Stelle di Neutroni e Buchi neri

Le stelle sono i primi oggetti che notiamo quando osserviamo il cielo notturno. Sembrano tutte uguali, ma, in realtà, ne esistono di diversi tipi. Le più grandi terminano la loro vita in modo spettacolare, lasciando al loro posto, dei cadaveri stellari dalle proprietà inquietanti... A seconda della massa della stella, dopo la sua morte, essa può dar vita a una stella di neutroni o a un buco nero. Ma di cosa si tratta? Seguiteci su Eagle sera per saperne di più!



Le supernove

Una supernova (plurale supernove, in latino supernovae; abbreviata come SN o SNe) è un'esplosione stellare più energetica di quella di una nova. Le supernove sono molto luminose e causano una emissione di radiazione che può per brevi periodi superare quella di una intera galassia. Durante un intervallo di tempo che può andare da qualche settimana a qualche mese, una supernova emette tanta energia quanta è previsto che ne emetta il Sole durante la sua intera esistenza e, per una quindicina di secondi, raggiunge una temperatura di cento miliardi di Kelvin, ma perché ciò avvenga, la stella deve avere una massa almeno nove volte superiore a quella del nostro Sole. L'esplosione espelle la maggior parte o tutto il materiale che costituisce la stella a velocità che possono arrivare a 30 000 km/s (10% della velocità della luce), producendo un'onda d'urto che si diffonde nel mezzo interstellare. Ciò si traduce in una bolla di gas in espansione che viene chiamata resto di supernova. Il termine nova, che significa "nuova" in latino, si riferisce a ciò che appare essere una nuova stella brillante nella volta celeste. Il prefisso "super-" distingue le supernove dalle nove ordinarie che sono molto meno luminose. La parola supernova fu utilizzata per la prima volta da Walter Baade e Fritz Zwicky nel 1931. Le supernove possono essere innescate in due modi: o tramite la riaccensione improvvisa dei processi di fusione nucleare in una stella degenere o tramite il collasso del nucleo di una stella massiccia. Nonostante nessuna supernova sia stata osservata nella Via Lattea da SN 1604, i resti di supernova esistenti indicano che eventi di questo tipo occorrono mediamente circa tre volte ogni secolo nella nostra galassia. Essi giocano un ruolo significativo nell'arricchimento del mezzo interstellare di elementi chimici pesanti. Inoltre, la bolla di gas in espansione creata dall'esplosione può portare alla formazione di nuove stelle. L'interesse di Ipparco di Nicea per le stelle fisse potrebbe essere stato ispirato dall'osservazione di una supernova, almeno secondo quanto riferisce Plinio il Vecchio. La prima testimonianza scritta di una supernova riguarda SN 185, che fu osservata dagli astronomi cinesi nel 185 d.C.. La supernova più brillante di cui si abbia notizia è SN 1006, che fu dettagliatamente descritta da astronomi cinesi e islamici. La supernova SN 1054, anch'essa minuziosamente osservata, risultò nella Nebulosa Granchio. Le supernove SN 1572 e SN 1604, le ultime a essere state osservate nella Via Lattea, ebbero un notevole impatto sullo sviluppo delle teorie astronomiche in Europa perché esse dimostrarono che l'idea aristotelica che il cielo stellato fosse qualcosa di immutabile non era corretta[14]. Giovanni Keplero iniziò ad osservare SN 1604 il 17 ottobre 1604: era la seconda supernova osservabile durante la sua generazione, dopo che SN 1572 era stata osservata da Tycho Brahe in direzione della costellazione di Cassiopea. Dopo il miglioramento delle tecniche di costruzione dei telescopi, si cominciò ad osservare supernove appartenenti ad altre galassie, a cominciare dal 1885, quando S Andromedae fu osservata nella galassia di Andromeda. Il nome super-nova fu usato per la prima volta nel 1931 da Walter Baade e Fritz Zwicky durante una conferenza tenuta al Caltech e poi nel 1933 durante un congresso della American Physical Society. Nel 1938 il trattino fu lasciato cadere e il nome moderno cominciò ad essere utilizzato. Poiché le supernove sono eventi relativamente rari, perfino all'interno di una intera galassia (per esempio all'interno della Via Lattea ne occorre uno ogni 30 anni circa), per raccogliere un numero di campioni sufficientemente ampio è necessario monitorare un numero elevato di galassie. Una supernova non può essere predetta con sufficiente margine di accuratezza. Di solito, quando sono scoperte, l'esplosione è già in corso. Molti degli interessi scientifici che le supernove rivestono - per esempio, come candele standard per la misurazione delle distanze - richiedono che venga osservato il picco di luminosità. È perciò importante cominciare ad osservare la supernova prima che essa raggiunga il picco. Gli astronomi non professionisti, essendo in numero molto maggiore rispetto a quelli professionisti, giocano un ruolo importante nella scoperta precoce delle supernove, soprattutto mediante l'osservazione di galassie vicine mediante telescopi ottici e mediante il confronto con immagini pregresse. Verso la fine del novecento gli astronomi hanno cominciato a utilizzare sempre più massicciamente telescopi e CCD controllati da computer per rilevare le supernove. Anche se questi sistemi sono popolari presso gli astronomi dilettanti, esistono anche installazioni professionali come il Katzman Automatic Imaging Telescope. Il Supernova Early Warning System (SNEWS) è invece una rete di rilevatori di neutrini progettata per dare un avviso precoce di una supernova nella nostra galassia. I neutrini sono particelle subatomiche che vengono prodotte in modo massiccio durante l'esplosione di una supernova e che, non interagendo in maniera significativa con il mezzo interstellare, arrivano sulla Terra in grande quantità. Alcuni studi precoci su quella che era allora creduta essere semplicemente una nuova categoria di novae furono condotti negli anni trenta da Walter Baade e Fritz Zwicky presso l'osservatorio di Monte Wilson. Gli astronomi americani Rudolph Minkowski e Fritz Zwicky dal 1941 cominciarono a sviluppare lo schema della moderna classificazione delle supernove. Durante il XX secolo sono stati elaborati modelli per i differenti tipi di supernove osservabili e la comprensione della loro importanza nei processi di formazione stellare sta crescendo. Negli anni sessanta gli astronomi scoprirono che le esplosioni delle supernove potevano essere utilizzate come candele standard, utilizzabili come indicatrici di distanze astronomiche. In particolare le supernove forniscono importanti informazioni sulle distanze cosmologiche. Alcune delle supernove più distanti osservate recentemente appaiono più deboli di quanto ci si aspetterebbe. Ciò supporta l'ipotesi che l'espansione dell'universo stia accelerando. Per ricostruire le date in cui sono avvenute le supernove di cui non si hanno testimonianze scritte sono state sviluppate diverse tecniche: la data di Cassiopeia A è stata determinata dalla eco luminosa prodotta dall'esplosione mentre l'età del resto di supernova RX J0852.0-4622 è stata stimata mediante misurazioni relative alla sua temperatura e all'emissione di raggi gamma prodotti dal decadimento del titanio-44. Nel 2009 nei ghiacci antartici sono stati scoperti nitrati il cui deposito è avvenuto in corrispondenza della comparsa di supernove passate[32][33]. I programmi di ricerca per le supernove sono di due tipi: i primi sono rivolti a eventi relativamente vicini, i secondi a eventi più lontani. A causa dell'espansione dell'universo la distanza di oggetti remoti può essere conosciuta misurando l'effetto Doppler esibito dal loro spettro (ossia il loro spostamento verso il rosso): in media gli oggetti più distanti recedono a velocità maggiori e quindi hanno un maggiore spostamento verso il rosso. La ricerca quindi si divide fra supernove a grande o piccolo spostamento verso il rosso; la divisione fra queste due classi cade più o meno nella fascia di spostamento compresa fra z = 0,1-0,3. La ricerca sulle supernove a grande spostamento verso il rosso si concentra solitamente sulla descrizione delle loro curve di luce; esse sono utili come candele standard al fine di fare predizioni di carattere cosmologico. Per l'analisi dello spettro di una supernova è invece più utile rivolgere la propria attenzione alle supernove a piccolo spostamento verso il rosso. Queste ultime risultano importanti anche per descrivere la parte vicina all'origine del diagramma di Hubble, che mette in relazione lo spostamento verso il rosso con la distanza delle galassie visibili. La scoperta di una nuova supernova viene comunicata al Central Bureau for Astronomical Telegrams della Unione Astronomica Internazionale che provvede a diffondere una circolare in cui le viene assegnato un nome. Esso è composto dalla sigla SN seguita dall'anno della scoperta e da un suffisso di una o due lettere. Le prime 26 supernove dell'anno ricevono le lettere maiuscole dalla A alla Z; quelle successive sono designate mediante suffissi di due lettere minuscole: aa, ab, e così via. Per esempio, SN 2003C designa la terza supernova annunciata nell'anno 2003. L'ultima supernova del 2012 è stata SN 2012ik, cioè è stata la 245ª ad essere scoperta. Dal 2000 gli astronomi professionisti e dilettanti hanno scoperto centinaia di supernove ogni anno (390 nel 2009, 341 nel 2010, 290 nel 2011). Le supernove osservate in epoche storiche non hanno suffisso, ma sono seguite solo dall'anno della scoperta: SN 185, SN 1006, SN 1054, SN 1572 (chiamata Nova di Tycho) e SN 1604 (stella di Keplero). Dal 1885 viene aggiunta una lettera alla notazione, anche se è stata osservata una sola supernova in quell'anno (per esempio, SN 1885A, SN 1907A, ecc.). Prima del 1987 raramente erano necessari suffissi di due lettere, ma dal 1988 essi sono sempre stati necessari. Le supernove sono state classificate sulla base delle caratteristiche della loro curva di luce e delle linee di assorbimento dei diversi elementi chimici che appaiono nei loro spettri. Una prima divisione viene effettuata sulla base della presenza o dell'assenza delle linee dell'idrogeno. Se lo spettro della supernova presenta tali linee (chiamate serie di Balmer nella porzione visibile dello spettro), essa viene classificata come di Tipo II; altrimenti è di Tipo I. Ognuna di queste due classi è a sua volta suddivisa in base alla presenza di altri elementi chimici o alla forma della curva di luce (cioè del grafico che rappresenta la magnitudine apparente dell'oggetto in funzione del tempo). Le supernove di Tipo I sono suddivise in base ai loro spettri: le supernove di tipo I-A mostrano le linee di assorbimento del silicio nei loro spettri, quelle di tipo I-B e I-C no. Le supernove di Tipo I-B esibiscono evidenti linee dell'elio neutro, contrariamente a quelle Tipo I-C. Le curve di luce sono simili, sebbene quelle di tipo Ia siano più luminose al loro picco. In ogni caso, la curva di luce non viene considerata un fattore importante nella classificazione delle supernove di tipo I. Un piccolo numero di supernove di Tipo I-A mostra caratteristiche non comuni come luminosità differenti da quelle delle altre supernove della loro classe o curve di luce allungate. Di solito, ci si riferisce a queste supernove collegandole al primo esemplare che ha manifestato delle anomalie. Per esempio, la supernova SN 2008ha, meno luminosa del normale, è classificata come di tipo SN 2002cx, dato che quest'ultima supernova è stata la prima, fra quelle osservate, a presentare queste caratteristiche. Anche le supernove di Tipo II possono essere suddivise in ragione dei loro spettri. La maggior parte di esse, infatti, mostra linee di emissione dell'idrogeno molto allargate, indicanti velocità di espansione molto elevate, dell'ordine di migliaia di chilometri al secondo; alcune, invece, come SN 2005gl, possiedono spettri aventi linee dell'idrogeno sottili e vengono chiamate supernove di Tipo IIn, dove n abbrevia la parola inglese narrow, che significa "stretto". Quelle che hanno linee dell'idrogeno allargate sono a loro volta suddivise sulla base della loro curva di luce. Quelle di tipo più comune hanno un caratteristico appiattimento della curva, poco dopo il picco; ciò sta a indicare che la loro luminosità resta quasi invariata per alcuni mesi prima di declinare definitivamente. Queste supernove sono designate con la sigla II-P, dove P abbrevia la parola plateau, che significa "altopiano". Meno comunemente le supernove con linee dell'idrogeno allargate mostrano un costante declino della luminosità dopo il picco. Esse sono designate con la sigla II-L, dove L abbrevia la parola linear, sebbene la curva di luce non sia in realtà una linea retta. Una piccola porzione delle supernove di Tipo II, come SN 1987K e SN 1993J, può cambiare il proprio tipo: esse mostrano, cioè, inizialmente linee dell'idrogeno, ma dopo qualche settimana o mese il loro spettro è dominato dall'elio. Il termine Tipo IIb viene utilizzato per designare queste supernove dato che esse combinano caratteristiche proprie delle supernove di Tipo II e di quelle di Tipo Ib. Alcune supernove, non riconducibili a nessuna delle classi precedenti, vengono designate con la sigla pec, abbreviazione di peculiar, che significa "strano", "insolito". La nomenclatura descritta sopra ha carattere solo tassonomico e descrive solo proprietà della luce emessa dalle supernove, non le loro cause. Ad esempio, le supernove di tipo I hanno progenitori differenti: quelle di tipo Ia sono prodotte dall'accrescimento di materiale su una nana bianca, mentre quelle di tipo Ib/c sono prodotte dal collasso del nucleo di massicce stelle di Wolf-Rayet. I paragrafi seguenti descrivono i modelli scientifici delle più plausibili cause di una supernova. Una nana bianca può ricevere materiale da una compagna mediante accrescimento o mediante fusione delle due componenti. La quantità di materiale ricevuto può essere tale da innalzare la temperatura del suo nucleo fino al punto di fusione del carbonio. A questo punto si innesca un runaway termico che disgrega completamente la nana bianca. Nella maggior parte dei casi il processo avviene mediante il lento accrescimento della nana bianca da parte di materiale costituito per lo più da idrogeno e in minima parte da elio. Siccome il punto di fusione è raggiunto da stelle aventi una massa quasi identica e una composizione chimica molto simile, le supernove di tipo Ia hanno proprietà molto simili e vengono utilizzate come candele standard per misurare distanze intergalattiche. È tuttavia spesso richiesto un qualche tipo di correzione che tenga conto delle anomalie nello spettro dovute al grande spostamento verso il rosso delle supernove più distanti o delle piccole variazioni di luminosità identificabili dalla forma della curva di luce o dallo spettro. Ci sono diversi modi in cui una supernova di questo tipo può formarsi, ma essi condividono il medesimo meccanismo di base. Se una nana bianca al carbonio-ossigeno accresce sufficiente materiale da raggiungere il limite di Chandrasekhar di 1,44 M☉, così da non essere più in grado mantenere il suo equilibrio termodinamico mediante la pressione degli elettroni degenerati, essa comincerà a collassare. Tuttavia le teorie attuali sostengono che in realtà il limite non viene mai raggiunto nei casi standard: il nucleo, infatti, giunge a condizioni di temperatura e densità sufficienti a innescare la detonazione del carbonio quando viene raggiunto il 99% del limite di Chandrasekhar e pertanto prima che il collasso abbia inizio. In pochi secondi, una frazione sostanziale della materia che costituisce la nana bianca viene fusa, liberando abbastanza energia (1-2 × 1044 joule da disgregare la stella in una supernova. Viene prodotta un'onda d'urto che si propaga a velocità dell'ordine di 5.000-20.000 km/s, circa il 3% della velocità della luce. Inoltre la luminosità della stella aumenta enormemente, raggiungendo la magnitudine assoluta −19,3 (5 miliardi di volte la luminosità del Sole), con piccole variazioni da una supernova all'altra. Ciò permette di utilizzare queste supernove come candele standard secondarie per misurare le distanze intergalattiche. Il modello per la formazione di questa categoria di supernove prevede un sistema binario stretto in cui la più la massiccia delle due componenti si sia evoluta fuoriuscendo dalla sequenza principale e diventando una gigante[58]. Ciò comporta che le due stelle condividano lo stesso inviluppo di gas, con un conseguente decadimento dell'orbita. La stella gigante perde a questo punto la maggior parte dei suoi strati superficiali, il che lascia scoperto il suo nucleo, composto principalmente di carbonio e ossigeno. La stella si è così trasformata in una nana bianca. L'altra stella in un secondo momento evolve anch'essa diventando a sua volta una stella gigante. Data la vicinanza fra le due componenti, parte del gas della gigante viene trasferito alla nana bianca, incrementando la sua massa. Sebbene questo modello generale sia ampiamente accettato, i dettagli esatti circa l'innesco del carbonio e circa gli elementi pesanti prodotti nell'esplosione non sono ancora chiari. Le supernove di Tipo Ia seguono una caratteristica curva di luce - il grafico che mostra la luminosità in funzione del tempo - dopo l'esplosione. La luminosità viene prodotta dal decadimento radioattivo del nichel-56 in cobalto-56 e di questo in ferro-56. Un altro modello per la formazione delle supernove di Tipo Ia è costituito dalla fusione di due nane bianche, la cui massa combinata supera il limite di Chandrasekhar. Le esplosioni prodotte da questo meccanismo di formazione sono molto differenti fra loro e in alcuni casi esso non conduce nemmeno alla formazione di una supernova, ma si assume che, quando una supernova viene prodotta, essa sia meno luminosa ma abbia una curva di luce più allungata rispetto alle supernove di Tipo Ia causate dal meccanismo standard. Supernove di Tipo Ia eccezionalmente luminose possono verificarsi quando la nana bianca ha una massa superiore al limite di Chandrasekhar. Quando ciò si verifica l'esplosione è asimmetrica[64] ma il materiale espulso ha una energia cinetica minore. Non esiste alcuna classificazione formale per le supernove di Tipo Ia non standard. Una supernova di tipo Ia è una tipologia di supernova originata dall'esplosione di una nana bianca. Una nana bianca è ciò che resta di una stella di massa medio-piccola che ha completato il suo ciclo vitale e al cui interno la fusione nucleare è cessata; tuttavia, le nane bianche al carbonio-ossigeno, le più comuni dell'Universo, sono in grado, se le loro temperature salgono a sufficienza, di far perdurare le reazioni di fusione, che rilasciano una gran quantità di energia. Da un punto di vista fisico, le nane bianche a lenta rotazione possiedono una massa limite, definita limite di Chandrasekhar, che equivale a circa 1,44 masse solari (M☉). In un secondo momento anche la componente secondaria inizia ad affrontare la fase post-sequenza principale, espandendosi in gigante rossa e inglobando la nana bianca. In questa fase, le due stelle condividono nuovamente un comune involucro gassoso e continuano ad avvicinarsi man mano che perdono momento angolare; il risultato sarà un'orbita così stretta che essa potrà essere completata in poche ore. Durante questa fase si attivano dei meccanismi di trasferimento di massa dalla gigante verso la nana bianca; se questo meccanismo dura per un tempo sufficiente, la nana bianca può avvicinarsi alla massa limite di Chandrasekhar, pari a circa 1,44 M☉. La durata del trasferimento di materia dalla secondaria alla nana bianca può durare per alcuni milioni di anni (durante i quali può andare incontro a ripetute esplosioni di nova) prima che si raggiungano le condizioni idonee all'esplosione in supernova di tipo Ia. Questa è la massa più elevata che può essere supportata dalla pressione esercitata dagli elettroni degenerati; oltre questo limite le nane bianche tendono a collassare. Se una nana bianca aumenta gradualmente la propria massa accrescendola da una compagna in un sistema binario, si ritiene che, nel momento in cui si approssima al limite, il suo nucleo possa raggiungere la temperatura richiesta per la fusione del carbonio. Se la nana bianca si fonde poi con un'altra stella (un evento in realtà molto raro), essa potrebbe persino superare il limite e iniziare a collassare, riaumentando la temperatura fino al punto di fusione. In un secondo momento anche la componente secondaria inizia ad affrontare la fase post-sequenza principale, espandendosi in gigante rossa e inglobando la nana bianca. In questa fase, le due stelle condividono nuovamente un comune involucro gassoso e continuano ad avvicinarsi man mano che perdono momento angolare; il risultato sarà un'orbita così stretta che essa potrà essere completata in poche ore. Durante questa fase si attivano dei meccanismi di trasferimento di massa dalla gigante verso la nana bianca; se questo meccanismo dura per un tempo sufficiente, la nana bianca può avvicinarsi alla massa limite di Chandrasekhar, pari a circa 1,44 M☉. La durata del trasferimento di materia dalla secondaria alla nana bianca può durare per alcuni milioni di anni (durante i quali può andare incontro a ripetute esplosioni di nova) prima che si raggiungano le condizioni idonee all'esplosione in supernova di tipo Ia. In un secondo momento anche la componente secondaria inizia ad affrontare la fase post-sequenza principale, espandendosi in gigante rossa e inglobando la nana bianca. In questa fase, le due stelle condividono nuovamente un comune involucro gassoso e continuano ad avvicinarsi man mano che perdono momento angolare; il risultato sarà un'orbita così stretta che essa potrà essere completata in poche ore. Durante questa fase si attivano dei meccanismi di trasferimento di massa dalla gigante verso la nana bianca; se questo meccanismo dura per un tempo sufficiente, la nana bianca può avvicinarsi alla massa limite di Chandrasekhar, pari a circa 1,44 M☉. La durata del trasferimento di materia dalla secondaria alla nana bianca può durare per alcuni milioni di anni (durante i quali può andare incontro a ripetute esplosioni di nova) prima che si raggiungano le condizioni idonee all'esplosione in supernova di tipo Ia. Entro pochi secondi dall'inizio della fusione, una sostanziale frazione della materia della nana bianca subisce una reazione termonucleare incontrollata che rilascia un'energia sufficiente (1-2 × 1044 J) a disgregare la stella in una violenta esplosione. Questa categoria di supernovae produce un picco notevole di luminosità assoluta, che si presenta pressoché simile in tutte le esplosioni di questo tipo a causa della relativa uniformità delle masse delle nane bianche che esplodono in seguito ai processi di accrescimento. Per tale ragione le supernovae di tipo Ia sono utilizzate come candele standard per misurare la distanza della loro galassia ospitante, poiché la loro magnitudine apparente dipende quasi esclusivamente dalla distanza a cui si trovano. Diversi modelli sono stati proposti per spiegare la formazione di una supernova di tipo Ia. Uno di questi è costituito dall'evoluzione di un sistema binario stretto. Il sistema è inizialmente costituito da due stelle di sequenza principale, con la componente primaria lievemente più massiccia della secondaria; possedendo una massa superiore, la primaria subisce un'evoluzione più rapida, giungendo per prima alla fase di gigante del ramo asintotico, stadio in cui il volume della stella si espande enormemente rispetto a quello posseduto quando essa si trovava all'interno della sequenza principale. Se le due stelle sono sufficientemente vicine da condividere un comune involucro di gas esterno, la primaria può perdere una significativa frazione della sua massa, cedendo inoltre una certa quantità di momento angolare, che causa un decadimento della sua orbita che si riflette in una riduzione del semiasse maggiore e del periodo di rivoluzione, determinando un avvicinamento delle due stelle. La componente primaria infine espelle i suoi strati più esterni in una nebulosa planetaria, mentre il nucleo collassa in una tenue nana bianca. In un secondo momento anche la componente secondaria inizia ad affrontare la fase post-sequenza principale, espandendosi in gigante rossa e inglobando la nana bianca. In questa fase, le due stelle condividono nuovamente un comune involucro gassoso e continuano ad avvicinarsi man mano che perdono momento angolare; il risultato sarà un'orbita così stretta che essa potrà essere completata in poche ore. Durante questa fase si attivano dei meccanismi di trasferimento di massa dalla gigante verso la nana bianca; se questo meccanismo dura per un tempo sufficiente, la nana bianca può avvicinarsi alla massa limite di Chandrasekhar, pari a circa 1,44 M☉. La durata del trasferimento di materia dalla secondaria alla nana bianca può durare per alcuni milioni di anni (durante i quali può andare incontro a ripetute esplosioni di nova) prima che si raggiungano le condizioni idonee all'esplosione in supernova di tipo Ia. Le stelle aventi una massa iniziale almeno nove volte quella del Sole evolvono in modo complesso, fondendo progressivamente elementi sempre più pesanti a temperature sempre più elevate nei loro nuclei. La stella sviluppa una serie di gusci sovrapposti diventando simile a una cipolla, dove gli elementi più pesanti si accumulano negli strati più interni[67][68]. Il nucleo interno di queste stelle può collassare quando i processi di fusione nucleare diventano insufficienti a compensare la forza di gravità: questa è la causa di tutti i tipi di supernova eccetto quello Ia. Il collasso può causare la violenta espulsione degli strati superficiali della stella e quindi innescare una supernova oppure il rilascio di energia potenziale gravitazionale può essere insufficiente e la stella può diventare una stella di neutroni o un buco nero con modesto irraggiamento di energia. Il collasso del nucleo può avvenire attraverso meccanismi differenti: superamento del limite di Chandrasekhar, cattura elettronica, instabilità di coppia o fotodisintegrazione. Quando una stella massiccia arriva a sintetizzare un nucleo di ferro con massa superiore al limite di Chandrasekhar, la pressione degli elettroni degeneri non è più in grado di contrastare la forza di gravità e il nucleo collassa in una stella di neutroni o in un buco nero. La cattura di un elettrone da parte del magnesio in un nucleo degenere composto da ossigeno, neon e magnesio causa un collasso gravitazionale con conseguente fusione dell'ossigeno e risultati finali simili. La produzione di coppia di un elettrone e un positrone in seguito alle collisioni tra i nuclei atomici e i raggi gamma determina una riduzione della pressione termica all'interno del nucleo con conseguente caduta di pressione e parziale collasso seguito dall'innesco di un imponente runaway termonucleare che smembra completamente la stella. Un nucleo stellare sufficientemente massiccio e caldo può generare raggi gamma talmente energetici da innescare processi di fotodisintegrazione, cioè la scomposizione di nuclei atomici pesanti in nuclei più leggeri, con conseguente collasso della stella. Le modalità con cui il nucleo collassa, il tipo di supernova prodotto e la natura del resto di supernova dipendono essenzialmente da due fattori: la massa iniziale della stella e la sua metallicità. Quest'ultima determina infatti la perdita di massa che la stella subirà durante la sua esistenza a causa del vento stellare: le stelle a bassa metallicità subiscono minori perdite di massa e quindi hanno nuclei di elio e inviluppi di idrogeno più massicci al termine della loro esistenza. Si ritiene che le stelle aventi una massa iniziale inferiore a ~9 M☉ non abbiano massa sufficiente perché il loro nucleo collassi al termine della loro esistenza e quindi sono destinate a diventare delle nane bianche. Le stelle aventi una massa iniziale di ~9-10 M☉ sviluppano un nucleo degenere di ossigeno e neon, che può o collassare in una stella di neutroni per cattura elettronica o diventare una nana bianca all'ossigeno-neon-magnesio. Sopra le 10 M☉ iniziali il collasso del nucleo è invece l'unica alternativa. Gli esiti possibili di questo collasso sono tre: o una stella di neutroni o una stella di neutroni seguita da un buco nero o, direttamente, un buco