Il sistema solare

Abbiamo già parlato del nostro Sistema Solare: si tratta del nostro quartiere cosmico e comprende, oltre al mondo su cui viviamo, anche vari corpi che rendono il nostro pianeta abitabile, come il Sole, che ci fornisce luce e calore, o Giove, che ci protegge dagli asteroidi grazie al suo campo gravitazionale. In quest'articolo di Eagle sera andremo a studiare le caratteristiche del nostro sistema solare, come si è evoluto e come si evolverà nel futuro. Se vuoi saperne di più seguici su Eagle sera!




Il sistema solare

Il sistema solare è un sistema planetario costituito da una varietà di corpi celesti mantenuti in orbita dalla forza gravitazionale del Sole, cui appartiene anche la Terra: con un diametro di circa 240-260 UA, è situato nel braccio di Orione della Via Lattea, orbitando attorno al centro galattico ad una distanza di 30000 al ed una velocità di 230 km/s; si stima che il sistema solare impieghi circa 230 milioni di anni per completare un giro attorno al centro galattico. Costituito dal Sole, che da solo possiede il 99,86% della massa di tutto il sistema, e da otto pianeti (quattro pianeti rocciosi interni e quattro giganti gassosi esterni) e cinque pianeti nani, dai rispettivi satelliti naturali, e da moltissimi altri corpi minori, quest'ultima categoria comprende gli asteroidi, in gran parte ripartiti fra due cinture asteroidali (la fascia principale e la fascia di Kuiper), le comete (prevalentemente situate nell'ipotetica nube di Oort), i meteoroidi e la polvere interplanetaria. In ordine di distanza dal Sole, gli otto pianeti sono: Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano e Nettuno; i cinque pianeti nani sono: Cerere, situato nella fascia principale degli asteroidi, Plutone, Haumea, Makemake, e Eris. Il vento solare, un flusso di plasma generato dall'espansione continua della corona solare, permea l'intero sistema solare, creando una bolla nel mezzo interstellare conosciuta come eliosfera, che si estende fino oltre alla metà del disco diffuso. Sebbene molti dei maggiori corpi celesti del sistema solare fossero già conosciuti sin dai tempi dell'antichità, il concetto stesso era ignorato in quanto vigeva per lo più un'idea di sistema geocentrico con la Terra al centro dell'universo. Uno dei primi a immaginare un sistema eliocentrico fu Aristarco di Samo, ma le sue idee non presero piede nella comunità dei filosofi e pensatori di allora. Fu solo nel XVI secolo che Niccolò Copernico propose la visione moderna del sistema solare, con al centro il Sole e i pianeti conosciuti allora a orbitare intorno. Gli unici corpi del sistema solare conosciuti erano però solamente i quattro pianeti terrestri, Giove, Saturno, il Sole e la Luna. Nel secolo successivo, con l'invenzione del telescopio di Galileo Galilei, vennero scoperti altri corpi minori, come i satelliti medicei, gli anelli di Saturno e alcune comete e per circa 200 anni non si pensava che potessero esserci altri oggetti nel sistema solare, in particolare era ferma la convinzione che i pianeti fossero solo quelli allora conosciuti. Nel 1781, la scoperta di Urano da parte di William Herschel mise in discussione i preconcetti che la comunità scientifica aveva, generando dubbi relativamente alla possibilità che esistessero pianeti transuranici. Pochi anni dopo, nel 1801, Giuseppe Piazzi dichiarò di aver scoperto un nuovo pianeta, tra le orbite di Marte e Giove; si trattava in realtà di Cerere. La conclusione avvenne escludendo che potesse trattarsi di una cometa e non conoscendo altri oggetti diversi da pianeti e comete, del tutto ignaro che avesse scoperto un nuovo tipo di oggetto, l'asteroide. Da allora le scoperte di nuovi oggetti si moltiplicarono, in particolare vennero scoperti tanti nuovi asteroidi. Nel 1846 venne scoperto un pianeta in modo del tutto rivoluzionario: prima dell'osservazione diretta, si calcolarono le perturbazioni dell'orbita di Urano e se ne dedusse che doveva esistere un pianeta in un punto preciso dello spazio per giustificare le discrepanze osservate. Pochi giorni dopo, Johann Gottfried Galle e Heinrich Louis d'Arrest confermarono la presenza di Nettuno a meno di un grado di distanza dal punto calcolato. Nel 1930, la scoperta di Plutone aumentò il numero di pianeti conosciuti a nove, ritenuto allora un oggetto di massa molto maggiore di quanto effettivamente sia. Negli anni '50 Jan Oort ipotizzò l'esistenza di un vivaio di comete ben al di là delle orbite dei pianeti conosciuti, situato a decine di migliaia di UA dal Sole, la nube di Oort, che quando venivano perturbate modificavano consistentemente la propria orbita fino ad arrivare nella zona interna del sistema. Nel 1992, la scoperta di Albion riavviò la ricerca di oggetti transnettuniani. L'avvento di sistemi automatici di ricerca permise la scoperta di migliaia di oggetti dal diametro tra i 50 e 2500 km. La scoperta di Eris, di dimensioni simili a Plutone, nel 2005 mise in discussione la stessa definizione di pianeta, che fu cambiata e formalizzata nel 2006 dall'Unione Astronomica Internazionale, declassando Plutone a pianeta nano e riportano a otto il numero totale di pianeti.

La storia del sistema solare

Le ipotesi riguardanti la formazione e l'evoluzione del Sistema Solare sono varie e investono numerose discipline scientifiche, dall'astronomia alla fisica, alla geologia. Molte nei secoli sono state le teorie proposte per l'origine del sistema solare, è tuttavia dal XVIII secolo che iniziano a prendere forma le teorie moderne. L'inizio dell'era spaziale, le immagini di altri pianeti del sistema solare, i progressi nella fisica nucleare e nell'astrofisica hanno contribuito a modellare le attuali teorie sull'origine e sul destino del sistema solare. L'ipotesi sull'origine del sistema solare che attualmente gode di maggior credito è quella cosiddetta nebulare, proposta inizialmente da Immanuel Kant nel 1755 e indipendentemente da Pierre-Simon Laplace. La teoria nebulare afferma che il sistema solare abbia avuto origine da un collasso gravitazionale di una nube gassosa. Si calcola che la nebulosa avesse un diametro di circa 100 au e una massa circa 2-3 volte quella del Sole. Si ipotizza inoltre che una forza interferente (probabilmente una vicina supernova) abbia compresso la nebulosa spingendo materia verso il suo interno ed innescandone il collasso. Durante il collasso la nebulosa ha iniziato a ruotare più rapidamente (secondo la legge di conservazione del momento angolare) ed a riscaldarsi. Col procedere dell'azione della gravità, della pressione, dei campi magnetici e della rotazione la nebulosa si sarebbe appiattita in un disco protoplanetario con una protostella al suo centro in via di contrazione. La teoria prosegue ipotizzando che da questa nube di gas e polveri si formarono i diversi pianeti. Si stima che il sistema solare interno fosse talmente caldo da impedire la condensazione di molecole volatili quali acqua e metano. Vi si formarono pertanto dei planetesimi relativamente piccoli (fino allo 0,6% della massa del disco) e formati principalmente da composti ad alto punto di fusione, quali silicati e metalli[senza fonte]. Questi corpi rocciosi si sono evoluti successivamente nei pianeti di tipo terrestre. Più esternamente, oltre la frost line, si svilupparono invece i giganti gassosi Giove e Saturno, mentre Urano e Nettuno catturarono meno gas e si condensarono attorno a nuclei di ghiaccio. Grazie alla loro massa sufficientemente grande i Giganti gassosi hanno trattenuto l'atmosfera originaria sottratta alla nebulosa mentre i pianeti di tipo terrestre l'hanno perduta. L'atmosfera di questi ultimi è frutto di vulcanismo, impatti con altri corpi celesti e, nel caso della Terra, l'evoluzione della vita. Secondo questa teoria dopo cento milioni di anni la pressione e la densità dell'idrogeno nel centro nella nebulosa divennero grandi a sufficienza per avviare la fusione nucleare nella protostella. Il vento solare prodotto dal neonato Sole spazzò via i gas e le polveri residui del disco allontanandoli nello spazio interstellare e fermando così il processo di crescita dei pianeti. Uno dei problemi è posto dal momento angolare. Con la concentrazione della grande maggioranza della massa del disco al suo centro, anche il momento angolare avrebbe dovuto concentrarsi allo stesso modo, invece la velocità di rotazione del Sole è inferiore a quanto previsto dal modello teorico e i pianeti, pur rappresentando meno dell'1% della massa del sistema solare, contribuiscono a oltre il 90% del momento angolare totale. Una possibile spiegazione è che la rotazione del nucleo centrale della nebulosa sia stata rallentata dall'attrito con gas e polveri. Anche i pianeti "al posto sbagliato" sono un problema per il modello a nebulosa. Urano e Nettuno si trovano in una regione in cui la loro formazione è poco probabile, data la ridotta densità della nebulosa a tale distanza dal centro. Si introduce pertanto una successiva ipotesi secondo la quale le interazioni tra la nebulosa ed i planetesimi avrebbero prodotto dei fenomeni di migrazione planetaria. Anche alcune proprietà dei pianeti pongono problemi. L'ipotesi della nebulosa prevede necessariamente che tutti i pianeti si formino esattamente sul piano dell'eclittica, invece le orbite dei pianeti presentano tutte delle inclinazioni (anche se piccole) rispetto a tale piano. Inoltre questa prevede che sia i pianeti giganti sia le loro lune, siano tutti allineati al piano dell'eclittica. Al contrario di quanto prevede la teoria, le osservazioni mostrano che la maggior parte dei pianeti giganti ha un'apprezzabile inclinazione assiale, Urano ha addirittura una notevole inclinazione (98°) che fa sì che il pianeta "rotoli" sulla sua orbita. Un ulteriore elemento di incongruenza tra teoria ed osservazione è dato dalle grandi dimensioni della Luna terrestre e le orbite irregolari di altri satelliti che sono incompatibili col modello a nebulosa. Per giustificare la teoria si introduce un'ulteriore ipotesi secondo la quale tali discrepanze siano il frutto di avvenimenti accaduti successivamente alla nascita del sistema solare. Attraverso misure radiometriche su delle meteoriti alcuni ricercatori hanno stimato che l'età del sistema solare sia di circa 4,5 miliardi di anni. Le più vecchie rocce della Terra sono vecchie circa 3,9 miliardi di anni. Rocce di questa età sono rare dato che la superficie terrestre è soggetta ad un continuo rimodellamento dovuto a erosione, vulcanismo e movimento delle placche continentali. Vista la difficoltà di reperire rocce la cui età sarebbe compatibile, per stimare l'età del sistema solare si studiano le meteoriti che sono precipitate sul pianeta: affinché l'età della terra sia databile con questo metodo è necessario che abbia la medesima età delle rocce spaziali. Diventa quindi necessario ipotizzare che queste si siano formate nelle prime fasi di condensazione della nebulosa solare, contemporaneamente ai pianeti, e che non si siano formate successivamente e non siano pervenute dall'esterno del sistema. Le meteoriti più vecchie (come quella di Canyon Diablo) sono state datate 4,6 miliardi di anni, pertanto questo è un limite inferiore dell'età del sistema solare. Fino alla fine del XX secolo si è pensato che i pianeti occupino oggi orbite simili e vicine a quelle che avevano in origine; questa visione è andata cambiando radicalmente in tempi recenti e si pensa che l'aspetto del sistema solare alle sue origini fosse molto diverso da quello attuale. Si ipotizza oggi che i corpi presenti nel sistema solare interno alla fascia degli asteroidi con massa non inferiore a quella di Mercurio fossero cinque (e non gli attuali quattro), che il sistema solare esterno fosse più compatto di com'è oggi e che la fascia di Kuiper occupasse un'orbita più distante dell'attuale. Gli impatti tra corpi celesti, ancorché rari sulla scala dei tempi della vita umana, sono considerati una parte essenziale dello sviluppo e dell'evoluzione del sistema solare. Oltre all'impatto da cui si ipotizza abbia avuto origine la Luna terrestre, anche il sistema Plutone-Caronte si pensa derivi da un impatto tra oggetti della fascia di Kuiper. Esempi recenti di collisioni sono lo schianto della cometa Shoemaker-Levy 9 su Giove nel 1994 ed il cratere Meteor Crater che si trova in Arizona. Stando alle ipotesi che godono attualmente di maggior credito, il sistema solare interno fu teatro di un gigantesco impatto tra la Terra ed un corpo di massa analoga a quella di Marte (il "quinto corpo" cui si è accennato in precedenza, chiamato Theia). Da tale impatto si formò la Luna. Si ipotizza che tale corpo si sia formato in uno dei punti lagrangiani stabili del sistema Terra-Sole (L4 o L5) e sia nel tempo andato alla deriva. Secondo l'ipotesi della nebulosa la fascia degli asteroidi conteneva inizialmente una quantità di materia più che sufficiente per formare un pianeta, tuttavia i planetesimi che vi si formarono non poterono fondersi in un unico corpo a causa dell'interferenza gravitazionale prodotta da Giove venutosi a formare prima. Allora come oggi le orbite dei corpi nella fascia degli asteroidi sono in risonanza con Giove, tale risonanza causò la fuga di numerosi planetesimi verso lo spazio esterno e impedì agli altri di consolidarsi in un corpo massiccio. Sempre secondo questa ipotesi gli asteroidi osservati oggi sono i residui dei numerosi planetesimi che si sarebbero formati nelle prime fasi della nascita del sistema solare. L'effetto di Giove avrebbe scalzato dall'orbita la maggior parte della materia contenuta originalmente nell'orbita della fascia e la massa degli asteroidi residui oggi è circa 2,3×1021 kg. La perdita di massa sarebbe stato il fattore cruciale che impedì agli oggetti della fascia degli asteroidi di consolidarsi in un pianeta. Gli oggetti di grande massa hanno un campo gravitazionale sufficiente ad impedire la perdita di grandi quantità di materia in seguito ai violenti impatti con altri corpi celesti (i frammenti ricadono sulla superficie del corpo principale). I corpi più massicci della fascia degli asteroidi non sarebbero stati invece sufficientemente grandi: le collisioni li hanno frantumati ed i frammenti sono sfuggiti alla reciproca attrazione gravitazionale. La prova delle avvenute collisioni è osservabile nelle piccole lune che orbitano attorno agli asteroidi più grandi che possono essere considerati frammenti la cui energia non è stata sufficiente per poterli separare dal corpo principale. È opinione diffusa oggi che la parte esterna del sistema solare sia stata foggiata dalle migrazioni planetarie. Molti degli oggetti della fascia di Kuiper furono scagliati verso il sistema solare interno da Saturno, Urano e Nettuno, mentre Giove spesso spinse questi oggetti fuori dal sistema solare. Come risultato di queste interazioni Giove migrò su orbite più strette verso il Sole, mentre Saturno, Urano e Nettuno migrarono verso l'esterno. Un grande passo per la comprensione di come tali fenomeni abbiano modellato il sistema solare esterno è avvenuto nel 2004, quando nuove simulazioni computerizzate hanno mostrato che se Giove avesse compiuto meno di due rivoluzioni attorno al Sole nel tempo in cui Saturno ne compie una, la migrazione dei due pianeti avrebbe portato a orbite in risonanza 2:1 in cui il periodo di rivoluzione di Giove diventa esattamente la metà di quello di Saturno. Questa risonanza avrebbe avuto inoltre l'effetto di spingere Urano e Nettuno su orbite molto ellittiche, con un 50% di probabilità che questi si scambiassero di posto. Il pianeta più esterno (Nettuno) sarebbe quindi stato spinto ulteriormente verso l'esterno, dentro l'orbita occupata allora dalla fascia di Kuiper. Le interazioni tra i pianeti e la fascia di Kuiper successive allo stabilirsi della risonanza 2:1 tra Giove e Saturno possono spiegare le caratteristiche orbitali e le inclinazioni assiali dei pianeti giganti più esterni. Urano e Saturno occupano le loro posizioni attuali per via della loro reciproca interazione e dell'interazione con Giove, mentre Nettuno occupa l'orbita attuale perché è su quella interagente con la fascia di Kuiper. La dispersione degli oggetti della fascia di Kuiper può spiegare il bombardamento dei corpi del sistema solare interno avvenuto circa 4 miliardi di anni fa. La teoria procede dicendo che la fascia di Kuiper fu inizialmente una regione esterna occupata da corpi ghiacciati dalla massa insufficiente per potersi consolidare in un pianeta. In origine il suo bordo interno era appena oltre l'orbita del più esterno tra Urano e Nettuno, all'epoca della loro formazione (probabilmente tra le 15×1020 au). Il suo bordo esterno era a una distanza di circa 30 au. Gli oggetti della fascia che entrarono nel sistema solare esterno causarono le migrazioni dei pianeti. La risonanza orbitale 2:1 tra Giove e Saturno spinse Nettuno dentro la fascia di Kuiper, provocando la dispersione di numerosi dei suoi corpi. Molti di essi furono spinti verso l'interno fino ad interagire con la gravità gioviana che spesso li spinse su orbite molto ellittiche e a volte fuori dal sistema solare. Gli oggetti spinti sulle orbite altamente ellittiche sono quelli che formano la nube di Oort. Alcuni oggetti spinti verso l'esterno da Nettuno formano la porzione del "disco disperso" degli oggetti della fascia di Kuiper. La maggior parte dei pianeti del sistema solare possiede delle lune. La loro formazione può spiegarsi con una di tre possibili cause:

  • formazione contemporanea al pianeta dalla condensazione di un disco proto-planetario (tipica dei giganti gassosi),
  • formazione da frammenti da impatto (con un impatto sufficientemente violento ad un angolo poco profondo),
  • cattura di un oggetto vicino.

I giganti gassosi hanno un sistema di lune interne originatesi dal disco proto-planetario. Lo dimostrano le grandi dimensioni di tali lune e la loro vicinanza al pianeta - queste proprietà sono incompatibili con la cattura, mentre la natura gassosa dei pianeti giganti rende impossibile la formazione di satelliti per condensazione di frammenti da impatto. Le lune esterne dei giganti gassosi sono invece piccole, con orbite molto ellittiche e dalle varie inclinazioni, questo fa pensare che si tratti di satelliti catturati dal campo gravitazionale del pianeta. Per i pianeti interni e per gli altri corpi del sistema solare, la collisione sembra essere il meccanismo principale per la formazione di satelliti, in cui una parte consistente del materiale planetario, espulsa dalla collisione, finisce in orbita attorno al pianeta e si condensa in una o più lune. La Luna terrestre si pensa essere originata da un evento simile. Dopo la loro formazione, i sistemi satellitari continuano ad evolvere, l'effetto più comune è la modifica dell'orbita dovuta alle forze di marea. L'effetto è dovuto al rigonfiamento che la gravità del satellite crea nell'atmosfera e negli oceani del pianeta (e in misura minore anche nel corpo solido stesso). Se il periodo di rotazione del pianeta è inferiore a quello di rivoluzione della luna, il rigonfiamento precede il satellite e la sua gravità causa un'accelerazione del satellite che tende ad allontanarsi lentamente dal pianeta (è il caso della Luna); se invece la luna orbita più rapidamente di quanto il pianeta ruoti su se stesso o se ha un'orbita retrograda attorno al pianeta, allora il rigonfiamento segue il satellite e ne causa il rallentamento, provocando un restringimento dell'orbita nel tempo. La luna marziana di Fobos sta lentamente avvicinandosi a Marte per questa ragione. Un pianeta può creare a sua volta un rigonfiamento nella superficie del satellite, questo rallenta la rotazione della luna fino a quando il periodo di rotazione e di rivoluzione coincidono. In tal caso, la luna mostrerà al pianeta sempre la stessa faccia. È il caso della Luna terrestre e di molti altri satelliti del sistema solare, tra cui la luna di Giove, Io. Nel caso di Plutone e Caronte, sia il pianeta che il satellite sono legati l'uno all'altro da forze di marea. Escludendo qualche fenomeno imprevisto, si ipotizza che il sistema solare come lo conosciamo oggi durerà per altri 5 miliardi di anni circa. Via via che l'idrogeno al centro del Sole andrà esaurendosi, la zona interessata dalle reazioni nucleari tenderà a spostarsi progressivamente in una shell più esterna all'ormai inerte nucleo di elio, che invece inizierà a restringersi innalzando la temperatura e incrementando la velocità della fusione nel "guscio" circostante. Ciò farà lentamente crescere il Sole sia in dimensioni che in temperatura superficiale, e perciò anche in splendore. Quando il Sole avrà aumentato gradualmente la propria luminosità di circa il 10% oltre i livelli attuali, tra circa 1 miliardo di anni, l'aumento di radiazione renderà la superficie della Terra inabitabile a causa del calore e dalla perdita di anidride carbonica, che impedirà la fotosintesi delle piante, mentre la vita potrà ancora resistere negli oceani più profondi. In questo periodo è possibile che la temperatura della superficie di Marte aumenti gradualmente e l'anidride carbonica e l'acqua attualmente congelate sotto la superficie del suolo vengano liberate nell'atmosfera creando un effetto serra in grado di riscaldare il pianeta fino ad ottenere condizioni paragonabili a quelle odierne della Terra e fornendo una futura dimora potenziale per la vita. In circa 3,5 miliardi di anni, quando il Sole avrà incrementato il proprio splendore del 40% rispetto a quello odierno, le condizioni climatiche della Terra saranno simili a quelle che oggi caratterizzano Venere: gli oceani saranno evaporati, l'atmosfera attuale si sarà dispersa poiché l'alta temperatura avrà aumentato il grado di agitazione termica delle molecole del gas consentendo loro di raggiungere la velocità di fuga e di conseguenza la vita - nelle forme che oggi conosciamo - sarà impossibile. In circa 5,4 miliardi di anni, il Sole terminerà le riserve di idrogeno, il nucleo di elio proseguirà il collasso mentre il guscio esterno in cui continuerà a venire combusto l'idrogeno spingerà verso l'esterno, facendo dilatare e raffreddare la superficie della nostra stella. Il Sole si sarà quindi avviato verso l'instabile fase di gigante rossa, nel corso della quale sarà caratterizzato da grandi dimensioni e una relativamente bassa temperatura fotosferica, caratteristica quest'ultima che gli conferirà un colore tendente al rosso. Il percorso verso tale stadio evolutivo sarà più evidente quando il Sole, tra circa 6,4 miliardi di anni, avrà triplicato la sua luminosità rispetto al valore attuale e raffreddato la sua superficie fino a circa 5000 K. A distanza di 11,7-12,21 miliardi d'anni dall'inizio della sua sequenza principale, il Sole manifesterà uno splendore 300 volte quello di oggi e una temperatura superficiale di 4000 K. La dilatazione continuerà ad un ritmo più rapido ed in circa 7,59 miliardi di anni da oggi il Sole si sarà espanso fino ad assumere un raggio 256 volte quello attuale (1,2 UA). Con l'espansione del Sole, Mercurio e Venere verranno inghiottiti. Il destino della Terra e forse di Marte è possibile che sia il medesimo, anche se ci sono alcuni studi che parlano di un allontanamento delle orbite planetarie dal Sole a causa della graduale perdita di massa di quest'ultimo. Durante questo periodo è possibile che corpi esterni in orbita attorno alla Fascia di Kuiper, su cui è presente ghiaccio, ad esempio Plutone e Caronte, possano raggiungere condizioni ambientali compatibili con quelle richieste dalla vita umana. Successivamente l'elio prodotto nell guscio cadrà nel nucleo della stella aumentandone la massa e la densità fino a che la temperatura non raggiungerà i 100 milioni di K, sufficienti per innescare la fusione dei nuclei di elio in nuclei di carbonio e ossigeno in quello che gli astronomi definiscono flash dell'elio. A questo punto il Sole dovrebbe contrarsi a una dimensione poco maggiore dell'attuale e consumare il proprio elio per circa altri 100 milioni di anni, in un nucleo avvolto da una sottile shell in cui seguiterà a bruciare l'idrogeno. Tale fase è detta del ramo orizzontale, in riferimento alla disposizione del diagramma H-R. Quando nel nucleo finirà anche l'elio, il Sole risponderà con una nuova contrazione, che causerà l'innesco della fusione dell'elio e dell'idrogeno in due strati esterni attorno al nucleo di carbonio ed ossigeno. Questo determinerà un ulteriore periodo di espansione in gigante rossa, nel corso del quale la stella consumerà l'elio e l'idrogeno negli strati più esterni per altri 100 milioni di anni. Entro 8 miliardi di anni il Sole sarà divenuto una gigante rossa AGB con dimensioni circa 100 volte quelle attuali, arrivando probabilmente a lambire l'orbita della Terra e a fagocitare il nostro pianeta. Dopo appena 100.000 anni, il Sole si lascerà sfuggire la sua rarefatta atmosfera, che avvolgendo il nucleo centrale si disperderà lentamente nello spazio interplanetario sotto forma di "supervento", dando origine a quella che si definisce una nebulosa planetaria. Sarà una transizione relativamente tranquilla, niente di paragonabile a una supernova, dato che la massa del nostro Sole è ampiamente insufficiente per arrivare a quel livello. Se vi saranno ancora terrestri per osservare il fenomeno, registreranno un massiccio incremento del vento solare, ma senza che questo provochi la distruzione del pianeta (se ancora esisterà). Ciò che infine resterà del Sole (il nucleo di carbonio e ossigeno) sarà una nana bianca, un oggetto straordinariamente caldo e denso, di massa circa metà di quella originale, ma compressa in un volume simile a quello della Terra. Visto dalla Terra apparirà come un punto di luce grande poco più di Venere ma dalla luminosità di centinaia di soli. Con la morte del Sole verrà indebolita la sua attrazione gravitazionale sugli altri oggetti del sistema solare; le orbite di Marte e degli altri corpi andranno espandendosi. La configurazione finale del sistema solare sarà raggiunta quando il Sole avrà completato la sua trasformazione in nana bianca: se la Terra e Marte esisteranno ancora, saranno, rispettivamente, su orbite approssimativamente simili a quelle a 1,85 e a 2,80 UA dal Sole. Dopo altri due miliardi di anni il nucleo del Sole, ricco di carbonio, inizierà a cristallizzare, trasformandosi in un diamante di dimensioni planetarie, destinato a spegnersi e cessare di splendere in qualche altro miliardo di anni, diventando una nana nera, ovvero una stella raffreddatasi a tal punto da risultare invisibile, al momento inesistente perché l'universo è troppo giovane per averne consentito il ciclo stellare. 

Storia delle ipotesi sulla formazione del sistema solare

Verso la fine del XIX secolo l'ipotesi della nebulosa di Kant-Laplace fu criticata da James Clerk Maxwell, che sosteneva l'impossibilità della materia di collassare a formare pianeti coesi se la materia fosse stata distribuita in un disco attorno al Sole, per via delle forze indotte dalla rotazione differenziale. Un'altra obiezione era il momento angolare del Sole, inferiore a quanto previsto dal modello di Kant-Laplace. Per molti decenni la maggior parte degli astronomi preferì l'ipotesi della "mancata collisione", ovvero della formazione dei pianeti a partire dalla materia che una stella in transito vicino al Sole avrebbe perso e avrebbe strappato al Sole per azione reciproca delle loro forze di marea. Furono avanzate obiezioni anche all'ipotesi della "mancata collisione" e, durante gli anni quaranta i modelli matematici a sostegno dell'ipotesi nebulare furono migliorati e convinsero la comunità scientifica. Nella versione modificata si assunse che la massa della protostella fosse maggiore e la discrepanza di momento angolare attribuita alle forze magnetiche, ovvero alle onde di Alfvén, attraverso cui il neonato Sole trasferisce parte del suo momento angolare al disco protoplanetario e ai planetesimi, come osservato avvenire in alcune stelle, per esempio T Tauri. Negli anni cinquanta il russo Immanuil Velikovskij pubblicò il libro "Mondi in collisione", ripreso molto tempo dopo dall'americano John Ackerman. I due ricercatori hanno proposto un controverso modello secondo il quale il sistema solare avrebbe avuto origine da un impatto di enorme potenza sul pianeta Giove. Il modello della nebulosa riveduto e corretto fu basato interamente su osservazioni condotte sui corpi del nostro sistema solare, in quanto l'unico conosciuto fino a metà degli anni '90. Non si era del tutto certi della sua applicabilità ad altri sistemi planetari, benché la comunità scientifica fosse ansiosa di verificare il modello a nebulosa trovando nel cosmo altri dischi protoplanetari o persino pianeti extrasolari. Nebulose stellari e dischi protoplanetari sono stati osservati nella nebulosa di Orione e in altre regioni di formazione delle stelle grazie al telescopio spaziale Hubble. Alcuni di questi dischi hanno diametri maggiori di 1000 au. Nel gennaio 2006 risultano scoperti 180 pianeti extrasolari, che hanno riservato numerose sorprese. Il modello della nebulosa ha dovuto essere rivisto per spiegare le caratteristiche di questi sistemi planetari. Non c'è consenso su come spiegare la formazione degli osservati pianeti giganti su orbite molto vicine alla loro stella ("hot Jupiters"), anche se tra le ipotesi possibili vi sono la migrazione planetaria e il restringimento dell'orbita dovuto ad attrito con i residui del disco protoplanetario. In tempi recenti è stato sviluppato un modello alternativo basato sulla cattura gravitazionale, che nelle intenzioni dei suoi propugnatori dovrebbe spiegare alcune caratteristiche del sistema solare non spiegate dalla teoria della nebulosa. 

Struttura del Sistema Solare

Il principale corpo celeste del sistema solare è il Sole, una stella della sequenza principale di classe spettrale G2 V (nana gialla), contenente il 99,86% di tutta la massa conosciuta nel sistema solare. Giove e Saturno, i due pianeti più massicci che orbitano attorno al Sole, costituiscono più del 90% della massa restante. La maggior parte dei grandi oggetti in orbita intorno al Sole sono in un piano simile a quello dell'orbita terrestre, chiamata eclittica. Tipicamente, il piano di orbita dei pianeti è molto vicino a quello dell'eclittica mentre le comete e gli oggetti della cintura di Kuiper hanno un angolo significativamente maggiore rispetto al nostro. Tutti i pianeti e la maggior parte degli altri oggetti orbitano nello stesso senso della rotazione del Sole, in senso antiorario dal punto di vista di un osservatore situato al di sopra del polo nord solare. Certi oggetti orbitano in un senso orario, come la cometa di Halley. Le traiettorie degli oggetti che gravitano intorno al sole seguono le leggi di Kepler. Sono approssimativamente delle ellissi di cui uno dei fuochi è il Sole. Le orbite dei pianeti sono quasi circolari mentre quelle dei corpi più piccoli presentano una maggiore eccentricità e possono risultare molto ellittiche. La distanza di un corpo dal Sole varia durante la sua rivoluzione. Il punto più vicino al sole dell'orbita di un corpo si chiama perielio, mentre il più lontano è l'afelio. Il sistema solare è convenzionalmente diviso in due zone. Il sistema solare interno include i quattro pianeti rocciosi e la cintura di asteroidi. Il resto del sistema viene considerato sistema solare esterno. La maggioranza dei pianeti del sistema solare possiede dei corpi in rotazione intorno ad essi, chiamati satelliti naturali o lune. I quattro pianeti più grandi hanno anche degli anelli planetari. Gli elementi chimici che predominano nel sistema solare sono idrogeno ed elio primordiali, concentrati per lo più nel Sole, dove la loro massa costituisce circa il 98%, e nei due pianeti più grandi, Giove e Saturno. In minori percentuali, sono presenti tutti gli elementi della tavola periodica nelle loro forme stabili e nei principali isotopi. Fisicamente, quasi tutti i corpi si trovano in rotazione attorno al centro di massa del sistema nella stessa direzione, contribuendo in modo differente al momento angolare del sistema solare; stranamente, il Sole, nonostante la sua notevole massa, contribuisce solo allo 0,5% del momento angolare totale, essendo molto vicino al baricentro.

I pianeti

Pianeti rocciosi

Iniziamo dando una breve definizione di pianeta terrestre (o roccioso): Un pianeta terrestre (detto anche pianeta roccioso o pianeta tellurico) è un pianeta composto perlopiù da roccia e metalli. Il termine deriva direttamente dal nome del nostro pianeta, Terra, ed è stato adottato per indicare i pianeti del sistema solare interno in contrapposizione ai pianeti del sistema solare esterno detti giganti gassosi, che invece sono pianeti privi di una superficie solida, composti da una combinazione di idrogeno, elio e acqua in varie combinazioni di gas e liquido. Il Sistema solare conta quattro pianeti terrestri: Mercurio, Venere, la Terra e Marte. È probabile che un tempo ne esistessero altri, ma la maggior parte sono stati espulsi dal Sistema tramite effetti fionda gravitazionali, o distrutti in seguito ad impatti. Si conosce un solo pianeta terrestre, la Terra, con un'idrosfera attiva. I pianeti terrestri si trovano nella porzione interna del Sistema. Ciò non è un caso, infatti la maggiore temperatura, dovuta alla vicinanza del Sole, ha fatto sì che i componenti più leggeri delle loro atmosfere primitive (idrogeno ed elio) si disperdessero nello spazio, raggiungendo la velocità di fuga dal pianeta. La loro posizione determina inoltre temperature superficiali relativamente alte e moti di rivoluzione più veloci rispetto ai pianeti giganti del Sistema solare esterno, mentre quelli di rotazione sono più lenti. Secondo alcuni astronomi anche Cerere è un significativo corpo di tipo terrestre, sebbene non soddisfi le condizioni dinamiche perché possa essere considerato un pianeta. Altri, invece, guidati soprattutto dal valore della sua densità, suggeriscono che possa presentare maggiori affinità con alcuni satelliti dei giganti gassosi. La missione Dawn della NASA che ha visitato Cerere nel 2015 ha raccolto dati che permettono di fare luce anche su questo aspetto. Iniziamo il nostro viaggio dal nostro pianeta, la Terra. 

La Terra è il terzo pianeta in ordine di distanza dal Sole e il più grande dei pianeti terrestri del sistema solare, sia per massa sia per diametro. Sulla sua superficie, si trova acqua in tutti e tre gli stati (solido, liquido e gassoso) e un'atmosfera composta in prevalenza da azoto e ossigeno che, insieme al campo magnetico che avvolge il pianeta, protegge la Terra dai raggi cosmici e dalle radiazioni solari. È il luogo primigenio degli esseri umani ed, essendo l'unico corpo planetario del sistema solare adatto a sostenere la vita come da noi concepita e conosciuta, è anche l'unico luogo nel quale vivono tutte le specie viventi conosciute. La sua formazione è datata a circa 4,54 miliardi di anni fa. La Terra possiede un satellite naturale chiamato Luna la cui età, stimata analizzando alcuni campioni delle rocce più antiche, è risultata compresa tra 4,29 e 4,56 miliardi di anni. L'asse di rotazione terrestre è inclinato rispetto alla perpendicolare al piano dell'eclittica: questa inclinazione combinata con la rivoluzione della Terra intorno al Sole causa l'alternarsi delle stagioni. Le condizioni atmosferiche primordiali sono state alterate in maniera preponderante dalla presenza di forme di vita che hanno creato un diverso equilibrio ecologico plasmando la superficie del pianeta. Circa il 71% della superficie è coperta da oceani di acqua salata e il restante 29% è rappresentato dai continenti e dalle isole. La superficie esterna è suddivisa in diversi segmenti rigidi detti placche tettoniche che si spostano lungo la superficie in periodi di diversi milioni di anni. La parte interna, attiva dal punto di vista geologico, è composta da uno spesso strato relativamente solido o plastico, denominato mantello, e da un nucleo diviso a sua volta in nucleo esterno, dove si genera il campo magnetico, e nucleo interno solido, costituito principalmente da ferro e nichel. Tutto ciò che riguarda la composizione della parte interna della Terra resta comunque una teoria indiretta ovvero mancante di verifica e osservazione diretta. Importanti sono le influenze esercitate sulla Terra dallo spazio esterno. Infatti la Luna è all'origine del fenomeno delle maree, stabilizza lo spostamento dell'asse terrestre e ha lentamente modificato la lunghezza del periodo di rotazione del pianeta rallentandolo; un bombardamento di comete durante le fasi primordiali ha giocato un ruolo fondamentale nella formazione degli oceani e in un periodo successivo alcuni impatti di asteroidi hanno provocato significativi cambiamenti delle caratteristiche della superficie e ne hanno alterato la vita presente. Il simbolo astronomico della Terra è un cerchio con all'interno una croce ⊕ e occasionalmente anche ♁: la linea orizzontale rappresenta l'equatore e quella verticale un meridiano. L'interno della Terra, detto anche geosfera, è costituito da rocce di diversa composizione e fase (solida, principalmente, ma talvolta anche liquida). Grazie allo studio dei sismogrammi si è giunti a considerare l'interno della Terra suddiviso in una serie di gusci; difatti si è notato che le onde sismiche subiscono fenomeni di rifrazione nell'attraversare il pianeta. La rifrazione consiste nella modifica della velocità e della traiettoria di un'onda quando questa si trasmette a un mezzo con differente densità. Si sono potute così rilevare superfici in profondità in cui si verificano una brusca accelerazione e una deviazione delle onde e in base a queste sono state identificate quattro zone sferiche concentriche: la crosta, il mantello, il nucleo esterno e il nucleo interno. L'interno della Terra, come quello degli altri pianeti terrestri, è diviso chimicamente in una crosta formata da rocce da basiche ad acide, un mantello ultrabasico e un nucleo terrestre composto principalmente da ferro. Il pianeta è abbastanza grande da avere un nucleo differenziato in un nucleo interno solido e un nucleo esterno liquido che produce un debole campo magnetico a causa della convezione del suo materiale elettricamente conduttivo. La capacità elettrica della Terra vale invece 710 μF, abbastanza piccola in rapporto alle sue dimensioni. Dal punto di vista delle proprietà meccaniche, la crosta e la porzione superiore del mantello formano la litosfera, rigida e una porzione intermedia del mantello, che si comporta in un certo senso come un fluido enormemente viscoso, costituisce l'astenosfera. Materiale proveniente dall'astenosfera si riversa continuamente in superficie attraverso vulcani e dorsali oceaniche non conservando però la composizione originale perché soggetto a cristallizzazione frazionata. La superficie terrestre può variare enormemente da luogo a luogo. Circa il 70,8% della superficie è coperta da acqua; inoltre la maggior parte della piattaforma continentale si trova al di sotto del livello marino. Nella parte sommersa del pianeta sono presenti tutte le caratteristiche tipiche di un territorio montuoso, caratteristiche comprendenti un sistema di dorsali medio oceaniche, dei vulcani sommersi, delle fosse oceaniche, dei canyon sottomarini, degli altopiani e delle piane abissali. Il rimanente 29,2% emerso consiste di montagne, deserti, pianure, altopiani e altre zone geomorfologiche minori. La superficie planetaria si modifica costantemente secondo tempi geologici a causa dei movimenti delle varie placche tettoniche e dell'erosione; inoltre le sue caratteristiche geografiche, create o deformate dai movimenti tettonici, sono sottoposte agli influssi meteorologici (pioggia, neve, ghiaccio, vento), a svariati cicli termici (gelo/disgelo delle zone alpine, elevata escursione termica giornaliera nel caso dei deserti) e all'azione chimica. Infine nel modellamento del pianeta sono compresi anche grandi eventi come glaciazioni e impatti meteorici. Durante la migrazione di due placche tettoniche continentali la crosta oceanica viene subdotta al di sotto dei margini di queste ultime. Nello stesso tempo, a causa della risalita di materiale mantellico, nuova crosta oceanica viene generata lungo margini divergenti nelle dorsali medio oceaniche. 

