finalizzata ad individuare le connessioni tra il campo magnetico della stella e le strutture in plasma associate, grazie anche all'ausilio di immagini ad alta risoluzione della fotosfera e della bassa atmosfera del Sole. A differenza della fotosfera, ben studiata attraverso la spettroscopia, la composizione interna del Sole è poco conosciuta. La missione Genesis fu progettata per prelevare dei campioni di vento solare e avere una misura diretta della composizione della materia costituente la stella. La sonda rientrò sulla terra nel 2004 ma fu danneggiata dall'atterraggio a causa di un guasto al paracadute; sono stati comunque recuperati alcuni campioni, attualmente sotto analisi, dai resti del modulo della sonda. Nell'ottobre 2006 è stata lanciata la missione Solar Terrestrial Relations Observatory (STEREO), che consiste di due navicelle identiche poste in orbite che permettono di ottenere una visione stereoscopica della nostra stella e dei suoi fenomeni. Nell'agosto 2018 è stata lanciata la missione Parker Solar Probe, che prevede di fare arrivare un orbiter a meno di 6 milioni di km dal Sole (circa un decimo della distanza da Mercurio) dotato di uno scudo termico, dovendo resistere a temperature di 2000 °C.

Posizione nella Galassia

l Sole orbita a una distanza dal centro della Via Lattea stimata in 26 000 ± 1400 anni luce (7,62 ± 0,32 kpc). La stella è situata in una regione periferica della Galassia,[53] più precisamente all'interno della Bolla Locale, una cavità nel mezzo interstellare della Cintura di Gould, collocata nel bordo più interno del Braccio di Orione, un braccio galattico secondario posto tra il Braccio di Perseo e il Braccio del Sagittario;[54] i due bracci sono separati da circa 6500 anni luce di distanza. La nostra stella si trova attualmente nella Nube Interstellare Locale, un addensamento del mezzo interstellare dovuto all'unione della Bolla Locale con l'adiacente Bolla Anello I. Data la relativa lontananza dal centro galattico, da altre regioni ad elevata densità stellare e da forti sorgenti di radiazioni quali pulsar o oggetti simili, il Sole, e dunque il sistema solare, si trova in quella che gli scienziati definiscono zona galattica abitabile. Il sistema solare impiega 225-250 milioni di anni per completare una rivoluzione attorno al centro della Galassia (anno galattico); perciò il Sole avrebbe completato 20-25 orbite dal momento della sua formazione ed 1/1250 di orbita dalla comparsa dell'essere umano sulla Terra. La velocità orbitale della nostra stella è di circa 220 km/s; a questa velocità il sistema solare impiega circa 1 400 anni per percorrere la distanza di un anno-luce, ossia 8 giorni per percorrere una unità astronomica (UA). La direzione apparente verso cui si muove la nostra stella durante la propria rivoluzione attorno al centro di massa della Galassia prende il nome di apice solare e punta verso la stella Vega e la costellazione di Ercole, con un'inclinazione di circa 60° in direzione del centro galattico. Si ritiene che l'orbita del Sole abbia una forma ellittica quasi circolare, tenendo conto delle perturbazioni causate dalla diversa distribuzione delle masse nei bracci della spirale galattica; inoltre il Sole oscilla al di sopra e al di sotto del piano galattico mediamente 2,7 volte ogni orbita, secondo un andamento assimilabile ad un moto armonico. Poiché la densità stellare è piuttosto alta nel piano galattico e nei suoi pressi, tali oscillazioni coincidono spesso con un incremento nel tasso degli impatti meteoritici sulla Terra, responsabili talvolta di catastrofiche estinzioni di massa. Tale incremento è dovuto al fatto che le altre stelle esercitano delle forze mareali sugli asteroidi della Fascia principale o della Cintura di Kuiper o sulle comete della Nube di Oort, che vengono di conseguenza dirette verso il sistema solare interno. Il Sole fa parte di un gruppo di oltre 100 milioni di stelle di classe spettrale G2 note all'interno della Via Lattea e supera in luminosità ben l'85% delle stelle della Galassia, gran parte delle quali sono deboli nane rosse. Tra le stelle luminose più vicine, poste entro un raggio di 17 anni luce, il Sole occupa la quinta posizione in termini di luminosità intrinseca: la sua magnitudine assoluta, infatti, è pari a +4,83.

Il cielo visto da alfa centauri

Osservato dalla coppia di stelle più interna del sistema di α Centauri, il cielo (a parte le tre stelle del sistema) apparirebbe quasi identico a come appare visto dalla Terra, con la maggior parte delle costellazioni, come l'Orsa Maggiore e Orione, praticamente invariate. Tuttavia, il Centauro perderebbe la sua stella più brillante e il nostro Sole apparirebbe come una stella di magnitudine 0,5 nella costellazione di Cassiopea, vicino a ε Cassiopeiae. La sua posizione è facilmente calcolabile, poiché sarebbe agli antipodi della posizione di α Centauri vista dalla Terra: avrebbe ascensione retta 02h 39m 35s e declinazione +60° 50′ 00″. Un ipotetico osservatore vedrebbe così la caratteristica "\/\/" di Cassiopea mutata in un segno simile a questo "/\/\/". Le stelle vicine brillanti come Sirio e Procione si troverebbero in posizioni molto diverse, come pure Altair con uno scarto minore. Sirio andrebbe a fare parte della costellazione di Orione, due gradi a ovest di Betelgeuse, poco più debole che visto dalla Terra (−1,2). Fomalhaut e Vega, invece, essendo abbastanza lontane, sarebbero visibili quasi nella stessa posizione. Proxima Centauri, pur facendo parte dello stesso sistema, sarebbe appena visibile a occhio nudo, con magnitudine 4,5. Un pianeta attorno a α Centauri A o B vede l'altra stella come un "secondo sole". Per esempio un ipotetico pianeta terrestre a 1,25 UA da α Centauri A (con una rivoluzione di 1,34 anni) sarebbe illuminato come dal Sole dalla sua primaria, mentre α Centauri B apparirebbe da 5,7 a 8,6 magnitudini più fioca (da −21 a −18,2), da 190 a 2700 volte più debole della primaria, ma ancora da 29 a 9 volte più luminoso della Luna piena. Viceversa un pianeta a 0,71 AU da α Centauri B (con un periodo di 0,63 anni) sarebbe illuminato come dal Sole dalla sua primaria e vedrebbe la secondaria da 4,6 a 7,3 magnitudini più debole (da −22,1 a −19,4), da 70 a 840 volte più fioca della principale, ma ancora da 45 a 15 volte più luminosa della Luna piena. In entrambi i casi il sole secondario farebbe il giro di tutto il cielo durante l'anno planetario, partendo a fianco del principale e finendo, mezzo periodo dopo, nella posizione opposta: si avrebbero dunque le condizioni del "Sole di mezzanotte", con almeno uno o due giorni privi di scambio notte-giorno.

Ciclo vitale

Il Sole è una stella di popolazione I (o terza generazione) la cui formazione sarebbe stata indotta dall'esplosione, circa 5 miliardi di anni fa, di una o più supernova/e nelle vicinanze di un'estesa nube molecolare del Braccio di Orione. È accertato che, circa 4,57 miliardi di anni fa, il rapido collasso della nube, innescato da supernovae, portò alla formazione di una generazione di giovanissime stelle T Tauri, tra le quali anche il Sole, che, subito dopo la sua formazione, assunse un'orbita quasi circolare attorno al centro della Via Lattea, ad una distanza media di circa 26 000 a.l. Le inclusioni ricche di calcio e alluminio, residuate dalla formazione stellare, formarono poi un disco protoplanetario attorno alla stella nascente. Tale ipotesi è stata formulata alla luce dell'alta abbondanza di elementi pesanti, quali oro e uranio, nel nostro sistema planetario. Gli astronomi ritengono che questi elementi siano stati sintetizzati o tramite una serie di processi nucleari endoergonici durante l'esplosione della supernova (fenomeno che prende il nome di nucleosintesi delle supernovae), o grazie alle trasmutazioni, per mezzo di successivi assorbimenti neutronici, da parte di una stella massiccia di popolazione II (o di seconda generazione). Il Sole è attualmente nella sequenza principale del diagramma Hertzsprung-Russell, ovvero in una lunga fase di stabilità durante la quale l'astro genera energia attraverso la fusione, nel suo nucleo, dell'idrogeno in elio; la fusione nucleare inoltre fa sì che la stella sia in uno stato di equilibrio, sia idrostatico, ossia non si espande (a causa della pressione di radiazione delle reazioni termonucleari) né si contrae (per via della forza di gravità, cui sarebbe naturalmente soggetta), sia termico. Una stella di classe G2 come il Sole impiega, considerando la massa, circa 10 miliardi (1010) di anni per esaurire completamente l'idrogeno nel suo nucleo. Il Sole si trova a circa metà della propria sequenza principale. Al termine di questo periodo di stabilità, tra circa 5 miliardi di anni, il Sole entrerà in una fase di forte instabilità che prende il nome di gigante rossa: nel momento in cui l'idrogeno del nucleo sarà totalmente convertito in elio, gli strati immediatamente superiori subiranno un collasso dovuto alla scomparsa della pressione di radiazione delle reazioni termonucleari. Il collasso determinerà un incremento termico fino al raggiungimento di temperature tali da innescare la fusione dell'idrogeno negli strati superiori, che provocheranno l'espansione della stella fino ad oltre l'orbita di Mercurio;[9] l'espansione causerà un raffreddamento del gas (fino a 3500 K), motivo per il quale la stella avrà una colorazione fotosferica tipicamente gialla intensa. Quando anche l'idrogeno dello strato superiore al nucleo sarà totalmente convertito in elio (entro poche decine di milioni di anni) si avrà un nuovo collasso, che determinerà un aumento della temperatura del nucleo di elio fino a valori di 108 K; a questa temperatura si innescherà repentinamente la fusione dell'elio (flash dell'elio) in carbonio e ossigeno. La stella subirà una riduzione delle proprie dimensioni, passando dal ramo delle giganti al ramo orizzontale del diagramma H-R. A causa delle elevatissime temperature del nucleo, la fusione dell'elio si esaurirà in breve tempo (qualche decina di milioni di anni) e i prodotti di fusione, non impiegabili in nuovi cicli termonucleari a causa della piccola massa della stella, si accumuleranno inerti nel nucleo; frattanto, venuta a mancare nuovamente la pressione di radiazione che spingeva verso l'esterno, avverrà un successivo collasso che determinerà l'innesco della fusione dell'elio nel guscio che avvolge il nucleo e dell'idrogeno nello strato ad esso immediatamente superiore. Queste nuove reazioni produrranno una quantità di energia talmente elevata da provocare una nuova espansione dell'astro, che raggiungerà così dimensioni prossime ad 1 UA (circa 100 volte quelle attuali), tanto che la sua atmosfera arriverà ad inglobare molto probabilmente Venere. Incerto è invece il destino della Terra: alcuni astronomi ritengono che anche il nostro pianeta verrà inglobato dalla stella morente; altri invece ipotizzano che il pianeta si salverà, poiché la perdita di massa da parte della nostra stella farebbe allargare la sua orbita, che slitterebbe di conseguenza sino a quasi 1,7 UA. Il nostro pianeta sarà però inabitabile: gli oceani saranno evaporati a causa del forte calore e gran parte dell'atmosfera verrà dispersa nello spazio dall'intensa energia termica, che incrementerà l'energia cinetica delle molecole del gas atmosferico, consentendo loro di vincere l'attrazione gravitazionale del nostro pianeta. Tutto ciò avverrà entro i prossimi 3,5 miliardi di anni e, cioè, ancor prima che il Sole entri nella fase di gigante rossa. Entro 7,8 miliardi di anni, esaurito ogni processo termonucleare, il Sole rilascerà i suoi strati più esterni, che verranno spazzati via sotto forma di "supervento" creando una nebulosa planetaria; le parti più interne collasseranno e daranno origine ad una nana bianca (circa delle dimensioni della Terra), che lentamente si raffredderà sino a diventare, nel corso di centinaia di miliardi di anni, una nana nera. Questo scenario evolutivo è tipico di stelle con una massa simile a quella del Sole, ossia che hanno una massa non sufficientemente elevata da esplodere come supernove. Il Sole, come ogni altra stella, è soggetto ad una rotazione. La rotazione solare mostra delle variazioni, poiché la stella è costituita da plasma (gas altamente ionizzato ad elevata temperatura), e dunque non possiede una velocità di rotazione fissa: infatti è massima all'equatore (latitudine φ=0°) e decresce al crescere della latitudine. Il tasso di rotazione è solitamente descritto dall'equazione:

Barra delle equazioni per i lettori più curiosi

dove ω è la velocità angolare (misurata in gradi al giorno), φ è la latitudine ed A e B sono costanti. Da notare che vi sono delle interessanti deviazioni da questa semplice relazione.

A= 14,18 °/d (+/- 0,35)

B= -2,00 °/d (+/- 0,48)

All'equatore il periodo di rotazione della stella è di 25,38 giorni; tale lasso di tempo prende il nome di periodo di rotazione sidereo. Questo non va confuso col periodo di rotazione sinodico, della durata di 27,2753 giorni, che è il periodo impiegato da una delle strutture attive superficiali (come le macchie) per ricomparire nella stessa posizione apparente, se vista dalla Terra. Il periodo sinodico risulta più lungo poiché al periodo sidereo, che è la rotazione effettiva del Sole, si aggiunge un lasso di tempo, causato dal moto orbitale della Terra, necessario perché le strutture attive ricompaiano nella medesima posizione. Nella letteratura astrofisica tali periodi sono spesso catalogati tramite il numero della rotazione di Bartel, lo scienziato che per primo misurò la rotazione del Sole nel gennaio 1833. Le costanti della rotazione solare sono state misurate cronometrando il moto delle diverse strutture attive superficiali (dette per questo motivo tracer). I primi e più affidabili tracer ad essere utilizzati sono le macchie solari. Sebbene le macchie solari siano state osservate fin dai tempi antichi, fu solo quando il telescopio entrò in uso nelle osservazioni astronomiche che esse poterono essere osservate con grande precisione; fu quindi possibile determinare il periodo di rotazione solare. Lo studioso inglese Thomas Harriot è stato probabilmente il primo ad osservare le macchie solari con il telescopio, come evidenziato in uno dei disegni del suo taccuino, datati 8 dicembre 1610 e pubblicati per la prima volta (giugno 1611) in un'opera intitolata "De Sole Maculis in Observatis, et cum earum Apparente Sole Conversione Narratio" (ossia "Osservazione delle macchie solari e narrazione delle loro apparenti rotazioni"). Questi disegni, poi, furono studiati da Johannes Fabricius che aveva osservato e studiato i movimenti delle macchie solari, quelli liberi e quelli condizionati dalla rotazione della nostra stella. Questo può essere considerato il primo lavoro sulle macchie solari e sulla determinazione del periodo di rotazione solare. Per finire, Christopher Scheiner ( "Rosa Ursine sive solis", libro 4, parte 2, 1630) fu uno dei primi a perfezionare la stima del periodo di rotazione solare e fu il primo ad essersi accorto della rotazione differenziale del Sole e della sua energia rotatoria. Hubrecht (1915) è stato il primo astronomo a scoprire che i due emisferi solari ruotano in maniera diversa e diede una prima spiegazione sulla rotazione differenziale. Fino a poco tempo fa, l'eliosismologia, la branca della scienza che studia i movimenti della fotosfera solare e delle onde di pressione sul Sole, non aveva fatto molti passi avanti nello studio della rotazione interna del Sole. La rotazione interna differenziale veniva spiegata attraverso un fenomeno di inerzia che coinvolgeva l'interno del sole, portando degli strati leggeri a muoversi per inerzia di più rispetto a quelli pesanti, che annullavano questa forza. Ad oggi questa ipotesi è solo parzialmente confermata, mentre ci si avvicina all'ipotesi che siano proprio i gas della fotosfera solare a creare questa rotazione differenziale esterna ed interna (più veloce all'equatore e più lenta ai poli) Alla tachocline la rotazione si modifica bruscamente.

Struttura

Il Sole possiede una struttura interna ben definita, la quale non è, tuttavia, direttamente osservabile a causa dell'opacità alla radiazione elettromagnetica degli strati interni della stella. Un valido strumento per determinare la struttura solare è fornito dall'eliosismologia, una disciplina che, esattamente come la sismologia, studia la diversa propagazione delle onde sismiche per rivelare l'interno della Terra, analizza la differente propagazione delle onde di pressione (infrasuoni) che attraversano l'interno del Sole. L'analisi eliosismologica è spesso associata a simulazioni computerizzate, che consentono agli astrofisici di determinare con buona approssimazione la struttura interna della nostra stella. Il raggio del Sole è la distanza tra il suo centro e il limite della fotosfera, strato al di sopra del quale i gas sono abbastanza freddi o rarefatti da consentire l'irraggiamento di un significativo quantitativo di energia luminosa; è perciò lo strato meglio visibile ad occhio nudo. La struttura interna del Sole, come quella delle altre stelle, appare costituita di involucri concentrici; ogni strato possiede caratteristiche e condizioni fisiche ben precise, che lo differenziano dal successivo. Li elencheremo dal più interno al più esterno.