nero. Quale di queste possibilità si realizza è determinato dalla massa della stella al termine della sua esistenza: quanto più massiccia era inizialmente la stella e quanto meno massa ha perduto nel corso della sua evoluzione, tanto più massiccia essa sarà al termine della sua esistenza. Le stelle aventi una grande massa al momento del collasso formeranno direttamente un buco nero, mentre quelle aventi minore massa lo formeranno solo dopo essere passate per lo stadio di stelle di neutroni, fino a giungere alle stelle che non producono affatto un buco nero, ma solo una stella di neutroni. Per quanto riguarda le stelle a bassissima metallicità, quelle aventi una massa alla ZAMS compresa fra 10 e 140 M☉ collassano perché sviluppano al termine della loro esistenza un nucleo di ferro la cui massa supera il limite di Chandrasekharl. Tuttavia il collasso ha esiti differenti a seconda della massa iniziale della stella. Le stelle con massa compresa fra 10 e 25 M☉ terminano la loro esistenza come stelle di neutroni, quelle aventi una massa compresa fra 25 e 40 M☉ danno vita a buchi neri solo dopo essere diventate stelle di neutroni, mentre quelle con massa compresa fra 40 e 140 M☉ collassano direttamente in buchi neri. Le stelle a bassissima metallicità con massa alla ZAMS superiore a 140 M☉ sviluppano invece nuclei di elio estremamente massicci (~65 M☉), all'interno dei quali la radiazione gamma è talmente intensa da dare vita a instabilità di coppia e da causare l'esplosione della stella senza lasciare alcun residuo. Per le stelle con massa ancora superiore (≥260 M☉), il meccanismo che interviene negli ultimi stadi della esistenza della stella è quello della fotodisintegrazione, che produce direttamente buchi neri molto massicci (≥100 M☉). Quanto più la metallicità iniziale è elevata, tanto più la stella perde massa nel corso della sua esistenza. Una stella molto massiccia alla ZAMS (≥260 M☉), per esempio, se presenta un certo livello di metallicità, perderà massa sufficiente da non produrre più meccanismi di fotodisintegrazione, ma terminerà la sua esistenza come una supernova a instabilità di coppia. A metallicità più elevate essa non svilupperà un nucleo sufficientemente massiccio da produrre instabilità di coppia, ma collasserà in un buco nero. A metallicità di poco inferiori a quella del Sole, essa produrrà un buco nero solo dopo essere passata per lo stadio di stella di neutroni. Infine a metallicità superiori a quella del Sole perderà un quantitativo di massa sufficiente da non produrre più un buco nero, ma da collassare in un stella di neutroni. Le supernovae di tipo Ib e Ic sono una classe di supernovae che si producono in seguito al collasso del nucleo di stelle molto massicce che hanno perso gran parte o tutto il proprio involucro esterno di idrogeno. Rispetto a quelle di tipo Ia, lo spettro luminoso di queste due categorie di supernovae è privo della linea di assorbimento del silicio. Le supernovae di tipo Ic si differenziano da quelle di tipo Ib per aver perso una parte maggiore del loro involucro, incluso parte dello strato di elio immediatamente sottostante allo strato di idrogeno. Una stella massiccia evoluta, prima di diventare una supernova, ha una struttura simile a quella di una cipolla, con molteplici involucri in cui avvengono le reazioni nucleari. L'involucro più esterno consiste di idrogeno, mentre se si procede verso il centro della stella seguono gli involucri di elio, carbonio, neon, ossigeno, silicio e ferro. Se il vento emanato dalla stella produce una perdita di massa significativa, lo strato superficiale di idrogeno può essere soffiato via dall'astro, esponendo l'involucro più interno costituito principalmente da elio commisto ad altri elementi. Le stelle molto massicce, aventi masse 25 volte quella del Sole o più, possono arrivare a perdere 10−5 masse solari all'anno, cioè l'equivalente della massa del Sole ogni 100.000 anni. Si suppone che le supernovae di tipo Ib e Ic siano prodotte dal collasso di stelle massicce che hanno perduto i loro strati esterni di idrogeno e elio o a causa dell'intenso vento stellare o a causa di un imponente trasferimento di massa a una compagna con cui interagiscono gravitazionalmente. Le stelle di Wolf-Rayet sono un esempio di stelle che hanno subito importanti perdite di massa di questo tipo: esse manifestano infatti spettri in cui le linee dell'idrogeno non compaiono. Le supernovae di tipo Ib si originano da stelle che hanno espulso la maggior parte del proprio idrogeno, mentre quelle di tipo Ic da stelle che hanno perso sia i gusci dell'idrogeno che gran parte di quello d'elio. A parte questo aspetto, tuttavia, i meccanismi che producono le supernovae di tipo Ib e Ic sono simili a quelli che producono quelle di tipo II, motivo per il quale entrambe le classi sono note anche come supernovae a collasso nucleare; in particolare, le supernovae di classe Ib/Ic sono note come supernovae a collasso nucleare nudo. Le caratteristiche spettrali inoltre permettono di considerare i tipi tipi Ib e Ic anche come una via di mezzo fra le supernovae di tipo Ia e quelle di tipo II. Vi sono evidenze che portano a pensare che solo una piccola percentuale di supernovae di tipo Ic causino gamma ray burst (GRB), anche se potenzialmente tutte le stelle che hanno perso lo strato superficiale dell'idrogeno possono originare GRB. Probabilmente la comparsa o meno di un GRB dipende dalla geometria dell'esplosione. Dal momento che le loro stelle progenitrici sono piuttosto rare, si ritiene che la frequenza con cui si verifichi l'esplosione di una supernova di tipo Ib o Ic sia nettamente inferiore a quella delle supernovae di tipo II; si verificano comunque con una certa frequenza nelle regioni di attiva formazione stellare (spesso associate a fenomeni di starburst), mentre non ne sono ancora state rintracciate all'interno di galassie ellittiche. Come le supernovae di tipo Ia, le supernovae di tipo Ib e Ic non mostrano nei loro spettri le linee dell'idrogeno; tuttavia si differenziano dalle supernovae di tipo Ia per la mancanza della linea di assorbimento del silicio monoionico alla lunghezza d'onda di 635,5 nm. Man mano che invecchiano, mostrano inoltre le linee di alcuni elementi come ossigeno, calcio e magnesio, mentre nelle supernovae di tipo Ia dominano le linee del ferro. Le supernovae di tipo Ib si differenziano inoltre dalle Ic per la mancanza in queste ultime delle linee dell'elio a 587,6 nm. Le curve di luce delle supernovae di tipo Ib sono generalmente abbastanza simili a quelle delle supernovae di tipo Ia, anche se possono differire in una certa misura. Spesso però il loro picco di luminosità risulta più basso e più spostato verso il rosso. Osservata nella porzione dell'infrarosso, la curva di luce appare molto simile a quella delle supernovae di tipo II-L. Rispetto alle supernovae di tipo Ic, le SN di tipo Ib solitamente presentano un declino della luminosità più lento. Le curve di luce delle supernovae di tipo Ia sono impiegate come candele standard per la misurazione delle distanze cosmologiche. Pertanto, per via della loro somiglianza con le curve luminose delle SN di tipo Ia, le supernovae di tipo Ib e Ic costituiscono una fonte di contaminazione e quindi, una volta riconosciute, andrebbero rimosse dai saggi osservativi prima di addentrarsi nella stima delle distanze cosmiche. Una supernova di tipo II (o supernova a collasso nucleare, dall'inglese core-collapse supernova) è un tipo di supernova che si forma a partire dal collasso interno e dalla conseguente violenta esplosione di una stella di massa superiore ad almeno 9 volte la massa del Sole (stella massiccia). Le stelle massicce, come d'altronde tutte le stelle, generano energia tramite la fusione nucleare, nei loro nuclei, dell'idrogeno in elio. Tuttavia, a differenza del Sole, queste stelle, giunte ad una fase avanzata del proprio ciclo vitale, non si limitano a fondere l'elio in carbonio, ma, in virtù della loro massa sufficientemente elevata, sono in grado di attuare dei cicli di fusione che, dal carbonio, portano alla produzione di elementi sempre più pesanti. Il prodotto finale di questi cicli di nucleosintesi è il ferro-56, un isotopo del ferro di peso atomico 56 uma che, a causa dell'eccessivo dispendio energetico necessario per fonderlo, si accumula inerte al centro dell'astro. Quando il nucleo ferroso raggiunge e supera una massa limite, detta limite di Chandrasekhar ed equivalente a 1,44 masse solari, va incontro ad un'implosione; il nucleo collassante si scalda, causando una serie di rapide reazioni nucleari che risultano nella formazione di neutroni e neutrini. Il collasso viene arrestato da varie interazioni su piccola scala tra i neutroni neoformati, che fanno sì che l'implosione "rimbalzi": si crea così un'onda d'urto che causa la violenta espulsione nello spazio circostante degli strati esterni della stella. Sarebbe questa, secondo i modelli, la sequenza di eventi che conduce all'esplosione di una supernova di tipo II. Le supernovae di tipo II sono classificate in due sottotipi principali a seconda della curva di luce cui danno luogo: le supernovae di tipo II-L, che danno luogo ad una curva che mostra una costante (Lineare) diminuzione di luminosità con l'avanzare del tempo, e le supernovae di tipo II-P, che danno luogo ad una curva che mostra un appiattimento (Plateau, che indica un periodo in cui la luminosità si mantiene costante) seguito poi da una diminuzione di luminosità simile a quella del tipo L. Normalmente le supernovae di tipo II manifestano nei loro spettri la presenza di idrogeno. Le supernovae di tipo II si differenziano dalle supernovae di tipo Ib e Ic, anch'esse a collasso nucleare, per il fatto che queste ultime derivano da stelle massicce prive del loro strato esterno di idrogeno (per il tipo Ib) ed elio (per il tipo Ic); di conseguenza, i loro spettri appaiono privi di questi elementi. Le stelle massicce intraprendono dei tragitti evolutivi piuttosto complessi. Mentre la fase di sequenza principale, durante la quale l'astro fonde l'idrogeno in elio, è comune a tutte le stelle, sia quelle di massa piccola e medio-piccola, sia quelle massicce, le fasi successive a questa lunga fase di stabilità, così come i tipi di reazioni nucleari e gli elementi in esse coinvolti, si differenziano a seconda della massa dell'astro. Infatti, mentre le stelle di massa piccola e media, nelle fasi seguenti la sequenza principale, fondono l'idrogeno in un guscio più esterno al nucleo di elio e, solamente qualora la massa sia sufficiente, possono arrivare a fondere l'elio in carbonio ed ossigeno, le stelle massicce, conclusa la fusione dell'elio in carbonio, raggiungono, nei loro nuclei, le condizioni di temperatura e pressione necessarie a far avvenire la fusione di quest'ultimo in elementi più pesanti: ossigeno, neon, silicio e zolfo. In tali stelle può svolgersi in contemporanea la nucleosintesi di più elementi all'interno di un nucleo che appare stratificato; tale struttura è paragonata da molti astrofisici agli strati concentrici di una cipolla. In ciascun guscio avviene la fusione di un differente elemento: il più esterno fonde idrogeno in elio, quello immediatamente sotto fonde elio in carbonio e via dicendo, a temperature e pressioni sempre crescenti man mano che si procede verso il centro. Il collasso di ciascuno strato è sostanzialmente evitato dal calore e dalla pressione di radiazione dello strato sottostante, dove le reazioni procedono a un regime più intenso. I prodotti finali della nucleosintesi sono il nichel-56 (56Ni) e il cobalto-56 (56Co), risultato della fusione del silicio, che viene completata nel giro di pochi giorni. Questi due elementi decadono rapidamente in ferro-56 (56Fe). Il fattore limitante del processo di fusione nucleare è la quantità di energia che viene rilasciata mentre esso è in atto, che dipende dall'energia di legame che mantiene coesi i nuclei atomici. Ogni tappa successiva del processo produce dei nuclei sempre più pesanti, la cui fusione rilascia progressivamente un'energia sempre più bassa. Poiché i nuclei del ferro e del nichel possiedono un'energia di legame nettamente superiore a quella di qualunque altro elemento,[9] la loro fusione, anziché essere un processo esotermico (che produce ed emette energia), è fortemente endotermica (cioè richiede e consuma energia). La tabella sottostante riporta il tempo che una stella di massa 25 volte quella solare impiega per fondere il proprio combustibile nucleare. Si tratta di una stella di classe O, con un raggio 10 volte quello del Sole ed una luminosità 80 000 volte quella della nostra stella. Il ferro-56, non impiegabile per la fusione nucleare, si accumula inerte al centro dell'astro. Pur essendo sottoposto ad altissime sollecitazioni gravitazionali, il nucleo non collassa per via della pressione degli elettroni degeneri, uno stato in cui la materia è talmente densa che una sua ulteriore compattazione richiederebbe che gli elettroni occupino tutti il medesimo livello energetico. Tuttavia, per il principio di esclusione di Pauli, un medesimo livello energetico può essere occupato solamente da una coppia di identici fermioni con spin opposto; di conseguenza, gli elettroni tendono a respingersi, contrastando in questo modo il collasso gravitazionale. Quando la massa del nucleo ferroso raggiunge e supera il limite di Chandrasekhar, la pressione degli elettroni degeneri non è più in grado di contrastare efficacemente la gravità e il nucleo va incontro ad un catastrofico collasso;[11] la parte più esterna del nucleo, durante la fase di collasso, raggiunge velocità dell'ordine dei 70 000 km/s, pari al 23% della velocità della luce. Il nucleo in rapida contrazione si riscalda, producendo fotoni gamma ad alta energia che decompongono i nuclei di ferro in nuclei di elio e neutroni liberi tramite un processo noto come fotodisintegrazione. Man mano che la densità del nucleo aumenta, incrementa anche la probabilità che gli elettroni e i protoni si fondano (tramite un fenomeno noto come cattura elettronica), producendo altri neutroni e neutrini elettronici. Poiché questi ultimi raramente interagiscono con la normale materia, essi fuggono via dal nucleo, portando con sé energia ed accelerando il collasso, che va avanti in una scala temporale di alcuni millisecondi. Non appena il nucleo ha raggiunto un livello di contrazione tale da subire un distacco dagli strati ad esso immediatamente esterni, questi ultimi assorbono una parte dei neutrini prodotti, dando inizio all'esplosione della supernova. Il collasso del nucleo viene arrestato da una serie di interazioni repulsive su piccola scala, come l'interazione forte, che intervengono tra i neutroni; a questo punto, la materia, in caduta verso il centro della stella, "rimbalza", producendo un'onda d'urto che si propaga verso l'esterno. L'energia trasportata dall'onda degrada gli elementi pesanti presenti nel nucleo, ma così facendo perde energia, arrivando ad arrestarsi in prossimità della parte esterna del nucleo. Il nucleo di neutroni neoformato ha una temperatura iniziale di circa 100 miliardi di kelvin, 105 volte la temperatura del nucleo del Sole. La maggior parte di questa grande energia termica deve essere dispersa perché possa formarsi una stella di neutroni stabile; il processo di dispersione dell'energia termica è accompagnato da un'ulteriore emissione di neutrini. Questi neutrini, caratterizzati da differenti sapori e accoppiati dalle rispettive antiparticelle, gli antineutrini, si formano in numero molto maggiore rispetto ai neutrini formatisi per cattura elettronica. I due meccanismi di produzione dei neutrini permettono di disperdere l'energia potenziale gravitazionale del collasso rilasciando un flusso di neutrini con un'energia di circa 1046 joule (100 foe) in un lasso di tempo di una decina di secondi. Tramite un processo non ancora pienamente compreso, circa 1044 joule (1 foe) vengono riassorbiti dal fronte d'onda in stallo, provocando un'esplosione. I neutrini prodotti da una supernova sono stati rintracciati per la prima volta quando esplose la Supernova 1987 A, il che portò gli astronomi a concludere sulla validità di fondo del modello del collasso gravitazionale del nucleo. L'esplosione di una supernova lascia come residui, oltre ad un resto nebuloso, un residuo di materia degenere: la stella compatta. A seconda della massa originaria della stella (non tenendo eventualmente in conto l'intensità dell'esplosione e la quantità di materia da essa espulsa nello spazio) si possono formare due differenti residui: se la stella progenitrice ha una massa inferiore a 20 masse solari si viene a formare una stella di neutroni; se invece la massa è superiore a questo tetto massimo, il collasso gravitazionale porta il nucleo a raggiungere le dimensioni del raggio di Schwarzschild, andando a formare un buco nero. Il limite di massa teorico per questo tipo di collasso nucleare è fissato in circa 40-50 masse solari; al di sopra di questo tetto si ritiene che una stella collassi direttamente in buco nero senza dar luogo all'esplosione di una supernova, sebbene delle incertezze nei modelli del collasso nucleare di una supernova rendono il calcolo di questi limiti ancora piuttosto incerto. Il modello standard, in fisica delle particelle, è una teoria che descrive tre delle quattro interazioni fondamentali tra le particelle elementari che costituiscono la materia; la teoria consente la formulazione di ipotesi che permettono di predeterminare le modalità di interazione delle particelle in diverse condizioni. L'energia posseduta da ogni singola particella in una supernova è normalmente compresa tra 1 e 100 pJ (picojoule, 10−12 J, equivalenti a circa dieci-cento MeV). L'energia delle particelle coinvolte nell'esplosione di una supernova è abbastanza piccola da suggerire la correttezza di fondo dei modelli formulati a partire dal modello standard; tuttavia, le altissime densità di questo processo potrebbero spingere i fisici ad apportarvi alcune correzioni. In particolare, gli acceleratori di particelle situati sulla Terra sono in grado di produrre delle interazioni tra le particelle con energie di gran lunga maggiori (dell'ordine del TeV) rispetto a quelle riscontrate tra le particelle nelle supernovae, ma bisogna tener presente che questi esperimenti riguardano singole particelle che interagiscono con altre singole particelle; è dunque probabile che le alte densità nelle supernovae possano produrre degli effetti insoliti. Le interazioni tra i neutrini e le altre particelle nella supernova hanno luogo grazie alla forza nucleare debole, la cui origine sembra ben compresa; tuttavia, le interazioni tra protoni e neutroni coinvolgono la forza nucleare forte, le cui cause non sono state ancora ben comprese. La principale questione ancora non risolta riguarda il modo in cui il flusso di neutrini trasferisce la propria energia al resto della stella producendo le onde d'urto che ne causano l'esplosione. Si sa che solamente l'1% dell'energia di queste particelle debba essere trasferita per provocare l'esplosione, ma spiegare come quest'1% venga trasferito ha causato non poche difficoltà agli astrofisici, nonostante si ritenga che le interazioni tra le particelle in gioco siano ben conosciute. Negli anni novanta, un modello prese in considerazione il convective overturn, che ipotizza che la convezione, sia dei neutrini dall'interno, sia dal materiale in caduta dall'esterno, completino il processo di distruzione della stella, lasciando ai neutrini la possibilità di fuggire dall'astro. Durante questa fase, vengono sintetizzati elementi più pesanti del ferro tramite cattura neutronica, grazie alla pressione dei neutrini ai limiti della cosiddetta "neutrinosfera", la quale infine diffonde nello spazio circostante una nebulosa di gas e polveri più ricca in elementi pesanti rispetto alla stella originaria. La fisica del neutrino, modellata sul modello standard, riveste un ruolo cruciale nella comprensione di questo processo; un altro ambito di studi molto importante è l'idrodinamica del plasma che costituisce la stella morente: comprendere il suo comportamento durante il collasso del nucleo consente di determinare quando e come si forma l'onda d'urto e quando e come entra in stallo e si rinvigorisce, dando quindi luogo all'esplosione dell'astro.[24] Le simulazioni computerizzate sono riuscite con successo a calcolare il comportamento delle supernovae di tipo II quando si forma l'onda d'urto. Ignorando il primo secondo dell'esplosione, ed assumendo che essa sia effettivamente iniziata, gli astrofisici sono stati in grado di formulare delle dettagliate teorie in merito alle modalità di sintesi degli elementi pesanti e all'aspetto che sarebbe stato assunto dalla curva di luce dell'esplosione. L'analisi dello spettro di una supernova di tipo II mostra normalmente la serie di Balmer dell'idrogeno ionizzato; ed è proprio la presenza di queste linee la discriminante tra una supernova di questa categoria ed una supernova di tipo Ia. Mettendo in relazione la luminosità di una supernova di tipo II con un periodo di tempo, la curva di luce che ne risulta mostra un caratteristico picco seguito da un declino con un tasso medio di 0,008 magnitudini al giorno: un tasso minore rispetto a quello delle supernovae di tipo Ia. Le supernovae di tipo II sono suddivise in due classi, a seconda dell'aspetto assunto dalla curva di luce: le supernovae di tipo II-L e le supernovae di tipo II-P. La curva di luce di una supernova di tipo II-L mostra un declino costante (Lineare) della luminosità dopo il picco; la curva di una supernova di tipo II-P mostra invece un caratteristico appiattimento (in gergo Plateau) durante la fase di declino, il che rappresenta un periodo in cui la luminosità resta costante o diminuisce in maniera estremamente più lenta: infatti, raffrontando i tassi di declino si può notare come quello di una supernova II-P sia notevolmente inferiore (circa 0,0075 magnitudini/giorno) rispetto a quello del tipo II-L (0,012 magnitudini/giorno). La differenza nel tracciato grafico tra i due tipi di supernova sarebbe dovuta al fatto che, nel caso delle supernovae II-L, si ha l'espulsione della maggior parte dello strato di idrogeno della stella progenitrice, mentre il plateau del tipo II-P sarebbe dovuto ad un cambiamento nell'opacità alla radiazione dello strato esterno: le onde d'urto ionizzano l'idrogeno dello strato esterno, provocando un considerevole aumento dell'opacità che evita l'immediata fuga dei fotoni dalla parte più interna dell'esplosione. Solamente quando la fascia di idrogeno si raffredda abbastanza da consentire la ricombinazione degli atomi neutri lo strato diventa trasparente lasciando passare i fotoni. Esistono delle supernovae di tipo II caratterizzate da spettri insoliti; tra queste si annoverano le supernovae di tipo IIn e IIb. Le supernovae di tipo IIn presentano spettri con linee di emissione dell'idrogeno di spessore medio o sottile ("n" sta per narrow, che in inglese significa stretto). È possibile che le stelle progenitrici di questa classe di SN siano delle variabili blu luminose circondate da un cospicuo inviluppo di gas, risultato dell'imponente perdita di massa per mezzo del vento stellare cui queste stelle sono andate incontro; i modelli matematici indicano, nel caso degli spettri con linee dell'H a spessore medio, che il materiale espulso con la deflagrazione instauri forti interazioni con i gas dell'inviluppo che circonda la stella esplosa. Alcuni esempi di supernovae di tipo IIn sono SN 2005gl e SN 2006gy. Le supernovae di tipo IIb presentano invece delle caratteristiche intermedie con quelle delle supernovae di tipo Ib: mostrano deboli linee dell'idrogeno nella porzione iniziale dello spettro, motivo per il quale sono classificate come SN di tipo II, ma la loro curva di luce presenta, dopo il picco iniziale, un secondo picco, che le assimila alle supernovae di tipo Ib. Si ritiene che le stelle progenitrici potrebbero essere delle supergiganti che hanno perso gran parte del proprio strato esterno di idrogeno a seguito di interazioni mareali con un'altra stella in un sistema binario, lasciando quasi scoperto il nucleo.[34] Man mano che il materiale espulso dalla supernova IIb si espande, lo strato di idrogeno residuo diviene rapidamente più trasparente rivelando gli strati più profondi.[34] L'esempio più tipico di SN di tipo IIb è SN 1993J, mentre sembrerebbe che anche Cassiopeia A appartenga a questa classe. Il collasso nucleare di stelle molto massicce non può essere arrestato in nessun modo: infatti, le interazioni repulsive neutrone-neutrone sono in grado di mantenere un oggetto che non abbia una massa superiore al limite di Tolman-Oppenheimer-Volkoff di circa 3,8 masse solari.[38] Al di sopra di questo limite il nucleo collassa a formare direttamente un buco nero stellare,[18] producendo forse una (ancora teorica) esplosione di ipernova. Nel meccanismo proposto per questo fenomeno, noto come collapsar, due getti di plasma estremamente energetici (getti relativistici) vengono emessi dai poli della stella a velocità prossime a quella della luce; i getti emettono una grande quantità di radiazione ad alta energia, in particolare raggi gamma. L'emissione di getti relativistici a partire dal collasso di una stella in buco nero è una delle possibili spiegazioni per la formazione dei gamma ray burst, la cui eziologia è ancora quasi totalmente sconosciuta.[39] Benché le supernove siano conosciute in primo luogo come eventi molto luminosi, la radiazione elettromagnetica è solo un effetto secondario dell'esplosione. Soprattutto nel caso di supernove derivanti dal collasso del nucleo, la radiazione elettromagnetica emessa rappresenta solo una piccola frazione dell'energia totale dell'evento. Ci sono significative differenze nel bilancio dell'energia prodotta dai diversi tipi di supernove. Nelle supernove di Tipo Ia, la maggior parte dell'energia è convogliata nella nucleosintesi di elementi pesanti e nell'accelerazione del materiale espulso. Invece nelle supernove in cui il nucleo collassa la maggior parte dell'energia è convogliata nell'emissione di neutrini e, sebbene parte di essi forniscano energia per l'esplosione, più del 99% di essi viene espulso dalla stella nei minuti che seguono il collasso. Le supernove di Tipo Ia ricavano la propria energia dalla fusione del carbonio e dell'ossigeno presenti nella nana bianca. I dettagli non sono ancora stati modellati, ma il risultato è l'espulsione dell'intera massa della stella originaria a velocità molto elevate. Fra la massa espulsa, circa 0,5 M☉ sono costituiti da nichel-56, generato dalla fusione del silicio. Il nichel-56 è radioattivo con una emivita di sei giorni; tramite il decadimento beta più esso genera il cobalto-56, emettendo raggi gamma. Il cobalto-56 decade a sua volta nello stabile Fe-56 con una emivita di 77 giorni. Questi due processi sono responsabili delle emissioni elettromagnetiche nelle supernove di Tipo Ia e, in combinazione con la via via maggiore trasparenza del materiale espulso, sono alla base del rapido declino della curva di luce caratteristica di questo tipo di supernove. Le supernove derivanti dal collasso del nucleo sono generalmente meno luminose delle supernove di Tipo Ia, ma l'energia totale rilasciata è maggiore. Essa deriva inizialmente dall'energia potenziale gravitazionale che viene rilasciata dal materiale che collassa nel nucleo sotto forma di neutrini elettronici derivanti dalla disintegrazione dei nuclei atomici; in seguito, l'energia viene emessa sotto forma di neutrini termici di tutti i sapori derivanti dalla caldissima stella di neutroni appena formata. L'energia cinetica e quella derivante dal decadimento del nichel-56 sono inferiori a quelle rilasciate dalle supernove di Tipo Ia e ciò rende questo tipo di supernove meno luminose, sebbene l'energia derivante dalla ionizzazione dell'idrogeno rimanente, che a volte ammonta a molte masse solari, può contribuire a rallentare il declino della curva di luce e a produrne un caratteristico appiattimento. In alcune supernove causate dal collasso del nucleo, il ricadere del materiale espulso nel buco nero appena formato causa dei getti relativistici che si traducono nel trasferimento di una parte considerevole dell'energia al materiale espulso.