Marte è il quarto pianeta del sistema solare in ordine di distanza dal Sole; è visibile a occhio nudo ed è l'ultimo dei pianeti di tipo terrestre dopo Mercurio, Venere e la Terra. Chiamato pianeta rosso per via del suo colore caratteristico causato dalla grande quantità di ossido di ferro che lo ricopre, Marte prende il nome dall'omonima divinità della mitologia romana e il suo simbolo astronomico è la rappresentazione stilizzata dello scudo e della lancia del dio (; Unicode: ♂). Pur presentando temperature medie superficiali piuttosto basse (tra −120 e −14 °C) e un'atmosfera molto rarefatta, è il pianeta più simile alla Terra tra quelli del sistema solare. Le sue dimensioni sono intermedie tra quelle del nostro pianeta e quelle della Luna, e ha l'inclinazione dell'asse di rotazione e la durata del giorno simili a quelle terrestri. La sua superficie presenta formazioni vulcaniche, valli, calotte polari e deserti sabbiosi, e formazioni geologiche che vi suggeriscono la presenza di un'idrosfera in un lontano passato. La superficie del pianeta appare fortemente craterizzata, a causa della quasi totale assenza di agenti erosivi (principalmente, l'attività geologica, atmosferica e idrosferica) e dalla totale assenza di attività tettonica delle placche capace di formare e poi modellare le strutture tettoniche. La bassissima densità dell'atmosfera non è poi in grado di consumare buona parte delle meteore, che pertanto raggiungono il suolo con maggior frequenza che non sulla Terra. Tra le formazioni geologiche più notevoli di Marte si segnalano: l'Olympus Mons, o monte Olimpo, il vulcano più grande del sistema solare (alto 27 km); le Valles Marineris, un lungo canyon notevolmente più esteso di quelli terrestri; e un enorme cratere sull'emisfero boreale, ampio circa il 40% dell'intera superficie marziana. All'osservazione diretta, Marte presenta variazioni di colore, imputate storicamente alla presenza di vegetazione stagionale, che si modificano al variare dei periodi dell'anno; ma successive osservazioni spettroscopiche dell'atmosfera hanno da tempo fatto abbandonare l'ipotesi che vi potessero essere mari, canali e fiumi oppure un'atmosfera sufficientemente densa. La smentita finale arrivò dalla missione Mariner 4, che nel 1965 mostrò un pianeta desertico e arido, animato da tempeste di sabbia periodiche e particolarmente violente. Missioni più recenti hanno evidenziato la presenza di acqua ghiacciata. Intorno al pianeta orbitano due satelliti naturali, Fobos e Deimos, di piccole dimensioni e dalla forma irregolare. A occhio nudo Marte solitamente appare di un marcato colore giallo, arancione o rossastro e per luminosità è il più variabile nel corso della sua orbita tra tutti i pianeti esterni: la sua magnitudine apparente infatti passa da un minimo +1,8 fino a un massimo di −2,91 all'opposizione perielica (anche chiamata grande opposizione). A causa dell'eccentricità orbitale la sua distanza relativa varia a ogni opposizione determinando piccole e grandi opposizioni, con un diametro apparente da 3,5 a 25,1 secondi d'arco. Il 27 agosto 2003 alle 9:51:13 UT Marte si è trovato vicino alla Terra come mai in quasi 60000 anni: 55 758 006 km (0,37271925 au). Ciò è stato possibile perché Marte si trovava a un giorno dall'opposizione e circa a tre giorni dal suo perielio, cosa che lo rese particolarmente visibile dalla Terra. Tuttavia questo avvicinamento è solo di poco inferiore ad altri. Ad esempio il 22 agosto 1924 la distanza minima fu di 0,372846 au e si prevede che il 24 agosto 2208 sarà di 0,37279 au. Il massimo avvicinamento di questo millennio avverrà invece l'8 settembre 2729, quando Marte si troverà a 0,372004 au dalla Terra. Dal 2012, il rover Curiosity compie misurazioni della composizione atmosferica di Marte. Dai dati raccolti ne emerge uno interessante: durante la primavera e l'estate marziana si registra un anomalo aumento del 30% della quantità di ossigeno rispetto ai livelli previsti. Nel corso della stagione autunnale, poi, il livello di ossigeno ritorna ai suoi valori normali. È un comportamente che lascia perplessi i ricercatori, che stanno cercando di capire quale processo sia in grado di aggiungere ossigeno all'atmosfera nel corso della stagione calda e di sottrarlo rapidamente nei mesi successivi. L'esplorazione di Marte iniziò nel 1960 con una missione dell'agenzia spaziale sovietica con due sonde gemelle Mars 1960A e Mars 1960B che fallirono poco dopo il lancio. Seguirono altri numerosi fallimenti, Mars 1962A, Mars 1964B, Mars 1, Zond 2, Mariner 3, prima di vedere un successo con la sonda statunitense Mariner 4 che il 14 luglio 1965 inviò la prima foto ravvicinata di Marte. Arrivare su Marte è difficile, nel corso della storia circa metà delle missioni sono fallite. La difficoltà aumenta con la precisione richiesta dalla missione: se è un semplice sorvolo ravvicinato, un'entrata in orbita o una discesa sulla superficie del pianeta. Trattare l'argomento in modo dettagliato richiede alcune considerazioni base di meccanica orbitale. Le misurazioni della composizione atmosferica che il rover Curiosity sta compiendo dal suo arrivo su Marte nell'agosto 2012 indicano che, durante la primavera e l'estate marziana, si registra un anomalo aumento del 30% della quantità di ossigeno rispetto ai livelli previsti. Nel corso della stagione autunnale, poi, il livello di ossigeno ritorna ai suoi valori normali. Il comportamento si ripete regolarmente ogni anno marziano e ha lasciato perplessi i ricercatori. Dato che l'aumento della quantità di ossigeno varia di anno in anno, infatti, si dovrebbe chiamare in causa un qualche processo in grado di aggiungere ossigeno all'atmosfera nel corso della stagione calda e di sottrarlo rapidamente nei mesi successivi. Peccato, però, che al momento non sia noto nessun processo in grado di produrre un simile risultato. I motori di una sonda spaziale in viaggio nel sistema solare sono usati molto raramente, solitamente alla partenza e all'arrivo, di rado può accadere una manovra correttiva nello spazio profondo. Il comportamento è simile ad un lancio del giavellotto di precisione, se si vuole raggiungere un punto specifico è necessario lanciare con l'angolatura e la velocità corretta: il corpo durante il suo movimento effettuerà le variazioni di velocità e angolazione previste e arriverà precisamente dove calcolato. Viaggiare nel sistema solare richiede una precisione migliore ma concettualmente simile. Ad esempio, se una sonda in orbita attorno alla Terra deve arrivare su Marte, basta aspettare il momento adatto, accendere i motori per pochi minuti, aspettare qualche mese e la sonda arriverà a destinazione senza dover manovrare durante il viaggio. I motori vanno accesi per un lasso di tempo atto a raggiungere la velocità desiderata; la variazione di velocità tra l'inizio e la fine dell'accensione dei motori è un concetto relativamente semplice, molto utilizzato nella meccanica orbitale ed è chiamato Delta-v (che si abbrevia utilizzando la lettera greca: ∆V). Per arrivare in orbita terrestre bassa, è necessario un ∆V di 9,4 km/s. Per sganciarsi completamente dall'attrazione della gravitazionale della Terra, altri 3,2 km/s. Sono necessari solo 0,4 km/s aggiuntivi per essere immessi correttamente nell'orbita di trasferimento giusta, una volta impressa la velocità sufficiente per lasciare l'orbita terrestre. Questo valore non è molto grande e dà un'idea di quanto l'attrazione gravitazionale terrestre sia forte: una volta abbandonata la Terra più 90% del lavoro è stato fatto. Da notare che il valore tra l'orbita di trasferimento e la cattura del pianeta è più elevato per la Terra che per Marte. Ciò si deve alla minore gravità di Marte, l'energia impressa per lasciare l'influenza del pianeta è minore per Marte che per la Terra, quindi da Marte è necessaria una spinta maggiore per l'immissione corretta nell'orbita di trasferimento. 

Venere è il secondo pianeta del Sistema solare in ordine di distanza dal Sole con un'orbita quasi circolare che lo porta a compiere una rivoluzione in 224,7 giorni terrestri. Prende il nome dalla dea romana dell'amore e della bellezza e il suo simbolo astronomico è la rappresentazione stilizzata della mano di Venere che sorregge uno specchio (; Unicode: ♀). Con una magnitudine massima di −4,6, è l'oggetto naturale più luminoso nel cielo notturno dopo la Luna e per questo motivo è conosciuto fin dall'antichità. Venere è visibile soltanto poco dopo il tramonto e poco prima dell'alba e per questa ragione è spesso stato chiamato da popoli antichi stella della sera o stella del mattino, fino a quando Pitagora comprese che si trattava dello stesso oggetto. Classificato come un pianeta terrestre, a volte è definito il "pianeta gemello" della Terra, cui è molto simile per dimensioni e massa. Tuttavia per altri aspetti è piuttosto differente dal nostro pianeta. L'atmosfera di Venere è costituita principalmente da anidride carbonica ed è molto più densa dell'atmosfera terrestre, con una pressione al livello del suolo pari a 92 atm. La densità e la composizione dell'atmosfera creano un impressionante effetto serra che rende Venere il pianeta più caldo del sistema solare. Venere è avvolto da uno spesso strato di nubi altamente riflettenti, composte principalmente di acido solforico, che impediscono la visione nello spettro visibile della superficie dallo spazio. Il pianeta non è dotato di satelliti o anelli e ha un campo magnetico più debole di quello terrestre. Poiché il pianeta si trova vicino al Sole, può essere visto di solito soltanto per poche ore e nelle vicinanze del Sole stesso: durante il giorno la luminosità solare lo rende difficilmente visibile. È invece molto brillante subito dopo il tramonto sull'orizzonte a ovest oppure poco prima dell'alba verso est, compatibilmente con la sua posizione. Ha l'aspetto di una stella lucentissima di colore giallo-biancastro, di gran lunga più brillante di qualsiasi altra stella nel firmamento. L'osservazione al telescopio è migliore quando non è completamente immerso nell'oscurità, ma piuttosto nelle luci del crepuscolo o in pieno giorno, in quanto il contrasto col cielo è minore e consente una migliore percezione dei deboli dettagli e delle ombreggiature dell'atmosfera; inoltre il pianeta in questi casi è più alto sull'orizzonte e la stabilità dell'immagine è migliore, in quanto meno disturbata dal riverbero dell'atmosfera terrestre. Particolarmente utile nell'osservazione telescopica di Venere è l'uso di filtri colorati per selezionare la luce a diverse lunghezze d'onda o di filtri neutri e polarizzatori per ottimizzare la quantità di luce nelle osservazioni crepuscolari, permettendo di evidenziare maggiormente le tenui caratteristiche dell'atmosfera venusiana. L'orbita del pianeta è interna a quella della Terra, quindi lo si vede muoversi alternativamente a est e a ovest del Sole. La sua elongazione (distanza angolare tra un pianeta e il Sole) può variare tra un valore massimo a ovest e un valore massimo a est, e può arrivare fino a 47°. Le variazioni della sua elongazione massima sono dovute più alla variazione della distanza tra Terra e Sole che alla forma dell'orbita di Venere e quando l'elongazione è ampia Venere può restare visibile per diverse ore. Periodicamente passa davanti o dietro al Sole entrando quindi in congiunzione: quando il passaggio avviene dietro si ha una congiunzione superiore, mentre quando avviene davanti si ha una congiunzione inferiore e la faccia illuminata del pianeta non è visibile dalla Terra in nessun momento del giorno. Il diametro angolare di Venere durante una congiunzione inferiore è di circa 66 secondi d'arco. L'eclittica sull'orizzonte è un fattore molto importante per la visibilità di Venere. Nell'emisfero boreale l'inclinazione è massima dopo il tramonto nel periodo dell'equinozio di primavera oppure prima dell'alba nel periodo dell'equinozio d'autunno. È importante anche l'angolo formato dalla sua orbita e l'eclittica: infatti Venere può avvicinarsi alla Terra fino a 40 milioni di chilometri e raggiungere un'inclinazione di circa 8° sull'eclittica con un forte effetto sulla sua visibilità. A parte il Sole, la Luna e con difficoltà Giove, Venere è l'unico corpo celeste che è visibile a occhio nudo anche di giorno, sia pure a condizione che la sua elongazione dal Sole non sia troppo piccola e che il cielo sia abbastanza terso. 

Mercurio è il pianeta più interno del sistema solare e il più vicino al Sole. È il più piccolo e la sua orbita è anche la più eccentrica, ovvero la meno circolare, degli otto pianeti. Mercurio orbita in senso diretto (in senso antiorario, come tutti gli altri pianeti del Sistema Solare) a una distanza media di 0,3871 UA dal Sole con un periodo siderale di 87,969 giorni terrestri. Mercurio è anche in risonanza orbitale-rotazionale: completa tre rotazioni intorno al proprio asse ogni due orbite attorno al Sole. L'eccentricità orbitale è abbastanza elevata e vale 0,205, ben 15 volte quella della Terra. Dalla superficie il Sole ha un diametro apparente medio di 1,4°, circa 2,8 volte quello visibile dalla Terra, e arriva a 1,8° durante il passaggio al perielio. Il rapporto fra la radiazione solare al perielio e quella all'afelio è 2,3. Per la Terra questo rapporto vale 1,07. La superficie di Mercurio sperimenta la maggiore escursione termica tra tutti i pianeti, con temperature che nelle regioni equatoriali vanno da 100 K (-173 °C) della notte a 700 K (427 °C) del dì; le regioni polari invece sono costantemente inferiori a 180 K (-93 °C). Ciò è dovuto all'assenza dell'atmosfera che se presente svolgerebbe un ruolo nella ridistribuzione del calore. La superficie fortemente craterizzata indica che Mercurio è geologicamente inattivo da miliardi di anni. Conosciuto sin dal tempo dei Sumeri, il suo nome è tratto dalla mitologia romana. Il pianeta è stato associato a Mercurio, messaggero degli dei, probabilmente a causa della sua rapidità di movimento nel cielo. Il suo simbolo astronomico è una versione stilizzata del caduceo del dio. Mercurio è il più piccolo pianeta del sistema solare in termini di dimensioni e massa. In termini di dimensioni è più piccolo anche di Titano e Ganimede, satelliti naturali di Saturno e Giove, e, a causa delle dimensioni ridotte e della sua vicinanza al Sole, l'attrazione gravitazionale del pianeta non è riuscita a trattenere un'atmosfera consistente. La sua forma è grossomodo sferica e non presenta la caratteristica forma geoidale (schiacciamento ai poli e rigonfiamento all'equatore) degli altri pianeti. Il pianeta non possiede né satelliti naturali né anelli planetari, sebbene nel 1974 poco prima del sorvolo ravvicinato della sonda Mariner 10 un'errata interpretazione di alcuni dati ricevuti lasciò immaginare la presenza di una luna di notevoli dimensioni. a densità di Mercurio, pari a 5,43 g/cm³, si discosta molto da quella lunare e, al contrario, è molto vicina a quella terrestre. Questo lascia supporre che, nonostante le somiglianze con la Luna, la struttura interna del pianeta sia più vicina a quella della Terra. Mentre l'alta densità terrestre è il risultato della forte compressione gravitazionale, Mercurio è molto più piccolo e le regioni interne non sono compresse come quelle terrestri, pertanto per avere una tale densità, si suppone che il suo nucleo debba essere relativamente grande e ricco di ferro. I geologi stimano che il nucleo di Mercurio occupi circa il 42% del suo volume, mentre per la Terra questa percentuale è del 17%. Una ricerca pubblicata nel 2007, unita alla presenza del debole campo magnetico, suggerisce che Mercurio possieda un nucleo metallico fuso elettricamente conduttore, circondato da un mantello dello spessore di 500-700 km composto da silicati. Sulla base dei dati della Mariner 10 e di osservazioni compiute dalla Terra, la crosta di Mercurio è ritenuta essere spessa 100-300 km. Una caratteristica distintiva della superficie di Mercurio è la presenza di numerose creste strette, che si estendono fino a diverse centinaia di chilometri in lunghezza. Si ritiene che queste si siano formate dal raffreddamento e dalla contrazione di nucleo e mantello, successivi alla solidificazione della crosta. Il nucleo di Mercurio ha un contenuto di ferro superiore a quella di qualsiasi altro grande pianeta del sistema solare, e diverse teorie sono state proposte per spiegare questa caratteristica. La teoria più accreditata è che in origine Mercurio avesse un rapporto metalli-silicati simile alle comuni meteoriti condriti, che costituiscono il tipico materiale roccioso presente nel sistema solare, e avesse una massa di circa 2,25 volte quella attuale. Quando il sistema solare si stava formando, Mercurio potrebbe essere stato colpito da un planetesimo di circa 1/6 della sua massa e di diverse migliaia di chilometri di diametro. L'impatto avrebbe spazzato via gran parte della crosta e del mantello presenti a quel tempo, lasciando il nucleo come componente predominante del corpo celeste. Un processo simile, noto come teoria dell'impatto gigante, è stato proposto per spiegare la formazione della Luna. Un'altra ipotesi suggerisce che Mercurio potrebbe essersi formato dalla nebulosa solare prima che la produzione di energia del Sole si stabilizzasse. In questa ipotesi Mercurio avrebbe avuto inizialmente due volte la sua massa attuale, ma dopo la contrazione del protosole, le temperature si alzarono a 2.500-3.500 K e forse anche più (10.000 K). A tali temperature gran parte delle rocce superficiali di Mercurio sarebbero vaporizzate e sarebbero state poi spazzate via dal vento solare. Una terza ipotesi propone che le perturbazioni dovute alla nebulosa solare causarono la perdita delle particelle più leggere, che non furono raccolte da Mercurio. Ciascuna ipotesi predice una diversa composizione della superficie. Una risposta conclusiva potrebbe provenire dal confronto tra i risultati delle osservazioni che saranno condotte dalla missione BepiColombo con quelli ottenuti dalla missione MESSENGER. La sonda MESSENGER ha rilevato in superficie livelli di potassio e zolfo superiori alla norma, che sembrerebbero escludere l'ipotesi dell'impatto gigante, e la conseguente vaporizzazione della crosta e del mantello. I risultati sembrerebbero dunque favorire la terza ipotesi; ad ogni modo, occorrono ulteriori studi per confermarla. Le prime fotografie della superficie si devono all'astronomo greco-francese Eugène M. Antoniadi (1870 - 1944) che all'inizio del ventesimo secolo disegnò delle mappe di questo pianeta. Similmente alla Luna, il suolo di Mercurio è ampiamente craterizzato a causa dei numerosi impatti di asteroidi che hanno contrassegnato il suo passato e presenta bacini riempiti da vecchie colate laviche, ancora evidenti a causa della mancanza quasi assoluta di un'atmosfera. Alcuni crateri sono circondati da raggi. Si esclude la presenza sul pianeta di placche tettoniche. Mercurio, come la Luna, ha subito urti con meteoriti ed è normale che i pianeti in possesso di un'atmosfera consistente risentano in misura assai minore dell'effetto degli impatti, poiché i corpi incidenti vengono fortemente erosi dall'attrito atmosferico. Inoltre l'atmosfera stessa erode lentamente la superficie del pianeta, cancellando le tracce dell'urto. Oltre all'atmosfera ci sono diversi elementi che cancellano i crateri causati da asteroidi che non sono infatti presenti su Mercurio, come il vento e l'acqua. Inoltre un numero così ampio di crateri induce a supporre che il pianeta, come la Luna, manchi da numerosi secoli di attività interna. Sulla superficie di Mercurio l'accelerazione di gravità è mediamente pari a 0,378 volte quella terrestre. A titolo di esempio si potrebbe affermare che un uomo dalla massa di 70 kg che misurasse il proprio peso su Mercurio facendo uso di una bilancia tarata sull'accelerazione di gravità terrestre registrerebbe un valore pari a circa 25,9 kg. La ridotta distanza di Mercurio dal Sole e l'assenza di un'atmosfera consistente lo rendono un pianeta con una grande escursione termica, con temperature superiori a 350 °C nella zona esposta al sole, contro i −170 °C nella parte in ombra. Inoltre, l'insolazione media della superficie mercuriana è pari a circa 6 volte e mezzo quella della Terra; la costante solare ha un valore di 9,2 kW/m².

Pianeti gassosi

Gigante gassoso (denominato anche pianeta gioviano) è un termine astronomico generico, inventato dallo scrittore di fantascienza James Blish e ormai entrato nell'uso comune[1], per descrivere un grosso pianeta che non sia composto prevalentemente da roccia. I giganti gassosi, in realtà, possono avere un nucleo roccioso, ed effettivamente si sospetta che un tale nucleo sia necessario per la loro formazione. La maggior parte della loro massa è tuttavia presente sotto forma di gas (oppure gas compresso in uno stato liquido). A differenza dei pianeti rocciosi, i giganti gassosi non hanno una superficie ben definita. Sono solitamente definiti giganti gassosi i pianeti con massa superiore alle 10 masse terrestri. Un oggetto con massa superiore a 70 volte quella di Giove (cioè 0,08 volte la massa del Sole) ha calore e pressione tali al suo interno per poter innescare una reazione di fusione nucleare, che trasforma il corpo celeste in una piccola stella. Ci sono poi oggetti di massa minore ma grandi abbastanza per poter innescare la fusione del deuterio, ma non sono considerati pianeti ma nane brune. È stato assunto un limite di 13 masse gioviane oltre il quale un corpo non è più definito pianeta ma nana bruna. Non si tratta di un limite dal preciso significato fisico ma di una convenzione adottata dall'Unione astronomica internazionale, in quanto oggetti di grandi dimensioni bruceranno la maggior parte del loro deuterio e quelli più piccoli ne bruceranno solo una piccola parte. La quantità di deuterio bruciato dipende non solo dalla massa ma anche dalla composizione del pianeta, in particolare dalla quantità di elio e deuterio presenti. L'Enciclopedia dei Pianeti Extrasolari ad esempio comprende oggetti fino a 25 masse gioviane, e la Exoplanet Data Explorer fino a 24 masse gioviane. 

Giove (dal latino Iovem, accusativo di Iuppiter) è il quinto pianeta del sistema solare in ordine di distanza dal Sole e il più grande di tutto il sistema planetario: la sua massa corrisponde a due volte e mezzo la somma di quelle di tutti gli altri pianeti messi insieme. È classificato, al pari di Saturno, Urano e Nettuno, come gigante gassoso. Giove ha una composizione simile a quella del Sole: infatti è costituito principalmente da idrogeno ed elio con piccole quantità di altri composti, quali ammoniaca, metano ed acqua. Si ritiene che il pianeta possegga una struttura pluristratificata, con un nucleo solido, presumibilmente di natura rocciosa e costituito da carbonio e silicati di ferro, sopra il quale gravano un mantello di idrogeno metallico ed una vasta copertura atmosferica che esercitano su di esso altissime pressioni. L'atmosfera esterna è caratterizzata da numerose bande e zone di tonalità variabili dal color crema al marrone, costellate da formazioni cicloniche ed anticicloniche, tra le quali spicca la Grande Macchia Rossa. La rapida rotazione del pianeta gli conferisce l'aspetto di uno sferoide schiacciato ai poli e genera un intenso campo magnetico che dà origine ad un'estesa magnetosfera; inoltre, a causa del meccanismo di Kelvin-Helmholtz, Giove (come tutti gli altri giganti gassosi) emette una quantità di energia superiore a quella che riceve dal Sole. A causa delle sue dimensioni e della composizione simile a quella solare, Giove è stato considerato per lungo tempo una "stella fallita": in realtà solamente se avesse avuto l'opportunità di accrescere la propria massa sino a 75-80 volte quella attuale il suo nucleo avrebbe ospitato le condizioni di temperatura e pressione favorevoli all'innesco delle reazioni di fusione dell'idrogeno in elio, il che avrebbe reso il sistema solare un sistema stellare binario. L'intenso campo gravitazionale di Giove influenza il sistema solare nella sua struttura perturbando le orbite degli altri pianeti e lo "ripulisce" da detriti che altrimenti rischierebbero di colpire i pianeti più interni. Intorno a Giove orbitano numerosi satelliti e un sistema di anelli scarsamente visibili; l'azione combinata dei campi gravitazionali di Giove e del Sole, inoltre, stabilizza le orbite di due gruppi di asteroidi troiani. Il pianeta, conosciuto sin dall'antichità, ha rivestito un ruolo preponderante nel credo religioso di numerose culture, tra cui i Babilonesi, i Greci e i Romani, che lo hanno identificato con il sovrano degli dei. Il simbolo astronomico del pianeta (♃) è una rappresentazione stilizzata del fulmine, principale attributo di quella divinità. Giove appare ad occhio nudo come un astro biancastro molto brillante a causa della sua elevata albedo. È il quarto oggetto più brillante nel cielo, dopo il Sole, la Luna e Venere con cui, quando quest'ultimo risulta inosservabile, si spartisce il ruolo di "stella del mattino" o "stella della sera". La sua magnitudine apparente varia, a seconda della posizione durante il suo moto di rivoluzione, da −1,6 a −2,8, mentre il suo diametro apparente varia da 29,8 a 50,1 secondi d'arco. Il periodo sinodico del pianeta è di 398,88 giorni, al termine dei quali il corpo celeste inizia una fase di moto retrogrado apparente, in cui sembra spostarsi all'indietro nel cielo notturno rispetto allo sfondo delle stelle "fisse" eseguendo una traiettoria sigmoide. Giove, nei 12 anni circa della propria rivoluzione, attraversa tutte le costellazioni dello zodiaco. Il pianeta è interessante da un punto di vista osservativo in quanto già con piccoli strumenti è possibile apprezzarne alcuni caratteristici dettagli superficiali. I periodi più propizi per osservare il pianeta corrispondono alle opposizioni e in particolare alle "grandi opposizioni", che si verificano ogni qual volta Giove transita al perielio. Queste circostanze, in cui l'astro raggiunge le dimensioni apparenti massime, consentono all'osservatore amatoriale, munito delle adeguate attrezzature, di scorgere più facilmente gran parte delle caratteristiche del pianeta. Un binocolo 10×50 o un piccolo telescopio rifrattore consentono già di osservare attorno al pianeta quattro piccoli punti luminosi, disposti lungo il prolungamento dell'equatore del pianeta: si tratta dei satelliti medicei. Poiché essi orbitano abbastanza velocemente intorno al pianeta, è possibile notarne i movimenti già tra una notte e l'altra: il più interno, Io, arriva a compiere tra una notte e la successiva quasi un'orbita completa. Un telescopio da 60 mm permette già di osservare le caratteristiche bande nuvolose e, qualora le condizioni atmosferiche siano perfette, anche la caratteristica più nota del pianeta, la Grande Macchia Rossa che però è maggiormente visibile con un telescopio di 25 cm di apertura che consente di osservare meglio le nubi e le formazioni più fini del pianeta. Per la sua caratteristica luminosità il pianeta è ben conosciuto sin dai primordi dell'umanità. Una delle prime civiltà a studiare i moti di Giove e degli altri pianeti visibili ad occhio nudo (Mercurio, Venere, Marte e Saturno) fu quella assiro-babilonese. Gli astronomi di corte dei re babilonesi riuscirono a determinare con precisione il periodo sinodico del pianeta; inoltre, si servirono del suo moto attraverso la sfera celeste per delineare le costellazioni zodiacali. La scoperta negli archivi reali di Ninive di tavolette recanti precisi resoconti di osservazioni astronomiche e il frequente rinvenimento di parti di strumentazioni a probabile destinazione astronomica, come lenti di cristallo di rocca e tubi d'oro (datati al I millennio a.C.), indussero alcuni archeoastronomi a ipotizzare che la civiltà assira fosse già in possesso di un "prototipo" di cannocchiale, con il quale si ritiene sia stato possibile osservare anche Giove. Anche i cinesi, noti per la raffinatezza delle loro tecniche astronomiche, riuscirono a ricavare in maniera precisa i periodi sinodici ed orbitali dei pianeti visibili ad occhio nudo. Nel 1980 lo storico cinese Xi Zezong ha annunciato che Gan De, astronomo contemporaneo di Shi Shen, sarebbe riuscito ad osservare almeno uno dei satelliti di Giove già nel 362 a.C. a occhio nudo, presumibilmente Ganimede, schermando la vista del pianeta con un albero o qualcosa di analogo. Bisognerà però attendere il XVII secolo prima che l'esistenza dei satelliti di Giove sia appurata da Galileo Galilei, che, nel 1610, scoprì i quattro satelliti medicei: Io, Europa, Ganimede e Callisto; fu però Simon Marius, che si attribuì la paternità della scoperta dei satelliti, alimentando in questo modo una fiera diatriba con Galileo, a conferire nel 1614 i nomi mitologici attualmente in uso a ciascuno di essi. Nell'autunno del 1639 l'ottico napoletano Francesco Fontana, diffusore del telescopio a oculare convergente (kepleriano), testando un telescopio di 22 palmi di sua produzione scoprì le caratteristiche bande dell'atmosfera del pianeta. Negli anni sessanta del XVII secolo l'astronomo Gian Domenico Cassini, scoprì la presenza di macchie sulla superficie di Giove e che il pianeta stesso ha la forma di uno sferoide oblato. L'astronomo riuscì poi a determinarne il periodo di rotazione, e nel 1690 scoprì che l'atmosfera è soggetta a una rotazione differenziale; egli è inoltre accreditato come lo scopritore, assieme, ma indipendentemente, a Robert Hooke, della Grande Macchia Rossa. Lo stesso Cassini, assieme a Giovanni Alfonso Borelli, stese precise relazioni sul movimento dei quattro satelliti galileiani, formulando dei modelli matematici che consentissero di prevederne le posizioni. Tuttavia nel trentennio 1670-1700, si osservò che, quando Giove si trova in un punto dell'orbita prossimo alla congiunzione col Sole, si registra nel transito dei satelliti un ritardo di circa 17 minuti rispetto al previsto. L'astronomo danese Ole Rømer ipotizzò che la visione di Giove non fosse istantanea (conclusione che Cassini aveva precedentemente respinto) e che dunque la luce avesse una velocità finita (indicata con c). Dopo due secoli privi di significative scoperte, il farmacista Heinrich Schwabe disegnò la prima carta completa di Giove, comprendente anche la Grande Macchia Rossa, e la pubblicò nel 1831. Le osservazioni della tempesta hanno permesso di registrare dei momenti in cui essa appariva più debole (come tra il 1665 e il 1708, nel 1883 ed all'inizio del XX secolo), ed altri in cui appariva rinforzata, tanto da risultare molto ben evidente all'osservazione telescopica (come nel 1878). Nel 1892 Edward Emerson Barnard scoprì, grazie al telescopio rifrattore da 910 mm dell'Osservatorio Lick, la presenza attorno al pianeta di un quinto satellite, battezzato Amaltea. Nel 1932 Rupert Wildt identificò, analizzando lo spettro del pianeta, delle bande di assorbimento proprie dell'ammoniaca e del metano. Sei anni dopo furono osservate, a sud della Grande Macchia Rossa, tre tempeste anticicloniche che apparivano come dei particolari ovali biancastri. Per diversi decenni le tre tempeste sono rimaste delle entità distinte, non riuscendo mai a fondersi pur avvicinandosi periodicamente; tuttavia, nel 1998, due di questi ovali si sono fusi, assorbendo infine anche il terzo nel 2000 e dando origine a quella tempesta che oggi è nota come Ovale BA. Nel 1955 Bernard Burke e Kenneth Franklin individuarono dei lampi radio provenienti da Giove alla frequenza di 22,2 MHz; si trattava della prima prova dell'esistenza della magnetosfera gioviana. La conferma giunse quattro anni dopo, quando Frank Drake ed Hein Hvatum scoprirono le emissioni radio decimetriche. Nel periodo compreso tra il 16 e il 22 luglio 1994 oltre 20 frammenti provenienti dalla cometa Shoemaker-Levy 9 collisero con Giove in corrispondenza del suo emisfero australe; fu la prima osservazione diretta della collisione tra due oggetti del sistema solare. L'impatto permise di ottenere importanti dati sulla composizione dell'atmosfera gioviana. Sin dal 1973 numerose sonde automatiche hanno visitato il pianeta, sia come obiettivo di studio, sia come tappa intermedia, per sfruttarne il potente effetto fionda per ridurre la durata del volo verso le regioni più esterne del sistema solare. I viaggi interplanetari richiedono un grande dispendio energetico, impiegato per provocare una netta variazione della velocità della sonda nota come delta-v (Δv). Il raggiungimento di Giove dalla Terra richiede un Δv di 9,2 km/s, confrontabile con il Δv di 9,7 km/s necessario per raggiungere l'orbita terrestre bassa. L'effetto fionda consente di modificare la velocità del veicolo senza consumare combustibile. Dal 1973 diverse sonde hanno compiuto sorvoli ravvicinati (fly-by) del pianeta. La prima fu la Pioneer 10, che eseguì un fly-by di Giove nel dicembre del 1973, seguita dalla Pioneer 11 un anno più tardi. Le due sonde ottennero le prime immagini ravvicinate dell'atmosfera, delle nubi gioviane e di alcuni suoi satelliti, la prima misura precisa del suo campo magnetico; scoprirono inoltre che la quantità di radiazioni in prossimità del pianeta era assai superiore a quella attesa. Le traiettorie delle sonde furono utilizzate per raffinare la stima della massa del sistema gioviano, mentre l'occultazione delle sonde dietro il disco del pianeta migliorò le stime del valore del diametro equatoriale e dello schiacciamento polare. Sei anni dopo fu la volta delle missioni Voyager (1 e 2). Le due sonde migliorarono enormemente la comprensione di alcune dinamiche dei satelliti galileiani e dell'atmosfera di Giove, tra cui la conferma della natura anticiclonica della Grande Macchia Rossa e l'individuazione di lampi e formazioni temporalesche; le sonde permisero inoltre di scoprire gli anelli di Giove e otto satelliti naturali, che si andarono ad aggiungere ai cinque già noti. Le Voyager rintracciarono la presenza di un toroide di plasma ed atomi ionizzati in corrispondenza dell'orbita di Io, sulla cui superficie furono scoperti numerosi edifici vulcanici, alcuni dei quali nell'atto di eruttare. Nel febbraio del 1992 raggiunse Giove la sonda solare Ulysses, che sorvolò il pianeta ad una distanza minima di 450 000 km (6,3 raggi gioviani). Il fly-by fu programmato per raggiungere un'orbita polare attorno al Sole, ma fu sfruttato per condurre studi sulla magnetosfera di Giove. La sonda non aveva telecamere e non fu ripresa alcuna immagine. Nel 2000 la sonda Cassini, durante la sua rotta verso Saturno, sorvolò Giove e fornì alcune delle immagini più dettagliate mai scattate del pianeta. Sette anni dopo, Giove fu raggiunto dalla sonda New Horizons, diretta verso Plutone e la fascia di Kuiper. Nell'attraversamento del sistema di Giove, la sonda misurò l'energia del plasma emesso dai vulcani di Io e studiò brevemente ma in dettaglio i quattro satelliti medicei, conducendo anche indagini a distanza dei satelliti più esterni Imalia ed Elara. La prima sonda progettata per lo studio del pianeta è stata la Galileo, entrata in orbita attorno a Giove il 7 dicembre del 1995 e rimastavi oltre 7 anni, compiendo sorvoli ravvicinati di tutti i satelliti galileiani e di Amaltea. Nel 1994, mentre giungeva verso il pianeta gigante, la sonda ha registrato l'impatto della cometa Shoemaker-Levy 9. Nel luglio del 1995 è stato sganciato dalla sonda madre un piccolo modulo-sonda, entrato nell'atmosfera del pianeta il 7 dicembre; il modulo ha raccolto dati per 75 minuti, penetrando per 159 km prima di essere distrutto dalle alte pressioni e temperature dell'atmosfera inferiore (circa 28 atmosfere - ~2,8×106 Pa, e 185 °C (458 K). La stessa sorte è toccata alla sonda madre quando, il 21 settembre 2003, fu deliberatamente spinta verso il pianeta a una velocità di oltre 50 km/s, per evitare qualsiasi possibilità che in futuro potesse collidere con il satellite Europa e contaminarlo. La NASA ha progettato una sonda per lo studio di Giove da un'orbita polare; battezzata Juno, fu lanciata nell'agosto 2011 ed è arrivata nei pressi del pianeta a luglio 2016. Juno ha scoperto 8 vortici uguali al polo nord disposti ai vertici di un'ottagono (l'ottagono di Giove), con al centro un nono vortice, e 5 vortici uguali al polo sud disposti come i vertici di un pentagono con al centro un sesto vortice. In un passaggio successivo nel novembre 2019, la scoperta di un nuovo vortice ha mostrato una nuova forma della disposizione degli stessi, che diversamente da quello precedente che era un pentagono ha assunto la forma di un esagono, similmente all'esagono di Saturno. Osserviamo la possibilità di missioni future. La possibile presenza di un oceano di acqua liquida sui satelliti Europa, Ganimede e Callisto ha portato ad un crescente interesse per uno studio ravvicinato dei satelliti ghiacciati del sistema solare esterno. L'ESA ha studiato una missione per lo studio di Europa denominata Jovian Europa Orbiter (JEO); il progetto della missione è stato però implementato da quello della Europa Jupiter System Mission (EJSM), frutto della collaborazione con la NASA e studiato per l'esplorazione di Giove e dei satelliti, il cui lancio è previsto attorno al 2020. La EJSM è costituita da due unità, la Jupiter Europa Orbiter, gestita e sviluppata dalla NASA, e la Jupiter Ganymede Orbiter, gestita dall'ESA. Giove orbita ad una distanza media dal Sole di 778,33 milioni di chilometri (5,202 au) e completa la sua rivoluzione attorno alla stella ogni 11,86 anni; questo periodo corrisponde esattamente ai due quinti del periodo orbitale di Saturno, con cui si trova dunque in una risonanza di 5:2. L'orbita di Giove è inclinata di 1,31º rispetto al piano dell'eclittica; per via della sua eccentricità pari a 0,048, la distanza tra il pianeta e il Sole varia di circa 75 milioni di chilometri tra i due apsidi, il perielio (740 742 598 km) e l'afelio (816 081 455 km). La velocità orbitale media di Giove è di 13 056 m/s (47 001 km/h), mentre la circonferenza orbitale misura complessivamente 4 774 000 000 km. L'inclinazione dell'asse di rotazione è relativamente piccola, solamente 3,13º, e precede ogni 12 000 anni; di conseguenza, il pianeta non sperimenta significative variazioni stagionali, contrariamente a quanto accade sulla Terra e su Marte. Poiché Giove non è un corpo solido, la sua atmosfera superiore è soggetta ad una rotazione differenziale: infatti, la rotazione delle regioni polari del pianeta è più lunga di circa 5 minuti rispetto a quella all'equatore. Sono stati adottati tre sistemi di riferimento per monitorare la rotazione delle strutture atmosferiche permanenti. Il sistema I si applica alle latitudini comprese tra 10º N e 10º S; il suo periodo di rotazione è il più breve del pianeta, pari a 9 h 50 min 30,0 s. Il sistema II si applica a tutte le latitudini a nord e a sud di quelle del sistema I; il suo periodo è pari a 9 h 55 min 40,6 s. Il sistema III fu originariamente definito tramite osservazioni radio e corrisponde alla rotazione della magnetosfera del pianeta; la sua durata è presa come il periodo di rotazione "ufficiale" del pianeta (9 h 55 min 29,685 s); Giove quindi presenta la rotazione più rapida di tutti i pianeti del sistema solare. L'alta velocità di rotazione è all'origine di un marcato rigonfiamento equatoriale, facilmente visibile anche tramite un telescopio amatoriale; questo rigonfiamento è causato dall'alta accelerazione centripeta all'equatore, pari a circa 1,67 m/s², che, combinata con l'accelerazione di gravità media del pianeta (24,79 m/s²), dà un'accelerazione risultante pari a 23,12 m/s²: di conseguenza, un ipotetico oggetto posto all'equatore del pianeta peserebbe meno rispetto ad un corpo di identica massa posto alle medie latitudini. Queste caratteristiche conferiscono quindi al pianeta l'aspetto di uno sferoide oblato, il cui diametro equatoriale è maggiore rispetto al diametro polare: il diametro misurato all'equatore supera infatti di 9275 km il diametro misurato ai poli. Dopo la formazione del Sole, avvenuta circa 4,6 miliardi di anni fa, il materiale residuato dal processo, ricco in polveri metalliche, si è disposto in un disco circumstellare da cui hanno avuto origine dapprima i planetesimi, quindi, per aggregazione di questi ultimi, i protopianeti. La formazione di Giove ha avuto inizio a partire dalla coalescenza di planetesimi di natura ghiacciata poco al di là della cosiddetta frost line, una linea oltre la quale si addensarono i planetesimi costituiti in prevalenza da materiale a basso punto di fusione;[91] la frost line ha agito da barriera, provocando un rapido accumulo di materia a circa 5 au dal Sole. L'embrione planetario così formato, di massa pari ad almeno 10 masse terrestri (M⊕), ha iniziato ad accrescere materia gassosa a partire dall'idrogeno e dall'elio avanzati dalla formazione del Sole e confinati nelle regioni periferiche del sistema dal vento della stella neoformata. Il tasso di accrescimento dei planetesimi, inizialmente più intenso di quello dei gas, proseguì sino a quando il numero di planetesimi nella fascia orbitale del proto-Giove non andò incontro a una netta diminuzione; a questo punto il tasso di accrescimento dei planetesimi e quello dei gas dapprima raggiunsero valori simili, quindi quest'ultimo iniziò a predominare sul primo, favorito dalla rapida contrazione dell'involucro gassoso in accrescimento e dalla rapida espansione del confine esterno del sistema, proporzionale all'incremento della massa dal pianeta. Il proto-Giove cresce a ritmo serrato sottraendo idrogeno dalla nebulosa solare e raggiungendo in circa mille anni le 150 M⊕ e, dopo qualche migliaio di anni, le definitive 318 M⊕. Il processo di accrescimento del pianeta è stato mediato dalla formazione di un disco circumplanetario all'interno del disco circumsolare; terminato il processo di accrescimento per esaurimento dei materiali volatili, ormai andati a costituire il pianeta, i materiali residui, in prevalenza rocciosi, sono andati a costituire il sistema di satelliti del pianeta, che si è infoltito a seguito della cattura, da parte della grande forza di gravità di Giove, di numerosi altri corpi minori. Conclusa la sua formazione, il pianeta ha subito un processo di migrazione orbitale: il pianeta infatti si sarebbe formato a circa 5,65 UA, circa 0,45 UA (70 milioni di chilometri) più esternamente rispetto ad oggi, e nei 100 000 anni successivi, a causa della perdita del momento angolare dovuta all'attrito con il debole disco di polveri residuato dalla formazione della stella e dei pianeti, sarebbe man mano scivolato verso l'attuale orbita, stabilizzandosi ed entrando in risonanza 5:2 con Saturno. Durante questa fase Giove avrebbe catturato i suoi asteroidi troiani, originariamente oggetti della fascia principale o della fascia di Kuiper destabilizzati dalle loro orbite originarie e vincolati in corrispondenza dei punti lagrangiani L4 ed L5. L'atmosfera superiore di Giove è composta in volume da un 88-92% di idrogeno molecolare e da un 8-12% di elio. Queste percentuali cambiano se si tiene in considerazione la proporzione delle masse dei singoli elementi e composti, dal momento che l'atomo di elio è circa quattro volte più massiccio dell'atomo di idrogeno; l'atmosfera gioviana è quindi costituita da un 75% in massa di idrogeno e da un 24% di elio, mentre il restante 1% è costituito da altri elementi e composti presenti in quantità molto più esigue. La composizione varia leggermente man mano che si procede verso le regioni interne del pianeta, date le alte densità in gioco; alla base dell'atmosfera si ha quindi un 71% in massa di idrogeno, un 24% di elio e il restante 5% di elementi più pesanti e composti: vapore acqueo, ammoniaca, composti del silicio, carbonio e idrocarburi (soprattutto metano ed etano), acido solfidrico, neon, ossigeno, fosforo e zolfo. Nelle regioni più esterne dell'atmosfera sono inoltre presenti dei consistenti strati di cristalli di ammoniaca solida. Le proporzioni atmosferiche di idrogeno ed elio sono molto vicine a quelle riscontrate nel Sole e teoricamente predette per la nebulosa solare primordiale; tuttavia le abbondanze dell'ossigeno, dell'azoto, dello zolfo e dei gas nobili sono superiori di un fattore tre rispetto ai valori misurati nel Sole; invece la quantità di neon nell'alta atmosfera è pari in massa solamente a 20 parti per milione, circa un decimo rispetto alla sua quantità nella stella. Anche la quantità di elio appare decisamente inferiore, presumibilmente a causa di precipitazioni che, secondo le simulazioni, interessano una porzione abbastanza profonda dell'atmosfera gioviana in cui il gas condensa in goccioline anziché mescolarsi in modo omogeneo con l'idrogeno. Le quantità dei gas nobili di peso atomico maggiore (argon, kripton, xeno, radon) sono circa due o tre volte quelle della nostra stella. La struttura interna del pianeta è oggetto di studi da parte degli astrofisici e dei planetologi; si ritiene che il pianeta sia costituito da più strati, ciascuno con caratteristiche chimico-fisiche ben precise. Partendo dall'interno verso l'esterno si incontrano, in sequenza: un nucleo, un mantello di idrogeno metallico liquido, uno strato di idrogeno molecolare liquido, elio ed altri elementi, ed una turbolenta atmosfera. Secondo i modelli astrofisici più moderni e ormai accettati da tutta la comunità scientifica, Giove non possiede una crosta solida; il gas atmosferico diventa sempre più denso procedendo verso l'interno e gradualmente si converte in liquido, al quale si aggiunge una piccola percentuale di elio, ammoniaca, metano, zolfo, acido solfidrico ed altri composti in percentuale minore. La temperatura e la pressione all'interno di Giove aumentano costantemente man mano che si procede verso il nucleo. Al nucleo del pianeta è spesso attribuita una natura rocciosa, ma la sua composizione dettagliata, così come le proprietà dei materiali che lo costituiscono e le temperature e le pressioni cui sono soggetti, e persino la sua stessa esistenza, sono ancora in gran parte oggetto di speculazione. Secondo i modelli, il nucleo, con una massa stimata in 14-18 M⊕, sarebbe costituito in prevalenza da carbonio e silicati, con temperature stimate sui 36 000 K e pressioni dell'ordine dei 4500 gigapascal (GPa). La regione nucleare è circondata da un denso mantello di idrogeno liquido metallico, che si estende sino al 78% (circa i 2/3) del raggio del pianeta ed è sottoposto a temperature dell'ordine dei 10 000 K e pressioni dell'ordine dei 200 GPa. Al di sopra di esso si trova un cospicuo strato di idrogeno liquido e gassoso, che si estende sino a 1000 km dalla superficie e si fonde con le parti più interne dell'atmosfera del pianeta. L'atmosfera di Giove è la più estesa atmosfera planetaria del sistema solare; manca di un netto confine inferiore, ma gradualmente transisce negli strati interni del pianeta. Dal più basso al più alto, gli stati dell'atmosfera sono: troposfera, stratosfera, termosfera ed esosfera; ogni strato è caratterizzato da un gradiente di temperatura specifico. Al confine tra la troposfera e la stratosfera, ovvero la tropopausa, è collocato un sistema complicato di nubi e foschie costituito da stratificazioni di ammoniaca, idrosolfuro di ammonio ed acqua. La copertura nuvolosa di Giove è spessa circa 50 km e consiste almeno di due strati di nubi di ammoniaca: uno strato inferiore piuttosto denso ed una regione superiore più rarefatta. I sistemi nuvolosi sono organizzati in fasce orizzontali lungo le diverse latitudini. Si suddividono in zone, di tonalità chiara, e bande, le quali appaiono scure per via della presenza su di esse di una minore copertura nuvolosa rispetto alle zone. La loro interazione dà luogo a violente tempeste, i cui venti raggiungono, come nel caso delle correnti a getto delle zone, velocità superiori ai 100-120 m/s (360-400 km/h). Le osservazioni del pianeta hanno mostrato che tali formazioni variano nel tempo in spessore, colore e attività, ma mantengono comunque una certa stabilità, in virtù della quale gli astronomi le considerano delle strutture permanenti e hanno deciso di assegnare loro una nomenclatura. Le bande sono inoltre occasionalmente interessate da fenomeni, noti come disturbi, che ne frammentano il decorso; uno di questi fenomeni interessa a intervalli irregolari di 3-15 anni la banda equatoriale meridionale (South Equatorial Belt, SEB), la quale improvvisamente "scompare", dal momento che vira sul colore bianco rendendosi indistinguibile dalle chiare zone circostanti, per poi tornare otticamente individuabile nel giro di alcune settimane o mesi. La causa dei disturbi è attribuita alla momentanea sovrapposizione con le bande interessate di alcuni strati nuvolosi posti ad una quota maggiore. La caratteristica colorazione marrone-arancio delle nubi gioviane è causata da composti chimici complessi, noti come cromofori, che emettono luce in questo colore quando sono esposti alla radiazione ultravioletta solare. L'esatta composizione di queste sostanze rimane incerta, ma si ritiene che vi siano discrete quantità di fosforo, zolfo ed idrocarburi complessi; questi composti colorati si mescolano con lo strato di nubi più profondo e più caldo. Il caratteristico bandeggio si forma a causa della convezione atmosferica: nelle zone si ha l'emergere in superficie delle celle convettive dell'atmosfera inferiore, che determina la cristallizzazione dell'ammoniaca che di conseguenza cela alla vista gli strati immediatamente sottostanti; nelle bande invece il movimento convettivo è discendente ed avviene in regioni a temperatura più alte.È stata ipotizzata la presenza di un sottile strato di vapore acqueo al di sotto delle nubi di ammoniaca, come dimostrerebbero i fulmini registrati dalla sonda Galileo, che raggiungono intensità anche decine di migliaia di volte superiori a quelle dei fulmini terrestri: la molecola dell'acqua, essendo polare, è infatti capace di assumere una parziale carica in grado di creare la differenza di potenziale necessaria per generare la scarica. Le nubi d'acqua, grazie all'apporto del calore interno del pianeta, possono quindi formare dei complessi temporaleschi simili a quelli terrestri. I fulmini gioviani, in precedenza studiati visivamente o in onde radio dalle sonde Voyager 1 e 2, Galileo, Cassini, sono stati oggetto di analisi approfondite dalla sonda Juno in un ampio spettro di frequenze e a quote molto inferiori. Tali studi hanno evidenziato un'attività temporalesca ben diversa da quella terrestre: su Giove l'attività è più concentrata vicino ai poli e quasi assente in prossimità dell'equatore. Questo è dovuto alla maggiore instabilità atmosferica presente ai poli gioviani che, pur essendo meno calda dell'area equatoriale, consente ai gas caldi provenienti dall'interno del pianeta di salire in quota favorendo la convezione. Giove, in virtù della sua seppur bassa inclinazione assiale, espone i propri poli a una radiazione solare inferiore, anche se di poco, rispetto a quella delle regioni equatoriali; la convezione all'interno del pianeta trasporta tuttavia più energia ai poli, bilanciando le temperature degli strati nuvolosi alle diverse latitudini. L'atmosfera di Giove ospita centinaia di vortici, strutture rotanti circolari che, come nell'atmosfera della Terra, possono essere divisi in due classi: cicloni ed anticicloni; i primi ruotano nel verso di rotazione del pianeta (antiorario nell'emisfero settentrionale ed orario in quello meridionale), mentre i secondi nel verso opposto. Una delle principali differenze con l'atmosfera terrestre è che su Giove gli anticicloni dominano numericamente sui cicloni, dal momento che il 90% dei vortici con un diametro superiore ai 2000 km sono anticicloni. La durata dei vortici varia da diversi giorni a centinaia di anni in base alle dimensioni: per esempio, la durata media di anticicloni con diametri compresi tra i 1000 ed i 6000 km è di 1-3 anni. Non sono mai stati osservati vortici nella regione equatoriale di Giove (entro i 10° di latitudine), in quanto la circolazione atmosferica di tale regione li renderebbe instabili. Come accade su ogni pianeta rapidamente rotante, gli anticicloni su Giove sono centri di alta pressione, mentre i cicloni lo sono di bassa pressione. Il vortice sicuramente più noto è la Grande Macchia Rossa (GRS, dall'inglese Great Red Spot), una vasta tempesta anticiclonica posta 22º a sud dell'equatore del pianeta. La formazione presenta un aspetto ovale e ruota in senso antiorario con un periodo di circa sei giorni. Le sue dimensioni, variabili, sono 24-40 000 km × 12-14 000 km: è quindi abbastanza grande da essere visibile già con telescopi amatoriali. Si tratta di una struttura svincolata da altre formazioni più profonde dell'atmosfera planetaria: le indagini infrarosse hanno mostrato che la tempesta è più fredda rispetto alle zone circostanti, segno che si trova più in alto rispetto ad esse: lo strato più alto di nubi della GRS infatti svetta di circa 8 km sugli strati circostanti. Anche prima che le sonde Voyager dimostrassero che si trattava di una tempesta, vi era già una forte evidenza che la Macchia fosse una struttura a sé stante, come d'altronde appariva dalla sua rotazione lungo il pianeta tutto sommato indipendente dal resto dell'atmosfera. Le correnti elettriche all'interno del mantello di idrogeno metallico generano un campo magnetico dipolare, inclinato di 10º rispetto all'asse di rotazione del pianeta. Il campo raggiunge un'intensità variabile tra 0,42 millitesla - mT - all'equatore e 1,3 mT ai poli, che lo rende il più intenso campo magnetico del sistema solare (con l'eccezione di quello nelle macchie solari), 14 volte superiore al campo geomagnetico. Il campo magnetico di Giove preserva la sua atmosfera dalle interazioni col vento solare deflettendolo e creando una regione appiattita, la magnetosfera, costituita da un plasma di composizione molto differente da quello del vento solare. La magnetosfera gioviana è la più grande e potente fra tutte le magnetosfere dei pianeti del sistema solare, nonché la struttura più grande del sistema non appartenente al Sole: si estende nel sistema solare esterno per molte volte il raggio di Giove (RJ) e raggiunge un'ampiezza massima che può superare l'orbita di Saturno. La magnetosfera di Giove è convenzionalmente divisa in tre parti: la magnetosfera interna, intermedia ed esterna. La magnetosfera interna è situata ad una distanza inferiore a 10 raggi gioviani (RJ) dal pianeta; il campo magnetico al suo interno rimane sostanzialmente dipolare, poiché ogni contributo proveniente dalle correnti che fluiscono dal plasma magnetosferico equatoriale risulta piccolo. Nelle regioni intermedie (tra 10 e 40 RJ) ed esterne (oltre 40 RJ) il campo magnetico non è più dipolare e risulta seriamente disturbato dalle sue interazioni col plasma solare. Le eruzioni che avvengono sul satellite galileiano Io contribuiscono ad alimentare la magnetosfera gioviana generando un importante toroide di plasma, che carica e rafforza il campo magnetico formando la struttura denominata magnetodisk. Le forti correnti che circolano nella regione interna della magnetosfera danno origine ad intense fasce di radiazione, simili alle fasce di van Allen terrestri, ma migliaia di volte più potenti. Queste forze generano delle aurore perenni attorno ai poli del pianeta ed intense emissioni radio. L'interazione delle particelle energetiche con la superficie delle lune galileiane maggiori influenza notevolmente le loro proprietà chimiche e fisiche, ed entrambi influenzano e sono influenzati dal particolare moto del sottile sistema di anelli del pianeta. Ad una distanza media di 75 RJ (compresa tra circa 45 e 100 RJ a seconda del periodo del ciclo solare) dalla sommità delle nubi del pianeta è presente una lacuna tra il plasma del vento solare e il plasma magnetosferico, che prende il nome di magnetopausa. Al di là di essa, ad una distanza media di 84 RJ dal pianeta, si trova il bow shock, il punto in cui il flusso del vento viene deflesso dal campo magnetico. Giove possiede un debole sistema di anelli planetari, il terzo ad esser stato scoperto nel sistema solare, dopo quello di Saturno e quello di Urano. Fu osservato per la prima volta nel 1979 dalla sonda Voyager 1, ma fu analizzato più approfonditamente negli anni novanta dalla sonda Galileo e, a seguire, dal telescopio spaziale Hubble e dai più grandi telescopi di Terra. Il sistema di anelli consiste principalmente di polveri, presumibilmente silicati. È suddiviso in quattro parti principali: un denso toro di particelle noto come anello di alone; una fascia relativamente brillante, ma eccezionalmente sottile nota come anello principale; due deboli fasce più esterne, detti anelli Gossamer (letteralmente garza), che prendono il nome dai satelliti il cui materiale superficiale ha dato origine a questi anelli: Amaltea (anello Gossamer di Amaltea) e Tebe (anello Gossamer di Tebe). L'anello principale e l'anello di alone sono costituiti da polveri originarie dei satelliti Metis e Adrastea ed espulse nello spazio in seguito a violenti impatti meteorici. Le immagini ottenute nel febbraio e nel marzo 2007 dalla missione New Horizons hanno mostrato inoltre che l'anello principale possiede una ricca struttura molto fine. All'osservazione nel visibile e nell'infrarosso vicino gli anelli hanno un colore tendente al rosso, eccezion fatta per l'anello di alone, che appare di un colore neutro o comunque tendente al blu. Le dimensioni delle polveri che compongono il sistema sono variabili, ma è stata riscontrata una netta prevalenza di polveri di raggio pari a circa 15 μm in tutti gli anelli tranne in quello di alone, probabilmente dominato da polveri di dimensioni nanometriche. La massa totale del sistema di anelli è scarsamente conosciuta, ma è probabilmente compresa tra 1011 e 1016 kg. L'età del sistema è sconosciuta, ma si ritiene che esista sin dalla formazione del pianeta madre. Oltre al sistema di satelliti, il campo gravitazionale di Giove controlla numerosi asteroidi, detti asteroidi troiani, che sono vincolati in corrispondenza di alcuni punti di equilibrio del sistema gravitazionale Sole-Giove, i punti di Lagrange, in cui l'attrazione complessiva è nulla. In particolare, il maggiore addensamento di asteroidi si ha in corrispondenza dei punti L4 ed L5 (che, rispettivamente, precede e segue di 60º Giove nel suo tragitto orbitale), poiché il triangolo di forze con vertici Giove-Sole-L4 oppure Giove-Sole-L5 permette ad essi di avere un'orbita stabile. Gli asteroidi troiani si distribuiscono in due regioni oblunghe e curve attorno ai punti lagrangiani, e possiedono orbite attorno al Sole con semiasse maggiore medio di circa 5,2 au. Il primo asteroide troiano, 588 Achilles, fu scoperto nel 1906 da Max Wolf;[180] attualmente se ne conoscono oltre 4000, ma si ritiene che il numero di troiani più grandi di 1 km sia dell'ordine del milione, vicino a quello calcolato per gli asteroidi più grandi di 1 km nella fascia principale. Come nella maggior parte delle cinture asteroidali, i troiani si raggruppano in famiglie. I troiani di Giove sono degli oggetti oscuri con spettri tendenti al rosso e privi di formazioni, che non rivelano la presenza certa di acqua o composti organici. I nomi degli asteroidi troiani di Giove derivano da quelli degli eroi che, secondo la mitologia greca, presero parte alla Guerra di Troia; i troiani di Giove si dividono in due gruppi principali: il campo greco (o gruppo di Achille), posto sul punto L4, in cui gli asteroidi hanno i nomi degli eroi greci, e il campo troiano (o gruppo di Patroclo), sul punto L5, i cui asteroidi hanno il nome degli eroi troiani. Tuttavia, alcuni asteroidi non seguono questo schema: 617 Patroclus e 624 Hektor vennero denominati prima che venisse scelto di operare questa divisione; di conseguenza, un eroe greco appare nel campo troiano e un eroe troiano si trova nel campo greco. Nel 1953 il neolaureato Stanley Miller e il suo professore Harold Urey realizzarono un esperimento che provò che molecole organiche si sarebbero potute formare spontaneamente sulla Terra primordiale a partire da precursori inorganici. In quello che è passato alla storia come l'"esperimento di Miller-Urey" si fece uso di una soluzione gassosa altamente riducente, contenente metano, ammoniaca, idrogeno e vapore acqueo, per formare, sotto l'esposizione di una scarica elettrica continua (che simulava i frequenti fulmini che dovevano squarciare i cieli della Terra primitiva), sostanze organiche complesse e alcuni monomeri di macromolecole fondamentali per la vita, come gli amminoacidi delle proteine. Poiché la composizione dell'atmosfera di Giove ricalca quella che doveva essere la composizione dell'atmosfera terrestre primordiale e al suo interno avvengono con una certa frequenza intensi fenomeni elettrici, lo stesso esperimento è stato replicato per verificarne le potenzialità nel generare le molecole che stanno alla base della vita. Tuttavia, la forte circolazione verticale dell'atmosfera gioviana porterebbe via gli eventuali composti che si verrebbero a produrre nelle zone basse dell'atmosfera del pianeta; inoltre, le elevate temperature di queste regioni provocherebbero la decomposizione di queste molecole, impedendo in tal modo la formazione della vita così come la conosciamo. Per queste ragioni, si ritiene altamente improbabile che su Giove vi possa essere vita simile a quella terrestre, anche in forme molto semplici come i procarioti, per via degli scarsi quantitativi d'acqua, per l'assenza di una superficie solida e per le altissime pressioni che si riscontrano nelle aree interne. Tuttavia nel 1976, prima delle missioni Voyager, si ipotizzava che nelle regioni più alte dell'atmosfera gioviana potessero evolversi delle forme di vita basate sull'ammoniaca e su altri composti dell'azoto; la congettura è stata formulata prendendo spunto dall'ecologia dei mari terrestri, in cui, a ridosso della superficie, si addensano semplici organismi fotosintetici, come il fitoplancton, subito al di sotto dei quali si trovano i pesci che si cibano di essi, e più in profondità i predatori marini che si nutrono dei pesci. I tre ipotetici equivalenti di questi organismi su Giove sono stati definiti da Sagan e Salpeter rispettivamente "galleggiatori", "sprofondatori" e "cacciatori" (in lingua inglese, floaters, sinkers e hunters), e sono stati immaginati come delle creature simili a bolle di dimensioni gigantesche che si muovono per propulsione, espellendo l'elio atmosferico. I dati forniti dalle due Voyager nel 1979 hanno confermato la non idoneità del gigante gassoso a supportare eventuali forme di vita. 

