Hubble

Esplorare il cosmo è uno degli obbiettivi più difficili che l'umanità abbia mai conseguito. La nostra finestra sul cosmo è il telescopio spaziale Hubble. Ma di cosa si tratta? Cosa ha di speciale? Seguici su Eagle sera per scoprirlo.



Hubble

Lo Hubble Space Telescope (HST) è un telescopio spaziale che venne lanciato in orbita terrestre bassa nel 1990 ed è attualmente operativo. Nonostante esso non sia stato il primo telescopio spaziale, lo Hubble è uno dei più grandi e versatili, ed è ben conosciuto come strumento di ricerca di estrema importanza oltre che vessillo delle scienze astronomiche nell'immaginazione collettiva. L'HST è stato chiamato in onore dell'astronomo Edwin Hubble, ed è uno dei Grandi Osservatori della NASA, assieme al Compton Gamma Ray Observatory, il Chandra X-ray Observatory e il Telescopio spaziale Spitzer. Con uno specchio di 2,4 metri di diametro, i 5 strumenti principali dell'Hubble osservano nel vicino ultravioletto, nel visibile e nel vicino infrarosso. L'orbita esterna del telescopio, al di fuori dalla distorsione dell'atmosfera terrestre, gli permette di ottenere immagini a risoluzione estremamente elevata, con un disturbo contestuale sostanzialmente inferiore rispetto a quello che affligge i telescopi a Terra. L'Hubble ha registrato alcune delle più dettagliate immagini nella luce visibile, permettendo una visuale profonda nello spazio e nel tempo. Molte osservazioni dell'HST ebbero dei riscontri in astrofisica, per esempio determinando accuratamente il tasso di espansione dell'Universo. Lo Hubble venne costruito dalla NASA, con contributi da parte dell'ESA. Lo Space Telescope Science Institute (STScI) seleziona gli obiettivi del telescopio e processa i dati ottenuti, mentre il Goddard Space Flight Center controlla il veicolo. Già nel 1923 vennero proposti diversi telescopi spaziali. Lo Hubble venne finanziato negli anni settanta, con un lancio proposto nel 1983, ma che venne rimandato a causa di ritardi tecnici, i problemi di budget e il disastro del Challenger, nel 1986. Una volta lanciato nel 1990, venne scoperto un problema allo specchio primario, il quale era stato scavato erratamente, compromettendo le capacità del telescopio. Le ottiche vennero portate alla loro qualità prevista da una missione di servizio nel 1993. Hubble è l'unico telescopio ad esser stato progettato per essere modificato in orbita da astronauti. Dopo il lancio con lo Space Shuttle Discovery nel 1990, 5 missioni dello Space Shuttle ripararono, aggiornarono e rimpiazzarono sistemi sul telescopio, inclusi tutti e 5 i suoi strumenti principali. La quinta missione venne cancellata a seguito del disastro del Columbia nel 2003, ma dopo un'animata discussione pubblica, l'amministratore della NASA Mike Griffin approvò la quinta missione di servizio, completata nel 2009. Il telescopio è al 2020 operativo e secondo le stime potrà funzionare fino al 2030-2040. Il suo successore, il James Webb Space Telescope (JWST), dovrebbe essere lanciato- salvo ulteriori slittamenti- entro ottobre 2021. Nel 1923 Hermann Oberth, considerato un padre dell'ingegneria aerospaziale moderna, assieme a Robert H. Goddard e Konstantin Ciolkovski, pubblicò il Die Rakete zu den Planetenräumen (Il razzo nello spazio interplanetario), nel quale menzionava il trasporto di un telescopio dalla Terra in orbita attraverso un razzo. La storia del telescopio spaziale Hubble può essere fatta risalire a un'opera del 1946 dell'astronomo Lyman Spitzer, I vantaggi astronomici di un osservatorio extraterrestre[6]. In essa, egli discusse i 2 principali vantaggi che un osservatorio spaziale avrebbe rispetto ai telescopi a Terra. Innanzi tutto, la risoluzione angolare (la più piccola separazione alla quale gli oggetti possono essere chiaramente distinti) sarebbe limitata solo dalla diffrazione, mentre nell'atmosfera sarebbe influenzata dalla turbolenza che causa il pulsare delle stelle. A quell'epoca i telescopi a Terra erano limitati a risoluzioni di 0,5 - 1,0 arcosecondi, comparati alla risoluzione teorica di un sistema limitato dalla diffrazione di circa 0,05 arcosecondi, per un telescopio con uno specchio di 2,5 metri di diametro. Inoltre, un telescopio spaziale potrebbe osservare sia nella luce infrarossa che in quella ultravioletta, lunghezze d'onda fortemente assorbite dall'atmosfera. Spitzer passò la maggior parte della sua carriera premendo sullo sviluppo di un telescopio spaziale. Nel 1962, un rapporto della National Academy of Sciences raccomandò lo sviluppo di un telescopio spaziale e nel 1965 Spitzer venne messo a capo di una commissione per determinarne gli obiettivi scientifici.[7] L'astronomia basata nello spazio iniziò su scala veramente bassa durante la Seconda guerra mondiale, quando gli scienziati vi applicarono i propri sviluppi nell'ambito della tecnologia vettoriale. Il primo spettro agli ultravioletti del Sole venne ottenuto nel 1946, e la NASA lanciò nel 1962 l'Orbiting Solar Observatory (OSO), per ottenere spettri a raggi ultravioletti, ai raggi X, e ai raggi gamma. Un telescopio solare orbitante venne lanciato nel 1962 dal Regno Unito come parte del Programma Ariel, e nel 1966 la NASA promosse la missione Orbiting Astronomical Observatory (OAO). Le batterie dell'OAO-1 si scaricarono 3 giorni dopo il lancio, terminando la missione. Venne seguita dall'OAO-2, che condusse osservazioni nell'ultravioletto di stelle e galassie dal suo lancio nel 1968 fino al 1972, andando ben oltre la sua vita prevista di un anno. Le missioni OSO e OAO dimostrarono il ruolo importante che le osservazioni basate nello spazio potevano avere sull'astronomia, e nel 1968 la NASA sviluppò i primi piani aziendali per un telescopio spaziale riflettore con uno specchio di 3 metri di diametro, conosciuto provvisoriamente col nome di Large Orbiting Telescope o Large Space Telescope (LST), con un lancio previsto nel 1979. Questi piani enfatizzarono il bisogno di missioni di manutenzione per il telescopio per assicurarsi che un così costoso programma avesse una vita operativa lunga, e il concomitante sviluppo di piani per il riutilizzabile Space Shuttle indicò che la tecnologia per realizzare ciò sarebbe stata disponibile entro poco tempo. Il continuativo successo del programma OAO incoraggiò la NASA incrementando i forti consensi da parte della comunità astronomica, alimentata dal fatto che il LST sarebbe stato un grande obiettivo. Nel 1970 la NASA stabilì 2 commissioni, una per pianificare il lato ingegneristico del progetto del telescopio spaziale, e un'altra per determinare gli obiettivi scientifici della missione. Una volta stabiliti, il prossimo passo per la NASA sarebbe stato quello di ottenere fondi per gli strumenti, che sarebbero stati ben più costosi rispetto a quelli di un qualsiasi telescopio a Terra. Il Congresso degli Stati Uniti forzò tagli al budget per gli stadi di pianificazione, che a quel tempo consistevano in studi molto dettagliati per i potenziali strumenti e l'hardware per il telescopio. Nel 1974 le spese pubbliche spinsero il Congresso a tagliare tutti i fondi diretti verso il progetto dello stesso. In risposta a ciò, venne costituita un'associazione a livello nazionale di astronomi. Molti di essi incontrarono di persona senatori e deputati, e vennero organizzate campagne di invio di lettere su larga scala. La National Academy of Sciences pubblicò un report enfatizzando il bisogno di un telescopio spaziale, e finalmente il Senato accettò di fornire metà del budget inizialmente approvato dal Congresso. I problemi di finanziamenti portarono a una riduzione in scala del progetto, e il diametro dello specchio primario passò da 3 a 2,4 m, sia a causa dei tagli al budget, che per permettere una configurazione più compatta e funzionale dell'hardware del telescopio. Un precursore da 1,5 m inizialmente proposto per testare i sistemi da usare nel telescopio finale venne annullato, e per gli stessi motivi venne richiesta anche la partecipazione dell'Agenzia Spaziale Europea. L'ESA accettò di fornire finanziamenti, assieme a uno dei suoi strumenti di prima generazione, le celle solari che lo avrebbero alimentato, e uno staff per lavorare direttamente negli Stati Uniti, con in ritorno per gli astronomi europei di almeno il 15% delle osservazioni sul telescopio. Il Congresso infine approvò il finanziamento di 36 milioni di dollari nel 1978[13] e il disegno del LST iniziò seriamente, mirando a una data di lancio nel 1983. Nel 1983 il telescopio venne chiamato in onore di Edwin Hubble, il quale fece una delle più importanti scoperte del ventesimo secolo, quando scoprì che l'Universo è in espansione. Una volta ottenuto il via libera al progetto del telescopio spaziale, il lavoro sul programma venne diviso tra molte istituzioni. Il Marshall Space Flight Center (MSFC) aveva la responsabilità per il design, lo sviluppo e la costruzione del telescopio, mentre il Goddard Space Flight Center era incaricato del controllo degli strumenti scientifici e della missione. Il MSFC commissionò le ottiche costituienti l'Optical Telescope Assembly (OTA) e i Fine Guidance Sensors alla Perkin-Elmer. Lockheed venne incaricata di costruire e integrare il veicolo nel quale sarebbe stato ospitato il telescopio. Otticamente, l'HST è un riflettore Cassegrain con un disegno Ritchey-Chrétien, come per i più grandi telescopi professionali. Questo disegno, con due specchi iperbolici, è conosciuto per le sue buone performance fotografiche in una visuale a campo ampio, con lo svantaggio che gli specchi avrebbero avuto forme difficili da costruire. Lo specchio e i sistemi ottici del telescopio avrebbero determinato le sue performance finali, e per questo vennero disegnati con specifiche estremamente accurate. I telescopi ottici tipicamente hanno degli specchi levigati con un'accuratezza di circa un decimo della lunghezza d'onda della luce visibile, ma l'Hubble doveva essere usato per osservazioni dal visibile fino all'ultravioletto (con lunghezze d'onda inferiori) e doveva limitare la diffrazione, sfruttando tutti i vantaggi dell'ambiente spaziale. Per questo, il suo specchio avrebbe avuto bisogno di una levigazione a 10 nm, o circa 1/65 della lunghezza d'onda della luce rossa. L'OTA non era dunque disegnato per le migliori osservazioni nell'infrarosso, in quanto gli specchi sarebbero stati mantenuti a circa 15° C, limitando di fatto le performance dell'Hubble nell'infrarosso. La Perkin-Elmer pensò di usare macchinari di levigazione estremamente sofisticati costruiti apposta per portare lo specchio alla forma richiesta. Tuttavia, nel caso in cui la loro tecnologia di taglio fosse risultata problematica, la NASA assegnò un subcontratto alla Kodak per costruire uno specchio di riserva usando tecniche di levigazione tradizionali. (Anche il team di Kodak e Itek offrì di eseguire il lavoro di levigazione originale. L'offerta includeva inoltre controlli incrociati tra le due aziende sugli specchi realizzati cosa che avrebbe sicuramente evitato l'errore di levigazione causa dei problemi successivi.) Lo specchio della Kodak è attualmente in mostra permanente al National Air and Space Museum. Lo specchio Itek è ora usato nel telescopio di 2,4 m del Magdalena Ridge Observatory. La costruzione dello specchio Perkin-Elmer iniziò nel 1979 a partire da un banco di vetro ad ultrabassa espansione costruito dalla Corning. Per ridurre al minimo il peso dello specchio (818 kg) esso ha una struttura a panino: due piatti dello spessore di circa 25 mm che contengono una struttura di supporto a nido d'ape spessa circa 25,4 cm. La Perkin-Elmer simulò la microgravità supportando lo specchio da dietro usando 130 vie che esercitarono quantità variabili di forze. Ciò assicurò la forma finale, presumibilmente corretta e secondo specifiche, dello specchio. La levigazione dello stesso continuò fino al maggio 1981, quando la NASA chiese alla Perkin-Elmer le strutture di direzione, facendo slittare la lavorazione oltre la data prevista per il lancio e il budget. Per risparmiare denaro, la NASA arrestò i lavori sullo specchio di riserva e impostò la data di lancio del telescopio per ottobre 1984. Lo specchio venne ultimato a fine 1981; era stato lavato con 9100 litri di acqua calda e deionizzata, e successivamente venne rivestito di una placcatura da 65 nm di alluminio e da un'ulteriore, spessa 25 nm, in fluoruro di magnesio. Continuarono ad essere espressi dubbi riguardo alla competenza della Perkin-Elmer in un progetto di tale importanza, con l'aumentare dei costi e dell'allungarsi della timeline per produrre il resto dell'OTA. In risposta, la NASA descrisse la data di lancio come incerta e in continua evoluzione, spostandola ad aprile 1985. I piani della Perkin-Elmer continuarono a slittare ad un ritmo di circa un mese per trimestre e i ritardi si accumulavano giorno per giorno. La NASA quindi venne forzata a spostare la data di lancio da marzo a settembre 1986. A quel punto, il budget totale del progetto era salito a 1,175 miliardi di dollari. Il veicolo nel quale sono ospitati lo specchio e gli strumenti fu un'altra grande sfida ingegneristica. Sarebbe stato resistente ai passaggi dalla luce diretta del Sole all'oscurità dell'ombra terrestre, che avrebbero causato significativi sbalzi termici, mentre avrebbe mantenuto la sua forma stabile per consentire un puntamento del telescopio estremamente accurato. Un telo multi-strato di isolamento mantiene stabile la temperatura del telescopio e circonda un guscio in alluminio leggero nel quale si trovano lo specchio e gli strumenti. All'interno dello scudo, un telaio in fibra di carbonio mantiene la strumentazione rigidamente al suo posto. Siccome i composti della grafite sono igroscopici, c'era il rischio che il vapore acqueo assorbito dal telaio nella "camera bianca" della Lockheed evaporasse successivamente nel vuoto dello spazio: di conseguenza gli strumenti del telescopio si sarebbero ricoperti di ghiaccio. Per ridurre il rischio, venne eseguita una pulizia con azoto prima del lancio. Durante la costruzione del veicolo nel quale sarebbero stati ospitati il telescopio e gli strumenti, le cose andarono un po' più liscie rispetto all'OTA, nonostante la Lockheed fosse anch'essa affetta da slittamenti nel budget e nella pianificazione (nell'estate del 1985 la costruzione del veicolo era del 30% fuori budget con 3 mesi di ritardo nella tabella di marcia). Un report del MSFC affermò che Lockheed tendeva a fare affidamento sulle indicazioni della NASA piuttosto che agire di propria iniziativa. I primi 2 computer primari dell'HST furono un DF-224 a 1,25 MHz, costruito da Rockwell Autonetics, che conteneva 3 CPU ridondanti, e 2 NSSC-1 (NASA Standard Spacecraft Computer, Model 1), sviluppati da Westinghouse e dal GSFC utilizzando transistor a diodi logici (DTL). Un co-processore per il DF-224 venne aggiunto durante la missione di servizio 1 nel 1993; questo consisteva in 2 processori ridondanti basati sull'Intel 80386, con un co-processore matematico 80387.[32] Il DF-224 e il suo coprocessore 386 vennero sostituiti da un Intel 80486 da 25 MHz durante la missione di servizio 3A nel 1999. Inoltre, alcuni degli strumenti scientifici avevano propri sistemi di controllo basati su microprocessori. I componenti MATs (Multiple Access Transponder), MAT-1 e MAT-2, utilizzano microprocessori Hughes Aircraft CDP1802CD. La Wide Field and Planetary Camera (WFPC) ha anche utilizzato un RCA 1802. La WFPC-1 venne sostituita dalla WFPC-2 durante la missione di servizio 1 nel 1993,[35] la quale fu a sua volta sostituita dalla Wide Field Camera 3 durante la missione di servizio 4 nel 2009. Quando lanciato, l'HST trasportò 5 strumenti scientifici: la Wide Field and Planetary Camera (WF/PC), il Goddard High Resolution Spectrograph (GHRS), l'High Speed Photometer (HSP), la Faint Object Camera (FOC) e il Faint Object Spectrograph (FOS). La WF/PC era un dispositivo fotografico ad alta risoluzione che venne inteso per osservazioni ottiche. Venne costruita dal Jet Propulsion Laboratory e incorporava un set di 48 filtri isolando le linee spettrali di particolare interesse astrofisico. Lo strumento conteneva 8 sensori CCD divisi in 2 fotocamere, ciascuna con 4 CCD. Ogni CCD aveva una risoluzione di 0,64 megapixel. La "wide field camera" (WFC) copriva un grande campo angolare alle spese della risoluzione, mentre la "planetary camera" (PC) riprendeva immagini a una lunghezza focale più grande ed effettiva rispetto a quella dei chip della WF, conferendole maggiore potenza.[37] Il GHRS era uno spettrometro disegnato per operare nell'ultravioletto. Venne costruito dal Goddard Space Flight Center e poteva ottenere una risoluzione spettrale di 90000. La FOC e il FOS erano anch'essi ottimizzati per osservazioni nell'ultravioletto, e offrivano la maggiore risoluzione spaziale disponibile sull'Hubble. Questi 3 strumenti adottavano DigiCon a contatori di fotoni, migliori rispetto ai sensori CCD. La FOC venne costruita dall'ESA, mentre l'University of California, a San Diego, e Martin Marietta Corporation costruirono il FOS. Lo strumento finale era l'HSP, disegnato e costruito all'Università del Wisconsin-Madison. Venne ottimizzato per osservazioni nel visibile e nell'ultravioletto di stelle variabili e altri oggetti astronomici che variavano la loro luminosità. Era capace di condurre fino a 100000 misurazioni al secondo con un'accuratezza del 2% o maggiore.[39] Il sistema di guida dell'HST può anch'esso essere usato come uno strumento scientifico. I suoi 3 Fine Guidance Sensor (FGS) sono primariamente usati per mantenere il telescopio accuratamente puntato durante un'osservazione, ma possono anche eseguire astrometria estremamente accurata; vennero ottenute misurazioni con un'accuratezza di 0,0003 arcosecondi.  Lo Space Telescope Science Institute (STScI) è responsabile per le operazioni scientifiche del telescopio e dell'invio dei dati prodotti agli astronomi. Il STScI è operato dall'Association of Universities for Research in Astronomy (AURA) ed è fisicamente localizzato a Baltimora, nel Maryland, dentro all'Homewood campus della Johns Hopkins University, una delle 39 università statunitensi e dei 7 affiliati internazionali facenti parte del consorzio AURA. Il STScl è stato stabilito nel 1981 a seguito di una battaglia tra la NASA e la comunità scientifica; la NASA infatti voleva mantenere per sé la funzione di controllo, ma gli scienziati vollero basare il telescopio su un'armatura accademica. La Space Telescope European Coordinating Facility (ST-ECF), stabilita a Garching bei München, vicino a Monaco, nel 1984, offrì un supporto simile per gli astronomi europei fino al 2011, quando le sue attività vennero trasferite all'European Space Astronomy Centre. Un'operazione piuttosto complessa curata dal STScI è la pianificazione delle osservazioni del telescopio. L'Hubble è in orbita terrestre bassa per permettere le missioni di servizio, ma ciò significa che la maggior parte dei target astronomici vengono occultati dalla Terra per leggermente meno della metà di ogni orbita. Le osservazioni non possono avere luogo mentre il telescopio passa attraverso l'anomalia del sud atlantico a causa degli elevati livelli di radiazione, e ci sono anche considerevoli zone di esclusione attorno al Sole (precludendo osservazioni di Mercurio), la Luna e la Terra. L'angolo di evitazione del Sole è di circa 50° per evitare di illuminare qualsiasi parte dell'OTA. Evitare la Terra e la Luna mantiene la luminosità fuori dai FGS, e mantiene la luce sparpagliata lontano dall'ingresso negli strumenti. Se i FGS fossero spenti, tuttavia, la Luna e la Terra potrebbero essere osservate. Osservazioni del nostro pianeta vennero usate all'inizio del programma per generare campi piatti per lo strumento WF/PC. C'è anche una zona di visualizzazione continua (CVZ), approssimativamente a 90° rispetto al piano orbitale dell'Hubble, nel quale i target non vengono occultati per lunghi periodi. A causa della precessione dell'orbita, la locazione del CVZ si muove lentamente in periodi di 8 settimane. A causa della presenza costante della Terra in 30° del CVZ, la luminosità diffusa potrebbe essere elevata per lunghi periodi. L'Hubble orbita nell'atmosfera superiore ad un'altitudine di approssimativamente 547 km e un'inclinazione di 28,5°. La posizione della sua orbita cambia nel tempo in modo non prevedibile. La densità dell'atmosfera superiore varia a seconda di molti fattori, e ciò significa che una posizione prevista dell'Hubble in 6 settimane può avere un errore di massimo 4000 km. Le pianificazioni delle osservazioni sono tipicamente finalizzate solo alcuni giorni prima, dato che un periodo di tempo maggiore potrebbe portare all'inosservabilità dei target previsti. Il supporto ingegneristico per l'HST è fornito dalla NASA, il cui personale è al Goddard Space Flight Center di Greenbelt, in Maryland, 48 km a sud del STScI. Le operazioni dell'Hubble sono monitorate 24 ore al giorno dai 4 team di volo che formano il Flight Operations Team. A inizio 1986, la data di lancio pianificata per quell'ottobre venne giudicata fattibile, ma il disastro dello Space Shuttle Challenger portò a una battuta d'arresto del programma spaziale americano, bloccando a terra gli Space Shuttle e forzando lo spostamento del lancio dell'Hubble per diversi anni. Si dovette tenere il telescopio in una camera bianca, acceso e pulito con azoto, fino a quando non si poté stabilire una nuova pianificazione. Questa costosa situazione (circa 6 milioni di dollari al mese) spinse l'aumento dei costi complessivi del progetto. Tuttavia, questo ritardo diede tempo agli ingegneri per eseguire ulteriori test, cambiare una batteria eventualmente soggetta a errori, e apportare altri miglioramenti.