Fenomeni magnetici stellari

Le stelle sono oggetti enormi, ed hanno campi magnetici imponenti, in grado di generare fenomeni di straordinaria potenza. Seguici su Eagle sera per saperne di più. 


Anelli coronali

Gli anelli coronali costituiscono la struttura inferiore della corona solare e della zona di transizione delle stelle e quindi anche del nostro Sole. Questi anelli eleganti e altamente strutturati sono la diretta conseguenza del flusso attorcigliato del magnetismo solare rispetto alla superficie del sole.
La diffusione degli anelli coronali è direttamente collegata al ciclo solare, ed è per questo che gli anelli compaiono in genere in concomitanza con le macchie solari, che sono visibili alla base degli anelli. Il flusso magnetico in risalita riesce a perforare la fotosfera, facendo così apparire il sottostante plasma più freddo. Il contrasto tra la fotosfera e gli strati interni del Sole dà l'impressione che siano presenti macchie scure, che per questo motivo vengono chiamate macchie solari. Un anello coronale è un flusso magnetico fissato ad entrambe le estremità, con la base ancorata al corpo solare e che da qui si estende fino a svilupparsi nell'atmosfera del sole; è una struttura ideale per arrivare a comprendere il meccanismo di trasferimento dell'energia dal corpo del Sole alla corona, attraverso la zona di transizione.  Esistono anelli coronali di varie dimensioni, limitrofi ai canali aperti di flusso che lasciano passare il vento solare e si spingono fino alla corona e all'eliosfera. Ancorati alla fotosfera, gli anelli coronali si proiettano attraverso la fotosfera e la zona di transizione, estendendosi nella corona fino a quote elevate. Gli anelli coronali hanno una grande varietà di temperature, che variano nella loro lunghezza a seconda del tratto considerato. Gli anelli con temperature inferiori a 1 000 000 kelvin vengono chiamati "anelli freddi" (cool loops), quelli con temperature superiori al milione di kelvin sono noti come "anelli caldi" (hot loops); quelli intermedi con temperatura attorno al milione di kelvin sono invece chiamati "anelli tiepidi" (warm loops). Naturalmente le tre categorie emettono radiazioni a differenti lunghezze d'onda.[1] Gli anelli coronali si ritrovano sia nelle regioni attive, che in quelle quiete della superficie solare. Le prime occupano un'area molto ristretta sulla superficie solare, ma producono la gran parte dell'attività solare e sono spesso teatro di flare e eruzioni di massa solare, dovuti all'intenso campo magnetico lì presente. Le regioni attive producono l'82% dell'energia termica coronale I buchi coronali sono linee di campo aperte situate in genere attorno alle regioni polari del Sole e sono conosciute per essere la sorgente del veloce vento solare. Il resto della superficie solare è formato dalle regioni quiete. La fase quieta del Sole, sebbene sia meno attiva delle regioni attive, è la sede di numerosi processi minori come punti di brillamento, nanoflare ed espulsioni. Come regola generale, il Sole in quiete esiste in regioni di strutture magnetiche chiuse, mentre le regioni attive sono sorgenti altamente dinamiche di eventi esplosivi. È importante notare che le osservazioni suggeriscono che l'intera corona sia elevatamente popolata da linee di campo magnetico aperte e chiuse. Una stretta linea di campo non costituisce comunque un anello coronale: il flusso chiuso dev'essere "saturato" con il plasma prima che possa essere chiamato "anello coronale". In questo modo diventa chiaro che gli anelli coronali sono una rarità sulla superficie solare, dato che la gran parte delle strutture a flusso sono "vuote". Ciò significa che il meccanismo che scalda la corona e proietta il plasma della cromosfera nel flusso magnetico chiuso è altamente localizzato. Il meccanismo della "saturazione" del plasma, dei flussi dinamici e del calore coronale non è stato ancora chiarito. Il processo (o i processi) dovrebbe essere stabile a sufficienza per continuare ad alimentare la corona col plasma cromosferico e potente a sufficienza per accelerare, e quindi riscaldare, il plasma da 6000 K a ben oltre il milione di kelvin oltre la breve distanza dalla cromosfera e la zona di transizione alla corona. Questa è proprio la ragione per cui gli anelli coronali sono oggetto di intensi studi. Sono ancorati alla fotosfera, alimentati