Saturno è il sesto pianeta del sistema solare in ordine di distanza dal Sole e il secondo pianeta più massiccio dopo Giove. Con un raggio medio 9,5 volte quello della Terra e una massa 95 volte superiore a quella terrestre Saturno, con Giove, Urano e Nettuno, è classificato come gigante gassoso. Il nome deriva dall'omonimo dio della mitologia romana, omologo del titano greco Crono. Il suo simbolo astronomico (♄) è una rappresentazione stilizzata della falce del dio dell'agricoltura e dello scorrere del tempo (in greco, Κρόνος). Saturno è composto per il 95% da idrogeno e per il 3% da elio a cui seguono gli altri elementi. Il nucleo, consistente in silicati e ghiacci, è circondato da uno spesso strato di idrogeno metallico e quindi da uno strato esterno gassoso. I venti nell'atmosfera di Saturno possono raggiungere i 1800 km/h, risultando significativamente più veloci di quelli su Giove e leggermente meno veloci di quelli che spirano nell'atmosfera di Nettuno. Saturno ha un esteso e vistoso sistema di anelli che consistono principalmente in particelle di ghiaccio e polveri di silicati. Con le sue 82 lune conosciute, Saturno detiene il primato per il maggior numero di satelliti del sistema solare. Tra queste, Titano è la maggiore ed anche l'unica luna del sistema solare ad avere un'atmosfera significativa. Il momento migliore per osservare Saturno e i suoi anelli è l'opposizione, quando l'elongazione del pianeta è di 180º e Saturno si trova quindi nella parte di cielo opposta al Sole. Saturno appare a occhio nudo nel cielo notturno come un luminoso puntino grigio-giallastro con una magnitudine apparente che solitamente oscilla tra 1 e 0. Il suo diametro è troppo piccolo per poterlo percepire e a occhio nudo il pianeta appare sempre come un punto quindi è necessario un telescopio o un binocolo con almeno 30 ingrandimenti per potere distinguere il disco del pianeta e gli anelli. Saturno ha un periodo di rivoluzione di 29,5 anni e circa ogni 15 anni, quando si trova in determinati punti della sua orbita, gli anelli scompaiono brevemente dalla vista poiché vengono a trovarsi perfettamente di taglio visti dalla Terra. Oltre che dalla distanza dalla Terra la luminosità di Saturno dipende anche dalla posizione degli anelli: se sono orientati in modo favorevole, come avvenne ad esempio nel 2002, sono maggiormente visibili e contribuiscono ad aumentare sensibilmente la luminosità apparente di Saturno. Talvolta Saturno, come altri corpi del sistema solare che giacciono nei pressi dell'eclittica, è occultato dalla Luna. Nel caso di Saturno il fenomeno ha luogo con determinati cicli: a un periodo di dodici mesi, durante i quali il pianeta viene occultato dodici volte dalla Luna, segue un periodo di circa cinque anni, durante il quale non si verificano occultazioni. Questo succede perché l'orbita della Luna intorno alla Terra è inclinata rispetto all'orbita della Terra attorno al Sole, e solo quando Saturno si trova in corrispondenza del punto dove l'orbita della Luna attraversa il "piano dell'eclittica" avvengono le occultazioni. Saturno è il penultimo dei pianeti visibili a occhio nudo ed era conosciuto sin dall'antichità. Gli astronomi babilonesi osservavano e registravano regolarmente i movimenti del pianeta. Nell'antica mitologia romana il dio Saturno, da cui il pianeta prende il nome, era il dio dell'agricoltura ed era considerato l'equivalente del titano greco Crono. Lo scienziato greco Tolomeo basò i suoi calcoli dell'orbita di Saturno su osservazioni fatte mentre il pianeta era all'opposizione. Il primo astronomo a osservarne la forma peculiare fu Galileo, che nel 1610 non riuscì a risolvere completamente la figura del pianeta circondato dai suoi anelli. Inizialmente il pianeta gli apparve accompagnato da altri due corpi sui lati, e pertanto lo definì "tricorporeo". Con le osservazioni successive e l'uso di strumenti più evoluti la variazione dell'angolo visuale degli anelli gli mostrò via via aspetti diversi, che lo spinsero a definire bizzarro il pianeta. Galileo nei suoi schizzi ipotizzò varie soluzioni per la forma di Saturno, fra cui anche possibili anelli che erano tangenti la superficie del corpo celeste. Nei secoli successivi Saturno fu oggetto di studi approfonditi. Nel 1649 Eustachio Divini, un costruttore di telescopi marchigiano, pubblicò per la prima volta un'illustrazione dettagliata degli anelli di Saturno; il teologo cattolico Leone Allacci verso la metà del XVII secolo teorizzò fantasiosamente che gli anelli fossero stati originati dal Santo prepuzio. Nel 1655 l'astronomo olandese Christiaan Huygens fu il primo a intuire la natura anulare dei corpi visti da Galileo attorno al pianeta e scoprì anche il satellite Titano. Giovanni Cassini nel 1675 fu il primo a ipotizzare la natura degli anelli e vi individuò la prima suddivisione, o lacuna, che ancora oggi porta il suo nome. Inoltre scoprì altre quattro lune saturniane: nel 1671 Rea, Giapeto nel 1672 e Dione e Teti nel 1684. La natura "granulare" degli anelli fu dimostrata per via teorica nel 1859 dal fisico scozzese James Clerk Maxwell. Nel 1899 William Henry Pickering scoprì Febe, un satellite irregolare che non ruota in sincronia con Saturno come le altre lune maggiori. Febe è stato il primo satellite scoperto in un'orbita retrograda. Nel corso del XX secolo studi su Titano portarono alla conferma che esso era circondato da una spessa atmosfera, caratteristica unica tra i satelliti naturali del sistema solare. L'esplorazione di Saturno è avvenuta esclusivamente tramite l'ausilio di sonde spaziali prive di equipaggio umano. Come tutti i giganti gassosi Saturno non possiede una superficie solida, per cui le sonde che l'hanno visitato non vi sono atterrate, bensì hanno effettuato dei sorvoli ravvicinati (fly-by) del pianeta o sono entrate nella sua orbita, come nel caso della Cassini-Huygens che, dopo essere stata in orbita attorno al pianeta, si è bruciata entrando nell'atmosfera del pianeta il 15 settembre 2017. Raggiungere un altro pianeta del sistema solare richiede un elevato costo energetico. Perché una sonda spaziale possa raggiungere Saturno dall'orbita terrestre, è necessaria una quantità di energia di poco superiore a quella richiesta per portare in un'orbita terrestre bassa (LEO) la stessa massa. In astrodinamica tale energia richiesta è descritta in termini di cambio netto nella velocità della sonda, o Δv (Delta-v). L'energia minima richiesta per raggiungere Saturno (in sei anni) dall'orbita della Terra è pari ad un Δv di circa 10,4 km/s, confrontabile con il valore di 9,7 km/s di Δv richiesto per raggiungere un'orbita terrestre bassa dalla superficie del nostro pianeta. Con quasi la stessa quantità di energia al lancio, sarebbe possibile dimezzare i tempi di volo eseguendo una manovra di fionda gravitazionale con Giove. In alternativa, gravity assist mulpipli possono ridurre il quantitativo di energia richiesto al lancio o, equivalentemente, permettere di trasportare a destinazione un carico utile maggiore, a prezzo tuttavia di tempi di volo più lunghi e della necessità di attraversare zone del sistema solare con caratteristiche molto differenti (ad esempio, le alte temperature in prossimità dell'orbita di Venere o gli alti tassi di radiazioni nell'attraversamento del sistema di Giove) da quelle presenti nel sistema di Saturno, che dovrebbero guidare la progettazione della sonda.vLa lontananza di Saturno dal Sole esclude - con la tecnologia attuale - l'utilizzo dei pannelli fotovoltaici per alimentare la sonda. Risulta necessario quindi ricorrere ad un generatore termoelettrico a radioisotopi (RTG) o dispositivo equivalente. Tuttavia, il materiale fissile che ne costituisce la fonte energetica non è di facile reperibilità e il suo utilizzo incontra ostacoli sia negli Stati Uniti, che in Europa - le uniche realtà che hanno finora tentato l'esplorazione di Saturno. Negli Stati Uniti, la produzione di 238Pu è cessata nel 1988 ed è ripresa solo nel 2014, con l'acquisto del materiale dalla Russia nel frattempo. La legislazione francese vigente presso il Centre spatial guyanais dell'ESA vieta il lancio di materiale radioattivo dal centro. Saturno è stato visitato per la prima volta dalla Pioneer 11 nel settembre 1979. La sonda ha sorvolato il pianeta a 20 000 km dalle nubi superiori. In quell'occasione sono state acquisite solo immagini a bassa risoluzione del pianeta e qualche immagine anche dei suoi satelliti naturali, ma la risoluzione delle immagini non era abbastanza elevata da permettere l'individuazione di strutture superficiali. La Pioneer 11 ha studiato anche gli anelli di Saturno; tra le sue scoperte ci sono l'anello F e il fatto che gli spazi scuri tra gli anelli non sono del tutto privi di materiali. La sonda ha anche misurato la temperatura di Titano, pari a 250 K, e l'intensità del campo magnetico di Saturno, un migliaio di volte più intenso di quello terrestre. Nel novembre del 1980 la Voyager 1 ha fatto visita al sistema di Saturno. Ha trasmesso alla Terra le prime immagini ad alta risoluzione del pianeta, degli anelli e dei satelliti. Su varie lune di Saturno è stato possibile vedere le strutture superficiali per la prima volta. Data l'allora recente scoperta di un'atmosfera su Titano, i controllori della Voyager al Jet Propulsion Laboratory hanno deciso di fare un incontro ravvicinato con il satellite. La sonda ha incrementato enormemente le nostre conoscenze dell'atmosfera di Titano, ma ha anche mostrato che la sua atmosfera è impenetrabile nella lunghezza d'onda del visibile, quindi non ha potuto rilevare nessun dettaglio superficiale. Il flyby ha anche cambiato la traiettoria della sonda mandandola al di fuori del piano del sistema solare. A distanza di quasi un anno, nell'agosto del 1981, la Voyager 2 ha continuato lo studio del sistema di Saturno. Si sono ottenute immagini ancora più ravvicinate dei satelliti di Saturno e si è avuta l'evidenza di cambiamenti negli anelli. La Voyager 2 ha analizzato l'atmosfera superiore di Saturno con il suo radar per misurare le temperature e le densità. La sonda ha scoperto che ai livelli più alti (7000 Pa di pressione) la temperatura era 70 kelvin (-203 °C, cioè 70 gradi sopra lo zero assoluto), mentre ai livelli più bassi (120 000 Pa) la temperatura saliva a 143 K (-130 °C). Il polo nord del pianeta era 10 K più freddo, sebbene questo possa esser dipeso da effetti stagionali. Sfortunatamente la piattaforma girevole della fotocamera si è incastrata per diversi giorni e molte immagini progettate non sono state scattate. La gravità di Saturno è stata utilizzata per dirigere la Voyager 2 verso Urano. La sonda ha scoperto numerosi satelliti naturali di Saturno che orbitano vicino o dentro il sistema di anelli. Ha anche scoperto le piccole divisione di Maxwell e di Keeler negli anelli. Il 1º luglio del 2004 la sonda Cassini-Huygens completa la manovra di inserimento nell'orbita di Saturno (SOI: Saturn Orbit Insertion). Ma già prima dell'inserimento in orbita la Cassini aveva studiato il sistema. Nel giugno del 2004 ha effettuato il flyby di Febe mandando a terra dati e immagini ad alta risoluzione. Il 25 dicembre 2004 la Cassini ha rilasciato la sonda Huygens che è scesa nell'atmosfera di Titano il 14 gennaio del 2005, raccogliendo un'enorme quantità di dati durante la discesa e dopo l'atterraggio. Durante tutto il 2005 la Cassini ha compiuto diversi flyby di Titano e di altri satelliti ghiacciati. Il 10 marzo del 2006 la NASA ha reso noto che la sonda ha trovato prove su Encelado di serbatoi di acqua liquida che vengono eruttati sotto forma di geyser. Il 20 settembre 2006, la Cassini scopre un altro debole anello planetario. Nel luglio del 2006 la sonda ha per la prima volta trovato prove dell'esistenza di laghi di idrocarburi vicino al polo nord di Titano. Successive immagini del marzo 2007 hanno mostrato "mari" di idrocarburi, il più grande dei quali ha quasi le dimensioni del Mar Caspio. Il 10 settembre 2007, la sonda ha effettuato un flyby di Giapeto. La sonda ha scoperto finora quattro nuovi satelliti di Saturno. La fine della sua missione era inizialmente prevista per il 2008, dopo aver completato circa 74 orbite attorno a Saturno. Essendo la sonda ancora perfettamente operativa ed essendone stato approvato l'ulteriore finanziamento, nel 2009 la missione è stata prolungata, entrando nella cosiddetta "mission extended" (missione estesa), ribattezzata Cassini Equinox. Saturno orbita attorno al Sole a una distanza media di 1,427 miliardi di chilometri, compiendo una rivoluzione completa in 29,458 anni terrestri. La sua orbita è inclinata di 2,488° rispetto all'eclittica ed è eccentrica di un fattore pari a 0,0560. Alla sua distanza, la luce del Sole appare 100 volte meno intensa rispetto a quella che arriva sulla Terra. Con una massa pari a 95,181 volte e un volume pari a 744 volte quello terrestre, Saturno è il secondo pianeta più grande del Sistema solare dopo Giove. L'asse di rotazione è inclinato di 26,731 gradi, regalando al pianeta un ciclo di stagioni più o meno analogo a quello terrestre e marziano, ma assai più lungo. Il periodo di rotazione di Saturno sul proprio asse varia a seconda della quota; gli strati superiori, nelle regioni equatoriali, impiegano 10,233 ore a compiere un giro completo, mentre nucleo e mantello ruotano in 10,675 ore. L'orbita percorsa da Saturno può essere descritta attraverso i parametri orbitali seguenti:

Parametri orbitali di Saturno
  • Semiasse maggiore: 1 433 530 000 km (9,582 UA)
  • Perielio: 1 352 550 000 km (9,02063224 UA)
  • Afelio: 1 515 500 000 km (10,05350840 UA)
  • Eccentricità orbitale: 0,0565
  • Periodo orbitale: 29,45 anni (10 756,1995 giorni)
  • Inclinazione orbitale (Inclinazione sull'eclittica): 2,485°
  • Longitudine del nodo ascendente: 113,71504°
  • Argomento del perielio: 92,43194°