[48] Inoltre, il software a terra per controllare l'Hubble non era pronto nel 1986, e infatti fu a malapena pronto per il lancio nel 1990.[49] Finalmente, grazie alla risurrezione dei voli dello Shuttle nel 1988, il lancio del telescopio venne programmato per il 1990. Il 24 aprile 1990, la missione STS-31 vide il lancio del Discovery con a bordo l'HST, che raggiunse l'orbita prevista con successo. Dal suo costo previsto di circa 400 milioni di dollari, il telescopio costò 4,7 miliardi di dollari al momento del suo lancio. I suoi costi cumulativi sono stimati a 10 miliardi di dollari al 2010, 20 anni dopo il lancio.[51] Dopo settimane dal lancio del telescopio, le immagini ottenute indicarono un serio problema nel sistema ottico. Nonostante le prime fotografie fossero apparse più chiare di quelle ottenute da telescopi a terra, l'Hubble non riuscì a ottenere la precisa focalizzazione desiderata e la migliore qualità fotografica, con risultati drasticamente inferiori al previsto. Le fotografie delle sorgenti puntate soffrivano di una diffusione su un raggio maggiore di un arcosecondo, anziché avere una funzione di diffusione del punto (PSF) concentrata entro un cerchio di 0,1 arcosecondi di diametro, come specificato dai criteri del design. Le analisi delle immagini diffuse mostrarono che la causa del problema risiedeva nello specchio primario che era stato levigato in maniera errata. Infatti, nonostante la qualità delle fotografie scattate, lo specchio era liscio per circa 10 nanometri, ma al perimetro era eccessivamente piatto per circa 2,2 micrometri. La differenza fu catastrofica, introducendo diverse aberrazioni sferiche, difetti nei quali la luce viene riflessa all'esterno del margine dello specchio, focalizzandola in un punto differente. L'effetto dell'imprecisione cadde sulle osservazioni scientifiche particolari; effettivamente il nucleo dell'aberrato PSF era sufficientemente liscio da permettere osservazioni in alta risoluzione di oggetti brillanti, e la spettroscopia dei target era affetta solamente da una perdita di sensibilità. Ma la perdita di luce nel grande alone fuori fuoco ridusse gravemente l'utilità del telescopio per oggetti deboli o a elevato contrasto. Ciò significava che quasi tutti i programmi cosmologici erano essenzialmente impossibili, poiché essi richiedevano l'osservazione di oggetti eccezionalmente deboli.[55] La NASA e il telescopio divennero oggetto di numerose burle, e il progetto venne popolarmente preso come un elefante bianco. Per esempio, nella commedia del 1991 The Naked Gun 2½: The Smell of Fear, l'Hubble era raffigurato col Titanic, l'Hindenburg, e l'Edsel. Ciò nonostante, durante i primi 3 anni della missione dell'Hubble, prima delle correzioni ottiche, il telescopio ottenne un gran numero di osservazioni produttive di target meno richiesti.[57] L'errore venne ben localizzato e stabilito, permettendo agli astronomi di compensarli parzialmente dello specchio attraverso sofisticate tecniche di elaborazione fotografica, come per esempio la deconvoluzione.[58] Per far fronte a tale problema fu istituita una commissione ad hoc presieduta da Lew Allen, direttore del Jet Propulsion Laboratory. La commissione Allen scoprì che il principale correttore nullo, un dispositivo di test utilizzato per ottenere uno specchio ben levigato non sferico, era stato assemblato male - in effetti una lente era fuori posizione di 1,3 mm. Durante le prime rettificazioni e levigazioni sullo specchio, Perkin-Elmer analizzò la sua superficie con due correttori nulli convenzionali. Tuttavia, per gli stadi finali della costruzione, passò ad un correttore nullo costruito appositamente, e disegnato esplicitamente per incontrare tolleranze estremamente piccole. L'assemblaggio scorretto del dispositivo comportò una lavorazione veramente precisa dello specchio, ma con la forma errata. Ci fu anche un errore di valutazione: infatti, per ragioni tecniche alcuni dei test finali necessitavano l'uso di 2 correttori nulli convenzionali che riportarono correttamente un'aberrazione sferica, ma vennero dismessi in quanto considerati imprecisi. La commissione ha incolpato soprattutto la Perkin-Elmer. Le relazioni tra la NASA e la compagnia ottica erano state gravemente tese durante la costruzione del telescopio, a causa dei frequenti ritardi e aumenti dei costi. La Perkin-Elmer non revisionò o supervisionò adeguatamente la costruzione dello specchio, non assegnò i migliori scienziati ottici nel progetto (come aveva fatto per il prototipo), e in particolare non coinvolse i designer ottici nella costruzione e verifica dello specchio. Mentre la commissione criticò pesantemente la Perkin-Elmer per questi fallimenti gestionali, la NASA l'ha anche criticata per carenze sul controllo della qualità, affidandosi totalmente ad un unico strumento. La realizzazione del telescopio aveva sempre previsto missioni di servizio, e gli astronomi avevano immediatamente iniziato ad analizzare potenziali soluzioni al problema che potevano essere applicate alla prima missione di servizio, prevista nel 1993. Mentre Kodak aveva costruito uno specchio di backup per l'Hubble, esso sarebbe stato impossibile da sostituire in orbita e riportare il telescopio a Terra per una sostituzione sarebbe stato antieconomico. Invece, il fatto che lo specchio fosse stato levigato così precisamente nella forma errata portò al disegno di nuovi componenti ottici con esattamente lo stesso errore ma nel senso opposto, da aggiungere al telescopio nella SM1, correggendo l'aberrazione sferica. Il primo passo era la caratterizzazione precisa dell'errore nello specchio primario. Lavorando sulle immagini delle sorgenti puntate, gli astronomi determinarono che la costante conica dello specchio era di −1,01390±0,0002, anziché -1,00230.[64][65] Lo stesso numero venne ottenuto analizzando il correttore nullo usato da Perkin-Elmer per ispezionare lo specchio, analizzando anche interferogrammi ottenuti durante il testing a terra. A causa del modo con cui gli strumenti dell'HST vennero disegnati, 2 differenti set di correttori erano richiesti. Il disegno della Wide Field and Planetary Camera 2, pianificato per rimpiazzare l'esistente WF/PC, includeva specchi di deviazione per inviare la luce direttamente nei 4 CCD costituendo le sue 2 fotocamere. Un errore inverso avrebbe cancellato completamente l'aberrazione dell'OTA. Tuttavia, gli altri strumenti mancarono di superfici intermedie che potessero risolvere in tal modo il problema, dunque era richiesto un dispositivo di correzione esterno.[67] Il Corrective Optics Space Telescope Axial Replacement (COSTAR) era disegnato per correggere l'aberrazione sferica da FOC, FOS e GHRS. Consisteva in 2 specchi nel cammino della luce con un blocco per correggere l'aberrazione. Per inserire il sistema COSTAR nel telescopio, uno degli altri strumenti doveva essere rimosso, e gli astronomi scelsero di sacrificare l'High Speed Photometer. Nel 2002 tutti gli strumenti che originariamente necessitavano del COSTAR vennero sostituiti da altri con ottiche correttive proprie, portando alla rimozione e trasporto a terra del COSTAR nel 2009, per essere esibito al National Air and Space Museum. L'area precedentemente occupata dal COSTAR è ora occupata dal Cosmic Origins Spectrograph. L'Hubble venne disegnato per essere sottoposto ad aggiornamenti regolari. La NASA fece volare 5 missioni di servizio, numerate SM 1, 2, 3A, 3B e 4, attraverso gli Space Shuttle, la cui prima avvenne del dicembre del 1993 e l'ultima nel maggio 2009. Le missioni di servizio furono operazioni delicate che iniziavano con manovre di intercettazione del telescopio in orbita per poi fermarlo con l'aiuto del braccio meccanico dello Shuttle. I lavori venivano eseguiti attraverso diverse EVA lunghe 4 o 5 giorni. Dopo un'ispezione visiva del telescopio, gli astronauti conducevano riparazioni e sostituzioni di componenti rotti o degradati, aggiornavano l'equipaggiamento e installavano nuovi strumenti. Una volta completato il lavoro, il telescopio veniva ridispiegato, tipicamente dopo averlo spostato in un'orbita più alta per reindirizzare il decadimento orbitale causato dall'attrito atmosferico. Dopo la scoperta del problema allo specchio primario, la prima missione di servizio dell'Hubble assunse una grande importanza, facendo lavorare duramente gli astronauti per installare le ottiche correttive. I 7 della missione vennero addestrati con un centinaio di strumenti specializzati. La Missione di servizio 1 volò a bordo dell'Endeavour nel dicembre del 1993, e coinvolse diversi strumenti ed equipaggiamenti da installare in oltre 10 giorni. Fondamentalmente, l'High Speed Photometer venne sostituito dalle ottiche correttive COSTAR, e la WFPC venne rimpiazzata dalla Wide Field and Planetary Camera 2 (WFPC2) con un sistema correttivo preintegrato. Vennero sostituiti anche i pannelli solari con relative elettroniche di guida, assieme ai 4 giroscopi del sistema di puntamento, le 2 unità di controllo elettriche e 2 magnetometri. I computer di bordo vennero aggiornati con coprocessori supplementari, e l'orbita dell'HST venne rialzata. Il 13 gennaio 1994 la NASA dichiarò che la missione era stata un pieno successo divulgando le prime immagini, più chiare rispetto al passato. La missione è stata una delle più complesse mai fatte fino ad allora, coinvolgendo 5 lunghe EVA. Il suo successo fu un vantaggio per la NASA, ma anche per gli astronomi che avrebbero finalmente avuto a disposizione un telescopio spaziale più capace. La Missione di servizio 2, volata dal Discovery nel febbraio 1997, sostituì il GHRS e il FOS con lo Space Telescope Imaging Spectrograph (STIS) e il Near Infrared Camera and Multi-Object Spectrometer (NICMOS), oltre ad aver rimpiazzato il registratore tecnico-scientifico a nastro con uno nuovo a stato solido, e ad aver riparato l'isolamento termico. Il NICMOS conteneva un radiatore ad azoto solido per ridurre il rumore termico proveniente dallo strumento, ma dopo poco un'espansione termica imprevista portò al suo contatto con un deflettore ottico, che portò a una riduzione della sua vita prevista da 4,5 a 2 anni. La Missione di servizio 3A, portata in orbita dal Discovery, ebbe luogo nel dicembre 1999, ed era stata separata dalla Missione di servizio 3 dopo che 3 dei 6 giroscopi a bordo si ruppero. Un quarto giroscopio cessò di funzionare alcune settimane dopo la missione, rendendo il telescopio incapace di eseguire osservazioni scientifiche. La missione sostituì tutti i giroscopi, assieme a un Fine Guidance Sensor e al computer, installando anche un kit di miglioramento della tensione e della temperatura (VIK) per evitare un sovraccarico delle batterie, e sostituendo i banchi di isolamento termico. Il nuovo computer era 20 volte più rapido, con una memoria 6 volte più grande. Aumentò il throughput trasferendo alcune operazioni computazionali dalla terra al veicolo risparmiando denaro e con l'utilizzo di linguaggi di programmazione moderni. La Missione di servizio 3B, eseguita dal Columbia nel marzo del 2002, vide l'installazione di un nuovo strumento, la Advanced Camera for Surveys (ACS), sostituendo la FOC; di tutti gli strumenti originariamente lanciati con l'Hubble rimasero solamente i Fine Guidance Sensors, usati solo per astrometria. Ciò significava che il COSTAR non era più necessario, dato che tutti gli strumenti ora integravano ottiche correttive proprie per correggere l'aberrazione sferica. La missione fece inoltre tornare operativo il NICMOS installando un raffreddatore a ciclo chiuso e rimpiazzando per la seconda volta i pannelli solari con dei nuovi, fornendo il 30% in più di energia. I piani prevedevano una missione di servizio per l'Hubble nel febbraio 2005, tuttavia a seguito del disastro del Columbia nel 2003, nel quale l'orbiter venne disintegrato al rientro atmosferico, ci furono gravi ripercussioni sul programma del telescopio spaziale Hubble. L'amministratore della NASA Sean O'Keefe decise che tutte le successive missioni dello Space Shuttle avrebbero raggiunto la ISS in caso di problemi in volo. Siccome nessuno Shuttle era capace di raggiungere sia l'HST che la ISS durante la stessa missione, tutte le missioni di servizio con equipaggio vennero cancellate. Questa decisione venne assaltata da numerosi astronomi, i quali credevano nell'Hubble come un telescopio per cui valesse la pena rischiare delle vite umane.[80] Il successore scientifico dell'HST, il James Webb Space Telescope (JWST), sarebbe stato pronto non prima del 2018. Di conseguenza, la maggiore preoccupazione di molti astronomi era la possibilità di un vuoto nelle osservazioni nella transizione generazionale del JWST, a seguito del grande impatto scientifico che l'Hubble aveva provocato. Il fatto che il James Webb non sarebbe stato allocato in orbita terrestre bassa non lo avrebbe reso nemmeno facilmente aggiornabile o riparabile in caso di un fallimento iniziale, e ciò avrebbe reso questo problema ancor più serio. D'altra parte, molti astronomi credettero che se per riparare l'Hubble fossero stati necessari fondi provenienti dal budget del JWST, allora la SM4 non avrebbe dovuto prendere luogo. Nel gennaio del 2004, O'Keefe disse che avrebbe rivalutato la sua decisione di cancellare l'ultima missione di servizio all'HST a causa delle proteste e delle richieste anche da parte del Congresso. La National Academy of Sciences convocò un pannello ufficiale nel quale raccomandò a luglio 2004 di preservare l'HST da rischi apparenti. Il suo report sollecitò la NASA a non prendere azioni che precluderebbero una missione di servizio dello Space Shuttle verso il telescopio spaziale Hubble.[82] Nell'agosto 2004 O'Keefe domandò al Goddard Space Flight Center di preparare una proposta di missione di servizio robotica dettagliata. Questi piani vennero successivamente cancellati, e la missione robotica venne giudicata non fattibile. A fine 2004, diversi membri del Congresso, guidati dal senatore Barbara Mikulski, presero le lamentele pubbliche e portarono a una guerra con un gran supporto (incluse migliaia di lettere di bambini provenienti da tutte le scuole della nazione) per far riconsiderare all'Amministrazione Bush e alla NASA la decisione di cancellare piani per una missione di recupero dell'Hubble. La nomina nell'aprile 2005 di un nuovo amministratore della NASA con un grado ingegneristico maggiore rispetto al precedente, Michael D. Griffin, cambiò la situazione, dato che Griffin dichiarò che avrebbe considerato una missione di servizio con equipaggio. Dopo poco il suo appunto, Griffin autorizzò il Goddard a procedere con i preparativi di un volo di manutenzione dell'Hubble, affermando che avrebbe preso la decisione finale dopo i successivi 2 voli dello Shuttle. Nell'ottobre del 2006 Griffin diede il via libera finale, e la missione da 11 giorni dell'Atlantis venne stabilita nell'ottobre 2008. L'unità principale di gestione dei dati sull'Hubble si danneggiò nel settembre di quell'anno, fermando la trasmissione dei dati scientifici fino a che non venne attivata l'unità di backup, il 25 ottobre 2008. Siccome il fallimento di questa avrebbe reso l'HST inutile, la missione di servizio venne spostata a quando sarebbe stato disponibile un ricambio per l'unità primaria. La Missione di servizio 4, tenuta dall'Atlantis nel maggio 2009, fu l'ultima missione dello Shuttle ad essere impegnata nell'HST. La SM4 installò un rimpiazzo per l'unità di gestione dei dati, riparò i sistemi dell'ACS e dello STIS, installò nuove batterie al nichel-idrogeno e sostituì altri componenti. La SM4 installò anche 2 nuovi strumenti di osservazione - la Wide Field Camera 3 (WFC3) e il Cosmic Origins Spectrograph (COS); venne montato anche un Soft Capture and Rendezvous System, che permetterà future operazioni di rendezvous, cattura e smaltimento sicuro dell'Hubble in caso di missione robotica o con equipaggio. Eccetto il canale ad alta risoluzione dell'ACS, il quale non era riparabile, i lavori eseguiti durante la SM4 permisero al telescopio di tornare ad essere pienamente funzionale, continuando tutt'oggi ad essere pienamente operativo.[94] Dall'avvio del programma, l'Hubble lavorò in cooperazione con altri osservatori, come il Chandra X-ray Observatory e il Very Large Telescope, conduncendo grandi osservazioni. Anche se l'HST è alla fine della sua missione estesa, sono stati programmati ancora molti progetti. Un esempio è il nascente programma Frontier Fields, ispirato dai risultati delle osservazioni profonde di Abell 1689. In una conferenza stampa risalente ad agosto 2013, il CANDELS venne definito il più grande progetto nella storia dell'Hubble, dato che l'investigazione mirava ad esplorare l'evoluzione galattica del primo Universo attraverso lo studio dei primi semi della struttura cosmica attuale, a meno di un miliardo di anni dopo il Big Bang. Il sito del CANDELS descrive gli obiettivi del progetto come segue: «Il Cosmic Assembly Near-IR Deep Extragalactic Legacy Survey è stato pensato per documentare il primo terzo dell'evoluzione delle galassie a z = 8 o 1,5 fotografando più di 250000 galassie lontane attraverso la WFC3 agli infrarossi e l'ACS. Troverà anche la prima galassia di tipo Ia SNe a z > 1,5. Sono state selezionate 5 regioni celesti principali; ciascuna ha già dei dati ottenuti in più spettri utilizzando lo Spitzer e altre attrezzature. Lo studio di 5 campi estremamente lontani mitigherà la variazione cosmica e migliorerà la resta statistica, completando il campionamento di galassie da 109 masse solari e z ~ 8.». Il programma, ufficialmente denominato "Hubble Deep Fields Initiative 2012" punta ad avanzare le conoscenze sulla formazione delle prime e più deboli galassie, studiando quelle fortemente spostate verso il rosso, in campi vuoti, con l'aiuto della diffusione gravitazionale.[97] Gli obiettivi del Frontier Fields sono:

  • rilevare galassie a z = 5-10 da 10 a 50 volte più deboli rispetto a qualsiasi altro oggetto conosciuto;
  • provare le attuali conoscenze sulle masse stellari e sulla formazione delle stelle appartenenti alle galassie di classe L;
  • fornire la prima caratterizzazione morfologica statisticamente significativa delle stelle appartenenti a galassie a z > 5;
  • trovare galassie a z > 8 sufficientemente lontane da ammassi per capire la loro struttura interna, e/o risaltate dalla diffusione di ammassi per un seguito spettroscopico. 

Chiunque può impiegare tempo sul telescopio; non ci sono restrizioni di nazionalità o accademia, ma i fondi per le analisi sono disponibili solo grazie alle istituzioni statunitensi. La competizione per il telescopio è intensa, dato che solo un quinto delle proposte viene poi accettato. Le proposte sono a cadenza annuale, allocando tempo ad ogni ciclo, ciascuno di circa un anno. Le proposte sono divise in diverse categorie; le osservazioni generali sono le più comuni, dato che coprono le osservazioni di routine. Nelle osservazioni "snapshot", invece, i target occupano 45 minuti del tempo del telescopio, incluse le procedure di preparazione. Queste osservazioni vengono fatte per coprire i vuoti nella pianificazione del telescopio che non potrebbero essere coperti da programmi generali. Gli astronomi possono anche fare proposte di target opportunistici, per le quali le osservazioni vengono pianificate durante eventi transitori in cui altri target sono oscurati. Inoltre, fino al 10% del tempo sul telescopio è a discrezione del direttore (DD). Gli astronomi possono usare il DD in ogni momento dell'anno, dopo la sua assegnazione per lo studio di fenomeni transitori inaspettati come la supernovae. Altri usi del DD includono osservazioni nell'Hubble Deep Field e Ultra Deep Field nel primo dei 4 cicli del tempo del telescopio; queste ultime sono eseguite da astronomi amatori. Il primo direttore dell'STScI, Riccardo Giacconi, annunciò nel 1986 l'intenzione di impiegare una parte del DD in osservazioni amatoriali. Pur essendo in realtà solo poche ore a orbita, l'annuncio sollevò grande interesse, portando alla formulazione di molte proposte, assegnando il tempo a quelle con merito scientifico, senza copiare le proposte fatte dai professionisti, e che richiedevano le capacità offerte al momento dal telescopio. Tra il 1990 e il 1997 vennero selezionate 13 proposte. La prima della serie, chiamata "A Hubble Space Telescope Study of Posteclipse Brightening and Albedo Changes on Io", venne pubblicata sull'Icarus, un giornale dedicato a studi nel Sistema solare. Assieme a esso venne pubblicato anche un altro studio. Successivamente, le restrizioni al budget del STScI resero impossibile il supporto del lavoro degli astronomi amatoriali, così il programma venne sospeso, nel 1997. Nei primi anni ottanta, la NASA e l'STScI istituirono 4 pannelli per discutere i progetti chiave, scientificamente importanti e molto dispendiosi, dell'Hubble; il telescopio infatti avrebbe speso molto tempo su ciascuno di essi, e la loro pianificazione avvenne durante la prima fase della missione dell'HST, onde evitare il mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati a causa di malfunzionamenti che avrebbero portato a una conclusione anticipata della missione. I pannelli identificarono 3 obiettivi da raggiungere:

  • lo studio del mezzo intergalattico medio, per determinarne le proprietà, e del contenuto gassoso delle galassie e degli ammassi costituiti da esse, esaminando le linee di assorbimento dei quasar;[109]
  • lo studio approfondito del mezzo intergalattico impiegando solamente la Wide Field Camera;[110]
  • il calcolo della costante di Hubble riducendo al 10% l'errore relativo, sia esterno che interno, nella calibrazione della scala delle distanze.