dal plasma di cromosfera, si protraggono all'interno della zona di transizione e possiedono temperature elevatissime. L'idea che il "problema del calore coronale" sia soltanto a causa del meccanismo di riscaldamento coronale è un ragionamento ingannevole. Innanzitutto, il plasma che satura gli anelli proviene direttamente dalla cromosfera. Non ci sono meccanismi coronali conosciuti che possono comprimere il plasma coronale e alimentarlo sugli anelli coronali ad altitudini coronali. In secondo luogo, le osservazioni delle circolazioni coronali mirano ad una sorgente cromosferica del plasma, il quale è dunque di origine cromosferica; occorre tenerlo bene a mente quando si osservano i meccanismi di riscaldamento coronale. Si tratta di una "energizzazione cromosferica" e di un "fenomeno di riscaldamento coronale", probabilmente legato da un meccanismo comune. Notevoli passi sono stati compiuti in questo campo dai telescopi di terra come il Mauna Loa Solar Observatory (MLSO), sulle isole Hawaii, in particolare sulle osservazioni della corona tramite le eclissi, ma per eliminare l'effetto di disturbo causato dall'atmosfera terrestre, si è resa necessaria un'evoluzione della fisica solare. A partire dai brevi voli (7 minuti) dei razzi tra il 1946 ed il 1952, gli spettrografi misurarono le emissioni UV e Lyman-α del Sole. Osservazioni a Raggi X furono fatte a partire dal 1960 usando razzi. La missione inglese Skylark, del 1959-1978. Sebbene conclusa con successo, le missioni furono molto limitate in termini di tempo e costi. Durante il periodo tra il 1962 e il 1975, le serie di satelliti NASA Orbiting Solar Observatory (da OSO-1 a OSO-8) riuscirono ad estendere le osservazioni tentate in precedenza alle isole Hawaii. Nel 1973, fu lanciato Skylab, che iniziò una nuova campagna di osservazioni a varie lunghezze d'onda che anticiparono le osservazioni successive.[6] Questa missione fu ultimata dopo un anno e fu sostituita dalla Solar Maximu Mission, che divenne il primo osservatorio ad osservare un gran numero di cicli solari (dal 1980 al 1989. Dal 1991 al 2001 fu operativa la missione giapponese Yohkoh, partita dalla base Kagoshima Space Centre; essa rivoluzionò l'osservazione a raggi X e Gamma sotto molti punti di vista: orbitando su una traiettoria ellittica attorno alla Terra, osservò le emissioni dei fenomeni solari, come i flare. Il passo successivo fu il lancio del Solar and Helioscopic Observatory, meglio noto come SOHO, nel dicembre del 1995 da Cape canaveral Air Force Station in Florida, negli Stati Uniti. La durata dell'operazione, inizialmente prevista in soli due anni, fu estesa fino al marzo del 2007, grazie al grandioso successo ottenuto dalla sonda; in questo lasso di tempo osservò ben 11 cicli solari completi. La sua orbita, tuttora stabile, fa sì che la sonda SOHO transiti di fronte al Sole ad una distanza di circa 1,5 milioni di chilometri dalla Terra. SOHO fu gestita da scienziati dell'European Space Agency (ESA) e dalla NASA. Tra gli strumenti di bordo vanno menzionati uno spettrometro coronale, un telescopio sensibile ai raggi UV e vari strumenti di misura dei raggi UV. Il TRACE, Transition Region And Coronal Explorer fu lanciato nel 1998 dalla Vandenberg Air Force Base come parte di un progetto NASA; si trattava di un piccolo strumento orbitante di 30x160 cm, un telescopio Cassegrain da 8,66 m di lunghezza focale con un sensore CCD da 1200x1200px. Il momento del lancio fu sincronizzato con la fase di massima intensità del ciclo solare. La sonda catturò immagini molto dettagliate della struttura coronale, mentre SOHO catturava immagini complessive a bassa risoluzione del Sole. Questa campagna di esplorazione dimostrò l'abilità dell'osservatorio di tracciare l'evoluzione degli stadi di attività degli anelli coronali. Tutte le missioni sopra citate hanno avuto grande successo nell'osservazione dei forti flussi di plasma e dei processi altamente dinamici degli anelli coronali. Ad esempio, le osservazioni del SUMER suggeriscono una velocità di flusso tra i 5 e i 16 km s−1 sul disco solare; altre osservazioni addirittura suggeriscono valori dai 15 ai 40 km s−1[8][9] Altissime velocità sono state rilevate anche dallo spettrometro a bordo della Solar Maximum Mission, dove il plasma si è osservato viaggiasse alla velocità di ben 40 - 60 km s−1.