La distanza media di Saturno dal Sole è di 9,6 UA, pari a circa 1 miliardo e 440 milioni di km. Il periodo di rivoluzione è di 29,45 anni terrestri, pari a circa 10 756 giorni sulla Terra. Tuttavia, il suo periodo sinodico (che corrisponde alla durata di tempo che impiega il pianeta, osservato dalla Terra, per ritornare nella stessa posizione del cielo rispetto al Sole - ad esempio, quindi, tra due congiunzioni successive) è di 378,09 giorni, quasi 1 anno e 2 settimane terrestri. La velocità media di percorrenza dell'orbita è di 9,68 km/s. La velocità massima è raggiunta ovviamente (per la seconda Legge di Keplero) durante il passaggio per il perielio ed è di 10,18 km/s, mentre quella minima raggiunta durante il passaggio dell'afelio è di 9,09 km/s. La sua orbita è inclinata di 2,488º rispetto all'eclittica ed è eccentrica di un fattore 0,0560. Alla sua distanza la luce del Sole appare 100 volte meno intensa rispetto alle misure effettuate dalla Terra. L'asse di rotazione è inclinato di 26,731°, regalando al pianeta un ciclo di stagioni più o meno analogo a quello terrestre e marziano, ma assai più lungo. Il periodo di rotazione di Saturno sul proprio asse varia a seconda della quota; gli strati superiori, nelle regioni equatoriali, impiegano 10,23378 ore a compiere un giro completo, mentre nucleo e mantello ruotano in 10,67597 ore. Nel marzo 2007 è stato rilevato che la variazione delle emissioni radio del pianeta non corrisponde alla velocità di rotazione di Saturno. Tale variazione potrebbe essere causata dall'attività dei geyser sulla superficie della luna Encelado. Il vapore acqueo emesso in orbita attorno a Saturno da questa attività crea un ostacolo al campo magnetico del pianeta, rallentando la sua rotazione rispetto alla rotazione del pianeta. L'ultima stima del periodo di rotazione di Saturno, basato su una media di varie misure effettuate dalle sonde Cassini, Voyager e Pioneer è stato segnalata nel settembre 2007, ed equivale a 10 ore, 32 minuti e 35 secondi. Con una massa pari a 95,181 volte e un volume pari a 744 volte quello terrestre Saturno è il secondo pianeta più grande del sistema solare dopo Giove. È classificato come gigante gassoso poiché gli strati esterni sono costituiti prevalentemente da gas e manca di una superficie definita, anche se potrebbe avere un nucleo solido. Saturno appare visibilmente schiacciato ai poli, con i suoi diametri equatoriale e polare (120536 km e 108728 km rispettivamente) che differiscono di quasi il 10%. Questa forma è il risultato della sua rapida rotazione e della sua composizione chimica, con la densità più bassa del sistema solare, facile a deformarsi. Anche gli altri pianeti, e i giganti gassosi in particolare, sono deformati in maniera analoga, ma in modo molto meno evidente. Saturno è anche l'unico pianeta del sistema solare con una densità media inferiore a quella dell'acqua: solo 0,69 g/cm³. In realtà il valore medio è una combinazione di densità molto basse nell'atmosfera del pianeta e densità più elevate all'interno, sicuramente maggiori di quella dell'acqua. Per questi valori si presuppone che il pianeta abbia un nucleo di rocce e metalli non particolarmente massiccio. Saturno ha una massa 95 volte quella terrestre, e assieme a Giove compone il 92% della massa planetaria totale del sistema solare. Saturno possiede una struttura interna molto simile a quella di Giove; come l'altro gigante gassoso, presenta una composizione affine a quella del Sole, essendo costituito per il 75% di idrogeno ed il 25% di elio, con tracce d'acqua, metano ed ammoniaca. Nello strato esterno è presente un'atmosfera dove si alternano fasce chiare e scure parallele all'equatore con perturbazioni cicloniche e formazioni di nubi; il tutto digrada nella zona sottostante, un oceano liquido di idrogeno molecolare ed elio che sovrasta un involucro tra 0,2 e 0,5 raggi planetari sottoposto ad una pressione di 3 milioni di atmosfere dove domina l'idrogeno metallico liquido ad una temperatura di circa 20 000 °C. Successivamente, al centro del pianeta, è presente il nucleo, che misura 0,2 raggi planetari, circa le dimensioni della Terra, con una temperatura di circa 12 000 °C ed una pressione di 8 milioni di atmosfere, formato da silicati ferrosi e ghiaccio. Dato che Saturno irradia nell'infrarosso, al pari di Giove, un'energia all'incirca doppia di quella che riceve dal Sole, si pensa che l'elio, più pesante dell'idrogeno, sprofondi nell'oceano liquido, e di conseguenza liberi il calore, generato dalla compressione, per convezione verso l'alto fino all'atmosfera, dove può sfuggire nello spazio. L'atmosfera di Saturno, anch'essa molto simile a quella di Giove, è composta principalmente di idrogeno ed elio; quella di Saturno contiene tuttavia una percentuale di idrogeno leggermente maggiore, oltre ad una quantità di fosforo ed arsenico circa 10 volte superiore. Anche nel caso di Saturno, come per Giove, è stato possibile individuare tramite la spettroscopia agli infrarossi la presenza di concentrazioni infinitesimali di monossido di carbonio, fosfina, idruro di germanio ed arsina. Forse questi composti chimici, che normalmente non potrebbero esistere in un'atmosfera a base di idrogeno ed elio, si originano in reazioni chimiche sconosciute e sono poi spinti fino al livello atmosferico visibile del pianeta da forti moti convettivi. Una sostanziale differenza fra le atmosfere di Giove e Saturno è la presenza di bande chiare e scure, specialmente presso l'equatore, molto evidenti nel primo ma estremamente soffuse e poco contrastate nell'altro. Il motivo è probabilmente la minore temperatura atmosferica di Saturno (130 K nell'alta atmosfera), che favorisce la formazione di nubi ad una profondità maggiore rispetto a Giove. Ciononostante l'atmosfera saturniana è percorsa da venti fortissimi, che soffiano fino a 1000 km/h presso l'equatore. Sono inoltre presenti cicloni, soprattutto alle alte latitudini, dalla durata relativamente breve e dalle dimensioni massime di circa 1200 km. Saturno come altri pianeti giganti ha una temperatura degli strati alti dell'atmosfera superiore a quanto dovrebbe essere secondo i calcoli teorici. Per molto tempo si è pensato che la ionosfera potesse favorire il riscaldamento del pianeta ma simulazioni numeriche eseguite da ricercatori dell'University College di Londra in collaborazione con ricercatori della Boston University hanno stimato che la ionosfera dovrebbe in realtà raffreddare il pianeta, quindi la spiegazione di questo fenomeno al momento è sconosciuta. Studi basati sulle osservazioni della sonda Cassini hanno evidenziato una ciclicità della temperatura e della direzione dei venti, simile a quella che avviene sulla terra ogni due anni. Tale periodicità climatologica, che avviene all'altezza della fascia atmosferica tropicale, è fortemente perturbata da eventi atmosferici quali la grande tempesta settentrionale, che avvengono lontani dalla linea equatoriale e che presentano le stesse dinamiche che sulla Terra sono correlate alle teleconnessioni atmosferiche. Saturno è inoltre noto per il suo "esagono". L'esagono di Saturno è una particolare conformazione nuvolosa di forma esagonale persistente al polo nord di Saturno, sito a circa 78°N. Ogni lato dell'esagono misura circa 13.800 km (8600 mi), più del diametro del pianeta Terra La conformazione nuvolosa ruota intorno al vortice centrale del polo nord di Saturno con un periodo di 10h 39min 24s, lo stesso periodo dell'emissione radio interna del pianeta e non si sposta longitudinalmente lungo il pianeta, come le altre nuvole dell'atmosfera visibile, ma rimane, al contrario, piuttosto stabile. Anche il polo sud di Saturno possiede un grosso vortice nel suo centro, ma, al contrario di quel che succede al polo nord, come riportato dal telescopio spaziale Hubble, non possiede alcun tipo di particolare o persistente conformazione nuvolosa, tantomeno di forma esagonale. Questa particolare distorsione nuvolosa del pianeta venne osservata per la prima volta nell'ambito del programma spaziale Voyager, in particolare dalla sonda interplanetaria Voyager 1, nel 1981. La vera missione però ad essere incaricata di approfondire la questione è stata la Cassini-Huygens, che, nel 2006, grazie all'orbiter Cassini, poté riprendere immagini di qualità molto maggiore rispetto alla missione precedente, nonostante la sola possibilità di usare la radiazione infrarossa, condizione durata fino al gennaio 2009, momento in cui il polo nord del pianeta è passato alla luce del Sole. Cassini è riuscita prendere immagini davvero spettacolari di questa perturbazione proprio grazie alla sua natura di satellite in quanto si muove alla stessa velocità di Saturno dentro la sua orbita, in accordo coi movimenti dell'esagono. Dopo la sua scoperta, e dopo che il nord del pianeta è tornato alla luce del Sole, astrofili di tutto il mondo sono riusciti ad ottenere immagini che mostrano l'esagono di Saturno dalla Terra. Nonostante la comunità scientifica internazionale non si sia mai pronunciata con sicurezza al riguardo, la tesi più accreditata, per ora, volta a spiegare la natura dell'origine dell'esagono di Saturno, sviluppata presso l'Università di Oxford, spiega la forma esagonale della nube con la presenza di un gradiente latitudinale molto elevato nella velocità dei venti atmosferici dell'atmosfera di Saturno. Forme regolari simili a quella di Saturno, per la maggior parte esagoni ma anche triangoli ed ottagoni, sono state ricreate in laboratorio con un esperimento dove in una vasca circolare del liquido libero viene ruotato a diverse velocità nel suo centro e nella sua periferia: le figure finiscono col formare un regime turbolento tra i due diversi corpi fluidi, ormai separati poiché rotanti a velocità differenti, che determina anche la creazione del vortice centrale, proprio come per l'esagono del pianeta con gli anelli. I poligoni non si formano a meno che i parametri differenziali di velocità e viscosità del materiale non rientrino entro certi margini, non possono essere quindi presenti in altri luoghi che si pensavano papabili, come i poli di Giove o lo stesso polo sud di Saturno. L'esistenza della magnetosfera di Saturno è stata accertata dalla sonda Pioneer 11 (1979), successivamente confermata da Voyager 1 e Voyager 2 (1980-1981) e attualmente studiata dalla missione Cassini che sta fornendo importanti dati. La magnetosfera di Saturno è la cavità creata nel flusso del vento solare dal campo magnetico generato internamente dal pianeta. Si pensa che il meccanismo che genera questo campo magnetico sia - come per Giove - l'elevata velocità di rotazione dello strato di idrogeno metallico all'interno del pianeta. Il suo orientamento è quasi coincidente con l'asse di rotazione (con uno scarto inferiore all'1%). Quella di Saturno è per dimensioni la più grande magnetosfera planetaria dopo quella di Giove, estendendosi intorno al pianeta per circa 20 volte il suo raggio e con una coda di oltre 2 milioni di km in direzione opposta al Sole. È permeata da plasma composto da elettroni e nuclei atomici ionizzati, prodotti sia dal pianeta che dalle sue lune e in particolare da Encelado, che vi riversa fino a 1000 kg di vapor d'acqua al secondo attraverso i suoi geyser. L'interazione tra la magnetosfera e la ionosfera provoca aurore polari che circondano i poli. Queste aurore sono state fotografate anche dall'HST. Altre interazioni dovute al campo magnetico sono state osservate tra i suoi satelliti: una nube composta da atomi di idrogeno che va dall'orbita di Titano fino all'orbita di Rea e un disco di plasma, anche questo formato da idrogeno e ioni di ossigeno, che si estende dall'orbita di Teti fino quasi all'orbita di Titano. Il plasma ruota in sincronia quasi perfetta con il campo magnetico di Saturno. Parlando degli anelli del pianeta, dobbiamo prima di tutto affrontarne la struttura generale. Gli anelli di Saturno sono anelli planetari attorno al pianeta Saturno. Sono composti da miliardi di piccoli oggetti, della grandezza che varia dal micrometro al metro, orbitanti attorno al pianeta sul suo piano equatoriale, e organizzati in un anello piatto. Poiché, come per la Terra, l'asse di rotazione di Saturno è inclinato rispetto al piano orbitale, anche gli anelli risultano inclinati. Gli anelli iniziano ad un'altezza di circa 6600 km dalla superficie di Saturno e si estendono fino a 120000 km, poco meno di un terzo della distanza Terra-Luna. A seguito dell'esplorazione ravvicinata della sonda spaziale Cassini-Huygens il loro spessore è stato misurato mediamente in circa 10 m e sono quindi estremamente sottili. In compenso gli anelli non sono completamente piatti, in alcune zone le particelle sono addensate in strutture che si estendono da 3 a 5 km sopra e sotto il piano degli anelli, proiettando così lunghe ombre in particolari momenti di inclinazione rispetto al sole. Furono scoperti da Huygens nel 1655. In precedenza Galileo aveva notato che Saturno presentava delle protuberanze ai lati, ma la scarsa potenza del suo telescopio non gli aveva permesso di distinguerne la forma con chiarezza. Gli anelli sono divisi in sette fasce, separate da divisioni che sono quasi vuote. L'organizzazione in fasce e divisioni risulta da una complessa dinamica ancora non ben compresa, ma nella quale giocano sicuramente un ruolo i cosiddetti satelliti pastori, lune di Saturno che orbitano all'interno o subito fuori dall'anello. L'origine degli anelli è sconosciuta. Ci sono due ipotesi principali: che siano il risultato della distruzione di un satellite di Saturno, ad opera di una collisione con una cometa o con un altro satellite, oppure che siano un "avanzo" del materiale da cui si formò Saturno che non è riuscito ad assemblarsi in un corpo unico. Solo dell'anello E si conosce l'origine: su Encelado si verificano fenomeni di criovulcanismo continuo, di conseguenza si presuppone che l'abbondante materiale emesso abbia formato l'anello E. Le teorie attuali suggeriscono che gli anelli siano instabili e abbiano una vita relativamente breve: in pochi milioni di anni dovrebbero disperdersi o precipitare sul pianeta stesso. Questa osservazione sarebbe coerente con l'ipotesi di un'origine recente degli anelli. Una ricerca NASA effettuata nel 2018 in collaborazione con l'osservatorio Keck ha confermato le stime effettuate sulle osservazioni delle due sonde Voyager, in base alle quali il sistema di anelli dovrebbe precipitare completamente entro 300 milioni di anni, a causa della gravità e dell'intenso campo magnetico del pianeta. Osservazioni effettuate con la sonda Cassini sulla precipitazione di materiale presso l'equatore del pianeta stimano l'età degli anelli inferiore ai 100 milioni di anni. La divisione più grande fu scoperta da Cassini nel 1675, ed è chiamata divisione di Cassini. Successivamente Bond scoprì che l'anello interno era anch'esso suddiviso (1850). Anche l'anello esterno risultò suddiviso da quella che è chiamata Divisione di Encke. I diversi anelli vengono chiamati anche con le lettere dell'alfabeto. Originariamente la sequenza partiva dal più esterno (A) verso l'interno (B, C, ecc.), ma con la scoperta di nuovi anelli sia all'interno che all'esterno le lettere sono ora piuttosto mescolate. Nel 1983 una cometa o un asteroide colpì l'anello D di Saturno, causando nella materia degli anelli oscillazioni che durarono più di 30 anni. L'anello A è l'anello planetario più brillante del pianeta Saturno; è situato all'esterno dell'anello B, al di là della Divisione di Cassini. Esternamente è delimitato dall'orbita di Atlante, un satellite minore di Saturno. Al suo interno trovano spazio due regioni relativamente povere di materiale: la Divisione di Encke, situata presso l'estremità esteriore dell'anello, in prossimità dell'orbita di Pan, e la Divisione di Keeler, dovuta alla presenza di Dafni. L'anello B è un anello planetario del pianeta Saturno; si tratta dell'anello più brillante assieme all'anello A, che si trova al suo esterno. A differenza di quest'ultimo, tuttavia, l'anello B si compone di innumerevoli anelli minori, alcuni dall'orbita eccentrica; sono inoltre presenti regioni in cui la densità di polveri è maggiore, che conferiscono all'anello un caratteristico aspetto a raggiera. L'anello C è l'anello planetario più interno di Saturno, eccezion fatta per il debole anello D, che si trova ancora più vicino al pianeta; è anche noto come anello di garza, poiché è a sua volta assai meno luminoso degli anelli A e B, essendo composto da materiali più scuri. L'anello D è l'anello planetario più interno del pianeta Saturno; è situato all'interno del più noto anello C ed è estremamente rarefatto. Nuove osservazioni della navicella Cassini della NASA rivelano che i caratteristici anelli di Saturno sono cambiati notevolmente negli ultimi 25 anni. Parti dell'anello D - sono diventate più fioche da quando la navicella Voyager era passata vicino al pianeta nel 1981. Un pezzo dell'anello D si è addirittura spostato di 200 chilometri verso Saturno. Mentre gli scienziati si interrogano sulle cause dei cambiamenti, le osservazioni potrebbero rivelare qualcosa anche sull'età e la durata degli anelli. L'Anello E è uno degli anelli esterni del pianeta Saturno, è stato studiato dalla sonda Cassini nel 2006. È l'anello più esterno ed è estremamente largo, comincia dall'orbita di Mimas fino all'orbita di Rhea. È un disco di materiale ghiacciato e polveroso composto da particelle microscopiche. Nel 2006 ci si è accorti che il vulcanismo ghiacciato di Encelado ha fornito materiale d'accrescimento per l'anello. D'altra parte le incessanti collisioni con Encelado di materiale spaziale e micrometeoriti, producono eiezione ed erosione sulla superficie del satellite e potrebbero essere fra le cause che fanno accrescere l'anello stesso. L'anello F è uno degli anelli esterni di Saturno. È situato al di fuori degli anelli più grandi, ad appena 3.000 km. Scoperto nel 1979 dal gruppo di analisi delle immagini del Pioneer 11, è spesso soltanto 100 chilometri, ed è tenuto stabile dalla presenza di due satelliti: Prometeo e Pandora che orbitano in prossimità dell'anello F, esternamente ed internamente. Le immagini della sonda Cassini indicano che l'anello è formato da una struttura costituita da molti piccoli anelli attraversati da noduli, che potrebbero essere accumuli di materiale o minutissimi satelliti, con attorno un'altra struttura spiraleggiante che Prometeo, con la propria attrazione gravitazionale, depaupera di materiale. Inoltre la gravità della piccola luna crea dei canali e dei ruscelli di polvere nello stesso anello, grazie a queste interazioni gravitazionali. Le dimensioni di queste particelle variano da qualche micrometro a qualche centimetro. Non era mai stato osservato nulla di simile finora, ma è quello che risulta dalle osservazioni e dalle simulazioni fatte quando Prometeo e Pandora si allontanano e si avvicinano all'anello ogni 14,7 ore. Risulta inoltre un periodo orbitale di 14h 50m 28s. L'anello G è uno degli anelli esterni del pianeta Saturno ed è situato al di fuori degli anelli più brillanti. È un anello debole di polvere ed occupa una regione dominata dalle orbite di Giano ed Epimeteo; è stato scoperto nel 1980 dalla sonda Voyager I e studiato dalla sonda Cassini nel 2006. Secondo recenti studi, le polveri di cui è formato l'anello deriverebbero dai resti di una luna del pianeta, e che grazie all'influenza gravitazionale di Saturno e di una delle sue lune, Mimas, abbiano preso la forma attuale. Una sequenza di immagini mostra un arco luminoso che collega il bordo interno dell'anello (una fascia larga 7 000 km), che a volte sembra essere più luminoso del resto dell'anello G. Questa luminosità dovrebbe essere dovuta agli scontri che avvengono tra residui ghiacciati che interagiscono con la gravità di Mimas. Alcuni ipotizzano addirittura che l'anello G sia venuto all'esistenza a causa di impatti con Mimas dai quali sono poi provenute le polveri che distribuendosi attorno a Saturno hanno formato l'anello. Le dimensioni delle particelle che costituiscono la sua struttura variano da qualche micrometro a qualche millimetro. Il suo periodo orbitale è pari a 19h 52m 43s. La divisione di Cassini (dal nome di Gian Domenico Cassini, che la scoprì nel 1675) è la separazione presente nel sistema di anelli del pianeta Saturno; è situata fra i due anelli più brillanti del pianeta, l'anello B, all'interno, e l'anello A, all'esterno. Gli anelli possiedono anche molte altre divisioni, come la divisione di Encke, tuttavia la divisione di Cassini è la più grande e la più famosa, ed è visibile anche con telescopi di piccole dimensioni. Ad un'analisi superficiale si direbbe che non sia presente materiale all'interno di queste divisioni, in realtà si tratta di zone con una minore densità di materiale. La sonda Cassini-Huygens, il primo luglio 2004 ha attraversato lo spazio tra altri 2 anelli del pianeta (l'anello F e l'anello G) e i suoi sensori hanno registrato più di 100.000 microimpatti contro l'antenna principale, provocati da particelle di dimensioni microscopiche. La divisione di Cassini è dovuta all'influsso gravitazionale del satellite Mimas, che si trova in risonanza orbitale con la divisione, per cui il materiale viene espulso a causa del passaggio del satellite. Pochi giorni dopo che la sonda Cassini entrò in orbita attorno a Saturno, cominciarono ad arrivare dati riguardanti la composizione della breccia presente fra gli anelli A e B. Al contrario degli anelli che prevalentemente risultano composti di acqua ghiacciata, la divisione, che dovrebbe essere vuota, contiene più polvere che ghiaccio, probabilmente carbonio e silicati, che sembrano ricordare il materiale osservato su Febe. Ciò suffraga la teoria che questi residui non sarebbero altro che i resti di una luna; quello che però stupisce maggiormente è che gli anelli A e B si mostrano così puliti al contrario della divisione che c'è fra loro, la quale è oltremodo sporca di polveri. Questi dati sono stati forniti dalla strumentazione di bordo chiamata VIMS (Visual and Infrared Mapping Spectrometer) realizzato dall'Agenzia Spaziale Italiana ed interpretati dal Rings Working Group guidato da Jeff Cuzzi di Nasa-Ames. La separazione di Colombo (dal nome dell'astronomo italiano Giuseppe Colombo) è uno spazio vuoto presente nel sistema di anelli planetari del pianeta Saturno; è situato fra l'anello C e l'anello B. La distanza dal centro di Saturno della divisione di Colombo è di 77 800 km e al suo interno si trova il piccolo anello regolato da una risonanza orbitale con Titano (Titan ringlet). La Divisione di Encke è un altro spazio vuoto presente nel sistema di anelli del pianeta Saturno, all'interno del brillante Anello A; l'assenza di materiale in questa ristretta banda è dovuta alla presenza dell'orbita di un satellite minore del pianeta, Pan. Nel corso della missione spaziale Cassini-Huygens è stato individuato un piccolo anello sottile situato all'interno della Divisione. Sono inoltre importanti i cosiddetti "Satelliti Pastore". Si definisce satellite pastore un satellite naturale che con la sua particolare orbita in prossimità di un anello planetario, contribuisce a mantenerlo stabile pur modificandone la forma e l'estensione attraverso meccanismi di interazione gravitazionale. Inoltre contribuisce, come si è scoperto dalle osservazioni effettuate dall'orbiter della missione spaziale Cassini-Huygens, alla numerose divisioni possibili all'interno dell'anello. Satelliti di questo tipo erano già stati teorizzati come possibile soluzione per l'esistenza degli anelli più vistosi e noti del sistema solare, quelli del pianeta Saturno, ma sono stati osservati solo grazie alle missioni esplorative del sistema solare effettuate dalla NASA a partire dagli anni settanta. In particolare si deve lo studio approfondito del fenomeno alla Cassini-Huygens, che grazie alla risoluzione ottenibile dagli strumenti a bordo dell'orbiter ha permesso di osservare anche le particolari interazioni tra Giano ed Epimeteo che nel loro compito di "pastori" si scambiano ciclicamente il posto dalla posizione più interna a quella più esterna. Altri effetti sono dati ad esempio dalla presenza dell'anello F, che risulta mantenuto integro, anche se deformato, dalla reciproca azione dei due satelliti Pandora e Prometeo, o dell'opera di Pan, che con la sua presenza spazza letteralmente i detriti mantenendo integra la divisione di Encke. L'azione di satelliti pastori è quasi certamente responsabile dei meno evidenti anelli presenti attorno agli altri giganti gassosi del sistema solare esterno, Giove, Urano e Nettuno. Un esempio di satellite pastore è Prometeo. Prometeo è un satellite naturale di Saturno. È stato scoperto nel 1980 dalle foto riprese dalla sonda Voyager 1 e fu chiamato 1980 S 27. Questa piccola luna è di forma estremamente allungata, la Nasa la descrive a forma di patata[2] e la sua superficie è stata dettagliata da immagini della sonda Cassini che il 6 dicembre 2015 ha eseguito un passaggio moderatamente ravvicinato ; presenta diverse creste, valli e diversi crateri da impatto di circa 20 km, anche se è meno craterizzato delle 3 più vicine lune Pandora, Epimeteo e Giano. Dai dati sulla sua densità molto bassa e il suo relativamente elevato albedo, è stato ipotizzato che sia un corpo celeste ghiacciato e poroso. Prometeo è una luna pastore nel bordo interno dell'Anello F di Saturno. Immagini recenti della sonda Cassini mostrano che il campo gravitazionale del satellite crea nodi e perturbazioni nell'anello F a causa del materiale sottratto da esso. L'orbita di Prometeo appare caotica, a causa della risonanza del moto con Pandora e modifiche apprezzabili dell'orbita appaiono ogni 6,2 anni, quando il periasse di Pandora si allinea con l'apoasse di Prometeo e le lune si avvicinano a meno di 1400 km. Prometeo inoltre perturba in modo significativo Atlante, un altro satellite naturale di Saturno. È stato scoperto da Richard Terrile nel 1980 dalle fotografie riprese dalla sonda Voyager e fu chiamato S/1980 S 28. Nel 1983 venne chiamato in onore di Atlante della mitologia greca perché "regge gli anelli sulle sue spalle", come il Titano Atlante reggeva il cielo sopra la Terra. Atlante sembra essere un satellite pastore dell'anello A e nel 2004 è stato scoperto un debole e sottile anello, temporaneamente chiamato R/2004 S 1, all'interno della sua orbita. Le fotografie ad alta risoluzione riprese nel giugno 2005 dalla sonda Cassini hanno rivelato una luna a forma di disco, con una grande cresta equatoriale. Atlante è perturbato dalla presenza di Prometeo e in misura minore da Pandora, che causano una deviazione in longitudine di circa 600 km (~0.25°) dall'orbita kepleriana con un periodo di circa 3 anni. Siccome le orbite di Prometeo e Pandora sono caotiche, si è ipotizzato che lo sia anche quella di Atlante. Anche Pandora, che abbiamo citato poco fa, è un importante satellite pastore di Saturno. Pandora è un satellite naturale di Saturno. Venne scoperto nel 1980 dalle fotografie riprese dalla sonda Voyager 1 e venne chiamato 1980 S 26. Pandora è una luna pastore dell'Anello F di Saturno ed è maggiormente craterizzata rispetto al vicino satellite Prometeo. Possiede almeno due grandi crateri da impatto di circa 30 km di diametro. Come per Prometeo, anche i dati di Pandora sulla sua densità molto bassa e il suo relativamente elevato albedo, ipotizzano che sia un corpo celeste ghiacciato e poroso. Tuttavia questi dati non sono sicuri e devono essere confermati. L'orbita di Pandora appare caotica, a causa della risonanza del moto con Prometeo e presenta modifiche apprezzabili ogni 6,2 anni, quando il periasse di Pandora si allinea con l'apoasse di Prometeo e le lune si avvicinano a meno di 1400 km. Pandora possiede anche una risonanza con il satellite Mimante. In seguito tratteremo nel dettaglio quali sono le principali Lune di Saturno. Nell'ottobre del 2009 grazie al telescopio spaziale Spitzer è stato scoperto il più grande anello di Saturno mai osservato in precedenza. Questo enorme anello si trova alla periferia del sistema di Saturno, in un'orbita inclinata di 27º rispetto al piano del sistema dei sette anelli principali. Il nuovo anello, che si ritiene sia originato da Febe, è composto di ghiaccio e di polvere allo stato di particelle alla temperatura di -157 °C. Pur essendo molto esteso questo anello è rilevabile solo nello spettro infrarosso, perché non riflette la luce visibile. La massa dell'anello comincia a una distanza di circa 6 milioni di chilometri dal pianeta e si estende fino a 11,9 milioni di chilometri. La scoperta potrebbe essere decisiva per risolvere il problema legato alla colorazione del satellite Giapeto: gli astronomi ritengono che le particelle dell'anello, che orbitano intorno a Saturno con moto retrogrado (proprio come Febe), vadano a collidere contro la superficie di Giapeto quando esso, durante il suo moto orbitale, attraversa l'anello. Importante è approfondire la composizione degli anelli. La composizione degli anelli principali, i primi quattro scoperti, anello A, B, C e D è per più del 99% di acqua pura in forma di agglomerati di ghiaccio, che li dota di una brillantezza notevole, dalla grandezza variabile mediamente tra 1 centimetro e 10 metri. Lo spessore degli anelli varia da 10 metri a un chilometro, apparendo quindi sottili all'osservazione. La densità di queste particelle varia da anello ad anello e anche all'interno dell'anello stesso, passando da valori di 40-140 grammi per centimetro quadrato a valori di circa zero in quelle che vengono definite divisioni o separazioni:[81] spazi vuoti che separano gli anelli o all'interno di un anello, creati probabilmente da un gioco di risonanze gravitazionali dei satelliti pastori. Alcuni agglomerati di ghiaccio più massicci possono alterare lievemente l'uniformità dell'anello. Agglomerati dell'ordine di centinaia di metri vengono definiti "minilune" (moonlet in inglese) e non sono visibili al telescopio e nemmeno alle sonde che finora hanno visitato il pianeta, bensì creano delle perturbazioni che generano dei giochi di luce e ombra visibili solo in determinati periodi dell'anno saturniano. La NASA stima che gli anelli potrebbero "nascondere" milioni di minilune. I satelliti naturali di Saturno sono numerosi, con dimensioni che vanno da piccole lune di meno di 1 km fino all'enorme Titano, più grande del pianeta Mercurio. Saturno ha 82 satelliti naturali con orbite confermate, 53 dei quali hanno un nome proprio e solo 13 con un diametro maggiore di 50 chilometri, gli ultimi satelliti naturali scoperti hanno tutti un diametro di circa 5 km e 17 di questi hanno un moto retrogrado, ovvero orbitano in senso opposto rispetto alla rotazione del pianeta sul proprio asse. Saturno, il pianeta con densi anelli con propri moti orbitali complessi, ha sette lune di dimensioni sufficientemente grandi da determinare una forma ellissoidale (anche se solo due, Titano e Rea, sono attualmente in equilibrio idrostatico). Tra le lune di Saturno particolarmente degne di nota vi sono Titano, la seconda luna più grande del sistema solare, con una ricca atmosfera di azoto e un paesaggio con laghi di idrocarburi e reti fluviali secche, ed Encelado, che emette getti di gas e polvere, e che potrebbe contenere acqua liquida nel sottosuolo della regione del suo polo sud. Ventiquattro delle lune di Saturno sono satelliti regolari; hanno orbite con moto diretto poco inclinate rispetto al piano equatoriale di Saturno. Esse comprendono i sette satelliti principali, quattro piccole lune collocate in un'orbita troiana con lune più grandi, due lune reciprocamente co-orbitali e due lune che fungono da pastori dell'anello F. Altri due satelliti regolari orbitano tra le lacune negli anelli di Saturno. Iperione, relativamente grande, è bloccata in risonanza orbitale con Titano. Le restanti lune regolari orbitano vicino al bordo esterno dell'anello A, all'interno dell'anello G e tra le lune maggiori Mimas e Encelado. I satelliti regolari hanno avuto il loro nome dai Titani o da altre figure associate alla mitologia di Saturno. Le altre 38 lune, tutte piccole tranne una, sono satelliti irregolari le cui orbite, fortemente inclinate e con moto diretto o retrogrado, sono molto più lontane da Saturno. Queste lune sono probabilmente pianeti minori catturati, oppure detriti dalla disintegrazione di pianeti minori dopo essere stati catturati, con formazione di famiglie collisionali. In base alle loro caratteristiche orbitali, i satelliti irregolari sono stati classificati nei gruppi Inuit, Nordico, e Gallico; i loro nomi sono stati scelti dalle relative mitologie. La più grande delle lune irregolari è Febe, la nona luna di Saturno, scoperta verso la fine del XIX secolo. Gli anelli di Saturno sono composti da oggetti di dimensioni che variano da microscopiche a centinaia di metri, ciascuno nella propria orbita attorno al pianeta. Pertanto, non può essere assegnato a Saturno un numero preciso di lune, in quanto non vi è un confine netto tra gli innumerevoli piccoli oggetti anonimi che popolano il sistema di anelli di Saturno e gli oggetti più grandi che sono stati designati come lune. Oltre 150 piccole lune immerse negli anelli sono state identificate dalle perturbazioni che creano nel materiale degli anelli circostanti, anche se esse rappresentano solo un piccolo campione della popolazione totale di questi oggetti. Prima dell'avvento della fotografia telescopica, otto lune di Saturno erano state scoperte attraverso l'osservazione diretta con telescopi ottici. La più grande luna di Saturno, Titano, fu scoperta nel 1655 da Christiaan Huygens utilizzando un obiettivo da 57 millimetri. montato su un telescopio rifrattore di sua progettazione. Teti, Dione, Rea e Giapeto (i "Sidera Lodoicea") furono scoperti tra il 1671 e il 1684 da Giovanni Domenico Cassini. Mimas e Encelado furono scoperti nel 1789 da William Herschel. Iperione fu scoperto nel 1848 da W.C. Bond, G.P. Bond e William Lassell. L'uso di lastre fotografiche a lunga esposizione ha reso possibile la scoperta di altri satelliti. Il primo ad essere scoperto con questa tecnica fu Febe, nel 1899 da William Henry Pickering. Nel 1966 il decimo satellite di Saturno, poi chiamato Giano, fu scoperto da Audouin Dollfus, quando gli anelli vennero osservati di taglio all'incirca a un equinozio. Pochi anni dopo ci si rese conto che tutte le osservazioni del 1966 potevano essere spiegate solo in presenza di un altro satellite con un'orbita simile a quella di Giano. Questo oggetto è oggi conosciuto come Epimeteo, l'undicesima luna di Saturno. Condivide la stessa orbita con Giano, con il quale rappresenta l'unico esempio conosciuto di lune co-orbitali del Sistema Solare. Nel 1980 tre altre lune di Saturno furono scoperte da terra e successivamente confermate dalle sonde Voyager. Sono il satellite troiano di Dione, (Elena), e quelli di Teti, (Telesto e Calipso). Da allora, lo studio dei pianeti esterni è stato rivoluzionato con l'uso delle sonde spaziali senza equipaggio. L'arrivo della sonda Voyager su Saturno nel 1980-1981 portò alla scoperta di altre tre lune, Atlas, Prometeo e Pandora, portando il totale a 17. Inoltre, Epimeteo fu confermato come distinto da Giano. Nel 1990, Pan fu scoperto nell'archivio immagini di Voyager. La missione Cassini, che arrivò a Saturno nell'estate del 2004, inizialmente scoprì tre piccole lune interne, Metone e Pallene tra Mimas e Encelado, e Polluce, la seconda luna lagrangiana di Dione. Inoltre osservò tre possibili lune, successivamente non confermate, nell'anello F. Nel novembre del 2004 gli scienziati di Cassini annunciarono che la struttura degli anelli di Saturno indicava la presenza di diverse altre lune che orbitavano all'interno degli anelli, sebbene uno solo, Dafni, fu confermato visivamente fino ad allora (2005). Nel 2007 fu annunciata Antea.[18] Nel 2008 fu segnalato che le osservazioni di Cassini relative a un impoverimento di elettroni energetici nella magnetosfera di Saturno vicino a Rea poteva essere la prova di un tenue sistema di anelli attorno alla seconda luna più grande di Saturno. Nel marzo 2009, fu annunciata l'esistenza di Egeone, una piccola luna all'interno dell'anello G. Nel luglio dello stesso anno, fu osservata S/2009 S 1, la prima piccola luna all'interno dell'anello B. Nell'aprile del 2014, è stato segnalato il possibile inizio di una nuova luna all'interno dell'anello A. Lo studio delle lune di Saturno è stato agevolato anche dai progressi nella strumentazione dei telescopi, soprattutto con l'introduzione dei dispositivi a carica accoppiata (CCD) digitali che hanno sostituito le lastre fotografiche. Per tutto il XX secolo, Febe è rimasta l'unica tra le lune conosciute di Saturno ad avere un'orbita fortemente irregolare. A partire dal 2000, tuttavia, tre dozzine di altre lune irregolari sono stati scoperte tramite telescopi terrestri. A partire dalla fine del 2000, un'indagine condotta utilizzando tre telescopi di medie dimensioni scoprì tredici nuove lune che orbitano Saturno a grande distanza, in orbite eccentriche molto inclinate sia rispetto all'equatore di Saturno che all'eclittica. Esse sono probabilmente frammenti di corpi più grandi catturati dall'attrazione gravitazionale di Saturno. Nel 2005, alcuni astronomi dell'Osservatorio di Mauna Kea annunciarono la scoperta di altre dodici lune esterne più piccole. Nel 2006, gli astronomi, utilizzando un telescopio Subaru di 8,2 m, segnalarono la scoperta di altre nove lune irregolari. Nell'aprile del 2007, fu annunciato Tarqeq (S/2007 S 1) e, nel maggio dello stesso anno, S/2007 S 2 e S/2007 S 3. I nomi moderni per le lune di Saturno furono proposti da John Herschel nel 1847. Egli propose di dar loro i nomi delle figure mitologiche associate al dio romano dell'agricoltura e del raccolto, Saturno (corrispondente al greco Crono). In particolare, i sette satelliti allora conosciuti presero il nome dai Titani, fratelli e sorelle di Saturno. Nel 1848 Lassell propose che l'ottavo satellite di Saturno fosse chiamato Iperione, un altro Titano. Quando nel XX secolo i nomi dei Titani furono esauriti, le lune presero il nome da personaggi della mitologia greca e romana o da giganti di altre mitologie. Tutte le lune irregolari (eccetto Febe) hanno nomi di divinità della mitologia inuit, di quella celtica e di giganti di ghiaccio della mitologia norrena. Alcuni asteroidi condividono gli stessi nomi delle lune di Saturno: 55 Pandora, 106 Dione, 577 Rea, 1809 Prometeo, 1810 Epimeteo e 4450 Pan. Inoltre, altri due asteroidi avevano condiviso i nomi di altrettante lune di Saturno fino a quando l'Unione Astronomica Internazionale (IAU) ha reso permanente le differenze di ortografia: Calipso e l'asteroide 53 Kalypso, Hélène e l'asteroide 101 Helena. Anche se le distinzioni possono apparire un po' vaghe, le lune di Saturno possono essere suddivise in dieci gruppi in base alle loro caratteristiche orbitali. Molti di loro, come Pan e Dafni, orbitano all'interno degli anelli di Saturno e hanno periodi orbitali solo leggermente più lunghi del periodo di rotazione del pianeta. Le lune più interne e parecchi satelliti regolari hanno tutti un'Inclinazione orbitale media che va da meno di un grado a 1,5° circa (tranne Giapeto che ha un'inclinazione di 7,57°) e una piccola eccentricità orbitale. D'altra parte, i satelliti irregolari nelle regioni più periferiche del sistema lunare di Saturno, in particolare il gruppo Nordico, hanno raggi orbitali di milioni di chilometri e periodi orbitali della durata di diversi anni. Inoltre, le lune del gruppo Nordico orbitano in direzione opposta alla rotazione di Saturno. Verso la fine di luglio del 2009 fu scoperta, dall'ombra che gettava, una piccola luna nell'anello B, a 480 km dal bordo esterno dell'anello. Il suo diametro fu stimato di 300 m. A differenza delle piccole lune dell'anello A (vedi sotto), essa non induce l'effetto 'elica', probabilmente a causa della maggior densità dell'anello B. Nel 2006, tra le immagini di Cassini dell'anello A, furono scoperte quattro minuscole lune. Prima di questa scoperta si conoscevano solo due lune grandi all'interno delle lacune dell'anello A: Pan e Dafni. Queste ultime hanno dimensioni tali da spazzare il materiale lasciando delle lacune nell'anello. Al contrario, una luna con massa ridotta è in grado di spazzare parzialmente solo due piccole lacune di circa 10 km nelle immediate vicinanze della luna stessa, creando una struttura a forma di elica di aeroplano. Le lune stesse sono minuscole, con un diametro che va da 40 a 500 metri, troppo piccole per essere osservate direttamente. Nel 2007, la scoperta di altre 150 piccole lune ha rivelato che (con l'eccezione di due che sono state viste al di fuori della Divisione di Encke) sono confinate in tre bande strette nell'anello A tra 126 750 e 132 000 km dal centro di Saturno. Ogni banda è larga circa un migliaio di chilometri, meno dell'1% della larghezza degli anelli di Saturno. Questa regione è relativamente libera da perturbazioni causate da risonanze con satelliti più grandi, anche se altre zone dell'anello A senza perturbazioni sono apparentemente prive di piccole lune. Le lune si formarono probabilmente a seguito della disintegrazione di un satellite più grande.[34] Si stima che l'anello A contenga 7000-8000 eliche con dimensioni superiori a 0,8 chilometri e alcuni milioni con dimensioni superiori a 0,25 km. Piccole lune di questo tipo potrebbero risiedere nell'anello F. Lì, "getti" di materiale possono essere dovuti a collisioni (avviate da perturbazioni della vicina piccola luna Prometeo) di queste piccole lune con il nucleo dell'anello F. Una delle piccole lune di maggiori dimensioni dell'anello F potrebbe essere l'oggetto non ancora confermato S/2004 S 6. Una delle lune scoperte di recente, Egeone, risiede all'interno dell'arco luminoso dell'anello G ed è bloccato in una risonanza di moto medio 7:6 con Mimas. Ciò significa che fa esattamente sette giri attorno a Saturno mentre Mimas ne fa esattamente sei. La luna è la più grande tra la popolazione dei corpi che sono fonte di polvere in questo anello. Nell'aprile del 2014, gli scienziati della NASA hanno segnalato il possibile inizio di una nuova luna all'interno dell'anello A del pianeta Saturno. Giano ed Epimeteo sono lune co-orbitali.[15] Esse sono di dimensioni quasi uguali, con Giano leggermente più grande di Epimeteo. Giano ed Epimeteo hanno orbite con semiassi maggiori che differiscono solo di pochi chilometri, così vicine che colliderebbero se tentassero di superarsi l'un l'altra. Invece di collidere, tuttavia, la loro interazione gravitazionale li forza a scambiarsi le orbite ogni quattro anni. Giano è un satellite naturale di Saturno, conosciuto come Saturno X, è stato chiamato in onore alla divinità romana Giano. Giano occupa essenzialmente la stessa orbita del satellite Epimeteo. Questa caratteristica ha provocato una certa confusione tra gli astronomi, che pensavano fosse presente un solo corpo in quella orbita. Infine si capì che i problemi provenivano dal tentativo di riconciliare le osservazioni di due corpi distinti, interpretandoli come un singolo oggetto. La scoperta di Giano è attribuita al suo primo osservatore: Audouin Dollfus il 15 dicembre 1966. All'epoca, l'oggetto appena scoperto fu chiamato temporaneamente S/1966 S 2. Precedentemente era stato fotografato il 29 ottobre 1966 da Jean Texereau senza saperlo[2]. Vennero effettuate osservazioni simili da Richard Walker, a cui è stata attribuita la scoperta di Epimeteo. Giano fu osservato in momenti diversi e gli vennero assegnati diversi nomi provvisori. Venne osservato dalla sonda Pioneer 11 mentre passava vicino a Saturno il 1º settembre 1979 quando la sua ombra venne rivelata da tre rilevatori di particelle energetiche (S/1979 S 2 Tom Gehrels e James A. van Allen). Venne successivamente osservato da Dan Pascu il 19 febbraio 1980 (S/1980 S 1) e in seguito, il 23 febbraio, da John W. Fountain, Stephen M. Larson, Harold J. Reitsema e Bradford A. Smith (S/1980 S 2). La sua esistenza venne infine confermata dalla sonda Voyager 1 il 1º marzo 1980. Quindi tutte queste persone condividono il merito della scoperta di Giano. Il nome proviene dalla divinità romana a due facce Giano, che gli venne attribuito ufficialmente nel 1983, anche se venne proposto in modo informale poco dopo la sua scoperta iniziale nel 1966. Nello stesso periodo venne attribuito anche il nome al satellite Epimeteo. Giano ed Epimeteo sono "co-orbitali": il raggio orbitale di Giano è attualmente solo di 50 km inferiore a quello di Epimeteo. Tali orbite, essendo molto vicine, hanno velocità maggiori e i due satelliti inevitabilmente si avvicinano e a prima vista sembrerebbe inevitabile una collisione. Tuttavia quando il satellite interno raggiunge il satellite esterno la loro mutua attrazione gravitazionale aumenta la quantità di moto della luna interna e aumenta la sua orbita, che causa un rallentamento. Nello stesso momento, il satellite esterno perde una quantità di moto uguale e scende in un'orbita inferiore, accelerando. Quindi i satelliti si "scambiano" le orbite e si separano nuovamente, senza sorpassarsi e senza neppure avvicinarsi eccessivamente dato che la loro distanza non è mai inferiore a 10000 km. Lo scambio avviene ogni quattro anni. In base alle attuali conoscenze, questa disposizione è unica nel sistema solare. Questa relazione tra le orbite può essere compresa come una applicazione del problema dei tre corpi, dove il terzo corpo è costituito da Saturno e le due lune hanno approssimativamente la stessa dimensione. Gli asteroidi troiani e l'orbita a ferro di cavallo di 3753 Cruithne rispetto alla Terra costituiscono altri esempi di questo problema, oltre a dozzine di altri oggetti. Giano ha molti crateri, alcuni dei quali più grandi di 30 km di diametro, ma poche strutture lineari. La superficie sembra più antica rispetto a quella di Prometeo ma più giovane di quella di Pandora. Dalla sua densità molto bassa e dalla sua relativamente alta albedo si pensa che Giano sia un corpo ghiacciato e poroso, tuttavia questi dati non sono certi, e devono essere confermati. Anche Epimeteo (in greco Επιμηθεύς), o Saturno XI, è un satellite naturale di Saturno. Deve il suo nome al titano Epimeteo della mitologia greca, figlio di Giapeto e di Climene. Epimeteo occupa essenzialmente la stessa orbita di Giano. Gli astronomi ritenevano inizialmente che ci fosse un solo corpo celeste in quell'orbita e incontravano difficoltà nel determinare le caratteristiche orbitali, tentando di conciliare le osservazioni di due corpi distinti considerandole come un oggetto singolo. È stato osservato da Audouin Dollfus il 15 dicembre 1966, che propose il nome "Giano" (Janus). Il 18 dicembre Richard Walker effettuò un'osservazione simile e per questo oggi viene riconosciuto come scopritore. Tuttavia all'epoca si pensava che ci fosse un solo satellite, conosciuto ufficiosamente come "Giano", che occupava quell'orbita. Dodici anni dopo, nell'Ottobre 1978, Stephen M. Larson e John W. Fountain capirono che le osservazioni del 1966 potevano essere spiegate dalla presenza di due oggetti distinti (Giano ed Epimeteo) che condividevano orbite molto simili. Questa ipotesi venne confermata nel 1980 dalla sonda Voyager 1, quindi Walker, Larson e Fountain vengono ufficialmente considerati come co-scopritori di Epimeteo. La scoperta della sonda Voyager era stata chiamata temporaneamente S/1980 S 3, e venne chiamata ufficialmente "Epimeteo" nel 1983, Il nome Giano fu approvato dalla IAU nello stesso anno, anche se il nome era stato usato ufficiosamente fin dalla proposta di Dollfus dal 1966. Su Epimeteo sono presenti diversi crateri con diametri maggiori di 30 km, assieme a piccole e grandi creste e solchi. L'estesa craterizzazione indica che Epimeteo dovrebbe essere piuttosto antico. Potrebbe derivare, assieme a Giano, da un singolo corpo successivamente disgregatosi in due oggetti distinti; in questo caso la disgrezione deve essere avvenuta nella fase iniziale della formazione del sistema satellitare. Dalla sua densità molto bassa e dalla sua relativamente alta albedo, si pensa che si tratti di un corpo ghiacciato e poroso, tuttavia questi dati non sono certi, e devono essere confermati. Il polo sud mostra quelli che sembrano i resti di un grande cratere da impatto che copriva gran parte della superficie del satellite e che potrebbe spiegare la forma un po' appiattita della parte meridionale di Epimeteo. Sembra che ci siano due tipi di terreno: il primo scuro e liscio, il secondo più brillante, un po' più giallastro e fratturato. È possibile che il materiale più scuro sia scivolato lungo i pendii e che abbia un contenuto di ghiaccio inferiore al materiale più chiaro. Entrambi potrebbero comunque contenere ghiaccio d'acqua. Nella regione di spazio occupata da Epimeteo e Giano è presente un tenue anello di polveri, come è stato rivelato dalle immagini in luce diffusa diretta riprese dalla sonda Cassini nel 2006. Questo anello ha un diametro di circa 5.000 km. L'anello è formato dalle polveri emesse dalla superficie del satellite in seguito ad impatti meteoritici, polveri che vanno a formare un anello diffuso attorno al percorso orbitale. Le grandi lune interne di Saturno orbitano all'interno del suo tenue anello E, insieme con tre lune più piccole del gruppo Alcionidi. Le quattro grandi lune interne di Saturno sono:

  • Mimas (Μίμας in lingua greca), anche noto come Mima o Mimante, è uno dei principali satelliti naturali di Saturno. Con un diametro di 396 chilometri è il settimo satellite di Saturno e il ventunesimo del sistema solare per dimensione. Mimas è il corpo celeste più piccolo che si conosca ad avere forma sferica a causa del proprio campo di gravità. Mimas è la più piccola e meno massiccia delle quattro, anche se la sua massa è sufficiente a perturbare l'orbita di Metone. Ha una marcata forma ovoidale, essendo schiacciata ai poli e rigonfia all'equatore (di 20 km circa) per effetto della gravità di Saturno. Mimas ha un cratere da impatto largo un terzo del suo diametro, Herschel, situato nel suo emisfero anteriore. Mimas non ha attività geologica nel presente o nel passato, e la sua superficie è piena di crateri da impatto. Le uniche caratteristiche tettoniche conosciute sono alcune fossae arcuate e lineari, che probabilmente si formarono quando Mimas subì l'impatto di Herschel. Mimas venne scoperto il 17 settembre 1789 dall'astronomo tedesco William Herschel. Il satellite deve il suo nome al personaggio di Mimas, figlio di Gea secondo la mitologia greca; è anche designato Saturno I. Il nome di Mimas, come quelli degli altri sei satelliti di Saturno noti a metà del XIX secolo, fu suggerito da John Herschel, figlio dello scopritore, in una sua pubblicazione del 1847. Il nome Mimas (Mimante) era anche il nome del monte sul quale il filosofo Anassagora andava a stare in osservazione del cielo. Mimas è la più interna delle lune principali di Saturno: ha un semiasse maggiore di 185.539 km. Il suo periodo orbitale è pari a 0,942 giorni. Come la maggior parte delle lune di Saturno è in rotazione sincrona e volge quindi lo stesso emisfero verso Saturno. Mimas è responsabile della mancanza di materiale nella divisione di Cassini, poiché eventuali particelle che si trovassero ad orbitare in tale regione presenterebbero una risonanza orbitale 2:1 con esso (ovvero due rivoluzioni delle particelle corrisponderebbero esattamente a una rivoluzione di Mimas attorno a Saturno). La ripetizione periodica dell'influenza gravitazionale di Mimas porterebbe entro breve tempo ad una modifica dei parametri orbitali di tali particelle Mimas è anche in risonanza 2:1 con Teti, e in risonanza 2:3 con la piccola luna pastore dell'anello F, Pandora. La bassa densità di Mimas (1,17 volte quella dell'acqua) indica che è composto soprattutto da ghiaccio d'acqua, con solo una piccola quantità di roccia. A causa dell'attrazione mareale esercitata da Saturno, la forma di Mimas è quella di un ellissoide avente un asse maggiore circa il 10% più lungo di quello minore. La caratteristica più distintiva della sua superficie è un colossale cratere di impatto di 140 km di diametro, battezzato Herschel in omaggio allo scopritore di Mimas. Herschel si estende per circa un terzo del diametro dell'intero satellite; le sue pareti sono alte 5 km, in alcune parti è profondo fino a 10 km rispetto alla superficie circostante, e la sua vetta centrale si innalza per 6 km sopra la base del cratere. A titolo di confronto, un cratere terrestre che, in scala, fosse caratterizzato dalle stesse dimensioni di Herschel, avrebbe un diametro di 4.000 km (più largo del Canada). L'impatto che ha formato questo cratere ha quasi disgregato Mimas; sul lato opposto del satellite sono visibili alcune fratture causate dalle onde d'urto dell'impatto che hanno attraversato l'interno del corpo. La parte restante della superficie è ricca di crateri, sebbene nessuno si avvicini minimamente alla taglia di Herschel. La distribuzione dei crateri non è uniforme: la maggior parte delle zone equatoriali e tropicali è costellata di crateri più grandi di 40 km di diametro, mentre nella regione polare meridionale generalmente mancano crateri più grandi di 20 km. Questo suggerisce che qualche processo di natura geologica possa aver rimosso i crateri più significativi da tale regione.
  • Encelado (pronuncia /enˈʧɛlado/; in greco Ἐγκέλαδος) è un satellite naturale di Saturno, scoperto il 28 agosto 1789 da William Herschel. È il sesto satellite naturale di Saturno in ordine di grandezza. Encelado è dopo Mimas la seconda luna più piccola di Saturno di forma sferica. Tra le lune piccole di Saturno è al momento l'unica con attività endogena, oltre ad essere il più piccolo corpo conosciuto nel Sistema Solare geologicamente attivo oggi. La sua superficie è morfologicamente diversificata, avendo sia antichi terreni craterizzati che giovani zone lisce con pochi crateri da impatto. Su Encelado diverse pianure sono fratturate e intersecate da sistemi di lineamenti. Cassini ha scoperto che la zona intorno al polo sud è stranamente calda e tagliata da un sistema di fratture di 130 km circa di lunghezza chiamato "strisce di tigre", alcune delle quali emettono getti di vapore acqueo e polvere. Questi getti formano un esteso pennacchio sopra al polo sud, che inonda l'anello E di Saturno e costituisce la principale fonte di ioni della magnetosfera di Saturno. Il gas e la polvere vengono rilasciati a una velocità di oltre 100 kg/s. Encelado potrebbe avere acqua liquida sotto la superficie al polo sud. Si ritiene che la fonte di energia di questo criovulcanismo sia una risonanza di moto medio 2:1 con Dione. Il ghiaccio puro sulla superficie rende Encelado uno degli oggetti più brillanti del sistema solare, con un'albedo geometrica superiore al 140%. Fino al passaggio delle due sonde Voyager, all'inizio degli anni 1980, le caratteristiche di questo corpo celeste erano poco conosciute, a parte l'identificazione di ghiaccio d'acqua sulla superficie. Le sonde hanno mostrato che questo satellite ha un diametro di soli 500 km e riflette quasi il 100% della luce solare. La Voyager 1 ha permesso di scoprire che Encelado orbita nella regione più densa dell'anello E di Saturno mentre Voyager 2 ha rivelato che nonostante le sue piccole dimensioni il satellite presenta regioni che variano da superfici antiche con molti crateri da impatto a zone recenti datate circa 100 milioni di anni. Nel 2005, grazie a diversi voli ravvicinati della sonda Cassini, sono stati rivelati dettagli della superficie che hanno risposto a molte delle domande aperte dalle sonde Voyager e ne hanno poste di nuove. In particolare la sonda ha scoperto un pennacchio ricco d'acqua che si erge nella regione polare sud. Questa scoperta, assieme alla presenza di fuoriuscite di calore interno e di pochi crateri da impatto nel polo sud, indica che Encelado è attualmente geologicamente attivo. Le lune nei sistemi dei giganti gassosi sono spesso intrappolate in risonanze orbitali che comportano delle librazioni forzate o a eccentricità orbitali; la vicinanza con il pianeta madre può indurre inoltre il riscaldamento del satellite generato dalle forze mareali. Encelado è uno dei tre corpi celesti del sistema solare esterno (assieme alla luna Io di Giove e la luna Tritone di Nettuno) dove sono state osservate delle eruzioni attive. Le analisi dei gas emessi suggeriscono che siano stati generati da acqua liquida situata sotto la superficie. Assieme alle analisi chimiche del pennacchio, queste scoperte hanno alimentato le ipotesi che Encelado sia un importante soggetto di studio nel campo dell'esobiologia. Inoltre è stato suggerito che Encelado sia la fonte dei materiali dell'anello E. Il nome di questo satellite deriva dall'Encelado della mitologia greca. È designato anche Saturno II o II S Encelado. Il nome "Encelado", e i nomi di tutti i sette satelliti di Saturno allora conosciuti, furono suggeriti dal figlio di William Herschel, John Herschel, nella sua pubblicazione del 1847 sui risultati delle osservazioni astronomiche fatte a Capo di Buona Speranza. Fu scelto questo nome perché nella mitologia antica Saturno, noto anche come Crono, era il capo dei Titani. Le caratteristiche di Encelado hanno ricevuto il nome dalla IAU in base ai personaggi e i luoghi del libro Le mille e una notte. I crateri da impatto sono chiamati in base ai personaggi, mentre le altre strutture come Fossae (depressioni o fosse), Dorsa (creste), Planitiae (pianure) e Sulci (lunghe scanalature parallele) prendono la denominazione dei luoghi. Hanno ricevuto ufficialmente il nome dalla IAU 57 caratteristiche, di cui 22 dopo i sorvoli delle sonde Voyager e 35 nel novembre 2006 dopo i tre sorvoli della sonda Cassini del 2005. Alcuni dei nomi che sono stati conferiti sono Samarkand Sulci, il cratere Aladdin, Daryabar Fossa e Sarandib Planitia. Encelado è stato scoperto da Fredrick William Herschel il 28 agosto 1789, con l'uso del suo nuovo telescopio da 1,2 m, il più grande del mondo in quel tempo. Herschel ha osservato per la prima volta questo satellite nel 1787, ma non lo riconobbe con il suo piccolo telescopio da 16,5 cm di apertura. La debole magnitudine (circa +11,7) e la sua vicinanza al brillante Saturno e ai suoi anelli, rendono difficile l'osservazione di Encelado dalla Terra e richiede un telescopio con un'apertura di 15-30 cm, a seconda delle condizioni atmosferiche e dell'inquinamento luminoso della zona di osservazione. Come molti satelliti di Saturno scoperti prima dell'era spaziale, venne osservato per la prima volta quando gli anelli di Saturno sono posizionati "di taglio" rispetto alla Terra, ovvero quando il nostro pianeta è all'interno del piano degli anelli durante l'equinozio del gigante gassoso. In questi periodi la luminosità degli anelli è ridotta e facilita l'osservazione di Encelado. Prima del programma Voyager, sono stati compiuti pochi miglioramenti nella visione del satellite rispetto al punto luminoso visto da Herschel ed è stato possibile stimare solo le caratteristiche orbitali, la massa, la densità e l'albedo. Le prime immagini ravvicinate sono state ottenute dalle sonde Voyager. Voyager 1 è stata la prima a sorvolare il satellite a una distanza di 202000 km il 12 novembre 1980. Le immagini acquisite da questa distanza hanno una risoluzione spaziale bassa ma hanno rivelato una superficie altamente riflettente priva di crateri da impatto, che ne ha suggerito un'età relativamente recente. Voyager 1 confermò anche che Encelado è circondato dalla regione a maggiore densità dell'anello E di Saturno. In combinazione con la recente formazione della superficie, gli scienziati hanno dedotto che l'anello E si sarebbe generato dalle particelle emesse dalla superficie del satellite. La Voyager 2 ha sorvolato Encelado da una distanza inferiore (87010 km) il 26 agosto 1981, cosa che ha permesso la ripresa di immagini a risoluzione superiore. Esse hanno rivelato la giovane natura della sua superficie. La superficie presenta diverse regioni con differenti età, tra cui una zona a latitudini medio-alte con molti crateri e un'altra con pochi crateri vicino all'equatore. Questa diversità geologica contrasta con la superficie antica e coperta di crateri di Mimas, un altro satellite di Saturno con dimensioni leggermente inferiori. La giovane epoca di formazione geologica fu una grande sorpresa per la comunità scientifica, poiché nessuna teoria era in grado di spiegare come un corpo celeste così piccolo (e freddo, paragonato a Io) poteva avere segni di una tale attività. Tuttavia Voyager 2 non riuscì a determinare se Encelado era attivo oppure se era la sorgente dei materiali dell'anello E. La risposta a questi e altri interrogativi ha dovuto attendere fino all'arrivo della sonda Cassini che entrò in orbita di Saturno il 1º luglio 2004. Dati i risultati ricavati dalla sonda Voyager 2, Encelado venne considerato una priorità nelle indagini di Cassini e vennero pianificati diversi sorvoli ravvicinati entro 1500 km di distanza e vari sorvoli "di opportunità" a una distanza inferiore a 100000 km. I sorvoli già compiuti hanno rivelato importanti informazioni sulla superficie, come la scoperta di vapore acqueo che si sprigiona dalla regione polare sud. Queste scoperte hanno imposto delle correzioni del piano di volo della sonda per effettuare sorvoli più ravvicinati. Encelado è uno dei più grandi satelliti interni di Saturno, il quattordicesimo in ordine di distanza, e orbita all'interno dell'anello E, il più esterno di Saturno. La distanza dal centro del pianeta madre è di 238000 km e di 180000 km dal confine dell'atmosfera, tra le orbite di Mimas e Teti. L'orbita richiede 32,9 ore per effettuare una rotazione (l'orbita è sufficientemente veloce per rendere osservabile il movimento del satellite durante una singola notte). La risonanza orbitale è in rapporto di 2:1 con quella di Dione, compiendo due orbite per ogni orbita effettuata da Dione. Questa risonanza aiuta a mantenere l'eccentricità orbitale di 0,0047 e fornisce l'energia per l'attività geologica. Come molti dei satelliti maggiori di Saturno, ha una rotazione sincrona con il periodo orbitale, mantenendo una faccia puntata sempre verso Saturno. A differenza della Luna, Encelado non sembra possedere un movimento di librazione attorno al suo asse di rotazione; tuttavia le analisi della forma di questo corpo celeste suggeriscono che in qualche momento abbia posseduto una librazione forzata. Essa potrebbe aver costituito un'ulteriore fonte di energia. L'anello E è il più esterno ed esteso tra gli anelli di Saturno. Costituito da materiali microscopici composti da polvere e ghiaccio, si estende dall'orbita di Mimas e Teti, anche se alcune osservazioni suggeriscono che possa estendersi oltre l'orbita di Titano, con una larghezza di 1000000 km. I modelli matematici hanno tuttavia mostrato che un tale anello sarebbe instabile, e avrebbe una vita compresa tra 10 000 e 1 000 000 di anni. Per questo motivo dovrebbe essere costantemente rifornito di particelle. Encelado orbita all'interno di questo anello, nel punto dove è più stretto ma possiede maggiore densità, ed è stato ipotizzato che sia la fonte principale delle particelle dell'anello. Questa ipotesi è stata confermata da un sorvolo della sonda Cassini. Ci sono di fatto due meccanismi che riforniscono l'anello con le particelle: la prima, e probabilmente la più importante fonte di materiali proviene dal pennacchio criovulcanico nella regione polare sud, siccome la velocità di fuga del satellite è bassa (solo 866 km/h). Il secondo meccanismo proviene dal bombardamento meteorico del satellite che solleva particelle di polvere dalla superficie. Questo fenomeno non è unico, ma è presente per tutte le lune di Saturno che orbitano all'interno dell'anello E. Encelado è un satellite relativamente piccolo, con un diametro medio di 505 km, solo un settimo del diametro della Luna. La massa e le dimensioni lo rendono il sesto satellite più grande di Saturno dopo Titano (5 150 km), Rea (1 530 km), Giapeto (1 440 km), Dione (1 120 km) e Teti (1 050 km), oltre a essere uno dei più piccoli satelliti di forma sferica. La forma è di un ellissoide schiacciato e le dimensioni (calcolate dalle immagini riprese dagli strumenti della sonda Cassini) sono di 513(a)×503(b)×497(c) km dove (a) corrisponde al diametro in direzione di Saturno, (b) al diametro tra il polo più lontano e il più vicino lungo l'orbita e (c) alla distanza tra i poli nord e sud. Almeno cinque tipi diversi di terreno sono stati identificati su Encelado. Oltre ai crateri, ci sono pianure lisce, estese fessure lineari e catene montuose. Una parte della superficie è relativamente giovane, probabilmente meno di 100 milioni di anni. Questo significa che Encelado è stato recentemente attivo con qualche tipo di criovulcanismo o altro processo di rinnovamento della superficie. Il recente e pulito ghiaccio che domina la sua superficie dà a Encelado l'albedo più alto di qualunque altro corpo nel sistema solare, 0,99[17]. Poiché riflette così tanta luce solare, la temperatura di superficie media è di soli -201 °C. Encelado è troppo piccolo per essere ancora scaldato dal decadimento radioattivo al suo interno. Encelado è in risonanza orbitale 2:1 con Dione, in modo simile a ciò che accade tra Io ed Europa, e questo può offrire un meccanismo di riscaldamento mareale; tuttavia è probabilmente insufficiente per sciogliere il ghiaccio d'acqua. Perciò Encelado potrebbe essere composto di qualche materiale con punto di fusione più basso, invece che dall'acqua pura, sebbene nessuna traccia di tale materiale è stata finora trovata dal VIMS (Spettrometro visuale e infrarosso) della Cassini. Comunque ci sono fessure, pianure, terreno corrugato e altre deformazioni della crosta che indicano che l'interno della luna può essere liquido, anche se sarebbe dovuto gelare miliardi di anni fa. Le osservazioni effettuate nel 2005 dalla sonda Cassini hanno rivelato ulteriori caratteristiche della superficie, ad esempio le pianure lisce osservate dalla Voyager 2 sono state riprese a una maggiore risoluzione, rivelando delle regioni relativamente libere da crateri che presentano molte piccole creste e scarpate. Inoltre, le diverse fratture all'interno delle regioni più antiche e ricoperte di crateri hanno suggerito che la superficie deve essere stata soggetta a deformazioni successive alla formazione dei crateri e sono state scoperte diverse aree in parti del satellite che non erano state riprese dalla sonda Voyager, tra cui lo strano terreno presente vicino al polo sud. I crateri da impatto sono comuni in molti corpi del sistema solare. Gran parte della superficie di Encelado presenta crateri. Dai dati della Voyager sono stati identificate tre diverse unità geologiche nella topografia dei crateri in base alla densità dei crateri stessi, da ct1 e ct2 che contengono crateri di diametro variabile tra i 10 e 20 km e diversi gradi di degradazione a cp che si riferisce a pianure caratterizzate da pochi crateri. Questa suddivisione suggerisce che Encelado ha rinnovato la sua superficie durante diverse fasi.Le osservazioni più recenti della Cassini hanno permesso uno sguardo più approfondito alle unità ct2 e cp. Queste osservazioni, rivelano che molti crateri di Encelado sono stati fortemente deformati attraverso delle fratture e dei rilassamenti viscosi (Viscous relaxation). Questi ultimi provocano la deformazione di strutture geologiche come i crateri che si sono formati sul ghiaccio d'acqua durante periodi geologici a causa degli effetti gravitazionali. I crateri che subiscono questo effetto tendono ad avere il fondo a forma di cupola o sono costituiti solo dal rialzamento del bordo circolare dalla superficie. Il grande cratere Dunyazad è un primo esempio di questo fenomeno e presenta un fondo a forma di cupola. Inoltre molti altri crateri sono stati modificati dalle fratture tettoniche: le fratture sono larghe da diversi centinaia di metri fino a un chilometro e hanno alterato pesantemente il bordo e il fondo del cratere. Quasi tutti i crateri di Encelado ripresi dalla sonda Cassini nella unità geologica ct2 mostrano segni di deformazione tettonica. Queste due deformazioni dimostrano che, mentre i terreni che presentano molti crateri sono regioni più antiche, quasi tutti i crateri sono in qualche fase di degradazione. La Voyager 2 ha rilevato diversi fenomeni geologici, e le analisi più recenti suggeriscono che il tipo di deformazione predominante è quello della tettonica a zolle. Uno degli esempi più significativi è costituito da canyon che raggiungono i 200 km di lunghezza, da 5 a 10 km di larghezza e un chilometro di profondità. Un ulteriore esempio è un tipo di terreno scanalato costituito da scanalature e creste curvilinee. Queste bande, scoperte dalla Voyager 2 spesso separano le pianure lisce dalle regioni ricoperte da crateri. Queste aree ricordano dei fenomeni analoghi presenti su Ganimede, anche se su Encelado la topografia appare più complessa: invece di essere rettilinee, queste strisce di terreno appaiono come bande allineate in modo rozzo e a volte sembrano piegarsi verso l'alto con fratture e creste che scorrono lungo la loro lunghezza. Oltre alle fratture profonde e i terreni scanalati, Encelado presenta altri tipi di terreni: fratture più strette (larghe qualche centinaia di metri) che sono state scoperte per la prima volta dalla sonda Cassini. Queste fratture sono state osservate in bande che tagliano dei terreni con molti crateri, con profondità di qualche centinaio di metri. Molte sembrano essere state influenzate durante la loro formazione dalla friabile regolite prodotta dai crateri da impatti. Alcune scanalature lineari osservate dalla Voyager sono state riprese a una risoluzione maggiore e scorrono da nord verso sud. Su Encelado sono state anche osservate delle creste, anche se non si estendono come quelle presenti su Europa. Le prime pianure lisce osservate dalla Voyager 2 erano caratterizzate da bassi rilievi e pochi crateri, particolari che indicano un'età relativamente recente. In una di esse, chiamata Sarandib Planitia, non sono visibili crateri da impatto, mentre a sudovest si trovano delle scarpate. Si è notato che queste pianure sono ricoperte da creste basse e fratture. Queste caratteristiche sono interpretate come l'effetto di deformazioni dette sforzi di taglio. Le immagini ad alta risoluzione di Sarandib Planitia hanno rivelato inoltre piccoli crateri, che permettono di stimare l'età in 170 milioni di anni o 3,7 miliardi di anni, a seconda della popolazione degli oggetti impattatori. La maggiore copertura fornita dalla Cassini ha permesso l'identificazione di ulteriori regioni dove sono presenti aree lisce e piane, in particolare sull'emisfero anteriore (il lato del satellite che è diretto verso il moto mentre il corpo celeste orbita attorno a Saturno). Queste nuove zone non presentano basse creste ma numerose fosse e creste che si incrociano similmente alla regione polare sud. Quest'area è nell'emisfero opposto rispetto alle pianure Sarandib e Diyar, quindi queste regioni potrebbero essere state influenzate dagli effetti di marea provocati da Saturno. Il 14 luglio 2005 sono state riprese immagini che rivelavano una regione deformata circondante il polo sud di Encelado. Questa area, che raggiunge a nord la latitudine di 60° sud, è coperta da fratture e creste, con pochi crateri. Si pensa che sia la regione più giovane del satellite e di tutte le altre lune ghiacciate di dimensioni medie: i modelli riguardanti il tasso di crateri suggeriscono che l'età sia inferiore a 10-100 milioni di anni. Vicino al centro sono presenti quattro fratture chiamate Tiger stripes limitate da creste su entrambe le estremità. Queste fratture sembrano le strutture più giovani della regione e sono circondate da ghiaccio d'acqua a grani grezzi, che in falsi colori è di colore verde menta, che è stato osservato in altri punti della superficie all'interno di affioramenti e fratture. La regione è sufficientemente giovane da non essere stata ricoperta dal ghiaccio a grani fini proveniente dall'anello E. I risultati spettrografici indicano che il materiale di colore verde presente in questa regione è distinto chimicamente dal resto dei materiali presenti sulla superficie. Infatti è stato rilevato ghiaccio cristallino, che potrebbe essere molto recente (inferiore a 1 000 anni) oppure alterato termicamente nel recente passato. Sono stati rilevati anche composti organici semplici nella regione, che non sono stati finora trovati in nessun altro satellite. I confini della regione polare sud sono contrassegnati da una serie di valli e creste parallele a forma di Y o di V. La forma, l'orientamento e la posizione di queste strutture indicano che sono state generate dal cambiamenti globali della forma di Enceladus. Attualmente sono state formulate due teorie che possono spiegare una tale modifica della superficie. La prima teoria indica che l'orbita potrebbe essere stata postata verso l'interno, aumentando la velocità di rotazione, e provocando l'appiattimento lungo l'asse di rotazione di Encelado. Una seconda ipotesi suggerisce che un eventuale spostamento verso l'alto di una massa di materiale caldo e a bassa densità all'interno del satellite potrebbe aver spostato la regione che si trovava alle latitudini medie verso la regione polare. Una conseguenza della teoria dell'appiattimento lungo l'asse è che entrambe le regioni polari dovrebbero avere lo stesso andamento di deformazione, tuttavia la regione polare nord presenta molti crateri e ha un'età molto superiore a quella del polo sud. Questo potrebbe essere spiegato da variazioni nello spessore della litosfera, supportate dalle correlazioni tra le discontinuità a forma di Y e le cuspidi a forma di V lungo la regione polare sud. Le discontinuità a forma di Y e le fratture che sono state provocate dalla tensione lungo la direzione nord sud sono correlate con il terreno di età minore con una litosfera più sottile. Le cuspidi a forma di V sono adiacenti a terreni più antichi e contenenti più crateri. A seguito dei sorvoli della Voyager nei primi anni 1980, gli scienziati ipotizzarono che la luna poteva essere geologicamente attiva, a causa della sua superficie giovane e riflettente e la sua posizione all'interno dell'anello E. Basandosi sulla connessione tra Encelado e l'anello E, si pensò che Encelado fosse la fonte dei materiali dell'anello, forse attraverso emissioni di vapore acqueo dall'interno del satellite. Tuttavia le sonde Voyager non riuscirono a trovare delle prove definitive. I dati forniti dai numerosi strumenti della sonda Cassini hanno permesso di rilevare nel 2005 fenomeni di criovulcanismo. In questi fenomeni i materiali eruttati sono acqua e altri elementi volatili, invece di magma. Dalle immagini riprese tra gennaio e febbraio dalla sonda Cassini venne osservato infatti un pennacchio di particelle ghiacciate dal polo sud del satellite, anche se in un primo momento venne ipotizzata la presenza di un artefatto sull'immagine. I dati provenienti dai magnetometri fornirono un indizio che il fenomeno potesse essere reale quando trovarono i segni di un'atmosfera su Encelado. Il magnetometro infatti registrò un aumento dell'energia delle onde elettrostatiche degli ioni nei pressi di Encelado. Queste onde sono prodotte dall'interazione delle particelle ionizzate con i campi magnetici e la loro frequenza può essere usata per identificare la composizione, che in questo caso era vapore acqueo. Durante i successivi due incontri, il team scientifico determinò che i gas nell'atmosfera del satellite erano concentrati nella regione polare sud, con una densità atmosferica che scendeva man mano che ci si allontanava dal polo. Lo spettrografo a ultravioletti ha confermato questo risultato osservando sue occultazioni stellari durante i sorvoli del 17 febbraio e del 14 luglio. A differenza dei magnetometri, quest'ultimo strumento non ha rilevato l'atmosfera durante il sorvolo di febbraio ma ha invece rilevato vapore acqueo sopra la regione polare sud a luglio. Fortuitamente, la sonda ha volato attraverso questa nube di gas durante l'incontro di luglio permettendo l'analisi diretta da parte degli strumenti Ion and Neutral Mass Spectrometer (INMS) e il Cosmic Dust Analyser (CDA). Mentre il primo ha misurato la composizione dei gas, rilevando per la maggior parte vapore acqueo assieme a elementi minori come azoto, metano e anidride carbonica[30], il Cosmic Dust Analyzer ha rilevato un notevole incremento del numero di particelle attorno a Encelado, confermando che la luna è la fonte primaria dei materiali dell'anello E. Le analisi dei due strumenti hanno suggerito che la nube di gas attraversata dalla sonda era in realtà un pennacchio criovulcanico ricco d'acqua proveniente dalla regione polare. A novembre 2005 è giunta la conferma visuale dell'emanazione delle particelle, quando la sonda ha ripreso un pennacchio di particelle ghiacciate mentre fuoriusciva dalla regione polare sud (un pennacchio era stato ripreso in precedenza, ma per la conferma definitiva erano necessarie ulteriori analisi). Queste immagini mostrano la struttura del pennacchio e rivelano numerosi getti (forse generati da diversi punti di emissione) all'interno di una componente più debole e diffusa che si estende a circa 500 km dalla superficie, rendendo Encelado il quarto corpo del sistema solare con attività vulcanica confermata (assieme alla Terra, a Tritone e Io). L'analisi combinata delle immagini, della spettrografia di massa e di dati magnetosferici hanno suggerito che il pennacchio viene emanato da camere pressurizzate sottosuperficiali, analogamente ai geyser terrestri. Poiché non è stata rilevata ammoniaca nei materiali espulsi, che poteva fungere da anticongelante, le camere pressurizzate potrebbero essere costituite da acqua pura liquida a una temperatura di 270 K. L'acqua pura richiederebbe più energia per fondere, proveniente da forze mareali o sorgenti radiogeniche, rispetto a un misto di acqua e ammoniaca. Un altro metodo possibile per generare un tale fenomeno è attraverso la sublimazione di ghiaccio superficiale. Il 14 luglio 2005 il Composite Infrared Spectrometer (CIRS) ha rilevato una regione calda vicino al polo sud, con temperature attorno agli 85-90 K e delle piccole aree che raggiungevano i 157 K. Queste temperature sono troppo elevate per essere causate dal riscaldamento solare, quindi alcune zone della regione polare sono riscaldate dall'interno del satellite. In tali condizioni il ghiaccio è caldo a sufficienza per sublimare a una velocità superiore rispetto alla superficie, generando un pennacchio. Lo strato sottosuperficiale che riscalda il ghiaccio di superficie potrebbe essere una fanghiglia mista di acqua e ammoniaca a temperature di 170 K, che richiederebbe meno energia per produrre il getto. Tuttavia, l'abbondanza di particelle nei pennacchi favorisce il modello a "geyser freddo", invece del modello della sublimazione del ghiaccio. In alternativa, Kieffer et al. (2006) ha suggerito che i geyser potrebbero essere generati da clatrati idrati, dove anidride carbonica, metano e idrogeno vengono rilasciati quando sono esposti al vuoto dello spazio dalle fratture. Questa ipotesi non richiederebbe l'energia per sciogliere il ghiaccio richiesta dal modello a "geyser freddo", e spiegherebbe anche la mancanza di ammoniaca. Nel gennaio del 2020 un team di scienziati guidati da Christopher Glein dello Southwest Research Institute (SwRI) ha fornito nuovi indizi sulla possibile presenza di vita nell'oceano nascosto di Encelado. Basandosi sull'analisi dei dati provenienti dalla sonda Cassini, gli studiosi hanno evidenziato come l'anidride carbonica presente nei geyser potrebbe derivare dalle reazioni chimiche che avvengono tra il nucleo roccioso della luna e l'acqua dell'oceano. Sempre nei geyser è stata identificata la presenza di silice e idrogeno molecolare, spie della presenza di sorgenti idrotermali sul fondale. Nel marzo del 2005 la NASA ha annunciato che un magnetometro sull'orbiter della sonda spaziale Cassini ha scoperto un'atmosfera significativa su Encelado, che potrebbe essere vapore acqueo ionizzato. Nel 2006 la NASA ha confermato l'osservazione di sbuffi di vapore d'acqua dalla superficie del satellite: si tratta della prima osservazione certa di acqua non ghiacciata al di fuori della Terra. La Cassini ha compiuto un primo fly-by il 17 febbraio 2005, un secondo e più ravvicinato il 9 marzo 2005. Poiché la gravità di Encelado è troppo debole per trattenere un'atmosfera, essa deve essere rifornita da qualche fonte, la Nasa ha ipotizzato vulcani di ghiaccio o geyser. Sebbene l'atmosfera è stata descritta dai suoi scopritori come "significativa", la definizione è valida solamente se paragonata alle altre lune ghiacciate; l'atmosfera di Encelado è milioni di volte più sottile di quella della Terra, ed è invisibile alla Cassini. Prima della missione Cassini-Huygens era poco nota la struttura interna di Encelado, ma i recenti sorvoli della sonda hanno fornito varie informazioni per modellare l'interno del satellite, tra cui una migliore misurazione della massa e della forma tridimensionale dell'ellissoide, le osservazioni ad alta risoluzione della superficie e nuove scoperte nella geochimica del corpo celeste. Le stime della massa effettuate dalle sonde Voyager suggerivano che Encelado fosse costituito quasi interamente di ghiaccio. In base agli effetti gravitazionali sulla sonda Cassini è stata stimata una massa molto superiore rispetto ai dati precedenti, ricavando una densità di circa 1,61 g/cm3. Questo dato è superiore a quello delle altre lune ghiacciate di media dimensione di Saturno, indicando che Encelado possiede una percentuale superiore di silicati e ferro. Ne consegue che l'interno del satellite potrebbe aver generato una maggiore quantità di calore dal decadimento degli elementi radioattivi. Castillo et al. 2005 suggerì che Giapeto e le altre lune ghiacciate di Saturno si siano formate velocemente dopo la formazione della nebulosa saturniana e quindi ricche di radionuclei con vita breve. Questi, come l'alluminio-26 e il ferro-60 hanno un tempo di dimezzamento breve e producono calore in un tempo relativamente breve. Senza questi radionuclei brevi, l'ammontare di radionuclei a vita lunga non sarebbe stato sufficiente per evitare il congelamento rapido dell'interno, anche considerando la maggiore massa. Data la frazione relativamente elevata della massa composta di roccia, l'arricchimento di 26Al e 60Fe avrebbe generato un corpo celeste con un mantello ghiacciato e un nucleo planetario roccioso. Il successivo riscaldamento dovuto agli effetti di marea e dalla radioattività avrebbe innalzato la temperatura del nucleo fino a 1 000 K, sufficiente a fondere il mantello interno. Tuttavia si sarebbe fuso anche parte del nucleo, formando delle camere magmatiche che si sarebbero modificate sotto la pressione gravitazionale di Saturno. Il riscaldamento da marea, come quello generato dalla risonanza con Dione o dalla librazione avrebbe sostenuto questi punti caldi fino a oggi e avrebbe fornito energia per le attività geologiche. Sul finire del 2008, gli scienziati hanno osservato pennacchi di vapore acqueo fuoriuscire dalla superficie di Encelado, dirigendosi poi verso Saturno. Questo fenomeno potrebbe essere dovuto alla presenza di acqua liquida, e ciò significa che Encelado potrebbe essere in grado di supportare la vita. Candice Hansen, una ricercatrice del Jet Propulsion Laboratory, ha diretto un gruppo di ricerca sui pennacchi dopo che è stato scoperto che questi raggiungono la velocità di circa 2 189 km/h. Siccome tale velocità è difficile da ottenere se non sono coinvolti liquidi, è stato deciso di investigarne la composizione. Si è scoperto così che nell'anello E circa il 6% delle particelle contiene una quantità significativa di sali di sodio, lo 0,5-2% in massa. Nella regione dei getti vicina a Encelado la frazione delle particelle "salate" aumenta del 70% in numero e più del 99% in massa. Queste particelle sono presumebilmente spray ghiacciato proveniente dall'oceano salato nel sottosuolo, mentre le particelle povere di sale si formano per nucleazione omogenea direttamente dalla fase gassosa. Le sorgenti delle particelle salate sono distribuite uniformemente lungo le "tiger stripes", mentre le sorgenti delle particelle più "dolci" sono collegate ai getti ad alta velocità. Le particelle "salate" si muovono lentamente e per la gran parte ricadono sulla superficie della luna, al contrario di quelle più "dolci", che essendo più veloci fuggono verso l'anello E, spiegando così la sua composizione debolmente salata. La composizione dei pennacchi suggerisce che la loro origine sia un oceano salato sotto la superficie, o comunque una serie di cavità contenenti acqua salata. Ipotesi alternative, quali la sublimazione dei clatrati idrati, non spiegano la formazione delle particelle salate. In aggiunta, Cassini ha trovato tracce di componenti organici in alcuni granelli di polvere, Encelado potrebbe quindi ospitare vita extraterrestre. La presenza di acqua liquida al di sotto della crosta implica che ci sia una sorgente di calore interna per mantenerla in tale stato: si pensa sia una combinazione tra il decadimento radioattivo e il riscaldamento mareale, in quanto quest'ultimo da solo non è sufficiente per spiegare tutto il calore. Mimas, un'altra della lune di Saturno, è più vicina al pianeta e ha un'orbita più eccentrica, e di conseguenza dovrebbe essere sottoposta a forze mareali maggiori di quelle di Encelado, ma la sua superficie vecchia e segnata implica che sia geologicamente morta. Nell'aprile del 2014 è apparsa la notizia su Science che nuove prove sono emerse a sostegno dell'ipotesi dell'oceano di acqua liquida sotto la superficie ghiacciata. Da studi effettuati sulle analisi gravitazionali effettuate dalla sonda Cassini gli astronomi affermano che esiste nell'emisfero meridionale del pianeta un oceano 30-40 km sotto lo strato superficiale di ghiaccio, profondo 8 km e la cui massa totale è paragonabile a quella del Lago Superiore della Terra. Come il nucleo della luna, il fondale marino potrebbe essere roccioso, e questo creerebbe un ambiente favorevole ad alcune forme di vita. I dati della navicella spaziale Cassini hanno rivelato complesse molecole organiche provenienti da Encelado, rafforzando l'idea che questo mondo oceanico ospiti condizioni adatte alla vita. Potenti bocche idrotermali mescolerebbero il materiale proveniente dal nucleo poroso pieno d'acqua della luna con l'acqua proveniente dal suo oceano sottosuperficiale. Tale materiale viene rilasciato nello spazio, sotto forma di vapore acqueo e grani di ghiaccio. Visto da un ipotetico osservatore sulla superficie di Encelado, Saturno avrebbe un diametro visibile di almeno 30°, sessanta volte più grande di quello della Luna vista dalla Terra. Siccome la rotazione di Encelado è sincrona con il periodo orbitale e quindi mantiene sempre una faccia rivolta verso Saturno, il gigante gassoso non si sposterebbe mai nel cielo di Encelado (e sarebbe sempre invisibile dal lato opposto). Gli anelli sarebbero visti da un angolo di soli 0,019° e apparirebbero come una linea stretta e luminosa che attraversa il disco di Saturno, con un'ombra chiaramente visibile. Come per la Luna, Saturno possiederebbe delle fasi, variando dalla fase piena alla fase nuova in circa 16 ore. Dal satellite il Sole avrebbe un diametro di soli 3,5 minuti d'arco, nove volte più piccolo rispetto alla Luna vista dalla Terra. Un osservatore potrebbe vedere la luna Mimas transitare su Saturno circa ogni 72 ore, con un diametro massimo di circa 26 minuti d'arco, circa lo stesso della Luna terrestre. Le lune Pallene e Metone apparirebbero invece puntiformi, mentre Teti raggiungerebbe una dimensione massima di un grado di arco (il doppio della Luna), ma sarebbe visibile solo dalla faccia non rivolta verso Saturno.
  • Teti (dal greco Τηθύς), anche chiamato Saturno III, è un satellite naturale di Saturno scoperto da Giovanni Domenico Cassini il 21 marzo del 1684. Le sue caratteristiche più importanti sono un grande (400 km di diametro) cratere da impatto, il cratere Odisseo, nel suo emisfero anteriore e un vasto sistema di canyon denominato Ithaca Chasma che si estende per almeno 270° attorno a Teti. Ithaca Chasma è concentrico a Odisseo, il che fa ritenere che queste due caratteristiche possano essere correlate. Teti non sembra avere in corso alcuna attività geologica. Un terreno collinare craterizzato occupa la maggior parte della sua superficie, mentre una regione più piccola e più liscia formata da pianure si trova nell'emisfero opposto a quello di Odisseo. Le pianure contengono meno crateri e sono apparentemente più giovani. Un confine netto le separa dalla zona craterizzata. Vi è anche un sistema di fossae estese che si irradiano da Odisseo. La densità di Teti (0,985 g/cm³) è inferiore a quella dell'acqua, ad indicare che è fatto principalmente di ghiaccio d'acqua con soltanto una piccola frazione di roccia. Il nome Teti deriva dalla dea greca Teti (Τηθύς), una titanessa (non va confusa con la ninfa nereide Teti - Θέτις -, la madre di Achille). Cassini chiamò i quattro satelliti da lui scoperti (Teti, Dione, Rea e Giapeto) Sidera Lodoicea ("le stelle di Luigi") in onore al re Luigi XIV. I nomi dei sette satelliti di Saturno allora conosciuti derivano dalla pubblicazione Results of Astronomical Observations made at the Cape of Good Hope di John Herschel nel 1847 (figlio di William Herschel, scopritore di Mimas ed Encelado), dove suggeriva l'uso dei nomi dei Titani, fratelli e sorelle di Crono (il nome greco del dio Saturno). Teti è un corpo ghiacciato di composizione simile a Dione e Rea. La sua densità di 0,97 g/cm³ indica che è composto quasi interamente di ghiaccio d'acqua. La superficie di Teti è fortemente craterizzata e contiene numerose crepe causate dalle fratture nel ghiaccio. Su Teti sono presenti due tipi di terreni, uno composto da regioni con molti crateri e l'altro di colore scuro e contenente una cintura leggermente craterizzata che si estende attorno alla luna. Questa seconda regione indica che Teti fu internamente attiva nel passato. L'emisfero occidentale di Teti è dominato da un enorme cratere da impatto chiamato Odisseo, il cui diametro di 400 km è circa 2/5 di Teti stessa. Questo cratere è quasi piatto (o, più precisamente, conforme alla forma sferica del satellite), come i crateri su Callisto e senza le alte montagne ad anello o picchi centrali che sono presenti sulla Luna e su Mercurio. Questa caratteristica è probabilmente causata dal cedimento della debole crosta ghiacciata di Teti poco dopo la sua formazione. La seconda struttura principale del satellite è un'enorme valle chiamata Ithaca Chasma. La temperatura superficiale è di circa −187 °C. Nei punti di Lagrange L4 e L5 di Teti sono presenti le lune co-orbitali Telesto e Calipso. La prima sonda che si avvicinò a Teti fu il Pioneer 11, che passò a 329197 km dalla luna il 1º settembre 1979, mentre un anno più tardi, il Voyager I il 12 novembre 1980 si avvicinò a Teti fino a 415 670 km, ma molto più vicino passò la sonda gemella, il Voyager 2, che alla distanza di 93 000 km riprese le migliori foto delle missioni Voyager, rilevando particolari con una risoluzione di 2 km. La sonda Cassini effettuò vari flyby di Teti, il più vicino dei quali avvenne il 23 settembre 2005 quando si avvicinò alla luna fino a 1503 km. Successivi incontri avvicinati avvennero in seguito, tra cui uno nel 2012 alla distanza di 9100 km. Durante la sua missione Cassini ha mappato la superficie di Teti con una risoluzione di 0,29 km.
  • Dione (pron. [diˈone]) è un satellite naturale del pianeta Saturno, il quarto per dimensioni, dopo Titano, Rea e Giapeto . Esso ha una densità maggiore di quella della geologicamente inattiva Rea, la luna interna più grande, ma minore di quella dell'attivo Encelado. Mentre la maggior parte della superficie di Dione è occupata da antico terreno craterizzato, vi è anche una vasta rete di depressioni e di lineamenti, ad indicare che in passato vi è stata un'attività tettonica a livello globale. Le depressioni e i lineamenti sono notevoli soprattutto nell'emisfero posteriore, con diversi gruppi di fratture che si intersecano. Nelle pianure ci sono alcuni crateri da impatto che raggiungono i 250 km di diametro. Pianure lisce con pochi crateri da impatto sono presenti su una piccola parte della sua superficie. Probabilmente erano tettonicamente riemerse relativamente tardi nella storia geologica di Dione. In due zone nell'area delle pianure lisce, sono state individuate strane formazioni (depressioni) che assomigliano a crateri da impatto oblunghi, entrambe situate presso i centri da cui si irradiano le reti di crepe e di avvallamenti; queste caratteristiche possono essere di origine criovulcanica. Dione potrebbe essere geologicamente attiva anche oggi, sebbene in misura nettamente minore rispetto al criovulcanismo di Encelado. Ciò emerge da misurazioni magnetiche di Cassini che mostrano che Dione è una fonte di plasma nella magnetosfera di Saturno, molto simile a Encelado. Cassini, che oltre a Dione aveva scoperto Teti, Rea e Giapeto, chiamò i nuovi corpi celesti satelliti lodicei, in onore di Luigi XIV, senza specificare alcun nome per ognuno di essi; gli astronomi presero così l'abitudine di riferirsi a loro e a Titano, già noto in precedenza, come Saturno 1, 2, ..., fino a Saturno 5. Quando nel 1789 vennero scoperti Mimante ed Encelado lo schema di numerazione fu esteso fino a Saturno 7. I nomi attuali dei satelliti naturali di Saturno furono suggeriti da John Herschel (figlio di William Herschel, scopritore di Mimante ed Encelado) in una sua pubblicazione del 1847, dove suggerì di adottare i nomi dei titani e delle titanidi, i fratelli e le sorelle di Crono secondo la mitologia greca (nella quale Crono corrisponde alla divinità romana Saturno). Dione orbita attorno a Saturno in 2,74 giorni; il semiasse maggiore della sua orbita, di 377396 km, è circa il 2% inferiore a quello della Luna attorno alla Terra. Data la maggior massa di Saturno, il periodo orbitale di Dione è comunque solo un decimo di quello della Luna. Dione è in risonanza orbitale 1:2 con Encelado, ossia completa un'orbita attorno a Saturno mentre Encelado ne completa due. Questa risonanza contribuisce a mantenere l'eccentricità orbitale di Encelado (0,0047), fornendo una fonte di calore per una vasta attività geologica di quest'ultimo, che presenta una rilevante attività criovulcanica sulla sua superficie. Dione ha due satelliti co-orbitali, o troiani, Elena e Polluce. Essi si trovano all'interno dei punti lagrangiani L4 e L5 di Dione, rispettivamente 60 gradi davanti e dietro a Dione. Come gli altri maggiori satelliti di Saturno, Dione è in rotazione sincrona e volge sempre la stessa faccia al pianeta. Dione è composto principalmente di ghiaccio d'acqua.Infatti nasconde un oceano di acqua a una profondità di circa 100 km. Ma trattandosi del più denso fra i satelliti naturali di Saturno (a parte Titano) si ritiene comunemente che al suo interno sia presente una quantità considerevole di materiale più denso, come ad esempio silicati, che costituiscono circa un terzo della massa del satellite. Sebbene più piccola di Rea, Dione è per certi aspetti molto simile a tale oggetto. Entrambi i corpi presentano composizioni simili, distribuzioni di albedo analoghe (che denunciano una grande varietà di terreni), e sono caratterizzati da una chiara divisione fra l'emisfero anteriore e quello posteriore. L'emisfero anteriore di Dione è pesantemente craterizzato ed uniformemente brillante; l'emisfero posteriore, al contrario, presenta un aspetto peculiare, essendo caratterizzato da una rete di brillanti e sottili striature su sfondo scuro che si sovrappone ai crateri, indicando che si tratta di una formazione geologica più recente. Si tratta in verità di dirupi di ghiaccio. Prima del fly-by effettuato dalla sonda spaziale Cassini il 13 dicembre 2004 l'origine del sottile materiale brillante che caratterizza la superficie di Dione era ignota, anche perché le uniche fotografie disponibili erano state scattate da grande distanza. Tutto ciò che si sapeva era che il materiale presentava un'elevata albedo, e consisteva di uno strato abbastanza sottile da non oscurare la superficie sottostante. Una teoria comunemente accettata prevedeva che poco dopo la sua formazione Dione fosse geologicamente attivo, e che tramite qualche processo, forse di natura criovulcanica, del materiale proveniente dall'interno potesse essere riemerso in superficie; le strisce si sarebbero dunque formate in seguito ad eruzioni lungo le fessure che precipitarono sulla superficie sotto forma di neve o cenere. Più tardi, quando l'attività interna cessò, la formazione dei crateri si concentrò principalmente sull'emisfero anteriore, cancellandone le striature. Le immagini inviate dalla Cassini, tuttavia, mostrano che le strisce non sono depositi di ghiaccio, ma piuttosto rupi scoscese ricoperte di materiale ghiacciato, create da fratture tettoniche; Dione si è rivelato un corpo lacerato da enormi fratture sull'emisfero posteriore. La sonda Cassini ha compiuto un ulteriore e più ravvicinato fly-by del satellite l'11 ottobre 2005, ad una distanza record di appena 500 km dalla sua superficie. In passato l'emisfero posteriore di Dione è stato oggetto di un pesante bombardamento meteorico, che ha generato numerosi crateri più grandi di 100 km di diametro; al contrario, l'emisfero anteriore presenta crateri nell'ordine dei 30 km di diametro. Il dato contrasta con le previsioni dei planetologi; Eugene Shoemaker e Wolfe avevano avanzato un modello di craterizzazione per un satellite in rotazione sincrona che indicava un maggior tasso di craterizzazione per l'emisfero anteriore. La peculiarità della distribuzione dei crateri su Dione potrebbe suggerire che, durante il periodo di maggior bombardamento, l'oggetto presentasse un diverso emisfero anteriore; trattandosi di un corpo di dimensioni ridotte, qualsiasi impatto in grado di provocare un cratere di 35 chilometri avrebbe potuto causarne una rotazione, e dato l'alto numero di crateri di dimensioni simili Dione potrebbe essere stato soggetto più volte a rotazioni cataclismatiche nel corso delle prime fasi di vita del sistema solare. La struttura dei crateri e l'elevata albedo del lato anteriore suggeriscono che Dione è rimasto nell'orientamente attuale per diversi miliardi di anni. Come su Callisto, anche su Dione mancano le strutture rilevate che circondano solitamente i crateri sulla Luna e su Mercurio, probabilmente a causa del cedimento della debole crosta ghiacciata nel tempo. All'inizio del marzo 2012 la sonda Cassini ha scoperto una tenue atmosfera composta da ossigeno molecolare ionizzato.