L'Hubble aiutò a risolvere diversi problemi astronomici, ma per spiegare alcune osservazioni fu necessaria la formulazione di nuove teorie. Tra i target della sua missione primaria era previsto il calcolo della distanza tra le variabili cefeidi, più accuratamente rispetto al passato; da ciò derivò uno scontro con il valore della costante di Hubble, ovvero il rapporto con cui l'universo si sta espandendo, legato alla sua età. Prima del lancio del telescopio, questo valore era affetto da un errore tipico del 50%, ma grazie alle misurazioni compiute dall'Hubble sulle variabili cefeidi nell'ammasso della Vergine e di altri distanti ammassi galattici si arrivò al calcolo di un valore con errore relativo del ±10%, un valore ben più preciso rispetto al passato. Da ciò derivò che l'età dell'Universo, precedentemente stimata tra 10 e 20 miliardi di anni, si poté correggere a circa 13,7 miliardi di anni. Pur avendo raffinato l'età dell'universo, l'Hubble mise in dubbio le teorie sul suo futuro. Gli astronomi dell'High-z Supernova Search Team e del Supernova Cosmology Project, osservando supernovae lontane attraverso telescopi a terra congiunti all'HST, scoprirono l'evidenza che, anziché decelerare sotto l'influenza della gravità, l'espansione dell'Universo stava accelerando. Tre dei membri di questi gruppi ricevettero in seguito il premio Nobel per la loro scoperta. La causa di ciò rimane tuttora sconosciuta; la spiegazione più accreditata prevede l'esistenza dell'energia oscura. Gli spettri e le immagini ad alta risoluzione forniti dall'Hubble produssero anche misurazioni più precise riguardo al numero di buchi neri presenti nei centri galattici vicini. Dopo diverse teorie e osservazioni tra gli anni sessanta e anni ottanta del Novecento, i lavori seguiti dal telescopio mostrarono una certa diffusione dei buchi neri nei centri di tutte le galassie. Inoltre l'HST stabilì l'esistenza di un rapporto tra le masse nucleari dei buchi neri e le proprietà delle galassie, nelle quali sono ospitati. La collisione della cometa Shoemaker-Levy 9 con Giove nel 1994 avvenne fortunatamente poche settimane dopo la Missione di servizio 1, grazie alla quale vennero ripristinate le performance ottiche dell'Hubble. Le sue immagini del pianeta furono ben più chiare di quelle ottenute dal passaggio del Voyager 2 nel 1979, e furono cruciali per lo studio della dinamica collisionale di una cometa con Giove, un evento che si ripete come minimo una volta al secolo. Altre scoperte fatte grazie ai dati dell'Hubble includono i dischi protoplanetari nella nebulosa di Orione, la presenza dei pianeti extrasolari, e il comportamento dei misteriosi lampi gamma (GRB). Inoltre l'HST venne usato per studiare gli oggetti ai limiti del Sistema solare, inclusi Plutone ed Eris, pianeti nani della fascia di Kuiper. L'Hubble Deep Field, Hubble Ultra-Deep Field e l'Hubble Extreme Deep Field costituirono due finestre sull'Universo, uniche nel loro genere; sfruttando la sensibilità nel visibile dell'HST si ottennero immagini di piccoli campioni di cielo, i più profondi mai ottenuti in questa lunghezza d'onda. I campi includevano galassie a miliardi di anni luce, e generarono una gran quantità di dati scientifici sull'inizio dell'Universo. La Wide Field Camera 3 migliorò la veduta di questi campi nell'infrarosso e nell'ultravioletto, permettendo la scoperta di alcuni degli oggetti più distanti mai osservati, come MACS0647-JD. Nel febbraio del 2006 l'Hubble scoprì SCP 06F6, un oggetto astronomico non classificato, con magnitudine massima 21; tra giugno e luglio 2012 venne scoperta una quinta luna di Plutone. Nel marzo 2015, venne annunciato che misurazioni sulle aurore di Ganimede avevano rivelato l presenza di un oceano sotto la superficie del satellite mediceo. Grazie all'Hubble si capì che una gran quantità di acqua salata era capace di sopprimere l'interazione tra il campo magnetico gioviano e quello di Ganimede. L'oceano ha una profondità stimata di 100 km, intrappolato sotto una crosta ghiacciata di 150 km. L'11 dicembre 2015 l'Hubble catturò l'immagine della prima riapparizione programmata di una supernova, soprannominata Refsdal; questa venne calcolata attraverso la deformazione della sua luce, causata dalla gravità esercitata da un vicino ammasso galattico. Refsdal era stata precedentemente osservata nel novembre del 2014 dietro l'ammasso galattico MACS J1149.5+2223 come parte del programma Frontier Fields. La supernova venne immortalata in 4 immagini separate all'interno di un arrangiamento, noto come la croce di Einstein. La luce proveniente dall'ammasso aveva impiegato circa 5 miliardi di anni per raggiungere la Terra, mentre la supernova esplose 10 miliardi di anni fa. Il rilevamento di Refsdal fu utile a testare i nuovi modelli di distribuzione della massa, specialmente oscura, dentro agli ammassi galattici. Il 3 marzo 2016 venne annunciata la scoperta della galassia più lontana dalla Terra mai rilevata: GN-z11. Le osservazioni dell'Hubble ebbero luogo l'11 febbraio e il 3 aprile 2015, come parte dei programmi CANDELS e GOODS. L'Hubble, come dimostrato dai numerosi target misurati, ebbe un grande impatto sull'astronomia. Negli anni vennero pubblicati oltre 9000 report basati sui dati del telescopio spaziale, e ci furono molte altre apparizioni in varie conferenze. A differenza di un terzo di tutti i report astronomici, solo il 2% di quelli dell'HST non hanno citazioni. In media, un report precedente all'Hubble ha la metà delle fonti di quelle successive al lancio del telescopio, e al giorno d'oggi (2017) il 10% dei 200 report pubblicati ogni anno sono basati sui dati dell'HST. Nonostante l'aiuto dato dall'Hubble nella ricerca astronomica, i suoi costi finanziari furono molto ampi. Si stima che l'HST abbia generato 15 volte i dati ottenuti da un telescopio a Terra da 4 m, come, per esempio, il William Herschel Telescope, ma con un costo di costruzione e mantenimento maggiore di circa 100 volte. Scegliere tra l'impiego di un telescopio a Terra o uno spaziale è difficile. Prima dell'Hubble, diversi telescopi a Terra, attraverso tecniche specifiche, come l'interferometria, ottennero immagini ottiche e nell'infrarosso a risoluzione più elevata di quelle che l'Hubble avrebbe potuto scattare, ma avrebbe potuto osservare solo target 108 volte più luminosi di quelli più deboli osservabili dal telescopio spaziale. Per migliorare le capacità dei telescopi a Terra nella fotografia IR di oggetti deboli vennero sviluppate ottiche adattabili, ma la loro scelta era spesso messa da parte per un telescopio spaziale dati i particolari dettagli richiesti per rispondere a certe domande astronomiche. Nelle bande del visibile queste ottiche possono correggere solamente un campo ristretto, mentre l'HST è capace di scattare immagini ottiche ad alta risoluzione in un campo ampio. Infine, solo una piccola frazione degli oggetti astronomici è accessibile ai telescopi a terra, mentre l'Hubble può eseguire osservazioni ad alta risoluzione di qualsiasi porzione del cielo notturno, inclusi oggetti estremamente deboli. Assieme ai suoi risultati scientifici, l'Hubble ha anche apportato significativi contributi all'ingegneria aerospaziale e sulle performance di sistemi in orbita terrestre bassa: attraverso la sua lunga vita, la strumentazione e il ritorno di componenti a Terra fu possibile l'analisi delle prestazioni del telescopio. In particolare, l'Hubble contribuì allo studio del comportamento nel vuoto delle strutture in grafite composita, la contaminazione ottica proveniente dai gas residui e dalla manutenzione umana, i problemi elettrici e sensoriali dovuti alle radiazioni, e il comportamento a lungo termine dell'insolazione multi-strato. Inoltre venne scoperto che l'impiego di ossigeno pressurizzato per distribuire i fluidi sospesi nei giroscopi causava rotture per corrosione nelle condutture elettriche; per questo attualmente viene usato azoto pressurizzato nell'assemblaggio di giroscopi. I dati dell'Hubble venivano inizialmente archiviati sul veicolo, il quale era equipaggiato con dei vecchi registratori a nastro, che vennero sostituiti con attrezzature a stato solido durante le SM 2 e 3A. Circa 2 volte al giorno l'Hubble Space Telescope trasmette i dati raccolti a un satellite del Tracking and Data Relay Satellite System (TDRSS), che li trasmetterà a Terra con una delle 2 antenne ad alto guadagno da 18 m della White Sands Test Facility. Da qui vengono mandati al Telescope Operations Control Center del Goddard Space Flight Center, per poi finalmente raggiungere lo Space Telescope Science Institute per l'archiviazione. Ogni settimana, l'HST raccoglie circa 140 Gbit di dati. Tutte le immagini dell'Hubble sono in scala di grigi e/o monocromatiche, ma le fotocamere integrate possiedono diversi filtri, ciascuno sensibile a specifiche lunghezze d'onda. Per questo possono essere create immagini a colori, sovrapponendo immagini monocromatiche separate, ottenute con filtri diversi. Questo processo può però dare origine a immagini a falsi colori nei canali dell'infrarosso e ultravioletto, frequenze tipicamente renderizzate soprattutto nel rosso e nel blu, rispettivamente. Tutti i dati dell'Hubble vengono resi pubblici attraverso il Mikulski Archive for Space Telescopes (MAST) dell'STScI, del CADC e dell'ESA/ESAC. Inoltre sono generalmente sottoposti a licenze proprietarie per un anno dalla loro cattura; in questo periodo sono disponibili solo al principal investigator e agli astronomi prestabiliti, anche se in alcune circostanze questo periodo può essere esteso o ridotto dal direttore dell'STScl. Le osservazioni condotte attraverso il tempo a discrezione del direttore sono esonerate dal periodo proprietario, e sono rese pubbliche immediatamente, assieme ai dati di calibrazione, i campi piatti e gli scatti neri. Tutti i dati archiviati sono in formato FITS, adatto ad analisi astronomiche ma non all'uso pubblico. L'Hubble Heritage Project processa e rilascia al pubblico le foto più importanti in formato JPEG e TIFF. I dati astronomici ottenuti con i CCD devono sottostare a diverse procedure di calibrazione prima delle analisi astronomiche. L'STScI ha sviluppato diversi software sofisticati che calibrano automaticamente i dati, usando i migliori metodi disponibili. Questo processo di calibrazione di grandi quantità di dati "al volo" può impiegare un giorno o più, ed è noto come "riduzione in pipeline", comune a tutti i maggiori osservatori. Gli astronomi, se vogliono, possono ricevere i file da calibrare per condurre da sé le riduzioni in pipeline.[149] I dati dell'Hubble possono essere analizzati in numerosi modi differenti. L'STScl usa lo Space Telescope Science Data Analysis System (STSDAS), contenente tutti i programmi necessari ad eseguire riduzioni in pipeline dei dati raw, e molti altri strumenti di analisi di immagini astronomiche, modellati sui bisogni dell'Hubble. Il software è basato sull'IRAF, un popolare programma di riduzione dei dati astronomici. La cattura dell'immaginazione pubblica è da sempre un punto fondamentale della vita dell'Hubble, dato il grande contributo finanziario sostenuto dalle tasse. I primi anni furono molto difficili per via dello specchio difettoso, ma la prima missione di servizio permise il suo ritorno a piena operatività, producendo alcune delle immagini più importanti mai scattate nell'arco della sua lunga carriera. Diverse iniziative hanno aiutato a mantenere il pubblico informato riguardo alle attività del telescopio. Negli Stati Uniti, l'informazione è gestita da un ufficio apposito dell'STScI, stabilito nel 2000 per mostrare i benefici portati dal programma del telescopio spaziale, attraverso il sito HubbleSite.org. L'Hubble Heritage Project, esterno all'STScI, fornisce al pubblico immagini d'alta qualità degli oggetti più interessanti. Il team è composto da astronomi amatoriali e professionisti e persone esterne all'astronomia; esso enfatizza la natura estetica delle immagini dell'Hubble, e ha una piccola quantità di tempo dedicata all'osservazione di oggetti che non possono essere sviluppate a pieni colori per via della loro debolezza in alcune lunghezze d'onda. Dal 1999, la sensibilizzazione in Europa è gestita dall'Hubble European Space Agency Information Centre (HEIC),[151] un ufficio della Space Telescope European Coordinating Facility a Monaco, in Germania, che si basa sulle richieste dell'Agenzia Spaziale Europea. Il lavoro è incentrato sulla produzione di notizie e foto riguardanti i più interessanti risultati europei ottenuti dall'Hubble. L'ESA produce materiale educativo, tra cui serie di videocast chiamati Hubblecast disegnati per condividere le novità scientifiche di classe mondiale con il pubblico. L'Hubble Space Telescope ha vinto 2 Space Achievement Awards della Space Foundation, per le sue attività di sensibilizzazione, nel 2001 e nel 2010. C'è una replica dell'Hubble Space Telescope nei giardini del tribunale di Marshfield, nel Missouri, la città natale dell'omonimo Edwin P. Hubble. L'Hubble Space Telescope celebrò il suo 20º anniversario il 24 aprile 2010. Per l'occasione, la NASA, l'ESA, e lo Space Telescope Science Institute (STScI) rilasciarono un'immagine della Nebulosa della Carena. Per commemorare il 25º anniversario dell'Hubble, il 25 aprile 2015 l'STScI rilasciò immagini dell'ammasso Westerlund 2, a circa 20000 anni luce dalla costellazione della Carena, attraverso il suo sito web. L'agenzia spaziale europea creò una pagina di anniversario nel suo sito web. Nell'aprile 2016, in occasione del 26º compleanno, venne pubblicata anche un'immagine speciale della Nebulosa Bolla. Il telescopio ha una massa di circa 11 t, è lungo 13,2 m, ha un diametro massimo di 2,4 m ed è costato 2 miliardi di dollari. Si tratta di un riflettore con due specchi in configurazione Ritchey-Chrétien. Lo specchio primario è uno specchio iperbolico concavo di 2,4 m di diametro, che rinvia la luce su uno specchio iperbolico convesso di circa 30 centimetri di diametro. La distanza fra i vertici dei due specchi è di 4,9 m. Approssimando i due specchi come sferici, si può calcolare il punto di formazione del fuoco Cassegrain, ottenendo che l'immagine si forma circa 1,5 m dietro il primario. Due pannelli solari generano l'elettricità, che serve principalmente per alimentare le fotocamere e i tre giroscopi usati per orientare e stabilizzare il telescopio. In 20 anni di carriera Hubble ha ripreso più di 700 000 immagini astronomiche. Le missioni di servizio passate sostituirono gli strumenti con degli altri nuovi, per evitare danneggiamenti ed estendere le capacità scientifiche del veicolo. Senza di esse l'Hubble avrebbe inequivocabilmente smesso di funzionare. Nell'agosto del 2004 il sistema di alimentazione dello Space Telescope Imaging Spectograph (STIS) si ruppe, rendendo lo strumento inutilizzabile. Le elettroniche originarie erano pienamente ridondanti, ma il primo set di queste si ruppe nel maggio del 2001, rendendone necessaria la sostituzione nel maggio 2009. Analogamente, l'elettronica della fotocamera principale dell'Advanced Camera for Surveys (ACS) si ruppe nel giugno 2006, seguita da quella di backup il 27 gennaio 2007. Attraverso le elettroniche del lato 1 era possibile utilizzare solo il Solar Blind Channel (SBC). Durante la missione di servizio 4 venne aggiunto un nuovo sistema di alimentazione per il canale ad ampio angolo, anche se test successivi rivelarono che ciò non avrebbe permesso il ritorno alle funzionalità del canale ad alta risoluzione. Così solo il Wide Field Channel (WFC) tornò in servizio grazie alla STS-125 nel maggio 2009. L'HST usa giroscopi per rilevare e misurare qualsiasi rotazione e stabilizzarsi in orbita per puntare accuratamente target astronomici. Normalmente sono richiesti 3 giroscopi per le operazioni, nonostante sia possibile effettuarne con soli 2, su un campo celeste ristretto, in modo particolarmente complesso in presenza di obiettivi molto accurati. È possibile eseguire le osservazioni anche con un solo giroscopio, ma senza sarebbe impossibile. Nell'agosto 2005 venne stabilito il passaggio regolare alla modalità a 2 giroscopi, estendendo di fatto la durata della missione, lasciando 2 giroscopi di riserva e 2 inoperabili. Un altro giroscopio si ruppe nel 2007,[164] portando alla sostituzione di tutti i 6 giroscopi nel maggio 2009 (riparandone uno). Gli ingegneri a terra scoprirono che le rotture erano state causate dalla corrosione dei cavi elettrici che alimentavano il motore originariamente inizializzato via ossigeno pressurizzato. Così il successivo modello di giroscopio venne assemblato adottando azoto pressurizzato al suo posto, aumentandone l'affidabilità. Il 5 ottobre 2018 Hubble è entrato temporaneamente in una modalità protetta di sicurezza a causa del guasto di uno dei giroscopi. L'Hubble orbita la Terra nella tenue atmosfera superiore, decadendo lentamente a causa dell'attrito. Per questo, esso rientrerà nell'atmosfera terrestre in alcuni decenni a seconda dell'attività del Sole e del suo impatto sull'atmosfera superiore. In caso di rientro, alcune componenti del telescopio, come lo specchio primario con annessa struttura di supporto sopravviverebbero, potendo potenzialmente arrecare danni a persone o cose. Nel 2013, il responsabile del progetto James Jeletic affermò che Hubble sarebbe potuto sopravvivere fino al 2020, ma basandosi sull'attività solare e l'attrito atmosferico un rientro atmosferico avverrà tra il 2028 e il 2040. Nel giugno 2016 la NASA estese il contratto in servizio dell'Hubble fino al 2021. I piani originari della NASA per deorbitare in sicurezza l'Hubble consistevano nel riportarlo a terra usando uno Space Shuttle, per poi essere esposto alla Smithsonian Institution. Ciò non è più possibile a causa del ritiro della flotta, ma sarebbe stato comunque improbabile visti il costo della missione e i rischi per l'equipaggio, preferendo l'ipotesi di aggiunta di un modulo di propulsione addizionale per permettere un rientro controllato. Tra tutti questi progetti, l'unico effettivamente realizzato è il Soft Capture and Rendezvous System, che faciliterebbe missioni robotiche o con equipaggio. Non c'è un sostituto diretto all'Hubble nelle frequenze dell'ultravioletto e del visibile, dato che i telescopi spaziali a breve termine non replicano la sua copertura (dall'ultravioletto vicino all'infrarosso vicino), concentrandosi su bande infrarosse ben più lontane. Queste bande sono più adatte a studiare il redshift accentuato e oggetti a bassa temperatura, oggetti generalmente più vecchi e più lontani nell'Universo. Queste lunghezze d'onda sono anche difficili o impossibili da studiare a terra, giustificando le spese per un telescopio spaziale. I grandi telescopi a terra possono fotografare alcune delle lunghezze d'onda dell'Hubble, talvolta sfidando l'HST in termini di risoluzione utilizzando ottiche adattive (AO), riuscendo a raccogliere ben più luce in fotografie elaborabili più facilmente, ma senza poter battere l'eccellente risoluzione dell'Hubble in un ampio campo di visuale nell'oscuro spazio. I piani per un successore dell'Hubble si materializzarono nel progetto del Next Generation Space Telescope, che culminò nel James Webb Space Telescope (JWST), il successore formale dell'Hubble. Molto differente rispetto a un Hubble ingrandito, è disegnato per operare nel punto L2 ben più distante e freddo rispetto all'orbita terrestre bassa, dove l'interferenza ottica e termica della Terra e della Luna è d'intralcio. Non è progettato per essere completamente manutenuto (attraverso, per esempio, strumenti rimpiazzabili), ma il disegno include un anello di attracco per permettere visite da parte di veicoli spaziali. Un obiettivo scientifico primario del JWST è quello di osservare i più remoti oggetti nell'Universo, oltre il confine degli strumenti esistenti. È prevista la localizzazione delle stelle nel primo Universo, approssimativamente 280 milioni di anni più vecchie di quelle attualmente visibili dall'HST. Il telescopio è una collaborazione internazionale tra NASA, ESA e CSA dal 1996, e il suo lancio è pianificato a bordo di un Ariane 5. Sebbene il JWST sia principalmente uno strumento infrarosso, la sua copertura parte dai 600 nm, circa l'arancione nello spettro visibile. Un tipico occhio umano può vedere fino a circa 750 nm di lunghezza d'onda, di conseguenza c'è una leggera sovrapposizione con le bande di luce visibile a maggior lunghezza d'onda, inclusi l'arancione e il rosso. Un telescopio complementare, capace di osservare a lunghezze d'onda maggiori rispetto all'Hubble e il JWST, era l'Herschel Space Observatory dell'ESA, lanciato il 14 maggio 2009. Come il JWST, l'Herschel non era disegnato per essere modificato dopo il lancio, e aveva uno specchio sostanzialmente più ampio di quello dell'Hubble, ma osservava solo nell'infrarosso e nel submillimetrico. Aveva bisogno di raffreddamento all'elio, le cui riserve terminarono il 29 aprile 2013, concludendo la missione. Alcuni concetti di telescopi spaziali avanzati nel ventunesimo secolo includono l'Advanced Technology Large-Aperture Space Telescope, un telescopio ottico concettualizzato con uno specchio tra gli 8 e i 16 metri di diametro che se realizzato potrebbe essere un successore diretto all'HST, capace di osservare e fotografare oggetti astronomici nel visibile, ultravioletto, e infrarosso, Avrebbe una risoluzione sensibilmente superiore rispetto all'Hubble o lo Spitzer Space telescope, e verrebbe realizzato tra 2025 e 2035.

I soggetti preferiti di Hubble

Hubble ha scattato foto spettacolari, ritraendo Galassie, nebulose e molti altri corpi. Le galassie sono oggetti lontanissimi che Hubble osserva per rivelare i misteri sul passato del cosmo mentre le foto di nebulose sono apprezzate, per il loro aspetto, da tutti i "fan" del telescopio spaziale. E' per questo che Eagle sera ha voluto dedicare questa sezione di quest'articolo per spiegare la natura di queste due categorie di corpi celesti: in effetti è anche grazie ad Hubble se le conosciamo così approfonditamente...