Il nucleo solare è la parte più interna del Sole, e di conseguenza presenta la temperatura più calda (circa 15 milioni di kelvin). Al suo interno si svolgono le reazioni di fusione nucleare, responsabili della produzione di energia del Sole, del suo risplendere e in definitiva del sostentamento della vita sulla Terra. Il nucleo è la parte meno conosciuta del Sole, nascosta com'è all'osservazione diretta. Gli indizi migliori sul suo stato vengono dall'eliosismologia, che sfrutta le vibrazioni del Sole, e dall'analisi dei neutrini emessi dalle reazioni di fusione, che possono arrivare indisturbati fino a noi (nello specifico nel nucleo solare, dove l'idrogeno viene convertito in elio). Oltre a questi, altri dati come la produzione di energia totale e la composizione chimica della superficie del Sole pongono stretti limiti ai modelli teorici possibili. Secondo le teorie odierne, il centro del Sole è composto prevalentemente da idrogeno. La temperatura si aggira sui 16 milioni di gradi, la pressione è elevatissima, intorno a 500 miliardi di atmosfere, e la densità del materiale nel nucleo è di circa 150.000 kg/cm³. Queste condizioni sono estreme per noi ma normali per una stella. Stelle più grandi del Sole hanno nuclei ancor più densi e caldi. Gli atomi di idrogeno del nucleo non possono rimanere integri a queste temperature, e si separano in protoni ed elettroni. L'energia termica è così alta che più protoni, quando si incontrano casualmente, vincono per effetto tunnel la repulsione elettrica tra cariche dello stesso segno e si uniscono a formare un nucleo di elio. Ogni secondo, 594 milioni di tonnellate di idrogeno vengono convertite, rilasciando un'energia pari a 386 miliardi di miliardi di megajoule. Questa energia è pari alla massa di 4 milioni di tonnellate (le altre 590 vengono convertite in elio). Quindi il sole si alleggerisce ogni secondo di 4 milioni di tonnellate. La sua massa totale è abbastanza grande perché, anche dopo circa 5 miliardi di anni di vita attiva, la sua massa si riduca solo impercettibilmente. L'energia liberata dalla fusione nucleare si presenta inizialmente sotto forma di fotoni gamma, che partono per la tangente alla velocità della luce. Essi però non possono fare molta strada, perché vista l'alta densità saranno presto assorbiti da un atomo sul loro cammino, il quale li riemetterà in una direzione diversa e con uno spettro di frequenze più ampio. Il ciclo si ripeterà parecchie volte, finché i fotoni non raggiungono la superficie del Sole e lo lasciano alla volta dello spazio interplanetario. Si calcola che questo trasporto di energia dall'interno all'esterno del Sole duri ben 10 milioni di anni. In altre parole, se il nucleo del sole smettesse all'improvviso di produrre energia, la superficie continuerebbe a splendere ancora per lungo tempo. I neutrini, altro sottoprodotto delle reazioni di fusione nucleare, passano invece quasi indisturbati attraverso la materia, ed escono dal Sole in linea retta. Una piccolissima parte è intercettata dai pochi rivelatori di neutrini in attività sulla Terra. Il processo di fusione è molto difficile. Alle condizioni vigenti nel centro del Sole, il protone medio deve aspettare ben 13 miliardi di anni prima di fondersi con altri tre e formare un nucleo di elio. Ciò significa che oggigiorno la produzione di energia del Sole deriva dai protoni "fortunati", che hanno incontrato in anticipo il loro destino, e che, via via che passa il tempo, la probabilità delle reazioni aumenta. La luminosità solare aumenta quindi lentamente, il che ha indotto alcuni teorici ad ipotizzare che tra 500 milioni o un miliardo di anni il Sole sarà troppo caldo per consentire la vita sulla Terra. Questo aumento è indipendente dall'evoluzione stellare a cui andrà incontro il Sole, e che lo porterà tra circa 5 miliardi di anni a trasformarsi in una gigante rossa. Il nucleo solare diventerà ancora più caldo e concentrato di oggi: la fusione dell'elio, tipica delle giganti rosse, richiede centinaia di milioni di gradi.

La zona radiativa è uno strato interno delle stelle; nel Sole si estende da circa il 30% al 70% del raggio, cioè dal Nucleo solare fino al confine, con la zona convettiva, per una lunghezza totale di circa 450'000 km. Nella zona radiativa, l'energia prodotta dal nucleo è trasportata da fotoni che percorrono il plasma impiegando, a causa dell'assorbimento e della riemissione, anche centinaia di migliaia di anni per attraversare la zona. Solo i neutrini, che interagiscono poco con la materia, attraversano la zona alla velocità della luce. Parlando, dunque, di fotoni, è ovvio che l'energia è trasportata per irraggiamento. La temperatura della zona radiativa varia da circa 6.500.000 K in prossimità del nucleo, fino a circa 3.000.000 °C all'interfaccia con la zona convettiva.

Il termine tachocline (o tacoclina) designa la zona di transizione, all'interno del Sole, tra la zona radiativa e la zona convettiva. Situata nel terzo più esterno della stella, la tachocline segna il passaggio tra la parte più interna della stella, la cui rotazione è paragonabile a quella di un corpo solido, e la porzione esterna, che ruota in maniera differenziale comportandosi come un fluido. Recenti studi condotti tramite l'indagine eliosismologica indicano che la tachocline abbia un raggio circa 0,70 volte quello del Sole. Gli astrofisici ritengono che tali dimensioni siano una delle cause dei campi magnetici che caratterizzano la stella: infatti le simmetrie e l'estensione della tachocline sembrano rivestire un ruolo di primo piano nella formazione della cosiddetta dinamo solare, poiché rinforzano i deboli campi poloidali creando un più intenso campo di forma toroidale.

La zona convettiva è uno strato interno del Sole e delle stelle, in cui l'energia termica, attraverso i moti convettivi, viene portata negli strati più esterni del corpo celeste, ossia in superficie. I moti convettivi stellari consistono in movimenti del plasma all'interno della stella, che di solito formano correnti circolari di convezione che riscalda il plasma in discesa, il quale, dopo essere risalito, cede energia all'esterno, raffreddandosi, raddensandosi e riprecipitando verso l'interno. Nel Sole, la zona convettiva occupa il 30% del raggio, e si trova nella parte esterna, a contatto con la superficie. Una volta che il gas incandescente è giunto alla fotosfera, emette fotoni nello spazio. Stelle con temperature più basse del Sole, come le nane rosse, possiedono una zona convettiva che occupa per intero lo strato tra il nucleo e la superficie; stelle di grandezza media, come il Sole, hanno una zona convettiva a contatto con la superficie, mentre lo strato superiore al nucleo è in equilibrio radiativo. In entrambi tipi di stelle non vi è mescolanza tra il nucleo e i prodotti di fusione accumulati. Le stelle con massa superiore a 1,1 masse solari sfruttano un processo nucleare differente nel loro nucleo, chiamato ciclo CNO (Carbonio-Azoto-Ossigeno); questo processo è molto sensibile alla temperatura, così il nucleo forma una zona di convezione che rimescola il "combustibile" con i prodotti di reazione. La zona convettiva in queste stelle è sovrastata dalla zona radiativa, che invece è in equilibrio termico, e nessun movimento di materia si può verificare.

In astronomia, la fotosfera (composto da foto- e sfera; dal greco phós, phótos, "luce", e spháira, "globo", "palla") di un oggetto è la regione in corrispondenza della quale esso diventa opaco. In altre parole, non è possibile osservare la zona al di sotto della fotosfera.È un termine normalmente usato per descrivere l'aspetto del Sole o di un'altra stella: poiché le stelle sono delle sfere di gas, non hanno una superficie solida; ma esiste comunque una profondità sotto alla quale il gas non è più trasparente ai fotoni, e questa profondità fornisce una superficie visibile alla stella. In particolare, nel caso del nostro Sole lo strato fotosferico non presenta alcuna discontinuità tangibile con la regione convettiva sottostante come con la corona solare più esterna; anzi esso si distingue unicamente per l'assenza quasi totale di altri raggi provenienti da strati più interni del globo, che unita alla quantità minimamente rilevante di emissioni radio dalle sfere sovrastanti nonché alla sostanziale trasparenza delle stesse, fa sì che la radiazione percepibile da un osservatore esterno sia sostanzialmente quella prodotta dalla fotosfera medesima. La fotosfera del Sole ha una temperatura che varia dagli 8000 ai 4200/4000 °C circa per le penombre delle macchie solari, mentre per "le oscurità" dette ombre vengono calcolati estremi fino a 2700 °C. Essa decresce con l'allontanamento dagli strati più interni per quelli più esterni. Escludendo le macchie solari, la sommità della fotosfera quindi lo strato in assoluto più periferico si calcola essere ad una temperatura compresa tra 4500 (il bordo) e 4800 gradi Celsius. Questi valori, grazie agli studi sulla temperatura di colore di un corpo nero, ma anche a numerose "foto in luce visibile" scientificamente filtrata, permettono di affermare con buona approssimazione che la fotosfera presenta una cromaticità bianca e "fredda" senza sfumature verso il giallo (luce bianca solare). Egualmente si deduce il tasso di variazione di temperatura proporzionale alla quota, dall'analisi della luminosità: la fotosfera non è omogeneamente brillante in tutti i suoi strati, ma gradualmente si fa più tenue man mano che sfuma verso quelli più periferici, per il cosiddetto fenomeno dell'oscuramento al bordo. Altre stelle possono essere più calde o più fredde. La fotosfera solare è composta da celle di convezione chiamate granuli; ogni granulo è una tempesta di gas ad altissima temperatura (plasma) larga da 500 a 1000 km, al centro della quale del gas caldo sale dall'interno della stella, raffreddandosi e ricadendo ai bordi per moto convettivo. Un singolo granulo ha una vita media di soli 8 minuti, ma se ne formano di nuovi continuamente, dando alla fotosfera un aspetto complessivo simile ad una lenta ebollizione. Tra i granuli normali si trovano dei supergranuli con diametri fino a 30.000 chilometri, capaci di resistere fino ad un giorno. La granulazione resta una delle prove fondanti della presenza di moti convettivi all'interno del Sole, mentre non sappiamo d'altra parte se queste formazioni si trovino anche su altre stelle, perché sono troppo piccole per essere viste. Altre formazioni presenti sulla fotosfera sono le macchie solari e i flare solari. L'atmosfera visibile del Sole è composta da altri strati posti sopra la fotosfera: la cromosfera, alta 2000 chilometri e visibile in luce filtrata, e sopra questa la caldissima ed estremamente tenue (temperatura cinetica) corona solare.

Gli strati al di sopra della fotosfera costituiscono l'atmosfera solare e risultano visibili a tutte le lunghezze d'onda dello spettro elettromagnetico, dalle onde radio ai raggi gamma passando per la luce visibile. Gli strati sono, in ordine: la cromosfera, la zona di transizione, la corona e l'eliosfera; quest'ultima, che può essere considerata la tenue prosecuzione della corona, si estende sin'oltre la Fascia di Kuiper, fino all'eliopausa, dove forma una forte onda d'urto di confine (bow shock) con il mezzo interstellare. La cromosfera, la zona di transizione e la corona sono molto più caldi della superficie solare; la ragione di questo riscaldamento resta tuttora sconosciuta. Qui si trova anche lo strato più freddo del Sole: si tratta di una fascia chiamata regione di minima temperatura (temperature minimum in inglese), posta circa 500 km sopra la fotosfera: quest'area, che ha una temperatura di 4000 K, è sufficientemente fredda da consentire l'esistenza di alcune molecole, come il monossido di carbonio e l'acqua, le cui linee di assorbimento sono ben visibili nello spettro solare. La cromosfera (letteralmente sfera di colore) è un sottile strato dell'atmosfera del Sole, subito sopra la fotosfera, spesso circa 2.000 chilometri con una temperatura media di 10.000 K. La cromosfera è sostanzialmente trasparente rispetto al resto dell'atmosfera solare. Occorrono speciali strumenti per poter vedere la cromosfera del sole, a causa della fortissima luminosità della fotosfera sottostante, ma il suo colore rossastro può essere osservato durante un'eclissi totale oppure in luce filtrata, come l'H-alpha. Le formazioni più comuni visibili sulla fotosfera solare sono le spicule, lunghe dita di gas luminoso che si protendono dalla fotosfera. Le spicule salgono fino alla cima della cromosfera e poi ricadono più in basso, nel giro di circa 10 minuti. Un'altra formazione cromosferica sono le fibrille, strati orizzontali di gas simili come dimensioni alle spicule, ma con una vita media doppia. Le più spettacolari formazioni, e anche le più rare, sono le prominenze solari, gigantesche eruzioni di gas che raggiungono altezze di 150.000 chilometri, cioè più grandi dell'intero pianeta Terra. Solo i brillamenti solari possono superarle in energia. Sopra la cromosfera si trova la cosiddetta regione di transizione, dove la temperatura aumenta rapidamente per arrivare alla caldissima corona solare, che forma lo strato più esterno dell'atmosfera. La zona di transizione solare è una regione dell'atmosfera del Sole, compresa tra la cromosfera e la corona solare; è visibile dallo spazio con l'ausilio di telescopi sensibili agli ultravioletti.

  • Al di sotto, la gravità domina la forma di gran parte delle strutture, tanto che il Sole può essere descritto in termini di stratificazioni e strutture orizzontali (come le macchie solari); al di sopra, sono le forze dinamiche a prevalere e a dominare le strutture; la zona di transizione stessa non è uno strato ben definito ad una particolare altitudine.
  • Al di sotto, gran parte dell'elio non è completamente ionizzato e irradia energia efficacemente; al di sopra, l'elio è completamente ionizzato. Questo ha un profondo effetto sull'equilibrio termico (vedi sotto).
  • Al di sotto, la materia è opaca a particolari colori associati alle linee spettrali, così gran parte delle linee spettrali formatesi al di sotto della zona di transizione sono linee di assorbimento nell'infrarosso, nella luce visibile e nel vicino ultravioletto, mentre molte delle linee formate al di sopra o nella zona di transizione sono linee di emissione nell'ultravioletto e nei raggi X. Ciò fa del trasferimento radiativo dell'energia attraverso la zona di transizione un processo notevolmente complesso.
  • Al di sotto, la pressione del gas e la fluidodinamica dominano il movimento e la forma delle strutture; al di sopra, è invece il magnetismo a dominare, creando differenti esemplificazioni della magnetoidrodinamica. La stessa zona di transizione non è in parte ben studiata a causa della sua notevole complessità e unicità.

