Eventi di impatto su Giove

Giove è di gran lunga il pianeta più grande del sistema solare: la sua attrazione gravitazionale influenza miriadi di corpi celesti, rendendo assai probabili le collisioni tra questo pianeta e altri corpi vaganti attraverso il nostro quartiere cosmico. Ma quali sono stati i più importanti eventi di impatto osservati su Giove? Seguici su Eagle sera per scoprirlo. 


Eventi di impatto su Giove

In epoca contemporanea, sono stati osservati vari eventi d'impatto su Giove, il più significativo dei quali è stato l'impatto della cometa Shoemaker-Levy 9 nel 1994. Giove è il pianeta più massiccio del sistema solare, ed in virtù della sua grande massa possiede una vasta sfera di influenza gravitazionale, la regione di spazio dove può, in condizioni favorevoli, avvenire la cattura di un asteroide o di una cometa in transito, la terza del sistema solare dopo quella del Sole e quella di Nettuno. Giove è in grado di catturare con una certa frequenza delle comete in orbita attorno al Sole. In genere, tali comete percorrono alcune rivoluzioni attorno al pianeta seguendo orbite instabili poiché altamente ellittiche e perturbabili dalla gravità solare. Mentre alcune di esse recuperano infine un'orbita eliocentrica, altre precipitano sul pianeta o, più raramente, sui suoi satelliti. Oltre al fattore massa, la relativa vicinanza al sistema solare interno permette a Giove di influenzarvi la distribuzione dei corpi minori. A lungo si è creduto che tali caratteristiche portassero il gigante gassoso ad espellere dal sistema o ad attrarre la maggior parte degli oggetti vaganti nelle sue vicinanze e, conseguentemente, a determinare una riduzione del numero di oggetti potenzialmente pericolosi per la Terra. Successivi studi dinamici hanno evidenziato come in realtà la situazione sia più complessa: la presenza di Giove, infatti, tende a ridurre la frequenza di impatto sulla Terra di oggetti provenienti dalla nube di Oort, mentre la incrementa nel caso degli asteroidi e delle comete di corto periodo. Per questa ragione Giove è il pianeta del sistema solare caratterizzato dalla maggior frequenza di impatti, il che giustifica la sua nomea di "spazzino" o "aspirapolvere cosmico" del sistema solare. Studi del 2009 suggeriscono una frequenza d'impatto di uno ogni 50-350 anni, per un oggetto di 0,5-1 km di diametro; gli impatti con oggetti di dimensioni più piccole avverrebbero con una frequenza maggiore. Giove è un gigante gassoso e come tale non ha una superficie solida: lo strato atmosferico più basso, la troposfera, gradualmente transisce negli strati interni del pianeta. È la caratteristica alternanza delle bande e delle zone della sommità visibile delle nubi a comporre l'immagine che comunemente identifichiamo come l'aspetto del pianeta. L'impatto di una cometa o di un asteroide genera dei fenomeni, più o meno significativi in funzione delle dimensioni dell'oggetto impattante, che hanno carattere transitorio e che vengono progressivamente mascherati dall'azione dei venti. Non è possibile, quindi, avere notizie relative ad eventuali impatti se non attraverso l'osservazione diretta e pressoché immediata dell'evento stesso o dei fenomeni a esso associati. Le superfici craterizzate dei satelliti maggiori forniscono informazioni sulle epoche più remote. In particolare, la scoperta (nel corso delle missioni Voyager) di 13 catene di crateri su Callisto e tre su Ganimede[11] e la testimonianza dell'impatto della Cometa Shoemaker-Levy 9, costituiscono prove consistenti che alcune comete siano state frammentate e siano entrate in collisione con Giove e le sue lune in epoca remota. Infatti, mentre le catene di crateri osservate sulla Luna