Galassie

Una galassia è un grande insieme di stelle, sistemi, ammassi ed associazioni stellari, gas e polveri (che formano il mezzo interstellare), legati dalla reciproca forza di gravità. Il nome deriva dal greco γαλαξίας (galaxìas), che significa "di latte, latteo"; è una chiara allusione alla Via Lattea, la Galassia per eccellenza, di cui fa parte il sistema solare. Le galassie sono oggetti vastissimi di dimensioni estremamente variabili; variano dalle più piccole galassie nane, contenenti poche centinaia di milioni di stelle, alle galassie giganti, che hanno anche mille miliardi di stelle, orbitanti attorno ad un comune centro di massa. Non tutti i sistemi massicci auto-gravitanti costituiti da stelle vengono definiti galassie; il limite dimensionale inferiore, convenzionalmente, per la definizione di galassia è un ordine di massa di 106 masse solari, criterio per cui gli ammassi globulari e gli altri ammassi stellari non sono galassie. Non è definito un limite superiore, tutte le galassie osservate comunque non superano una dimensione massima di circa 1013 masse solari. Le galassie sono state categorizzate secondo la loro forma apparente, ossia sulla base della loro morfologia visuale. Una tipologia molto diffusa è quella ellittica, che, come si può ben arguire dal nome, ha un profilo ad ellisse. Le galassie spirale possiedono invece una forma discoidale con delle strutture spiraliformi che si dipartono dal nucleo. Le galassie con forma irregolare o insolita sono dette galassie peculiari; la loro strana forma è solitamente il risultato degli effetti delle interazioni mareali con le galassie vicine. Se tali interazioni sono particolarmente intense, a causa della grande vicinanza tra le strutture galattiche, può aver luogo la fusione delle due galassie, che risulta nella formazione di una galassia irregolare. La collisione tra due galassie dà spesso origine ad intensi fenomeni di formazione stellare (in gergo starburst). Nell'universo osservabile sono presenti probabilmente più di 100 miliardi di galassie; secondo nuove ricerche, tuttavia, il numero stimato di galassie nell'universo risulterebbe più alto di almeno dieci volte e oltre il 90% delle galassie nell'universo osservabile risulterebbe non rilevabile con i telescopi di cui disponiamo oggi, ancora troppo poco potenti. Gran parte di esse ha un diametro compreso fra 1000 e 100.000 parsec e sono di solito separate da distanze dell'ordine di milioni di parsec (megaparsec, Mpc). Lo spazio intergalattico è parzialmente colmato da un tenue gas, la cui densità è inferiore ad un atomo al metro cubo. Nella maggior parte dei casi le galassie sono disposte nell'Universo organizzate secondo precise gerarchie associative, dalle più piccole associazioni, formate da alcune galassie, agli ammassi, che possono essere formati anche da migliaia di galassie. Tali strutture, a loro volta, si associano nei più imponenti superammassi galattici. Queste grandi strutture sono di solito disposte all'interno di enormi correnti (come la cosiddetta Grande Muraglia) e filamenti, che circondano immensi vuoti dell'Universo. Sebbene non sia ancora del tutto ben chiaro, la materia oscura sembra costituire circa il 90% della massa di gran parte delle galassie a spirale, mentre per le galassie ellittiche si ritiene che questa percentuale sia minore, variando fra lo 0 e circa il 50%. I dati provenienti dalle osservazioni inducono a pensare che al centro di molte galassie, sebbene non di tutte, esistano dei buchi neri supermassicci; la presenza di questi singolari oggetti spiegherebbe l'attività del nucleo delle galassie cosiddette attive. Tuttavia la loro presenza non implica necessariamente che la galassia che li ospiti sia attiva, dato che anche la Via Lattea molto probabilmente nasconde nel suo nucleo un buco nero massivo di nome Sagittarius A*.

Approfondiamo: le galassie


La parola "galassia" deriva dal termine greco che indicava la Via Lattea, Γαλαξίας (Galaxìas) per l'appunto, che significa "latteo", o anche κύκλος γαλακτικός (kyklos galaktikòs), col significato di "circolo galattico". Il nome deriva da un episodio piuttosto noto della mitologia greca. Zeus, invaghitosi di Alcmena, dopo avere assunto le fattezze del marito, il re di Trezene Anfitrione, ebbe un rapporto con lei, che rimase incinta. Dal rapporto nacque Eracle, che Zeus decise di porre, appena nato, nel seno della sua consorte Era mentre lei era addormentata, cosicché il bambino potesse bere il suo latte divino per diventare immortale. Era si svegliò durante l'allattamento e si rese conto che stava nutrendo un bambino sconosciuto: respinse allora il bambino e il latte, sprizzato dalle mammelle, schizzò via, andando a bagnare il cielo notturno; si sarebbe formata in questo modo, secondo gli antichi Greci, la banda chiara di luce nota come "Via Lattea". Quando William Herschel compilò il suo catalogo degli oggetti del cielo profondo, usò la locuzione nebulosa spirale per descrivere le caratteristiche di alcuni oggetti di aspetto nebuloso, come la Galassia di Andromeda; queste "nebulose" furono in seguito riconosciute, quando si iniziò a scoprirne la distanza, come immensi agglomerati di stelle estranei alla Via Lattea; ebbe così origine la teoria degli "universi-isola". Tuttavia, tale teoria cadde presto in disuso, poiché per "Universo" si intendeva la totalità dello spazio, con all'interno tutti gli oggetti osservabili, così si preferì adottare il termine galassia. Di fatto, da un punto di vista strettamente etimologico, i termini "galassia" e "Via Lattea" sono analoghi. L'osservazione amatoriale delle galassie, rispetto ad altri oggetti del profondo cielo, è resa difficoltosa da due fattori principali: A) la grandissima distanza che ci separa da esse, che fa in modo che solo le più vicine siano visibili con relativa facilità, quindi la loro luminosità superficiale, in genere molto debole. B) molte delle galassie più vicine a noi sono galassie nane di piccole dimensioni, formate solo da alcuni milioni di stelle, visibili solo con un potente telescopio (e non è un caso che molte di queste siano state scoperte solo in tempi recenti). Oltre alla Via Lattea, la galassia all'interno della quale si trova il nostro sistema solare, solo altre tre sono visibili ad occhio nudo: le Nubi di Magellano (Grande e Piccola Nube di Magellano), visibili solamente dall'emisfero australe del nostro pianeta, si presentano come macchie irregolari, quasi dei frammenti staccati della Via Lattea, la cui scia luminosa corre a breve distanza; si tratta di due galassie molto vicine, orbitanti attorno alla nostra; tra le galassie giganti invece, l'unica visibile ad occhio nudo è la Galassia di Andromeda, osservabile principalmente dall'emisfero boreale terrestre. È la galassia gigante più vicina a noi e anche l'oggetto più lontano visibile ad occhio nudo: si presenta come un alone chiaro allungato, privo di dettagli. La Galassia del Triangolo, una galassia spirale di medie dimensioni poco più lontana di Andromeda, risulta già invisibile ad occhio nudo, rivelandosi solo con un binocolo nelle notti più limpide. Tra le galassie prossime al nostro Gruppo Locale alcune degne di nota sono in direzione della costellazione dell'Orsa Maggiore (M82 e M81), ma già sono visibili solo con un telescopio amatoriale. Dopo la scoperta, nei primi decenni del XX secolo, che le cosiddette nebulose spiraliformi erano entità distinte (chiamate galassie o universi-isola) dalla Via Lattea, si sono condotte numerose osservazioni volte a studiare tali oggetti, principalmente alle lunghezze d'onda della luce visibile. Il picco di radiazione di gran parte delle stelle, infatti, ricade entro questo range; pertanto l'osservazione delle stelle che formano le galassie costituiva la quasi totalità dell'astronomia ottica. Alle lunghezze d'onda del visibile è possibile osservare in maniera ottimale le regioni H II (costituite da gas ionizzato), allo scopo di esaminare la distribuzione delle polveri all'interno dei bracci delle galassie a spirale. La polvere cosmica, presente nel mezzo interstellare, è però opaca alla luce visibile, mentre risulta già più trasparente all'infrarosso lontano, utilizzato per osservare nel dettaglio le regioni interne delle nubi molecolari giganti, sede di intensa formazione stellare, ed i centri galattici. Gli infrarossi sono anche utilizzati per osservare le galassie più lontane, che mostrano un alto spostamento verso il rosso; esse ci appaiono come dovevano presentarsi poco dopo la loro formazione, nei primi stadi dell'evoluzione dell'Universo. Tuttavia, poiché il vapore acqueo e il diossido di carbonio della nostra atmosfera assorbono una parte rilevante della porzione utile dello spettro infrarosso, per le osservazioni nell'infrarosso sono usati solamente telescopi ad alta quota o in orbita nello spazio. Il primo studio sulle galassie, in particolare su quelle attive, non basato sulle frequenze del visibile fu condotto tramite le radiofrequenze; l'atmosfera è infatti quasi totalmente trasparente alle onde radio di frequenza compresa fra 5 MHz e 30 GHz (la ionosfera blocca i segnali al di sotto di questa fascia). Grandi radiointerferometri sono stati usati per mappare i getti emessi dai nuclei delle galassie attive. I radiotelescopi sono in grado di osservare l'idrogeno neutro, includendo, potenzialmente, anche la materia non ionizzata dell'Universo primordiale collassata in seguito nelle galassie. I telescopi a raggi X e ad ultravioletti possono inoltre osservare fenomeni galattici altamente energetici. Un intenso brillamento (flare) agli ultravioletti fu osservato nel 2006 mentre una stella di una galassia distante era catturata dal forte campo gravitazionale di un buco nero. La distribuzione del gas caldo negli ammassi galattici può essere mappata attraverso i raggi X; infine, l'esistenza dei buchi neri supermassicci nei nuclei delle galassie fu confermata proprio attraverso l'astronomia a raggi X. La scoperta che il Sole è all'interno di una galassia, e che vi sono innumerevoli altre galassie, è strettamente legata alla scoperta della vera natura della Via Lattea. Prima dell'avvento del telescopio, oggetti lontani come le galassie erano del tutto sconosciuti, data la loro bassa luminosità e la grande distanza. Alle civiltà classiche poteva essere nota soltanto una macchia chiara in direzione della costellazione di Andromeda (quella che fu per lungo tempo chiamata "Grande Nube di Andromeda"), visibile senza difficoltà ad occhio nudo, ma la cui natura era del tutto ignota. Le due Nubi di Magellano, le altre galassie visibili ad occhio nudo, possedevano una declinazione troppo meridionale perché potessero essere osservate dalle latitudini temperate boreali. Furono sicuramente osservate dalle popolazioni dell'emisfero sud, ma da parte loro ci sono giunti pochi riferimenti scritti. Il primo tentativo di catalogare quelli che allora erano chiamati "oggetti nebulosi" risale all'inizio del XVII secolo, ad opera del siciliano Giovan Battista Odierna, che inserì nel suo catalogo De Admirandis Coeli Characteribus del 1654 anche alcune di quelle che in seguito sarebbero state chiamate "galassie". Verso la fine del XVIII secolo, l'astronomo francese Charles Messier compilò un catalogo delle 109 nebulose più luminose, seguito poco dopo da un catalogo, che comprendeva altre 5000 nebulose, stilato dall'inglese William Herschel. Herschel fu inoltre il primo a tentare di descrivere la forma della Via Lattea e la posizione del Sole al suo interno; nel 1785 compì un conteggio scrupoloso del numero di stelle in seicento regioni differenti del cielo dell'emisfero boreale; egli notò che la densità stellare aumentava man mano che ci si avvicinava ad una determinata zona del cielo, coincidente col centro della Via Lattea, nella costellazione del Sagittario. Suo figlio John ripeté poi le misurazioni nell'emisfero meridionale, giungendo alle stesse conclusioni. Herschel senior disegnò poi un diagramma della forma della Galassia, considerando però erroneamente il Sole nei pressi del suo centro. Nel 1845, William Parsons costruì un nuovo telescopio che gli permise di distinguere le galassie ellittiche da quelle spirali; riuscì inoltre a distinguere sorgenti puntiformi di luce (ovvero delle stelle) in alcune di queste nebulose, dando credito all'ipotesi del filosofo tedesco Immanuel Kant, che riteneva che alcune nebulose fossero in realtà galassie distinte dalla Via Lattea. Nonostante questo, le galassie non furono universalmente accettate come entità separate dalla Via Lattea finché Edwin Hubble non risolse definitivamente la questione nei primi anni venti del XX secolo. Nel 1917 Heber Curtis osservò la supernova S Andromedae all'interno della "Grande Nebulosa di Andromeda" (M31); cercando poi con accuratezza nei registri fotografici ne scoprì altre undici. Curtis determinò che la magnitudine apparente di questi oggetti era 10 volte inferiore di quella che raggiungono gli oggetti all'interno della Via Lattea. Come risultato egli calcolò che la "nebulosa" dovesse trovarsi ad una distanza di circa 150.000 parsec; Curtis divenne così sostenitore della teoria degli "universi isola", che affermava che le nebulose di forma spirale erano in realtà galassie simili alla nostra, ma separate. Nel 1920 ebbe luogo il Grande Dibattito tra Harlow Shapley e Heber Curtis sulla natura della Via Lattea, delle nebulose spiraliformi e sulle dimensioni generali dell'Universo. Per supportare l'ipotesi che la Grande Nebulosa di Andromeda fosse in realtà una galassia esterna, Curtis indicò la presenza di macchie scure, situate nel piano galattico di Andromeda, simili alle nebulose oscure osservabili nella Via Lattea, e fece notare anche il notevole spostamento della galassia secondo l'effetto Doppler. Il problema fu definitivamente risolto da Edwin Hubble nei primi anni venti, grazie all'uso del nuovo e più potente telescopio Hooker, situato presso l'osservatorio di Monte Wilson. Lo scienziato americano fu in grado di risolvere le parti esterne di alcune nebulose spiraliformi come insiemi di stelle e tra esse identificò alcune variabili Cefeidi, che lo aiutarono a stimare la distanza di queste nebulose: queste si rivelarono troppo distanti per essere parte della Via Lattea. Nel 1936 lo stesso Hubble ideò un sistema di classificazione per le galassie ancora usato ai nostri giorni: la sequenza di Hubble. Lo schema classificativo della Sequenza di Hubble si basa sulla morfologia visuale delle galassie; esse si suddividono in tre tipi principali: ellittiche, spirali e irregolari. Dato che tale sequenza si basa esclusivamente su osservazioni di tipo prettamente morfologico visivo, essa non tiene in considerazione alcune delle caratteristiche più importanti delle galassie, quali il tasso di formazione stellare delle galassie starburst e l'attività nel nucleo delle galassie attive. In astronomia, una galassia ellittica è un tipo di galassia caratterizzato dalle seguenti proprietà:

  • momento angolare assente o ridotto
  • assenza di bracci spirale
  • stelle giovani assenti
  • ammassi aperti assenti o molto ridotti
  • sono costituite principalmente da stelle di popolazione II
  • nubi di gas e polveri interstellari assenti o molto ridotte

Le galassie ellittiche variano enormemente di grandezza, e annoverano tra di esse sia galassie molto piccole (non si sa se quelle davvero microscopiche, le nane sferoidali, siano anch'esse da considerarsi galassie ellittiche), sia le più grandi galassie conosciute. M32 e M110, due satelliti della Galassia di Andromeda, sono galassie ellittiche nane. M87, la galassia principale dell'Ammasso della Vergine, è un'enorme ellittica grande forse 10 volte la nostra Via Lattea e circondata da 15.000 ammassi globulari, contro i 157 della nostra galassia. Maffei 1 è considerata, a 10 milioni di a.l. di distanza, la galassia ellittica gigante più vicina alla nostra galassia. Questo ritratto tradizionale delle galassie ellittiche le dipinge come galassie dove la formazione stellare è finita dopo i primi momenti, e che adesso risplendono solo grazie a stelle che stanno invecchiando. Si pensava che una galassia ellittica non attraversasse alcun cambiamento durante la sua vita, se non per il graduale affievolimento di luminosità. Alcune recenti osservazioni hanno però trovato ammassi aperti blu e giovani all'interno di alcune galassie ellittiche, assieme ad altre strutture che possono essere spiegate dalla fusione tra galassie. In questa nuova visione (ancora piuttosto sperimentale), le galassie ellittiche sarebbero il risultato di un lungo processo dove due o più galassie più piccole, di qualunque tipo, entrano in collisione e si fondono in un unico oggetto più grande. Questo processo di fusione a volte può protrarsi fino ad epoche contemporanee, e non è limitato alle galassie ellittiche. Per esempio, sappiamo che la nostra stessa Via Lattea è impegnata a "digerire" un paio di piccole galassie in questo istante (un istante che va misurato in milioni di anni). Studi recenti hanno evidenziato che le galassie ellittiche ruotano meno velocemente delle galassie a spirale.

Una galassia a spirale, o anche galassia spiraliforme o galassia spirale, è un tipo di galassia della sequenza di Hubble, caratterizzato dalle seguenti proprietà:

  • È composta da un bulge centrale circondato da un disco
  • Il bulge somiglia ad una piccola galassia ellittica, contenente molte stelle vecchie (la cosiddetta popolazione II), e spesso un buco nero supermassiccio al suo centro
  • Il disco è un agglomerato di stelle giovani di popolazione I, ammassi aperti e nubi di gas, piatto e rotante
  • Ha un considerevole momento angolare.

Le galassie spirali prendono il loro nome dai brillanti bracci di formazione stellare presenti nel disco, che si estendono all'incirca come una spirale logaritmica dal bulge. Questi bracci possono essere più o meno evidenti, e a volte sono difficili da vedere, ma distinguono comunque le galassie spirali da quelle lenticolari, che hanno anche loro un disco ma senza bracci. Il disco delle galassie spirali è in genere circondato da un grande alone sferoidale di stelle di popolazione II, la maggior parte delle quali sono concentrate in ammassi globulari in orbita attorno al centro galattico. La nostra Via Lattea è stata confermata essere, in tempi recenti, una spirale barrata, anche se la barra del disco galattico è difficile da osservare dalla nostra posizione. La prova più convincente che sia una galassia di questo tipo viene da osservazioni delle stelle nel centro galattico con il telescopio spaziale Spitzer. Una peculiare galassia a spirale è la cosiddetta Galassia cometa, membro dell'ammasso di galassie Abell 2667: si tratta probabilmente di una galassia osservata durante una rapida fase di trasformazione dalla forma a spirale a quella lenticolare. Uno studio pubblicato a giugno 2017 effettuato con i telescopi ALMA ed Herschel ha evidenziato che le galassie a spirale ruotano più velocemente di quelle ellittiche, con un momento angolare cinque volte maggiore di queste ultime. Lo studio si è concentrato sulle quantità dei gas che precipitano verso la regione centrale delle galassie in formazione. Nelle galassie ellittiche questo processo è molto più rapido. Tale processo di formazione viene successivamente bloccato dalle fughe di gas dovute alla esplosione di supernove, dai venti stellari sino alle energie che si sprigionano dagli eventuali buchi neri che si formano al loro interno. Il momento angolare iniziale viene così controbilanciato e dissipato. Nelle galassie a spirale il processo di addensamento dei gas nella regione centrale è più lento, in tempi comparabili a quelli dell'Universo; la formazione stellare avviene più lentamente ed il momento angolare iniziale viene in tal modo mantenuto. Tale ricerca ha evidenziato come il differente momento angolare e quindi la differenza di velocità della rotazione delle galassie sia correlata alle caratteristiche insite nelle regioni centrali delle galassie in formazione e non, come in precedenza supposto, ad eventi di fusione. Uno studio pubblicato nel 2016 ha identificato un tipo particolare di galassia a spirale denominato galassia a spirale superluminosa che si presenta insolitamente di grandi dimensioni, massiccia e luminosa al pari di una galassia ellittica gigante ma con un tasso di formazione stellare elevato, in media 30 masse solari/anno.