L'elio ionizzato gioca un ruolo fondamentale nella formazione della corona solare: quando la materia solare è sufficientemente fredda da consentire solo una parziale ionizzazione dell'elio (che trattiene dunque uno dei suoi due elettroni), la materia si raffredda per irraggiamento in modo molto efficace attraverso la radiazione di corpo nero e del Lyman continuum dell'elio. Questa condizione si verifica nella parte più esterna della cromosfera, dove la temperatura è di poche decine di migliaia di kelvin. Con un lieve aumento di calore l'elio si ionizza completamente, cessa di agire il Lyman continuum, e quindi diminuisce la radiazione. La temperatura sale rapidamente fino a circa un milione di kelvin, la temperatura della corona solare. Questo fenomeno è chiamato catastrofe in temperatura ed è una transizione di fase analoga all'ebollizione dell'acqua; infatti, i fisici si riferiscono a questo processo come ad una evaporazione, similmente a quanto avviene con l'acqua. Allo stesso modo, se la quantità di calore applicata alla materia coronale venisse lievemente ridotta, questa materia si raffredderebbe rapidamente fino a circa centomila kelvin, creando una condensa. La zona di transizione è formata da materiale a temperatura prossima o coincidente a quella della catastrofe in temperatura. La zona di transizione è visibile nelle immagini riprese negli ultravioletti dalla sonda TRACE, dove appare come una debole nebulosità sopra la superficie scura (vista con gli ultravioletti) del Sole e al di sotto della corona. Questa struttura circonda anche altre strutture scure come le protuberanze solari, formate da materiale condensato sospeso dal campo magnetico a quote coronali. La corona solare è la parte più esterna dell'atmosfera del Sole. Formata da gas (soprattutto idrogeno) e vapori provenienti dagli strati sottostanti dell'atmosfera solare, si estende per milioni di chilometri ed è visibile, assieme alla cromosfera, durante le eclissi solari totali, o con l'ausilio di un apposito strumento, il coronografo: essendo estremamente calda (fino a milioni di gradi Celsius), la materia in essa contenuta è sotto forma di plasma. Il meccanismo che la riscalda non è perfettamente compreso, ma una parte rilevante è sicuramente giocata dal campo magnetico solare, mentre il motivo della sua normale invisibilità ad occhio nudo è che è estremamente tenue. L'elevata temperatura della corona determina le insolite righe spettrali, che indussero a pensare nel XIX secolo, che l'atmosfera solare contenesse un elemento chimico ignoto, che fu denominato "coronio". Queste righe spettrali erano invece dovute alla presenza di ioni di ferro che avevano perso 13 elettroni esterni (Fe-XIV), processo di fortissima ionizzazione che può avvenire soltanto a temperature del plasma superiori a 106 kelvin. In effetti, che il Sole avesse una corona a un milione di gradi fu scoperto per la prima volta da Walter Grotrian nel 1939 e da Bengt Edlén nel 1941, in seguito all'identificazione delle righe coronali (osservate sin dal 1869) come transizioni di livelli metastabili di metalli altamente ionizzati (la riga verde del FeXIV a 5303 Å, ma anche la riga rossa del FeX a 6374 Å). La corona solare è molto più calda (di un fattore 200) della superficie visibile del Sole: la temperatura effettiva della fotosfera è di 5777 K, mentre la corona ha una temperatura media di un milione di kelvin, ma invero si tratterebbe di temperatura cinetica. Quindi essa ha una densità media calcolata in 10−12 volte quella della fotosfera e produce un milionesimo della luce visibile. La corona è separata dalla fotosfera dalla cromosfera. Il meccanismo esatto di riscaldamento è tema di dibattito scientifico. L'altissima temperatura e la estremamente rarefatta densità della corona (apparente contraddizione di un fenomeno fisico ancora poco conosciuto e non comunemente sperimentato) forniscono delle caratteristiche spettrali insolite, alcune delle quali suggerirono nel XIX secolo che contenesse un elemento allora sconosciuto chiamato coronium, tuttavia è stato appurato che derivano da elementi conosciuti in uno stato di alta ionizzazione del ferro, che possono esistere soltanto a temperature dell'ordine del milione di gradi. La corona non è equivalentemente distribuita attorno alla superficie: durante i periodi di quiete è approssimativamente confinata nelle regioni equatoriali, con i cosiddetti buchi coronali nelle regioni polari, mentre durante i periodi di attività solare essa è distribuita attorno all'equatore e ai poli ed è maggiormente presente nelle aree di attività delle macchie solari. Il ciclo solare dura approssimativamente 11 anni, da un minimo solare al successivo. A causa della rotazione differenziale (l'equatore ruota più velocemente dei poli), l'attività delle macchie solari sarà più pronunciata in vicinanza del massimo solare quando il campo magnetico è più attorcigliato. Associati alle macchie solari vi sono gli archi coronali, anelli di flusso magnetico, che fuoriescono dall'interno del sole. Sin da quando sono state riprese le prime immagini nei raggi X ad alta risoluzione dal satellite Skylab nel 1973, ed in seguito da Yohkoh e dagli altri satelliti, si è visto che la struttura della corona è molto complessa e variegata, ed è stato necessario classificare le diverse zone caratteristiche visibili sul disco coronale. Si distinguono generalmente diverse regioni e ne emerge il seguente quadro morfologico, qui di seguito descritto brevemente. Le regioni attive sono insiemi di strutture ad arco che connettono punti di polarità magnetica opposta in fotosfera, gli anelli coronali. Si dispongono generalmente in due fasce di attività parallele all'equatore solare. La temperatura media è compresa tra due e quattro milioni di kelvin, mentre la densità è compresa tra 109 e 1010 particelle per cm³. Le regioni attive comprendono tutti i fenomeni direttamente connessi al campo magnetico ai quali si fa riferimento quando si parla di attività solare e che avvengono ad altezze molto differenti sulla superficie del Sole[11]: macchie solari e facule (in fotosfera), spicole, filamenti e "plage" (in cromosfera), protuberanze (in cromosfera e nella regione di transizione, ma anche in corona), e brillamenti. Questi ultimi di solito interessano la corona e la cromosfera, ma se sono molto violenti possono anche perturbare la fotosfera e dare luogo persino a un'onda di Moreton, descritta da Uchida. Al contrario, le protuberanze sono strutture estese e fredde che si vedono in Hα come strisce scure (filamenti) sul disco solare, a forma di serpente. La loro temperatura è di circa 5000-8000 K e pertanto sono considerate strutture cromosferiche. Gli archi coronali sono le strutture basilari della corona create dal campo magnetico. Questi anelli sono le strutture magnetiche chiuse analoghe alle strutture aperte che possono essere trovate nei buchi coronali nelle regioni polari e nel vento solare. Questi tubi di flusso magnetico emergono dalla superficie del sole e sono pieni di plasma caldissimo. A causa dell'elevatissima attività magnetica in queste regioni attive, gli archi coronali possono essere spesso i precursori dei brillamenti e delle espulsioni di massa coronale. Il plasma solare che riempie queste strutture è riscaldato da 4400 K fino a oltre 106 K, a partire dalla fotosfera e dalla cromosfera attraverso la regione di transizione fino alla corona. Spesso, il plasma solare è spinto in questi archi da un piede verso l'altro da una differenza di pressione che si crea tra i due punti alla base e si instaura così un flusso a sifone, o in generale, un flusso asimmetrico dovuto a qualche altra causa. Quando il plasma risale dai piedi verso l'alto, come succede sempre durante la fase iniziale dei brillamenti che non alterano la topologia del campo magnetico, si parla si evaporazione cromosferica. Quando il plasma raffredda, si può avere invece la condensazione cromosferica. Si può anche avere un flusso simmetrico da entrambi i piedi dell'arco, che provoca un aumento della densità all'interno dell'arco. Il plasma può raffreddare molto rapidamente in questa regione (a causa di una instabilità termica) creando filamenti scuri sul disco solare o protuberanze sul bordo del disco. Gli archi coronali possono avere tempi di vita dell'ordine dei secondi (nel caso dei brillamenti), minuti, ore o giorni. Di solito gli archi coronali che durano per lunghi periodi di tempo si dicono in stato stazionario, nei quali si ha un equilibrio energetico tra potenza immessa e dissipata. Gli archi coronali sono diventati molto importanti da quando si cerca di comprendere l'attuale problema del riscaldamento coronale. Gli anelli coronali sono sorgenti di plasma che irradiano notevolmente e pertanto facili da osservare da strumenti come TRACE; essi costituiscono degli ottimi laboratori da osservare per studiare fenomeni come le oscillazioni solari, la propagazione delle onde e i nanobrillamenti. Ad ogni modo, rimane difficile trovare una soluzione al problema del riscaldamento coronale, poiché queste strutture vengono osservate da lontano, lasciando molte ambiguità di interpretazione (ad esempio, il contributo della radiazione lungo la linea di vista). Misurazioni in-situ sono necessarie prima che una risposta definitiva possa essere data; la prossima missione Solar Probe Plus della NASA che partirà nel 2018 raccoglierà dati a distanza ravvicinata dal Sole. Le strutture a grande scala sono degli archi molto ampi che possono ricoprire fino a un quarto del disco solare e contengono plasma meno denso degli archi presenti nelle regioni attive. Furono scoperte per la prima volta l'8 giugno 1968 durante l'osservazione di un brillamento compiuta da una sonda spaziale. La struttura a grande scala della corona cambia durante il ciclo undecennale di attività solare e diventa particolarmente elementare durante il periodo di minimo, quando il campo magnetico solare è approssimativamente quello di un dipolo (più una componente quadripolare). Le interconnessioni di regioni attive sono archi che connettono zone di polarità magnetica opposta, in regioni attive diverse. Variazioni significative di queste strutture sono viste spesso dopo un brillamento. Altre strutture di questo tipo sono gli helmet streamers, grandi pennacchi con la forma a cappuccio con lunghe punte che di solito sovrastano le macchie solari e le regioni attive. Questi pennacchi coronali sono considerati le sorgenti del vento solare lento. Le cavità di filamento sono zone che appaiono scure nei raggi X e sono sovrastanti regioni in cui si osservano i filamenti in Hα in cromosfera. Furono osservate per la prima volta dalle due sonde spaziali del 1970 che scoprirono anche la presenza dei buchi coronali. Le cavità di filamento sono nubi di gas più freddo, sospese sulla superficie del Sole da forze magnetiche. Le regioni di intenso campo magnetico appaiono scure nelle immagini, perché sono povere di gas caldo. Infatti, la somma della pressione magnetica e della pressione del plasma deve essere costante dappertutto sull'eliosfera per avere una configurazione di equilibrio: dove il campo magnetico è più elevato, il plasma deve essere più freddo o meno denso. La pressione del plasma p può essere calcolata dall'equazione di stato per un gas perfetto p=nKbT, dove n è la densità di particelle per unità di volume, Kb la costante di Boltzmann e T la temperatura del plasma. È evidente dall'equazione che la pressione del plasma diminuisce quando la temperatura del plasma decresce rispetto alle regioni circostanti, oppure quando la zona di intenso campo magnetico si svuota. Lo stesso effetto fisico rende le macchie solari scure in fotosfera. I punti brillanti sono piccole regioni attive disseminate su tutto il disco solare. I punti brillanti furono osservati per la prima volta nei raggi X l'8 aprile 1969 da una sonda spaziale. La frazione della superficie solare coperta dai punti brillanti varia con il ciclo solare. Essi sono associati a piccole regioni bipolari del campo magnetico. La loro temperatura media varia da 1.1 MK a 3.4 MK. Le variazioni in temperatura sono spesso correlate a cambiamenti nell'emissione nei raggi X. I buchi coronali sono aree dove la corona del Sole è più scura, più fredda delle aree circostanti; anche il plasma possiede qui una densità inferiore. I buchi coronali sono stati scoperti quando i telescopi a raggi X della missione Skylab furono lanciati oltre l'atmosfera terrestre per rilevare la struttura della corona. Questi buchi sono in relazione con delle concentrazioni unipolari di linee di campo magnetico aperte; durante il minimo solare, i buchi coronali si trovano principalmente nelle regioni polari del Sole, mentre durante il massimo solare sono dislocate in tutta la superficie solare. I componenti ad alta velocità del vento solare si sa che transitino lungo le linee magnetiche che passano attraverso i buchi coronali. Le regioni solari che non fanno parte delle regioni attive e dei buchi coronali sono comunemente identificate come parte del Sole quieto. La regione equatoriale ha velocità di rotazione maggiore delle zone polari. Il risultato della rotazione differenziale del Sole è che le regioni attive nascono sempre in due fasce parallele all'equatore e la loro estensione aumenta durante i periodi di massimo del ciclo solare, mentre quasi scompaiono durante ciascun periodo di minimo. Pertanto il Sole quieto coincide sempre con la zona equatoriale e la sua superficie è inferiore durante il massimo del ciclo solare. In vicinanza del minimo, l'estensione del Sole quieto aumenta fino a ricoprire l'intera superficie del disco solare con l'esclusione dei poli in cui vi sono i buchi coronali e di qualche punto brillante. I brillamenti hanno luogo nelle regioni attive e danno luogo ad improvvisi aumenti del flusso di radiazione emesso in regioni limitate della corona. Sono fenomeni molto complessi, osservabili in diverse bande, interessano parecchie zone dell'atmosfera solare e coinvolgono parecchi effetti fisici, termici e non termici, e talvolta estese ricombinazioni di campo magnetico ed espulsione di materiale. Si tratta di fenomeni impulsivi, della durata media di 15 minuti, anche se alcuni fenomeni più energetici possono durare diverse ore. I brillamenti implicano un notevole e rapido aumento della densità e della temperatura. Solo raramente si osserva emissione in luce bianca, di solito i brillamenti si vedono soltanto nelle bande UV e X, caratteristiche dell'emissione cromosferica e coronale. In corona la morfologia dei brillamenti che può desumersi dalle osservazioni nei raggi X morbidi e duri, nella banda UV e in Hα è molto complessa. Ad ogni modo si possono distinguere due tipi di strutture:

  • brillamenti compatti, in cui ciascuno degli archi in cui avviene l'evento mantiene inalterata la sua struttura: si osserva soltanto un aumento dell'emissione senza significative variazioni morfologiche. L'energia emessa è dell'ordine di 1022 - 1023 J.
  • brillamenti di lunga durata, associati a eruzioni di protuberanze, transienti in luce bianca e "two-ribbon flares": in questo caso gli archi magnetici si riconfigurano durante l'evento. Le energie emesse durante questi eventi di così vaste proporzioni possono raggiungere i 1025 J.

Per quanto riguarda la dinamica temporale si distinguono in genere tre diverse fasi, di durata molto differente tra loro, che possono dipendere anche drasticamente dalla banda di lunghezze d'onda in cui si osserva l'evento:

  • una fase iniziale impulsiva, la cui durata è dell'ordine dei minuti, in cui spesso si hanno elevate emissioni di energia anche nelle microonde, in EUV e nei raggi X duri.
  • una fase di massimo.
  • una fase di decadimento, che può durare diverse ore.