spesso si irradiano da crateri maggiori e comunemente si ritiene che siano state create da impatti secondari del materiale espulso dalla collisione principale, quelle presenti sulle lune gioviane non sono collegate a un cratere principale, ed è probabile invece che siano state create dall'impatto di una serie di frammenti cometari. Le prime testimonianze di impatti sul pianeta gigante risalirebbero al XVII secolo: l'astrofilo giapponese Isshi Tabe ha scoperto tra i carteggi delle osservazioni di Giovanni Cassini alcuni disegni che rappresentano una macchia scura, apparsa su Giove il 5 dicembre 1690, e ne seguono l'evoluzione durante 18 giorni; potrebbero quindi costituire la prova dell'osservazione di un impatto su Giove antecedente a quello della Shoemaker-Levy 9. L'impatto di un meteoroide su Giove fu ripreso per la prima volta dalla sonda Voyager 1 nel 1979, che registrò un rapido guizzo di luce nell'atmosfera del pianeta. Tra il 16 ed il 22 luglio del 1994 i 21 frammenti nei quali si era disgregato il nucleo della cometa D/1993 F2 Shoemaker-Levy 9 precipitarono su Giove. Scoperta il 25 marzo 1993 dagli astronomi Eugene e Carolyn Shoemaker e da David Levy[18] mentre analizzavano delle lastre fotografiche dei dintorni di Giove, la cometa destò immediatamente l'interesse della comunità scientifica: non era mai accaduto infatti che una cometa fosse scoperta in orbita attorno ad un pianeta e non direttamente intorno al Sole. Catturata da Giove presumibilmente tra la seconda metà degli anni sessanta ed i primi anni settanta, percorreva in 2 anni un'orbita caratterizzata da un apogiovio di 0,33 au (49×106 km) e da un'eccentricità piuttosto elevata, pari a 0,9986. La cometa effettuò vari transiti in prossimità del gigante gassoso, nel corso dei quali ne subì le intense forze di marea responsabili della frammentazione finale del nucleo. Nel 1993 la Shoemaker-Levy 9 si presentava come una lunga fila di punti luminosi immersi nella luminescenza delle loro code. Gli studi condotti sull'orbita della cometa poco dopo la sua scoperta portarono alla conclusione che essa sarebbe caduta sul pianeta entro il luglio del 1994. Fu quindi avviata un'estesa campagna osservativa che coinvolse numerosi strumenti per la registrazione dell'evento; tra questi, il telescopio spaziale Hubble, il satellite ROSAT e la sonda Galileo, che era in rotta per un rendezvous con il pianeta previsto per il 1995. Gli impatti avvennero nel lato del pianeta opposto alla Terra, ma la sonda Galileo fu in grado di osservarli direttamente da una distanza di 1,6 UA. La rapida rotazione di Giove rese i siti degli impatti visibili dalla Terra qualche minuto dopo l'evento. Il primo impatto avvenne alle 20:13 UTC del 16 luglio 1994, quando il frammento A del nucleo colpì l'emisfero meridionale del pianeta ad una velocità di 60 km/s. Gli strumenti a bordo della sonda Galileo rilevarono una palla di fuoco che raggiunse la temperatura di 24000 K, prima di espandersi e raffreddarsi a 1500 K in circa 40 secondi. Il pennacchio raggiunse una altezza di circa 1000 km. Dopo qualche minuto gli strumenti misurarono un nuovo aumento di temperatura, probabilmente causato dai materiali espulsi che ricadevano verso il pianeta. Gli osservatori a terra individuarono la palla di fuoco mentre si sollevava dal bordo del pianeta poco dopo l'impatto iniziale. La collisione del frammento G, che avvenne il 18 luglio alle 7:33 UTC, sprigionò un'energia stimata equivalente a 6 milioni di megaton (circa 750 volte l'energia dell'intero arsenale nucleare mondiale) e rappresentò il massimo della serie. Sui siti d'impatto si formarono enormi macchie scure dalla forma marcatamente asimmetrica, con un semianello