Nelle supernove di Tipo IIn l'esplosione avviene all'interno di una densa nube di gas, che circonda la stella, e produce onde d'urto che causano l'efficiente conversione di una grande porzione dell'energia cinetica in radiazione elettromagnetica. Sebbene l'esplosione iniziale sia quella di una normale supernova, questi eventi risultano essere molto luminosi e di lunga durata in quanto non ricavano la propria luminosità esclusivamente dal decadimento radioattivo. Benché le supernove a instabilità di coppia derivino dal collasso del nucleo e abbiano spettri e luminosità simili a quelle di Tipo IIP, la natura dell'esplosione è più simile a quella di una gigantesca supernova di Tipo Ia con fusione di carbonio, ossigeno e silicio prodotta dal runaway termico. L'energia totale rilasciata da questi eventi è paragonabile a quella degli altri tipi di supernove, ma la produzione di neutrini è stimata essere molto bassa e, di conseguenza, l'energia cinetica ed elettromagnetica rilasciata è molto alta. I nuclei di queste stelle sono molto più grandi di una nana bianca, sicché il nichel prodotto può essere di diversi ordini di grandezza maggiore di quello espulso solitamente con conseguenti luminosità eccezionali. Le curve di luce dei differenti tipi di supernove variano in forma e in ampiezza in funzione dei meccanismi che hanno portato all'esplosione, del modo in cui la radiazione visibile viene prodotta e della trasparenza del materiale espulso. Inoltre le curve di luce differiscono in maniera significativa a seconda della lunghezza d'onda presa in considerazione: per esempio, nella banda dell'ultravioletto e, in generale, delle lunghezze d'onda più corte, si nota un picco estremamente luminoso della durata di poche ore, corrispondente allo shock dell'esplosione iniziale, che è tuttavia pressoché invisibile alle altre lunghezze d'onda. Le curve di luce delle supernove di Tipo Ia sono per lo più uniformi, con un massimo molto luminoso iniziale e un susseguente rapido declino della luminosità. Come si è detto, l'energia è prodotta dal decadimento radioattivo del nickel-56 e del cobalto-56. Questi radioisotopi, espulsi nell'esplosione, eccitano il materiale che li circonda, facendolo emettere radiazione. Nella fase iniziale la curva di luce declina rapidamente a causa della riduzione della fotosfera e della radiazione emessa. Successivamente la curva di luce continua a declinare nella banda B, sebbene mostri un rallentamento del declino intorno ai 40 giorni dall'esplosione: esso è la manifestazione visibile di un massimo secondario che avviene nella banda dell'infrarosso che si produce quando alcuni elementi pesanti ionizzati si ricombinano emettendo radiazione IR e quando il materiale espulso diviene ad essa trasparente. Poi la curva di luce continua a declinare a un ritmo leggermente superiore a quello del tempo del decadimento radioattivo del cobalto, dato che il materiale espulso si diffonde su volumi più ampi e quindi la conversione dell'energia derivante dal decadimento radioattivo in luce visibile diventa più difficile. Dopo alcuni mesi, la curva di luce modifica la sua forma perché l'emissione di positroni diventa il processo dominante di produzione della radiazione da parte del rimanente cobalto-56, sebbene questa porzione della curva di luce sia stata poco studiata. Le curva delle supernove di Tipo Ib e Ic sono simili a quelle di Tipo Ia sebbene abbiano un picco di luminosità mediamente inferiore. La luce visibile è anche in questo caso prodotta dal decadimento radioattivo, che viene convertito in radiazione visibile, ma la massa del nickel-56 che risulta dall'esplosione è minore. La curva di luce varia considerevolmente fra un episodio e l'altro e occasionalmente possono presentarsi supernove di Tipo Ib/c di alcuni ordini di grandezza più luminose o meno luminose della media. Le supernova di Tipo Ic più luminose vengono chiamate anche ipernovae e tendono ad avere curve di luce più large, oltre che con picchi maggiori. La fonte dell'energia in eccesso deriva probabilmente da getti relativistici emessi dal materiale che circonda il buco nero appena formato e che possono anche produrre gamma ray burst. Le curve di luce delle supernove di Tipo II sono caratterizzate da un declino molto meno accentuato rispetto a quelle delle supernove di Tipo I. Esse declinano nell'ordine di 0,05 magnitudini al giorno, se si esclude la fase in cui il declino si arresta. La radiazione visibile viene prodotta dall'energia cinetica piuttosto che dal decadimento radioattivo, data l'esistenza di idrogeno nel materiale espulso dalla stella progenitrice. Nella fase iniziale l'idrogeno viene portato ad alte temperature e viene ionizzato. La maggior parte delle supernove di tipo II mostra un prolungato appiattimento della loro curva di luce dovuto alla ricombinazione dell'idrogeno che produce luce visibile. Successivamente, la produzione di energia è dominata dal decadimento radioattivo, sebbene il declino sia più lento rispetto a quello delle supernove di tipo I dato che l'idrogeno permette una più efficiente conversione in luce visibile della radiazione emessa. Nelle supernove di Tipo II-L l'avvallamento è assente perché la stella progenitrice ha poco idrogeno nella sua atmosfera, sufficiente per apparire nello spettro, ma insufficiente per produrre un rallentamento del declino della luminosità. Le supernove di tipo IIb sono talmente carenti di idrogeno nelle loro atmosfere che le loro curve di luce sono simili a quelle delle supernove di tipo I e l'idrogeno tende perfino a scomparire dai loro spettri dopo poche settimane. Le supernove di Tipo IIn sono caratterizzate da linee spettrali aggiuntive prodotte dal denso inviluppo di gas che circonda la stella progenitrice. Le loro curve di luce sono generalmente larghe ed estese, a volte molto luminose (nel qual caso vengono classificate come ipernovae). La luminosità è dovuta a una efficiente conversione dell'energia cinetica in radiazione elettromagnetica causata dalla interazione fra il materiale espulso e l'inviluppo di gas. Ciò accade quando l'inviluppo è sufficientemente denso e compatto, il che indica che è stato prodotto dalla stella progenitrice poco prima dell'esplosione. Gli scienziati si sono lungamente interrogati sulle ragioni per cui l'oggetto compatto che rimane come resto di una supernova di Tipo II è spesso accelerato ad alte velocità: si è osservato che le stelle di neutroni hanno spesso alte velocità e si presume che anche molti buchi neri le abbiano, sebbene sia difficile osservarli in isolamento. La spinta iniziale deve essere notevole dato che essa accelera un oggetto avente una massa superiore a quella del Sole a una velocità superiore a 500 km/s. Una simile spinta deve essere provocata da una asimmetria nell'esplosione, ma l'esatto meccanismo per cui la quantità di moto viene trasferita all'oggetto compatto non è chiaro. Due delle spiegazioni proposte sono l'esistenza di meccanismi di convezione nella stella che sta per collassare e la produzione di getti durante la formazione della stella di neutroni o del buco nero. Secondo la prima spiegazione nelle ultime fasi della sua esistenza la stella sviluppa meccanismi di convezione su larga scala negli strati superiori al nucleo. Essi possono causare una distribuzione asimmetrica delle abbondanze di elementi che si traduce in una ineguale produzione di energia durante il collasso e l'esplosione Un'altra possibile spiegazione è l'accrescimento di gas intorno alla stella di neutroni appena formata, da cui si dipartono getti ad altissima velocità e che accelerano la stella in direzione opposta. Tali getti potrebbero anche giocare un ruolo nelle prime fasi dell'esplosione stessa. Asimmetrie iniziali sono state osservate anche nelle prime fasi di supernove di Tipo Ia. Ne segue che la luminosità di questo tipo di supernove dovrebbe dipendere dall'angolo dal quale vengono osservate. Tuttavia, l'esplosione diventa simmetrica con il passaggio del tempo e le asimmetrie iniziali possono essere rilevate misurando la polarizzazione della luce emessa. Le supernove ricoprono un ruolo chiave nella sintesi di elementi chimici più pesanti dell'ossigeno. Gli elementi più leggeri del ferro-56 sono prodotti dalla fusione nucleare, mentre quelli più pesanti del ferro-56 sono prodotti tramite nucleosintesi durante l'esplosione della supernova. Anche se non tutti concordano con questa affermazione, le supernove sono probabilmente i luoghi in cui avviene il processo R, un tipo molto rapido di nucleosintesi che avviene in condizioni di alta temperatura e alta densità neutronica. Le reazioni producono nuclei atomici molto instabili e ricchi di neutroni, che decadono rapidamente per decadimento beta. Il processo R, che avviene nelle supernove di Tipo II, produce circa metà degli elementi più pesanti del ferro presenti nell'universo, compresi l'uranio e il plutonio[102]. L'altro processo che produce elementi più pesanti del ferro è il processo S, che avviene nelle giganti rosse e che arriva a sintetizzare elementi fino al piombo in tempi considerevolmente più lunghi di quelli impiegati dal processo R. In astronomia, un resto di supernova (SNR dalla dizione inglese Supernova remnant) è il materiale lasciato dalla gigantesca esplosione di una supernova. Questo può accadere in due modi: quando una stella molto massiccia termina il suo combustibile nucleare, e collassa su se stessa sotto l'azione della propria forza di gravità, oppure quando una nana bianca accumula abbastanza materiale da una stella compagna da raggiungere la massa critica e fa la stessa fine. In entrambi i casi, l'esplosione risultante espelle con molta forza la maggior parte o forse tutta la materia che componeva la stella. Nel caso dell'esplosione di una stella massiccia, il nucleo della stella può collassare così rapidamente da formare un oggetto estremamente compatto formato da materia degenere. Si tratta generalmente di una stella di neutroni o a volte di un buco nero, a cui ci si riferisce come resto di supernova compatto. In tutte le esplosioni, gli strati esterni della stella sono espulsi all'esterno ad una velocità di migliaia di chilometri al secondo, dando luogo a una nube di gas e polveri in espansione. Questa nube, che raccoglie anche il mezzo interstellare precedentemente esistente nella zona di espansione, e che è spesso attraversata da onde d'urto generate dall'esplosione stessa o dall'interazione tra la nube e il mezzo interstellare, è detta resto di supernova diffuso. Un resto di supernova nella Grande Nube di Magellano, immagine che combina riprese ai raggi-x e luce visibile. Il resto di supernova compatto, quando esiste, dovrebbe trovarsi al centro di quello diffuso, ed in alcuni casi è così (come nel caso della Nebulosa del Granchio e della Nebulosa delle Vele). Spesso però l'esplosione è asimmetrica: il grosso del gas va da una parte e l'oggetto compatto viene "sparato" nell'altra direzione con velocità che possono superare i 200 km/s. In tal caso l'oggetto compatto esce rapidamente (poche centinaia o migliaia di anni) dal resto di supernova diffuso e diventa difficile mettere in relazione i due oggetti. Un resto di supernova diffuso è un oggetto effimero: in poche migliaia di anni si dissolve nel mezzo interstellare, che arricchisce degli elementi pesanti prodotti nel corso della vita della stella, e scompare. Nonostante ciò, i resti osservabili sono numerosi, perché le supernovae esplodono al ritmo di una ogni qualche decina d'anni nella nostra galassia. Gli oggetti compatti, invece, sono immortali o quasi. Il resto di supernova più famoso e più osservato con telescopi professionali, anche se piuttosto difficile da osservare a causa della sua grande lontananza, è quello della Supernova 1987a, la cui esplosione è stata visibile dalla Terra il 23 febbraio 1987, nella Grande Nube di Magellano, alla distanza di 168 000 anni luce. Molto più vicina è la Nebulosa del Granchio, resto di un'esplosione rilevata nell'anno 1054 e registrata dagli astronomi cinesi, con al centro una giovane stella di neutroni. Una supernova vicina alla Terra (in inglese near-Earth supernova) è una supernova abbastanza vicina alla Terra da avere effetti notevoli sulla biosfera. Supernove particolarmente energetiche possono rientrare in questa categoria anche se distanti fino a 3000 anni luce. I lampi gamma provenienti da una supernova possono indurre reazioni chimiche nell'alta atmosfera terrestre che hanno l'effetto di convertire l'azoto in ossidi di azoto, impoverendo l'ozonosfera abbastanza da esporre la superficie alla radiazione solare e cosmica. Si pensa che ciò sia accaduto in coincidenza della estinzione dell'Ordoviciano-Siluriano, avvenuta circa 450 milioni di anni fa che causò la morte di circa il 60% degli organismi viventi sulla Terra. In uno studio del 1996 si è ipotizzato che tracce di supernove passate potessero essere rilevate sulla Terra mediante la ricerca di determinati isotopi negli strati rocciosi: in particolare, la presenza di ferro-60, riscontrabile nelle rocce dei fondali dell'Oceano Pacifico, sarebbe riconducibile a questi eventi. Nel 2009, un elevato livello di ioni nitrati fu rilevato a una certa profondità nei ghiacci antartici in corrispondenza delle supernove del 1006 e 1054. I raggi gamma provenienti da queste supernove possono avere prodotto ossidi di azoto che sono rimasti intrappolati nei ghiacci. Le supernove di Tipo I sono considerate quelle potenzialmente più pericolose per la Terra. Poiché derivano da deboli nane bianche, esse possono prodursi in modo impredicibile in sistemi stellari poco studiati. È stata avanzata l'ipotesi che supernove di questo tipo devono essere distanti non più di 1000 parsec (circa 3300 anni luce) per avere effetti sulla Terra. Stime risalenti al 2003 valutano che una supernova di Tipo II dovrebbe avere una distanza minore di 8 parsec (26 anni luce) dalla Terra per distruggerne metà dello strato di ozono[116]. Molte stelle massicce appartenenti alla Via Lattea sono state proposte come possibili progenitrici di supernove nei prossimi milioni di anni. Alcune di esse sono ρ Cassiopeiae, η Carinae,, RS Ophiuchi, U Scorpii, VY Canis Majoris, Betelgeuse, Antares e Spica. Anche molte stelle di Wolf-Rayet come γ Velorum, WR 104 e quelle appartenenti all'ammasso Quintupletto sono state indicate come possibili progenitrici di supernove in un futuro relativamente vicino. La candidata più vicina alla Terra è IK Pegasi (HR 8210), distante circa 150 anni luce. Questa stella binaria stretta è formata da una stella di sequenza principale e da una nana bianca, distanti 31 milioni di km fra loro. La nana bianca ha una massa stimata attuale di 1,15 M☉ e si ritiene che nei prossimi milioni di anni riceverà dalla sua compagna, diventata una gigante rossa, sufficiente materiale da raggiungere la massa critica per innescare l'esplosione di una supernova di Tipo Ia. A quella distanza l'esplosione di una supernova di tipo Ia potrebbe essere pericolosa per la Terra, tuttavia non essendo la principale ancora entrata nello stadio finale della sua evoluzione, ciò avverrà in tempi relativamente lunghi, quando il sistema si sarà considerevolmente allontanato dal Sole. Parliamo, adesso, delle ipernovae. Un'ipernova è un'ipotetica esplosione stellare simile alla supernova ma con un rilascio di energia almeno 100 volte superiore. Alcune stelle eccezionalmente grandi al momento della loro morte potrebbero produrre un'ipernova, ad esempio stelle collapsar. Ne sono state rilevate poche fino a oggi, di conseguenza rare sono state le possibilità di studiarne i diversi comportamenti. La celeberrima stella Eta Carinae è una delle candidate a produrre un'ipernova. In un'ipernova le energie in gioco raggiungono valori talmente elevati da poter essere paragonate alla potenza dei raggi cosmici, e si sospetta che i gamma ray burst (GRB) altro non siano che le conseguenze di esplosioni di ipernove. Il satellite ROSAT ha trovato, nella radiazione X, presso la galassia M101 due bolle in forte espansione; una di queste toccava la velocità di 350 km/s, e la sua forza superava di 10 volte quella dell'esplosione di una supernova. Si ritiene che ciò sia provocato dall'esplosione di una stella molto massiccia, quando il suo nucleo metallico collassa su sé stesso per formare un buco nero; il tutto comincerebbe a ruotare così rapidamente che il campo magnetico diverrebbe sufficientemente grande da poter espellerlo nel tempo di pochi secondi e creare i gamma ray burst, e dal loro stesso studio si potrebbe arrivare alla conclusione che le due entità siano la stessa cosa. Le loro intense emissioni di energia provengono da qualunque direzione del cielo si osservi, segno questo di una distribuzione uniforme di questi oggetti; questa energia arriva, a volte, ad essere un milione di miliardi di volte maggiore di quella che emette il nostro Sole. Con l'entrata in opera del satellite Beppo-SAX, sono aumentate di molto le conoscenze al riguardo di questi fenomeni: infatti, entro poche ore, si riesce a stabilire la direzione di provenienza dei GRB, e ciò consente di poter rilevare i dati di quello che rimane dell'avvenuta esplosione. I possibili meccanismi che causano tutto ciò possono essere due: l'esplosione di una ipernova o la collisione fra due oggetti compatti, stelle di neutroni o buchi neri. La prima ipotesi vuole che i GRB siano l'effetto dell'esplosione di una stella di grande massa, più potente di quella di una supernova, per cui è stato coniato questo termine (ipernova), e ciò che rimane alla fine dell'esplosione è un buco nero. L'analisi di questi residui ha stabilito che il fenomeno avviene al di fuori della nostra galassia, ad una distanza da noi superiore ai 10 miliardi di anni luce, quindi lo studio di queste emissioni ci permette di approfondire le conoscenze dell'universo quando era ai primordi della propria esistenza. Parliamo ora dei collapser. Una collapsar è una stella di Wolf-Rayet in rapida rotazione attorno al proprio asse avente un nucleo di massa superiore alle 30 masse solari. Collassando, essa può generare un buco nero in rotazione, che attira la materia interstellare circostante accelerandola a velocità relativistiche caratterizzate da un fattore di Lorentz di circa 150, parametro che include questi oggetti tra i più veloci conosciuti. Le collapsar sono anche considerate delle supernovae di tipo Ib "fallite". Si crede che le collapsar siano la causa dei lampi gamma lunghi (con durata superiore ai 2 secondi), dal momento che lungo l'asse di rotazione del buco nero sono creati violenti getti di energia che sono la causa di intensi lampi di radiazione (osservabili solo se ci si trova lungo la direzione del getto). Un possibile esempio di collapsar è la supernova SN1998bw, alla quale è associato il lampo gamma GRB980425. Essa è stata classificata come supernova di tipo Ic a causa di un'anomalia del suo spettro nel campo delle onde radio, indizio della presenza di materia accelerata a velocità relativistiche. Osservazioni effettuate con il telescopio spaziale Hubble hanno portato un gruppo di scienziati del California Institute of Technology di Pasadena a scoprire la prova dell'esistenza di una supernova durante l'indagine del GRB 011121. Questo suffragherebbe la validità del modello delle collapsar, il quale prevede che una stella supermassiccia quando esplode dia origine ad un gamma ray burst (GRB) e che i detriti della supernova momentaneamente divengano più brillanti, mentre il lampo si affievolisce. Nello stesso tempo un gruppo di astronomi dell'Università di Leicester mette in crisi la validità di questo modello: da misure dello spettro del GRB 011211 che si è originato dopo l'esplosione di una supernova, è risultato che la stella supermassiccia è esplosa eiettando un guscio di detriti il quale è stato riscaldato dopo diversi giorni dell'emissione del GRB; ciò avvalorerebbe la teoria della supernova, secondo la quale l'esplosione origina una stella di neutroni che dopo alcuni mesi collassa ulteriormente divenendo un buco nero ed emettendo raggi gamma. L'energia prodotta in un secondo durante l'esplosione è estremamente alta e arriva a circa 10^47 joule, che corrisponde a 1.000 volte l'energia generata dal Sole in 10 miliardi di anni. La caduta di materiale all'interno della stella forma un buco nero ed anche getti diretti verso l'esterno lungo i poli da cui fuoriesce materiale ed energia ad una velocità che è un terzo di quella della luce; si forma un getto polare, simile ad un cono appuntito con un angolo di circa 20 gradi. Il getto irrompe dai poli come un tremendo geyser, che squarcia la stella; da questo istante la collapsar diventa una palla di fuoco che scaglia materiale a velocità relativistica nel vento solare che la stella aveva soffiato fino a poco prima verso il mezzo interstellare. 