Talvolta si riesce a distinguere anche una fase che precede il brillamento, detta fase "pre-flare". Il materiale espulso, sotto forma di plasma, è costituito principalmente da elettroni e protoni (oltre a piccole quantità di elementi più pesanti come elio, ossigeno e ferro) e viene trascinato dal campo magnetico della corona. Quando questa nube raggiunge la Terra (in questo caso viene chiamata ICME - Interplanetary CME) può disturbare la sua magnetosfera comprimendola nella regione illuminata dal Sole ed espandendola nella regione non illuminata. Quando avviene la riconnessione della magnetosfera nella zona notturna, si generano migliaia di miliardi di watt di potenza diretti verso l'atmosfera terrestre superiore, che provocano aurore particolarmente intense (dette anche Luci del Nord nell'emisfero boreale e Luci del Sud nell'emisfero australe). Le espulsioni di massa della corona assieme ai brillamenti possono disturbare le trasmissioni radio, creare interruzioni di energia, danneggiare i satelliti e le linee di trasmissione elettriche. La più grande perturbazione geomagnetica venne misurata da Kew Gardens e coincise con la prima osservazione senza i moderni strumenti di un brillamento nel 1859 da parte di Richard Christopher Carrington. Le osservazioni hanno messo in luce come i getti coronali appaiono sia in rotazione sia in moto rettilineo rispetto alla superficie solare. Nel 2011 un gruppo di ricerca dell'Università di Warwick è arrivato a una conclusione sorprendente, mettendo in luce analogie tra questi comportamenti di dinamica solare e la formazione delle nubi sul pianeta Terra. Sul Sole, i getti derivati da esplosioni e rimescolamenti di massa nella corona, sono noti col nome di CME (getti di massa coronali). Il gruppo inglese ha utilizzato dati e immagini ottenuti tramite l'esperimento Atmospheric Imaging Assembly (AIA) presso il Solar Dynamics Observatory (SDO) della NASA. In particolare AIA e SDO hanno fornito informazioni delle CME in formazione e in evoluzione nell'ultravioletto estremo, una regione della radiazione che non era mai stata esplorata precedentemente. Il gruppo di scienziati ha potuto così rilevare delle profonde analogie tra le CMEs e le instabilità tipiche della formazione di nubi o della produzione di onde nei fluidi, meglio note come instabilità di Kelvin-Helmholt (caratteristiche di due fluidi che si muovono uno su l'altro a velocità diverse, ad esempio nell'interfaccia acqua/aria, per quel che riguarda le instabilità che si generano nelle onde marine). «Il fatto di sapere che tali instabilità nelle CME siano osservabili nell'ultravioletto estremo, a una temperatura di 11 milioni di kelvin ci consentirà di modellizzare in modo più accurato la loro dinamica. Queste nuove osservazioni ci forniscono nuove informazioni sul perché queste CME appaiono sia in rotazione sia in moto rettilineo sulla superficie del Sole; se le instabilità si formano solo su un fianco, possono incrementare il trascinamento su un lato del CME causando un moto più lento rispetto al resto del getto.» Questi filmati sono stati ripresi dal satellite SOHO nell'arco di due settimane tra ottobre e novembre del 2003. Le immagini sono state riprese contemporaneamente dai diversi strumenti a bordo del satellite, MDI (che produce magnetogrammi), EIT (che fotografa la corona nell'ultravioletto) e LASCO (il coronografo). Il primo video in alto a sinistra (in grigio) mostra i magnetogrammi al variare del tempo. In alto a destra (in giallo) è visibile la fotosfera in luce bianca filmata da MDI. Inoltre EIT ha filmato l'evento nei suoi quattro filtri sensibili a diverse lunghezze d'onda, che selezionano plasma a diverse temperature. Le immagini in arancione (a sinistra) si riferiscono al plasma della cromosfera-regione di transizione, mentre quelle in verde (a destra) alla corona. Nell'ultimo filmato al centro in basso le immagini del Sole nell'ultravioletto riprese da EIT sono state combinate con quelle riprese dal coronografo LASCO. Tutti gli strumenti hanno registrato la tempesta che è considerata come uno degli esempi di maggiore attività solare osservata da SOHO e forse dalla comparsa delle prime osservazioni solari dallo spazio. La tempesta ha coinvolto tutto il plasma dell'atmosfera solare dalla cromosfera alla corona, come si può vedere nei filmati, che sono ordinati da sinistra a destra, dall'alto in basso, nella direzione in cui aumenta la temperatura del sole: fotosfera (giallo), cromosfera-regione di transizione (arancione), corona interna (verde) e corona esterna (blu). La corona è visibile attraverso il coronografo LASCO, che blocca la luce proveniente dal disco brillante del Sole, in modo che anche la radiazione molto più debole della corona può essere vista. In questo filmato, il coronografo interno (denominato C2) è combinato con il coronografo esterno (C3). Mentre il video va avanti, possiamo osservare un certo numero di strutture del Sole attivo. Lunghi pennacchi irradiano verso l'esterno dal Sole e oscillano dolcemente a causa della loro interazione con il vento solare. Le regioni bianche brillanti sono visibili a causa della elevata densità degli elettroni liberi che diffondono la luce dalla fotosfera verso l'osservatore. I protoni e gli altri atomi ionizzati sono presenti anch'essi, ma non sono visibili poiché non interagiscono con i fotoni altrettanto frequentemente degli elettroni. Di tanto in tanto si osservano delle espulsioni di massa coronali che vengono lanciate dal Sole. Alcuni di questi getti di particelle possono saturare le fotocamere con un effetto simile alla neve. Visibili nei coronografi sono anche le stelle e i pianeti. Le stelle sono viste spostarsi lentamente a destra, trasportate dal moto relativo del Sole e della Terra. Il pianeta Mercurio è visibile come un punto brillante che si sposta dalla sinistra del Sole. Altre stelle oltre al Sole possiedono corone, che possono essere rilevate dai telescopi a raggi X. Le corone stellari si trovano in tutte le stelle della sequenza principale della parte fredda del diagramma Hertzsprung-Russell[21]. Nelle stelle giovani alcune corone possono essere più luminose di quella del Sole. Per esempio, FK Comae Berenices è il prototipo della classe FK Com di stelle variabili. Queste sono giganti di classe spettrale G e K con un'insolita rotazione rapida e altri segni di straordinaria attività. Le loro corone sono tra le più luminose nei raggi X (Lx ≥ 1032 erg·s−1 or 1025W) e tra le più calde tra quelle conosciute con temperature dominanti fino a 40 MK.[21] Le osserzazioni astronomiche compiute con l'Osservatorio Einstein da Giuseppe Vaiana e il suo gruppo hanno mostrato che le stelle F, G, K e M possiedono cromosfere e spesso anche corone in modo simile al Sole. Le stelle O-B, pur non avendo la zona di convezione, hanno una forte emissione nei raggi X. Ad ogni modo queste stelle non hanno una corona, ma gli strati stellari più esterni emettono questa radiazione durante shock dovuti a instabilità termiche che avvengono in bolle di gas che si muovono rapidamente. Anche le stelle A non hanno la zona di convezione ma non emettono negli UV e nei raggi X. Pertanto sembra che non abbiano né cromosfera né corona. La materia che costituisce la parte più esterna dell'atmosfera solare si trova allo stato di plasma, ad altissima temperatura (di qualche milione di gradi) e a bassissima densità (dell'ordine di 1015 particelle per metro cubo). Per definizione di plasma, si tratta di un insieme quasi neutro di particelle che esibisce un comportamento collettivo. La composizione è la stessa di quella all'interno del Sole, essenzialmente idrogeno, ma completamente ionizzato, quindi protoni ed elettroni, più una piccola frazione di tutti gli altri atomi nelle stesse percentuali presenti in fotosfera. Persino i metalli più pesanti, come il ferro, sono parzialmente ionizzati ed hanno perso una buona parte degli elettroni più esterni. Lo stato di ionizzazione di un dato elemento chimico dipende strettamente dalla temperatura ed è regolato dall'equazione di Saha. La presenza di righe di emissione di stati altamente ionizzati del ferro e di altri metalli ha permesso di determinare con esattezza la temperatura del plasma coronale e di scoprire che la corona era molto più calda degli strati dell'atmosfera più interni della cromosfera. La corona si presenta quindi come un gas caldissimo ma leggerissimo: si pensi che la pressione in fotosfera è di solito soltanto 0,1-0,6 Pa, mentre sulla Terra la pressione atmosferica è di circa 100 kPa, cioè quasi un milione di volte più grande che sulla superficie solare. Tuttavia non è del tutto vero che si tratta di un gas, perché è costituita da particelle cariche, essenzialmente protoni ed elettroni, che si muovono a velocità diverse. Supponendo che mediamente abbiano la stessa energia cinetica (per il teorema di equipartizione dell'energia), gli elettroni hanno una massa circa 1800 volte più piccola dei protoni, quindi acquistano una maggiore velocità. Gli ioni metallici sono sempre quelli più lenti. Questo fatto ha delle conseguenze fisiche notevoli sia sui processi di radiazione, che nella corona sono molto diversi che in fotosfera, sia sulla conduzione termica. Inoltre la presenza di cariche elettriche induce la generazione di correnti elettriche e di intensi campi magnetici. In questo plasma si possono propagare anche delle onde magnetoidrodinamiche, anche se non è ancora chiaro come esse possano essere trasmesse o generate nella corona. La corona emette radiazione principalmente nei raggi X che può essere osservata soltanto dallo spazio. Il plasma della corona è trasparente alla propria radiazione e a quella proveniente da regioni restostanti, pertanto si dice che è otticamente sottile. Il gas infatti è molto rarefatto e il cammino libero medio dei fotoni supera di gran lunga tutte le altre lunghezze in gioco, comprese le dimensioni delle strutture coronali. Diversi processi di radiazione intervengono nell'emissione, che è determinata principalmente dai processi di collisione binaria tra le particelle che costituiscono il plasma, mentre le interazioni con i fotoni provenienti dalle regioni sottostanti sono rarissime. Poiché l'emissione è controllata dai processi di collisione tra ioni ed elettroni, l'energia irradiata da un volume unitario nell'unità di tempo risulta proporzionale al quadrato del numero di particelle per unità di volume, o più esattamente, al prodotto della densità elettronica per la densità dei protoni. I processi di emissione continua sono il bremstrahlung (radiazione di frenamento) e il contributo alla radiazione che deriva dalla ricombinazione degli ioni con gli elettroni. Inoltre per la determinazione delle perdite radiative, occorre tenere in considerazione tutte le righe di emissione degli elementi chimici che compongono l'atmosfera solare, che si formano nella regione di transizione e in corona, e si sovrappongono all'emissione continua. Tali righe costituiscono il contributo dominante fino alla temperatura di 30 MK; oltre questo valore il processo di emissione più importante diventa il bremstrahlung degli elettroni, che irradiano quando rallentanto perché risentono della forza elettrica di attrazione dei protoni e perdono parte della loro energia cinetica. Molto importanti sono anche i processi a due fotoni, che avvengono in seguito all'eccitazione di un livello metastabile in un atomo di configurazione simile all'idrogeno o all'elio, con l'emissione di due fotoni. Nella corona la conduzione termica avviene dall'esterno più caldo verso gli strati interni più freddi. I responsabili del processo di diffusione del calore sono gli elettroni, che molto più leggeri degli ioni, si muovono più velocemente, come spiegato sopra. In presenza di un campo magnetico la conducibilità del plasma diventa più elevata in direzione parallela alle linee di campo piuttosto che in direzione perpendicolare. Una particella carica che si muove in direzione perpendicolare al campo magnetico subisce la forza di Lorentz che è normale al piano individuato dalla velocità e dal campo magnetico. Questa forza la costringe a muoversi lungo spirali attorno alle linee di campo, alla frequenza di ciclotrone. In generale, poiché le particelle hanno anche una componente della velocità lungo il campo magnetico, l'effetto della forza di Lorentz è quello di costringerle a percorrere traiettorie a spirale attorno alle linee di campo. Se le collisioni tra le particelle sono molto frequenti, esse vengono deviate dalla loro traiettoria e statisticamente procedono in modo casuale in tutte le direzioni. Questo è quello che avviene in fotosfera, dove è il plasma a trascinare il campo magnetico con sé nel suo moto. Nella corona, invece, il cammino libero medio degli elettroni è dell'ordine del chilometro ed anche più, e pertanto ciascun elettrone può compiere molte eliche attorno alle linee di campo prima di essere deviato in seguito ad una collisione. Pertanto la trasmissione del calore è favorita lungo le linee del campo magnetico ed inibita in direzione perpendicolare. Calcoli numerici hanno dimostrato che la conducibilità della corona è paragonabile a quella del rame. La sismologia della corona è un nuovo modo di studiare il plasma della corona solare con l'uso delle onde magnetohidrodinamiche (MHD). La magnetoidrodinamica studia la dinamica dei fluidi conduttori (elettricamente) - in questo caso il fluido è il plasma coronale. Da un punto di vista filosofico, la sismologia coronale è simile alla sismologia terrestre, all'eliosismologia, alla spettroscopia del plasma di laboratorio. In tutti questi campi, onde di vario tipo sono usate per indagare su un mezzo. Le potenzialità della sismologia nella determinazione dei campi magnetici coronali, della scala di altezza della densità, della struttura fine e del riscaldamento è stata dimostrata da diversi gruppi di ricerca. Il problema del riscaldamento della corona si riferisce alla spiegazione delle alte temperature della corona rispetto alla superficie. Queste richiedono un trasporto di energia dall'interno del sole alla corona attraverso processi non termici, perché la seconda legge della termodinamica impedisce che il calore fluisca direttamente dalla fotosfera solare a circa 5800 K verso la corona molto più calda a circa 1-3 milioni K (alcune zone possono raggiungere anche i 10 milioni K). Si può calcolare facilmente l'ammontare di energia richiesto per riscaldare la corona, circa 1 kW per metro quadro di superficie solare, circa 1/40000 dell'insieme di energia luminosa emessa. Questa quantità di energia deve bilanciare le perdite radiative della corona solare ed il calore condotto dagli elettroni liberi lungo le linee di campo verso gli strati più freddi ed interni, attraverso la ripidissima regione di transizione, fino a dove la temperatura non raggiunge il valore minimo di 4.400 K in cromosfera. Questa sottile regione in cui la temperatura aumenta rapidamente dalla cromosfera alla corona è conosciuta come la zona di transizione e può estendersi da dieci a centinaia di chilometri. Per fare un esempio, è come se una lampadina riscaldasse l'aria circostante rendendola più calda della superficie del vetro. La seconda legge della termodinamica sarebbe violata. Sono attualmente emerse due teorie per spiegare il fenomeno: il riscaldamento attraverso le onde e la riconnessione magnetica (o nanobrillamenti). Anche se negli scorsi 50 anni nessuna delle due ha potuto fornire una risposta, alcuni fisici pensano che la soluzione consista in una qualche combinazione delle due teorie, sebbene non siano ancora chiari i dettagli. La missione della NASA Solar Probe + prevede di avvicinarsi al Sole a una distanza di circa 9.5 raggi solari per studiare il riscaldamento coronale e l'origine del vento solare. Nel 2012 utilizzando i dati del Solar Dynamics Observatory, Sven Wedemeyer-Böhm Institute of Theoretical Astrophysics dell'Università di Oslo e i suoi collaboratori hanno individuato migliaia di Tornado Magnetici che trasportano l'energia termica dagli strati più interni del sole a quelli più esterni. La teoria del riscaldamento attraverso le onde venne proposta nel 1949 da Évry Schatzman e ipotizza che onde trasportino energia dall'interno del sole alla cromosfera e alla corona. Il Sole è costituito da plasma, che permette l'attraversamento di varie tipi di onde, analogamente alle onde sonore nell'aria. I tipi di onde più importanti sono le onde magnetoacustiche e le onde di Alfvén. Le prime sono onde sonore modificate dalla presenza di un campo magnetico mentre le ultime sono simile alle onde radio ULF modificate dall'interazione con il plasma. Entrambi i tipi possono essere generate dalla turbolenza della granulazione e della supergranulazione nella fotosfera solare, ed entrambe possono trasportare energia per una certa distanza attraverso l'atmosfera solare prima di diventare onde d'urto e dissipare la loro energia in calore. Un problema di questa teoria consiste nel trasporto del calore nel luogo appropriato. Le onde magnetoacustiche non possono trasportare energia sufficiente attraverso la cromosfera verso la corona a causa della bassa pressione presente nella cromosfera e a causa della tendenza ad essere riflesse indietro nella fotosfera. Le onde di Alfvén possono trasportare abbastanza energia, ma non si dissipano velocemente nella corona. Le onde che sono presenti nel plasma sono difficili da capire e da descrivere analiticamente, ma simulazioni al computer effettuate da Thomas Bogdan e dai suoi colleghi nel 2003 sembrano mostrare che le onde di Alfvén possano tramutarsi in altre onde alla base della corona, fornendo un percorso per il trasporto di grandi quantità di energia dalla fotosfera nella corona e dissiparsi una volta entrate in essa sotto forma di calore. Un altro problema con la teoria del riscaldamento basata sulle onde era la completa assenza, fino alla fine degli anni novanta, di qualsiasi evidenza diretta di onde che attraversano la corona solare. La prima osservazione di onde che si propagano nella corona è stata compiuta nel 1997 con il satellite SOHO, la prima piattaforma spaziale in grado di osservare il Sole nei raggi EUV per lunghi periodi di tempo con fotometria stabile. Quelle erano onde magneto-acustiche alla frequenza di circa 1 millihertz (che corrispondono a un periodo d'onda di circa 1.000 secondi) che trasportavano soltanto il 10% dell'energia richiesta per riscaldare la corona. Molte osservazioni esistono di fenomeni dovuti a onde localizzate in alcune regioni coronali, come onde di Alfvén emesse da brillamenti solari, ma si tratta di eventi transienti che non possono spiegare il riscaldamento uniforme della corona. Non si sa ancora esattamente quanta energia trasportata dalle onde possa essere resa disponibile per riscaldare la corona. I risultati pubblicati nel 2004 usando i dati di TRACE sembrano indicare che ci sono onde nell'atmosfera solare alla frequenza addirittura di 100 mHz (corrispondente a un periodo di circa 10 secondi). Le misure di temperatura di ioni diversi nel vento solare con lo strumento UVCS su SOHO hanno fornito una forte evidenza indiretta della presenza di onde alla frequenza persino di 200 Hz, che cade nell'intervallo di udibilità dell'orecchio umano. Queste onde sono molto difficili da individuare in circostanze normali, ma i dati raccolti durante le eclissi solari dal gruppo di Williams College suggeriscono la presenza di tali onde tra 1-10 Hz. Recentemente, moti alfvénici sono stati trovati nella parte più bassa dell'atmosfera solare nel Sole quieto, nei buchi coronali e nelle regioni attive con osservazioni compiute con l'AIA su Solar Dynamics Observatory. Queste oscillazioni di Alfvén hanno una potenza considerevole, e sembrano essere connesse alle oscillazioni di Alfvén precedentemente registrate con il satellite Hinode. Questa teoria si riferisce alle induzioni di correnti elettriche nella corona da parte del campo magnetico solare. Queste correnti collasserebbero immediatamente, rilasciando energia sotto forma di calore e onde nella corona. Questo processo viene chiamato "riconnessione" per il comportamento particolare dei campi magnetici nel plasma (o in un qualunque fluido conduttore come il mercurio o l'acqua di mare). In un plasma le linee del campo magnetico sono normalmente collegate a elementi di materia, in modo che la topologia del campo magnetico rimanga la stessa: se una particolare coppia di poli magnetici nord e sud sono collegati da una linea di campo, allora anche se il plasma o i magneti si muovono, quella linea di campo continuerà a connettere quei particolari poli. La connessione viene mantenuta dalle correnti elettriche indotte nel plasma. Sotto certe condizioni queste correnti possono collassare, permettendo al campo magnetico di "riconnettersi" ad altri poli magnetici e rilasciare energia sotto forma di calore e onde. La riconnessione magnetica è il fenomeno che provoca i brillamenti solari, le più grandi esplosioni nel sistema solare. Inoltre, la superficie del sole è coperta da milioni di piccole regioni magnetizzate di 50-1000 km che si muovono costantemente sotto l'effetto della granulazione. Il campo magnetico nella corona dovrebbe quindi essere soggetto a costanti riconnessioni per adattarsi al movimento di questo "tappeto magnetico", e l'energia rilasciata da questo processo è una candidata come fonte del calore della corona, forse sotto forma di "microbrillamenti" o di nanobrillamenti, ognuno dei quali produrrebbe un contributo di energia. Questa teoria fu sostenuta da Eugene Parker negli anni ottanta, ma è ancora controversa. In particolare, i telescopi TRACE e SOHO/EIT sono in grado di osservare singoli microbrillamenti come piccole luminosità nella luce ultravioletta, e ne sono stati rilevati troppo pochi per giustificare l'energia della corona. Una porzione di essa potrebbe essere sotto forma di onde, o da un processo di riconnessione magnetica talmente graduale da fornire energia in modo continuativo e non essere rilevato dai telescopi. Attualmente si stanno effettuando delle ricerche su varianti di questa teoria come ipotesi su altre cause di stress del campo magnetico o di produzione di energia. Per decenni, i ricercatori hanno creduto che le spicole potessero fornire calore alla corona. Tuttavia, l'attività di ricerca svolta nel campo osservativo negli anni ottanta aveva trovato che il plasma delle spicole non raggiungeva le temperature coronali, e pertanto la teoria era stata scartata. Secondo quanto dimostrato da studi effettuati nel 2010 al National Centre for Atmospheric Research nel Colorado, in collaborazione con i ricercatori del Lockheed Martin's Solar and Astrophysics Laboratory (LMSAL) e dell'Università di Oslo, una nuova classe di spicole (di TIPO II) scoperta nel 2007, che viaggiano più velocemente (fino a 100 km/s) e hanno durata più breve, possono risolvere il problema. Questi getti portano plasma caldo nell'atmosfera esterna del Sole. Così, d'ora innanzi, ci si potrà aspettare una maggiore comprensione della corona e progressi nella conoscenza dell'influenza del Sole sulla parte più esterna dell'atmosfera terrestre. Per verificare questa ipotesi, sono stati utilizzati lo strumento Atmospheric Imaging Assembly sul satellite Solar Dynamics Observatory, recentemente lanciato dalla NASA, e il Focal Plane Package per il Solar Optical Telescope sul satellite giapponese Hinode. L'elevata risoluzione spaziale e temporale degli strumenti più recenti rivela questo flusso di massa coronale. Queste osservazioni rivelano una connessione biunivoca tra il plasma che è riscaldato a milioni di gradi e le spicole che inseriscono questo plasma nella corona.