più spesso nella direzione opposta rispetto a quella di impatto, che gli studiosi ritennero composte principalmente dai detriti. Rimasero osservabili dalla Terra per diversi mesi, prima che l'attiva atmosfera gioviana riuscisse a cancellare le cicatrici di questo energico evento. La temperatura atmosferica tornò ai livelli normali molto più velocemente nei punti di impatto maggiori piuttosto che in quelli minori. Nei primi infatti le temperature aumentarono in una regione ampia da 15000 a 20000 km, ma scesero a valori normali entro una settimana dall'evento. Nei punti più piccoli, temperature di 10 K superiori rispetto ai siti circostanti persistettero invece per almeno due settimane. Le temperature della stratosfera aumentarono immediatamente dopo gli impatti, per scendere due o tre settimane dopo a valori di temperatura inferiori rispetto alla situazione precedente agli impatti. Soltanto in seguito tornarono lentamente a valori normali. L'evento ebbe una rilevanza mediatica considerevole, ma contribuì notevolmente anche alle conoscenze scientifiche sul sistema solare; in particolare, le esplosioni causate dalla caduta della cometa si rivelarono molto utili per investigare sulla composizione chimica e sulle proprietà fisiche dell'atmosfera di Giove sotto gli immediati strati superficiali. Nel 2003, la sonda Galileo stessa precipitò su Giove. Giunta alla fine della sua missione, avendo assorbito dosi di radiazioni letali per la sua strumentazione e quasi terminato le scorte di carburante, fu deliberatamente guidata su una rotta che, dopo un sorvolo ravvicinato di Amaltea, la condusse ad entrare nell'atmosfera gioviana e bruciare il 21 settembre 2003. In questo modo si prevenne che la sonda, una volta senza controllo, potesse precipitare su Europa e contaminarla. Un altro impatto degno di nota si è verificato nel luglio del 2009 e ha prodotto nell'atmosfera del pianeta una macchia scura, simile in dimensioni all'Ovale BA, dissoltasi nell'arco di poche settimane. In questo caso, non è stata registrata alcuna osservazione dell'oggetto impattante ed è stato solo confrontando le caratteristiche della cicatrice formatasi sul pianeta con quelle prodotte dai frammenti della Cometa Shoemaker-Levy 9 che si è potuto desumere alcune informazioni su di esso. Si è così scoperto che presumibilmente è precipitato su Giove un asteroide dal diametro compreso tra 200 e 500 m che apparteneva alla famiglia Hilda. Un aspetto interessante della vicenda è che i segni dell'avvenuto impatto furono scoperti da un astrofilo, Anthony Wesley, che tempestivamente ne diede notizia agli astronomi professionisti, attivando le procedure necessarie alla registrazione dell'evento. Nel corso del 2010 sono stati registrati due eventi d'impatto su Giove, entrambi di modesta entità.

  • Il primo, probabilmente di un meteoroide di 8-13 m di diametro, è avvenuto il 3 giugno 2010, alle 20:31 UTC. Scoperto anch'esso da Anthony Wesley, è stato confermato da Christopher Go, che è riuscito a filmarlo dalle Filippine; l'emissione luminosa è durata solo pochi secondi (circa 2 s) e non ha lasciato altri segni evidenti. L'impatto ha interessato la Banda Equatoriale Meridionale (South Equatorial Belt), a circa 50º dal meridiano di riferimento.
  • Il secondo impatto, anch'esso di un meteoroide, è stato registrato da Masayuki Tachikawa il 20 agosto alle 18:22 UT e confermato da Kazuo Aoki e Masayuki Ishimaru, tutti e tre astrofili giapponesi. Il lampo di luce durò 2 secondi ed interessò la Banda Equatoriale Settentrionale (North Equatorial Belt). Nelle successive rotazioni del pianeta, non fu possibile individuare ulteriori tracce dell'impatto, né nel visibile, né nell'ultravioletto.