Stelle di Neutroni

Una stella di neutroni è una stella compatta formata da materia degenere, la cui componente predominante è costituita da neutroni mantenuti insieme dalla forza di gravità. Si tratta di una cosiddetta stella degenere. È un corpo celeste massiccio di piccole dimensioni - di ordine non superiore alla trentina di chilometri (19 miglia) - ma avente altissima densità, e massa generalmente compresa tra le 1,4 e le 3 masse solari (anche se la più massiccia finora osservata è pari a 2,01 masse solari). Una stella di neutroni è il risultato del collasso gravitazionale del nucleo di una stella massiccia, che segue alla cessazione delle reazioni di fusione nucleare per l'esaurimento degli elementi leggeri al suo interno, e rappresenta pertanto l'ultimo stadio di vita di stelle con massa molto grande (superiore alle 10 masse solari). I neutroni sono costituenti del nucleo atomico e sono così chiamati in quanto elettricamente neutri. L'immensa forza gravitazionale, non più contrastata dalla pressione termica delle reazioni nucleari che erano attive nel corso della vita di una stella, schiaccia i nuclei atomici fra loro portando a contatto le particelle subatomiche, fondendo gli elettroni con i protoni trasformandoli in neutroni. La materia che forma le stelle di neutroni è diversa dalla materia ordinaria, e non ancora del tutto compresa. Le sue caratteristiche fisiche di densità sono più vicine a quelle dei nuclei atomici piuttosto che alla materia ordinaria composta da atomi. Le stelle di neutroni sono state tra i primi oggetti astronomici notevoli a essere predetti teoricamente (nel 1934) ed, in seguito, scoperti ed identificati (nel 1967). Le stelle di neutroni hanno una massa simile a quella del Sole, sebbene il loro raggio sia di qualche decina di chilometri, vale a dire diversi ordini di grandezza inferiore. La loro massa è concentrata in un volume di 7 × 1013 m3, circa 1014 volte più piccolo e la densità media è quindi 1014 volte più alta. Tali valori di densità sono i più alti conosciuti e impossibili da riprodurre in laboratorio (a titolo esemplificativo, per riprodurre una densità pari a quella dell'oggetto in questione occorrerebbe comprimere una portaerei nello spazio occupato da un granello di sabbia). Per fare un esempio concreto, consideriamo una stella di neutroni con raggio di 15 km e massa pari a 1,4 volte quella del Sole; essa avrà una densità di 1,98 x 1011 kg/cm3, vale a dire 198 milioni di tonnellate per centimetro cubo. Volendo immaginare una quantità equivalente in peso della "nostra" materia, per eguagliare la massa di un cm3 di materia della suddetta stella di neutroni sarebbe necessario un volume di 72 milioni di metri cubi di marmo (assumendo per esso una densità di 2,75 g/cm3), pari a un cubo di marmo con lato di 416 metri. Si tratta di una densità simile a quella dei nuclei atomici, ma estesa per decine di chilometri. In effetti, le stelle di neutroni possono essere considerate nuclei atomici giganti tenuti insieme dalla forza gravitazionale, che non collassano grazie all'effetto repulsivo della pressione di degenerazione neutronica, dovuto al Principio di esclusione di Pauli, e all'effetto repulsivo della forza forte, secondo il limite di Tolman-Oppenheimer-Volkoff. A causa della massa compressa in piccole dimensioni, una stella di neutroni possiede un campo gravitazionale superficiale cento miliardi (1011) di volte più intenso di quello della Terra. Una delle misure di un campo gravitazionale è la sua velocità di fuga, cioè la velocità che un oggetto deve avere per potergli sfuggire; sulla superficie terrestre essa è di circa 11 km/s, mentre su quella di una stella di neutroni si aggira intorno ai 100000 km/s, cioè un terzo della velocità della luce. Le stelle di neutroni sono uno dei possibili stadi finali dell'evoluzione stellare e sono quindi a volte chiamate stelle morte o cadaveri stellari. Si formano nelle esplosioni di supernova come il residuo collassato di una stella di grande massa (nelle supernovae di tipo II o Ib). Una tipica stella di neutroni ha un diametro di 20 km, ha una massa minima di 1,4 volte quella del Sole (altrimenti sarebbe rimasta una nana bianca) e una massima di 3 volte quella del Sole (altrimenti collasserebbe in un buco nero). La sua rotazione è spesso molto rapida: la maggior parte delle stelle di neutroni ruota con periodi da 1 a 30 s, ma alcune arrivano a pochi millesimi di secondo. La materia alla loro superficie è composta da nuclei ordinari ionizzati. Cominciando a scendere, si incontrano nuclei con quantità sempre più elevate di neutroni. Questi nuclei in condizioni normali decadrebbero rapidamente, ma sono tenuti stabili dall'enorme pressione. Ancora più in profondità si trova una soglia sotto la quale i neutroni liberi si separano dai nuclei e hanno un'esistenza indipendente. In questa regione si trovano nuclei, elettroni liberi e neutroni liberi. I nuclei diventano sempre di meno andando verso il centro, mentre la percentuale di neutroni aumenta. La natura esatta della materia superdensa che si trova al centro non è ancora ben compresa. Alcuni ricercatori si riferiscono ad essa come ad una sostanza teorica, il neutronio. Potrebbe essere una mistura superfluida di neutroni con tracce di protoni ed elettroni, potrebbero essere presenti particelle di alta energia come pioni e kaoni e altri speculano di materia composta da quark subatomici. Finora le osservazioni non hanno né confermato né escluso questi stati "esotici" della materia. Tuttavia, esaminando le curve di raffreddamento di alcune stelle di neutroni conosciute, sembrerebbe confermata l'ipotesi di stati superfluidi (e anche superconduttivi), almeno in alcune zone degli strati interni di tali astri. Nel 1932, Sir James Chadwick scoprì il neutrone, una nuova particella (che allora si pensava elementare mentre oggi si sa essere composta di quark) che gli valse il premio Nobel per la fisica del 1935. Nel 1934, Walter Baade e Fritz Zwicky proposero l'esistenza di stelle interamente composte di neutroni, dopo solo due anni dalla scoperta di Chadwick. Cercando una spiegazione per le origini delle supernova, proposero che queste producessero delle stelle di neutroni. Baade e Zwicky proposero correttamente che le supernova sono alimentate dall'energia di legame gravitazionale della stella di neutroni in formazione: "Nel processo della supernova la massa viene annichilata". Se per esempio le parti centrali di una stella massiccia, prima del collasso, ammontano a 3 masse solari, allora si potrebbe formare una stella di neutroni di 2 masse solari. L'energia di legame di una tale stella di neutroni è equivalente, quando espressa in unità di massa usando la famosa equazione E=mc², ad 1 massa solare. È in ultima analisi questa energia che alimenta la supernova. Una stella di neutroni isolata, senza alcuna materia attorno ad essa, è praticamente invisibile: la sua altissima temperatura la porta ad emettere un po' di radiazione visibile, ultravioletta, X e gamma, ma data la sua piccolezza la luce emessa è molto poca e, a distanze astronomiche, non rilevabile. Se però la stella di neutroni ha una compagna, questa può cederle massa. Oppure la stella di neutroni può "alimentarsi" da materia presente nei dintorni, se per esempio sta attraversando una nube di gas. In tutti questi casi la stella di neutroni può manifestarsi sotto varie forme:

  • Pulsar: termine generico indicante una stella di neutroni che emette impulsi direzionali di radiazione rilevabili sulla Terra grazie al suo fortissimo campo magnetico e alla sua radiazione. Funzionano più o meno come un faro rotante o come un orologio atomico.
  • Burster a raggi X - una stella di neutroni con una compagna binaria di piccola massa, dalla quale estrae materia che va a cadere sulla sua superficie. La materia che cade acquista un'enorme energia, ed è irregolarmente visibile.
  • Magnetar - un tipo di ripetitore gamma soft che ha un campo magnetico molto potente.