Tre piccole lune orbitano tra Mimas e Encelado: Metone, Antea e Pallene. Chiamate con il nome delle Alcionidi della mitologia greca, sono tra le più piccole lune del sistema di Saturno. Antea e Metone possiedono archi d'anello molto deboli lungo le loro orbite, mentre Pallene possiede un tenue anello completo. Di queste tre lune, solo Metone è stato fotografato a distanza ravvicinata, mostrando di essere a forma di uovo con pochissimi o nessun cratere. I Satelliti troiani rappresentano una caratteristica unica, conosciuta solo nel sistema di Saturno. Un corpo troiano orbita attorno al punto di Lagrange anteriore L4 o posteriore L5 di un oggetto molto più grande, come una grande luna o un pianeta. Teti ha due lune troiane, Telesto (anteriore) e Calipso (posteriore); altrettante ne ha Dione, Elena (anteriore) e Polluce (posteriore). Elena è di gran lunga la più grande luna troiana, mentre Polluce è il più piccolo e ha l'orbita più caotica. Le quattro grandi lune esterne di Saturno sono:

  • Rea: Rhea (o Rea) è il secondo satellite naturale di Saturno e il nono del sistema solare per dimensioni; con un raggio di 764 km si tratta dell'entità del sistema solare più piccola che si trova in equilibrio idrostatico. Fu scoperta il 23 dicembre 1672 dall'astronomo italiano Giovanni Domenico Cassini. Rea è chiamata come la titanide Rea della mitologia greca. È designata anche Saturno V. Cassini chiamò le quattro lune da lui scoperte, (Teti, Dione, Rea e Giapeto) Sidera Lodoicea ("le stelle di Luigi"), in onore di re Luigi XIV. Gli astronomi avevano l'abitudine di riferirsi a loro e a Titano come "Saturno 1" fino a "Saturno 5". Quando nel 1789, furono scoperti Mimante ed Encelado, lo schema di numerazione fu esteso fino a "Saturno 7". Gli attuali nomi dei primi sette satelliti di Saturno furono proposti da John Herschel (figlio di William Herschel, scopritore di Mimas ed Encelado) nella sua pubblicazione del 1847, dove suggerì i nomi dei Titani e delle Titanidi, i fratelli e le sorelle di Crono (il Saturno greco). Rea è un corpo ghiacciato con una densità di circa 1,240 kg/m³. Era stato ipotizzato, prima della Missione della sonda Cassini, che Rea avesse un nucleo roccioso al centro. Tuttavia dopo il primo passaggio ravvicinato della Cassini questa ipotesi fu messa in dubbio e venne sostenuto che l'interno di Rea è omogeneo con una piccola compressione del ghiaccio al suo interno. Le caratteristiche di Rea assomigliano a quelle di Dione, con emisferi anteriore e posteriore dissimili tra loro, suggerendo per le due lune simile composizione e storia. In base alla densità dei crateri, la superficie di Rea può essere divisa in due differenti aree; la prima contiene crateri più grandi di 40 km di diametro mentre la seconda area, nelle regioni polari ed equatoriali, ha crateri al di sotto di 40 km in diametro. Ciò suggerisce un qualche evento di rimodellazione superficiale accaduto durante la sua formazione. L'emisfero anteriore (cioè l'emisfero che per effetto della rotazione sincrona precede costantemente l'altro lungo l'orbita) è pesantemente craterizzato e uniformemente brillante. Come su Callisto i crateri non presentano strutture e altorilievi presenti invece sulla Luna e Mercurio. L'emisfero posteriore presenta una rete di strisce chiare su fondo scuro, e pochi crateri. Queste strisce potrebbero essere materia espulsa da vulcani di ghiaccio quando Rea era ancora liquida sotto la superficie. L'orbiter della sonda spaziale Cassini ha effettuato un sorvolo di Rea il 25 novembre 2005. Durante questo passaggio i dati ricavati dalla sonda hanno portato gli scienziati ad ipotizzare la presenza di anelli planetari, sebbene non vi sia ancora nessuna prova certa. Nel caso di una verifica fotografica si tratterebbe della prima luna conosciuta in possesso di un sistema di questo tipo. Di conseguenza gli oggetti facenti parte potrebbero considerarsi una sorta di satelliti di satellite, una novità assoluta nel sistema solare. Il 26 novembre 2010, la NASA ha reso noto che la sonda Cassini ha individuato attorno a Rea una tenue atmosfera composta da ossigeno e anidride carbonica. La presenza di ossigeno allo stato gassoso è stata spiegata come conseguenza dell'influenza del campo magnetico di Saturno sulla superficie ghiacciata di Rea, il ghiaccio reagirebbe e rilascerebbe ossigeno gassoso. La temperatura su Rea è −174 °C con luce solare diretta e tra −200 °C e −220 °C in ombra. Rea è rimasta un piccolo punto luminoso all'osservazione dalla Terra prima dell'arrivo delle sonde Voyager 1 e Voyager 2 nel 1980 e 1981.[6] Successivamente negli anni duemila la sonda Cassini effettuò diversi fly-by col satellite saturniano, il primo dei quali avvenne il 26 novembre 2005 alla distanza di 500 km. Negli anni seguenti la Cassini effettuò diversi altri fly-by: ad una distanza di 5.750 km il 30 agosto del 2007, a 100 km il 2 marzo 2010 e al 69 km l'11 gennaio 2011, il più prossimo alla luna. Un ultimo fly-by avvenne il 9 marzo 2013 a una distanza di 992 km.
  • Titano: Titano è il più grande satellite naturale del pianeta Saturno ed uno dei corpi rocciosi più massicci dell'intero sistema solare; supera in dimensioni (ma non per massa) il pianeta Mercurio mentre per dimensioni e massa è il secondo satellite del sistema solare dopo Ganimede. Scoperto dall'astronomo olandese Christiaan Huygens il 25 marzo 1655, all'epoca Titano è stata la prima luna osservata intorno a Saturno e la quinta nell'intero sistema solare. Si tratta inoltre dell'unico satellite del sistema solare in possesso di una densa atmosfera. Titano è composto principalmente di ghiaccio d'acqua e materiale roccioso. La sua spessa atmosfera ha impedito l'osservazione della superficie, fino all'arrivo della missione spaziale Cassini-Huygens nel 2004, che ha permesso di raggiungere la superficie con un veicolo d'atterraggio. L'esplorazione della Cassini-Huygens ha portato alla scoperta di laghi di idrocarburi liquidi nelle regioni polari del satellite. Geologicamente la superficie è giovane; sono presenti alcune montagne e dei possibili criovulcani, ma è generalmente piatta e liscia con pochi crateri da impatto osservati. L'atmosfera di Titano è composta al 95% da azoto; sono presenti inoltre componenti minori quali il metano e l'etano, che si addensano formando nuvole. La temperatura superficiale media è molto vicina al punto triplo del metano dove possono coesistere le forme liquida, solida e gassosa di questo idrocarburo. Il clima, che include vento e pioggia di metano, ha creato caratteristiche superficiali simili a quelle presenti sulla Terra, come dune, fiumi, laghi e mari, e, come la Terra, presenta le stagioni. Con i suoi liquidi e la sua spessa atmosfera, Titano è considerato simile alla Terra primordiale, ma con una temperatura molto più bassa, dove il ciclo del metano sostituisce il ciclo idrologico presente invece sul nostro pianeta. Titano non è visibile ad occhio nudo. La sua magnitudine apparente quando osservato in opposizione dalla Terra arriva a +8,4, sensibilmente meno brillante rispetto ai satelliti medicei di Giove, che con magnitudini attorno alla quinta o anche inferiori potrebbero invece anche essere scorti a occhio nudo, se non fossero immersi nella luce del pianeta. Nonostante Titano non si discosti mai oltre una distanza angolare di 77 secondi d'arco da Saturno, è agevolmente visibile attraverso piccoli telescopi (con diametro maggiore di 5 cm) o binocoli particolarmente potenti. Il diametro apparente del suo disco è mediamente pari a 0,8 secondi d'arco; può quindi essere risolto solo con grandi telescopi professionali. Titano fu scoperto il 25 marzo 1655 dall'astronomo olandese Christiaan Huygens con un telescopio rifrattore di 57 mm di diametro e 310 mm di focale. Johannes Hevelius e Christopher Wren lo avevano osservato precedentemente, ma l'avevano scambiato per una stella fissa. Si trattava del primo satellite naturale ad essere individuato dopo i satelliti galileiani di Giove. Huygens lo denominò semplicemente, in lingua latina, Luna Saturni ("il satellite di Saturno") ad esempio nell'opera De Saturni Luna observatio nova del 1656. Quando più tardi Giovanni Domenico Cassini scoprì quattro nuovi satelliti, li volle chiamare Teti, Dione, Rea e Giapeto (complessivamente noti come satelliti lodicei); la tradizione di battezzare i nuovi corpi celesti scoperti in orbita attorno a Saturno proseguì e Titano iniziò ad essere designato, nell'uso comune, come Saturno VI, perché apparentemente sesto in ordine di distanza dal pianeta. Il nome di Titano venne suggerito per la prima volta da John Herschel (figlio del più celebre William Herschel) nella sua pubblicazione Risultati delle osservazioni astronomiche condotte presso il Capo di Buona Speranza del 1847. Di conseguenza iniziò la tradizione di denominare gli altri satelliti saturniani in onore dei titani della mitologia greca o delle sorelle e dei fratelli di Crono. Prima dell'era spaziale non furono registrate molte osservazioni di Titano. Nel 1907 l'astronomo spagnolo Josep Comas i Solà osservò un oscuramento al bordo di Titano, la prima evidenza che esso era dotato di un'atmosfera. Nel 1944 Gerard P. Kuiper utilizzando una tecnica spettroscopica rilevò la presenza di metano nell'atmosfera. La prima sonda spaziale a visitare il sistema di Saturno fu il Pioneer 11 nel 1979, che confermò che Titano era troppo freddo per poter sostenere la vita. Il Pioneer 11 trasmise le prime immagini ravvicinate di Saturno e Titano, la cui qualità fu poi superata da quelle delle due Voyager, che sarebbero transitate per il sistema nel 1980 e nel 1981. La traiettoria della Voyager 1, in particolare, fu modificata per ottenere un sorvolo ravvicinato di Titano (impedendole in tal modo di raggiungere Plutone), ma non era provvista di alcuno strumento in grado di vedere attraverso la densa atmosfera del satellite, circostanza che non era stata prevista. Solo molti anni più tardi tecniche di manipolazione intensiva delle immagini riprese attraverso il filtro arancione della sonda hanno permesso di ricavare quelle che sono a tutti gli effetti le prime fotografie mai scattate della regione luminosa di Xanadu, ritenuta dagli scienziati un altopiano, e la pianura scura di Shangri-La. Quando la Voyager 2 raggiunse il sistema di Saturno apparve chiaro che un possibile cambio di traiettoria per favorire un incontro ravvicinato con Titano avrebbe impedito la prosecuzione del viaggio verso Urano e Nettuno. Dati gli scarsi risultati ottenuti dalla sonda gemella, la NASA decise di rinunciare alla possibilità e la sonda non fu attivamente impiegata per uno studio intensivo di Titano. Anche dopo le missioni delle due Voyager, la superficie di Titano rimaneva sostanzialmente un mistero, così come lo era stato nel XVII secolo per Giovanni Cassini e Christiaan Huygens. La grande mole di dati conosciuti sul satellite è quasi interamente dovuta alla missione spaziale italo-euro-statunitense che porta il nome dei due astronomi del passato, la Cassini-Huygens. La sonda ha raggiunto Saturno il 1º luglio 2004 quando ha avviato le prime attività di mappatura della superficie di Titano attraverso strumenti radar. Il primo sorvolo diretto del satellite è avvenuto il 26 ottobre 2004 ad una distanza record di appena 1200 km dall'atmosfera titaniana. Gli strumenti della Cassini hanno individuato strutture superficiali chiare e scure che sarebbero state invisibili all'occhio umano. Dalla sonda madre è stato sganciato il modulo di terra Huygens, privo di motori, che il 14 gennaio 2005 si è tuffato con successo nella densa atmosfera di Titano raggiungendone la superficie dopo una discesa di circa due ore. La sonda era equipaggiata per galleggiare temporaneamente su eventuali mari o laghi la cui esistenza era stata ipotizzata, ma atterrò su un suolo apparentemente asciutto. La consistenza è tuttavia risultata simile a quella della sabbia bagnata ed è stato ipotizzato che il terreno possa essere periodicamente irrorato da flussi liquidi. Il sorvolo ravvicinato più vicino Cassini lo fece il 21 giugno 2010, transitando a 880 km dalla superficie. Le regioni dove sono stati trovati abbondanti liquidi, sotto forma di laghi e mari, erano concentrate soprattutto nei pressi del polo nord. La sonda Huygens si posò sulla superficie di Titano il 14 gennaio 2005, non lontano da una zona ora chiamata Adiri. La sonda fotografò un altopiano chiaro, composto principalmente da ghiaccio, letti di fiumi scuri, dove si ritiene scorra periodicamente metano liquido, e pianure, anch'esse scure, dove questi liquidi si raccolgono provenienti dall'altopiano. Dopo essere atterrata, Huygens fotografò una piana scura coperta da piccole rocce e sassi, composti da ghiaccio d'acqua. Nell'unica foto ripresa da Huygens, le due rocce che appaiono appena in basso del centro dell'immagine sono più piccole rispetto alle apparenze: quella di sinistra è di 15 centimetri di diametro e quella nel centro 4 centimetri, e distano circa 85 centimetri dalla sonda. Le rocce mostrano segni di erosione alla base, che suggerisce una possibile attività fluviale. La superficie, più scura del previsto, è costituita da una miscela di acqua e idrocarburi ghiacciati. Ben visibile è anche la foschia di idrocarburi sovrastante il paesaggio. Nel marzo 2007, la NASA, l'ESA e la COSPAR decisero di nominare il sito di atterraggio della sonda Hubert Curien Memorial Station, in memoria dell'ex presidente dell'ESA. Oltre ad osservazioni di telerilevamento (una camera e una radar SAR) Huygens ha fornito una serie di registrazioni dei suoni atmosferici (in particolare del rombo del vento durante l'atterraggio) captati dalla sonda durante la discesa. Le registrazioni audio sono state realizzate in laboratorio elaborando i dati forniti dai microfoni montati sulla sonda (Acoustic Sensor Unit). Considerato l'interesse sollevato nella comunità scientifica sin dai primi risultati della missione Cassini-Huygens, le principali agenzie spaziali hanno valutato varie proposte per missioni spaziali successive. Nel 2006, la NASA ha studiato una missione che prevedeva l'esplorazione dei maggiori laghi di Titano tramite un lander galleggiante, per un periodo di 3-6 mesi, denominata Titan Mare Explorer. Il lancio era stato proposto per il 2016, con arrivo su Titano nel 2023[32]; tuttavia, nel 2012, l'agenzia spaziale statunitense ha preferito privilegiare una missione meno avveniristica quale InSight, destinata allo studio di Marte. Il progetto del lander acquatico su Titano confluì nella missione Titan Saturn System Mission[33]. La Titan Saturn System Mission (TSSM) è stata proposta come una possibile missione congiunta della NASA e dell'ESA, diretta all'esplorazione di Titano ed Encelado[34]. La missione comprende un orbiter per lo studio di Titano e degli altri corpi che compongono il sistema di Saturno, una mongolfiera per lo studio dell'atmosfera e della superficie di Titano ed un lander acquatico, TiME, per lo studio dei mari. Nonostante nel febbraio del 2009 sia stata data la priorità alla missione Europa Jupiter System Mission, ufficialmente la TSSM rimane in gara per una successiva selezione di una missione con lancio successivo al 2020. Nel 2012 Jason Barnes, uno scienziato dell'Università dell'Idaho propose un'altra missione, la Aerial Vehicle for In-situ and Airborne Titan Reconnaissance (AVIATR). Il progetto prevede il volo nell'atmosfera di Titano di un aereo senza pilota o comandato da un drone, per catturare immagini in alta definizione della superficie. Il progetto, che stimava un costo di 715 milioni di dollari non è stato tuttavia approvato dalla NASA e il suo futuro rimane incerto. La società privata spagnola SENER e il Centro de Astrobiologia di Madrid hanno progettato nel 2012 un altro lander acquatico per l'esplorazione di un lago. La sonda è stata denominata Titan Lake In-situ Sampling Propelled Explorer (TALISE) e si differenzia dalla proposta TiME principalmente perché sarebbe dotata di un proprio sistema di propulsione che le consentirebbe di spostarsi liberamente, per un periodo di 6 mesi, attraverso il Ligeia Mare. Nel 2015 il NASA Institute for Advanced Concepts ha finanziato, tra gli altri, uno studio per la progettazione di un sottomarino per l'esplorazione dei mari di Titano. Nel 2019 è stata finalmente approvata una nuova missione su Titano, che partirà nel 2026 e arriverà nel 2034. Si tratta della missione Dragonfly, un drone alimentato da un generatore termoelettrico a radioisotopi al plutonio 238, tipico sistema usato dove l'energia solare è esigua. Il drone volerà con agilità sfruttando la bassa gravità e l'elevata densità dell'atmosfera. L'esplorazione inizierà dal cratere Selk e potrà allargarsi ad altre zone grazie alla versatilità del movimento del robot. Titano ruota attorno a Saturno in 15 giorni e 22 ore, su un'orbita avente un semiasse maggiore di 1221870 km e un'eccentricità di 0,028, quindi relativamente bassa, ed un'inclinazione di 0,33° rispetto al piano equatoriale di Saturno. Come la Luna e molti altri satelliti dei giganti gassosi, il suo periodo orbitale è identico al suo periodo di rotazione; Titano è quindi in rotazione sincrona con Saturno. Titano è in risonanza orbitale 3:4 con il piccolo ed irregolare Iperione. Da un'analisi basata su modelli teorici è ritenuta improbabile un'evoluzione lenta e progressiva della risonanza, durante la quale Iperione sarebbe migrato da un'orbita caotica all'attuale. Piuttosto Iperione si è probabilmente formato in una fascia orbitale stabile mentre Titano, più massiccio, assorbiva o scacciava gli oggetti che gli si trovavano in fasce orbitali intrinsecamente instabili. Titano ha un diametro di 5150 km, maggiore di quello di Mercurio (4879 km). Prima dell'esplorazione della sonda Voyager 1 Titano era ritenuto il satellite più grande del sistema solare, con un diametro superiore a quello di Ganimede (5262 km). Tuttavia le osservazioni dalla Terra avevano sovrastimato le dimensioni reali del corpo, a causa della sua densa atmosfera che lo faceva apparire di dimensioni maggiori. La massa di Titano è 1,345×1023 kg, che equivale a 1/44 della massa terrestre, 2,5 volte inferiore a quella di Mercurio nonostante il pianeta sia più piccolo. Anche in termini di massa Titano è al secondo posto tra i satelliti naturali del sistema solare, leggermente superato anche in questo caso da Ganimede. Le proprietà fisiche di Titano sono simili a quelle di Ganimede e Callisto, e sulla base della sua densità, pari a 1,88 g/cm³, si può ritenere che il satellite sia formato verosimilmente per metà da ghiaccio e per l'altra metà da materiale roccioso. Titano, nonostante abbia una composizione chimica molto simile a quella degli altri satelliti naturali di Saturno come Dione, Encelado e in particolar modo Rea, presenta una densità maggiore per via della compressione gravitazionale. La sua struttura interna è probabilmente stratificata, con un nucleo roccioso dal diametro di circa 3400 km circondato da strati composti da diverse forme cristalline del ghiaccio. L'interno di Titano potrebbe essere ancora caldo e vi potrebbe essere uno strato liquido composto da acqua ed ammoniaca situato fra il nucleo roccioso e la crosta ghiacciata. Prove a sostegno di questa ipotesi sono state scoperte dalla sonda Cassini, nella forma di onde radio ELS naturali, nell'atmosfera della luna. Si ritiene che la superficie di Titano sia poco riflettente per le onde ELS; quindi queste dovrebbero venir riflesse da una superficie di separazione tra uno strato ghiacciato ed uno liquido in un oceano presente al di sotto della superficie. Inoltre, dal confronto fra le immagini raccolte nell'ottobre del 2005 ed il maggio del 2007, appare evidente una traslazione della crosta anche di 30 km, per effetto dei venti atmosferici. Ciò avvalora l'ipotesi della presenza di uno strato liquido all'interno del satellite sul quale galleggerebbe il leggero strato superficiale. Analizzando dati della sonda Cassini, nel 2014 alcuni ricercatori del Jet Propulsion Laboratory hanno presentato un modello della struttura interna di Titano: il guscio esterno di Titano è rigido e la densità presente al suo interno sarebbe relativamente elevata per poter spiegare i dati sulla gravità riscontrati, l'oceano sotto la superficie della luna dovrebbe essere composto da acqua mista a diversi sali di zolfo, sodio e potassio, rendendo l'oceano paragonabile a quello dei laghi e mari più salati della Terra, come ad esempio il Mar Morto. La superficie di Titano è complessa, in alcune zone fluida, e geologicamente giovane. Titano esiste sin dalla formazione del sistema solare, ma la sua superficie è molto più giovane, tra 100 milioni e 1 miliardo di anni. L'atmosfera di Titano è due volte più spessa di quella terrestre, rendendo difficile per gli strumenti astronomici fotografarla nello spettro della luce visibile. La sonda Cassini ha utilizzato strumenti a infrarossi, altimetria radar e radar ad apertura sintetica (SAR) per mappare porzioni di Titano durante i suoi voli ravvicinati. Le prime immagini hanno rivelato una geologia diversificata, con alcune regioni lisce e irregolari, mentre altre sembrano di origine criovulcanica, probabilmente frutto di acqua miscelata con ammoniaca fuoriuscita dal sottosuolo. Ci sono anche prove che la crosta di ghiaccio di Titano potrebbe essere sostanzialmente rigida, il che suggerirebbe una scarsa attività geologica. Altre caratteristiche ancora sono regioni che mostrano lunghe striature, alcune delle quali si estendono per centinaia di chilometri, e la cui causa potrebbero essere delle particelle trasportate dal vento. La missione Cassini ha rilevato che la superficie di Titano è relativamente liscia; le poche formazioni simili a crateri da impatto sembra siano state riempite da piogge di idrocarburi o vulcani. L'altimetria del radar suggerisce che le variazioni di altitudine sono tipicamente dell'ordine di 150 metri, tuttavia, alcune aree raggiungono fino a 500 metri di altitudine e le montagne più alte arrivano fino a più di un chilometro d'altezza. La superficie di Titano è segnata da vaste regioni di terreno chiaro e scuro, inclusa un'area grande come l'Australia identificata dalle immagini all'infrarosso provenienti dal telescopio spaziale Hubble e dalla sonda Cassini. Questa regione è stata chiamata Xanadu ed è relativamente elevata. Ci sono altre zone scure presenti su Titano osservate dal suolo e dalla sonda Cassini, tra i quali Ligeia Mare, il secondo mare più grande di Titano, composto da metano quasi completamente puro. Inoltre la Cassini ha osservato variazioni della superficie coerenti con eruzioni di criovulcani. A differenza dei vulcani attivi sulla Terra i vulcani di Titano eruttano presumibilmente acqua, ammoniaca (che non potrebbe essere altresì presente in superficie, la cui identificazione appare ancora dubbia) e metano nell'atmosfera, dove congelano rapidamente ricadendo al suolo. Un'alternativa a questa ipotesi è che le variazioni superficiali siano derivate dallo spostamento di detriti in seguito a piogge di idrocarburi. L'ipotesi dell'esistenza su Titano di laghi e mari di metano venne suggerita già ai tempi dei dati ricevuti dalle Voyager 1 e 2 sull'atmosfera, sulla sua composizione, densità e temperatura, e un'ulteriore conferma della presenza del metano allo stato liquido arrivò nel 1995, con osservazioni radar da terra e dal telescopio spaziale Hubble.[64] La conferma definitiva si ebbe con analisi dei dati raccolti dalla sonda Cassini: inizialmente non si evidenziarono prove certe dai primi dati, tuttavia nel giugno 2005, al Polo Sud, venne identificato il primo potenziale lago in un'area molto buia, successivamente chiamato Ontario Lacus, probabilmente creato dalla precipitazioni da nubi di metano. Dai dati del flyby del 22 luglio 2006, la Cassini riprese delle immagini alle latitudini settentrionali del satellite, nelle quali risaltavano grandi aree lisce che punteggiano la superficie vicino al polo. Sulla base di queste osservazioni, l'esistenza di laghi pieni di metano sulla superficie di Titano venne confermata nel gennaio 2007. I laghi di Titano divennero così le prime distese liquide stabili scoperte al di fuori della Terra. Alcuni di essi si trovano in depressioni topografiche e sembrano avere canali associati e collegati con essi. La scoperta confermava la teoria che sul satellite di Saturno sia presente un ciclo idrologico basato sul metano analogo a quello terrestre basato sull'acqua. Sono stati infatti trovati indizi consistenti di fenomeni di evaporazione, piogge e canali naturali scavati da fluidi. Nel dicembre del 2009 la NASA ha annunciato ufficialmente, dopo esserne stata a conoscenza fin dal 2007, la presenza di un lago di metano, battezzato Kraken Mare, dall'estensione di 400000 km². Il lago non è stato osservato direttamente dagli scienziati, ma la sua presenza è stata intuita grazie ai dati elaborati dallo spettrometro a infrarossi presente sulla sonda Cassini. Il secondo grande lago di cui si è attestata l'esistenza è stato il Ligeia Mare, a questi due sono seguiti molti altri laghi di dimensioni inferiori. Dalle immagini scattate dalla sonda nel dicembre del 2012, alcune evidenziano una vallata che sfocia nel Kraken Mare, attraversata da un fiume di idrocarburi lungo quasi 400 km. Le prime osservazioni radar sull'Ontario Lacus riprese tra il 2009 e 2010 mostravano che era un distesa liquida superficiale, con profondità che arrivavano al massimo tra 4 e 7 m, al contrario, le osservazioni condotte successivamente sul Ligeia Mare, i cui dati sono stati pubblicati nel 2014, mostravano una profondità media di 20-40 m, e in diversi punti la profondità massima era certamente oltre i 200 metri. Nel 2016, la Cassini ha trovato la prima prova di canali di liquidi su Titano, osservando una serie di profondi e scoscesi canyon che sfociano nel Ligeia Mare. Questa rete di canyon, chiamata Vid Flumina, è profonda da 240 a 570 metri e le sue "rive" hanno pendenze superiori a 40°. Si pensa che si sia formato da un sollevamento della crosta, come il Grand Canyon della Terra, o da un abbassamento del livello del mare, o forse da una combinazione delle due cose. Tale erosione evidenziata dalle immagini della Cassini suggerisce che la presenza di flussi di liquidi in questa regione di Titano persista da migliaia di anni. La sonda Cassini individuò pochi crateri da impatto sulla superficie di Titano, indicando che la sua superficie è relativamente giovane. Tra i crateri scoperti, i più rilevanti sono il Menrva, il cui bacino ad anelli ha un diametro di 400 km; il Sinlap, un cratere a fondo piatto di 80 km di diametro; e il cratere Ksa, di 30 di larghezza, con un picco centrale e un fondo scuro. Cassini ha individuato anche oggetti circolari sulla superficie che potrebbero essere correlati a impatti, ma le loro caratteristiche rendono incerta la loro identificazione. Per esempio, un anello di materiale trasparente di 90 km di diametro chiamato Guabonito potrebbe essere un cratere parzialmente sepolto da sedimenti. Altre aree simili si trovano nelle aree scure Shangri-La e Aaru, e altri oggetti circolari sono stati osservati in alcune zone di Xanadu durante il passaggio della Cassini del 30 aprile 2006. Modelli elaborati prima della missione Cassini su traiettorie e angoli di collisione suggeriscono che, dove l'oggetto impatta la crosta di ghiaccio d'acqua, una piccola porzione di materiale espulso potrebbe rimanere allo stato liquido dentro al cratere per diversi secoli, una durata sufficiente per la sintesi delle molecole precursori della vita. L'atmosfera di Titano potrebbe fare in parte da scudo per la superficie, riducendo il numero di impatti e di conseguenza dei crateri della metà. Titano potrebbe essere soggetto a fenomeni di criovulcanismo, tuttavia nessuna caratteristica superficiale ripresa dalla sonda Cassini può con assoluta certezza essere interpretata come criovulcano. Il rilevamento dell'argon-40 nell'atmosfera di Titano nel 2004 indicava la presenza di pennacchi di una miscela di liquidi composta da acqua e ammoniaca, inoltre l'attività vulcanica di Titano spiegherebbe la presenza continua del metano in superficie, che difficilmente sarebbe duratura se non ci fosse un rifornimento di metano dall'interno del satellite. In uno studio di Moore e Pappalardo del 2008, viene suggerita l'ipotesi alternativa che in realtà l'interno di Titano possa essere completamente inattivo, con una spessa crosta di ghiaccio che ricopre un oceano di ammoniaca. Le caratteristiche superficiali che potrebbero far pensare a criovulcani sono, secondo gli autori di questo studio, riconducibili a fenomeni meteorologici, come a venti e a depositi ed erosioni causate da fiumi di liquidi, o anche alla perdita di massa. La stessa Ganesa Macula, che inizialmente si pensava fosse un cratere vulcanico, da rilievi topografici ottenuti nel 2008 dalla Cassini da diverse angolazioni, pare sia una depressione o un cratere da impatto che ha subito una notevole erosione per fenomeni meteorologici. Nel 2010 venne annunciata una probabile formazione criovulcanica, Sotra Patera, precedentemente nota come Sotra Facula e assomigliante ai farrum di Venere. Si tratta di una catena di almeno 3 montagne che arrivano a 1000-1500 metri d'altezza, e che sono sormontate da diversi crateri. Il terreno circostante le loro basi sembra ricoperto di "lava congelata". Le montagne più alte di Titano si trovano nei pressi dell'equatore; si pensa che siano di origine tettonica, come sulla Terra, e la loro formazione potrebbe essere stata causata dalle forze mareali di Saturno. Nel 2016, il team della missione Cassini ha annunciato quella che ritengono essere la montagna più alta su Titano: situata nella Mithrim Montes, è alta 3337 m. Nelle prime immagini della superficie di Titano prese dai telescopi terrestri nei primi anni 2000, furono scoperte ampie regioni di terreno scuro a cavallo dell'equatore.[89] Prima dell'arrivo della Cassini, si pensava che queste regioni fossero mari di idrocarburi liquidi. Le immagini radar catturate dalla sonda spaziale hanno invece rivelato che alcune di queste regioni erano vaste pianure ricoperte da dune longitudinali, alte fino a 100 metri, larghe circa un chilometro e lunghe da decine a centinaia di chilometri. Solitamente dune di questo tipo sono sempre allineate con la direzione media del vento, tuttavia, nel caso di Titano, i venti costanti di superficie provenienti da est si combinano con venti di marea variabili (circa 0,5 metri al secondo), causati dalle forze di maree esercitate da Saturno, che è 400 volte più intensa delle forze di marea della Luna sulla Terra e che tendono a guidare il vento verso l'equatore. Questo modello di vento in teoria causa l'accumulo graduale di granelli in superficie che formano lunghe dune parallele allineate da ovest a est. Le dune si interrompono nei pressi delle montagne, dove la direzione del vento varia. Inizialmente si presumeva che le dune longitudinali fossero formate da venti moderatamente variabili che seguono una direzione media o si alternano tra due direzioni diverse. Osservazioni successive indicano invece che le dune puntano verso est sebbene le simulazioni climatiche indicano che i venti di superficie di Titano dovrebbero spirare verso ovest. A meno di 1 metro al secondo le brezze non sono abbastanza potenti da sollevare e trasportare il materiale di superficie, e le recenti simulazioni al computer indicano che le dune possono essere il risultato di rari venti di tempesta che avvengono solo ogni quindici anni, quando Titano si trova all'equinozio. Queste tempeste producono forti correnti discendenti, che scorrono verso est fino a 10 metri al secondo quando raggiungono la superficie. La "sabbia" su Titano non è probabilmente composta da piccoli granelli di silicati come la sabbia sulla Terra, ma potrebbe essersi formata quando il metano liquido piovuto ha creato alluvioni improvvise, erodendo il substrato roccioso di ghiaccio d'acqua. Un'alternativa a questa teoria potrebbe essere che la sabbia provenga da solidi organici chiamati toline, prodotti da reazioni fotochimiche nell'atmosfera di Titano. Gli studi sulla composizione delle dune nel maggio 2008 hanno rivelato che possedevano meno acqua rispetto al resto di Titano e quindi sono molto probabilmente derivati da fuliggine organica come i polimeri di idrocarburi che si aggregano insieme dopo essere piovuti sulla superficie. I calcoli indicano che la sabbia su Titano ha una densità di un terzo rispetto alla sabbia terrestre. La bassa densità combinata con l'aridità dell'atmosfera di Titano potrebbe causare il raggruppamento dei grani a causa dell'elettricità statica. I deboli venti di superficie su Titano, che spirano a meno di 5 km/h, non riescono a spostare la sabbia verso ovest che rimane quindi immobile, ma l'arrivo dei forti venti delle tempeste stagionali possono invece spostarla verso est. Durante l'equinozio di Titano, tra il 2009-2010, la sonda Cassini ha tre brillamenti nell'infrarosso di breve durata, le cui cause sono da attribuirsi a tempeste di polvere composta da particelle organiche solide di dimensioni micrometriche. Lo studio suggerisce che Titano sperimenta cicli attivi della polvere (come la Terra e Marte) che modificano nel corso del tempo le distese di dune equatoriali. Titano è l'unico satellite naturale del sistema solare a possedere una consistente atmosfera, composta per il 95% circa da azoto, da un 5% di metano e tracce minime di altri gas. Nella stratosfera l'azoto è presente al 98,4%, contro l'1,4% di metano, il quale assieme all'etano costituisce il componente principale delle nubi. La sua scoperta risale al 1944 quando Gerard Kuiper, facendo uso di tecniche spettroscopiche, stimò la pressione parziale del metano in 10 kPa. In seguito le osservazioni condotte da distanza ravvicinata nell'ambito del programma Voyager hanno permesso di determinare che l'atmosfera titaniana è più densa di quella terrestre, con una pressione alla superficie di circa il 50% maggiore, e il suo imponente spessore rende impossibile l'osservazione diretta della superficie. A causa della minor gravità della luna, l'atmosfera di Titano si estende maggiormente al di sopra della superficie rispetto all'atmosfera terrestre, arrivando a 600 km di altezza sulla superficie e anche più, considerando che è stata rilevata la presenza di molecole complesse e ioni anche ad un'altezza di 950 km sopra la superficie. Le osservazioni compiute della sonda Cassini suggeriscono che l'atmosfera di Titano ruota più velocemente della sua superficie, così come avviene nel caso di Venere. La velocità dei venti su Titano è stata misurata dalla velocità delle nubi, in realtà poco presenti nell'atmosfera della luna. Tra una decina di nubi monitorate dalla sonda Cassini la velocità massima registrata è stata di 34 m/s, coerente coi modelli meteorologici previsti per Titano. Nel settembre 2013, è stato rilevato propilene nell'atmosfera di Titano, ed era la prima volta che questo idrocarburo veniva trovato in un'atmosfera che non fosse quella terrestre. Alchene peraltro usato largamente sulla Terra per produrre materiale plastico, la sua scoperta risolve anche una lacuna risalente al passaggio della sonda Voyager 1, avvenuto nel 1980. La Voyager aveva rivelato la presenza di vari idrocarburi, prodotti dalla scissione del metano causati dalla radiazione solare, e aveva rilevato la presenza, oltre che del metano, dell'etano e del propano, tuttavia, non era rilevata traccia di propilene, molecola peraltro intermedia tra quelle più pesanti, come il propano, e quelle più leggere, come il propino. Osservazioni effettuate con il radiotelescopio ALMA hanno consentito di confermare la presenza in atmosfera di cianuro di vinile, un composto chimico organico le cui molecole, in particolari condizioni possono aggregarsi formando microscopiche strutture a bolla. Titano riceve solo l'1% della radiazione solare che riceve la Terra e la sua temperatura superficiale è di 94 K (−179.2 °C). Il metano presente nell'atmosfera crea un effetto serra senza il quale Titano sarebbe di 21 K più freddo. Tuttavia, esiste anche un effetto serra al contrario, creato dalla foschia ad alta quota, trasparente all'infrarosso ma che riflette la radiazione solare, e riduce la temperatura superficiale di 9 K. Sommando i due effetti risulta che la temperatura è 12 K maggiore della temperatura di equilibrio, cioè 94 K invece di 82 K. Le nubi di Titano, probabilmente composte da metano, etano e altre sostanze organiche semplici, sono sparse e variabili nella foschia generale dell'atmosfera. I risultati della sonda Huygens indicano che piovono periodicamente metano liquido e altri composti organici. Le nubi in genere coprono l'1% del disco di Titano, anche se sono stati osservati eventi in cui la copertura nuvolosa si espandeva rapidamente fino a coprire l'8% della superficie. Un'ipotesi afferma che le nubi si formino quando aumenta la radiazione solare che riscalda e solleva l'atmosfera, come avvenuto nelle regioni dell'emisfero meridionale, nel quale l'estate è durata fino al 2010. L'attuale composizione atmosferica di Titano è ritenuta essere simile a quella della seconda atmosfera della Terra (quella che precedette e condusse allo sviluppo degli esseri viventi che rilasciarono l'ossigeno in atmosfera), sebbene non si possa stabilire una completa analogia perché Titano è molto lontano dal Sole e piuttosto freddo. La presenza nell'atmosfera di composti organici complessi lo rende oggetto di notevole interesse per gli esobiologi. L'esperimento di Miller-Urey ed altre prove in laboratorio dimostrano come si possano sviluppare, in un'atmosfera simile a quella di Titano ed in presenza di radiazione ultravioletta, molecole complesse come la tolina. Gli esperimenti suggeriscono che vi sia materiale organico sufficiente perché su Titano possa avvenire l'evoluzione chimica avvenuta sulla Terra. Perché questo avvenga, tuttavia, si presuppone che sia presente acqua liquida per periodi più lunghi di quelli attualmente osservati. Se la crosta di Titano si compone grandemente di ghiaccio d'acqua, è stato ipotizzato che un impatto ad alta velocità di un corpo celeste potrebbe comportare la formazione di un lago d'acqua che si manterrebbe liquida per centinaia d'anni, periodo sufficiente per la sintesi di molecole organiche complesse. Inoltre, se l'interno della luna fosse completamente roccioso, le maree gravitazionali di Saturno avrebbero condotto alla formazione di rilievi di altezze piuttosto significative; viceversa, le rilevazioni della sonda Cassini indicano che questi raggiungono altezze piuttosto modeste. Ciò può essere giustificato dalla presenza di un oceano di acqua mista ad ammoniaca sotto la crosta e, sebbene vi si raggiungerebbero condizioni estreme per organismi terrestri, è stato comunque ipotizzato che possa ospitare organismi viventi. Potrebbero essersi evolute su Titano forme di vita che non hanno bisogno d'acqua liquida. Alcuni astrobiologi ritengono possibile infatti l'esistenza di forme di vita basate sul metano. Questa ipotesi è supportata da alcune recenti osservazioni: molecole di idrogeno scendono nell'atmosfera di Titano e scompaiono in superficie, sulla quale è stata altresì rivelata la mancanza di acetilene, composto che dovrebbe invece trovarvisi in abbondanza e che potrebbe essere la migliore fonte di energia per una vita a base di metano. Il ciclo degli idrocarburi imiterebbe dunque il ciclo dell'acqua sulla Terra ed eventuali organismi potrebbero utilizzare idrogeno e acetilene per produrre metano, senza necessità di acqua liquida. Come fatto notare dalla NASA in un articolo del giugno 2010: "Ad oggi le forme di vita basate sul metano sono solo ipotetiche, gli scienziati non hanno ancora rilevato questa forma di vita da nessuna parte", anche se alcuni di essi credono che queste firme chimiche sostengano l'argomento per una forma di vita primitiva ed esotica o siano un precursore della vita sulla superficie di Titano. Nel febbraio 2015 è stata modellata una ipotetica membrana cellulare in grado di funzionare in metano liquido con le stesse condizioni che avrebbe su Titano. Composto da piccole molecole di acrilonitrile contenenti carbonio, idrogeno e azoto, avrebbe la stessa stabilità e flessibilità delle membrane cellulari sulla Terra, che sono composte da fosfolipidi, composti di carbonio, idrogeno, ossigeno e fosforo. Questa ipotetica membrana cellulare è stata denominata "azotosome", una combinazione di "azote", francese per azoto e "liposoma".
  • Iperione: Iperione è un satellite naturale del pianeta Saturno; la sua scoperta, ad opera di William Cranch Bond, George Phillips Bond e William Lassell, risale al 1848. Il suo nome deriva da quello di Iperione, un Titano della mitologia greca. È anche noto come Saturno VII. La scoperta di Iperione avvenne poco dopo che John Herschel aveva ufficialmente proposto dei nomi per gli altri sette satelliti di Saturno già noti, nella sua pubblicazione Risultati delle osservazioni astronomiche condotte presso il Capo di Buona Speranza del 1847. Lassell, che scoprì Iperione due giorni dopo i Bond ed indipendentemente da loro, aveva già abbracciato lo schema proposto da Herschel e suggerì quindi un nome in linea con quelli precedenti. Inoltre batté sul tempo i Bond nella pubblicazione della scoperta. Iperione è il corpo irregolare più grande del sistema solare dopo Proteo, un satellite naturale di Nettuno; questi è appena più grande, ma quasi sferico. Sembra probabile che Iperione sia un frammento di un corpo di dimensioni maggiori, interessato da un impatto catastrofico nel lontano passato. Le immagini della sonda spaziale Voyager 2 e le successive osservazioni condotte dalla Terra hanno evidenziato che la rotazione di Iperione è caotica, ossia che il suo asse di rotazione si sposta in maniera imprevedibile al passare del tempo. Iperione è attualmente l'unico corpo conosciuto del sistema solare che presenti una rotazione caotica, ma simulazioni al computer sembrano indicare che altri satelliti di forma irregolare potrebbero aver esibito comportamenti analoghi in passato. Diverse caratteristiche di Iperione contribuiscono a causare la rotazione caotica: si tratta di un corpo estremamente irregolare, dall'orbita fortemente eccentrica, e che lo porta ad avvicinarsi periodicamente ad un satellite particolarmente massiccio, Titano, con cui si trova in risonanza orbitale 3:4. La rotazione caotica di Iperione è probabilmente il motivo per cui esso ha una superficie con caratteristiche più o meno uniformi; la maggior parte degli altri satelliti naturali di Saturno presenta invece due emisferi assai diversi, a seconda dell'esposizione verso l'atmosfera del pianeta o verso lo spazio interplanetario. A differenza della maggior parte dei satelliti naturali di Saturno, Iperione presenta un'albedo bassa (0,3), essendo ricoperto da uno strato di materiale scuro. Le cause della bassa albedo potrebbero essere diverse; potrebbero essere residui del metano proveniente dall'atmosfera di Titano e spogliatosi dell'idrogeno a causa della radiazione solare, oppure potrebbe trattarsi di biossido di carbonio congelato misto a idrocarburi. Una terza possibilità è del materiale scuro proveniente da Febe che può aver scurito la superficie come successo nel caso di Giapeto[4]. Iperione mostra infatti una colorazione più rossa di quella di Febe e assai simile a quella del materiale scuro presente su Giapeto. Da un punto di vista geologico, la superficie di Iperione è dominata da un vasto cratere largo circa 120 km e profondo 10 km[11]. Il corpo si presenta ricco di crateri minori profondi e particolarmente scoscesi, che gli conferiscono un tipico aspetto spugnoso; il letto dei crateri è colmo di materiale più scuro. La sua porosità e la sua bassa gravità sulla superficie sono l'effetto di numerosi impatti con rocce spaziali, che hanno compresso il materiale. Come la maggior parte dei satelliti naturali di Saturno, Iperione è caratterizzato da una bassa densità; l'oggetto dovrebbe dunque essere composto prevalentemente da ghiaccio d'acqua, con una piccola percentuale di rocce. Iperione è stato osservato per la prima volta da vicino dalla sonda Voyager 2, negli anni ottanta del XX secolo. La sonda ha attraversato il sistema di Saturno senza tuttavia avvicinarsi particolarmente al satellite; le immagini inviate a Terra hanno permesso di individuare singoli crateri, ma non sono state sufficienti ad elaborare una mappa della superficie dell'oggetto. La sonda spaziale Cassini ha effettuato il suo unico fly-by previsto di Iperione il 26 settembre 2005, raggiungendo una distanza minima di 510 chilometri dalla superficie del corpo.
  • Giapeto: Giapeto (nome sdrucciolo: Giàpeto) è il terzo satellite naturale di Saturno per dimensioni dopo Titano e Rea, e l'undicesimo satellite naturale più grande del sistema solare. È il più grande corpo noto a non essere in equilibrio idrostatico e la sua peculiarità più nota è di avere la superficie divisa in due regioni all'apparenza molto differenti tra loro. Inoltre possiede altre caratteristiche insolite scoperte nel 2007 dalla sonda Cassini, come la grande cresta che percorre due terzi della lunghezza del suo equatore. Fu scoperto dall'astronomo italiano Giovanni Domenico Cassini il 25 ottobre 1671. Deve il suo nome al Giapeto della mitologia greca ed è anche noto come Saturno VIII. Cassini chiamava i quattro satelliti saturniani da lui scoperti (Teti, Dione, Rea e Giapeto) Sidera Lodoicea ("le stelle di Luigi"), in onore di re Luigi XIV. Gli astronomi presero l'abitudine di riferirsi a loro e a Titano come Saturno I fino a Saturno V quindi, in base alla sua distanza dal pianeta, Giapeto era noto come Saturno V. Quando nel 1789 furono scoperti Mimas ed Encelado, lo schema di numerazione fu esteso a Saturno VII. Dal 1848 Giapeto è noto con il nome di Saturno VIII, quando il suo posto come Saturno VII è stato occupato da Iperione. Gli attuali nomi dei primi sette satelliti di Saturno furono dati da John Herschel (figlio di William Herschel, scopritore di Mimas ed Encelado) nel 1847, quando suggerì i nomi dei Titani e delle Titanidi, i fratelli e le sorelle di Crono (il Saturno greco). Giapeto è il terzo satellite di Saturno per dimensioni, è molto più lontano dal pianeta rispetto agli altri satelliti maggiori. Tra i grandi satelliti di Saturno, Giapeto è quello con la più alta inclinazione orbitale; solo i satelliti esterni irregolari, come Febe, hanno orbite caratterizzate da piani orbitali inclinati in modo significativo sull'equatore del pianeta. A causa di questa lontananza e dell'orbita inclinata, Giapeto è la sola grande luna dalla quale gli anelli di Saturno sarebbero ben visibili; dagli altri satelliti interni infatti, gli anelli sarebbero visti di taglio e difficili da scorgere. Visto da Giapeto, Saturno ha un diametro angolare di 1° 56' (quattro volte la dimensione della Luna vista dalla Terra). La bassa densità di Giapeto, pari a 1,083 g/cm³, indica che è composto principalmente da ghiaccio con una piccola quantità di materiali rocciosi. Misurazioni triassiali di Giapeto ne stimano le dimensioni radiali in 746 × 746 × 712 km³, con un raggio medio di 734,5±2,8 km[6]. Queste misurazioni sono relativamente inaccurate in quanto non tutta la superficie del satellite è stata fotografata ad alta risoluzione. A dispetto delle sue dimensioni appare evidente che la luna non è in equilibrio idrostatico, altrimenti la sua forma oblata potrebbe essere spiegata solo con un periodo di rotazione di circa 10 ore, mentre Giapeto attualmente ruota attorno al proprio asse molto più lentamente, con un periodo pari a 79 giorni terrestri. Una possibile spiegazione di questa discrepanza è che la luna si sia congelata poco dopo la sua formazione, quando la rapida rotazione ne schiacciava i poli; nel corso del tempo la rotazione avrebbe continuato a rallentare per via degli attriti mareali e la sua forma sarebbe rimasta invariata. La superficie di Giapeto ha una distintiva colorazione a due toni. Un emisfero è scuro (albedo 0,03-0,05) con una lieve colorazione rossastra, mentre l'altro emisfero è brillante (albedo 0,5, quasi quanto Europa). Questa differenza è così evidente che Cassini notò che poteva osservare Giapeto solamente su un lato di Saturno e non sull'altro. Le due parti della luna si dividono in realtà secondo uno schema simile a quello dei due lembi che compongono una palla da tennis, abbracciandosi l'un l'altra. La parte scura si chiama Cassini Regio, la parte chiara invece è divisa dall'equatore nella Roncevaux Terra (a nord) e nella Saragossa Terra (a sud). È probabile che i materiali scuri siano composti organici simili alle sostanze trovate in alcune meteoriti o sulle superfici di comete. L'origine di questo materiale non è attualmente nota, anche se sono state proposte numerose teorie. Anche lo spessore dello strato non è conosciuto con certezza; sull'emisfero scuro non ci sono crateri brillanti, quindi se lo strato scuro fosse sottile questo dovrebbe essere rinnovato di continuo, altrimenti un impatto meteoritico si spingerebbe oltre lo strato superficiale e rivelerebbe il materiale sottostante più brillante. È possibile che il materiale scuro provenga da qualche fonte interna, forse portata alla superficie da combinazioni di impatti meteoritici e vulcanismo. Questa teoria è supportata dall'apparente concentrazione del materiale sul fondo dei crateri. Siccome Giapeto è lontano da Saturno, è stato ipotizzato che potrebbe aver evitato gran parte del riscaldamento che le altre lune di Saturno hanno ricevuto durante la formazione del sistema solare. Quindi avrebbe potuto trattenere al suo interno metano o ghiaccio di ammoniaca, che più tardi eruttò sulla superficie, e poi annerì a causa della radiazione solare, particelle cariche e raggi cosmici. Un'indicazione di questo tipo di vulcanismo proviene da un anello di materiale scuro, di circa 100 chilometri in diametro, che si estende sul confine tra le due zone di Giapeto, simili strutture sulla Luna e su Marte sono il risultato di materiale vulcanico fluito in crateri di impatto con un picco centrale. Una teoria alternativa ipotizza che il materiale scuro provenga da Febe, o da altri satelliti esterni in rivoluzione retrograda, e sia stato liberato dalla superficie del satellite più piccolo da impatti di meteoritici. Febe è probabilmente l'origine del più largo fra gli anelli di Saturno finora scoperti, l'anello di Febe appunto, rivelato solo nel 2009 dalle osservazioni nell'infrarosso del telescopio spaziale Spitzer. Siccome la Cassini Regio corrisponde alla faccia che Giapeto rivolge in direzione del proprio moto orbitale, eccezion fatta per i poli, su di essa si sarebbero raccolti questi detriti. Tuttavia la superficie di Febe presenta una colorazione più grigia rispetto al materiale scuro di Giapeto, ed una composizione più simile alla sua superficie brillante, perciò l'arrivo del materiale da Febe spiega solo una piccola differenza di albedo, che dovrebbe essere accentuata da un processo posteriore. Quale che sia l'origine dei materiali scuri, infatti, l'opacità della superficie di Giapeto potrebbe essere eccentuata dalle radiazioni solari a causa del lungo periodo di rotazione della luna: mentre la parte ghiacciata le riflette meglio, quella scura si surriscalda maggiormente, facendo sublimare il ghiaccio e ogni eventuale elemento volatile, che tende a depositarsi sui poli o sull'emisfero opposto. durante il lunghissimo giorno di Giapeto la parte chiara della superficie arriva fino a 113 K circa, quella più scura fino a 128; questa differenza, seppur leggera, è sufficiente perché il ghiaccio si disperda in misura nettamente maggiore nella Cassini Regio che sul resto del satellite. Su tempistiche geologiche questo avrebbe accentuato la differenza di albedo fra le due aree. Un ulteriore mistero è stato scoperto quando la sonda Cassini fotografò Giapeto il 31 dicembre 2004 e rivelò la presenza di una cresta larga all'incirca 20 km ed alta 13 km che si estende per oltre 1300 km nella Cassini Regio, seguendo quasi perfettamente la linea equatoriale della luna. Alcuni picchi della cresta raggiungono i 20 km d'altezza e costituiscono alcune delle più grandi montagne del sistema solare. Alcune delle montagne più chiare nei pressi del bordo della Cassini Regio, che sembrano appartenere a questa cresta, erano già state viste nelle foto delle Voyager; tuttavia, queste ultime non furono in grado di fornire dettagli della regione oscura, dunque l'estensione del complesso geologico si è reso visibile solo di recente. L'immenso sistema crestale è altamente craterizzato, il che indica che è molto antico. Diverse ipotesi sono state prodotte riguardo alla sua origine. La cresta potrebbe essere nata al momento della sua formazione quando la luna ruotava molto più velocemente; quest'ipotesi è sostenuta dal team che ha seguito la missione Cassini ed implicherebbe che il giovane Giapeto ruotasse in un periodo di almeno 17 ore. Raffreddandosi, la luna ha mantenuto la cresta, anche sotto l'influenza delle maree di Saturno che ne hanno rallentato la rotazione alle attuali 79,33 giorni. La cresta equatoriale potrebbe essersi formata, secondo un'altra ipotesi, da materiale fuoriuscito in superficie dal sottosuolo e poi solidificatosi. È stato anche suggerito che Giapeto avesse potuto avere un anello, nei primi periodi della sua esistenza, un anello poi collassato gradualmente lungo la fascia equatoriale. Infatti, Giapeto ha un'importante sfera di Hill, il che giustificherebbe sia la presenza dell'anello nel proto-Giapeto che l'attrazione di altro materiale, anch'esso poi collassato sulla superficie. Un'ipotesi simile vede la cresta come il risultato dell'impatto di un satellite di Giapeto, spezzato dalle forze congiunte delle maree di Saturno e Giapeto stesso, per infine precipitare lungo l'equatore della luna. La cresta equatoriale sembra però troppo solida per essere il risultato di materiale precipitato dall'anello, senza contare che le immagini mostrano che è attraversata da faglie d'origine tettonica, il che non sembra confermare quest'ipotesi. La cresta potrebbe essere il risultato di un antico episodio di convezione. Questa ipotesi afferma che la cresta è in equilibrio isostatico tipico delle montagne terrestri. Significa che sotto la cresta c'è materiale a bassa densità. Il peso della cresta è compensato dalla forza di galleggiamento. Queste ipotesi, comunque, non spiegano perché la cresta si estenda per la sola Cassini Regio. La luna possiede numerosi crateri di notevoli dimensioni, alcuni dei quali sono stati scoperti grazie alle foto della sonda Voyager 2; solo con la Cassini è stato possibile rilevare la presenza di vasti crateri d'impatto nella regione oscura. Il più grande, Turgis, possiede un diametro di 580 km (due quinti di quello della luna) ed è uno dei più vasti del sistema solare. L'orlo del cratere è molto ripido e parte della scarpata supera i 15 km d'altezza.