Il 10 settembre 2012 alle 11:35 UTC è stato registrato l'impatto con Giove di un asteroide o una cometa, di cui ha dato notizia l'astronomo amatoriale Dan Peterson, da Racine nel Wisconsin. Successivamente, George Hall da Dallas ha reso disponibile on line un video dell'evento. L'emissione luminosa è durata pochi secondi e ciò porterebbe a ritenere che si sia trattato di un evento analogo a quelli verificatisi nel 2010.[46] Il 17 marzo 2016 alle 00:18 UTC è stato registrato l'impatto con Giove di un asteroide o cometa, di cui ha dato notizia (dieci giorni dopo l'evento) l'astronomo amatoriale Gerrit Kernbauer, da Mödling in Austria. Due giorni dopo, John McKeon da Swords, in Irlanda, ha offerto una conferma dell'accaduto con un proprio filmato. Marc Delcroix è riuscito ad acquisire ulteriori informazioni riprocessando i filmati originali ed identificando la latitudine dell'impatto: 12,4° Nord, nella North Equatorial Band. L'impatto è stato registrato da entrambi gli osservatori nel vicino infrarosso e non ha lasciato segni nel visibile.  Il 26 maggio 2017 alle 19:24 UT è avvenuto un impatto osservato per primo dall'astrofilo francese Sauveur Pedranghelu e confermato in seguito da altri due astrofili tedeschi, Thomas Riessler e Andre Fleckstein. L'impatto sarebbe stato provocato da un meteoroide della massa di 75-130 t che avrebbe sviluppato una potenza di 32-55 chilotoni. Il 7 agosto 2019 alle 4:07 UTC l'astrofilo Ethan Chappel ha ripreso dal Texas l'impatto di un meteorite su Giove. Dell'impatto è stato registrato il solo bagliore; non è risultato visibile alcun altro segno sull'atmosfera del pianeta. Gli astronomi Ramanakumar Sankar e Csaba Palotai, analizzando le immagini acquisite da Ethan Chappel, hanno concluso che Giove sarebbe stato colpito da un asteroide ferro-roccioso con un diametro compreso tra 12 e 16 metri e una massa di circa 450 tonnellate. L'oggetto si sarebbe disintegrato ad una quota di circa 80 chilometri al di sopra dello strato di nuvole. Il 10 aprile 2020 alle 12:57:10 UTC la sonda Juno della NASA ha osservato un bolide ad una quota di circa 225±5 km al di sopra del livello barometrico di 1 atm (assunto come riferimento convenzionale per le profondità all'interno dell'atmosfera gioviana, non esistendo una superficie da prendere a riferimento), provocato da un meteoroide con una stima compresa tra 250 e 5000 kg per la massa e tra 1 e 4 m per il diametro, presupponendo una densità tra un quarto e due volte quella dell'acqua; è stata raggiunta localmente una temperatura di 9600±600 K. Durante il transito dell'ombra di Io sul disco di Giove, diversi astronomi hanno osservato il bagliore provocato dall'ingresso nell'atmosfera del pianeta di un piccolo asteroide o cometa il 13 settembre 2021 alle 22:39:27 UTC. Il primo a darne notizia è stato l'astrofilo brasiliano José Luis Pereira, che ne ha registrato anche la durata, pari a circa 2 secondi. Due astronomi europei, il francese J. P. Arnould e il tedesco Harald Paleske, hanno dato indipendentemente conferma dell'impatto. Come già accaduto precedentemente, non sono stati osservati altri fenomeni associati all'evento. In una fotografia del pianeta ripresa dall'astrofotografo Damian Peach circa un'ora dopo l'osservazione del bagliore, non era presente alcun segno che contraddistinguesse il sito d'impatto. Nel 2021 è stato osservato un secondo impatto, il 15 ottobre alle 13:24 UTC. Anche in questo caso, è stato osservato solo il bagliore prodotto dall'evento, registrato in una sequenza video raccolta da un gruppo di astrofili diretto da Ko Arimatsu dell'Università di Kyoto, impegnati nella rilevazione di eventi astronomici fortuiti (Organized Autotelescopes for Serendipitous Event Survey, OASES). I fenomeni associati ad un impatto su un gigante gassoso hanno prevalentemente carattere transitorio e dipendono dalle dimensioni del corpo impattante e dalla sua composizione. Nel caso di meteoroidi di piccole dimensioni è stata osservata l'emissione