Una galassia a spirale barrata, o anche galassia spirale barrata, è una galassia a spirale dal cui bulbo centrale si dipartono due prolungamenti di stelle che nell'insieme ricordano una barra. In queste galassie i bracci curvi della spirale partono dalla barra, anziché dal nucleo. Si usa anche il più generico galassia barrata, in quanto la barra è presente anche in galassie di diversa morfologia. Le osservazioni col telescopio spaziale Spitzer, nel 2005, hanno fornito una prova che la Via Lattea ha una barra che passa attraverso il centro, stimata della lunghezza di circa 27.000 anni luce. Gli astronomi hanno ipotizzato che questa formazione sia temporanea e sia causata dalla forza mareale tra galassie. Nonostante ciò, molti astronomi rifiutano l'idea di una galassia a spirale barrata, e preferiscono attribuire alla Via Lattea il modello a spirale classico. Nella sequenza di Hubble questo tipo di galassie è indicata come "SB" ed è diviso in 3 sottocategorie:

  • SBa - i bracci della spirale si avvolgono fino a formare una struttura complessiva quasi circolare intorno al nucleo galattico e alla barra, posta in posizione diametrale
  • SBb - a metà strada fra le SBa e le SBc
  • SBc - le spirali sono molto più allargate e la configurazione complessiva richiama quella di una lettera "S"

Esiste inoltre un'ulteriore classificazione (introdotta nel 1959 dall'astronomo francese Gérard Henri de Vaucouleurs), che distingue le (più rare) galassie SBd; inoltre esistono galassie irregolari che presentano la struttura di una barra, classificate come SBm (la Grande Nube di Magellano ad esempio è spesso così classificata). Esistono anche galassie lenticolari che presentano barre e sono classificate come SB0. Sebbene le galassie a spirale siano molto numerose, le spirali barrate sono circa il 15% del totale delle galassie. Contando anche altri tipi di galasse barrate che non sono spirali, nel catalogo RSA (Revised Shapley-Ames Catalog of Bright Galaxies) le galassie classificate come barrate sono circa il 25% di quelle catalogate. Tuttavia ulteriori ricerche suggeriscono che in campo radio sia possibile individuare un gran numero di barre non osservate con la strumentazione ottica. Secondo questo studio, la percentuale di galassie barrate fra le spirali sarebbe di circa il 72%.

Una galassia peculiare è una galassia che presenta una forma insolita, una dimensione eccezionale o una composizione diversa dalle altre galassie. Normalmente una galassia peculiare è il risultato di un fenomeno di interazione o forze mareali di altre galassie. Può contenere una quantità insolita di polvere interstellare e gas, e possedere una luminosità superficiale più o meno alta rispetto alle galassie o getti dipolari. Le galassie peculiari sono indicate con la sigla "pec" o la lettera "p" nei vari cataloghi di galassie. Esempi di galassie peculiari sono le galassie irregolari, le galassie dello starburst e le galassie ad anello, che possiedono una struttura anulare di stelle e mezzo interstellare che circonda una barra centrale.

Per galassia nana si intende una galassia di piccole dimensioni composta da un numero di stelle variabile da 100 milioni ad alcuni miliardi, poche se confrontate con i 200/400 miliardi circa di stelle che popolano la Via Lattea, la nostra galassia. La Grande Nube di Magellano, con oltre 30 miliardi di stelle, è a volte classificata come galassia nana. Nella Sequenza di Hubble sono classificate con il prefisso d (da Dwarf, in lingua inglese "nano") che precede la categoria morfologica attribuita alla galassia. Le galassie nane orbitano normalmente intorno a galassie molto più grandi. Essendo oggetti non molto luminosi, sono note in particolare le galassie nane del Gruppo Locale, ovvero dell'ammasso di galassie di cui fanno parte la Via Lattea, la Galassia di Andromeda e la Galassia del Triangolo. Tuttavia l'avvento dei telescopi spaziali come Hubble e dei moderni telescopi terrestri, come Subaru e Keck, hanno permesso di spingersi con le osservazioni ben oltre il Gruppo Locale, identificando galassie nane estremamente remote che risalgono addirittura alle prime fasi della formazione dell'Universo, come ad esempio la galassia Abell 1835 IR1916. Fino ad oggi sono state identificate oltre 40 galassie nane, tra confermate e candidate, satelliti della Via Lattea, oltre alla scoperta di numerose correnti stellari che rappresentano quanto resta di galassie nane ormai completamente disgregate dalle forze mareali della nostra galassia. Le galassie nane si differenziano in base alla morfologia e/o in base ad altre caratteristiche peculiari:

  • Galassie nane ellittiche (dE)
  • Galassie nane sferoidali (dSph)
  • Galassie nane irregolari (dI)
  • Galassie nane spirali (dS)
  • Galassie nane di tipo magellanico (dSm)
  • Galassie nane compatte blu (BCD)
  • Galassie nane ultra-compatte (UCD)
  • Galassie nane ultra-deboli (UFD)
  • Galassie nane a bassa luminosità superficiale (LSBD)
  • Pea galaxies
  • Extreme emission-line galaxies (EELG)

Alcune galassie nane note sono quelle ellittiche del Sagittario e del Cane Maggiore. È stata scoperta recentemente una nuova tipologia: le galassie nane ultra-compatte, caratterizzate da dimensioni molto piccole: 100 - 200 anni luce di diametro.

Moto

Le stelle all'interno delle galassie sono in costante movimento; nelle galassie ellittiche, a causa del bilanciamento fra velocità e gravità, i movimenti sono relativamente contenuti, le stelle si muovono in direzioni casuali ed i movimenti rotazionali attorno al nucleo sono minimi; ciò conferisce a queste galassie la tipica forma sferica. Nelle galassie a spirale, le dinamiche sono notevolmente più complesse. Il nucleo, di forma sferoidale, possiede un'elevata densità di materia, il che comporta che questo si comporti in modo simile ad un corpo rigido. Nei bracci di spirale (che costituiscono il disco galattico), invece, la componente di rotazione è preponderante, il che spiega la forma appiattita del disco. La velocità orbitale della gran parte delle stelle della galassia non dipende necessariamente dalla loro distanza dal centro. Se si suppone, per l'appunto, che le parti più interne dei bracci di spirale ruotino più lentamente delle parti esterne (come avviene, ad esempio, in un corpo rigido), le galassie spirali tenderebbero ad "attorcigliarsi" e la struttura a spirale diverrebbe staccata dal nucleo. Questo scenario è in realtà l'opposto di quanto si osserva nella galassie spirali; per questo motivo gli astronomi suppongono che i bracci delle spirali siano il risultato di diverse onde di densità emanate dal centro galattico. Da ciò ne consegue che i bracci di spirale cambiano di continuo morfologia e posizione. L'onda di compressione aumenta la densità dell'idrogeno molecolare, che, manifestando fenomeni di instabilità gravitazionale, collassa facilmente dando luogo alla formazione di protostelle; di fatto, i bracci appaiono più luminosi del resto del disco non perché la loro massa sia notevolmente più elevata, ma perché contengono un gran numero di stelle giovani e brillanti. Fuori dalle regioni del bulge o dal bordo esterno, la velocità di rotazione galattica è compresa fra 210 e 240 km/s. Pertanto, il periodo orbitale di una stella che orbita nei bracci di spirale è direttamente proporzionale solo alla lunghezza della traiettoria percorsa, a differenza di quanto può invece essere osservato nel sistema solare, dove i pianeti, percorrendo orbite differenti nel rispetto delle leggi di Keplero, possiedono anche significative differenze nella velocità orbitale; quest'andamento delle orbite dei bracci di spirale costituisce uno degli indizi più evidenti dell'esistenza della materia oscura. Il senso di rotazione di una galassia a spirale può essere misurato studiando l'effetto Doppler riscontrato sulla galassia stessa, che rivela se le sue stelle sono in avvicinamento o in allontanamento da noi; tuttavia, questo è possibile solo a determinate condizioni: innanzitutto, la galassia non deve presentarsi "di faccia" o "di taglio", ossia l'angolo di visuale non deve essere uguale a 0º o 90º, questo perché se una galassia che si mostra perfettamente di faccia, le sue stelle giacciono approssimativamente alla stessa distanza da noi, in qualunque punto della loro orbita esse si trovino. Nel secondo caso - quello delle galassie con angolo di visuale inclinato - occorre dapprima stabilire quale parte di essa è più vicina e quale è più lontana. Alcune galassie possiedono dinamiche del tutto particolari e insolite; è questo il caso della Galassia Occhio Nero (nota anche con la sigla del Catalogo di Messier M64). M64 è all'apparenza una normale galassia a spirale, oscurata in più punti da fitte nebulose oscure; tuttavia, recenti analisi dettagliate hanno portato alla scoperta che i gas interstellari delle regioni esterne ruotano in direzione contraria rispetto ai gas e le stelle delle regioni interne. Alcuni astronomi ritengono che la rotazione contraria abbia avuto inizio quando M64 assorbì una propria galassia satellite, entrata in collisione con essa probabilmente più di un miliardo di anni fa. Nelle regioni di contatto tra le opposte rotazioni, i gas collisero e si compressero contraendosi, dando vita a una zona di formazione stellare molto attiva. Della piccola galassia scontratasi con M64 ora non resta quasi più nulla; le sue stelle o sono state assimilate dalla galassia principale o sono state disperse nello spazio come stelle iperveloci, ma i segni della collisione sarebbero visibili nel moto contrario dei gas nelle regioni esterne di M64. Le galassie interagenti sono due o più galassie influenzate dalla reciproca forza di gravità. Un esempio di interazione minore è quello dato da una galassia che disturba uno dei bracci principali di un'altra galassia; un esempio di interazione maggiore è invece dato dalle galassie in collisione. Una galassia gigante che interagisce con le sue galassie satelliti è un evento comune: la gravità della galassia satellite può attrarre e distorcere uno dei bracci della galassia principale, come sembra stia avvenendo tra la Via Lattea e la Galassia Nana Ellittica del Sagittario; in queste occasioni si può verificare un fenomeno di formazione stellare localizzato. Un altro celebre esempio è dato dalla Galassia Vortice, che interagisce e viene deformata dalla piccola galassia satellite NGC 5195. Una fusione galattica è un evento che può verificarsi quando due o più galassie collidono. Si tratta del tipo più violento di interazione galattica, i cui effetti sulle singole galassie, dovuti sia alle interazioni gravitazionali tra i soggetti interagenti che all'attrito dinamico tra i gas e la polvere cosmici, sono di enorme portata e dipendono da diversi fattori, come gli angoli di collisione, le velocità dei corpi celesti coinvolti e le dimensioni relative di questi ultimi. Le fusioni galattiche sono un vasto argomento di ricerca per l'astrofisica odierna, poiché il tasso di fusione galattica è una misura di fondamentale importanza per capire l'evoluzione galattica e fornisce agli astrofisici indizi per ricostruire la storia dell'Universo. Durante una fusione galattica sia le stelle che la materia oscura di una galassia possono essere disturbate dalle altre galassie in avvicinamento, tanto che, durante le ultime fasi della fusione, il potenziale gravitazionale (vale a dire la forma della galassia) inizia a cambiare così rapidamente e drasticamente, in un processo che viene chiamato "rilassamento violento", che le orbite delle stelle possono subire alterazioni così profonde da far perdere ogni indizio sul loro precedente percorso. Per esempio, all'inizio di una collisione tra due galassie a disco, le stelle di entrambe le galassie ruotano ordinatamente sui piani dei due dischi separati ma, durante la fusione, tale moto si trasforma tanto che la galassia risultante è dominata da stelle che orbitano attorno al centro galattico in una complicata rete di orbite interagenti dai tracciati quasi casuali, come si osserva nelle galassie ellittiche. Le fusioni sono eventi che portano spesso anche a un elevato tasso di formazione stellare, risultando essere dei veri e propri siti starburst. Il valore tipico di tale tasso di formazione è di poco meno di 100 masse solari all'anno, che è già un valore importante se rapportato all'attuale tasso di formazione stellare della nostra galassia, la Via Lattea, che è di circa 0,68-1,45 masse solari all'anno, ma che può arrivare anche alle migliaia di masse solari all'anno a seconda del contenuto di gas di ogni galassia e del suo spostamento verso il rosso. Sebbene durante una fusione galattica la stelle delle galassie interagenti non si avvicinino quasi mai abbastanza da poter effettivamente collidere, accade comunque che enormi nubi molecolari precipitino velocemente verso il centro della galassia in formazione, unendosi quindi con altre nubi molecolari e formando nubi che, collassando, danno origine a nuove stelle. Si ritiene che tale fenomeno, attualmente osservabile in molte fusioni galattiche a noi note, abbia avuto una maggiore intensità durante le fusioni che hanno portato alle galassie ellittiche oggi visibili e che si stima siano avvenute tra 1 e 10 miliardi di anni fa, quando le galassie erano più ricche di gas e conseguentemente di nubi molecolari. Inoltre, anche lontano dal centro della galassia in formazione, le nubi di gas si compenetrano l'un l'altra, dando origine a onde d'urto che, propagandosi all'interno delle nubi stesse, possono innescare la formazione stellare. Il risultato di tutti questi processi è che, una volta terminata la fusione, la galassia formatasi risulta avere un basso contenuto di gas residuo utile a dare origine a nuove stelle. Quindi, se due galassie sono coinvolte in una fusione "maggiore", al termine di questa, ossia dopo diverse centinaia di milioni di anni, la galassia risultante dalla fusione avrà un basso contenuto di stelle giovani rimaste, esattamente come si può oggi osservare nelle galassie ellittiche a noi note, in cui sono presenti poche stelle giovani e poche nubi molecolari. Proprio per questo si ritiene oggi che le galassie ellittiche siano il risultato finale di enormi fusioni galattiche che hanno consumato la maggior parte del gas durante il loro procedere dando come risultato una galassia con un tasso di formazione stellare decisamente basso. Al giorno d'oggi grazie a software sempre più avanzati, è possibile simulare diversi tipi di fusioni galattiche, utilizzando coppie di galassie di qualsiasi tipo e tenendo conto di molti fattori come tutte le interazioni gravitazionali, l'energia e la massa rilasciate nel mezzo interstellare dalle supernove, la fluidodinamica dei gas interstellari e molto altro. Un simile archivio di fusioni galattiche, chiamato Galmer, può essere liberamente consultato online. Una delle più vaste fusioni mai osservate è quella attualmente visibile nell'ammasso di galassie ClG J0958+4702, a una distanza di circa 5 miliardi di anni luce dalla Terra, che coinvolge ben quattro galassie ellittiche e che potrebbe dar origine a una delle più grandi galassie conosciute.

Classificazione

Le fusioni galattiche possono essere classificate in base ad alcune delle proprietà delle galassie coinvolte nell'evento, come il loro numero, la loro dimensione relativa e il loro quantitativo di gas.

Numero

Le fusioni possono essere catalogate in base al numero di galassie in esse coinvolte:

  • Fusione binaria Una fusione galattica è detta "binaria" quando coinvolge due galassie interagenti.
  • Fusione multipla Una fusione galattica è detta "multipla" quando coinvolge tre o più galassie interagenti.

Dimensione

Le fusioni possono essere catalogate in base a quanto la galassia più grande tra quelle coinvolte nel processo risulta modificata nella forma o nella dimensione dopo la fusione:

  • Fusione minore Una fusione è detta "minore" se una delle galassie coinvolte è significativamente più grande dell'altra o delle altre. In un simile scenario la galassia più grande ingloberà la più piccola, assorbendo la gran parte del suo gas e delle sue stelle senza subire una modifica sostanziale. Si ritiene che la stessa Via Lattea stia attualmente assorbendo diverse galassie più piccole in questo modo, come la Galassia Nana Ellittica del Cane Maggiore e probabilmente anche la Grande Nube di Magellano, e che la Corrente stellare della Vergine sia quello che rimane di una galassia nana sferoidale quasi del tutto fusasi con essa.
  • Fusione maggiore Una fusione è detta "maggiore" quando riguarda galassie che hanno approssimativamente la stessa dimensione; prendendo il caso di due galassie a spirale, si ritiene che se i due corpi celesti collidono con un angolo e una velocità appropriati, allora la fusione avviene in modo tale da portare all'espulsione di polveri e gas attraverso una serie di meccanismi che spesso includono uno stadio in cui sono presenti dei nuclei galattici attivi, attivati proprio dalla concentrazione conseguente al processo di fusione. Si ritiene che in questo caso il risultato della fusione sia una galassia ellittica e molti astronomi concordano nel ritenere che sia stato proprio questo il meccanismo originario alla base della creazione di tali galassie. Un esempio di fusione maggiore è quello visibile nella costellazione del Leone, tra le galassie NGC 3808 e NGC 3808A (conosciute anche come Arp 87), mentre un'altra fusione maggiore è quella che ci si attende avverrà tra circa 4,5 miliardi di anni tra la Via Lattea e la galassia di Andromeda e che darà come risultato una galassia ellittica gigante.