Le stelle di neutroni ruotano in modo molto rapido dopo la loro creazione, a causa della legge di conservazione del momento angolare: come una pattinatrice che accelera la sua rotazione chiudendo le braccia, la lenta rotazione della stella originale accelera mentre collassa. Una stella di neutroni appena nata può ruotare molte volte al secondo (quella nella Nebulosa del Granchio, nata appena 950 anni fa, ruota 30 volte al secondo). A volte, quando hanno una compagna binaria e possono ricevere da essa nuova materia, la loro rotazione accelera fino a migliaia di volte al secondo, distorcendo la loro forma sferica in un ellissoide, vincendo il loro fortissimo campo gravitazionale (tali stelle di neutroni, in genere scoperte come pulsar, sono chiamate pulsar ultrarapide). Col tempo, le stelle di neutroni rallentano perché i loro campi magnetici rotanti irradiano energia verso l'esterno. Le stelle di neutroni più vecchie possono impiegare molti secondi o anche minuti per compiere un giro. Questo effetto è detto frenamento magnetico. Nel caso delle pulsar, il frenamento magnetico aumenta l'intervallo tra un impulso e un altro. Il ritmo a cui una stella di neutroni rallenta la propria rotazione è costante e molto lento: i ritmi osservati sono tra 10−12 e 10−19 secondi al secolo. In altre parole, una stella di neutroni che adesso ruota in esattamente 1 secondo, tra un secolo ruoterà in 1,000000000001 secondi, se è tra quelle che rallentano di più: le più giovani, con un campo magnetico più forte. Le stelle di neutroni con un campo magnetico più debole hanno anche un frenamento magnetico meno efficace, e impiegano più tempo per rallentare. Queste differenze infinitesimali sono comunque misurabili con grande precisione dagli orologi atomici, sui quali ogni osservatore di pulsar si sincronizza. A volte le stelle di neutroni sperimentano un Glitch: un improvviso aumento della loro velocità di rotazione (comunque molto piccolo, comparabile con il rallentamento visto in precedenza). Si pensa che i glitch si originino da riorganizzazioni interne della materia che le compongono, in modo simile ai terremoti terrestri. Le stelle di neutroni hanno un campo magnetico molto intenso, circa 100 miliardi di volte più intenso di quello terrestre. La materia in arrivo viene letteralmente incanalata lungo le linee di campo magnetico. Gli elettroni viaggiano allontanandosi dalla stella, ruotando attorno ad essa in modo sincrono, finché non raggiungono il punto in cui sarebbero costretti a superare la velocità della luce per continuare a co-ruotare con essa. A questa distanza l'elettrone si deve fermare, e rilascia parte della sua energia cinetica come raggi X e raggi gamma. Gli osservatori esterni vedono questa radiazione quando osservano il polo magnetico. Poiché questo ruota velocemente insieme alla stella, gli osservatori vedono in realtà degli impulsi periodici. Tale fenomeno è detto pulsar. Quando le pulsar furono scoperte si pensò che potessero essere emissioni da parte di extraterrestri: nessun fenomeno naturale conosciuto a quel tempo poteva spiegare degli impulsi così regolari. Ci volle poco, però, per arrivare alla corretta interpretazione. Esiste un altro tipo di stella di neutroni, conosciuto come magnetar (contrazione di magnetic e star). Essa presenta campi magnetici ancora più forti, dell'ordine dei 10 GT o più, abbastanza da cancellare una carta di credito dalla distanza del Sole e, si pensa, essere mortali dalla distanza della Luna, a 400000 km (quest'ultimo dato è solo un'ipotesi, dato che la tecnologia odierna non è in grado di generare campi magnetici così forti da essere mortali). Una pulsar, nome che stava originariamente per sorgente radio pulsante, è una stella di neutroni. Nelle prime fasi della sua formazione, in cui ruota molto velocemente, la sua radiazione elettromagnetica in coni ristretti è osservata come impulsi emessi ad intervalli estremamente regolari. Nel caso di pulsar ordinarie, la loro massa è comparabile a quella del Sole, ma è compressa in un raggio di una decina di chilometri, quindi la loro densità è enorme. Il fascio di onde radio emesso dalla stella è causato dall'azione combinata del campo magnetico e della rotazione. Le pulsar si formano quando una stella esplode come supernova II, mentre le sue regioni interne collassano in una stella di neutroni congelando ed ingigantendo il campo magnetico originario. La velocità di rotazione alla superficie di una pulsar è variabile e dipende dal numero di rotazioni al secondo sul proprio asse e dal suo raggio. Nel caso di pulsar con emissioni a frequenze del kHz, la velocità superficiale può arrivare ad essere una frazione significativa della velocità della luce, a velocità di 70000 km/s. Le pulsar furono scoperte da Jocelyn Bell sotto la direzione di Antony Hewish nel 1967, mentre stavano usando un array radio per studiare la scintillazione delle quasar. Trovarono invece un segnale molto regolare, consistente di un impulso di radiazione ogni pochi secondi. L'origine terrestre del segnale fu esclusa, perché il tempo che l'oggetto impiegava ad apparire era in sincronia con il giorno siderale invece che con il giorno solare e la potenza emessa era di ordini di grandezza superiore a quella producibile artificialmente. La scoperta fu premiata con un Nobel nel 1974 che fu però assegnato scorrettamente al solo Hewish. Bell riceverà 44 anni dopo lo Special Breakthrough Prize con un premio in denaro di 3 milioni di dollari. Il nome originale dell'oggetto fu "LGM" (Little Green Men, piccoli omini verdi) perché qualcuno scherzò sul fatto che, essendo così regolari, potessero essere segnali trasmessi da una qualche forma di vita extraterrestre. Dopo molte speculazioni, una spiegazione più prosaica fu trovata in una stella di neutroni, un oggetto fino ad allora solo ipotizzato, ed oggi la prima pulsar scoperta è ufficialmente nota come PSR B1919+21. Negli anni 1970-1980, fu scoperta una nuova categoria di pulsar: le pulsar superveloci, o pulsar millisecondo che, come indica il loro nome, hanno un periodo di pochi millisecondi invece che di secondi o più e risultano essere molto antiche, frutto di un processo evolutivo lungo. Nel 2004 viene individuata la prima "pulsar doppia" ovvero due stelle pulsar che orbitano una attorno all'altra, in un sistema binario. La scoperta è opera di un gruppo di ricercatori internazionali, a cui partecipano anche italiani. In quest'ultimo caso, la grandissima precisione degli impulsi ha permesso agli astronomi di calcolare la perdita di energia orbitale del sistema, si pensa dovuta all'emissione di onde gravitazionali. L'esatto ammontare di questa perdita di energia è in buon accordo con le equazioni della Relatività generale di Einstein. Il modello di pulsar generalmente accettato, e raramente messo in discussione, è quello del rotatore obliquo. Spiega le osservazioni con un fascio di radiazioni che punta nella nostra direzione una volta per ogni rotazione della stella di neutroni. L'origine del fascio rotante è legato al disallineamento tra l'asse di rotazione e l'asse del campo magnetico della pulsar, analogamente a quanto si osserva sulla Terra. Il fascio è emesso dai poli magnetici della pulsar, che possono essere separati dai poli di rotazione di un angolo anche ampio. Questo angolo rende il comportamento dei fasci simile a quello di un faro. La sorgente di energia dei fasci è l'energia rotazionale della stella di neutroni, la quale rallenta lentamente la propria rotazione per alimentare i fasci. Le pulsar millisecondo sono state probabilmente accelerate dal momento angolare posseduto da una materia esterna caduta su di esse, proveniente da una vicina stella compagna in un sistema binario mediante il meccanismo del trasferimento di massa. Anche le pulsar millisecondo, però, rallentano costantemente la propria rotazione. L'osservazione di eventuali glitch è di interesse per lo studio dello stato della materia nelle stelle di neutroni. Un glitch è un improvviso aumento della velocità di rotazione (che viene osservato come un'improvvisa riduzione dell'intervallo tra gli impulsi). Per lungo tempo si è creduto che tali glitch derivassero da "stellemoti" dovuti ad aggiustamenti della crosta superficiale della stella di neutroni. Oggi esistono anche modelli alternativi, che spiegano i glitch come improvvisi fenomeni di superconduttività dell'interno della stella. La causa esatta dei glitch non è al momento conosciuta. Nel 2003, le osservazioni della pulsar della Nebulosa del Granchio ha rivelato "sotto-impulsi", sovrapposti al segnale principale, con una durata di pochi nanosecondi. Si pensa che impulsi così stretti possano essere emessi da regioni della superficie della pulsar con un diametro massimo di 60 centimetri, rendendo queste regioni le più piccole strutture mai misurate all'esterno del Sistema Solare. La scoperta delle pulsar ha confermato l'esistenza di stati della materia prima solo ipotizzati, come la stella di neutroni, e impossibili da riprodurre in laboratorio a causa delle alte energie necessarie, gravitazionali e non. Questo tipo di oggetti è l'unico in cui è possibile osservare il comportamento della materia a densità nucleari, anche se solo indirettamente. Inoltre, le pulsar millisecondo hanno consentito un nuovo test della relatività generale in condizioni di forti campi gravitazionali. Grazie alle pulsar, è stata possibile la scoperta del primo pianeta extrasolare, e successivamente di altri 10. Sono in corso studi per verificare la fattibilità di utilizzare le pulsar millisecondo per determinare con precisione la posizione di un oggetto che si muove a migliaia di chilometri all'ora nello spazio profondo ed utilizzarle in futuro per missioni spaziali robotiche. Una magnetar (contrazione dei termini inglesi magnetic star, letteralmente "stella magnetica") è una stella di neutroni che possiede un enorme campo magnetico, miliardi di volte quello terrestre, il cui decadimento genera intense ed abbondanti emissioni elettromagnetiche, in particolare raggi X e raggi gamma. La teoria riguardante tali oggetti fu formulata da Robert Duncan e Christopher Thompson nel 1992. Nel decennio seguente l'ipotesi della magnetar è stata largamente accettata come una possibile spiegazione fisica per particolari oggetti conosciuti come soft gamma repeater (sorgenti ricorrenti di raggi gamma morbidi) e pulsar anomale a raggi X. Quando durante un'esplosione di supernova una stella collassa in una stella di neutroni, il suo campo magnetico cresce in potenza (mentre la dimensione viene dimezzata, la potenza quadruplica). Duncan e Thompson hanno calcolato che il campo magnetico di una stella di neutroni, normalmente di circa 1×108 T, può, tramite un effetto simile alla dinamo, diventare ancora più grande, superiore a 1×1011 T (o 1×1015 G); una simile stella di neutroni è detta per l'appunto magnetar. Una supernova, durante l'esplosione, arriva a perdere il 10% della sua massa. Nel caso di stelle molto grandi (10-30 M⊙) che, a seguito dell'esplosione, non si trasformano in buchi neri, perdono circa l'80% della propria massa. Si ritiene che circa 1 supernova su 10 degeneri in una magnetar anziché in una più comune stella di neutroni o in una pulsar: accade quando la stella ha già una veloce rotazione ed un forte magnetismo. Si ritiene che il campo magnetico di una magnetar sia il risultato di un moto convettivo ad effetto dinamo di materiale caldo nel nucleo della stella di neutroni che intercorre nei primi 10 s circa di vita della stella; se la stella stessa ruota inizialmente alla stessa velocità del periodo di convezione, circa 10 ms, le correnti convettive sono in grado di operare globalmente sull'astro e di trasferire una quantità significativa della loro energia cinetica nella forza del loro campo magnetico. Nelle stelle di neutroni che ruotano meno rapidamente, le celle convettive si formano solo in alcune regioni della stella. Negli strati esterni della magnetar le tensioni che si originano dalle torsioni delle linee di forza del campo magnetico stellare possono provocare uno "stellamoto" (starquake), ovvero la crosta della stella di neutroni viene spaccata dall'intenso magnetismo e sprofonda nello strato interno in modo molto simile a ciò che accade alla crosta terrestre durante un terremoto. Queste onde sismiche sono estremamente energetiche e causano una forte emissione di raggi X e gamma; gli astronomi definiscono questo oggetto soft gamma repeater. La vita attiva di una magnetar è abbastanza breve: i forti campi magnetici decadono dopo circa 10 000 anni, dopo di che cessano sia l'attività che l'emissione di raggi X. Molto probabilmente la Via lattea è piena di magnetar spente. Un campo magnetico di circa 10 GT è in grado di smagnetizzare una carta di credito da metà della distanza tra la Terra e la Luna. Un piccolo magnete costituito dal lantanide neodimio ha un campo di circa 1 tesla, la Terra ha un campo geomagnetico di 30-60 μT, e gran parte dei sistemi di conservazione dei dati possono essere gravemente danneggiati da breve distanza da un campo di 1 mT. Il campo magnetico di una magnetar può essere letale da una distanza di 1 000 km, poiché in grado di strappare i tessuti per via del diamagnetismo dell'acqua. Le forze di marea di una magnetar di 1,4 M⊙ sono altrettanto letali alla stessa distanza, in grado di fare a pezzi un uomo di corporatura media con una forza di oltre 20 kN (oltre 2 040 kgf). Nel 2003 nella rivista scientifica Scientific American fu descritto ciò che accade nel campo magnetico di una magnetar: i fotoni X si scindono in due parti o si fondono insieme, mentre i fotoni della luce polarizzata, quando entrano nel campo magnetico, cambiano velocità e, talvolta, lunghezza d'onda. Finché il campo riesce ad evitare che gli elettroni vibrino, come farebbero normalmente in risposta alla sollecitazione della luce, le onde luminose "scivolano" oltre gli elettroni senza perdere energia. Ciò avviene più facilmente nel vuoto, dove è possibile dividere la luce in differenti polarizzazioni (come in un immateriale cristallo di calcite). Un simile campo magnetico "stira" gli atomi in lunghi cilindri. In un campo di circa 105 tesla, gli orbitali atomici si deformano sino alla forma di un sigaro. A 1010 tesla, un atomo di idrogeno si allunga sino a diventare 200 volte più stretto del suo diametro normale. A fine 2017 è stato effettuato un censimento degli Outburst (eventi durante i quali le magnetar aumentano di luminosità sino a migliaia di volte) con la creazione di un catalogo che analizza le proprietà di emissione di tutti gli outburst osservati dalle magnetar, dalle prime fasi attive sino al loro decadimento.


Buchi neri

In astrofisica un buco nero è un corpo celeste con un campo gravitazionale così intenso da non lasciare sfuggire né la materia, né la radiazione elettromagnetica, ovvero, da un punto di vista relativistico, una regione dello spaziotempo con una curvatura talmente grande che nulla dal suo interno può uscirne, nemmeno la luce essendo la velocità di fuga superiore a c. Il buco nero è il risultato di implosioni di masse sufficientemente elevate. La gravità domina su qualsiasi altra forza, sicché si verifica un collasso gravitazionale che tende a concentrare lo spaziotempo in un punto al centro della regione, dove è teorizzato uno stato della materia di curvatura tendente ad infinito e volume tendente a zero chiamato singolarità, con caratteristiche sconosciute ed estranee alle leggi della relatività generale. Il limite del buco nero è definito orizzonte degli eventi, regione che ne delimita in modo peculiare i confini osservabili. Per le suddette proprietà, il buco nero non è osservabile direttamente. La sua presenza si rivela solo indirettamente mediante i suoi effetti sullo spazio circostante: le interazioni gravitazionali con altri corpi celesti e le loro emissioni (vedi lente gravitazionale), le irradiazioni principalmente elettromagnetiche della materia catturata dal suo campo di forza. Nel corso dei decenni successivi alla pubblicazione della Relatività Generale, base teorica della loro esistenza, vennero raccolte numerose osservazioni interpretabili, pur non sempre univocamente, come prove della presenza di buchi neri, specialmente in alcune galassie attive e sistemi stellari di binarie X. L'esistenza di tali oggetti è oggi definitivamente dimostrata e via via ne vengono individuati di nuovi con massa molto variabile, da valori di circa 5 fino a miliardi di masse solari. Nel 1915, Albert Einstein sviluppò la sua teoria della relatività generale, avendo in precedenza dimostrato che la forza gravitazionale influenza la luce. Solo pochi mesi dopo, Karl Schwarzschild trovò una soluzione per le equazioni di campo di Einstein, che descrive il campo gravitazionale di un punto materiale e di una massa sferica. Pochi mesi dopo Schwarzschild morì e Johannes Droste, uno studente di Hendrik Lorentz, diede in modo indipendente la stessa soluzione, approfondendone le proprietà. Questa soluzione ebbe una strana influenza su ciò che ora è chiamato il raggio di Schwarzschild, che diventò una singolarità, nel senso che alcuni dei termini dell'equazione di Einstein divennero infiniti. La natura di questa superficie non era compresa pienamente a quei tempi. Nel 1924, Arthur Eddington dimostrò che la singolarità cessava di esistere con una variazione di coordinate (vedi coordinate Eddington-Finkelstein), tuttavia si dovette aspettare fino al 1933, quando Georges Lemaître si rese conto che la singolarità del raggio di Schwarzschild era una singolarità coordinata non fisica. Nel 1931 Subrahmanyan Chandrasekhar calcolò, utilizzando la relatività speciale, che un corpo non rotante di elettroni-materia degenere, al di sopra di un certo limite di massa (ora chiamato il limite di Chandrasekhar di 1,4 masse solari) non ha soluzioni stabili. I suoi argomenti furono contestati da molti contemporanei come Eddington e Lev Landau, i quali sostenevano che qualche forza ancora sconosciuta avrebbe impedito il collasso del corpo. Questa teoria era in parte corretta: una nana bianca leggermente più massiccia rispetto al limite di Chandrasekhar collasserà in una stella di neutroni, la quale è essa stessa stabile a causa del principio di esclusione di Pauli. Ma nel 1939, Robert Oppenheimer e altri previdero che le stelle di neutroni con massa pari a circa tre volte il Sole (il limite di Tolman-Oppenheimer-Volkoff) sarebbero collassate in buchi neri per le ragioni presentate da Chandrasekhar, e conclusero che nessuna legge fisica sarebbe intervenuta per fermare il collasso di alcune di queste. Oppenheimer e i suoi coautori interpretarono la singolarità ai confini del raggio di Schwarzschild come la superficie di una bolla concentrata di materia in cui il tempo può rallentare e addirittura fermarsi. Questa conclusione è valida dal punto di vista di un osservatore esterno, mentre non lo è per un osservatore in caduta nel buco. A causa di questa proprietà, le stelle collassate sono chiamate "stelle congelate", perché un osservatore esterno vedrebbe la superficie della stella congelata nel tempo, nel momento stesso in cui il suo collasso la portasse all'interno del raggio di Schwarzschild. Poco dopo la formulazione della relatività generale da parte di Albert Einstein, risultò che la soluzione delle equazioni di Einstein (in assenza di materia) che rappresenta un campo gravitazionale statico e a simmetria sferica (la soluzione di Karl Schwarzschild, che corrisponde al campo gravitazionale centrale simmetrico della gravità newtoniana) implica l'esistenza di un confine ideale, detto orizzonte degli eventi, caratterizzato dal fatto che qualunque cosa lo oltrepassi, attratta dal campo gravitazionale, non sarà più in grado di tornare indietro. Poiché neppure la luce riesce ad attraversare l'orizzonte degli eventi dall'interno verso l'esterno, la regione interna all'orizzonte si comporta a tutti gli effetti come un buco nero. Poiché la soluzione di Schwarzschild descrive il campo gravitazionale nel vuoto, essa rappresenta esattamente il campo gravitazionale all'esterno di una distribuzione di massa con simmetria sferica: un buco nero potrebbe essere teoricamente prodotto da un corpo celeste massiccio solo se questo avesse densità tale da essere interamente contenuto all'interno dell'orizzonte degli eventi (se, cioè, il corpo celeste avesse raggio inferiore al raggio di Schwarzschild corrispondente alla sua massa totale). Si pose dunque l'interrogativo se una tale densità possa essere raggiunta come effetto del collasso gravitazionale di una data distribuzione di materia. Lo stesso Einstein (al quale la "singolarità" trovata da Schwarzschild nella sua soluzione appariva come una pericolosa inconsistenza nella teoria della relatività generale) discusse questo punto in un lavoro del 1939, concludendo che per raggiungere una simile densità le particelle materiali avrebbero dovuto superare la velocità della luce, in contrasto con la relatività ristretta:

«Il risultato fondamentale di questo studio è la chiara comprensione del perché le "singolarità di Schwarzschild" non esistono nella realtà fisica.»