luminosa associata alla penetrazione negli strati superiori dell'atmosfera, ma nei due casi del 2010 non furono osservate alterazioni nelle nubi né nei minuti subito seguenti all'impatto, né nelle rivoluzioni successive, in modo analogo a quanto accade per un bolide nell'atmosfera terrestre. Nel caso di oggetti con un diametro superiore ai 100 m, in grado di penetrare al di sotto dello strato visibile delle nubi, la fenomenologia diventa più complessa. Gran parte dell'energia cinetica dell'oggetto impattante è trasferita all'atmosfera e ciò determina un rapido incremento della temperatura locale, cui è associata un'intensa emissione luminosa. La massa di gas atmosferico che ne è interessata espande verso l'alto (dove incontra una minore resistenza). Si ha così la formazione di un pennacchio che può raggiungere in pochi secondi altezze di un migliaio di chilometri e temperature di un migliaio di kelvin (per un oggetto originariamente di circa 2 km). Quando cessa l'espansione, il pennacchio precipita su sé stesso e l'impatto con l'atmosfera determina un nuovo incremento di temperatura. Questa fenomenologia è stata effettivamente osservata negli impatti dei frammenti di maggiori dimensioni della Cometa Shoemaker-Levy 9. Ciò conduce, inoltre, alla risalita di materiale dalle zone più profonde del pianeta. Nel caso degli impatti della Cometa Shoemaker-Levy 9 ammoniaca e solfuro di carbonio (presenti tipicamente nella troposfera) rimasero nell'alta atmosfera almeno per quattordici mesi dopo l'evento. La collisione può generare, inoltre, delle onde sismiche, che nel caso della SL9 viaggiarono attraverso il pianeta ad una velocità di 450 m/s e che furono osservate per più di due ore dopo l'impatto. In alcuni casi, inoltre, possono manifestarsi aurore in prossimità del sito d'impatto e nella zona diametralmente opposta, valutata rispetto al campo magnetico di Giove, interpretate come conseguenza della ricaduta del materiale del pennacchio. Infine, nel caso degli impatti della Cometa Shoemaker-Levy 9 fu rilevato un netto incremento nelle emissioni radio provenienti dal pianeta ed interpretato come conseguenza dell'immissione nella magnetosfera gioviana di elettroni relativistici - elettroni con velocità prossime a quella della luce. Sul sito d'impatto, in funzione delle dimensioni dell'oggetto impattante e della sua composizione, si forma rapidamente una macchia estremamente scura se osservata nel visibile e nell'ultravioletto e brillante nell'infrarosso. Le dimensioni delle macchia sono correlate all'intensità delle emissioni nell'infrarosso del pennacchio d'impatto. Nel caso di oggetti cometari di dimensioni di 1-2 km (come fu il caso del frammento G della Cometa Shoemaker-Levy 9), la macchia risulta predominante rispetto alle formazioni tipiche dell'atmosfera gioviana. Essa si compone di due elementi: un'ellisse centrale, corrispondente al sito dell'esplosione, ed un semianello più spesso, nella direzione opposta rispetto a quella di impatto e corrispondente al materiale espulso. Il processo che conduce alla formazione della macchia non è chiaro. Gli studiosi ritengono che sia composta principalmente da detriti. Macchie di piccole dimensioni possono scomparire in pochi giorni o settimane. Le macchie di dimensioni maggiori, però, permangono per diversi mesi, pur deformandosi nel corso del tempo. Nel caso di impatti multipli, come fu il caso della cometa SL9, in corrispondenza della fascia occupata dalle macchie può formarsi una "banda d'impatto". Nel 1994 essa non si formò dall'unione delle macchie, ma si materializzò mentre queste iniziarono a dissolversi e permanne fino a circa la metà dell'anno successivo. Solo nel caso dell'impatto della Cometa Shoemaker-Levy 9 è stato possibile osservare il corpo impattante prima della collisione con il pianeta; in tutti gli altri casi, si è cercato di identificarne la natura e la provenienza analizzando gli effetti sull'atmosfera. Le informazioni acquisite durante gli impatti dei