Espulsioni di massa coronali

Un'espulsione di massa coronale (CME, acronimo dell'inglese coronal mass ejection) è una espulsione di materiale dalla corona solare, osservata con un coronografo in luce bianca. Il materiale espulso, sotto forma di plasma, è costituito principalmente da elettroni e protoni (oltre a piccole quantità di elementi più pesanti come elio, ossigeno e ferro) e viene trascinato dal campo magnetico della corona. Quando questa nube raggiunge la Terra (in questo caso viene chiamata ICME, CME interplanetaria) può disturbare la sua magnetosfera comprimendola nella regione illuminata dal Sole ed espandendola nella regione non illuminata. Quando avviene la riconnessione della magnetosfera nella zona notturna, si generano migliaia di miliardi di watt di potenza diretti verso l'atmosfera terrestre superiore, che provocano aurore particolarmente intense (dette anche Luci del Nord nell'emisfero boreale e Luci del Sud nell'emisfero australe). Le espulsioni di massa della corona assieme ai brillamenti possono disturbare le trasmissioni radio, creare interruzioni di energia, danneggiare i satelliti e le linee di trasmissione elettriche. La più grande perturbazione geomagnetica venne misurata da Kew Gardens e coincise con la prima osservazione senza i moderni strumenti di un brillamento nel 1859 da parte di Richard Christopher Carrington. Le osservazioni hanno messo in luce come i getti coronali appaiono sia in rotazione sia in moto rettilineo rispetto alla superficie solare. Nel 2011 un gruppo di ricerca dell'Università di Warwick è arrivato a una conclusione sorprendente, mettendo in luce analogie tra questi comportamenti di dinamica solare e la formazione delle nubi sul pianeta Terra. Sul Sole, i getti derivati da esplosioni e rimescolamenti di massa nella corona, sono noti col nome di CME (getti di massa coronali). Il gruppo inglese ha utilizzato dati e immagini ottenuti tramite l'esperimento Atmospheric Imaging Assembly (AIA) presso il Solar Dynamics Observatory (SDO) della NASA. In particolare AIA e SDO hanno fornito informazioni delle CME in formazione e in evoluzione nell'ultravioletto estremo, una regione della radiazione che non era mai stata esplorata precedentemente. Il gruppo di scienziati ha potuto così rilevare delle profonde analogie tra le CME e le instabilità tipiche della formazione di nubi o della produzione di onde nei fluidi, meglio note come instabilità di Kelvin-Helmholt (caratteristiche di due fluidi che si muovono uno su l'altro a velocità diverse, ad esempio nell'interfaccia acqua/aria, per quel che riguarda le instabilità che si generano nelle onde marine).

I brillamenti

Il brillamento solare o anche eruzione solare o stellare in astronomia è una violenta eruzione di materia che esplode dalla fotosfera di una stella, sprigionando una energia equivalente a varie decine di milioni di bombe atomiche. È causato da un improvviso rilascio di energia in occasione di un fenomeno di riconnessione delle linee del campo magnetico. I brillamenti delle stelle creano delle spettacolari protuberanze solari ed emettono fasci di vento solare energetico; in particolare la radiazione emessa da questi fenomeni nel Sole può rappresentare un pericolo per le navi spaziali al di fuori della magnetosfera terrestre, e che interferisce con le comunicazioni radio sulla Terra. I brillamenti sono spesso associati alle macchie solari e sono probabilmente causati dal rilascio di energia in occasione del fenomeno di riconnessione delle linee di campo magnetico. Questi fenomeni furono osservati per la prima volta nel 1859 dall'astronomo britannico Richard Christopher Carrington, e recentemente sono anche stati osservati su varie altre stelle. La frequenza dei brillamenti varia: da molti al giorno quando il Sole è particolarmente "attivo", a circa uno alla settimana quando invece è "quieto". Essi impiegano molte ore o anche giorni per "caricarsi", ma l'eruzione solare vera e propria impiega pochi minuti per rilasciare la sua energia. Le onde d'urto risultanti viaggiano lateralmente attraverso la fotosfera e verso l'alto attraverso la cromosfera e la corona, a velocità dell'ordine di 5 000 000 chilometri all'ora (ovvero 1 389 km/s, contro i circa 300 000 km/s della velocità della luce).  I brillamenti solari sono classificati in cinque classi di potenza a seconda della loro luminosità nei raggi X, misurata a Terra in W/m2 e nella banda tra 0,1 e 0,8 nm. In ordine crescente di potenza sono A, B, C, M e X. Ogni classe è dieci volte più potente di quella precedente, con la più potente X pari a un flusso di 10−4 W/m2, ed è ulteriormente suddivisa linearmente in 9 classi, numerate da 1 a 9. Per esempio un brillamento M5 è la metà di un brillamento M10, cioè X1, a sua volta la metà di un brillamento X2. Un brillamento X2 è pertanto 4 volte più potente di un M5 e 10 volte più potente di un evento M2. Oltre la classe X9, la più alta, la numerazione prosegue linearmente. Brillamenti di tale entità sono rari, come quelli del 16 agosto 1999 e del 2 aprile 2001, di potenza X20, cioè due volte più potenti di un X10, il fondoscala della classe X. Il record del più potente flare mai registrato è detenuto dall'evento del 4 novembre 2003, inizialmente stimato in X28 e successivamente corretto in X45. L'attività solare di routine si trova compresa tra le classi A e C, mentre la classe M è raggiunta solo in prossimità e durante il massimo del ciclo undecennale del Sole. I brillamenti X si concentrano quasi esclusivamente nei periodi di picco dell'attività e sono quindi relativamente rari, poche decine per ogni ciclo solare. Brillamenti come quello del 4 novembre 2003 sono ancora più rari, e avvengono solo poche volte per secolo, come l'evento di Carrington. La regione di macchie solari 486 che produsse il brillamento del 2003 era la più turbolenta mai osservata. Le particelle energetiche emesse da questi fenomeni solari sono le prime responsabili dell'aurora boreale e di quella australe. La navetta Hinode chiamata originariamente Solar B, è stata inviata nel settembre 2006 dalla Agenzia Spaziale Giapponese con lo scopo di osservare e studiare in maniera più dettagliata le eruzioni del sole. La missione si è concentrata soprattutto sulla osservazione dei potenti campi magnetici solari, individuati secondo la teoria più accreditata come la fonte del fenomeno. 


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