In realtà Einstein aveva basato i suoi calcoli sull'ipotesi che i corpi che collassano orbitino intorno al centro di massa del sistema, ma nello stesso anno Robert Oppenheimer e H. Snyder mostrarono che la densità critica può essere raggiunta quando le particelle collassano radialmente. Successivamente anche il fisico indiano A. Raychaudhuri mostrò che la situazione ritenuta da Einstein non fisicamente realizzabile è, in realtà, perfettamente compatibile con la relatività generale:

«[In questo lavoro] si ottiene una soluzione non statica delle equazioni gravitazionali di Einstein che rappresenta un aggregato, dotato di simmetria sferica, di particelle che si muovono radialmente in uno spazio vuoto. Benché Einstein abbia ritenuto che la singolarità di Schwarzschild sia fisicamente irraggiungibile, poiché la materia non può essere concentrata arbitrariamente, la presente soluzione sembra dimostrare che non vi è un limite teorico al grado di concentrazione, e che la singolarità di Schwarzschild non ha significato fisico in quanto compare solo in particolari sistemi di coordinate.»

In altri termini, l'orizzonte degli eventi non è una reale singolarità dello spazio-tempo (nella soluzione di Schwarzschild l'unica vera singolarità geometrica è collocata nell'origine delle coordinate), ma ha comunque la caratteristica fisica di poter essere attraversato solo dall'esterno verso l'interno. In accordo con queste considerazioni teoriche numerose osservazioni astrofisiche sono state fatte risalire alla presenza di buchi neri che attraggono materia circostante.[16] Secondo alcuni modelli, potrebbero esistere buchi neri privi di singolarità, dovuti a stati della materia più densi di una stella di neutroni, ma non al punto di generare una singolarità.

Secondo le teorie attualmente considerate, un buco nero può formarsi solamente da una stella che abbia una massa superiore a 2,5 volte circa quella del Sole, come conseguenza del Limite di Tolman-Oppenheimer-Volkoff, anche se a causa dei vari processi di perdita di massa subiti dalle stelle al termine della loro vita occorre che la stella originaria sia almeno dieci volte più massiccia del Sole. I numeri citati sono meramente indicativi, in quanto dipendono dai dettagli dei modelli utilizzati per prevedere l'evoluzione stellare e, in particolare, dalla composizione chimica iniziale della nube di gas che ha dato origine alla stella in questione. Non è esclusa la possibilità che un buco nero possa avere origine non stellare, come si suppone ad esempio per i cosiddetti buchi neri primordiali. In astrofisica, il teorema dell'essenzialità (in inglese no hair theorem) postula che tutte le soluzioni del buco nero nelle equazioni di Einstein-Maxwell sulla gravitazione e l'elettromagnetismo nella relatività generale possano essere caratterizzate solo da tre parametri classici esternamente osservabili: massa, carica elettrica e momento angolare. Tutte le altre informazioni riguardanti la materia di cui è formato un buco nero o sulla materia che vi sta cadendo dentro "spariscono" dietro il suo orizzonte degli eventi e sono dunque permanentemente inaccessibili agli osservatori esterni (vedi anche il paradosso dell'informazione del buco nero). Due buchi neri che condividano queste stesse proprietà, o parametri, secondo la meccanica classica sono indistinguibili.

Queste proprietà sono speciali perché sono visibili dall'esterno di un buco nero. Ad esempio, un buco nero carico respinge un altro con la stessa carica, proprio come qualsiasi altro oggetto carico. Allo stesso modo, la massa totale all'interno di una sfera contenente un buco nero può essere trovata utilizzando l'analogo gravitazionale della legge di Gauss, la massa ADM, lontano dal buco nero.[19] Parimenti, il momento angolare può essere misurato da lontano usando l'effetto di trascinamento del campo gravitomagnetico.

Quando un oggetto cade in un buco nero, qualsiasi informazione circa la forma dell'oggetto o della distribuzione di carica su di essa è uniformemente distribuita lungo l'orizzonte del buco nero, e risulta irrimediabilmente persa per l'osservatore esterno. Il comportamento dell'orizzonte in questa situazione è un sistema dissipativo che è strettamente analogo a quello di una membrana elastica conduttiva con attrito e resistenza elettrica - il paradigma della membrana. Questa congettura è diversa da altre teorie di campo come l'elettromagnetismo, che non ha attriti o resistività a livello microscopico, perché sono reversibili nel tempo. Dato che un buco nero alla fine raggiunge la stabilità con solo tre parametri, non c'è modo per evitare di perdere informazioni sulle condizioni iniziali: i campi gravitazionali ed elettrici di un buco nero danno pochissime informazioni su ciò che è stato risucchiato.

L'informazione persa comprende ogni quantità che non può essere misurata lontano dall'orizzonte del buco nero, inclusi numeri quantici approssimativamente conservati, come il totale del numero barionico e leptonico. Questo comportamento è così sconcertante che è stato chiamato il paradosso dell'informazione del buco nero. I buchi neri più semplici hanno una massa, ma non carica elettrica né momento angolare. Questi buchi neri sono spesso indicati come buchi neri di Schwarzschild dopo che Karl Schwarzschild scoprì questa soluzione nel 1916. Secondo il teorema di Birkhoff, è l'unica soluzione di vuoto sfericamente simmetrica. Ciò significa che non vi è differenza osservabile tra il campo gravitazionale di un buco nero e di un qualsiasi altro oggetto sferico della stessa massa. La convinzione popolare di un buco nero capace di "risucchiare ogni cosa" nel suo ambiente quindi è corretta solo in prossimità dell'orizzonte di un buco nero; a distanza da questo, il campo gravitazionale esterno è identico a quello di qualsiasi altro organismo della stessa massa. Esistono anche soluzioni che descrivono i buchi neri più generali. I buchi neri carichi sono descritti dalla metrica di Reissner-Nordström, mentre la metrica di Kerr descrive un buco nero rotante. La soluzione più generale di un buco nero stazionante conosciuta è la metrica di Kerr-Newman, che descrive un buco nero sia con carica sia con momento angolare. Mentre la massa di un buco nero può assumere qualsiasi valore positivo, la carica e il momento angolare sono vincolati dalla massa. In unità di Planck, la carica elettrica totale Q e il momento angolare totale J sono tenuti a soddisfare: (Q)^2+(J/M)^2<M^2 per un buco nero di massa M. I buchi neri che soddisfano questa disuguaglianza sono detti estremali. Esistono soluzioni delle equazioni di Einstein che violano questa disuguaglianza, ma che non possiedono un orizzonte degli eventi. Queste soluzioni sono le cosiddette singolarità nude che si possono osservare dal di fuori, e, quindi, sono considerate non-fisiche. L'ipotesi della censura cosmica esclude la formazione di tali singolarità, quando vengono create attraverso il collasso gravitazionale della materia realistica. Questa ipotesi è supportata da simulazioni numeriche. A causa della relativamente grande forza elettromagnetica, i buchi neri formatisi dal collasso di stelle sono tenuti a mantenere la carica quasi neutra della stella. La rotazione, tuttavia, dovrebbe essere una caratteristica comune degli oggetti compatti. Il buco nero binario a raggi X GRS 1915 105 sembra avere un momento angolare vicino al valore massimo consentito. I buchi neri sono comunemente classificati in base alla loro massa, indipendente del momento angolare J o carica elettrica Q. La dimensione di un buco nero, come determinata dal raggio dell'orizzonte degli eventi, o raggio di Schwarzschild, è approssimativamente proporzionale alla massa M. La caratteristica distintiva dei buchi neri è la comparsa di un orizzonte degli eventi attorno al baricentro della loro massa: spazio geometricamente sferico e chiuso (con apparente superficie materiale rispetto ad osservatori esterni) che ne circonda il nucleo massiccio, delimitando la regione spazio-temporale dalla quale relativisticamente non può uscire o venir emesso alcun segnale né alcuna quantità di materia (eccetto la teorica Radiazione di Hawking), quindi può solo esser raggiunta da altri osservabili e attraversata nella sua direzione, non in senso opposto. Questo impedimento ad emissioni e fuoriuscite produce il costante mantenimento o un potenziale aumento del contenuto del buco nero che, in lunghissimo periodo, potrebbe venir destabilizzato solo dalla citata radiazione quantistica ipotizzata dal notissimo fisico Stephen Hawking. Allora, la concentrazione di massa raggiungendo qui la quantità critica capace di deformare in modo così estremo lo spazio-tempo tale che i possibili percorsi di tutte le particelle possono solo piegarsi verso la sua area, senza più vie di fuga, osservatori esterni non possono ottenere informazione su eventi compresi entro i suoi confini e ciò ne rende impossibile qualsiasi verifica diretta. Per osservatori fuori da tale influenza gravitazionale, come prescrive la Relatività, orologi vicini al buco nero risultano procedere più lentamente rispetto a quelli lontani da esso. A causa di questo effetto, detto dilatazione temporale gravitazionale, da punti di vista esterni e distanti un oggetto in caduta verso un buco nero, avvicinandosi al suo orizzonte degli eventi, appare rallentato nella propria velocità fino ad impiegare un tempo infinito per raggiungerlo. Coerentemente rallenta anche ogni altro suo processo fisico e organico in atto. In sincronia con tale rallentamento la sua immagine è soggetta al noto fenomeno del red-shift gravitazionale[36], sicché, in modo commisurato al suo approssimarsi all'orizzonte, la luce che rendeva visibile l'oggetto si sposta sempre più verso l'infrarosso sino a diventare impercepibile. Ma un osservatore in caduta nel buco nero non nota nessuno di suddetti cambiamenti mentre attraversa l'orizzonte degli eventi. Secondo il suo personale orologio attraversa l'orizzonte degli eventi dopo un tempo finito, senza percepire alcun comportamento insolito: in quanto per ogni sistema il "tempo proprio" ovunque si trovi o proceda, per equivalenza relativistica tra punti d'osservazione, risulta invariante. E in questo caso particolare nemmeno è in grado di valutare esattamente quando compie l'attraversamento essendo impossibile individuare con precisione confini dell'orizzonte, e posizione rispetto ad esso, da parte di chi (o di qual strumento) vi effettui misurazioni locali. Però a causa del principio di simmetria fisica egli riscontrerà nello spazio esterno all'orizzonte un ritmo temporale inversamente proporzionale a quello attribuitogli da osservatori là collocati, e cioè ne vedrà una accelerazione tendente all'infinito, una velocizzazione estrema degli eventi cosmici in atto. Per identico motivo la luce indirizzata verso lui, verso l'orizzonte degli eventi del buco nero, apparirà con frequenza (lunghezza d'onda) opposta a quella in allontanamento: un blue-shift invece che red-shift.

La forma dell'orizzonte degli eventi di un buco nero è sempre approssimativamente sferica. Per quelli non rotanti (o statici) la sua geometria è simmetrica (tutti i punti del suo confine distano ugualmente dal centro gravitazionale), mentre per buchi neri rotanti la forma è oblata (allargata lungo l'asse di rotazione) in misura più o meno pronunciata a secondo della velocità rotatoria: effetto calcolato da Larry Smarr (Stanford University) nel 1973. Al centro di un buco nero, come descritto dalla relatività generale, si trova una singolarità gravitazionale, una regione in cui la curvatura dello spaziotempo diventa infinita. Per un buco nero non rotante, questa regione prende la forma di un unico punto, mentre per un buco nero rotante viene spalmata per formare una singolarità ad anello giacente nel piano di rotazione. In entrambi i casi, la regione singolare ha volume pari a zero. Si può dimostrare che la regione singolare contiene tutta la massa del buco nero. La regione singolare può quindi essere pensata come avente densità infinta.

Gli osservatori che cadono in un buco nero di Schwarzschild (cioè, non rotante e non carico) non possono evitare di essere trasportati nella singolarità una volta che attraversano l'orizzonte degli eventi. Gli osservatori possono prolungare l'esperienza accelerando verso l'esterno per rallentare la loro discesa, ma fino a un certo punto; dopo aver raggiunto una certa velocità ideale, è meglio la caduta libera per proseguire. Quando raggiungono la singolarità, sono schiacciati a densità infinita e la loro massa è aggiunta alla massa totale del buco nero. Prima che ciò accada, essi sono comunque stati fatti a pezzi dalle crescenti forze di marea in un processo a volte indicato come spaghettificazione o "effetto pasta". Nel caso di un buco nero rotante (Kerr) o carico (Reissner-Nordström), è possibile evitare la singolarità.

Estendendo queste soluzioni per quanto possibile, si rivela la probabilità, altamente ipotetico-speculativa, di un'uscita dal buco nero verso regioni spazio-temporali differenti e lontane (eventualmente anche altri universi), col buco che funge da tunnel spaziale. Comunque questa possibilità finora pare non più che teorica in quanto pur lievi perturbazioni basterebbero a distruggerne la via. Sembrano inoltre non impossibili curve spaziotemporali chiuse di tipo tempo (che permetterebbero di ripercorrere il proprio passato) intorno alle singolarità di Kerr, però ciò implicherebbe problemi di causalità come il paradosso del nonno.

Parte della comunità scientifica valuta che nessuno di questi effetti particolari possa verificarsi in un corretto trattamento quantico dei buchi neri rotanti e carichi. La comparsa delle singolarità nella relatività generale è comunemente considerata elemento di rottura della teoria stessa.

Tale inadeguatezza viene compensata dal ricorso alla fisica quantistica quando a descrivere detti processi si considerano gli effetti quantistici dovuti alla densità estremamente elevata della materia e pertanto alle interazioni tra particelle secondo la meccanica dei quanti. Non è stato ancora possibile combinare effetti quantistici e gravitazionali in una singola teoria, sebbene esistano tentativi di formulare una gravità quantistica. Si pensa che una tale teoria possa riuscire a escludere la presenza delle singolarità e dunque dei problemi fisici che esse pongono. Il 10 dicembre 2018, Abhay Ashtekar, Javier Olmedo e Parampreet Singh hanno pubblicato un articolo scientifico nel campo della teoria della gravità ad anello che prevede l'assenza di singolarità centrale all'interno del buco nero, senza specificare geometricamente il futuro della materia a questo punto mentre il modello Janus propone una spiegazione. Questo nuovo studio fornisce le stesse conclusioni di quelli ottenuti da lavori precedenti basati sulla relatività generale. La sfera fotonica è un confine sferico di spessore nullo tale che i fotoni che si spostano tangenti alla sfera sono intrappolati in un'orbita circolare. Per i buchi neri non-rotanti, la sfera fotonica ha un raggio di 1,5 volte il raggio di Schwarzschild. Le orbite sono dinamicamente instabili, quindi ogni piccola perturbazione (come una particella di materia in caduta) aumenterà nel tempo, o tracciando una traiettoria verso l'esterno che sfuggirà al buco nero o una spirale verso l'interno che eventualmente attraverserà l'orizzonte degli eventi. Mentre la luce può ancora sfuggire dall'interno della sfera fotonica, ogni luce che l'attraversi con una traiettoria in entrata sarà catturata dal buco nero. Quindi qualsiasi luce che raggiunga un osservatore esterno dall'interno della sfera fotonica deve essere stata emessa da oggetti all'interno della sfera, ma ancora fuori dell'orizzonte degli eventi. Altri oggetti compatti, come le stelle di neutroni, possono avere sfere fotoniche. Ciò deriva dal fatto che il campo gravitazionale di un oggetto non dipende dalla sua dimensione effettiva, quindi ogni oggetto più piccolo di 1,5 volte il raggio di Schwarzschild corrispondente alla sua massa può effettivamente avere una sfera di fotoni. I buchi neri rotanti sono circondati da una regione dello spazio-tempo in cui è impossibile stare fermi chiamata ergosfera. Questo è il risultato di un processo noto come effetto di trascinamento; la relatività generale predice che qualsiasi massa rotante tenderà a "trascinare" leggermente tutto lo spazio-tempo immediatamente circostante. Qualsiasi oggetto vicino alla massa rotante tenderà a muoversi nella direzione della rotazione. Per un buco nero rotante questo effetto diventa così forte vicino all'orizzonte degli eventi che un oggetto, solo per fermarsi, dovrebbe spostarsi più veloce della velocità della luce nella direzione opposta.

L'ergosfera di un buco nero è delimitata nella sua parte interna dal confine dell'orizzonte degli eventi (esterno) e da un sferoide schiacciato, che coincide con l'orizzonte degli eventi ai poli ed è notevolmente più largo intorno all'equatore. Il confine esterno è talvolta chiamato ergo-superficie. Gli oggetti e le radiazioni normalmente possono sfuggire dall'ergosfera. Attraverso il processo di Penrose, gli oggetti possono emergere dall'ergosfera con energia maggiore di quella d'entrata. Questa energia viene prelevata dalla energia di rotazione del buco nero, facendolo rallentare. Considerando la natura esotica dei buchi neri, può essere naturale domandarsi se tali oggetti possano esistere in natura o asserire che siano soltanto soluzioni "patologiche" delle equazioni di Einstein. Einstein stesso pensò erroneamente che i buchi neri non si sarebbero formati perché ritenne che il momento angolare delle particelle collassate avrebbe stabilizzato il loro moto a un certo raggio. Ciò condusse i relativisti del periodo a rigettare tutti i risultati contrari a questa teoria per molti anni. Tuttavia, una minoranza continuò a sostenere che i buchi neri fossero oggetti fisici[74] e, per la fine del 1960, la maggior parte dei ricercatori era convinta che non vi fosse alcun ostacolo alla formazione di un orizzonte degli eventi.

Penrose dimostrò che una volta formatosi un orizzonte degli eventi, si forma una singolarità da qualche parte all'interno di esso. Poco dopo, Hawking dimostrò che molte soluzioni cosmologiche che descrivono il Big Bang hanno singolarità senza campi scalari o altra materia esotica (cfr. teoremi di singolarità di Penrose-Hawking). La soluzione di Kerr, il teorema no-hair e le leggi della termodinamica dei buchi neri hanno dimostrato che le proprietà fisiche dei buchi neri sono relativamente semplici, il che li rende "oggetti rispettabili per la ricerca". Si pensa che il processo di formazione primaria per i buchi neri sia il collasso gravitazionale di oggetti pesanti come le stelle, ma ci sono anche processi più esotici che possono portare alla produzione di buchi neri. Verso il termine del proprio ciclo vitale, dopo aver consumato tramite fusione nucleare il 90% dell'idrogeno trasformandolo in elio, nel nucleo della stella si arrestano le reazioni nucleari. La forza gravitazionale, che prima era in equilibrio con la pressione generata dalle reazioni di fusione nucleare, prevale e comprime la massa della stella verso il suo centro.