ventuno frammenti della cometa, pertanto, costituiscono un'importante pietra di paragone per gli studi successivi. In dettaglio, l'individuazione di specifiche specie chimiche attraverso analisi spettroscopiche dei detriti permette di distinguere una cometa (ricca di acqua e povera di silicio) da un asteroide. Mentre, la profondità della quota a cui giunge il disturbo generato nell'esplosione e la durata di permanenza del disturbo stesso consentono, a loro volta, di produrre stime delle dimensioni del corpo impattante. Queste informazioni sono utili per sviluppare modelli delle popolazioni di comete ed asteroidi nei pressi dell'orbita di Giove. A tal riguardo, l'impatto del 2009 è stato particolarmente importante e potrebbe modificare le nostre conoscenze sul numero degli asteroidi zenosecanti se si rivelasse statisticamente significativo. D'altra parte, l'identificazione potrebbe non essere corretta, evidenziando in tal caso un'ancora limitata conoscenza sulla composizione interna dei nuclei cometari. La frequenza di impatto su un pianeta può essere definita come l'intervallo medio tra due impatti consecutivi, cosicché ad un valore elevato di essa corrisponde un breve intervallo tra due impatti consecutivi. Nel 1988, Nakamura e Kurahashi stimarono che ogni 500-1000 anni una cometa gioviana dal diametro superiore a 1 km avrebbe potuto impattare sul pianeta. Tale stima fu rivista alla luce dell'impatto della Cometa Shoemaker-Levy 9, nel 1994. Nei vari lavori ad esso successivi furono suggeriti valori compresi tra 50 e 350 anni, per un oggetto di 0,5-1 km. Essi tuttavia si basano su alcune assunzioni che sono state messe in discussione dall'impatto del 2009. In particolare, si è ritenuto che il ruolo degli asteroidi fosse marginale e fossero principalmente le comete gioviane a precipitare sul pianeta. Inoltre, il dato temporale derivante dalle osservazioni è radicalmente cambiato: al 2008, le uniche due osservazioni confermate indicavano un intervallo temporale di circa 300 anni tra l'impatto osservato da Cassini e quello della SL9. Al 2010, la nuova osservazione riduce nettamente tale valore, essendo trascorsi solo quindici anni dall'impatto precedente e si potrebbe giungere a stimare, in base alle ultime due osservazioni, anche una frequenza di impatto di 10 anni per un oggetto di 0,5-1 km. Per quanto riguarda gli impatti con i meteoroidi, la loro distribuzione nel sistema solare esterno non è nota e pertanto non è possibile fornire una previsione sulla frequenza di impatto se non facendo affidamento su dati parziali.

Considerando un meteoroide di circa 10 m di diametro, avremmo:

  • un impatto all'anno su Giove, da considerazioni relative alla craterizzazione delle superfici dei satelliti medicei;
  • 30-100 collisioni l'anno, basando il dato sulle popolazioni asteroidali e cometarie in prossimità dell'orbita del pianeta.

Per confronto, per la Terra è stata stimata una frequenza di un impatto con un oggetto di queste dimensioni ogni 6-15 anni. Allo scopo di stimare la frequenza degli impatti, sono state avviate delle campagne osservative con il coinvolgimento di diversi astrofili. Marc Delcroix dell'Société Astronomique de France e un gruppo di astronomi afferenti all'Università dei Paesi Baschi, guidati da Ricardo Hueso, hanno sviluppato il software DeTeCt per consentire una rapida identificazione dell'eventuale impatto e favorire la rapida diffusione della notizia. Inoltre, astrofili giapponesi dell'Association of Lunar and Planetary Observers (ALPO) hanno attivato il progetto "Find Flash". I due progetti hanno condotto a stimare la frequenza minima d'impatto dei meteoroidi in circa 3,5-6 eventi l'anno. L'astronomo Ricardo Hueso, tuttavia, ritiene che più verosimilmente possano verificarsi sul pianeta tra i 10 e i 65 impatti l'anno di meteoroidi dal diametro compreso tra i 5 e i 40 m. Per oggetti di dimensioni maggiori, capaci di lasciare una cicatrice visibile per settimane sulla coltre nuvolosa del