Urano è il settimo pianeta del sistema solare in ordine di distanza dal Sole, il terzo per diametro e il quarto per massa. Il suo simbolo astronomico Unicode è U+26E2 (occasionalmente ♅, stilizzazione della lettera H iniziale di William Herschel). Porta il nome del dio greco del cielo Urano (Οὐρανός in greco antico), padre di Crono (Saturno), a sua volta padre di Zeus (Giove). Sebbene sia visibile anche ad occhio nudo, come gli altri cinque pianeti noti fin dall'antichità, fino al XVIII secolo non fu riconosciuto come tale e considerato una stella a causa della sua bassa luminosità e della sua orbita particolarmente lenta e venne identificato come qualcosa di diverso da una stella soltanto il 13 marzo 1781 da William Herschel. Una curiosità riguardo alla sua scoperta è che essa giunse del tutto inaspettata: i pianeti visibili ad occhio nudo (fino a Saturno) erano conosciuti da millenni e nessuno sospettava l'esistenza di altri pianeti, fino alla scoperta di Herschel, che notò che una particolare stella poco luminosa sembrava spostarsi. Da quel momento in poi nessuno fu più sicuro del reale numero di pianeti del nostro sistema solare. La composizione chimica di Urano è simile a quella di Nettuno ma differente rispetto a quella dei giganti gassosi più grandi (Giove e Saturno). Per questa ragione gli astronomi talvolta preferiscono riferirsi a Urano e Nettuno trattandoli come una classe separata, i "giganti ghiacciati". L'atmosfera del pianeta, sebbene sia simile a quella di Giove e Saturno per la presenza abbondante di idrogeno ed elio, contiene una proporzione elevata di "ghiacci", come l'acqua, l'ammoniaca e il metano, assieme a tracce di idrocarburi. Quella di Urano è anche l'atmosfera più fredda del sistema solare, con una temperatura minima che può scendere fino a 49 K (−224 °C). Possiede una complessa struttura di nubi ben stratificata, in cui si pensa che l'acqua si trovi negli strati inferiori e il metano in quelli più in quota. L'interno del pianeta al contrario sarebbe composto principalmente di ghiacci e rocce. Una delle caratteristiche più insolite del pianeta è l'orientamento del suo asse di rotazione. Tutti gli altri pianeti hanno il proprio asse quasi perpendicolare al piano dell'orbita, mentre quello di Urano è quasi parallelo. Ruota quindi esponendo al Sole uno dei suoi poli per metà del periodo di rivoluzione con conseguente estremizzazione delle fasi stagionali. Inoltre, poiché l'asse è inclinato di poco più di 90°, la rotazione è tecnicamente retrograda: Urano ruota nel verso opposto rispetto a quello di tutti gli altri pianeti del sistema solare (eccetto Venere) anche se, vista l'eccezionalità dell'inclinazione, la rotazione retrograda è solo una nota minore. Il periodo della sua rivoluzione attorno al Sole è di circa 84 anni terrestri. L'orbita di Urano si discosta molto poco dall'eclittica (ha una inclinazione di 0,7°). Come gli altri pianeti giganti, Urano possiede un sistema di anelli planetari, una magnetosfera e numerosi satelliti; visti dalla Terra, a causa dell'inclinazione del pianeta, i suoi anelli possono talvolta apparire come un sistema concentrico che circonda il pianeta, oppure come nel 2007 e 2008 apparire di taglio. Nel 1986 la sonda Voyager 2 mostrò Urano come un pianeta senza alcun segno distintivo sulla sua superficie, senza le bande e tempeste tipiche degli altri giganti gassosi. Tuttavia, osservazioni successive condotte dalla Terra hanno mostrato delle evidenze di cambiamenti legati alle stagioni e un aumento dell'attività climatica, quando il pianeta si è avvicinato all'equinozio. Il pianeta Urano ha ben due sistemi di anelli. La particolarità di questi anelli è la loro posizione: l'inclinazione di oltre 97 gradi porta gli stessi anelli in una posizione assai particolare: come in tutti i pianeti, gli anelli sono in posizione quasi perpendicolare rispetto l'asse di rotazione. Con quali conseguenze? Semplice: gli anelli sono in posizione quasi perpendicolare rispetto al piano dell'eclittica, ruotati di 97,7 gradi rispetto alla posizione che hanno in tutti gli altri pianeti. Questa caratteristica rende il pianeta assai particolare se osservata dall'"esterno". Il sistema di anelli interno è stato scoperto il 10 marzo 1977 da James L. Elliot, Edward W. Dunham e Douglas J. Mink grazie al Kuiper Airborne Observatory. Gli astronomi avevano progettato di usare l'occultazione di una stella, la SAO 158687, da parte di Urano per poter studiare l'atmosfera del pianeta, ma quando analizzarono le loro osservazioni scoprirono che la stella era scomparsa brevemente dalla vista cinque volte prima e dopo l'occultamento da parte del pianeta. Conclusero che doveva esserci un sistema di anelli intorno ad Urano e dall'analisi dei dati ne scoprirono 6. Studi successivi nello stesso anno, effettuati all'osservatorio di Perth, permisero la scoperta di altri 3 anelli. Tale sistema di anelli venne rilevato direttamente e fotografato dalla sonda spaziale Voyager 2 che passò nei pressi di Urano nel 1986. Grazie alle nuove immagini vennero scoperti due nuovi anelli talmente sottili che erano invisibili dalla Terra con gli strumenti dell'epoca. l sistema di anelli esterno è stato scoperto nel 2005 analizzando i dati che il telescopio spaziale Hubble aveva raccolto tra gli anni 2003 e 2005. L'analisi di questi dati ha permesso di trovare anche due nuovi satelliti: Mab e Cupido, ma soprattutto ha permesso di vedere che il sistema di satelliti di Urano è probabilmente instabile (ci sono frequenti collisioni o forze che ne modificano le orbite), infatti le orbite dei satelliti più interne sono notevolmente cambiate dal 1994. Sembra che un processo casuale o caotico causi un continuo scambio di energia e momento angolare tra le varie lune. I due anelli sono molto sottili e richiedono un'esposizione molto prolungata per poter essere catturata una loro immagine. Il movimento a spirale dovrebbe adagio adagio disperdere nello spazio esterno i componenti di questi due anelli e quindi si ipotizza che vi sia qualcosa che li rifornisce continuamente di nuovo materiale. All'interno dell'Anello Mu orbita il satellite Mab e gli scienziati ipotizzano che sia lui a rifornire costantemente di materia tale anello tramite collisioni con meteoroidi. Il satellite Mab inoltre raccoglie la polvere che incontra nella sua orbita per poi rilasciarla al successivo impatto. L'Anello Nu più interno invece non sembra avere un corpo visibile che lo rifornisca di materiali. Si ipotizza che vi siano più satelliti di piccole dimensioni al suo interno o che si sia formato a causa dell'impatto di una grossa luna di Urano, impatto che ha modificato la sua orbita portandola all'esterno dell'anello. Il telescopio spaziale Hubble ha raccolto nel 2003 80 fotografie (tempo di esposizione: 4 minuti), 24 delle quali mostrano anelli visibili. Nuove immagini raccolte l'anno seguente mostrano gli anelli in modo molto più evidente. Rianalizzando i dati raccolti dal Voyager 2 nel 1986, circa 100 immagini, è stato possibile evidenziare la presenza degli anelli anche nelle immagini raccolte all'epoca. Le strutture non erano state notate perché non evidenti (quasi trasparenti) e localizzate ad una distanza dal pianeta dove nessuno si aspettava di trovarne. Lo studio ha inoltre mostrato un aumento della luminosità degli anelli, prevista fino al raggiungimento dell'equinozio nel 2007, quando la luce del sole li raggiungerà incidendo in senso perpendicolare e la posizione della Terra sarà favorevole al loro studio, La scoperta di questo sistema giovane e dinamico, costituito dagli anelli esterni e dalle due nuove lune di Urano, potrebbe aiutare i ricercatori a capire come si formano ed evolvono nel tempo i sistemi planetari. Qual'è il più grande mistero di Urano? Semplice: la posizione. Oggi sappiamo che Urano è il settimo pianeta del Sistema Solare ma alcuni astronomi sostengono che un tempo era il numero otto. Come è possibile? La risposta si trova su un mondo molto più vicino: la Luna!!! Come mai la Luna ha così tanti crateri? A causa di un fenomeno denominato "intenso bombardamento tardivo", scatenato da Giove. Questo pianeta si formò ai confini del Sistema Solare ma migrò verso il Sole creando scompensi gravitazionali che hanno spinto gli asteroidi dell'omonima fascia (che oggi si trovano tra Marte e Giove) a muoversi ancora più all'interno del Sistema Solare colpendo Mercurio, Venere, Terra, Marte e soprattutto Luna. Quest'ultima resto tanto danneggiata da permettere a noi essere umani, miliardi di anni dopo, di ammirare i crateri provocato da quell'intenso bombardamento che, pero`, era tardivo, perché il periodo del "caos" del nostro sistema solare era finito da tempo. Ma che c'entra Urano? Sembra che gli scompensi gravitazionali causati dalla migrazione gioviana -ai quali siamo venuti a conoscenza grazie alle osservazioni lunari- siano stati tanto gravi da modificare leggermente le orbite di Saturno e di Urano e Nettuno, a quei tempi scambiati di posto. Questo provocò interazioni gravitazionali estreme, che fecero scambiare le orbite di Urano e Nettuno, dando al Sistema Solare l'aspetto che vediamo oggi. 

Nettuno è l'ottavo e più lontano pianeta del Sistema solare partendo dal Sole. Si tratta del quarto pianeta più grande, considerando il suo diametro, e il terzo se si considera la sua massa. Nettuno ha 17 volte la massa della Terra ed è leggermente più massiccio del suo quasi-gemello Urano, la cui massa è uguale a 15 masse terrestri, ma è meno denso rispetto a Nettuno. Il nome del pianeta è dedicato al dio romano del mare; il suo simbolo è ♆ , una versione stilizzata del tridente di Nettuno. Scoperto la sera del 23 settembre 1846 da Johann Gottfried Galle con il telescopio dell'Osservatorio astronomico di Berlino, e Heinrich Louis d'Arrest, uno studente di astronomia che lo assisteva, Nettuno fu il primo pianeta ad essere stato trovato tramite calcoli matematici più che attraverso regolari osservazioni: cambiamenti insoliti nell'orbita di Urano indussero gli astronomi a credere che vi fosse, all'esterno, un pianeta sconosciuto che ne perturbava l'orbita. Il pianeta fu scoperto entro appena un grado dal punto previsto. La luna Tritone fu individuata poco dopo, ma nessuno degli altri tredici satelliti naturali di Nettuno fu scoperto prima del XX secolo. Il pianeta è stato visitato da una sola sonda spaziale, la Voyager 2 che transitò vicino ad esso il 25 agosto 1989. Nettuno ha una composizione simile a quella di Urano ed entrambi hanno composizioni differenti da quelle dei più grandi pianeti gassosi Giove e Saturno. Per questo sono talvolta classificati in una categoria separata, i cosiddetti "giganti ghiacciati". L'atmosfera di Nettuno, sebbene simile a quelle sia di Giove che di Saturno essendo composta principalmente da idrogeno ed elio, possiede anche maggiori proporzioni di "ghiacci", come acqua, ammoniaca e metano, assieme a tracce di idrocarburi e forse azoto. In contrasto, l'interno del pianeta è composto essenzialmente da ghiacci e rocce come il suo simile Urano. Le tracce di metano presenti negli strati più esterni dell'atmosfera contribuiscono a conferire al pianeta Nettuno il suo caratteristico colore azzurro intenso. Nettuno possiede i venti più forti di ogni altro pianeta nel Sistema Solare. Sono state misurate raffiche a velocità superiori ai 2100 km/h. All'epoca del sorvolo da parte della Voyager 2, nel 1989, l'emisfero sud del pianeta possedeva una Grande Macchia Scura comparabile con la Grande Macchia Rossa di Giove; la temperatura delle nubi più alte di Nettuno era di circa −218 °C, una delle più fredde del Sistema solare, a causa della grande distanza dal Sole. La temperatura al centro del pianeta è di circa 7000 °C, comparabile con la temperatura superficiale del Sole e simile a quella del nucleo di molti altri pianeti conosciuti. Il pianeta possiede inoltre un debole sistema di anelli, scoperto negli anni sessanta ma confermato solo dalla Voyager 2. Nettuno è invisibile ad occhio nudo dalla Terra; la sua magnitudine apparente, sempre compresa fra la 7,7 e la 8,0, necessita almeno di un binocolo per permettere l'individuazione del pianeta. Visto attraverso un grande telescopio, Nettuno appare come un piccolo disco bluastro dal diametro apparente di 2,2-2,4 secondi d'arco simile nell'aspetto ad Urano. Il colore è dovuto alla presenza di metano nell'atmosfera nettuniana, in ragione del 2%. Si è avuto un netto miglioramento nello studio visuale del pianeta dalla Terra con l'avvento del Telescopio spaziale Hubble e dei grandi telescopi a terra con ottiche adattive. Le immagini migliori ottenibili dalla Terra permettono oggi di individuarne le formazioni nuvolose più pronunciate e le regioni polari, più chiare del resto dell'atmosfera. Con strumenti meno precisi è impossibile individuare qualsiasi formazione superficiale del pianeta, ed è preferibile dedicarsi alla ricerca del suo satellite principale, Tritone. Ad osservazioni nelle frequenze radio, Nettuno appare essere la sorgente di due emissioni: una continuata e piuttosto debole, l'altra irregolare e più energetica. Gli studiosi ritengono che entrambe siano generate dal campo magnetico rotante del pianeta. Le osservazioni nell'infrarosso esaltano le formazioni nuvolose del pianeta, che brillano luminose sullo sfondo più freddo, e permettono di determinarne agevolmente le forme e le dimensioni. Quando nel 1821 Alexis Bouvard pubblicò il primo studio dei parametri orbitali di Urano divenne chiaro agli astronomi che il moto del pianeta divergeva in maniera apprezzabile dalle previsioni teoriche; il fenomeno poteva essere spiegato solo teorizzando la presenza di un altro corpo di notevoli dimensioni nelle regioni più esterne del sistema solare. Indipendentemente fra loro il matematico inglese John Couch Adams (nel 1843) ed il francese Urbain Le Verrier (nel 1846) teorizzarono con buona approssimazione posizione e massa di questo presunto nuovo pianeta. Mentre le ricerche di Adams vennero trascurate dall'astronomo britannico George Airy, cui egli si era rivolto per sottolineare la necessità di ricercare il nuovo pianeta nella posizione trovata, quelle di Le Verrier vennero applicate da due astronomi dell'Osservatorio di Berlino, Johann Gottfried Galle e Heinrich d'Arrest: dopo meno di mezz'ora dall'inizio delle ricerche − aiutati dall'utilizzo di una carta stellare della regione in cui si sarebbe dovuto trovare Nettuno che avevano compilato le notti precedenti e con cui confrontarono le osservazioni − il 23 settembre 1846 i due individuarono il pianeta a meno di un grado dalla posizione prevista da Le Verrier (ed a dodici gradi dalla posizione prevista da Adams). Nel giugno del 1846 Le Verrier aveva pubblicato una stima della posizione del pianeta simile a quanto calcolato da Adams. Ciò aveva spinto Airy a sollecitare il direttore dell'osservatorio di Cambridge, James Challis, a cercare il pianeta. Challis aveva quindi setacciato il cielo tra agosto e settembre, ma invano. Dopo che Galle ebbe comunicato l'avvenuta scoperta, Challis realizzò di aver osservato il pianeta due volte in agosto, ma di non averlo identificato a causa della metodologia con cui aveva affrontato la ricerca. Sulla scia della scoperta si sviluppò un'accesa rivalità tra francesi ed inglesi sulla priorità della scoperta, da cui emerse infine il consenso internazionale che entrambi, Le Verrier ed Adams, ne meritassero il credito. La questione è stata riaperta nel 1998, dopo la morte dell'astronomo Olin Eggen, dal ritrovamento di un fascicolo, chiamato "Neptune papers", di cui Eggen era in possesso. Il fascicolo contiene documenti storici provenienti dall'Osservatorio reale di Greenwich che sembra siano stati rubati dallo stesso Eggen e nascosti per quasi tre decenni. Dopo aver preso visione di tali documenti alcuni storici suggeriscono che Adams non meriti egual credito di Le Verrier. Dal 1966 Dennis Rawlins ha messo in discussione la credibilità della rivendicazione di co-scoperta di Adams. In un articolo del 1992 sul suo giornale, Dio, ha espresso l'opinione che la rivendicazione britannica sia un "furto". Nel 2003 Nicholas Kollerstrom dell'University College London ha detto: «Adams ha eseguito alcuni calcoli ma era piuttosto incerto su dove diceva che fosse Nettuno». Già il 10 ottobre 1846, dopo diciassette giorni dalla scoperta di Nettuno, l'astronomo inglese William Lassell scoprì il suo principale satellite Tritone. Alla fine dell'Ottocento fu ipotizzato che presunte irregolarità osservate nel moto di Urano e Nettuno derivassero dalla presenza di un altro pianeta più esterno. Dopo estese campagne di ricerca, Plutone fu scoperto il 18 febbraio 1930 alle coordinate previste dai calcoli di William Henry Pickering e Percival Lowell per il nuovo pianeta. Tuttavia il nuovo pianeta era troppo lontano perché potesse generare le irregolarità riscontrate nel moto di Urano, mentre quelle riscontrate nel moto di Nettuno derivavano da un errore nella stima della massa del pianeta (che fu individuato con la missione Voyager 2) e che era all'origine, tra l'altro, delle irregolarità di Urano. La scoperta di Plutone fu quindi piuttosto fortuita. A causa della sua grande distanza le conoscenze su Nettuno rimasero frammentarie almeno fino alla metà del Novecento quando Gerard Kuiper scoprì la sua seconda luna, Nereide. Negli anni settanta e ottanta si accumularono indizi sulla probabile presenza di anelli o archi di anelli. Nel 1981 Harold Reitsema scoprì il suo terzo satellite Larissa. Nell'agosto 1989 le conoscenze ricevettero una enorme spinta in avanti dal sorvolo della prima sonda automatica inviata ad esplorare i dintorni del pianeta, la Voyager II. La sonda individuò importanti dettagli dell'atmosfera del pianeta, confermò l'esistenza di ben cinque anelli ed individuò nuovi satelliti oltre a quelli già scoperti dalla Terra. Poco dopo la scoperta ci si riferiva a Nettuno semplicemente come al "pianeta più esterno di Urano". Galle fu il primo a suggerire un nome e propose di nominarlo in onore del dio Giano. In Inghilterra Challis avanzò il nome Oceano. Rivendicando il diritto a denominare il nuovo pianeta da lui scoperto, Le Verrier propose il nome Nettuno, affermando falsamente, tra l'altro, che il nome fosse stato già ufficialmente approvato dal Bureau des longitudes francese. In ottobre cercò di nominare il pianeta Le Verrier, dal proprio nome, e fu patriotticamente supportato dal direttore dell'Osservatorio di Parigi, François Arago. Sebbene questa proposta incontrò una dura opposizione al di fuori della Francia, gli almanacchi francesi reintrodussero rapidamente il nome Herschel per Urano, dal nome del suo scopritore William Herschel, e Leverrier per il nuovo pianeta. Il 29 dicembre 1846 Friedrich von Struve si espresse pubblicamente in favore del nome Nettuno presso l'Accademia delle Scienze di San Pietroburgo ed in pochi anni Nettuno divenne il nome universalmente accettato. Nella mitologia romana, Nettuno è il dio del mare, identificato con il greco Poseidone. La richiesta di un nome mitologico sembrava in linea con la nomenclatura degli altri pianeti che prendono il proprio nome da divinità romane, ad eccezione soltanto della Terra e di Urano, che lo trae invece da una divinità della mitologia Greca. L'unica sonda spaziale ad aver visitato Nettuno è stata la Voyager 2, nel 1989; con un sorvolo ravvicinato del pianeta la Voyager ha permesso di individuarne le principali formazioni atmosferiche, alcuni anelli e numerosi satelliti. Il 25 agosto 1989 la sonda ha sorvolato il polo nord di Nettuno ad una quota di 4950 km per poi dirigersi verso Tritone, il satellite maggiore, raggiungendo una distanza minima di circa 40000 km. Dopo le ultime misure scientifiche condotte durante la fase di allontanamento dal gigante gassoso, il 2 ottobre 1989, tutti gli strumenti della sonda sono stati spenti, lasciando in funzione solamente lo spettrometro ultravioletto. Voyager 2 iniziava così una lunga marcia verso lo spazio interstellare, alla velocità di 470 milioni di chilometri all'anno; l'inclinazione della sua traiettoria rispetto all'eclittica è di circa 48°. Si ritiene che, al ritmo attuale, la Voyager 2 passerà a 4,3 anni luce dal sistema di Sirio tra 296 000 anni. Sono allo studio da parte della NASA due possibili missioni: un orbiter, il cui lancio non è previsto prima del 2040 ed una sonda che effettuerebbe un fly-by del pianeta per proseguire verso due o tre oggetti della fascia di Kuiper, il cui lancio potrebbe avvenire nel 2019. Tritone è il più grande satellite naturale di Nettuno, ed uno dei più massicci dell'intero sistema solare, precisamente il settimo, dopo Titano, la Luna e i quattro satelliti medicei di Giove. Scoperto nel 1846 dall'astronomo inglese William Lassell, diciassette giorni dopo la scoperta del pianeta, prende il nome dal figlio del dio del mare Poseidone della mitologia greca.Tritone è l'unica grande luna che orbita attorno al proprio pianeta con moto retrogrado, ad una distanza media da Nettuno di circa 355000 km e in un periodo di poco inferiore ai sei giorni. Per la sua orbita retrograda e per la sua composizione, simile a quella di Plutone, si pensa che Tritone non si sia formato nei pressi di Nettuno ma che sia piuttosto un oggetto proveniente dalla Fascia di Kuiper. La sua superficie è composta in gran parte da azoto ghiacciato, la crosta e il mantello da acqua congelata e il nucleo, che costituisce i due terzi della massa totale, da rocce e metalli. La superficie è relativamente giovane, in quanto è caratterizzato da un'attività geologica particolarmente intensa, con numerosi geyser visibili che eruttano azoto e una tenue atmosfera che ha una pressione di 1/70 000 di quella terrestre. Tritone è stato sorvolato da un'unica sonda spaziale, la Voyager 2, nel 1989; i dati e le immagini inviate a terra hanno permesso di stimarne con precisione i parametri fisici e orbitali, di individuarne le principali formazioni geologiche e di studiarne la tenue atmosfera. Tritone venne scoperto da William Lassell il 10 ottobre 1846, 17 giorni dopo la scoperta dello stesso Nettuno, seguendo un suggerimento di John Herschel. Lassell riteneva anche di aver individuato un anello attorno a Nettuno. Anche se la presenza di anelli è stata successivamente confermata, essi sono così deboli ed oscuri che si ritiene non fossero osservabili con i mezzi che aveva a disposizione. Il primo tentativo di misurare il diametro di Tritone fu fatto da Gerard Kuiper nel 1954 che ottenne un valore di 3800 km. Tentativi di misurazione successivi arrivarono a stimare il diametro da 2 500 a 6000 km, da leggermente più piccolo della nostra Luna a quasi la metà del diametro della Terra. La Voyager 2 passò a 40000 km da Tritone il 25 agosto 1989, mappando la superficie con una risoluzione di 600 metri. I dati raccolti dalla Voyager 2 permisero una stima più accurata del diametro di Tritone, pari a 2706 km. Nel 1990, furono effettuate diverse osservazioni dalla Terra di Tritone sfruttando l'occultazione di alcune stelle vicine, che indicarono la presenza di un'atmosfera e una superficie esotica. Le osservazioni suggerirono che l'atmosfera era più densa di quanto indicato dalla Voyager 2. Gli scienziati della NASA hanno identificato Tritone come un obiettivo primario per future missioni nel sistema solare, proponendo nuove missioni, come quella suggerita nel 2010, la Neptune Orbiter, che tra alcune opzioni proposte sarebbe stata dotata di un veicolo d'atterraggio dedicato allo studio di Tritone, così come fu per la Huygens che atterrò su Titano. Ad oggi, tuttavia, gli sforzi diretti all'esplorazione di Nettuno e Tritone sono stati posticipati e il finanziamento della NASA sulle missioni nel sistema solare esterno è attualmente focalizzata sui sistemi di Giove e Saturno. Il suo nome, che onora la divinità della mitologia greca Tritone (dal greco Τρίτων), figlio di Poseidone, fu proposto da Camille Flammarion nel 1880 nel suo libro Astronomie Populaire, ma adottato solo parecchi anni dopo; infatti fino al 1949, data della scoperta di Nereide, il secondo satellite di Nettuno, Tritone era noto semplicemente come il satellite di Nettuno. Lassell non aveva pensato a proporre un nome per il nuovo corpo celeste, ma lo fece pochi anni più tardi per la sua successiva scoperta, Iperione, un satellite di Saturno. I nomi di Ariel e Umbriel, terzo e quarto satellite di Urano, scoperti da Lassel nel 1851, furono assegnati da John Herschel. Tritone è particolare fra tutti i principali satelliti del sistema solare esterno, a causa della sua orbita retrograda attorno al pianeta. Altri satelliti minori di Giove e Saturno presentano orbite retrograde, ma sono tutti caratterizzati da un diametro inferiore al 10% di quello di Tritone. L'orbita retrograda rende evidente che Tritone non può essersi formato nella stessa regione della nebulosa solare di Nettuno, ma è con tutta probabilità un oggetto della fascia di Kuiper catturato in un secondo momento. Questo potrebbe spiegare anche l'orbita estremamente eccentrica di Nereide, così come la provenienza del calore necessario a fondere l'interno di Tritone e differenziarlo (il calore generato dalle forze di marea risultanti dalla circolarizzazione dell'orbita eccentrica avrebbe potuto mantenere Tritone liquido per circa un miliardo di anni). L'orbita di Tritone è caratterizzata da due inclinazioni, quella di 30° propria di Nettuno e quella di 157° propria di Tritone stesso rispetto all'orbita del suo pianeta (un'inclinazione superiore a 90° indica un moto retrogrado). L'inclinazione complessiva oscilla tra 127° e 173° e attualmente ha un valore attorno a 130°. Tritone precede Nettuno nella sua orbita, con un periodo di 678 anni terrestri, corrispondenti a 4,1 anni nettuniani. Tritone è in rotazione sincrona con Nettuno e gli mostra pertanto sempre la stessa faccia; l'equatore è quasi esattamente allineato al piano orbitale. Attualmente l'asse di rotazione di Tritone è inclinato di circa 40° rispetto al piano orbitale di Nettuno, il che comporta che durante il suo periodo di rivoluzione ciascuno dei poli punterà a un certo punto verso il Sole, come fanno anche i poli di Urano. Di conseguenza anche i poli di Tritone saranno alternativamente volti il Sole, variando così la loro illuminazione e innescando delle variazioni di tipo stagionale, come è stato recentemente osservato. A causa del moto retrogrado le forze di marea stanno facendo lentamente decadere l'orbita di Tritone, già assai vicino a Nettuno, e si prevede che entro i prossimi 3,6 miliardi di anni entrerà nel limite di Roche del pianeta, quindi Tritone colliderà con l'atmosfera di Nettuno o andrà a formare un nuovo anello planetario attorno al pianeta. Le teorie sulla formazione del sistema solare indicano che i satelliti con moto retrogrado non possono formarsi nella regione della nebulosa solare dove si formano i pianeti principali, quindi Tritone proviene da un'altra regione del sistema solare, e molto probabilmente la sua origine è nella Fascia di Kuiper, un disco di piccoli oggetti ghiacciati che si estende da poco oltre l'orbita di Nettuno fino ad una distanza di 50 au dal Sole. La Fascia di Kuiper è il luogo d'origine di molte comete a corto periodo e di alcuni oggetti più grandi come i plutini, di cui Plutone è il prototipo, e che sono in risonanza orbitale con Nettuno. Tritone è poco più grande di Plutone e la sua composizione chimica è quasi identica, il che lascia ipotizzare che la loro origine sia comune. La cattura di Tritone da parte di Nettuno spiegherebbe alcune caratteristiche del sistema nettuniano, come la forte eccentricità orbitale di Nereide, la terza luna per dimensioni di Nettuno, e spiegherebbe anche il basso numero di satelliti naturali del pianeta rispetto agli altri giganti gassosi. Si pensa che l'orbita in origine molto eccentrica di Tritone avrebbe intersecato quelle delle altre più piccole lune, perturbandole gravitazionalmente e disperdendole dalle loro orbite originarie che avevano prima della cattura di Tritone. Durante il periodo post-cattura, l'eccentricità della sua orbita e le interazioni mareali avrebbero mantenuto Tritone allo stato liquido per un miliardo d'anni, come dimostra la differenziazione del suo interno. Successivamente, con la circolarizzazione dell'orbita la fonte di calore interno cessò. Sono stati proposti due diversi tipi di meccanismi per la cattura di Tritone. Per essere gravitazionalmente catturato da un pianeta, un corpo di passaggio deve perdere energia sufficiente per essere rallentato ad una velocità inferiore a quella di fuga. La prima teoria è che Tritone potrebbe essere stato frenato da una collisione con un altro oggetto, molto probabilmente una luna o proto-luna in orbita attorno a Nettuno, o forse, ipotesi meno probabile, da un oggetto che transitava casualmente nel sistema nettuniano. Una ipotesi più recente e maggiormente accettata dagli astronomi suggerisce che, prima della sua cattura, Tritone aveva un compagno di massa simile al satellite di Plutone, Caronte, con la quale formava un sistema binario. Quando i due corpi si avvicinarono a Nettuno, l'energia orbitale fu trasferita da Tritone al compagno, che sarebbe stato espulso, mentre Tritone rimase legato a Nettuno. Questa ipotesi è supportata da diverse evidenze, come quella che i sistemi binari sono molto comuni tra i grandi oggetti della fascia di Kuiper. La cattura sarebbe stata breve e dolce, salvando Tritone dalla collisione. Eventi come questi potrebbero essere stati molto comuni durante la formazione di Nettuno o, più tardi, quando questi emigrò verso l'esterno del sistema solare. Il pianeta compie una rivoluzione attorno al Sole in circa 164,79 anni. Con una massa pari a circa 17 volte quella terrestre ed una densità media di 1,64 volte quella dell'acqua, Nettuno è il più piccolo e più denso fra i pianeti giganti del sistema solare. Il suo raggio equatoriale, ponendo lo zero altimetrico alla quota in cui la pressione atmosferica vale 1000 hPa, è di 24764 km. L'orbita di Nettuno è caratterizzata da un'inclinazione di 1,77° rispetto al piano dell'eclittica e da un'eccentricità di 0,011. In conseguenza di ciò la distanza tra Nettuno ed il Sole varia di 101 milioni di chilometri tra perielio ed afelio, i punti dell'orbita in cui il pianeta è rispettivamente più vicino e più lontano al Sole. Nettuno compie una rotazione completa intorno al proprio asse in circa 16,11 ore. L'asse è inclinato di 28,32° rispetto al piano orbitale, valore simile all'angolo d'inclinazione dell'asse della Terra (23°) e di Marte (25°). Di conseguenza i tre pianeti sperimentano cambiamenti stagionali simili. Tuttavia il lungo periodo orbitale implica che su Nettuno ciascuna stagione abbia una durata di circa quaranta anni terrestri. Poiché Nettuno non è un corpo solido, la sua atmosfera presenta una rotazione differenziale: le ampie fasce equatoriali ruotano con un periodo di circa 18 ore, superiore al periodo di rotazione del campo magnetico del pianeta che è pari a 16,1 ore; le regioni polari invece completano una rotazione in 12 ore. Nettuno presenta la rotazione differenziale più marcata del sistema solare che origina forti venti longitudinali. 