Vento solare

Il vento solare è un flusso di particelle cariche emesso dall'alta atmosfera del Sole: esso è generato dall'espansione continua nello spazio interplanetario della corona solare. Questo flusso è principalmente composto da elettroni e protoni con energie normalmente compresi tra 1,5 e 10 keV. Il flusso di particelle mostra temperature e velocità variabili nel tempo e con andamenti legati al ciclo undecennale dell'attività solare. Queste particelle sfuggono alla gravità del Sole per le alte energie cinetiche in gioco e l'alta temperatura della corona che accelera le particelle, trasferendo loro ulteriore energia. Negli anni trenta, gli scienziati avevano determinato che la temperatura della corona solare doveva essere di un milione di gradi Celsius a causa della maniera in cui risaltava nello spazio (quando vista durante un'eclissi totale). Studi eseguiti con lo spettroscopio confermarono questo livello di temperatura. A metà degli anni cinquanta il matematico britannico Sydney Chapman calcolò le proprietà che doveva avere un gas a quella temperatura e determinò che era un conduttore di calore tale che doveva estendersi grandemente nello spazio, ben oltre l'orbita della Terra. Sempre negli anni '50 lo scienziato tedesco Ludwig Biermann studiò le comete e il fatto che la loro coda puntava sempre in direzione opposta al Sole. Biermann postulò che ciò avvenisse a causa dell'emissione da parte del Sole di un flusso costante di particelle in grado di spingere lontano alcune particelle ghiacciate della cometa, formandone la coda. Eugene Parker capì che il flusso di calore dal sole nel modello di Chapman e la coda della cometa soffiata via dal sole nell'ipotesi di Biermann dovevano essere il risultato dello stesso fenomeno. Parker dimostrò che sebbene la corona solare fosse fortemente attratta dalla forza di gravità del sole, era un tale buon conduttore di calore che era ancora molto calda a grandi distanze. Poiché la forza di gravità si indebolisce con il quadrato della distanza dal Sole, la corona solare esterna sfugge nello spazio interstellare L'opposizione all'ipotesi di Parker sul vento solare fu forte. L'articolo che sottopose all'Astrophysical Journal nel 1958 venne rifiutato dai due revisori. Venne salvato dal correttore di bozze Subrahmanyan Chandrasekhar (meglio noto come Chandra, che nel 1983 ricevette il Premio Nobel per la fisica). Negli anni sessanta l'ipotesi venne confermata mediante osservazioni dirette da satellite del vento solare. Comunque l'accelerazione del vento solare non è ancora chiara e non può essere spiegata dalla teoria di Parker. Dal 2007 l'accademia di Finlandia sviluppa la vela elettrica, per l'utilizzo del vento solare come mezzo propulsivo per le sonde interplanetarie. Il vento solare è un plasma tenuissimo, la cui componente di ioni è formata, normalmente, per il 95% da protoni ed elettroni (in proporzione circa uguale) e per il 5 % da particelle alfa (nuclei di elio) con tracce di nuclei di elementi più pesanti. Vicino alla Terra, la velocità del vento solare varia da 200 km/s a 900 km/s, mentre la sua densità varia da alcune unità a decine di particelle per cm cubo. La velocità del vento solare è nettamente superiore alla velocità di fuga di tutti i pianeti del sistema solare, essendo la più alta (quella di Giove) pari a soli 59,54 km/secondo: il moto prosegue in linea retta, non deviato dalle orbite dei pianeti. Pertanto, il vento solare impiega da 2 a circa 9 giorni per percorrere i 149.600.000 km che mediamente separano la Terra dal Sole. Il Sole perde circa 800 milioni di kg di materiale al secondo eiettandolo sotto forma di vento solare (rispetto alla massa del Sole questa perdita è del tutto insignificante). Il plasma del vento solare porta con sé il campo magnetico del Sole in tutto lo spazio interplanetario fino ad una distanza di circa 160 unità astronomiche (una unità astronomica rappresenta la distanza media tra la Terra ed il Sole). Poiché le linee di forza del campo magnetico del vento solare rimangono collegate alla loro origine nella fotosfera, l'espansione radiale del vento solare dal Sole e la rotazione di questo (periodo 28 giorni) fanno sì che le linee del campo magnetico si curvino in modo da formare una spirale. Il vento solare interagisce con il campo magnetico terrestre e lo confina in una regione di spazio detta magnetosfera. Le variazioni nel tempo della pressione dinamica del vento solare e dell'intensità e orientazione del suo campo magnetico perturbano in modo a volte drammatico la magnetosfera terrestre. Tali perturbazioni, insieme con gli effetti di altri disturbi provenienti dal Sole, sono oggetto di studio da parte di una disciplina emergente, la cosiddetta "meteorologia spaziale". Tra tali effetti vi sono, ad esempio, il danneggiamento delle sonde spaziali e dei satelliti artificiali e la ben nota aurora boreale e quella australe. Altri pianeti con campi magnetici simili a quelli della Terra hanno anch'essi le loro aurore. Il vento solare crea una "bolla" nel mezzo interstellare (che è composto dal gas rarefatto di idrogeno ed elio che riempie la galassia), che prende il nome di eliosfera. Il bordo più esterno di questa bolla è dove la forza del vento solare non è più sufficiente a spingere indietro il mezzo interstellare. Questo bordo è conosciuto come eliopausa, ed è spesso considerato come il confine esterno del sistema solare. La distanza dell'eliopausa non è conosciuta con precisione. Probabilmente è molto più piccola sul lato del sistema solare che si trova "davanti" rispetto al moto orbitale del sistema solare nella galassia. Potrebbe anche variare a seconda della velocità del vento solare al momento, e a seconda della densità locale del mezzo interstellare. Si sa che è ben oltre l'orbita di Plutone. Le sonde spaziali Voyager 1 e Voyager 2, dopo aver terminato la loro esplorazione planetaria, si sono dirette verso l'esterno del sistema. La Voyager 1 ha superato il confine dell'eliopausa il 25 agosto 2012, a una distanza di circa 121 UA dal Sole. La sonda Voyager 2 ha raggiunto il confine il 5 novembre 2018. La correlazione tra vento e macchie solari è stata smentita dal confronto fra il comportamento del sole durante il minimo di attività elettromagnetica del 1996, e quella molto più elevata del 2008[1]. In modo più evidente, si è manifestata a gennaio 2012 con la maggiore tempesta solare registrata da sette anni, in corrispondenza di un numero di giorni senza precedenti in assenza di macchie solari. L'indice KP è un indicatore dell'attività geomagnetica del pianeta, calcolato come media delle misure effettuate dell'indice K presso 13 osservatori in tutto il mondo. Fu introdotto da Julius Bartels nel 1949 ed è stato calcolato, fin da allora, presso l'Istituto di Geofisica dell'Università di Gottinga in Germania (Institut für Geophysik of Göttingen University). Lo storico dei valori parte dal 1932. Nel 1951 è stato ufficialmente adottato come indice geomagnetico dalla IAGA (International Association of Geomagnetism and Aeronomy). L'eliosfera è quella regione dello spazio delimitata dall'eliopausa nella quale la densità del vento solare è maggiore di quella della materia interstellare; in pratica è una gigantesca bolla magnetica che contiene il sistema solare, il campo magnetico solare e il vento solare. Assorbe i raggi cosmici e, a causa dell'impatto con queste forti radiazioni provenienti dall'esterno, non ha la forma di una sfera perfetta ma è caratterizzata da una superficie irregolare di dimensioni variabili a seconda del ciclo solare. Per mancanza di dati precisi non si è riusciti ancora a stabilire la reale estensione dell'eliosfera; probabilmente, si sviluppa fino a un minimo di 100 UA dal Sole. La parte interna dell'eliosfera è stata studiata dalla sonda Ulysses, mentre si analizzano i dati trasmessi dalle Pioneer 10 e 11 e Voyager 1 e 2, che sono riuscite a spingersi oltre l'orbita di Plutone e a inoltrarsi nello spazio profondo, per valutarne l'estensione e le proprietà nella zona più esterna. Da giugno 2011 si suppone che l'eliosfera sia piena di 'bolle magnetiche' (ognuna larga circa 1 UA), che creano la "zona schiumosa". Questa teoria spiega le rilevazioni effettuate delle due sonde Voyager (abbiamo già parlato di queste sonde. Clicca qui per vedere l'articolo relativo).

Campo magnetico

Il campo magnetico solare è il campo magnetico generato all'interno del Sole, una stella di sequenza principale, dal movimento del plasma della sua zona convettiva. È caratterizzato da poli appaiati (nord e sud) disposti lungo tutta la superficie solare. Il campo magnetico solare inverte il proprio verso periodicamente. Ogni undici anni, in corrispondenza del massimo del ciclo solare, la sua superficie presenta una moltitudine di macchie solari. Il campo magnetico solare è all'origine infatti di diversi fenomeni che prendono complessivamente il nome di "attività solare"; tra essi si annoverano le macchie fotosferiche, i flare (o brillamenti) e le variazioni nell'intensità del vento solare, che diffonde materia attraverso il sistema solare. La rotazione differenziale della stella causa una forte deformazione delle linee del campo magnetico, che appaiono aggrovigliate su se stesse; su di esse si dispone il plasma delle eruzioni solari, che vanno a formare vasti anelli di materia incandescente, noti come anelli coronali.[4] Le deformazioni delle linee di campo danno luogo alla dinamo e al ciclo undecennale dell'attività solare, durante il quale l'intensità del campo magnetico subisce delle variazioni. La densità del flusso magnetico solare è di 10−4 tesla in prossimità della stella e, se lo spazio interplanetario fosse vuoto, il suo valore si ridurrebbe in prossimità del nostro pianeta, secondo un criterio di proporzionalità quadratica, a circa 10−11 tesla; le osservazioni con le sonde hanno però mostrato che il campo percepito nelle vicinanze della Terra era circa cento volte più intenso di quanto ipotizzato, con un valore di 10−9 tesla. La magnetoidrodinamica suggerisce che il moto di un fluido conduttore (come il mezzo interplanetario) in un campo magnetico induce delle correnti elettriche che generano a loro volta dei campi magnetici. L'interazione tra il campo magnetico solare ed il plasma del mezzo interplanetario crea una corrente eliosferica diffusa, ossia un piano che separa regioni in cui il campo magnetico converge in direzioni diverse. Il plasma del mezzo interplanetario è anche responsabile del rafforzamento del campo magnetico solare sull'orbita terrestre. Gli effetti del campo magnetico solare sulla Terra includono, principalmente durante i periodi di massima attività, le aurore polari, le interferenze e le interruzioni delle comunicazioni radio e della potenza elettrica. Gli astronomi ritengono che l'attività solare abbia rivestito un ruolo fondamentale nella formazione ed evoluzione del sistema solare. L'attività della nostra stella inoltre cambia continuamente la struttura dell'atmosfera esterna della Terra. L'AP-index misura l'intensità del campo magnetico solare. Un calo dell'1% corrisponde a una riduzione di -0,004 Watt/m^2 della radiazione solare incidente sulla Terra. Una serie di studi sulle immagini satellitari ai raggi X di un ciclo solare completo, hanno permesso nel periodo di massima intensità di fotografare a 135.000 km sotto la superficie solare un loop, molto brillante, visivamente simile ad un arcobaleno, mobile di plasma caldo e gas elettrificato che collega i due poli magnetici del sole alla regione equatoriale a polarità opposta, dove si manifestano le macchie e il flusso magnetico. Si è evidenziata una forte correlazione fra la luminosità di queste strutture a corona e la potenza del campo magnetico.

Ciclo solare

Il ciclo solare (detto anche ciclo dell'attività magnetica solare) è il tempo, mediamente pari a undici anni, che intercorre tra due periodi di minimo dell'attività solare; la lunghezza del periodo non è strettamente regolare, ma può variare tra i dieci e i dodici anni. È anche la principale causa delle periodiche variazioni di tutti i fenomeni solari che influiscono sul tempo meteorologico spaziale. Alimentato da un processo di tipo idromagnetico, all'origine del campo magnetico solare stesso, il ciclo solare:

  • modella l'atmosfera ed il vento solare;
  • modula l'irradianza solare;
  • modula il flusso delle radiazioni a lunghezza d'onda corta, dagli ultravioletti ai raggi X;
  • modula la frequenza dei fenomeni eruttivi, come i flare e le espulsioni di massa;
  • modula indirettamente il flusso dei raggi cosmici ad alta energia che penetrano nel sistema solare.

Il ciclo solare si divide in due fasi: una fase di massimo, in cui l'attività della stella si presenta più frenetica, e una fase di minimo, in cui l'attività è meno intensa. L'attività solare durante il minimo coincide spesso con temperature più basse rispetto alla media sulla Terra, mentre le fasi di massimo più ravvicinate tendono ad essere correlate a temperature più alte rispetto alla media. Poiché i campi magnetici possono influire sui venti stellari, arrivando ad agire come dei "freni" che rallentano progressivamente la rotazione della stella man mano che essa compie il proprio percorso evolutivo, le stelle non più giovani, come il Sole per l'appunto, compiono la propria rotazione in tempi più lunghi e presentano un'attività magnetica meno intensa. I loro livelli di attività tendono a variare in maniera ciclica e possono cessare completamente per brevi periodi di tempo. Un esempio fu il minimo di Maunder, durante il quale il Sole andò incontro ad un settantennio, nel corso del XVII secolo, di attività minima; in questo periodo, noto anche come "Piccola era glaciale", l'Europa subì un brusco calo delle temperature. I primi minimi solari di considerevole durata furono scoperti attraverso l'analisi dendrocronologica degli anelli annuali dei tronchi di alcuni alberi, il cui spessore dipende dalle condizioni ambientali in cui vivono i vegetali; le linee più sottili sembravano coincidere con i periodi in cui le temperature globali erano state al di sotto della media.

Macchie solari

Una macchia solare è una regione della superficie del Sole (la fotosfera) che è distinta dall'ambiente circostante per una temperatura minore ed una forte attività magnetica. Anche se in realtà le macchie solari sono estremamente luminose, perché hanno una temperatura di circa 4000 kelvin, il contrasto per emissività termica rispetto alle regioni circostanti, ancora più luminose grazie ad una temperatura di 6000 kelvin, le rende chiaramente visibili come macchie scure. Numerose macchie simili sono state osservate anche in stelle diverse dal Sole, e prendono il nome più generale di macchie stellari. I primi probabili riferimenti alle macchie solari sono quelli degli astronomi cinesi del primo millennio d.C.. Furono osservate telescopicamente per la prima volta nel 1610 dagli astronomi frisoni Johannes e David Fabricius, che pubblicarono una loro descrizione nel giugno del 1611. A questa data Galileo stava già mostrando le macchie solari agli astronomi a Roma e Christoph Scheiner aveva probabilmente osservato le macchie per due o tre mesi. La polemica tra Galileo e Scheiner per la prima osservazione, quando nessuno dei due sapeva del lavoro dei Fabricius, fu quindi tanto acida quanto inutile. Le macchie solari ebbero una qualche importanza nel dibattito sulla natura del sistema solare. Mostravano che il Sole ruotava su se stesso, e il fatto che apparivano e scomparivano dimostrava che il Sole subiva dei cambiamenti, in contraddizione con gli insegnamenti di Aristotele. Le ricerche sulle macchie solari segnarono il passo per la maggior parte del XVII e l'inizio del XVIII secolo, perché a causa del Minimo di Maunder quasi nessuna macchia solare fu visibile per molti anni. Ma dopo la ripresa dell'attività solare, Heinrich Schwabe poté riportare nel 1843 un cambiamento periodico nel numero delle macchie solari, che sarebbe poi stato chiamato il ciclo undecennale dell'attività solare. Un brillamento solare molto potente fu emesso verso la Terra il 1º settembre 1859. Interruppe i servizi telegrafici e causò aurore boreali visibili molto a sud, fino a Roma e in modo simile nell'emisfero sud fino alle Hawaii. Il flare più luminoso osservato dai satelliti è avvenuto il 4 novembre 2003 alle 19:29 UTC, ed ha saturato gli strumenti per 11 minuti. La regione 486, responsabile del brillamento, ha prodotto un flusso di raggi X stimato a X28. Le osservazioni hanno mostrato che l'attività è continuata sulla faccia lontana del Sole, quando la rotazione ha nascosto la regione attiva alla nostra vista. È stata registrata l'assenza di macchie solari per 266 giorni su 366 nel 2008, e per 78 giorni nei primi 90 del 2009. Il numero di macchie che appaiono sulla superficie del Sole è stato misurato a partire dal 1700, e stimato all'indietro fino al 1500. La tendenza è quella di un numero in aumento, e i valori più grandi sono stati registrati negli ultimi 50 anni. Secondo alcuni scienziati-ricercatori il numero di macchie solari sarebbe correlato con l'intensità della radiazione solare: tra il 1645 e il 1715, durante il cosiddetto minimo di Maunder, esse quasi scomparirono, e la Terra nello stesso periodo si raffreddò in modo consistente con la piccola era glaciale. L'eventuale correlazione e il nesso causale tra i due eventi è tutt'ora oggetto di discussioni nella comunità scientifica, riguardo anche all'attuale fase di riscaldamento globale (non sarebbe affatto chiaro il meccanismo fisico di influenza tra macchie solari e aumento di temperatura globale non essendo significativamente implicata la costante solare, dunque l'input energetico, come da rilevazioni dei satelliti artificiali negli ultimi 50 anni, variazioni dello 0.06 % pari a soli 3-4 watt dei complessivi 1340 circa). Anche se i dettagli della formazione delle macchie solari sono ancora oggetto di ricerca, è abbastanza chiaro che esse sono la controparte visibile di tubi di flusso magnetico nella zona convettiva del Sole che vengono "arrotolati" dalla rotazione differenziale della stella. Se lo stress su questi tubi supera un certo limite, rimbalzano come elastici e "forano" la superficie solare, la Fotosfera .Nei punti in cui essi attraversano la superficie la convezione non può operare, il flusso di energia che arriva dall'interno del Sole si riduce, e la temperatura di conseguenza scende. L'effetto Wilson suggerisce che le macchie solari siano anche delle depressioni rispetto al resto della superficie. Questo modello è supportato da osservazioni che usano l'effetto Zeeman, che mostra come le macchie solari appena nate spuntino a coppie, di opposta polarità magnetica. Da ciclo a ciclo, la polarità delle macchie anteriori e posteriori (rispetto alla rotazione del Sole) cambia da nord/sud a sud/nord e viceversa. In genere le macchie solari appaiono a gruppi più o meno grandi. Una macchia solare può essere divisa in due parti:

  • ombra, più scura e fredda
  • penombra, intermedia tra l'ombra e la superficie solare

Le linee di campo magnetico dovrebbero respingersi l'un l'altra, facendo quindi disperdere rapidamente le macchie solari, ma la vita di una macchia è in media di appena due settimane, un periodo troppo breve. Osservazioni recenti condotte dalla sonda SOHO, utilizzando le onde sonore che viaggiano nella fotosfera solare per formare un'immagine dell'interno del Sole, hanno mostrato che sotto ogni macchia solare vi sono potenti correnti di materiale dirette verso l'interno del Sole, che formano dei vortici che concentrano le linee di campo magnetico. Di conseguenza le macchie sono delle tempeste auto-sostenentesi, simili in alcuni aspetti agli uragani terrestri. L'attività delle macchie segue un ciclo di circa 11 anni (il ciclo undecennale dell'attività solare). Ogni ciclo di undici anni comprende un massimo ed un minimo, che sono identificati contando il numero di macchie solari che appaiono in quell'anno. All'inizio del ciclo, le macchie tendono ad apparire a latitudini elevate, per poi muoversi verso l'equatore quando il ciclo si avvicina al massimo (questo comportamento è chiamato legge di Spörer). Oggi si conoscono molti periodi diversi nella variazione del numero di macchie, di cui quello di 11 anni è semplicemente il più evidente. Lo stesso periodo è osservato nella maggior parte delle altre espressioni di attività solare, ed è profondamente legato alle variazioni del campo magnetico solare. Non si sa se esistano periodi molto lunghi (di secoli o più), perché l'intervallo registrato dagli astronomi è troppo corto, ma se ne sospetta fortemente l'esistenza. Le macchie solari si possono osservare piuttosto facilmente, basta un piccolo telescopio usato col metodo della proiezione dall'oculare. In alcune circostanze, specialmente all'alba e al tramonto, le macchie solari possono essere viste anche ad occhio nudo. Tuttavia, è bene non guardare mai il Sole senza l'ausilio di un filtro in quanto può causare danni permanenti alla retina. A partire dagli anni '90 si è diffusa l'erronea concezione che le macchie solari fossero la causa principale dell'attuale riscaldamento globale e che l'introduzione in atmosfera di notevoli quantità di gas serra da parte dell'uomo avesse invece un ruolo marginale. Questa teoria, inizialmente proposta da Friis-Christenses e Lassen, correlava la durata del ciclo solare con il clima terrestre e, in particolare, con l'attuale riscaldamento climatico. Tale teoria è stata però smentita al termine di un acceso e lungo dibattito scientifico innescato dal Dr. Peter Laut, il quale ha dimostrato tramite pubblicazioni scientifiche che i dati prodotti da Friis Christensen e Lassen in supporto alla teoria erano stati artificiosamente confezionati e manipolati per trarre conclusioni fallaci. La rigorosa analisi di Laut sui dati chiamati in causa dagli autori mostrava infatti che i dati non solo non erano in grado di supportare la teoria, ma ne provavano l'erroneità. La falsificazione della teoria di Friis Crhistensens e Lassen ha riscosso un ampio consenso della comunità scientifica ed è ormai acclarato che le attività antropiche sono la causa principale dell'attuale riscaldamento globale. Una recente teoria afferma che possono esistere delle instabilità magnetiche all'interno del Sole che causano delle fluttuazioni con periodi di 41 000 o 100 000 anni; tali fluttuazioni potrebbero fornire una spiegazione sia delle ere glaciali che dei cicli di Milanković. Tuttavia, come molte teorie in astrofisica, anche questa non può essere verificata direttamente. Il Sole, come ogni altro corpo celeste nell'Universo, è costituito da elementi chimici. Molti scienziati hanno analizzato questi elementi per conoscerne l'abbondanza, le loro relazioni con gli elementi costitutivi dei pianeti e la loro distribuzione all'interno della stella. La stella ha "ereditato" la sua composizione chimica dal mezzo interstellare da cui ha preso origine: l'idrogeno e l'elio, che ne costituiscono la grande parte, si sono costituiti grazie alla nucleosintesi del Big Bang, gli elementi più pesanti sono stati sintetizzati dalla nucleosintesi delle stelle più evolute, che, al termine della propria evoluzione, li hanno diffusi nello spazio circostante. La composizione del nucleo è fortemente alterata dai processi di fusione nucleare, che hanno aumentato la percentuale in massa dell'elio (34%) a discapito dell'idrogeno (64%). La percentuale di elementi pesanti, detti convenzionalmente metalli, è rimasta invece pressoché invariata. Questi, presenti in tracce soprattutto negli strati più superficiali, sono: litio, berillio e boro; neon, la cui quantità effettiva sarebbe maggiore di quella precedentemente stimata tramite le osservazioni eliosismologiche; gli elementi del gruppo 8 della tavola periodica, cui appartengono ferro, cobalto e manganese. Numerosi astrofisici hanno preso anche in considerazione l'esistenza di relazioni di frazionamento della massa tra le composizioni isotopiche dei gas nobili, quali neon e xeno, presenti nell'atmosfera solare e in quelle planetarie. Poiché le parti interne della stella sono radiative e non convettive, la fotosfera, costituita essenzialmente da idrogeno (circa il 74% della sua massa, il 92% del suo volume), elio (circa il 24-25% della massa, il 7% del volume) ed elementi in tracce, ha mantenuto e mantiene una composizione chimica essenzialmente immutata dalla formazione della stella, tanto che molti tendono a considerarla come esempio della composizione chimica primordiale del sistema solare. Fino al 1983 era diffusa la convinzione che la stella avesse la stessa composizione della sua atmosfera; in quell'anno si scoprì che proprio il frazionamento degli elementi nel Sole era all'origine della distribuzione degli stessi al suo interno.[10] Tale frazionamento è determinato da vari fattori, quali la gravità, che fa sì che gli elementi più pesanti (come l'elio, in assenza di altri elementi più pesanti) si dispongano nel centro di massa dell'astro, mentre gli elementi meno pesanti (quindi l'idrogeno) si diffondano attraverso gli strati esterni del Sole; la diffusione dell'elio all'interno del Sole tende a velocizzarsi nel corso del tempo. Ogni secondo nel nucleo della nostra stella 600 000 000 di tonnellate di idrogeno (equivalenti a 3,4×1038 protoni) vengono convertite in 595 740 000 tonnellate di elio. Dopo questa trasformazione, 4 260 000 tonnellate di idrogeno (pari allo 0,75%) sembrano esser state perse; in realtà questa massa mancante si è trasformata direttamente in energia, ossia in radiazione elettromagnetica, secondo l'equazione massa-energia di Albert Einstein: E=mc². Considerando che il sole ha una massa di 2×1027 tonnellate e supponendo che la perdita di massa rimanga sempre di 4,26×106 tonnellate al secondo, è facile calcolare che in un miliardo di anni la perdita di massa sarà di 1,34×1023 tonnellate, pari a circa 22 volte la massa della Terra. Sembra una quantità enorme, ma rappresenta molto meno di un millesimo della massa del sole (circa lo 0,06 per mille). L'idrogeno è fuso secondo una serie di reazioni che prende il nome di catena protone-protone: 4 1H → 2 2H + 2 e+ + 2 νe (4,0 MeV + 1,0 MeV)2 1H + 2 2H → 2 3He + 2 γ (5,5 MeV)2 3He → 4He + 2 1H (12,9 MeV) Le precedenti reazioni possono essere quindi riassunte nella formula 4 1H → 4He + 2 e+ + 2 νe + 2 γ (26,7 MeV) dove e+ è un positrone, γ è un fotone nella frequenza dei raggi gamma, νe è un neutrino elettronico, H ed He sono rispettivamente gli isotopi dell'idrogeno e dell'elio. L'energia rilasciata da queste reazioni è espressa in milioni di elettronvolt, ed è solo una minima parte dell'energia complessivamente liberata. La concomitanza di un gran numero di queste reazioni, che avvengono continuamente e senza sosta sino all'esaurimento dell'idrogeno, genera l'energia necessaria per sostenere il collasso gravitazionale cui la stella sarebbe naturalmente sottoposta. L'energia così generata, in 1 secondo è pari a 3,83×1026 joule (383 YJ), equivalente a 9,15×1010 megatoni di tritolo: una quantità di energia impensabile da riprodurre sulla Terra. Per capire l'enormità di questa energia, che espressa in wattora (Wh) equivale a 106400000000 TWh[114], il solo dato che può fungere da termine di paragone è la produzione mondiale di energia elettrica, che nel 2012 è stata di circa 22500 TWh. Con tale ritmo produttivo, per eguagliare l'energia prodotta dal Sole in 1 secondo tutti gli impianti di produzione di energia elettrica del nostro pianeta dovrebbero funzionare a pieno regime per più di 4 milioni di anni (ca. 4 525 000 anni). I fotoni, emessi ad alta energia (dunque nelle frequenze dei raggi γ ed X), vengono assorbiti in appena alcuni millimetri di plasma solare e quindi riemessi in direzioni casuali, con energia minore; per questo motivo la radiazione necessita di un tempo lunghissimo per raggiungere la superficie della stella, tanto che si calcola che un fotone, per raggiungere la fotosfera, impieghi tra 10 000 e 170 000 anni. I fotoni, una volta raggiunta la fotosfera dopo questo "lungo viaggio", vengono emessi principalmente sotto forma di luce visibile, anche se non mancano emissioni in tutte le lunghezze d'onda dello spettro elettromagnetico. Al contrario dei fotoni, i neutrini liberati dalle reazioni interagiscono molto debolmente con la materia e quindi raggiungono la superficie quasi immediatamente. Per molti anni le misurazioni del numero dei neutrini prodotti nel nucleo solare diedero risultati più bassi, pari a 1/3 di quanto teorizzato. Tale discrepanza, nota come problema dei neutrini solari, è stata recentemente compresa grazie alla scoperta degli effetti di un fenomeno noto come "oscillazione del neutrino": il Sole, infatti, emette il numero di neutrini ipotizzati, ma i rivelatori non riuscirono ad identificarne i 2/3 poiché le particelle avevano cambiato sapore (il numero quantico delle particelle elementari correlato alle loro interazioni deboli). È di fondamentale importanza ricordare come il processo di fusione nucleare all'interno del Sole, come tutti i processi fisici che implicano una trasformazione, avvenga nell'assoluto rispetto della legge di conservazione dell'energia (primo principio della termodinamica): nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. I meccanismi di fusione nucleare che alimentano il Sole non sono totalmente compatibili con le iniziali formulazioni del principio di conservazione di massa ed energia, invece lo divengono grazie all'equazione di Einstein. Egli infatti comprese e dimostrò che il principio di conservazione coinvolge sia la materia che l'energia, considerate non più come due realtà distinte ma unitarie, dato che l'una può trasformarsi nell'altra secondo una precisa relazione matematica; la somma di massa ed energia espressa in unità di massa resta costante nell'universo. L'energia solare è la fonte primaria di energia sulla Terra. La quantità di energia luminosa che giunge per ogni unità di tempo su ogni unità di superficie esposta direttamente alla radiazione solare prende il nome di costante solare ed il suo valore è approssimativamente di 1370 W/m². Moltiplicando questo valore per la superficie dell'emisfero terrestre esposto al Sole si ottiene una potenza maggiore di 50 milioni di gigawatt (GW).[117] Tuttavia, poiché la luce solare subisce un'attenuazione nell'attraversare l'atmosfera terrestre, alla superficie del nostro pianeta il valore della densità di potenza scende a circa 1000 W/m², raggiunto in condizioni di tempo sereno quando il Sole è allo zenit (ovvero i suoi raggi sono perpendicolari alla superficie). Tenendo poi in conto il fatto che la Terra è uno sferoide in rotazione, l'insolazione media varia a seconda dei punti sulla superficie e, alle latitudini europee, è di circa 200 W/m². La radiazione solare è alla base della vita sul nostro pianeta: rende possibile la presenza di acqua allo stato liquido, indispensabile alla vita, e permette la fotosintesi da parte dei vegetali, che producono l'ossigeno necessario a gran parte dei viventi. La fotosintesi si serve dell'energia di tale radiazione, che viene immagazzinata in legami chimici, per sintetizzare composti organici (essenzialmente glucidi) a partire da sostanze inorganiche (CO2 e H2O). Anche l'uomo si serve dell'energia del Sole, che viene raccolta da strutture, quali i pannelli solari, adibite a diversi scopi, come il riscaldamento dell'acqua o la produzione di energia elettrica (pannelli fotovoltaici).[118] Inoltre, l'energia immagazzinata nel petrolio e in tutti gli altri combustibili fossili deriva da quella della nostra stella, che è stata convertita in energia chimica grazie alla fotosintesi delle piante vissute milioni di anni fa. La radiazione ultravioletta (UV) solare ha un'importante funzione antisettica e viene impiegata per la disinfezione di alcuni oggetti e delle acque grazie al metodo SODIS.[119]. È responsabile dell'abbronzatura e delle scottature dovute ad un'eccessiva esposizione al Sole, ma ha anche un ruolo fondamentale in medicina: infatti induce la sintesi, da parte della pelle, delle vitamine del gruppo D, indispensabili per il benessere osseo. La quantità di ultravioletti che raggiunge la superficie terrestre è notevolmente inferiore a quella registrata alla sommità dell'atmosfera, poiché le molecole di ozono, che vanno a costituire una fascia (detta ozonosfera) nella parte inferiore della stratosfera, schermano e riflettono nello spazio buona parte della radiazione. La quantità di UV varia anche a seconda della latitudine ed è massima all'equatore e alle regioni tropicali, dove è maggiore l'insolazione. Tale variazione è responsabile di diversi adattamenti biologici, come ad esempio il colore della pelle delle diverse popolazioni umane diffuse nelle differenti regioni del globo.