Quando la densità diventa sufficientemente elevata può innescarsi la fusione nucleare dell'elio, in seguito alla quale c'è la produzione di litio, azoto e altri elementi (fino all'ossigeno e al silicio). Durante questa fase la stella si espande e si contrae violentemente più volte espellendo parte della propria massa. Le stelle più piccole si fermano a un certo punto della catena e si spengono, raffreddandosi e contraendosi lentamente, attraversano lo stadio di nana bianca e nel corso di molti milioni di anni diventano una sorta di gigantesco pianeta. In questo stadio la forza gravitazionale è bilanciata da un fenomeno quantistico, detto pressione di degenerazione, legato al principio di esclusione di Pauli. Per le nane bianche la pressione di degenerazione è presente tra gli elettroni.

Se invece il nucleo della stella supera una massa critica, detta limite di Chandrasekhar e pari a 1,44 volte la massa solare, le reazioni possono arrivare fino alla sintesi del ferro. La reazione che sintetizza il ferro per la formazione di elementi più pesanti è endotermica, richiede energia invece che emetterne, quindi il nucleo della stella diventa una massa inerte di ferro e non presentando più reazioni nucleari non c'è più nulla in grado di opporsi al collasso gravitazionale. A questo punto la stella subisce una contrazione fortissima che fa entrare in gioco la pressione di degenerazione tra i componenti dei nuclei atomici. La pressione di degenerazione arresta bruscamente il processo di contrazione, ma in questo caso può provocare una gigantesca esplosione, detta esplosione di supernova di tipo II.

Durante l'esplosione quel che resta della stella espelle gran parte della propria massa, che va a disperdersi nell'universo circostante. Quello che rimane è un nucleo estremamente denso e massiccio. Se la sua massa è abbastanza piccola da permettere alla pressione di degenerazione di contrastare la forza di gravità si arriva a una situazione di equilibrio e si forma una stella di neutroni. Se la massa supera le tre masse solari (limite di Volkoff-Oppenheimer) non c'è più niente che possa contrastare la forza gravitazionale. Inoltre, secondo la relatività generale, la pressione interna non viene più esercitata verso l'esterno (in modo da contrastare il campo gravitazionale), ma diventa essa stessa una sorgente del campo gravitazionale rendendo così inevitabile il collasso infinito.

A questo punto la densità della stella morente, ormai diventata un buco nero, raggiunge velocemente valori tali da creare un campo gravitazionale talmente intenso da non permettere a nulla di sfuggire alla sua attrazione, neppure alla luce. È stato teorizzato che la curvatura infinita dello spaziotempo può far nascere un ponte di Einstein-Rosen o cunicolo spazio-temporale.

A causa delle loro caratteristiche i buchi neri non possono essere "visti" direttamente ma la loro presenza può essere ipotizzata a causa degli effetti di attrazione gravitazionale che esercitano nei confronti della materia vicina e della radiazione luminosa in transito nei paraggi o "in caduta" sul buco.

Esistono anche altri scenari che possono portare alla formazione di un buco nero. In particolare una stella di neutroni in un sistema binario può rubare massa alla sua vicina fino a superare la massa di Chandrasekhar e collassare. Alcuni indizi suggeriscono che questo meccanismo di formazione sia più frequente di quello "diretto".

Un altro scenario permette la formazione di buchi neri con massa inferiore alla massa di Chandrasekhar. Anche una quantità arbitrariamente piccola di materia, se compressa da una gigantesca forza esterna, potrebbe in teoria collassare e generare un orizzonte degli eventi molto piccolo. Le condizioni necessarie potrebbero essersi verificate nel primo periodo di vita dell'universo, quando la sua densità media era ancora molto alta a causa di variazioni di densità o di onde di pressione. Questa ipotesi è ancora completamente speculativa e non ci sono indizi che buchi neri di questo tipo esistano o siano esistiti in passato. Il collasso gravitazionale richiede una grande densità. Al momento nell'universo queste alte densità si trovano solo nelle stelle, ma nell'universo primordiale, poco dopo il Big Bang, le densità erano molto più elevate, e ciò probabilmente permise la creazione di buchi neri. Tuttavia la sola alta densità non è sufficiente a consentire la formazione di buchi neri poiché una distribuzione di massa uniforme non consente alla massa di convergere. Affinché si formino dei buchi neri primordiali, sono necessarie delle perturbazioni di densità che possano poi crescere grazie alla loro stessa gravità. Vi sono diversi modelli di universo primordiale che variano notevolmente nelle loro previsioni della dimensione di queste perturbazioni. Molti prevedono la creazione di buchi neri, che vanno da una massa di Planck a centinaia di migliaia di masse solari. I buchi neri primordiali potrebbero così spiegare la creazione di qualsiasi tipo di buco nero. La caratteristica fondamentale dei buchi neri è che il loro campo gravitazionale divide idealmente lo spaziotempo in due o più parti separate fra di loro da un orizzonte degli eventi. Un'informazione fisica (come un'onda elettromagnetica o una particella) potrà oltrepassare un orizzonte degli eventi in una direzione soltanto. Nel caso ideale, e più semplice, di un buco nero elettricamente scarico e non rotante (buco nero di Schwarzschild) esiste un solo orizzonte degli eventi che è una sfera centrata nell'astro e di raggio pari al raggio di Schwarzschild, che è funzione della massa del buco stesso. Una frase coniata dal fisico John Archibald Wheeler, un buco nero non ha capelli, sta a significare che tutte le informazioni sugli oggetti o segnali che cadono in un buco nero vengono perdute con l'eccezione di tre fattori: massa, carica e momento angolare. Il corrispondente teorema è stato dimostrato da Wheeler, che è anche colui che ha dato il nome a questi oggetti astronomici.

In realtà un buco nero potrebbe non essere del tutto nero: esso potrebbe emettere particelle, in quantità inversamente proporzionale alla sua massa, portando a una sorta di evaporazione. Questo fenomeno, proposto dal fisico Stephen Hawking nel 1974, è noto come radiazione di Hawking ed è alla base della termodinamica dei buchi neri. Alcune sue osservazioni sull'orizzonte degli eventi dei buchi neri, inoltre, hanno portato alla formulazione del principio olografico. Esiste una simulazione, effettuata al computer da alcuni ricercatori sulla base di osservazioni, che mostra l'incontro di una stella simile al Sole con un buco nero supermassiccio, dove la stella viene "triturata" e mentre alcuni detriti stellari "cadono" nel buco nero, altri vengono espulsi nello spazio a velocità elevata. Un gruppo di astronomi analizzando i dati del Chandra X-ray Observatory della NASA ha invece scoperto l'espulsione di un buco nero ad altissima velocità dal centro di una galassia, dopo la fusione di due galassie. Altri effetti fisici sono associati all'orizzonte degli eventi, in particolare per la relatività generale il tempo proprio di un osservatore in caduta libera, agli occhi di un osservatore distante, appare più lento con l'aumentare del campo gravitazionale fino ad arrestarsi completamente sull'orizzonte. Quindi un astronauta che stesse precipitando verso un buco nero, se potesse sopravvivere all'enorme gradiente del campo gravitazionale, non percepirebbe nulla di strano all'avvicinarsi dell'orizzonte; al contrario un osservatore esterno vedrebbe i movimenti dello sfortunato astronauta rallentare progressivamente fino ad arrestarsi del tutto quando si trova a distanza uguale al raggio di Schwarzschild dal centro del buco nero. Al contrario degli oggetti dotati di massa, i fotoni non vengono rallentati o accelerati dal campo gravitazionale del buco nero, ma subiscono un fortissimo spostamento verso il rosso (in uscita) o verso il blu (in entrata). Un fotone prodotto o posto esattamente sull'orizzonte degli eventi, diretto verso l'esterno del buco nero, subirebbe un tale spostamento verso il rosso da allungare all'infinito la sua lunghezza d'onda (la sua energia quindi diminuirebbe scendendo all'incirca a zero). Uno dei primi oggetti nella Via Lattea candidati a essere un buco nero fu la sorgente di raggi X chiamata Cygnus X-1. Si ipotizza che enormi buchi neri (di massa pari a milioni di volte quella del Sole) esistano al centro delle galassie, la nostra e nella galassia di Andromeda. In questo caso si definiscono buchi neri supermassicci, la cui esistenza può essere verificata in modo indiretto misurando l'effetto sulla materia circostante del loro intenso campo gravitazionale. Nel nucleo centrale della nostra galassia, in particolare, si osserva l'esistenza di una forte sorgente radio ma molto compatta - nota come Sagittarius A* - la cui alta densità risulta compatibile solo con la struttura di un buco nero. Attualmente si calcola che le galassie osservabili abbiano di norma tale genere di buco nero nel loro nucleo: ciò permette anche di spiegare la forte emissione radiativa delle galassie attive (considerando la sequenza che comprende galassie come la nostra fino ai QSO). In pratica una trasformazione d'energia gravitazionale in energia elettromagnetica e cinetica attraverso la rotazione di ogni disco di accrescimento gassoso che tipicamente circonda i buchi neri.[81] Un analogo fisico di un buco nero è il comportamento delle onde sonore in prossimità di un ugello de Laval: una strozzatura utilizzata negli scarichi dei razzi che fa passare il flusso dal regime subsonico a supersonico. Prima dell'ugello le onde sonore possono risalire il flusso del getto, mentre dopo averlo attraversato ciò è impossibile perché il flusso è supersonico, quindi più veloce del suono. Altri analoghi possono essere le onde superficiali in un liquido in moto in un canale circolare con altezza decrescente, un tubo per onde elettromagnetiche la cui velocità è alterata da un laser, una nube di gas di forma ellissoidale in espansione lungo l'asse maggiore. Tutti questi modelli, se raffreddati fino alla condizione di condensato di Bose - Einstein, dovrebbero presentare l'analogo della radiazione di Hawking, e possono essere usati per correggere le previsioni di quest'ultima: come un fluido ideale, la teoria di Hawking considera la velocità della luce (suono) costante, indipendentemente dalla lunghezza d'onda (comportamento detto di Tipo I). Nei fluidi reali la velocità può aumentare (Tipo II) o diminuire (Tipo III) all'aumentare della lunghezza d'onda. Analogamente dovrebbe avvenire con la luce, ma se il risultato fosse che lo spazio tempo diffonde la luce come il Tipo II o il Tipo III, andrebbe modificata la relatività generale, cosa già nota perché per le onde con lunghezza d'onda prossima alla lunghezza di Planck diventa significativa la gravitazione quantistica. Restando invece nel campo relativistico (ossia relativo alla teoria della relatività), poiché per descrivere un buco nero sono sufficienti tre parametri - massa, momento angolare e carica elettrica - i modelli matematici derivabili come soluzioni dell'equazione di campo della relatività generale si riconducono a quattro:

  1. Buco nero di Schwarzschild. È la soluzione più semplice in quanto riguarda oggetti non rotanti e privi di carica elettrica, ma è anche piuttosto improbabile nella realtà, poiché un oggetto dotato anche di una minima rotazione una volta contratto in buco nero deve aumentare enormemente la sua velocità angolare in virtù del principio di conservazione del momento angolare.
  2. Buco nero di Kerr. Deriva da oggetti rotanti e privi di carica elettrica, caso che presumibilmente corrisponde alla situazione reale. Buco nero risultante dal collasso di una stella in rotazione nel quale la singolarità non è più un punto, ma assume la forma di un anello a causa della rotazione. Per questa ragione si formeranno non uno ma due orizzonti degli eventi distinti. La rotazione del buco nero fa sì che si formi la cosiddetta ergosfera. Questa è la zona immediatamente circostante all'orizzonte esterno causata dall'intenso campo gravitazionale dove lo spaziotempo oltre a essere curvato entra in rotazione trascinato dalla rotazione del buco nero come un gigantesco vortice.
  3. Buco nero di Kerr-Newman. Riguarda la situazione in cui si ha sia rotazione sia la carica elettrica ed è la soluzione più generale. In tale situazione lo spazio tempo non sarà asintoticamente piatto a causa della presenza del campo elettromagnetico.
  4. Buco nero di Reissner-Nordström. È il caso di un buco nero dotato di carica elettrica ma non rotante. Valgono le stesse considerazioni fatte sul buco nero di Kerr-Newman a proposito del comportamento asintotico.

Per quanto riguarda i buchi neri supermassicci, TON 618 è un quasar distante 10,4 miliardi di anni luce dalla Terra che contiene un buco nero con massa pari a 66 miliardi di masse solari, il quale è, a oggi, il più grande buco nero mai scoperto. Per quanto invece riguarda i buchi neri stellari, nel novembre del 2019 è stata annunciata su Nature la scoperta di un buco nero stellare di massa pari a 70 masse solari. Tale buco nero, ribattezzato LB-1 B (o LB-1 *) e distante circa 13 800 anni luce dalla Terra, fa parte di un sistema binario chiamato LB-1 ed è, a oggi, un enigma per gli astrofisici, poiché la sua massa è molto più grande di quanto fosse mai stato ipotizzato in base agli odierni modelli di evoluzione stellare. Il concetto di singolarità caratterizza una grande varietà di fenomeni nei campi più diversi: scienza, tecnologia, matematica, sociologia, psicologia, ecc. I fenomeni considerati "singolari" hanno in comune il fatto che piccole variazioni di una grandezza che caratterizza il fenomeno possono causare variazioni illimitatamente grandi o anche vere e proprie discontinuità in altre grandezze caratteristiche. Nella descrizione matematica di tali fenomeni compaiono caratteristiche simili: in particolare avvicinandosi al punto singolare il comportamento del sistema non può più essere descritto accuratamente con equazioni lineari e spesso nelle soluzioni delle equazioni linearizzate compare a denominatore un termine che si avvicina sempre più a zero, facendo perciò crescere illimitatamente il valore di una o più grandezze in gioco. Già nel 1873 James Clerk Maxwell osservò che in molti sistemi fisici o sociali esiste una grande quantità di "energia potenziale" (in senso proprio per i sistemi fisici e metaforico per i sistemi sociali), che può liberarsi solo quando un certo parametro raggiunge un valore di soglia.[1] A questo proposito Maxwell (e analogamente pochi anni dopo Poincaré) fa l'esempio molto semplice di una roccia spinta molto lentamente oltre l'orlo di un burrone: una situazione quasi-statica che viene trasformata in una molto dinamica a seguito di un cambiamento impercettibile. Nei sistemi dinamici il verificarsi di una singolarità coincide con la perdita della stabilità del sistema. Esempi di singolarità in diversi settori sono forniti nel seguito. Maxwell, inoltre, osserva che nei sistemi di qualunque tipo (fisici, sociologici, economici, ecc.) l'esistenza di singolarità mette in evidenza i limiti associati a una descrizione deterministica dei fenomeni, in quanto nei pressi della singolarità diventa impossibile predire accuratamente l'evoluzione del sistema. Anche se, infatti, continua a valere il principio di causalità per cui stesse cause devono produrre identici effetti, nei pressi di un punto singolare non è più vero che cause simili diano effetti simili. In altre parole microscopiche e impercettibili variazioni delle condizioni di partenza possono provocare enormi differenze negli eventi successivi, le cui conseguenze sono generalmente irreversibili. Benché la perdita di stabilità di un sistema possa molto spesso essere schematizzata come un fenomeno improvviso (si pensi al carico di punta di una trave), in alcuni sistemi reali l'avvicinarsi graduale al punto singolare può essere segnalato dal manifestarsi di fenomeni ampi, in cui il comportamento del sistema è governato da leggi nonlineari. Un esempio è fornito dalla instabilità meccanica di lamine sottili caricate assialmente (piastre, gusci, volte, tubi, ecc.). Per alcune geometrie il carico critico a cui dovrebbe corrispondere la singolarità può essere calcolato matematicamente, ma la descrizione matematica resta un modello ideale che, pur essendo concettualmente utile, non fornisce il vero valore del carico critico, perché i termini nonlineari amplificano le imperfezioni della forma geometrica o della posizione del carico determinando il sopravvenire di deformazioni significative e spesso irreversibili molto prima che il limite teorico della singolarità venga raggiunto. L'esistenza di singolarità è alla radice di alcune importanti discipline sviluppate nella seconda metà del XX secolo come la teoria delle catastrofi e la teoria del caos o, più in generale, lo studio della complessità. Il termine singolarità ha origine in matematica, dove indica in generale un punto in cui un ente matematico, per esempio una funzione o una superficie, "degenera", cioè perde parte delle proprietà di cui gode negli altri punti generici, i quali per contrapposizione sono detti "regolari". In un punto singolare, per esempio, una funzione o le sue derivate possono non essere definite e nell'intorno del punto stesso "tendere ad infinito". Nei vari campi specifici ci sono dei significati più precisi:

  • In analisi matematica è a volte usato come sinonimo di punto di discontinuità
  • In analisi complessa si parla di singolarità isolata di una funzione in un punto se la funzione è olomorfa in un intorno bucato del punto, ma non lo è nell'intorno pieno. Se la singolarità non è eliminabile, deve essere un polo, cioè un punto in cui la funzione tende all'infinito, oppure una singolarità essenziale, cioè un punto di estrema discontinuità in quanto avvicinandosi alla singolarità la funzione può tendere a qualsiasi valore, finito o infinito, pur di scegliere opportunamente il percorso di avvicinamento.
  • In algebra lineare si parla di matrice singolare per intendere una matrice con determinante pari a zero e quindi non invertibile. Nella formula della matrice inversa, infatti, il determinante della matrice compare a denominatore.
  • In geometria algebrica si parla di punto singolare di una varietà algebrica, quando la matrice Jacobiana delle derivate parziali del primo ordine in quel punto ha rango inferiore a quello nei punti regolari

In fisica, i punti singolari sono quelli in cui si verifica una singolarità matematica delle equazioni di campo, dovuta per esempio ad una discontinuità geometrica del dominio oppure al raggiungimento di un valore limite di un parametro. Benché le soluzioni singolari delle equazioni di campo restino molto utili per descrivere il comportamento fisico fuori della singolarità, esse perdono di significato fisico nei pressi del punto singolare. In pratica il comportamento fisico in tali intorni può essere descritto solo tramite teorie fisiche più complesse in cui la singolarità non si verifica. In particolare, per esempio:

  • Nella teoria dell'elasticità sono punti singolari i vertici di ogni angolo rientrante di un continuo omogeneo. Esempi di angoli rientranti sono gli intagli acuti e le punte delle fessure, anche se in pratica lo spigolo rientrante o la punta della fessura non possono essere perfettamente acuti per motivi tecnologici e presentano sempre un raggio di curvatura, sia pur piccolissimo. In tali punti tensioni e deformazioni sono teoricamente infinite e anche nella pratica possono essere molto elevate, se il raggio di curvatura è piccolo, superando il valore limite di resistenza del materiale. In pratica, perciò, se il mezzo materiale è duttile esso si deforma plasticamente nell'intorno del punto singolare e, invece, se esso è fragile, si microfessura localmente.
  • Nella teoria della Relatività una singolarità gravitazionale è un punto nel cui intorno l'attrazione gravitazionale tende ad infinito (cfr. Big Bang e buchi neri). Avvicinandosi a tali punti occorrerebbe utilizzare una teoria quantistica della gravitazione al posto della relatività generale di Einstein.
  • In fluidodinamica la singolarità di Prandtl-Glauert si verifica quando un aeromobile raggiunge la velocità del suono del fluido in cui procede. In quell'istante secondo le equazioni linearizzate di moto dei fluidi si dovrebbero verificare pressioni infinite e perciò ancora agli inizi del XX secolo gli studiosi credevano che la velocità del suono non potesse essere superata. In realtà quando si supera il 70% della velocità del suono i termini nonlineari delle equazioni di moto cessano di essere trascurabili e, diventando sempre più dominanti, sono la causa dell'onda d'urto che si crea al raggiungimento della singolarità.
  • In meccanica dei solidi il raggiungimento di un carico critico determina l'instabilità del sistema causando spostamenti trasversali alla direzione del carico che, nell'ambito di una teoria lineare, risultano illimitati. Il comportamento reale della struttura deve allora essere studiato utilizzando le equazioni nonlineari che governano i grandi spostamenti.