Contenuto di gas

Le fusioni possono essere catalogate in base alle interazioni dei gas presenti all'interno o attorno alle galassie coinvolte:

  • Fusione bagnata Una fusione galattica è detta "bagnata" quando avviene tra due o più galassie con un alto contenuto di gas intergalattico (le cosiddette "galassie blu"). Questo tipo di fusioni è caratterizzato da un elevato tasso di formazione stellare, trasforma due galassie a disco in una galassia ellittica e può innescare l'attività di un quasar.
  • Fusione a secco Una fusione galattica è detta "a secco" quando avviene tra due o più galassie con un basso contenuto di gas intergalattico (le cosiddette "galassie rosse"). Solitamente questo genere di fusioni non cambia molto il tasso di formazione stellare delle galassie coinvolte, ma aumenta comunque la massa stellare.
  • Fusione umida Una fusione galattica è detta "umida" quando avviene tra due galassie dello stesso tipo, blu o rosse, e nel caso in cui sia presente abbastanza gas da consentire una significativa formazione stellare ma non abbastanza da formare ammassi globulari.
  • Fusione mista Una fusione galattica è detta "mista" quando avviene tra galassie ricche di gas e galassie che ne hanno invece un basso contenuto.

Approfondimento: la collisione tra la Via Lattea e Andromeda

La collisione tra Andromeda e la Via Lattea è un'ipotesi di collisione galattica, che potrebbe avere luogo tra circa 5 miliardi di anni, fra le due maggiori galassie del Gruppo Locale, la Via Lattea e la Galassia di Andromeda. Viene spesso usato come esempio del tipo di fenomeno associato alle collisioni nei simulatori. Come per tutti questi tipi di collisione, è molto improbabile che oggetti come le stelle contenute in ciascuna delle galassie interessate possano scontrarsi, poiché la distanza tra le singole stelle all'interno di una galassia è relativamente alta; per fare un esempio, la stella più vicina al Sole si trova infatti ad una distanza pari a trenta milioni di volte il diametro solare. Se si immagina il Sole delle dimensioni di una moneta, la moneta/stella più vicina si troverebbe a quasi 800 km di distanza. Se la teoria è corretta, le stelle e i gas contenuti nella Galassia di Andromeda saranno visibili ad occhio nudo fra circa tre miliardi di anni. Se la collisione avrà luogo, le due galassie si fonderanno l'una con l'altra. Non vi è modo di sapere se la collisione avverrà per certo oppure no; la velocità radiale della Galassia di Andromeda rispetto a quella della Via Lattea può essere misurata esaminando lo spostamento Doppler o le linee spettrali dalle stelle nella galassia, ma la velocità trasversa (o moto proprio, ossia la direzione effettiva) non può essere direttamente misurata. Per tal motivo, sebbene si sappia che la Galassia di Andromeda si avvicina alla nostra ad una velocità di circa 120 km/s, non si può prevedere con certezza se avverrà lo scontro oppure se le galassie si avvicineranno senza scontrarsi. La migliore stima indiretta della velocità indica un valore di meno di 100 km/s.[4] Questo suggerisce che almeno l'alone galattico delle galassie, escludendo dunque i dischi, collideranno. Il satellite Gaia, una sonda inviata dall'ESA nel 2013, misurerà la posizione delle stelle della galassia di Andromeda con sufficiente precisione da poter rilevare la velocità trasversa. Frank Summers, dello Space Telescope Science Institute, ha creato una visualizzazione CGI dell'evento, basato su ricerche condotte dalla Case Western Reserve University e dalla Harvard University. Per la Galassia di Andromeda questo tipo di collisioni di grande portata non sarebbero una novità: si crede infatti che in passato la galassia abbia conosciuto nel corso della sua vita almeno un'altra collisione. Si è ipotizzato inoltre che il nostro Sistema Solare verrà espulso per qualche tempo dalla nuova galassia; un evento simile non dovrebbe avere effetti negativi sul sistema. Cambiamenti come ogni sorta di disturbo al Sole o ai pianeti stessi sono da considerarsi di possibilità remota anche perché in quel momento il Sole si sarà già avviato da tempo verso la fase di gigante rossa o si sarà già dissolto in una nebulosa planetaria. Per la galassia gigante che ne risulterebbe da questo scontro sono stati proposti diversi nomi, tra cui Lattomeda (in inglese, Milkomeda). 

Nebulose

Una nebulosa (dal latino nebula, nuvola) è un agglomerato interstellare di polvere, idrogeno e plasma. Originariamente il termine nebulosa veniva impiegato per indicare un qualsiasi oggetto astronomico di grandi dimensioni di natura non stellare né planetaria né cometaria, quindi comprendeva anche quelle che oggi sono note come galassie (per esempio, la Nebulosa di Andromeda faceva riferimento alla Galassia di Andromeda prima che le galassie venissero scoperte da Edwin Hubble). Alcune nebulose sono caratterizzate dall'ospitare al loro interno fenomeni di formazione stellare, come le nubi molecolari, le nebulose oscure e le regioni H II; altre, come le nebulose a riflessione, brillano della luce emessa da una stella che transita al loro interno, come NGC 1435 che circonda la stella Merope delle Pleiadi. Altre nebulose ancora si originano a seguito della morte di una stella, come le nebulose planetarie o i resti di supernova.  Molte nebulose si formano grazie al collasso gravitazionale del gas presente nel mezzo interstellare. Mentre la materia collassa sotto il proprio peso, al centro si possono formare delle stelle massive che ionizzano il gas circostante con la loro radiazione ultravioletta, creando del plasma (il quarto stato della materia). Un esempio di questo tipo di nebulosa sono la Nebulosa Rosetta o la Nebulosa Pellicano. Le dimensioni di queste nebulose variano in base alla grandezza originaria della nuvola di gas. Alcune nebulose sono il risultato dell'esplosione di una supernova. La materia scagliata via dall'esplosione viene ionizzata dai residui della supernova. Il migliore esempio di questo tipo di nebulosa è la Nebulosa del Granchio nella costellazione del Toro. È il risultato della supernova SN 1054, registrata nel 1054. il centro della nebulosa è una stella di neutroni creata durante l'esplosione. Altre nebulose possono diventare nebulose planetarie. Questo è l'ultimo stadio della vita di una stella di bassa massa come il nostro Sole. Le stelle con una massa di 8-10 masse solari, si evolvono in gigante rossa e lentamente perdono i loro strati esterni durante le pulsazioni nella loro atmosfera. Quando una stella ha perso una quantità sufficiente di materia, la sua temperatura aumenta e la radiazione ultravioletta emessa è capace di ionizzare la nebulosa circostante che è stata spazzata via. La maggior parte delle nebulose è diffusa e ciò significa che sono molto estese e che non hanno dei confini ben definiti. Nella luce visibile queste nebulose possono essere suddivise in nebulose a emissione e in nebulose a riflessione in base a come viene creata la luce che vediamo. Le nebulose a emissione contengono gas ionizzato (per la maggior parte idrogeno ionizzato) che produce linee spettrali di emissione. Spesso vengono denominate Regioni H II che deriva dal linguaggio professionale degli astronomi riferendosi all'idrogeno ionizzato. A differenza delle nebulose a emissione, quelle a riflessione non producono propria luce visibile a sufficienza, ma riflettono invece la luce delle stelle nelle vicinanze. La nebulosa oscura è simile alla nebulosa diffusa, ma non è visibile grazie alla propria luce emessa oppure grazie alla luce riflessa. Esse si manifestano come delle nuvole nere di fronte a stelle più distanti o nebulose a emissione. Nonostante queste nebulose sembrino diverse viste nelle varie lunghezze d'onda ottiche, esse brillano tutte se osservate nell'infrarosso. Questa radiazione arriva dalla polvere della nebulosa. Oltre alle nebulose diffuse che non hanno confini ben definiti, esistono alcune nebulose che possono essere descritte come degli oggetti con confini identificabili. Le nebulose planetarie sono nebulose che si formano dal gas espulso dalle stelle a bassa massa quando si trasformano in nane bianche. Queste nebulose sono a emissione con radiazione spettrale simile a quella trovata nelle regioni di formazione stellare. Tecnicamente, esse sono delle regioni H II in quanto la maggior parte dell'idrogeno sarà ionizzato. Tuttavia, le nebulose planetarie sono più dense e più compatte delle nebulose a emissione. I primi astronomi che osservarono questi oggetti pensarono che le nebulose somigliassero ai dischi di pianeti, nonostante non siano per niente relazionati ai pianeti. Da qui l'origine del nome nebulosa planetaria. La nebulosa protoplanetaria è un oggetto astronomico che si presenta durante il breve stadio delle ultime fasi dell'evoluzione stellare, quando la stella generatrice si trova tra il ramo asintotico delle giganti e la fase di nana bianca. Le nebulose protoplanetarie emettono una forte radiazione infrarossa e costituiscono un tipo particolare di nebulosa a riflessione. Si tratta della penultima fase evolutiva ad alta luminosità nel ciclo vitale delle stelle di massa intermedia. Una supernova si forma quando una stella di grande massa raggiunge la fine della sua vita. Al termine della fusione nucleare che avviene nel nucleo, la stella collassa su se stessa. Il gas che sta cadendo può rimbalzare oppure si può surriscaldare espandendosi verso l'esterno, causando l'esplosione della stella. L'espansione del gas forma un Resto di supernova che è un tipo speciale di nebulosa diffusa. 