pianeta, fornisce una frequenza di un impatto ogni 2-12 anni. Oggetti ancora maggiori impatterebbero su Giove con ogni 6-30 anni. In seguito all'impatto del 10 aprile 2020 osservato dalla sonda Juno, Rohini S. Giles e colleghi hanno stimato in 24 000 eventi annui il numero di impatti su Giove provocati da meteoroidi aventi masse comprese tra i 250 e i 5000 kg. Come evidenziato nelle sezioni precedenti, dall'osservazione degli eventi d'impatto su Giove è possibile desumere informazioni sulla composizione delle comete e degli asteroidi, ma anche su quella degli strati più profondi dell'atmosfera gioviana. La frequenza degli impatti, invece, ci fornisce informazioni sulle popolazioni asteroidali e cometarie presenti nel sistema solare esterno. È possibile riconoscere i recenti siti d'impatto per le caratteristiche che li contraddistinguono, in particolare la comparsa di macchie scure sul disco del pianeta, come è accaduto nel 2009. I rilevatori CCD nel visibile attualmente in commercio possono individuare macchie della dimensione minima di circa 300 km di larghezza. Sanchez-Lavega e colleghi suggeriscono di sfruttare la luminosità delle macchie in corrispondenza di una lunghezza d'onda di 890 nm, rilevabile utilizzando dei CCD adatti al vicino infrarosso, oppure quella in corrispondenza dell'intervallo 2,03-2,36 μm, rilevabile utilizzando dei filtri K. Diverso è il caso dei meteoroidi che non lasciano evidenti segni d'impatto. L'emissione luminosa che accompagna l'ingresso in atmosfera nel loro caso dura pochi secondi (1-2 s) ed è quindi necessario un monitoraggio continuo della superficie del pianeta ad alta frequenza per la loro individuazione. Hueso et al. suggeriscono che telescopi dal diametro compreso tra 15 e 20 cm siano gli strumenti ideali per la loro rilevazione, se equipaggiati con webcam o altri strumenti di registrazione video. Infine, maggiori informazioni sulla frequenza di impatto possono essere desunte anche analizzando le osservazioni storiche di Giove condotte nel Settecento e nell'Ottocento alla luce delle nuove conoscenze acquisite. Ad esempio, l'astronoma ungherese Illés Erzsébet, analizzando i carteggi delle osservazioni eseguite presso tre osservatori ungheresi, ha individuato altri tre possibili eventi d'impatto verificatisi nel 1879, 1884 e 1897. Le identificazioni proposte necessitano di essere confermate. Alcuni studi del 2007, in ultimo, hanno posto in relazione le increspature degli anelli di Giove con l'impatto della Cometa SL9, analizzandone l'evoluzione temporale registrata dagli strumenti a bordo delle sonde Galileo, Cassini e New Horizons che hanno visitato il pianeta. Negli anelli, potrebbero quindi essere presenti "tracce fossili" da cui potrebbe essere desunta l'occorrenza di precedenti impatti oppure, in futuro, potrebbero manifestarsi tracce di eventi non direttamente osservati. L'osservazione diretta di eventi d'impatto su Giove ha portato a maturare, anche nell'opinione pubblica, la consapevolezza che l'impatto di una cometa o di un asteroide con il nostro pianeta avrebbe conseguenze potenzialmente devastanti. Pertanto, la possibilità di una tale caduta è divenuta un qualcosa di concreto, dalla quale ci si deve, per quanto possibile, premunire. Ciò è accaduto soprattutto grazie alla vicenda della Cometa Shoemaker-Levy 9, cui fu dedicata una estesa copertura mediatica e della quale era stata evidenziata la portata storica. Tra le forme di comunicazione rivolte al grande pubblico, ci fu anche la produzione nel 1998 dei film Deep Impact di Mimi Leder ed Armageddon di Michael Bay. La scoperta degli impatti successivi ha evidenziato, invece, che tali eventi sono molto più frequenti di quanto precedentemente pensato. Va inoltre rilevato il ruolo avuto da astronomi non professionisti nell'identificazione dei segni dell'impatto, ciò anche grazie ad una riduzione del costo di strumenti di osservazione tecnologicamente avanzati.


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