Il Sole come fonte d'energia

L'energia solare è l'energia associata alla radiazione solare e rappresenta la fonte primaria di energia sulla Terra. È, infatti, la forma di energia normalmente utilizzata dagli organismi autotrofi, cioè quelli che eseguono la fotosintesi, comunemente indicati come "vegetali" (da cui si originano anche i combustibili fossili); gli altri organismi viventi sfruttano, invece, l'energia chimica ricavata dai vegetali o da altri organismi che a loro volta si nutrono di vegetali e quindi in ultima analisi sfruttano anch'essi l'energia solare, se pur indirettamente. Da questa energia derivano più o meno direttamente quasi tutte le altre fonti energetiche disponibili all'uomo quali i combustibili fossili, l'energia idroelettrica, l'energia eolica, l'energia del moto ondoso, l'energia da biomassa con le sole eccezioni dell'energia nucleare, dell'energia geotermica e dell'energia delle maree. Può essere utilizzata direttamente a scopi energetici per produrre calore o energia elettrica con varie tipologie di impianto. Sulla Terra il valore di tale energia (a livello locale o globale, giornaliera, mensile o annuale) si può calcolare come il prodotto tra l'insolazione media, l'eliofania nell'intervallo di tempo considerato e la superficie incidente considerata. Una centrale solare è una centrale elettrica che utilizza l'energia solare per produrre corrente elettrica. Esistono due tipi di centrali solari: le centrali a concentrazione e le centrali termodinamiche. Questo tipo di centrale elettrica utilizza dei moduli fotovoltaici per convertire direttamente la luce solare in energia elettrica tramite l'effetto fotovoltaico, quindi è differente dalla maggior parte delle centrali perché non utilizza il gruppo turbina-alternatore. Può avere un'efficienza compresa tra il 10% e il 15% a seconda delle caratteristiche tecniche dei componenti utilizzati, soprattutto dei moduli. I moduli con altissima efficienza tuttavia non vengono normalmente utilizzati in strutture estese come quelle di una centrale per via del loro elevato costo. In Italia le centrali fotovoltaiche sono regolamentate dal Decreto attuativo n. 181 del 5 agosto 2005, noto anche come Conto energia. Indipendentemente da questa normativa, alcuni interventi a fondo perduto vengono saltuariamente deliberati dalle istituzioni. Tra questi il più recente è stato il bando per le Piccole e Medie Imprese per la promozione delle fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica e/o termica, emanato dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare congiuntamente con Medio Credito Centrale S.p.A. e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 12 del 16 gennaio 2007. Attualmente (2009) la Spagna e la Germania hanno posizioni leader nella costruzione di questo tipo di centrali: tra le 50 più grandi del mondo, ben 45 si trovano in questi due paesi che hanno fatto gli investimenti maggiori in questo tipo di tecnologia. Al 2016 la centrale fotovoltaica più grande del mondo era il NOOR di Ouarzazate in Marocco. Questo tipo di centrale solare immagazzina l'energia solare attraverso dei pannelli solari che provvedono a convogliare la luce solare nell'olio minerale. Questo liquido assorbendo l'energia solare si riscalda fino a giungere temperature di alcune centinaia di gradi Celsius. Quindi attraverso uno scambiatore cede calore all'acqua che vaporizzando viene convogliata in una turbina collegata a un alternatore. La turbina sottrae energia cinetica al vapore acqueo e la converte in energia meccanica che viene utilizzata dall'alternatore per produrre corrente elettrica. Esiste un secondo tipo di centrale che non utilizza pannelli solari ma specchi. Gli specchi vengono puntati verso un serbatoio posto alla sommità di una torre. La luce concentrata dagli specchi fa evaporare il liquido contenuto nel serbatoio che inviato alla turbina e all'alternatore per generare energia elettrica. Questo secondo tipo di centrale termica consente di raggiungere temperature maggiori e quindi consente di utilizzare come liquido altri elementi oltre all'acqua innalzando l'efficienza complessiva del sistema. Siccome la radiazione solare media è di circa 1.000 watt/m2, il rendimento termodinamico è altissimo rispetto a quello fotovoltaico. La quantificazione espressa da Carlo Rubbia, Nobel per la fisica, chiarisce i vantaggi del sistema termodinamico: "Come esperimento pilota i 20 megawatt raggiunti dalle tecnologie solari alla centrale di Priolo non sono da buttar via: bastano a una città di 20 mila abitanti, consentono di risparmiare 12.500 tonnellate equivalenti di petrolio l'anno ed evitano l'emissione di 40 mila tonnellate l'anno d'anidride carbonica. Il bello è che questo tipo di energia è conveniente: ai prezzi attuali, l'impianto si ripaga in 6 anni e ne dura 30. Oltretutto, una volta avviata la produzione di massa, i prezzi di costruzione tenderanno al dimezzamento". Centrali di questo tipo sono usate da anni negli Stati Uniti, e più di recente in Spagna se n'è autorizzata la costruzione. Nel dicembre 2007 anche il governo italiano ha approvato un piano industriale per costruire dieci centrali da 50 MWatt nel sud Italia. Gli impianti più moderni prevedono di stoccare il fluido ad alta temperatura in appositi serbatoi isolati, che permettono di far funzionare le turbine durante la notte, in alcuni casi con una autonomia di alcuni giorni in caso di cattivo tempo. Questi impianti hanno comunque la possibilità di essere alimentati anche a gas nel caso le condizioni sfavorevoli perdurino. Gli specchi solari attuali per funzionare correttamente richiedono di essere correttamente puntati rispetto al Sole e quindi sono presenti sistemi motorizzati che provvedono a far mantenere l'orientamento corretto. In questo modo si può sfruttare appieno l'energia solare. Grossi passi in avanti hanno fatto negli ultimi anni gli studi sulla Non imaging Optics "ottica senza ricostruzione dell'immagine" che permettono già ora di costruire concentratori parabolici fissi, (in inglese CPC Compound Parabolic Concentrator) che accettano angoli di ingresso per la radiazione solare anche di 55 gradi. Gli impianti di ultima generazione, come quello di Priolo in Sicilia (Progetto Archimede), utilizzando dei sali fusi come liquido convettore, riescono a raggiungere temperature di 550 gradi permettendo l'utilizzo delle stesse tecnologie delle centrali tradizionali e quindi esiste sia la possibilità di affiancamento ad impianti esistenti, sia una riduzione dei costi grazie all'utilizzo di componenti standard. La Spagna ha recentemente accolto Rubbia, dopo che lo stesso è stato allontanato dalla guida dell'ENEA ed ha avviato la realizzazione industriale della centrale che doveva essere realizzata in Italia. Lo spazio occupato da centrali di questo tipo dipende dalla potenza delle stesse, e può quindi risultare piuttosto consistente. Le centrali solari, e in particolare quelle con tecnologia fotovoltaica, devono far fronte alla non continua presenza (o "aleatorietà") della fonte energetica, questa forma di energia è infatti dipendente dalle condizioni atmosferiche come la presenza di nubi o pioggia. Per lo stesso motivo, la fonte solare viene definita "non programmabile". Altro problema è relativo alle grandi superfici necessarie rispetto ad altri tipi di centrali, a parità di produzione. La Germania, che fra i paesi europei è quello più ricco di centrali solari, riesce a rispondere solo allo 0,4% del proprio fabbisogno energetico con la fonte fotovoltaica, secondo i dati disponibili al 2008. Infine, gli impianti fotovoltaici, ove occupino grandi superfici, possono avere un impatto negativo sul paesaggio, specie se installati in contesti collinari e su aree vocate all'agricoltura. Tuttavia sono notevoli anche i lati positivi di questa fonte di energia:

  • non ci sono emissioni inquinanti o di gas serra, fatto salvo quelle relative al processo di produzione dei moduli;
  • non occorre estrarre, trasportare, processare combustibili: operazioni spesso assai complesse, e connesse con rischi ed oneri sia ambientali che socio-sanitari anche notevoli;
  • la fonte energetica è assicurata per miliardi di anni e gratuita, mentre i prezzi di combustibili fossili e uranio sono variabili e presumibilmente destinati ad un andamento crescente col ridursi delle riserve totali e il progressivo esaurimento di quelle economicamente e tecnicamente più convenienti da sfruttare.
  • lo sfruttamento dell'energia solare è libero, non intermediato e prescinde dall'instaurazione e dal mantenimento di rapporti commerciali o dalla stabilità delle relazioni internazionali,
  • non si producono come nel caso del nucleare scorie per il cui smaltimento non sono disponibili siti adatti,
  • il processo produttivo è relativamente semplice e scevro da rischi legati a errori umani o malfunzionamenti.
  • la centrale è intrinsecamente innocua per gli abitanti nei dintorni, né si presta a attentati terroristici per la natura "diffusa" e "scalabile" della modalità di produzione.

Anche il fattore costo, attualmente ancora non competitivo (sebbene in calo), se riveduto con quello che è il costo ambientale delle fonti fossili, (tensioni geopolitiche, inquinamento, effetto serra, cambiamento climatico), può essere riconsiderato e valutato sulla base degli scenari futuri. Attualmente la maggior parte delle ricerche vertono sul perfezionamento delle celle fotovoltaiche. Si sta cercando di ottenere celle con un'efficienza maggiore di quelle attuali e nel contempo si sta cercando di rendere le celle fotoelettriche ad alta efficienza più economiche in modo da ridurre i costi di costruzione delle centrali elettriche. Un'altra via più radicale è la costruzione di centrali solari orbitali. Queste centrali sono già realizzabili con la tecnologia odierna, ma avrebbero un costo elevatissimo per via dell'enorme quantità di denaro necessario per mandare in orbita la centrale. In ogni caso alcuni studi sono a buon punto e alcune nazioni (il Giappone in particolare) intendono costruire una di queste centrali entro il 2040. L'energia solare può essere utilizzata per generare elettricità (fotovoltaico) o per generare calore (solare termico). Sono tre le tecnologie principali per trasformare in energia sfruttabile l'energia del sole:

  • il pannello solare termico sfrutta i raggi solari per scaldare un liquido con speciali caratteristiche, contenuto nel suo interno, che cede calore, tramite uno scambiatore di calore, all'acqua contenuta in un serbatoio di accumulo. Il pannello solare termico (la denominazione tecnica è collettore solare) è un dispositivo per la conversione della radiazione solare in energia termica ed il suo trasferimento, per esempio, verso un accumulatore termico per un uso successivo: produzione di acqua calda (sanitaria o di processo), riscaldamento degli ambienti, raffrescamento solare (solarcooling). Si differenzia dal pannello solare fotovoltaico, in quanto quest'ultimo serve invece per la produzione di corrente elettrica. L'ideazione di pannelli solari termici può risalire all'Impero romano che già conosceva un metodo per sfruttare l'irraggiamento solare per mezzo dell'effetto serra creato dai vetri con cui venivano chiuse le finestre delle case. Nel Cinquecento però Leonardo Da Vinci aveva ampliato lo studio di parabole per concentrare l'energia solare per applicarlo all'industria dell'epoca; nel Settecento, Lavoisier riuscì a fondere il platino, il cui punto di fusione è di 1780 °C, riscaldandolo tramite la concentrazione di raggi solari. Nel 1767 fu inventato un primo tipo di pannello solare da Horace-Bénédict de Saussure: una pentola di legno foderata di sughero nero, utilizzata dagli americani per cucinare. Essa raggiungeva i 109 °C per mezzo di un sistema di tre strati nella parte alta della pentola. Nel 1830 in Inghilterra John Herschel perfezionò il sistema ideato da Horace-Bénédict de Saussure da cui nacque una tecnica di cottura chiamata oggi solar cooking. L'americano Clarence Kemp brevettò nel 1891 il primo pannello solare termico per la produzione di acqua calda sanitaria; questo sistema ebbe un grande successo e si diffuse facilmente a seguito della crisi energetica del 1973. Dopo la prima guerra mondiale, a partire dal 1920 negli USA si diffuse un sistema a circolazione naturale che forniva acqua calda durante il giorno. Nel 1935, sempre in America, fu costruito il primo edificio riscaldato tramite un impianto di pannelli solari termici. Un sistema solare termico normalmente è composto da un pannello che riceve l'energia solare, da uno scambiatore dove circola il fluido utilizzato per trasferirla al serbatoio, che è utilizzato per immagazzinare l'energia accumulata. Il sistema può avere due tipi di circolazione, naturale o forzata. Nel caso della circolazione naturale a termosifone, per far circolare il fluido vettore nel pannello solare, si sfrutta la convezione[4]. Il liquido vettore riscaldandosi nel pannello solare si dilata e galleggia rispetto a quello più freddo presente nello scambiatore del serbatoio di accumulo. Spostandosi, quindi nello scambiatore posto più alto rispetto al pannello solare cede il suo calore all'acqua sanitaria del secondario. Questa tipologia è più semplice di quella a circolazione forzata. Non esiste consumo elettrico dovuto alla pompa di circolazione e alla centralina solare differenziale presente nel sistema a circolazione forzata. Il fluido vettore usato nel circuito primario è glicole propilenico atossico (comunemente conosciuto come antigelo) miscelato con acqua in una percentuale tale da garantire un'adeguata resistenza al gelo. Il serbatoio viene disposto ad un'altezza maggiore di quella dei pannelli solari a cui è collegato e per ragioni estetiche è del tipo orizzontale ad intercapedine. La circolazione naturale, rispetto a quella forzata, risulta essere più sensibile alle perdite di carico del circuito primario e vengono, quindi, realizzati sistemi kit compatti dove il serbatoio di accumulo è situato molto vicino al pannello solare. Le serpentine possono anche essere due, nel caso si voglia anche preriscaldare l'acqua del serbatoio con integrazione ad un termocamino o caldaia. Si può anche integrare una resistenza elettrica per riscaldare l'acqua in caso di insufficiente o assente (nelle ore notturne) irradiazione solare. Un impianto a circolazione naturale con serbatoio esterno è adatto in regioni con temperature notturne non rigide. Attualmente viene fatta molta attenzione all'impatto visivo di tali sistemi colorando i serbatoi di color tegola oppure disponendoli direttamente a terra. Questo tipo di impianto è adatto a famiglie che hanno un risparmio esiguo, in quanto, non avendo bisogno di energia elettrica o costi gestione impianto il risparmio è al netto da spese aggiuntive. Nella circolazione forzata la circolazione del liquido avviene con l'aiuto di pompe solo quando nei pannelli il fluido vettore si trova ad una temperatura più elevata rispetto a quella dell'acqua contenuta nei serbatoi di accumulo. Per regolare la circolazione ci si avvale di sensori elettrici che confrontano la temperatura del fluido vettore nel collettore con quella nel serbatoio di accumulo (termocoppia). In tali impianti ci sono meno vincoli per l'ubicazione dei serbatoi di accumulo. Normalmente, il circuito idraulico collegato al pannello è chiuso e separato da quello dell'acqua che riscalda, posizionando una serpentina nel serbatoio come scambiatore di calore. Le serpentine possono anche essere due tre o quattro nel caso si voglia anche preriscaldare il fluido dell'impianto di riscaldamento tramite l'acqua del serbatoio o integrazione ad un termocamino o caldaia. Si può anche integrare una resistenza elettrica per riscaldare l'acqua in caso di insufficiente o assente (nelle ore notturne) irradiazione solare. Quest'impianto è consigliato per le zone rigide di montagna e nel caso la famiglia abbia un notevole risparmio, in quanto, consumi di energia e costi gestione impianto incidono sul risparmio dato.
  • il pannello fotovoltaico sfrutta le proprietà di particolari elementi semiconduttori per produrre energia elettrica quando sollecitati dalla luce. I moduli solari fotovoltaici, usando apposite celle fotovoltaiche, convertono la luce solare direttamente in energia elettrica. Questi moduli sfruttano l'effetto fotoelettrico e hanno una efficienza di conversione che arriva fino al 32,5% nelle celle da laboratorio. In pratica, una volta ottenuti i pannelli dalle celle e una volta montati in sede, l'efficienza è in genere del 13-15% per pannelli in silicio cristallino e non raggiunge il 12% per pannelli in film sottile. I prodotti commerciali più efficienti, utilizzando celle a multipla giunzione o tecniche di posizionamento dei contatti elettrici sul retro della cella (backcontact) raggiungono il 19-20%. Questi pannelli, non avendo parti mobili o altro, necessitano di pochissima manutenzione: in sostanza vanno solo puliti periodicamente. La durata operativa stimata dei moduli fotovoltaici è di circa 30 anni. Il costo dei pannelli è diminuito moltissimo negli ultimi anni e al 2015 esso risulta inferiore a 1 euro/Wp. Un ovvio problema di questo genere di impianto è che l'energia viene prodotta solo durante le ore di luce e quindi non in modo continuo. Va rilevato che tuttavia la produzione da solare è maggiore proprio nei momenti di maggior richiesta, cioè durante il giorno e nelle stagioni calde, durante le quali può sopperire all'aumento di consumi dovuto agli impianti di ventilazione e condizionamento. Eccessi produttivi rispetto alla domanda locale possono essere distribuiti tramite la rete anche a zone molto remote, utilizzati per pompare acqua in serbatoi montani (accumulo gravitazionale), per caricare accumulatori, per produrre idrogeno tramite elettrolisi dell'acqua ecc. Grazie a una legislazione che ha previsto incentivi economici all'installazione di impianti fotovoltaici e la possibilità di vendere l'energia prodotta al gestore della rete di trasmissione, l'Italia è al primo posto al mondo per la potenza elettrica prodotta da energia fotovoltaica: tale quantità rappresenta l'8,0% della produzione energetica italiana. Il secondo paese al mondo risulta la Grecia (7,4%) seguita dalla Germania (7,1%). L'International Energy Agency calcola ogni anno i dati mondiali aggregati sulla produzione mondiale di energia fotovoltaica. Analoghe iniziative, comunemente note come Conto Energia o Feed-in tariff, sono state intraprese da diversi stati europei ratificanti il Protocollo di Kyoto, tra cui anche l'Italia, mediante il Decreto Interministeriale 28/07/2005 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 181 del 05/08/2005 e successivi aggiornamenti, comunemente noto come Decreto Conto Energia. Grazie a questa legislazione l'Italia in pochi anni ha superato i 17mila MWp allacciati in rete, un valore di poco inferiore a quello degli Usa.
  • il pannello solare a concentrazione sfrutta una serie di specchi parabolici a struttura lineare per convogliare i raggi solari su un tubo ricevitore in cui scorre un fluido termovettore o una serie di specchi piani che concentrano i raggi all'estremità di una torre in cui è posta una caldaia riempita di sali che per il calore fondono. In entrambi i casi "l'apparato ricevente" si riscalda a temperature molto elevate (400 °C ~ 600 °C) (solare termodinamico). Nel 2001 l'ENEA ha avviato lo sviluppo del progetto Archimede, volto all'utilizzo di sali fusi anche negli impianti a specchi parabolici a struttura lineare. Essendo necessaria una temperatura molto più alta di quella consentita dagli oli, si è provveduto a progettare e realizzare tubi ricevitori in grado di sopportare temperature maggiori di 600 °C (contro quelle di 400 °C massimi dei tubi in commercio), ricoperti di un doppio strato CERMET (ceramica/metallo) depositato con procedimento di sputtering sughetto. I sali fusi vengono accumulati in un grande serbatoio coibentato alla temperatura di 550 °C. A tale temperatura è possibile immagazzinare energia per 1 kWh equivalente con appena 5 litri di sali fusi. Da tale serbatoio, i sali (un comune fertilizzante per agricoltura costituito da un 60% di nitrato di sodio (NaNO3) e un 40% di nitrato di potassio (KNO3)) vengono estratti e utilizzati per produrre vapore surriscaldato. I sali utilizzati vengono accumulati in un secondo serbatoio a temperatura più bassa (290 °C). Ciò consente la generazione di vapore in modo svincolato dalla captazione dell'energia solare (di notte o con scarsa insolazione). L'impianto, lavorando a una temperatura di regime di 550 °C, consente la produzione di vapore alla stessa temperatura e pressione di quello utilizzato nelle centrali elettriche a coproduzione (turbina a gas e riutilizzo dei gas di scarico per produrre vapore), consentendo consistenti riduzioni di costi e sinergie con le stesse. Attualmente è stato realizzato un impianto con tali caratteristiche in Spagna e un impianto dimostrativo, su scala industriale, presso la centrale termoelettrica ENEL ubicata a Priolo Gargallo (Siracusa).