Approfondiamo: nebulose notevoli

Una nebulosa planetaria è una nebulosa ad emissione costituita da un involucro incandescente di gas ionizzato in espansione, espulso durante la fase asintotica delle giganti di alcuni tipi di stelle nella fase finale della loro vita. Il termine assegnato a questa classe di oggetti, che non è molto appropriato, ebbe origine negli anni 1780 con l'astronomo William Herschel al quale questi oggetti, dopo averli osservati attraverso il suo telescopio, sembrarono dei sistemi planetari in fase di formazione. Gli astronomi adottarono per questi oggetti il nome dato da Herschel, senza modificarlo successivamente, anche se le nebulose planetarie non hanno nulla a che vedere con i pianeti del sistema solare. Le nebulose planetarie spesso contengono stelle, ma non contengono pianeti visibili. Si tratta di un fenomeno relativamente breve, della durata di poche decine di migliaia di anni, rispetto alla tipica durata stellare di diversi miliardi di anni. Si ritiene che il meccanismo di formazione di molte nebulose sia il seguente: al termine della vita della stella, durante la fase di gigante rossa, gli strati esterni della stella vengono espulsi tramite pulsazioni e forti venti stellari. Il nucleo caldo e luminoso emette una radiazione ultravioletta che ionizza gli strati esterni espulsi della stella. Questo involucro di gas nebulare altamente energetico re-irradia l'energia ultravioletta assorbita e appare come una nebulosa planetaria. Le nebulose planetarie svolgono un ruolo cruciale per la evoluzione chimica delle galassie, restituendo materiale al medium interstellare che è stato arricchito di elementi pesanti e di altri prodotti della nucleosintesi, come carbonio, azoto, ossigeno e calcio. In galassie più lontane, le nebulose planetarie potrebbero essere gli unici oggetti a fornire utili informazioni sull'abbondanza chimica. Negli ultimi anni, le immagini del Telescopio Spaziale Hubble hanno rivelato che diverse nebulose planetarie hanno morfologie estremamente complesse e differenziate. Circa un quinto sono più o meno sferiche, ma la maggior parte non sono sfericamente simmetriche. I meccanismi che producono una tale varietà di forme e caratteristiche non sono ancora ben compresi, ma le stelle binarie centrali, i venti stellari e i campi magnetici potrebbero avere un ruolo. Le nebulose planetarie sono in genere oggetti deboli, nessuna è visibile a occhio nudo. La prima nebulosa planetaria scoperta fu la Nebulosa Manubrio nella costellazione della Volpetta, osservata da Charles Messier nel 1764, elencata come M27 nel suo catalogo di oggetti nebulosi.[4] Ai primi telescopi a bassa risoluzione, M27 e le nebulose planetarie scoperte successivamente, sembravano pianeti giganti come Urano; infine, William Herschel, scopritore di questo pianeta, coniò per esse il termine 'nebulose planetarie'. Herschel pensò che gli oggetti fossero stelle circondate da materiale che si stava condensando in pianeti, mentre ora si sa che si tratta di stelle morte che avrebbero incenerito eventuali pianeti orbitanti. La natura delle nebulose planetarie rimase sconosciuta fino alle prime osservazioni spettroscopiche, effettuate a metà del XIX secolo. William Huggins fu uno dei primi astronomi a studiare gli spettri ottici degli oggetti astronomici, utilizzando un prisma per disperdere la loro luce. Egli fu il primo, il 29 agosto 1864, ad ottenere lo spettro di una nebulosa planetaria, analizzando NGC 6543. Le sue osservazioni sulle stelle mostrarono che i loro spettri consistevano di un continuum con molte linee scure sovrapposte; inoltre egli scoprì che molti oggetti nebulosi come la Nebulosa di Andromeda (come era conosciuta allora) avevano spettri che erano molto simili a questo; successivamente fu dimostrato che queste nebulose erano galassie. Tuttavia, quando osservò la Nebulosa Occhio di Gatto, trovò uno spettro molto diverso. Piuttosto che di un continuum con righe di assorbimento sovrapposte, la Nebulosa Occhio di Gatto e altri oggetti simili mostravano solo un piccolo numero di linee di emissione.[5] La più brillante di queste era alla lunghezza d'onda di 500,7 nanometri, che non corrispondeva a una linea di alcun elemento conosciuto. In un primo momento si ipotizzò che la linea potesse essere dovuta a un elemento sconosciuto, che fu chiamato nebilium; un'idea simile aveva portato alla scoperta dell'elio attraverso l'analisi dello spettro del Sole nel 1868. Mentre l'elio fu isolato sulla Terra subito dopo la sua scoperta nello spettro del Sole, così non fu per il nebulium. Nei primi anni del XX secolo, Henry Norris Russell propose che la linea a 500,7 nm fosse dovuta a un elemento familiare in condizioni non familiari, piuttosto che essere un nuovo elemento. Negli anni 1920, i fisici dimostrarono che in un gas a densità estremamente bassa, gli elettroni in atomi e ioni possono popolare per tempi relativamente lunghi livelli energetici in stato metastabile eccitato che ad alte densità sarebbero rapidamente diseccitati da collisioni. In ioni di azoto e ossigeno (O2+, O III o O+, e N+) le transizioni degli elettroni da questi livelli metastabili danno origine alla linea di 500,7 nm e ad altre linee. Queste righe spettrali, che possono essere osservate solo in gas a densità molto bassa, si chiamano linee proibite. Le osservazioni spettroscopiche mostrarono così che le nebulose erano fatte di gas estremamente rarefatto. Le stelle centrali delle nebulose planetarie sono molto calde e dense. Dopo aver esaurito la maggior parte del proprio combustibile nucleare, una stella può collassare in una nana bianca, in cui la materia si trova in uno stato degenere. Le nebulose planetarie sono state quindi considerate come la fase finale dell'evoluzione stellare delle stelle di massa media e piccola. Le osservazioni spettroscopiche mostrano che tutte le nebulose planetarie sono in espansione. Questo ha portato all'idea che le nebulose planetarie sono formate dagli strati esterni di una stella scagliati nello spazio alla fine della propria vita. Verso la fine del XX secolo, i progressi tecnologici hanno contribuito a favorire lo studio delle nebulose planetarie. I telescopi spaziali hanno permesso agli astronomi di studiare la luce emessa in lunghezze d'onda differenti da quelle dello spettro visibile non rilevabili da osservatori collocati sulla Terra (perché solo le onde radio e la luce visibile penetrano l'atmosfera terrestre). Studi sulle radiazioni infrarosse e ultraviolette delle nebulose planetarie hanno permesso di determinare in modo più accurato temperature, densità e abbondanze chimiche. La tecnologia CCD ha permesso di misurare con maggior precisione rispetto al passato le linee spettrali più deboli. Il telescopio spaziale Hubble ha mostrato anche che, mentre diverse nebulose sembrano avere strutture semplici e regolari, molte altre rivelano morfologie estremamente complesse. Stelle più massicce di 8 masse solari (M⊙) finiscono la loro vita con una spettacolare esplosione di supernova. Una nebulosa planetaria invece può essere il risultato della morte di stelle di massa compresa fra 0,8 e 8 M⊙. Le stelle passano la maggior parte della loro vita emettendo energia dovuta alle reazioni di fusione nucleare che convertono l'idrogeno in elio nel nucleo della stella. La pressione verso l'esterno esercitata dalla fusione nel nucleo bilancia il collasso verso l'interno dovuto alla gravità della stella stessa. Tale fase è chiamata sequenza principale. Stelle di massa piccola/intermedia esauriscono l'idrogeno nei loro nuclei dopo da decine di milioni a miliardi di anni di permanenza nella sequenza principale. Attualmente il nucleo solare ha una temperatura di circa 15 milioni di K, ma all'esaurimento dell'idrogeno, la compressione del nucleo produrrà un aumento della temperatura fino a circa 100 milioni di K. Quando ciò accade, gli strati esterni della stella si espandono enormemente raffreddandosi in modo considerevole: la stella diventa così una gigante rossa. Quando il nucleo si è sufficientemente contratto da raggiungere una temperatura di 100 milioni di K, i nuclei di elio cominciano a fondersi in carbonio e ossigeno. La ripresa delle reazioni di fusione ferma la contrazione del nucleo. La fusione dei nuclei di elio forma da subito un nucleo inerte di carbonio e ossigeno, circondato da un involucro di elio che fonde e da un altro con idrogeno che fonde. In quest'ultima fase la stella entra nel ramo asintotico delle giganti. Le reazioni di fusione dell'elio sono estremamente sensibili alla temperatura, con velocità di reazione proporzionali a T40 (a temperature relativamente basse). Ciò significa che un semplice aumento del 2% della temperatura fa più che raddoppiare la velocità di reazione. Queste condizioni fanno diventare la stella molto instabile, così che un piccolo aumento di temperatura porta ad un rapido aumento della velocità delle reazioni, con conseguente rilascio di molta energia e aumento ulteriore della temperatura. A causa di ciò lo strato di elio in combustione si espande rapidamente e quindi si raffredda nuovamente, il che riduce la velocità di reazione. Si creano enormi pulsazioni, che alla fine diventano talmente ampie che l'atmosfera stellare viene espulsa nello spazio. I gas espulsi formano una nube di materiale attorno al nucleo ora esposto della stella. Più l'atmosfera si allontana dalla stella, più vengono esposti strati profondi a temperature maggiormente elevate. Quando la superficie esposta raggiunge una temperatura di 30.000 K circa, i fotoni ultravioletti emessi sono sufficienti a ionizzare l'atmosfera espulsa, rendendola incandescente. La nube è così diventata una nebulosa planetaria. Dopo che la stella è passata per il ramo asintotico delle giganti (AGB), la breve fase di nebulosa planetaria ha inizio allorché i gas si allontanano dalla stella centrale ad una velocità di pochi chilometri al secondo. La stella centrale è il residuo del suo progenitore AGB, un nucleo degenere di carbonio-ossigeno, che ha perso gran parte del suo involucro di idrogeno a causa della perdita di massa durante la fase AGB. Quando i gas si espandono, la stella centrale subisce una trasformazione in due fasi. In un primo tempo, mentre continua a contrarsi e si verificano reazioni di fusione dell'idrogeno nel guscio intorno al nucleo, diventa più calda; poi lentamente, una volta che l'idrogeno del guscio si esaurisce attraverso la fusione e la perdita di massa, si raffredda. Nella seconda fase, irradia la sua energia e le reazioni di fusione cessano, in quanto la stella centrale non è abbastanza pesante per generare temperature interne richieste per fondere il carbonio e l'ossigeno. Durante la prima fase la stella centrale mantiene una luminosità costante, mentre, allo stesso tempo, la sua temperatura si innalza fino a raggiungere i 100.000 K circa. Nella seconda fase, si raffredda fino a non riuscire più ad emettere una radiazione ultravioletta sufficiente a ionizzare la nube di gas sempre più distante. La stella diventa una nana bianca, e la nube di gas in espansione diventa a noi invisibile, terminando così la fase di nebulosa planetaria. Per una tipica nebulosa planetaria, passano 10.000 anni circa tra la sua formazione e la fine della sua fase di visibilità. Le nebulose planetarie svolgono un ruolo molto importante nell'evoluzione galattica. All'inizio l'universo era costituito quasi interamente da idrogeno ed elio. Col tempo, le stelle creano elementi più pesanti attraverso la fusione nucleare. I gas delle nebulose planetarie pertanto contengono grandi quantità di carbonio, azoto e ossigeno e, mentre si espandono mischiandosi al mezzo interstellare, lo arricchiscono con questi elementi pesanti, chiamati metalli dagli astronomi. Le successive generazioni di stelle che si vanno a formare avranno quindi un maggior contenuto iniziale di elementi più pesanti. Nonostante gli elementi pesanti costituiscano una componente molto piccola della stella, hanno un marcato effetto sulla sua evoluzione. Stelle che si sono formate molto presto nell'universo e contengono piccole quantità di elementi pesanti sono conosciute come stelle di Popolazione II, mentre le più giovani stelle a più alto contenuto di elementi pesanti sono conosciute come stelle di Popolazione I. Una tipica nebulosa planetaria ha un diametro di circa un anno luce, ed è costituita da gas estremamente rarefatto, generalmente con una densità da 100 a 10.000 particelle per cm³. (In confronto, l'atmosfera della Terra contiene 2,5 x 1019 particelleper cm³.) Le nebulose planetarie più giovani hanno una densità più alta, a volte fino al 106 particelle per cm³. Con l'andare del tempo, l'espansione delle nebulose provoca una diminuzione della loro densità. La massa delle nebulose planetarie varia da 0,1 a 1 masse solari. La radiazione dalla stella centrale riscalda i gas a temperature di circa 10.000 K. La temperatura del gas nelle regioni centrali è solitamente molto superiore a quella nella periferia raggiungendo 16.000-25.000 K. Il volume in prossimità della stella centrale è spesso riempito con un gas molto caldo (coronale) avente una temperatura di circa 1.000.000 K. Questo gas proviene dalla superficie della stella centrale in forma di vento stellare veloce. Le nebulose possono essere descritte come materia delimitata o radiazione delimitata. Nel primo caso, non c'è abbastanza materia nella nebulosa per assorbire tutti i fotoni UV emessi dalla stella, e la nebulosa visibile è completamente ionizzata. Nel secondo caso, non vi sono abbastanza fotoni UV emessi dalla stella centrale per ionizzare tutto il gas circostante, e un fronte di ionizzazione si propaga verso l'esterno nell'involucro circumstellare neutro. Nella nostra galassia si conoscono tuttora circa 3000 nebulose planetarie, su 200 miliardi di stelle. La loro durata di vita molto breve rispetto a quella delle stelle ne spiega il numero esiguo. Si trovano per lo più vicino al piano della Via Lattea, con maggiore concentrazione in prossimità del centro galattico. Solo il 20% delle nebulose planetarie sono sfericamente simmetriche (come ad esempio Abell 39). Esiste una notevole varietà di forme, alcune delle quali molto complesse. Possono essere classificate in: stellari, discoidali, anulari, irregolari, elicoidali, bipolari, quadrupolari, e altro ancora, anche se la maggior parte appartengono a tre sole tipologie: sferica, ellittica e bipolare. Le nebulose dell'ultimo tipo mostrano la più forte concentrazione sul piano galattico e le loro progenitrici sono quindi stelle massicce relativamente giovani. D'altra parte le nebulose sferiche sono probabilmente prodotti da vecchie stelle simili al Sole. La grande varietà di forme è in parte dovuta all'effetto prospettiva: la stessa nebulosa vista sotto punti di vista diversi avrà aspetti diversi. Tuttavia, il motivo della grande varietà di forme fisiche non è pienamente compreso, anche se potrebbe essere causato da interazioni gravitazionali con stelle compagne nel caso le stelle centrali siano stelle doppie. Un'altra possibilità è che i pianeti interrompono il flusso di materiale proveniente dalla stella quando la nebulosa si forma. È stato stabilito che stelle più massicce producono nebulose di forma più irregolare. Nel gennaio 2005, alcuni astronomi hanno annunciato il rilevamento di campi magnetici intorno alle stelle centrali di due nebulose planetarie, ipotizzando che essi possano essere in parte o del tutto responsabili per le loro forme particolari. Nebulose planetarie sono state individuate in quattro ammassi globulari: Messier 15, Messier 22, NGC 6441 e Palomar 6, mentre c'è tuttora un solo caso accertato di nebulosa planetaria scoperta in un ammasso aperto. In parte a causa della loro piccola massa totale, gli ammassi aperti hanno relativamente scarsa coesione gravitazionale. Di conseguenza, essi tendono a disperdersi dopo un tempo relativamente breve, tipicamente 100-600 milioni di anni, a causa di influenze gravitazionali esterne o di altri fattori. In condizioni eccezionali, gli ammassi aperti possono rimanere intatti fino a un miliardo di anni o più. I modelli teorici prevedono che le nebulose planetarie possono formarsi da stelle che nella sequenza principale possiedono una massa comprese tra 0,8 e 8 masse solari: la vita minima di tali stelle è 40 milioni di anni. Anche se si conoscono alcune centinaia di ammassi aperti aventi più di 40 milioni di anni, una serie di ragioni limitano le probabilità di trovare un membro di un ammasso aperto nella fase di nebulosa planetaria. Una di queste è che la fase di nebulosa planetaria per stelle più massicce appartenenti agli ammassi più giovani è dell'ordine di migliaia di anni, un tempo brevissimo su scala astronomica. Un problema di lunga data nello studio di nebulose planetarie è che, nella maggior parte dei casi, le loro distanze sono determinate in modo molto approssimativo. Per le nebulose planetarie più vicine, è possibile determinare la distanza misurando la loro parallasse di espansione. Osservazioni ad alta risoluzione prese a diversi anni di distanza permettono di valutare l'espansione angolare raggiunta dalla nebulosa in direzioni perpendicolari alla linea di vista, mentre osservazioni spettroscopiche dell'effetto Doppler rivelano la velocità di espansione sulla linea di vista. Confrontando l'espansione angolare con la velocità di espansione, si ottiene la distanza della nebulosa. La questione di come una tale vasta gamma di forme nebulari può essere prodotta è un argomento controverso. Si ritiene che le interazioni tra il materiale che si allontana dalla stella a differenti velocità diano luogo alla varietà di forme osservate. Tuttavia, alcuni astronomi ritengono che la presenza di stelle centrali doppie sia responsabile della forma delle nebulose planetarie più complesse. Alcune hanno dimostrato di ospitare forti campi magnetici: le interazioni magnetiche con il gas ionizzato potrebbero avere un ruolo nel modellare alcune nebulose planetarie. Ci sono due metodi per determinare le abbondanze di metalli nelle nebulose, che si basano su due diversi tipi di linee spettrali: linee di ricombinazione e linee eccitate dalle collisioni. Discrepanze di grandi dimensioni sono a volte viste tra i risultati ottenuti dai due metodi. Alcuni astronomi spiegano ciò con la presenza di piccole variazioni di temperatura all'interno delle nebulose planetarie; altri sostengono che le differenze sono troppo grandi per essere spiegate con gli effetti della temperatura, e ipotizzano l'esistenza di nodi freddi contenenti un'esigua quantità di idrogeno per spiegare le osservazioni. Tuttavia, tali nodi non sono ancora stati osservati. Una nebulosa protoplanetaria (da non confondere con il disco protoplanetario), è un oggetto astronomico che si presenta durante il breve stadio delle ultime fasi dell'evoluzione stellare, quando la stella generatrice si trova tra il ramo asintotico delle giganti e la fase di nana bianca. Le nebulose protoplanetarie emettono forte radiazione infrarossa, e costituiscono un tipo particolare di nebulosa a riflessione. Si tratta della penultima fase evolutiva ad alta luminosità nel ciclo vitale delle stelle di massa intermedia (1-8 M☉). Il nome nebulosa protoplanetaria si rivela una scelta sfortunata, in quanto è frequente confondere questo nome con quello del disco protoplanetario; l'origine del nome è dovuta alla modifica del già noto nome nebulosa planetaria, che fu inizialmente scelto dagli astronomi per identificare tutte le nebulose dall'aspetto circolare o anulare che all'osservazione tramite telescopio mostravano un aspetto simile a quello dei pianeti gassosi Urano e Nettuno. Per evitare ulteriori confusioni, alcuni astronomi nel 2005 hanno suggerito di nominare queste nebulose nebulose preplanetarie. Durante la fase asintotica di gigante, quando la perdita di massa riduce la massa dell'involucro di idrogeno a 10-2 M☉, con una massa del centro di 0,60 M☉, la stella inizia ad evolvere verso la parte blu del diagramma di Hertzsprung-Russell. Quando l'idrogeno è stato ridotto infine intorno a 10-3 M☉, l'involucro sarà così dissolto che si crede non sia possibile che continui a perdere massa su grande scala. A tal punto, la temperatura della stella sarà intorno ai 5.000 K: questa fase è definita come la fine dello stadio asintotico di gigante e l'inizio della fase di nebulosa protoplanetaria. Durante la fase di nebulosa protoplanetaria, la temperatura effettiva della stella centrale continuerà a salire, come risultato della perdita di massa dell'involucro e come conseguenza della fusione nucleare dell'idrogeno. Durante questa fase, la stella centrale è troppo fredda per ionizzare l'involucro a lenta rotazione che circonda la stella espulso in precedenza. Tuttavia, sembra che la stella emetta un forte vento stellare che collide con l'involucro stesso, plasmandolo; infine, è la stessa nebulosa protoplanetaria che darà la forma alla futura nebulosa planetaria. Durante la fase del distacco dal precedente stato di gigante, la forma di quest'involucro cambia da una struttura simmetrica approssimativamente sferica ad una a simmetria assiale; la forma risultante sarà quindi una nebulosa bipolare, con dei getti di gas simili a quelli visibili sugli oggetti HH. La fase di protonebulosa planetaria continua finché la stella centrale non raggiunge la temperatura di circa 30.000 k, e la sua temperatura sia così sufficiente da ionizzare la nebulosa che la circonda (i gas espulsi), diventando così un tipo di nebulosa ad emissione noto come nebulosa planetaria. Questa transizione deve aver luogo in meno di 10.000 anni, altrimenti la densità della nube ricadrà al di sotto della fascia adatta alla formazione delle nebulose planetarie. In astronomia, un resto di supernova (SNR dalla dizione inglese Supernova remnant) è il materiale lasciato dalla gigantesca esplosione di una supernova. Questo può accadere in due modi: quando una stella molto massiccia termina il suo combustibile nucleare, e collassa su se stessa sotto l'azione della propria forza di gravità, oppure quando una nana bianca accumula abbastanza materiale da una stella compagna da raggiungere la massa critica e fa la stessa fine. In entrambi i casi, l'esplosione risultante espelle con molta forza la maggior parte o forse tutta la materia che componeva la stella. Nel caso dell'esplosione di una stella massiccia, il nucleo della stella può collassare così rapidamente da formare un oggetto estremamente compatto formato da materia degenere. Si tratta generalmente di una stella di neutroni o a volte di un buco nero, a cui ci si riferisce come resto di supernova compatto. In tutte le esplosioni, gli strati esterni della stella sono espulsi all'esterno ad una velocità di migliaia di chilometri al secondo, dando luogo a una nube di gas e polveri in espansione. Questa nube, che raccoglie anche il mezzo interstellare precedentemente esistente nella zona di espansione, e che è spesso attraversata da onde d'urto generate dall'esplosione stessa o dall'interazione tra la nube e il mezzo interstellare, è detta resto di supernova diffuso. Il resto di supernova compatto, quando esiste, dovrebbe trovarsi al centro di quello diffuso, ed in alcuni casi è così (come nel caso della Nebulosa del Granchio e della Nebulosa delle Vele). Spesso però l'esplosione è asimmetrica: il grosso del gas va da una parte e l'oggetto compatto viene "sparato" nell'altra direzione con velocità che possono superare i 200 km/s. In tal caso l'oggetto compatto esce rapidamente (poche centinaia o migliaia di anni) dal resto di supernova diffuso e diventa difficile mettere in relazione i due oggetti. Un resto di supernova diffuso è un oggetto effimero: in poche migliaia di anni si dissolve nel mezzo interstellare, che arricchisce degli elementi pesanti prodotti nel corso della vita della stella, e scompare. Nonostante ciò, i resti osservabili sono numerosi, perché le supernovae esplodono al ritmo di una ogni qualche decina d'anni nella nostra galassia. Gli oggetti compatti, invece, sono immortali o quasi. Il resto di supernova più famoso e più osservato con telescopi professionali, anche se piuttosto difficile da osservare a causa della sua grande lontananza, è quello della Supernova 1987a, la cui esplosione è stata visibile dalla Terra il 23 febbraio 1987, nella Grande Nube di Magellano, alla distanza di 168 000 anni luce. Molto più vicina è la Nebulosa del Granchio, resto di un'esplosione rilevata nell'anno 1054 e registrata dagli astronomi cinesi, con al centro una giovane stella di neutroni. 

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