Le considerazioni qualitative di Maxwell, trovarono un primo approfondimento matematico nei lavori di Henri Poincaré, che identificò quattro diversi tipi di punti singolari presenti nelle equazioni differenziali con cui può essere descritta l'evoluzione nel tempo di un sistema complesso. Le singolarità sono un ingrediente sottostante la formulazione di teorie applicabili alla descrizione di sistemi dinamici di natura molto diversa, come la teoria del caos o la teoria delle catastrofi. Lo sviluppo evolutivo della vita in tutte le sue fasi fino anche ai processi di sviluppo dell'uomo non sembra essere avvenuto in modo continuo ma per salti, attraverso mutazioni che possono essere considerate vere e proprie singolarità e che sono state probabilmente influenzate pesantemente da disastri naturali che creando spazio per nuove forme di vita devono essere considerate singolarità produttive e non soltanto distruttive. Sia Maxwell sia Poincaré considerano esempi di "singolarità" presenti nella vita degli individui e degli organismi sociali. Per esempio Maxwell osserva che una parola può far scoppiare una guerra. Le società sono normalmente protette dal fatto che i loro membri sono coscienti dei possibili sviluppi negativi e possono contribuire a stabilizzare il sistema sociale. Tuttavia, il formarsi di aggregazioni sociali sempre più complesse rende sempre meno lineare e meno prevedibile il sistema e, per esempio, il verificarsi di interazioni impreviste fra sottosistemi può produrre eventi imprevedibili. In futurologia, per esempio, e talora in sociologia viene congetturato il possibile sviluppo di una Singolarità tecnologica, un punto nello sviluppo di una civiltà, in cui il progresso tecnologico accelera oltre la capacità di comprendere e prevedere degli esseri umani. La presenza di situazioni singolari è tanto più probabile quanto più complesso è il sistema. Affrontare il verificarsi di una singolarità in un sistema complesso, inoltre, è molto difficile perché risultano meno evidenti le cause da rimuovere per stabilizzare nuovamente il sistema e la percezione del caos si diffonde facilmente contribuendo a ingigantirlo. Lo studio del collasso delle civiltà antiche ha indicato che la difficoltà di trovare soluzioni in un sistema complesso è stata una causa determinante della loro caduta. Anche la crisi finanziaria degli anni 2007-2008 ha messo in evidenza i rischi creati dalla diffusione incontrollata di strumenti finanziari complessi. La robustezza e l'adattabilità di un sistema è un valore da difendere anche a prezzo di sacrificare una possibile eccessiva ottimizzazione del sistema per ridurne la complessità.

Una singolarità gravitazionale è un punto in cui la curvatura dello spaziotempo tende a un valore infinito. Secondo alcune teorie fisiche l'universo potrebbe avere avuto inizio e finire con singolarità gravitazionali, rispettivamente il Big Bang e il Big Crunch. Le singolarità sono possibili configurazioni dello spazio-tempo previste dalla teoria della relatività generale di Albert Einstein nel caso in cui la densità della materia raggiunga valori così elevati da provocare un collasso gravitazionale dello spaziotempo. Ogni buco nero, al suo centro, contiene una singolarità circondata da un orizzonte degli eventi dal quale nessun corpo potrebbe uscire. Ai fini della dimostrazione dei teoremi sulle singolarità di Penrose-Hawking, uno spaziotempo con una singolarità si definisce come quello che contiene una geodetica che non si può estendere in maniera liscia. Si ritiene che la fine di tale geodetica sia appunto la singolarità. Questa è una diversa definizione, utile per le dimostrazioni dei teoremi.

I due tipi più importanti di singolarità spaziotemporali sono le singolarità di curvatura e le singolarità coniche. Le singolarità si possono dividere anche a seconda se siano coperte da un orizzonte degli eventi oppure no (singolarità nude). Secondo la relatività generale, lo stato iniziale dell'universo, al principio del Big Bang, era una singolarità. Né la relatività generale né la meccanica quantistica riesce a descrivere il Big Bang, ma, in generale, la meccanica quantistica non ammette che le particelle occupino uno spazio più piccolo delle loro lunghezze d'onda. Un altro tipo di singolarità prevista dalla relatività generale è quella all'interno di un buco nero: qualsiasi stella che collassi oltre un certo punto (raggio di Schwarzschild) formerebbe un buco nero, dentro al quale sarebbe formata una singolarità (coperta da un orizzonte degli eventi), mentre tutta la materia affluirebbe in un certo punto (o in una certa linea circolare, se il buco nero sta ruotando). Questo sempre secondo la relatività generale, senza la meccanica quantistica, che vieta alle particelle simili a onde di entrare in uno spazio più piccolo della loro lunghezza d'onda. Queste singolarità ipotetiche sono conosciute anche come singolarità di curvatura. Un qualsiasi astronauta che cadesse in un buco nero non potrebbe evitare di essere trasportato nella singolarità una volta attraversato l'orizzonte degli eventi. Appena si raggiunge la regione singolare si viene schiacciati a densità infinita e la propria massa viene aggiunta alla massa totale del buco nero. Tante ipotesi fantascientifiche sono nate attorno alle singolarità ed al loro comportamento: comunicazione con altri universi paralleli, scorciatoie per raggiungere distanze incommensurabili, macchine del tempo. Molti ricercatori ritengono che una teoria unificata della gravitazione e della meccanica quantistica (la gravità quantistica) permetterà in futuro di descrivere in modo più appropriato i fenomeni connessi con la nascita di una singolarità nel collasso gravitazionale delle stelle massicce e l'origine stessa dell'universo.

Una singolarità ad anello (in inglese ring singularity o ringularity) è la singolarità gravitazionale di un buco nero rotante, o un buco nero di Kerr, chiamata così perché ha la forma di un anello. Quando un corpo sferico non rotante di raggio critico collassa sotto la propria gravità, secondo la teoria della relatività generale collasserà in un singolo punto. Questo non è il caso di un buco nero rotante (un buco nero di Kerr). La distribuzione di massa di un corpo rotante fluido non è sferica (ha un rigonfiamento equatoriale), e ha momento angolare non nullo. Poiché un punto non può supportare la rotazione o il momento angolare in fisica classica (la relatività generale è considerata classica nel senso che non rispetta la fisica quantistica), la forma minima della singolarità che può supportare queste proprietà è invece un anello con spessore nullo ma raggio diverso da zero, e questo anello viene chiamato singolarità di Kerr o ringularity. L'effetto di trascinamento rotazionale di un buco nero rotante, descritto dalla metrica di Kerr, fa sì che lo spaziotempo nelle vicinanze dell'anello subisca una curvatura nella direzione di movimento dell'anello. In effetti questo significa che diversi osservatori posti attorno a un buco nero di Kerr a cui viene chiesto di indicare il centro di gravità apparente del buco possono puntare a diversi punti sull'anello. Gli oggetti che cadono cominceranno ad acquisire momento angolare dall'anello prima di raggiungerlo effettivamente, e il percorso seguito da un raggio di luce perpendicolare (che inizialmente viaggia verso il centro dell'anello) curverà nella direzione del movimento dell'anello prima di intersecarsi con l'anello. Un osservatore che attraversa l'orizzonte degli eventi di un buco nero non rotante e non carico (di Schwarzschild) non può evitare la singolarità centrale, che si trova nel futuro di ogni linea di universo all'interno dell'orizzonte. Quindi non si può evitare la spaghettificazione da parte delle forze di marea della singolarità centrale. Questo non è necessariamente vero con un buco nero di Kerr. Un osservatore che cade in un buco nero di Kerr può essere in grado di evitare la singolarità centrale facendo un uso intelligente dell'orizzonte degli eventi interno associato a questa classe di buchi neri. Ciò rende teoricamente (ma probabilmente non pratico) possibile che il buco nero di Kerr agisca come una sorta di wormhole, forse anche un wormhole attraversabile. La singolarità di Kerr può anche essere usata come strumento matematico per studiare il "problema delle linee di campo" del wormhole. Se una particella viene fatta passare attraverso un wormhole, le equazioni di continuità per il campo elettrico suggeriscono che le linee del campo non dovrebbero essere interrotte. Quando una carica elettrica passa attraverso un wormhole, le linee del campo di carica della particella sembrano emanare dalla bocca di ingresso e la bocca di uscita guadagna un deficit di densità di carica a causa del principio di Bernoulli. (Per la massa, la bocca di ingresso guadagna densità di massa e la bocca di uscita ottiene un deficit di densità di massa.) Poiché una singolarità di Kerr ha la stessa caratteristica, consente di studiare anche questo problema. Ci si aspetta generalmente che, poiché l'usuale collasso a una singolarità puntiforme sotto la relatività generale coinvolge condizioni arbitrariamente dense, gli effetti quantistici possono diventare significativi e impedire la formazione della singolarità (quantum fuzz). Senza effetti gravitazionali quantistici, ci sono buone ragioni per sospettare che la geometria interna di un buco nero rotante non sia la geometria di Kerr. L'orizzonte degli eventi interno della geometria di Kerr probabilmente non è stabile, a causa dell'infinito spostamento verso il blu della radiazione in caduta. Questa osservazione è stata supportata dall'indagine sui buchi neri carichi che hanno mostrato un simile comportamento di "spostamento blu infinito". Sebbene sia stato fatto molto lavoro, il collasso gravitazionale realistico degli oggetti in buchi neri rotanti e la geometria risultante continuano a essere un argomento di ricerca attivo.

In relatività generale e in astrofisica, il teorema no-hair (dall'inglese no hair theorem, letteralmente "senza capelli"; a volte tradotto come teorema dell'essenzialità o teorema della calvizie) afferma che un buco nero è completamente caratterizzato da tre parametri fisici: massa, carica elettrica, e momento angolare. In pratica, le osservazioni indicano che i buchi neri non possiedono una carica elettrica, quindi i parametri fondamentali sono solo la massa e il momento angolare (o spin). Dopo il collasso gravitazionale del corpo che produce il buco nero, tutte le altre informazioni sull'oggetto (i "capelli"), diventano del tutto inaccessibili, in quanto scompaiono dietro l'orizzonte degli eventi del buco nero. Ad esempio, sono perse tutte le informazioni sulla natura e sul numero delle particelle di cui era composto il corpo. Il nome del teorema deriva da una frase del fisico John Archibald Wheeler: "a black hole has no hair", che sottolinea scherzosamente la perdita di informazioni in un buco nero.

La dimostrazione di questo teorema è stata completata nel corso di anni grazie agli sforzi di diversi autori, tra cui Werner Israel, Brandon Carter, Stephen Hawking e Roger Penrose.

Un primo decisivo passo verso il teorema fu ottenuto da Israel, che riuscì a dimostrare che una soluzione statica delle equazioni di Einstein nel vuoto deve possedere simmetria sferica. Ma per il teorema di Birkhoff, la metrica di Schwarzschild è l'unica soluzione a simmetria sferica, e di conseguenza anche l'unica soluzione statica.

Lo stesso Israel estese il risultato al caso di buco nero elettricamente carico, che nel caso statico genera la metrica di Reissner-Nordström.

Fu quindi congetturato da Israel, Penrose e Wheeler che la soluzione più generale nel caso stazionario fosse la metrica di Kerr-Newman. È possibile oggi dimostrare tale congettura, introducendo opportune ipotesi matematiche, che non inficiano la validità generale del risultato dal punto di vista fisico.

Seppure il teorema rimanga formalmente corretto, lo stesso Hawking ha iniziato a dubitare della sua rilevanza fisica: alcune delle ipotesi di base infatti sembrano essere troppo stringenti ed il modello potrebbe non riuscire a descrivere l'effettiva ricchezza della situazione fisica in esame. Nuovi modelli, basati su ipotesi più rilassate e un nuovo paradigma, sono in corso di stesura a partire dal 2014; tali classi di modelli sono noti come "buchi neri dai capelli soffici".

Argomento collegato al teorema no-hair è il paradosso dell'informazione.

Il paradosso dell'informazione del buco nero (traduzione dell'inglese black hole information paradox) risulta dalla combinazione della meccanica quantistica e relatività generale. Implica che l'informazione fisica potrebbe "sparire" in un buco nero, permettendo a molti stati fisici di evolvere nello stesso identico stato. Questo è un argomento controverso poiché esso viola la dottrina comunemente accettata secondo la quale l'informazione totale riguardo a un sistema fisico in un punto temporale determinerebbe il suo stato in ogni altro tempo.[1] Nel 1975, Stephen William Hawking e Jacob Bekenstein mostrarono che i buchi neri irraggerebbero energia lentamente e ciò pose un problema. Dal teorema dell'essenzialità, ci si aspetterebbe che la radiazione di Hawking sia completamente indipendente dal materiale entrante nel buco nero. Ciò nondimeno, se il materiale entrante nel buco nero fosse uno stato quantistico puro, la trasformazione di questo stato nello stato eterogeneo della radiazione di Hawking distruggerebbe l'informazione riguardante lo stato quantistico originale. Questo viola il teorema di Liouville e presenta un paradosso.

Ad esempio, si considerino due ipotetiche stelle di uguale massa ma una costituita interamente di idrogeno e l'altra interamente di elio. Se dovessero evolvere in un buco nero, i risultati finali (due singolarità) sarebbero indistinguibili e quindi nessuna teoria sarebbe in grado di ricostruire a ritroso l'evoluzione temporale dei due oggetti. Al contrario, se si distrugge qualcosa in un inceneritore le leggi della fisica consentirebbero in linea di principio, per il già citato teorema di Liouville, di ricostruire l'oggetto iniziale. Per questo parte dei fisici sono convinti che, mediante qualche meccanismo non noto, l'informazione non vada distrutta.

Nonostante tale paradosso, Hawking, per via della semplice eleganza dell'equazione risultante che "unificava" termodinamica, relatività, gravità, e il lavoro di Hawking stesso sul Big Bang,[senza fonte] rimase convinto che l'informazione andasse effettivamente distrutta. La sua convinzione fu criticata in particolare da John Preskill che nel 1997 scommise contro lui e Kip Thorne, che invece l'informazione non andava persa.

Ci sono diverse idee riguardo a come il paradosso possa essere risolto. Fin dalla proposta, nel 1997, della corrispondenza AdS/CFT, la convinzione predominante tra i fisici è che l'informazione viene preservata e che la radiazione di Hawking non è precisamente termica, ma riceva correzioni quantistiche. Altre possibilità includono il fatto che l'informazione sia contenuta in un residuo planckiano rimasto alla fine della radiazione di Hawking o a una modificazione delle leggi della meccanica quantistica che permetta un'evoluzione del tempo non-unitario.

Nel luglio del 2005, Stephen Hawking pubblicò un articolo con una teoria secondo la quale perturbazioni quantistiche dell'orizzonte degli eventi potrebbero permettere all'informazione di sfuggire dal buco nero, e ciò risolverebbe il paradosso dell'informazione. La sua argomentazione suppone l'unitarietà della corrispondenza AdS/CFT la quale implica che un buco nero AdS, che è duale per la teoria del campo conforme termico, sia unitario. Quando annunciò il suo risultato, Hawking ammise anche di aver perso la scommessa del 1997, pagando Preskill con l'enciclopedia del baseball (ISBN 1-894963-27-X) 'dalla quale si estrae informazione a volontà'. Comunque, Thorne rimase scettico riguardo alla dimostrazione di Hawking e rifiutò di contribuire alla ricompensa.

Nel 1993 il fisico teorico Leonard Susskind propose una soluzione al paradosso informativo formulato da Stephen Hawking nel 1981, dovuto all'evaporazione di un buco nero (fenomeno teorizzato e calcolato con precisione sempre da Hawking), che causerebbe la perdita dell'informazione intrappolata entro l'orizzonte degli eventi, e dunque violando il principio di conservazione dell'informazione (ovvero il primo principio della termodinamica). La soluzione proposta da Susskind prende spunto dal principio di complementarità (concetto mutuato dalla meccanica quantistica), ovvero il gas in caduta varcherebbe "o" non varcherebbe l'orizzonte degli eventi di un buco nero, a seconda del punto di vista: da un punto di vista esterno un osservatore "vedrebbe" le stringhe, ovvero i componenti elementari del gas, allargare le spire fino ad abbracciare tutta la superficie dell'orizzonte degli eventi, sul quale si manterrebbe tutta l'informazione, senza alcuna perdita per l'esterno (e la successiva evaporazione non cambierebbe lo stato di cose), mentre, per un osservatore che seguisse il gas in caduta, l'attraversamento dell'orizzonte avverrebbe senza particolari fenomeni di soglia (in conformità al primo postulato della relatività ristretta e al principio di equivalenza, dovuti a Einstein); i fenomeni estremi (indescrivibili), avverrebbero solo nella singolarità, e tali fenomeni sarebbero complementari all'evaporazione (descrivibile). La complementarità insita nel principio olografico risolverebbe dunque il paradosso informativo nel contesto della teoria delle stringhe.

Soluzioni:

L'informazione va irrimediabilmente persa:

  • Vantaggio: Sembra essere una diretta conseguenza di calcoli relativamente non controversi basati sulla gravità semiclassica.
  • Svantaggio: Viola l'unitarietà (uno dei principi base della meccanica quantistica), nonché la conservazione dell'energia o causalità.

L'informazione filtra fuori gradualmente durante l'evaporazione del buco nero (ipotesi della stella nera):

  • Vantaggio: Intuitivamente attraente perché somiglia qualitativamente al recupero delle informazioni in un processo classico di combustione.
  • Svantaggio: Richiede una grossa deviazione dalla gravità classica e semiclassica (che non consentono la fuoriuscita di informazioni dal buco nero) anche per buchi neri macroscopici per i quali ci si aspetta che tali teorie siano buone approssimazioni. Inoltre il buco nero dovrebbe essere privo di orizzonte degli eventi.

L'informazione sfugge improvvisamente nello stadio finale dell'evaporazione del buco nero:

  • Vantaggio: È necessaria una deviazione significativa dalla gravità classica e semiclassica solo nel regime in cui ci si aspetta che dominino gli effetti della gravità quantistica.
  • Svantaggio: Poco prima dell'improvvisa fuga di informazioni, un buco nero molto piccolo deve essere in grado di immagazzinare una quantità arbitraria di informazione, il che viola pesantemente il limite di Bekenstein.

L'informazione è immagazzinata in un resto di dimensioni confrontabili con la lunghezza di Planck (per Roger Penrose tale oggetto può essere il bosone, che però è più grande, per la teoria delle stringhe è la stringa stessa):

  • Vantaggio: Non è necessario alcun meccanismo per la fuga di informazioni.
  • Svantaggio: un oggetto molto piccolo deve essere in grado di immagazzinare una quantità arbitraria di informazione, il che viola pesantemente il limite di Bekenstein.

L'informazione è immagazzinata in un resto massivo:

  • Vantaggio: Non è necessario alcun meccanismo per la fuga di informazioni e non è necessario immagazzinare una grande quantità di informazioni in un piccolo oggetto.
  • Svantaggio: Non è noto alcun meccanismo attraente che potrebbe fermare l'evaporazione di Hawking di un buco nero macroscopico.

L'informazione è immagazzinata in un universo neonato che si separa dal nostro (es. teoria delle bolle o teoria della selezione cosmologica):

  • Vantaggio: Non è necessaria alcuna violazione di principi generali della fisica noti.
  • Svantaggio: È difficile trovare una teoria concreta attraente che possa predire tale scenario.

L'informazione è codificata nella correlazione tra futuro e passato:

  • Vantaggio: La gravità semiclassica è sufficiente, ovvero la soluzione non dipende dai dettagli della (non ancora ben compresa) gravità quantistica.
  • Svantaggio: Contraddice la visione intuitiva della natura come entità che evolve nel tempo.

L'informazione è codificata in un'equazione di Schrödinger dipendente dal tempo che governa il processo di evaporazione del buco nero:

  • Vantaggi: Rispetta l'assunzione di 't Hooft che le equazioni di Schroedinger possono essere universalmente utilizzate in ogni dinamica di tipo quantistico presente nell'Universo. Il problema dell'entanglement connesso col paradosso dell'informazione è risolto in quanto la radiazione di Hawking emessa risulta "entangled", ossia connessa, con le oscillazioni dell'orizzonte degli eventi (cioè i modi quasi-normali "innescati" dai quanti di Hawking). Risulta essere l'evoluzione temporale di un modello di buco nero di "tipo- Bohr".

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