Questioni teoriche aperte

Sebbene sia la stella più vicina alla Terra e sia oggetto di innumerevoli studi da parte degli scienziati, molte questioni riguardo al Sole rimangono insolute, come, ad esempio, il perché l'atmosfera solare abbia una temperatura di oltre un milione di kelvin mentre la temperatura alla fotosfera non arrivi ai 6000 K. Attualmente gli astrofisici sono interessati a scoprire i meccanismi che regolano il ciclo delle macchie solari, le cause dei flare e delle protuberanze solari, l'interazione magnetica tra la cromosfera e la corona e le cause del vento solare. Per molti anni il numero di neutrini solari rilevati sulla Terra è stato inferiore (da un terzo alla metà) al numero predetto dal Modello Solare Standard; questo risultato anomalo fu chiamato problema dei neutrini solari. Le teorie proposte per risolvere il problema suggerivano una riconsiderazione della temperatura interna del Sole, che sarebbe stata dunque più bassa di quanto precedentemente accettato per spiegare un così basso afflusso di neutrini, oppure affermavano che i neutrini potessero oscillare, vale a dire che potessero mutare negli irrilevabili neutrini tau o nei neutrini muonici mentre coprivano la distanza Sole - Terra.[125] Negli anni ottanta furono costruiti alcuni rivelatori di neutrini, fra i quali il Sudbury Neutrino Observatory e il Super-Kamiokande, allo scopo di misurare il flusso dei neutrini solari con la maggiore accuratezza possibile. I risultati permisero di scoprire che i neutrini hanno una massa a riposo estremamente piccola ed effettivamente possono oscillare.[126] Inoltre, nel 2001 il Sudbury Neutrino Observatory fu in grado di individuare tutti e tre i tipi di neutrino direttamente, trovando che l'emissione totale di neutrini del Sole conferma il Modello Solare Standard. Tale proporzione si accorda con quella teorizzata dall'effetto Mikheyev-Smirnov-Wolfenstein (conosciuto anche come "effetto materia"), che descrive l'oscillazione dei neutrini nella materia. Il problema, pertanto, risulta ora risolto. È noto che la fotosfera solare ha una temperatura di circa 6 000 K. Al di sopra di essa si estende l'atmosfera stellare, la quale raggiunge, in corrispondenza della corona, una temperatura di 1 000 000 K; l'alta temperatura della corona induce a ritenere che la fonte di tale calore sia qualcosa di diverso dalla conduzione termica della fotosfera. Si pensa che l'energia necessaria per riscaldare la corona sia fornita dal movimento turbolento del plasma della zona convettiva. Sono stati proposti due meccanismi per spiegare il riscaldamento coronale: il primo è quello dell'onda di calore, secondo cui dalla zona convettiva vengono prodotte delle onde sonore, gravitazionali e magnetodinamiche, che si propagano verso l'esterno e si disperdono nella corona, cedendo la propria energia al plasma coronale sotto forma di energia termica. L'altra teoria prende in considerazione il calore magnetico: l'energia magnetica viene continuamente prodotta dai moti della zona convettiva e viene rilasciata attraverso le riconnessioni magnetiche sotto forma di vasti brillamenti o eventi simili di intensità minore. Al giorno d'oggi non è chiaro se le onde siano un meccanismo di riscaldamento efficiente; si è scoperto che tutte le onde si dissipano o si rifrangono prima di raggiungere la corona, ad eccezione di quelle di Alfvén, le quali, tuttavia, non si disperdono con facilità nella corona. L'obiettivo delle ricerche attuali verte sulla causa e sul meccanismo di riscaldamento. Una possibile soluzione per spiegare il riscaldamento coronale considera i continui brillamenti che interessano la fotosfera su piccola scala,[129] ma questo resta ancora un campo di ricerca aperto. I modelli teorici sull'evoluzione del Sole suggeriscono che nel periodo compreso fra 3,8 e 2,5 miliardi di anni fa, ossia durante l'eone Archeano, il Sole avesse soltanto il 75% della luminosità attuale. Una stella così debole non sarebbe stata in grado di mantenere l'acqua allo stato liquido sulla superficie terrestre, rendendo dunque impossibile lo sviluppo della vita. Tuttavia, le prove geologiche dimostrano che la Terra ha mantenuto una temperatura media relativamente costante lungo tutta la sua esistenza, anzi che la giovane Terra fosse persino più calda di quella attuale. Fra gli scienziati c'è consenso sul fatto che l'atmosfera della Terra nel suo lontano passato fosse più ricca di gas serra, come il diossido di carbonio, il metano e/o l'ammoniaca rispetto ad oggi; questi gas trattenevano più calore tanto da compensare la minor quantità di energia solare arrivata sulla Terra.

L'influenza del Sole sulla cultura

Il termine "Sole" deriva dal latino sol, solis, che deriverebbe, insieme con il termine sanscrito सऊरयअस (sûryas, in origine *svaryas, la cui radice svar- significa risplendere), dalla radice indoeuropea: sóh₂wl̥. Dalla medesima radice deriva l'aggettivo greco σείριος (séirios; originariamente σϝείριος, swéirios), splendente; tale aggettivo, soprattutto nella sua forma personificata ὁ Σείριος (ho Séirios, che significa Colui che risplende), era uno degli epiteti del Sole, soprattutto in ambito poetico-letterario. È da notare anche come dal medesimo aggettivo derivi il nome della stella più luminosa del cielo notturno, Sirio (α Canis Majoris). Il prefisso elio-, che indica diversi aspetti riguardanti il Sole (come elio-grafia, elio-sismologia e via dicendo), deriva dal greco Ἥλιος (Helios), che era il nome con cui gli Antichi Greci designavano correntemente l'astro e la divinità preposta. Il termine ἥλιος, principalmente nella variante dorica αἔλιος (āèlios, che sta per un antico *ayelios), deriverebbe da una radice indoeuropea *us- allungata in *aus-, che significa ardere, rilucere. In estremo Oriente il significato "Sole" è dato dal simbolo 日 (cinese pinyin rì), nonostante sia anche chiamato 太阳 (tài yáng). In vietnamita queste parole Han sono note come nhật e thái dương rispettivamente, mentre la parola vietnamita originale mặt trời significa letteralmente "volto dei cieli". La Luna e il Sole sono associati ad Yin e Yang, rispettivamente Yang il Sole e Yin la Luna, come opposti dinamici. In molte culture antiche, a partire dalla preistoria, il Sole era concepito come una divinità o un fenomeno soprannaturale; il culto ad esso tributato era centrale in molte civiltà, come quella inca, in Sud America, e azteca, nel Messico. Nella religione egizia il Sole era la divinità più importante; il faraone stesso, considerato una divinità in terra, era ritenuto il figlio del Sole. Le più antiche divinità solari erano Wadjet, Sekhmet, Hathor, Nut, Bastet, Bat e Menhit. Hathor (identificata poi con Iside) generò e si prese cura di Horus (identificato in seguito con Ra). I moti del Sole nel cielo rappresentavano, secondo la concezione del tempo, una lotta ingaggiata dall'anima del faraone ed Osiride. L'assimilazione al culto solare di alcune divinità locali (Hnum-Ra, Min-Ra, Amon-Ra) raggiunse il culmine al tempo della quinta dinastia. Durante la diciottesima dinastia, il faraone Akhenaton tentò di trasformare la tradizionale religione politeista egizia in una pseudo-monoteista, nota come Atonismo. Tutte le divinità, compreso Amon, furono sostituite da Aton, la divinità solare che regnava sulla regione di Akhenaton. Diversamente dalle altre divinità, Aton non possedeva forme multiple: la sua unica effigie era il disco solare. Tale culto non sopravvisse a lungo dopo la morte del faraone che lo introdusse e ben presto il tradizionale politeismo fu riaffermato dalla stessa casta sacerdotale, che tempo prima aveva abbracciato il culto atonistico. Nella mitologia greca la divinità solare principale fu Elio, figlio dei Titani Iperione e Teia. Il dio viene normalmente rappresentato alla guida del carro del sole, una quadriga tirata da cavalli che emettono fuoco dalle narici. Il carro sorgeva ogni mattina dall'Oceano e trainava il Sole nel cielo, da est a ovest, dove si trovavano i due palazzi del dio. In epoca più recente, Elio fu assimilato ad Apollo. Il culto del Sole in quanto tale trovò terreno fertile anche a Roma; il primo tentativo di introdurre il culto solare fu ad opera dell'imperatore Eliogabalo, sacerdote del dio solare siriano El-Gabal.[146] El è il nome della principale divinità semitica, mentre Gabal, che è legato al concetto di "montagna" (si confronti con l'ebraico gevul e l'arabo jebel), è la sua manifestazione ad Emesa, suo principale luogo di culto.[147] La divinità fu in seguito importata nel pantheon romano e assimilato al dio solare romano noto come Sol Indiges in età repubblicana e poi Sol Invictus nel II e III secolo.[148] Un altro importante culto solare, a carattere misterico, fu il mitraismo, da Mitra, sua divinità principale, che fu importato nell'Urbe dalle legioni stanziate in Medio Oriente, principalmente in Siria. Tuttavia l'affermazione del culto solare, il Sol Invictus, si ebbe con Aureliano, il quale si proclamò suo supremo sacerdote. Le celebrazioni del rito della nascita del Sole (il Natale del Sole infante, più tardi Dies Natalis Solis Invicti, Natale del Sole invitto), avvenivano il 25 dicembre, con particolare solennità in Siria ed Egitto, province in cui tale culto era radicato da secoli. Il rito prevedeva che celebranti, ritiratisi in appositi santuari, ne uscissero a mezzanotte, annunciando che la Vergine aveva partorito il Sole, raffigurato nelle sembianze di un infante.[143] Il culto del Sol Invictus perdurò sino all'avvento del Cristianesimo e alla sua ufficializzazione come religione di Stato con l'editto di Tessalonica di Teodosio I, il 27 febbraio 380. Il 7 marzo 321, l'imperatore Costantino I decretò che il settimo giorno della settimana, il Dies Solis, diventasse il giorno del riposo; il decreto non era stato emanato a favore di alcuna religione, ma era un atto di regolamentazione delle attività settimanali che entrò a far parte del corpo legislativo romano. «L'imperatore Costantino. Nel venerabile giorno del Sole, si riposino i magistrati e gli abitanti delle città, e si lascino chiusi tutti i negozi. Nelle campagne, però, la gente sia libera legalmente di continuare il proprio lavoro, perché spesso capita che non si possa rimandare la mietitura del grano o la semina delle vigne; sia così, per timore che negando il momento giusto per tali lavori, vada perduto il momento opportuno, stabilito dal cielo. <Emanato il VII giorno di Marzo, Crispo e Costantino, consoli per la seconda volta>» (tradotto dal latino). Alcuni cristiani approfittarono del decreto imperiale per trasferire il significato dello Shabbat ebraico al Dies Solis, che, sin dall'epoca di Giustino (II secolo), iniziò ad assumere tra le comunità cristiane il nome di Dies Dominica (Giorno del Signore), memoriale settimanale della Risurrezione di Gesù avvenuta, secondo il racconto evangelico, il primo giorno dopo il sabato (Mt 28,1; Mc 16,1; Lc 24,1; Gv 20,1); il 3 novembre 383, per volere di Teodosio, il Dies Solis viene infine ufficialmente rinominato Dies Dominica. Dopo aver abbracciato la fede cristiana, nel 330 l'imperatore fece coincidere con un decreto il Dies Natalis Solis Invicti con la data di nascita di Gesù, considerato dai cristiani il "Sole di giustizia" profetizzato da Malachia (Mal, 4:2), ufficializzando per la prima volta il festeggiamento cristiano. Così scriveva un secolo prima Cipriano, vescovo di Cartagine: «Come ha magnificamente agito la Provvidenza nel far sì che, nel giorno in cui è nato il Sole, sia nato il Cristo!». Nel 337 papa Giulio I ufficializzò la data liturgica del Natale da parte della Chiesa cristiana (oggi divisa in cattolica, ortodossa e copta), come riferito da Giovanni Crisostomo nel 390: «In questo giorno, 25 dicembre, anche la natività di Cristo fu definitivamente fissata in Roma.» Nella cultura, il Sole è usato principalmente come un riferimento mitologico e mistico-religioso, più che in ambito letterario: a differenza delle stelle infatti, che sono citate come meraviglie notturne dai poeti e dai letterati, il Sole in letteratura è utilizzato soprattutto come riferimento per l'alternarsi del dì e della notte. Non mancano tuttavia dei forti riferimenti specificatamente dedicati a questa stella in letteratura, in pittura e persino nella musica. Uno dei testi più celebri ed anche più antichi della letteratura italiana che fa riferimento al Sole è in Cantico di Frate Sole, noto anche come Cantico delle creature scritto da San Francesco d'Assisi, completato, secondo la leggenda, due anni prima della sua morte, avvenuta nel 1226. Il Cantico è una lode a Dio, una preghiera permeata da una visione positiva della natura, poiché nel creato è riflessa l'immagine del Creatore. Con la nascita della scienza storiografica, fra Settecento e Ottocento e con gli ideali romantici delle "radici popolari della poesia", l'opera venne presa in considerazione dalla tradizione critica e filologica. Anche Dante Alighieri, da buon conoscitore dell'astronomia, non manca di citare il Sole nelle sue opere, utilizzandolo come riferimento astronomico: nel Primo Canto del Paradiso, ad esempio, descrive la luce del Sole, spiegando che dal momento che illumina l'emisfero in cui si trova il Purgatorio, la città di Gerusalemme, che si trova dalla parte opposta della Terra, è in quel momento immersa nell'oscurità della notte. Dante si sofferma così ad osservare lo splendore del nostro astro, imitando la sua guida, Beatrice. Anche nelle favole si fa saltuariamente ricorso alla figura del Sole, ove però appare come un personaggio a tutti gli effetti; fra gli esempi più noti vi sono, oltre a quelle di Fedro, le favole scritte da Jean de La Fontaine, uno scrittore francese vissuto nel Seicento, come Il Sole e le Rane o Il Sole e il Vento. Il Sole ha influenzato in modo diretto persino alcuni brani di musica sinfonica: durante il Romanticismo e le fasi successive infatti, i compositori riprendono frequentemente dei temi "naturali" con l'intento di tradurli in partiture per vari strumenti musicali. Uno degli esempi meglio noti è il tramonto orchestrato da Ludwig Van Beethoven nelle battute finali della sua Sesta Sinfonia, un brano ricco di innumerevoli riferimenti naturalistici. Altro esempio molto noto è dato dalla Sinfonia delle Alpi di Richard Strauss, in cui sono presenti esplicitamente (sia nell'orchestrazione che proprio come titolo delle varie sezioni del poema sinfonico) dei richiami al sorgere e al tramontare del Sole. Altri autori hanno descritto in musica le varie fasi della giornata, con un richiamo alla levata del Sole, fra i quali Anton Bruckner (nella quarta sinfonia) e Modest Petrovič Musorgskij (nel brano intitolato Una notte sul Monte Calvo, ripreso anche da Walt Disney per il finale del suo celebre Fantasia). Fra i vari riferimenti presenti nella musica del Novecento, un importante riferimento italiano è dato dal titolo della celebre Canzone del sole, firmata da Lucio Battisti e Mogol e registrata per la prima volta nel 1971 su un 45 giri; questo brano è spesso eseguito anche da coloro che imparano a suonare la chitarra, come esercitazione. Il termine Sol è la forma latina di Sole, da cui deriva la parola italiana; il nome Sol viene comunque compreso anche dai cittadini dei paesi anglosassoni, dove però predomina la forma Sun. Il termine Sol è usato di frequente in inglese nella fantascienza, come nome comune per designare la stella presso la quale si svolgono gli avvenimenti narrati. Per estensione, la locuzione Sistema Solare è spesso usata per definire il sistema planetario della narrazione. Il termine Sol è anche usato dagli astronomi anglofoni per indicare la durata di un giorno solare su Marte. Un giorno solare terrestre è di circa 24 ore, mentre un giorno marziano, o sol, è di 24 ore, 39 minuti e 35,244 secondi. Sol è inoltre la parola usata per "Sole" in portoghese, in spagnolo, islandese, danese, norvegese, svedese, catalano e galiziano. La valuta peruviana è chiamata nuevo sol (Nuovo Sole); in persiano il termine Sol è usato per indicare l'anno solare.


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