La fascia degli asteroidi

La fascia principale degli asteroidi è la regione del sistema solare situata grossomodo tra le orbite di Marte e di Giove. È occupata da numerosi corpi di forma irregolare chiamati asteroidi o pianeti minori. Circa metà della massa della fascia è contenuta nei quattro asteroidi più grandi, Cerere, Vesta, Pallade, e Igea. Questi hanno diametri medi di oltre 400 km, mentre Cerere, l'unico pianeta nano della fascia, ha un diametro medio di circa 950 km. I restanti corpi hanno dimensioni più ridotte, fino a quelle di un granello di polvere. Il materiale asteroidale è distribuito in modo estremamente diradato; numerosi veicoli spaziali senza equipaggio l'hanno attraversato senza incidenti. Tuttavia, tra gli asteroidi più grandi possono verificarsi collisioni che possono formare una famiglia di asteroidi i cui membri hanno caratteristiche orbitali e composizioni simili. Un tempo si riteneva che fossero le collisioni tra gli asteroidi a produrre quella polvere fine che contribuisce maggiormente a formare la luce zodiacale. Nesvorny e Jenniskens (2010 Astrophysical Journal), però, hanno attribuito l'85% della polvere della luce zodiacale a frammentazioni di comete della famiglia di Giove piuttosto che a collisioni tra asteroidi. I singoli asteroidi della fascia sono classificati in base al loro spettro. La maggior parte rientra in tre gruppi fondamentali: a base di carbonio (tipo C), a base di silicati (tipo S), a base di metalli (tipo M). Secondo la teoria di Viktor Safronov della cosiddetta ipotesi planetesimale[5], la fascia degli asteroidi si è formata dalla nebulosa solare primordiale come aggregazione di planetesimi, che a loro volta hanno formato i protopianeti. Tra Marte e Giove, tuttavia, le perturbazioni gravitazionali causate da Giove avevano dotato i protopianeti di troppa energia orbitale perché potessero accrescersi in pianeti. Le collisioni diventarono troppo violente, così, invece di aggregarsi, i planetesimi e la maggior parte dei protopianeti si frantumarono. Di conseguenza, il 99,9% della massa iniziale della fascia degli asteroidi andò persa nei primi 100 milioni di anni di vita del Sistema Solare. Alla fine, alcuni frammenti si fecero strada verso il Sistema Solare interno, causando impatti meteoritici con i pianeti interni. Le orbite degli asteroidi continuano ad essere sensibilmente perturbate ogni volta che il loro periodo di rivoluzione attorno al Sole entra in risonanza orbitale con Giove. Alle distanze orbitali a cui si trovano, quando essi vengono spinti in altre orbite, si forma una lacuna di Kirkwood. In altre regioni del Sistema Solare esistono altri corpi minori, tra cui: i centauri, gli oggetti della fascia di Kuiper e del disco diffuso, le comete della nube di Oort. In una nota anonima alla sua traduzione di Contemplazione de la Nature di Charles Bonnet nel 1766, l'astronomo Johann Daniel Titius di Wittenberg aveva notato un'apparente schema nella disposizione dei pianeti. Iniziando una sequenza numerica da 0, poi 3, 6, 12, 24, 48, ecc, raddoppiando ogni volta, sommando quattro a ciascun numero e dividendo per 10, si otteneva con buona approssimazione i raggi delle orbite dei pianeti allora conosciuti, misurati in unità astronomiche. Questo modello, oggi conosciuto come legge di Titius-Bode, prediceva il semiasse maggiore dei sei pianeti dell'epoca (Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove e Saturno) con l'inserimento di un "vuoto" tra le orbite di Marte e Giove. Nella sua nota, Titius si chiedeva: avrebbe mai il Signore Architetto lasciato quello spazio vuoto? Di certo no.[8] Nel 1768, l'astronomo Johann Elert Bode accennò alle relazioni di Titius nel suo Anleitung zur Kenntniss des gestirnten Himmels (Istruzioni per la conoscenza del cielo stellato), senza accreditare Titius se non nelle edizioni successive. Divenne nota come "legge di Bode". Quando William Herschel scoprì Urano nel 1781, l'orbita del pianeta si adattava quasi perfettamente alla legge, portando gli astronomi a concludere che ci doveva essere un pianeta tra le orbite di Marte e Giove. Nel 1800 l'astronomo barone Franz Xaver von Zach radunò in un club 24 suoi compagni, la Vereinigte Astronomische Gesellschaft ("Società Astronomica Unita"), che egli informalmente chiamò la "Società Lilienthal" per le sue riunioni a Lilienthal, una cittadina nei pressi di Brema. Determinato a portare ordine nel Sistema Solare, il gruppo divenne noto come "Himmelspolizei", Polizia Celeste. Vi figuravano importanti membri come Herschel, l'astronomo reale britannico Nevil Maskelyne, Charles Messier, e Heinrich Olbers. La Società assegnò a ciascun astronomo una regione di 15° dello zodiaco per cercare il pianeta mancante. Solo pochi mesi dopo, qualcuno confermò le loro aspettative. Il 1º gennaio 1801, Giuseppe Piazzi, professore di Astronomia all'Università di Palermo, scoprì un minuscolo oggetto in movimento in un'orbita con raggio previsto dalla legge di Titius-Bode. Egli lo chiamò Cerere, in onore della dea romana del raccolto e patrona della Sicilia. Inizialmente Piazzi credeva che fosse una cometa, ma la mancanza della chioma stava ad indicare che era un pianeta.[11] Quindici mesi dopo, Heinrich Wilhelm Olbers scoprì un secondo oggetto nella stessa regione, Pallade. A differenza degli altri pianeti, questi oggetti avevano una luce puntiforme e, anche con il massimo ingrandimento al telescopio, non mostravano un disco. A parte il loro rapido movimento, apparivano indistinguibili dalle stelle. Di conseguenza, nel 1802 William Herschel propose che venissero classificati in una categoria a parte, chiamata asteroidi, dal greco asteroeides, che significa "stella-simile".[13][14] Al termine di una serie di osservazioni di Cerere e Pallade, egli concluse:

«Né l'appellativo di pianeta, né quello di cometa può essere dato con proprietà di linguaggio a queste due stelle... Assomigliano talmente a piccole stelle che difficilmente possono esserne distinte. Quindi, visto l'aspetto asteroidale, se devo dar loro un nome, le chiamo Asteroidi, riservandomi comunque la libertà di cambiarlo, se me ne dovesse venire in mente un altro che esprime meglio la loro natura.»

Nonostante il termine coniato da Herschel, per diversi decenni rimase pratica comune riferirsi a questi oggetti come a dei pianeti. Entro il 1807, un'ulteriore indagine rivelò due nuovi oggetti nella regione: Giunone e Vesta. L'incendio di Lilienthal durante le guerre napoleoniche pose termine a questo primo periodo di scoperte, e solo nel 1845 alcuni astronomi scoprirono un altro oggetto, Astrea. Poco dopo nuovi oggetti vennero trovati ad un ritmo accelerato, e annoverarli tra i pianeti divenne sempre più macchinoso. Alla fine, furono eliminati dalla lista dei pianeti, come suggerito da Alexander von Humboldt nei primi anni 1850, e la nomenclatura scelta da William Herschel, "asteroidi", a poco a poco entrò nell'uso comune. La scoperta di Nettuno nel 1846 portò al discredito della legge Titius-Bode agli occhi degli scienziati, in quanto la sua orbita non era in alcun punto vicino alle posizioni previste. Non ci sono spiegazioni scientifiche per la legge e la comunità degli astronomi la considera soltanto una coincidenza. Nel 1802, un paio di mesi dopo aver scoperto Pallade, Heinrich Olbers propose a William Herschel l'ipotesi che Cerere e Pallade fossero dei frammenti di un pianeta molto più grande che aveva subito un'esplosione interna o un impatto con una cometa molti milioni di anni prima.[18] Con il passare del tempo, però, questa ipotesi perse credito. L'enorme quantità di energia necessaria per distruggere un pianeta, oltre alla modesta massa globale della fascia, circa il 4% di quella della Luna,[1] non avvalorano l'ipotesi. Inoltre, le differenze chimiche significative tra gli asteroidi sarebbero difficili da spiegare se provenissero dallo stesso pianeta.[19] Oggi, la maggior parte degli scienziati accetta l'idea che, più che frammenti di un pianeta progenitore, gli asteroidi non abbiano mai formato un pianeta. In generale si ritiene che nel Sistema Solare la formazione dei pianeti sia avvenuta attraverso un processo simile a quello dell'ipotesi nebulare: una nube di polvere e gas interstellari che collassa sotto l'influenza della gravità per formare un disco rotante di materiale che poi si condensa ulteriormente per formare il Sole e i pianeti.[20] Durante i primi milioni di anni del Sistema Solare, un processo di accrescimento causò l'aggregazione di piccole particelle, che gradualmente aumentavano di dimensioni. Una volta raggiunta una massa sufficiente, il materiale aggregato poteva attirare altri corpi per attrazione gravitazionale diventando planetesimi. Questo accrescimento gravitazionale portò alla formazione dei pianeti rocciosi e dei giganti gassosi. All'interno della regione che sarebbe poi diventata la fascia degli asteroidi, i planetesimi erano perturbati troppo intensamente dalla gravità di Giove perché potessero formare un pianeta. Continuarono invece a orbitare intorno al Sole, urtandosi di tanto in tanto. In regioni dove la velocità media delle collisioni era troppo elevata, la frantumazione dei planetesimi tendeva a dominare sull'accrescimento, impedendo la formazione di corpi di dimensioni planetarie. Risonanze orbitali si verificavano quando il periodo orbitale di un oggetto della fascia formava una frazione intera con il periodo orbitale di Giove, perturbando l'oggetto in un'orbita diversa; nella regione compresa tra le orbite di Marte e Giove ci sono molte di queste risonanze orbitali. Con la migrazione di Giove verso l'interno del Sistema Solare, queste risonanze avrebbero spazzato la fascia degli asteroidi, eccitando la popolazione dei planetesimi e facendone aumentare le velocità relative. Durante le prime fasi del Sistema Solare gli asteroidi fondevano in una certa misura, permettendo agli elementi al loro interno di essere parzialmente o completamente differenziati per massa. Alcuni dei corpi progenitori potevano anche avere subito periodi di vulcanismo esplosivo con formazione di oceani di magma. Tuttavia, a causa delle dimensioni relativamente ridotte dei corpi, il periodo di fusione era stato necessariamente breve (rispetto ai pianeti molto più grandi), ed era avvenuto nelle prime decine di milioni di anni della formazione del Sistema Solare. Uno studio (agosto 2007) sui cristalli di zircone di un meteorite antartico, che si ritiene originato da Vesta, fa pensare che quest'ultima, e per estensione il resto della fascia degli asteroidi, si era formata piuttosto rapidamente, nel giro di dieci milioni di anni dall'origine del Sistema Solare. Gli asteroidi non sono campioni del Sistema Solare primordiale. Essi hanno subito una notevole evoluzione dal momento della loro formazione, tra cui il riscaldamento interno (nelle prime decine di milioni di anni), la fusione della superficie da impatti, l'erosione spaziale da radiazioni, e il bombardamento di micro meteoriti. Anche se alcuni scienziati si riferiscono agli asteroidi come a residui di planetesimi, altri li considerano distinti. Si ritiene che l'attuale fascia degli asteroidi contenga solo una piccola parte della massa di quella primordiale. Simulazioni al computer indicano che la fascia originale poteva essere costituita da una massa equivalente a quella della Terra. Soprattutto a causa delle perturbazioni gravitazionali, la maggior parte del materiale è stato espulso dalla fascia nel giro di un milione di anni circa dalla sua formazione, lasciandosi dietro meno dello 0,1% della massa originaria. Fin dalla loro formazione, le dimensioni degli asteroidi sono rimaste relativamente stabili: non ci sono stati incrementi o decrementi significativi nelle dimensioni tipiche degli asteroidi della fascia principale. La risonanza orbitale 4:1 con Giove, ad un raggio di 2,06 UA, può essere considerata il limite interno della fascia di asteroidi. Le perturbazioni di Giove spingono laggiù i corpi, a vagare in orbite instabili. La maggior parte dei corpi formati all'interno del raggio di questo divario sono stati spazzati da Marte (che ha un afelio a 1,67 UA) o allontanati dalle sue perturbazioni gravitazionali ai primordi del Sistema Solare. Gli asteroidi del gruppo di Hungaria si trovano più vicino al Sole rispetto ai corpi in risonanza 4:1, ma sono protetti avendo orbite con elevata inclinazione. Quando la fascia di asteroidi si formò, a una distanza di 2,7 UA dal Sole le temperature raggiunsero la frost line, al di sotto del punto di congelamento dell'acqua. Planetesimi formati al di là di questo raggio furono in grado di accumulare ghiaccio. Nel 2006 venne annunciato che era stata scoperta una popolazione di comete all'interno della fascia di asteroidi, al di là della frost line; tali comete potrebbero avere costituito una fonte d'acqua per gli oceani della Terra. Secondo alcune ipotesi, non c'era sufficiente degassamento d'acqua durante il periodo di nascita della Terra perché gli oceani si potessero formare, evento che avrebbe richiesto una sorgente esterna come un bombardamento cometario. Contrariamente all'immaginario popolare, la fascia degli asteroidi è perlopiù vuota. Gli asteroidi sono distribuiti in un volume così grande che sarebbe poco probabile raggiungerne uno senza un accurato puntamento. Tuttavia, attualmente si conoscono centinaia di migliaia di asteroidi e il numero totale, a seconda del taglio inferiore delle dimensioni, può raggiungere i milioni. Oltre 200 asteroidi hanno un diametro maggiore di 100 km,[36] e un'indagine realizzata tramite lunghezze d'onda infrarosse ha dimostrato che la fascia degli asteroidi ne ha 700.000-1.700.000 con un diametro di 1 km o più. La magnitudine apparente della maggior parte degli asteroidi varia da 11 a 19, con una media di 16 circa. La massa totale della fascia degli asteroidi è stimata essere da 2,8×1021a 3,2×1021 kg (il 4% della massa della Luna). I quattro oggetti più grandi, Cerere, Vesta, Pallade, e Hygiea rappresentano la metà della massa totale della fascia, mentre Cerere da solo ne rappresenta quasi un terzo. L'attuale fascia è costituita principalmente da tre categorie di asteroidi: tipo C (a base di carbonio), tipo S (a base di silicati), tipo M (a base di metalli). Gli asteroidi carbonacei, come suggerisce il loro nome, sono ricchi di carbonio e dominano le regioni esterne della fascia. Essi costituiscono oltre il 75% degli asteroidi visibili. Sono di colore più rosso rispetto agli altri e hanno una bassissima albedo. La composizione della loro superficie è simile a quella dei meteoriti di condrite carbonacea. Chimicamente, i loro spettri corrispondono alla composizione primordiale del Sistema Solare, con solo gli elementi più leggeri e gli elementi volatili rimossi. Gli asteroidi ricchi di silicati sono più diffusi verso la regione interna della fascia, entro 2,5 UA dal Sole. Gli spettri delle loro superfici rivelano la presenza di silicati e di alcuni metalli, mentre la presenza di composti carboniosi è modesta. Ciò indica che i materiali sono stati significativamente modificati rispetto alla loro composizione primordiale, probabilmente attraverso la fusione. Hanno un'albedo relativamente alta, e formano circa il 17% dell'intera popolazione di asteroidi. Gli asteroidi ricchi di metalli costituiscono circa il 10% della popolazione totale; i loro spettri assomigliano a quello del ferro-nickel. Si ritiene che alcuni si siano formati dai nuclei metallici di progenitori differenziati che sono stati frantumati in seguito a collisioni. Tuttavia ci sono anche alcuni composti a base di silicati che possono produrre un aspetto simile. Per esempio il grande asteroide di tipo M 22 Kalliope non sembra essere composto principalmente di metallo.[41] All'interno della fascia degli asteroidi la distribuzione degli asteroidi di tipo M raggiunge il livello massimo a una distanza di 2,7 UA circa. Un aspetto non ancora chiarito è la relativa rarità degli asteroidi basaltici (tipo V).[43] Le teorie della formazione degli asteroidi predicono che gli oggetti delle dimensioni di Vesta o maggiori dovrebbero formare croste e mantelli, composti principalmente di roccia basaltica; più della metà degli asteroidi dovrebbe quindi essere composta di basalto o di olivina. Le osservazioni, tuttavia, indicano che nel 99 per cento dei casi il materiale basaltico non è presente.[44] Fino al 2001, si credeva che molti corpi basaltici scoperti nella fascia degli asteroidi provenissero da Vesta (da qui il loro nome di tipo V). Tuttavia, la scoperta dell'asteroide 1459 Magnya rivelò una composizione chimica leggermente diversa dagli altri asteroidi basaltici scoperti fino ad allora, facendo pensare a una diversa origine. Questa ipotesi è stata rafforzata dall'ulteriore scoperta nel 2007 di due asteroidi nella fascia esterna, 7472 Kumakiri e (10537) 1991 RY16, con diversa composizione basaltica che non poteva aver avuto origine da Vesta. Questi ultimi due sono gli unici asteroidi di tipo V scoperti nella fascia esterna ad oggi. La temperatura della fascia di asteroidi varia con la distanza dal Sole. Per le particelle di polvere all'interno della fascia le temperature variano da 200 K (−73 °C) a 2,2 AU giù fino a 165 K (−108 °C) a 3,2 UA. A causa della rotazione, tuttavia, la temperatura superficiale di un asteroide può variare notevolmente, in quanto i lati sono alternativamente esposti all'irraggiamento solare prima e allo sfondo stellare poi. Il semiasse maggiore di un asteroide è usato per descrivere la sua orbita attorno al Sole, e il suo valore determina il periodo orbitale del pianeta minore. Nel 1866 Daniel Kirkwood annunciò la scoperta di lacune nelle distanze delle orbite di questi corpi dal Sole. Esse erano situate in posizioni nelle quali il loro periodo di rivoluzione attorno al Sole era una frazione intera del periodo orbitale di Giove. Kirkwood propose l'ipotesi che le perturbazioni gravitazionali del pianeta causavano l'allontanamento degli asteroidi da queste orbite. Quando il periodo orbitale medio di un asteroide è una frazione intera di quello di Giove, si genera una risonanza di moto medio con il gigante gassoso sufficiente a perturbare gli elementi orbitali dell'asteroide. Gli asteroidi che erano finiti nelle lacune (sia originariamente a causa della migrazione dell'orbita di Giove, sia a causa di precedenti perturbazioni o collisioni) vengono gradualmente spostati in altre orbite casuali, con un diverso semiasse maggiore. Le lacune non sono visibili in una semplice istantanea delle posizioni degli asteroidi in un certo momento, poiché le orbite degli asteroidi sono ellittiche, e molti asteroidi attraversano ancora i raggi corrispondenti alle lacune. La densità degli asteroidi in queste lacune non si discosta in modo significativo da quella delle regioni vicine. Le principali lacune corrispondono alle seguenti risonanze di moto medio con Giove: 3:1, 5:2, 7:3 e 2:1. Ad esempio, un asteroide nella lacuna di Kirkwood 3:1, per ogni orbita di Giove, orbita tre volte attorno al Sole. Risonanze più deboli si verificano con altri valori del semiasse maggiore, con un minor numero di asteroidi trovati rispetto alle vicinanze. (Ad esempio, una risonanza 8:3 per asteroidi con un semiasse maggiore di 2,71 UA). La popolazione principale (o centrale) della fascia degli asteroidi è talvolta divisa in tre zone, in base alle lacune più importanti. La prima zona si trova tra le lacune di Kirkwood con risonanza 4:1 (2,06 UA) e 3:1 (2,5 UA). La seconda zona continua a partire dalla fine della prima fino alla lacuna con risonanza 5:2 (2,82 UA). La terza zona si estende dal bordo esterno della seconda fino alla lacuna con risonanza 2:1 (3.28 UA). La fascia degli asteroidi può anche essere divisa in fascia interna ed esterna, dove la fascia interna è formata da asteroidi orbitanti più vicino a Marte della lacuna 3:1 (2.5 UA), e quella esterna formata da quegli asteroidi più vicini all'orbita di Giove. (Alcuni autori dividono la fascia interna da quella esterna alla lacuna con risonanza 2:1 (3,3 UA), mentre altri suddividono in fascia interna, mediana ed esterna.) Il primo veicolo spaziale ad attraversare la fascia degli asteroidi fu Pioneer 10, che entrò nella regione il 16 luglio 1972. A quel tempo si temeva che i detriti della fascia potessero rappresentare un rischio per la navicella, ma da allora è stata attraversata da 11 veicoli partiti dalla Terra senza alcun incidente. Pioneer 11, Voyager 1 e 2 e Ulysses passarono attraverso la fascia senza riprendere alcun'immagine. Galileo riprese immagini dell'asteroide 951 Gaspra nel 1991 e di 243 Ida nel 1993, NEAR, di 253 Mathilde nel 1997, Cassini, di 2685 Masursky nel 2000, Stardust, di 5535 Annefrank nel 2002, New Horizons, di 132524 APL nel 2006, Rosetta, di 2867 Šteins nel 2008. A causa della bassa densità di materiale all'interno della fascia, oggi si stima che, per una sonda, le probabilità di impatto con un asteroide sono meno di una su un miliardo. La maggior parte delle immagini degli asteroidi della fascia provengono da brevi flyby di sonde dirette verso altri obiettivi. Solo le missioni Dawn, NEAR e Hayabusa hanno studiato le orbite e le superfici degli asteroidi per un periodo prolungato. Dawn ha esplorato Vesta dal luglio 2011 al settembre 2012, ed per poi osservare Cerere dal 2015 fino a fine missione. Una possibile visita di Pallade della sonda, a missione conclusa, fu pensata marginalmente, ma risultò irrealizzabile per la forte differenza di orbita, mentre la proposta di visitare un altro asteroide fu rifiutata.

Centauri

I centauri sono una classe di planetoidi ghiacciati del sistema solare che descrivono un'orbita intorno al Sole compresa fra quelle di Giove e Nettuno; il loro nome deriva da quello della mitologica razza dei Centauri. Chirone, il primo centauro ad essere scoperto, fu individuato nel 1977 e classificato inizialmente come un asteroide di tipo C. Tra il 1986 ed il 1988 le osservazioni dell'asteroide indicarono, senza alcun dubbio, delle variazioni di luminosità, attribuibili alla dispersione di materiali volatili. In poche parole, Chirone, nel suo avvicinamento al perielio, iniziava a sviluppare una chioma cometaria; per la sua duplice natura, è oggi ufficialmente classificato sia come asteroide che come cometa (95/P Chiron), anche se le sue dimensioni sono di gran lunga maggiori di quelle tipiche dei nuclei cometari conosciuti (132-142 km di diametro contro, ad esempio, gli 8-16 km della cometa di Halley). Per questo motivo proseguono le controversie sulla sua classificazione, mentre altri centauri vengono costantemente monitorati per individuare eventuali segnali di attività cometaria. I centauri non descrivono orbite stabili e possono eventualmente essere espulsi dal sistema solare in seguito all'interazione gravitazionale con i giganti gassosi. Gli studi dinamici condotti sulle loro traiettorie indicano che i centauri costituiscono molto probabilmente una condizione orbitale intermedia per i corpi celesti provenienti dalla fascia di Edgeworth-Kuiper che si apprestano a trasformarsi in comete a corto periodo della famiglia delle comete gioviane. La loro evoluzione inizia nel sistema solare esterno, dove occasionali perturbazioni gravitazionali possono sospingere i planetoidi della fascia in direzione del Sole, portandoli ad incrociare l'orbita di Nettuno ed eventualmente ad interagire gravitazionalmente con il pianeta. Le loro orbite non restano stabili, ma divengono altamente caotiche, evolvendo in modo rapido e imprevedibile man mano che essi compiono ripetuti avvicinamenti a uno o più degli altri giganti gassosi. Alcuni centauri evolvono verso orbite che incrociano quella di Giove; nel momento in cui il loro perielio raggiunge il sistema solare interno essi possono essere riclassificati come comete attive della famiglia di Giove, se mostrano attività cometarie. In seguito alle perturbazioni orbitali indotte da Giove e dagli altri giganti gassosi i centauri possono infine collidere con il Sole o un altro pianeta, oppure venire espulsi nello spazio interstellare. Nessun centauro è mai stato fotografato da vicino da una sonda spaziale, anche se numerosi indizi conducono a ritenere che Febe, un satellite naturale di Saturno immortalato dalla sonda Cassini nel 2004, possa essere in verità un asteroide centauro catturato dal pianeta. Inoltre il telescopio spaziale Hubble ha permesso di raccogliere informazioni dettagliate sulle caratteristiche superficiali di un altro centauro, Asbolo. 

Fascia di Kuiper

La fascia di Kuiper (IPA: /ˈkaɪp.ə/) o fascia di Edgeworth-Kuiper (dal nome dei due astronomi Kenneth Edgeworth e Gerard Peter Kuiper) è una regione del sistema solare che si estende dall'orbita di Nettuno (alla distanza di 30 UA) fino a 50 UA dal Sole. Si tratta di una fascia costituita da corpi minori del sistema solare esterna rispetto all'orbita dei pianeti maggiori, simile alla fascia principale degli asteroidi, ma 20 volte più estesa e da 20 a 200 volte più massiccia. Inoltre, mentre la fascia principale è costituita in gran parte da asteroidi di natura rocciosa, gli oggetti della fascia di Kuiper sono composti principalmente da sostanze volatili congelate, come ammoniaca, metano e acqua. Nella fascia sono stati scoperti oltre 1000 oggetti (Kuiper belt objects, o KBO) e si pensa che ne possano esistere oltre 100 000 con diametro superiore ai 100 km. Il più grande è Plutone e il più massiccio il pianeta nano Eris, scoperto nel 2005, anche se parte degli scienziati considerano Eris facente parte del disco diffuso piuttosto che della fascia di Kuiper. A partire dall'anno 2000 sono stati trovati altri oggetti di dimensioni ragguardevoli: 50000 Quaoar, scoperto nel 2002, grande la metà di Plutone e più grande di Cerere, il maggiore degli asteroidi tradizionali. L'esatta classificazione di questi oggetti non è chiara, perché probabilmente sono molto differenti dagli asteroidi più interni. Alcuni satelliti dei pianeti del sistema solare sembrano provenire dalla fascia di Kuiper, come Tritone, la maggiore delle lune di Nettuno, e la luna saturniana Febe. La maggior parte dei KBO, come si è visto usando la spettroscopia, sono costituiti da ghiaccio e hanno la stessa composizione chimica delle comete e così come nelle comete è evidente la presenza di composti organici. Molti astronomi hanno pensato che siano appunto comete periodiche con periodo orbitale inferiore ai 200 anni che, non avvicinandosi mai al Sole, non emettono la loro coda. Tuttavia gli studi a partire dalla metà degli anni novanta hanno dimostrato che la fascia di Kuiper è dinamicamente stabile e che il vero luogo di origine delle comete sia nel disco diffuso, una zona dinamicamente attiva creatasi dallo spostamento verso l'esterno di Nettuno, avvenuto 4,5 miliardi anni fa. I primi astronomi a suggerire l'esistenza di questa fascia furono nel 1930 Frederick C. Leonard e Armin Otto Leuschner, che suggerirono che Plutone fosse solo uno dei tanti oggetti planetari a lungo periodo non ancora scoperti. Kenneth E. Edgeworth nel 1943 suggerì che quello spazio oltre Nettuno doveva essere formato da numerosi piccoli corpi che non si condensarono in pianeti durante la formazione del sistema solare perché a quella distanza erano troppo separati. Nel 1951 Gerard Kuiper ipotizzò che la fascia fosse presente all'epoca della formazione del sistema solare, ma che ora fosse scomparsa. Congetture più dettagliate furono esposte da Al G. W. Cameron nel 1962, da Fred L. Whipple nel 1964, e da Julio Ángel Fernández nel 1980. La fascia e gli oggetti in essa contenuti furono chiamati col nome di Kuiper dopo la scoperta di 1992 QB1, il primo oggetto conosciuto. Gli astronomi a volte usano il nome alternativo "fascia di Edgeworth-Kuiper" e talvolta i KBO sono indicati come EKOs. Tuttavia Brian Marsden sostenne che il merito non sarebbe da attribuire né a Edgeworth né a Kuiper,perché nessuno dei due ha scritto qualcosa di veramente paragonabile a ciò che si osserva, dando maggior credito a Fred Whipple. Invece David Jewitt afferma che Fernández è colui che meriterebbe il maggior credito per la previsione sulla fascia di Kuiper nel 1980, pubblicata con un articolo su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. I KBO sono a volte chiamati in inglese "Kuiperoids", nome suggerito da Clyde Tombaugh, mentre gli oggetti classici della Fascia sono chiamati cubewani. Il termine oggetto transnettuniano (TNO) è meno controverso e accettato da vari astronomi, nonostante non sia un sinonimo esatto, in quanto il termine TNO indica tutti gli oggetti in orbita attorno al Sole oltre l'orbita di Nettuno e non solo quelli nella fascia di Kuiper. Le origini e la struttura della fascia di Kuiper non sono state ancora completamente chiarite, gli astronomi attendono il completamento di alcuni telescopi a grande campo, come il Pan-STARRS e il LSST, che dovrebbero consentire l'individuazione di molti altri KBO ancora sconosciuti e che potrebbero aiutare ad avere un quadro più chiaro su questa lontana zona di spazio all'interno del sistema solare. La fascia di Kuiper è formata da planetesimi, frammenti del disco protoplanetario attorno al Sole che miliardi di anni fa non riuscì a fondersi completamente per formare pianeti veri e propri, rimanendo corpi di piccole dimensioni, con i più grandi che hanno un diametro inferiore ai 3000 km. Simulazioni al computer hanno mostrato che la fascia di Kuiper è stata fortemente influenzata da Giove e Nettuno, suggerendo inoltre che né Urano, né Nettuno si siano formati nelle loro attuali posizioni poiché non esisteva materia sufficiente in quella zona di spazio per la formazione di pianeti giganti, suggerendo invece che si siano formati molto più vicino a Giove. Ben presto la vicinanza ai più massicci Giove e Saturno provocò la migrazione di Urano e Nettuno verso l'esterno del sistema solare, a causa dello scattering gravitazionale provocato dai due pianeti più massicci, le cui orbite si spostarono al punto da essere in risonanza 2:1 tra loro. Lo spostamento di Nettuno verso l'esterno causò il caos e la dispersione di molti oggetti della fascia di Kuiper. Si pensa che la popolazione primordiale della Fascia di Kuiper sia stata ridotta del 99% a causa delle interazioni gravitazionali primordiali, spostando le orbite dei piccoli oggetti rimasti verso l'esterno. Tuttavia il modello di Nizza, il modello più popolare tra la comunità scientifica a proposito delle dinamiche del sistema solare, non riesce ancora a spiegare la distribuzione degli oggetti della Fascia di Kuiper poiché prevede eccentricità più elevate rispetto a quelle osservate da una parte dei KBO conosciuti, in particolare degli oggetti della "popolazione fredda", che si sarebbero formati nella stessa zona dove attualmente si trovano, al contrario della popolazione calda, migrata all'esterno a causa delle interazioni avute coi giganti gassosi. Secondo uno studio di Rodney Gomes del 2012, nella fascia dovrebbero trovarsi anche oggetti di massa considerevole, paragonabili a Marte o alla Terra, per spiegare le orbite allungate di alcuni KBO. Sebbene alcuni astronomi abbiano supportato Gomes, altri come il planetogo Harold Levison nutrono seri dubbi sull'ipotesi di Gomes e sulla possibilità che un corpo di dimensioni minori di Nettuno possa influenzare le orbite degli oggetti della Fascia di Kuiper. Comprendendo le sue regioni periferiche, la fascia di Kuiper si estende da 30 a 55 UA circa dal Sole, tuttavia talvolta viene considerata estendersi solo nella parte di spazio ove gli oggetti sono in risonanza orbitale 2:3 con Nettuno, cioè a 39,5 UA, e fino a 48 UA, dove gli oggetti hanno invece una risonanza 1:2 col pianeta gigante. La fascia di Kuiper è piuttosto spessa; la principale concentrazione di oggetti si estende fino a dieci gradi fuori dal piano dell'eclittica, sebbene oggetti siano presenti anche molto più lontano dall'eclittica. La forma della fascia di Kuiper è quindi più simile a quella di un toro o di una ciambella, piuttosto che a quella di una cintura. La presenza di Nettuno ha un profondo effetto sulla struttura della fascia di Kuiper a causa delle risonanze orbitali. Nel corso di un lasso di tempo paragonabile all'età del sistema solare, la gravità di Nettuno destabilizza le orbite degli oggetti che vengono a trovarsi in alcune regioni, mandandoli nel sistema solare interno, oppure spingendoli all'esterno, verso il disco diffuso o nello spazio interstellare. L'influenza gravitazionale di Nettuno fa sì che siano presenti lacune pronunciate nella struttura attuale della fascia, simili alle lacune di Kirkwood nella fascia degli asteroidi. Nella regione compresa tra 40 e 42 UA, per esempio, nessun oggetto può mantenere un'orbita stabile su scale temporali di miliardi di anni, quindi gli oggetti osservati in quella regione sono evidentemente migrati in tempi recenti. Tra le due zone con diversa risonanza con Nettuno (2:3 e 1:2), da 42 a 48 UA circa dal Sole, l'influenza gravitazionale di Nettuno è trascurabile, e gli oggetti possono mantenere le loro orbite invariate nel tempo. Questa regione è conosciuta come la fascia di Kuiper classica, e i suoi membri comprendono circa i due terzi dei KBO osservati fino a oggi. (15760) 1992 QB1, il primo KBO moderno scoperto, Plutone e Caronte a parte, è considerato il prototipo di questo gruppo e da esso deriva il termine cubewani, termine che indica appunto i KBO classici e che è la traduzione fonetica della sigla inglese "QB1-os" (cubewanos). Secondo una linea guida della IAU il nome da dare ai KBO classici è quello di esseri mitologici associati alla creazione La fascia di Kuiper classica sembra essere composta da due diverse popolazioni. La prima, nota come popolazione "dinamicamente fredda", è composta da oggetti con orbite molto simili a quelle dei pianeti, ossia quasi circolari, con una eccentricità orbitale inferiore a 0,1, e inclinazioni orbitali non superiori a 10°. La seconda, la popolazione "dinamicamente calda", ha orbite molto più inclinate rispetto all'eclittica, fino a 30°. Le due popolazioni sono state nominate in questo modo non per una differenza di temperatura, ma per l'analogia con le particelle di un gas, che aumentano la loro velocità relativa con la temperatura[23]. Le due popolazioni non solo possiedono orbite diverse, ma diversi colori; la popolazione fredda è decisamente più rossa rispetto alla calda. Se il colore riflette diverse composizioni, indicherebbe che esse si siano formate in diverse regioni. Si ritiene che la popolazione calda si sia formata nei pressi di Giove e sia stata espulsa dai movimenti e dalle interazioni gravitazionali dei giganti gassosi. Inoltre si ritiene che la popolazione fredda si sia formata più o meno nella posizione attuale, anche se potrebbe essere stata scagliata verso l'esterno successivamente, durante la migrazione di Nettuno. Quando il periodo orbitale di un oggetto è un rapporto intero esatto (con intero piccolo) del periodo orbitale di Nettuno l'oggetto è sincronizzato col pianeta e si trova in risonanza orbitale. Se un oggetto compie due orbite attorno al Sole nello stesso tempo in cui Nettuno ne compie tre, allora l'oggetto è in risonanza 2:3 con Nettuno. La caratteristica di questi oggetti è di avere un semiasse maggiore di circa 39,4 UA e di questo tipo ne sono conosciuti circa 200, tra cui Plutone e le sue lune, prototipo dei membri di questa classe noti come plutini. I Plutini hanno elevate eccentricità orbitali, suggerendo che essi non hanno avuto origine nelle loro posizioni attuali, ma sono stati scagliati verso il sistema solare esterno dalla migrazione di Nettuno. Le linee guida della IAU impongono che tutti i Plutini debbano, come Plutone, essere nominati a divinità associate al mondo sotterraneo. La zona con risonanza orbitale 1:2, i cui oggetti completano un'orbita mentre Nettuno ne compie due e hanno semiassi maggiori di ~ 47,7 UA, è scarsamente popolata. I membri di questa classe sono noti come twotini. Esistono altre risonanza, con rapporti 3:4, 3:5, 4:7 e 2:5. Nettuno possiede anche un certo numero di asteroidi troiani che occupano i suoi punti lagrangiani L4 e L5; questi sono spesso in risonanza 1:1 con Nettuno e hanno orbite generalmente stabili. La distribuzione degli oggetti secondo la distanza dal Sole mostra una brusca interruzione a 48 UA, dove sono presenti i twotini. Oltre, alla distanza di 55 UA, si trovano alcuni oggetti con risonanza 2:5. Le stime della massa primordiale necessaria per formare Urano e Nettuno, così come corpi grandi come Plutone, suggerivano che il numero di oggetti di grandi dimensioni dovesse aumentare di un fattore due oltre le 50 UA, quindi aver osservato una scarsa presenza di oggetti oltre questa precisa distanza, conosciuta come "scogliera di Kuiper", è stato un risultato inatteso e la causa non è ancora nota al momento. Una possibile spiegazione è che il materiale presente a quella distanza fosse troppo scarso o troppo diffuso perché si potessero formare oggetti di grandi dimensioni. Secondo alcuni astronomi, come Alan Stern e Patryk Lykawka, la causa potrebbe essere l'interazione gravitazionale di un oggetto di massa planetaria ancora sconosciuto, della dimensione di Marte o della Terra. Un'ipotesi simile è stata suggerita nel 2012 dall'astronomo brasiliano Rodney Gomes, che oltre a prevedere un oggetto delle dimensioni di Marte a 53 UA, aggiunge che il pianeta sconosciuto potrebbe avere le dimensioni di Nettuno ed essere posto a 1500 UA dal Sole. Mentre alcuni scienziati hanno sostenuto questi studi con cautela, altri hanno liquidato l'ipotesi senza mezzi termini. Gli oggetti della fascia di Kuiper sono essenzialmente costituiti da ghiacci, composti generalmente da una miscela di idrocarburi leggeri come il metano, ammoniaca e ghiaccio d'acqua, una composizione simile a quella delle comete, con una densità minore di 1 g cm−3. la temperatura della fascia è di appena 50 K, così che diversi composti che sarebbero di natura gassosa se più vicini al Sole rimangono solidi. A causa delle loro piccole dimensioni e della grande distanza dalla Terra, la composizione chimica dei KBO è molto difficile da determinare. Il metodo principale con cui gli astronomi determinano la composizione di un oggetto celeste è la spettroscopia. Quando la luce di un oggetto viene suddivisa nelle sue componenti, si forma un'immagine simile a quella di un arcobaleno. Diverse sostanze assorbono la luce a diverse lunghezze d'onda e quando viene osservato un oggetto specifico appaiono delle linee scure, chiamate righe di assorbimento, uniche per ogni elemento o composto; ciò consente agli astronomi di determinarne la composizione chimica dell'oggetto. Inizialmente era impossibile analizzare dettagliatamente i KBO ed era possibile solo rilevare il colore e gli elementi più semplici presenti in essi. I primi dati mostrarono comunque una vasta gamma di colori tra i KBO osservati, dal grigio neutro al profondo rosso, suggerendo che le loro superfici fossero costituite da una vasta gamma di composti, che andavano dai ghiacci sporchi agli idrocarburi. Questa diversità fu in un certo senso sorprendente poiché ci si aspettava che i KBO fossero uniformemente scuri, avendo perso la maggior parte degli elementi volatili a causa del bombardamento dei raggi cosmici. Furono proposte diverse soluzioni a questa diversità, tra cui il rimodellamento della superficie dovuto a impatti o alla fuoriuscita di gas interni. Tuttavia analisi spettroscopiche compiute da Jewitt e Luu nel 2001 sugli oggetti della fascia di Kuiper rivelarono che la variazione di colore era troppo estrema per essere facilmente spiegata con impatti casuali. Nonostante la difficoltà dell'analisi spettrale dovuta alla loro alla loro scarsa luminosità, Robert H. Brown et al. nel 1996 indicarono che, tramite analisi compiute sull'oggetto 1993 SC, la composizione superficiale dei KBO era generalmente simile a quella di Plutone e Tritone, la luna di Nettuno, entrambi in possesso di grandi quantità di ghiaccio di metano. Il ghiaccio d'acqua è stato rilevato in diversi KBO, tra cui 1996 TO66, 38628 Huya e 20000 Varuna. Nel 2004, Mike Brown et al. determinarono l'esistenza di acqua ghiacciata cristallina e d'idrato di ammoniaca su uno dei più grandi KBO noti, 50000 Quaoar. Entrambe queste sostanze sarebbero state distrutte nel corso della lunga vita del sistema solare, suggerendo che Quaoar sia stato recentemente rimodellato da un'attività tettonica interna o da impatti di meteoriti. Nonostante la sua vasta estensione, la massa totale della fascia di Kuiper è relativamente bassa, compresa tra 1/25 e 1/10 della massa della Terra, con alcune stime che arrivano a calcolarla pari solo a un trentesimo di quella terrestre. Tuttavia i modelli di formazione del sistema solare prevedono una massa totale della fascia di Kuiper pari a 30 masse terrestri; questa teoria difficilmente può essere sconfessata in quanto solo con questa massa mancante si sarebbero potuti formare i KBO con diametro superiore ai 100 km. Se la densità della fascia di Kuiper fosse stata sempre così bassa gli oggetti di grandi dimensioni non si sarebbero potuti formare. Inoltre l'eccentricità e l'inclinazione delle orbite attuali renderebbero gli impatti piuttosto "violenti" con la conseguente distruzione degli oggetti piuttosto che un accrescimento degli stessi. Sembra che i membri della fascia di Kuiper si siano formati più vicino al Sole oppure che qualche meccanismo sconosciuto abbia disperso la massa originale. L'influenza attuale di Nettuno è troppo debole per spiegare un eventuale effetto "aspirapolvere", anche se il modello di Nizza suggerisce che avrebbe potuto essere la causa della rimozione di massa in passato. La questione rimane aperta tra la comunità scientifica: una teoria proposta prevede uno scenario dove una stella di passaggio disgrega gli oggetti più piccoli in polvere e poi sia colpita e distrutta dalla radiazione solare. È difficile stimare il diametro degli oggetti della fascia di Kuiper e come previsto dal modello solo pochi oggetti hanno dimensioni relativamente grandi. Per quelli di cui sono conosciuti gli elementi orbitali, ad esempio Plutone e Caronte, è possibile conoscere con precisione i diametri tramite le occultazioni delle stelle. Per altri KBO di grandi dimensioni, il diametro può essere stimato da misure termiche nell'infrarosso. Se un corpo ha un'elevata albedo è probabilmente freddo, quindi non produce molta radiazione nell'infrarosso; al contrario, un corpo dall'albedo ridotta produce più radiazione infrarossa. Gli oggetti della fascia di Kuiper sono così lontani dal Sole da essere molto freddi e producono una radiazione con lunghezze d'onda che vanno dai 60 ai 160 micrometri. Questa radiazione è assorbita dall'atmosfera terrestre e gli astronomi devono quindi osservare la radiazione residua nel lontano infrarosso e il diametro stimato è affetto da una grossa incertezza. Inoltre la radiazione emessa è molto debole e solo i corpi più grandi possono essere osservati con questo metodo. Il 19 gennaio 2006 è stata lanciata la New Horizons, la prima sonda spaziale che esplorerà la fascia di Kuiper. La missione è guidata da Alan Stern del Southwest Research Institute. La sonda è arrivata nelle vicinanze di Plutone il 14 luglio 2015 e, salvo imprevisti, studierà successivamente un altro KBO. Sarà scelto un KBO con diametro compreso tra 40 e 90 km e di colore bianco o grigio in contrapposizione a Plutone, di colore rossastro[49]. John Spencer, astronomo del team della missione New Horizons, afferma che nessun obiettivo per un incontro con un oggetto della fascia dopo l'avvicinamento a Plutone è ancora stato scelto, in quanto sono in attesa i dati dell'indagine Pan-STARRS che garantiranno il più ampio campo di opzioni possibili[50]. Il progetto Pan-STARRS, parzialmente operativo dal maggio 2010[51], sorveglia l'intera volta celeste con quattro telecamere digitali da 1.4 gigapixel per individuare eventuali oggetti in movimento, dagli oggetti vicini alla Terra ai KBO[52]. Per accelerare il processo di rilevamento, il team di New Horizons ha promosso una campagna che permette ai cittadini di partecipare alla ricerca di KBO idonei. Il 15 ottobre 2014 la NASA ha annunciato di aver individuato diversi KBO che potrebbero costituire l'obiettivo della New Horizons. 

Il disco diffuso

Il disco diffuso (più raramente disco sparso, dall'inglese scattered disc) è una regione periferica del sistema solare ricca di planetoidi ghiacciati noti come oggetti del disco diffuso (scattered disc objects), una particolare categoria di oggetti transnettuniani. La parte più interna del disco diffuso sfuma gradualmente nella fascia di Edgeworth-Kuiper, ma la sua estensione è assai maggiore, e raggiunge anche regioni di spazio situate ben al di sopra e al di sotto dell'eclittica. Le attuali teorie sull'origine e sulla composizione del disco diffuso sono ancora altamente incerte, sebbene si ritenga comunemente che esso sia formato da oggetti della fascia di Kuiper gradualmente deviati dalle proprie orbite a causa dell'interazione gravitazionale con i corpi maggiori del sistema solare esterno, e in particolare Nettuno, e sospinti verso traiettorie fortemente eccentriche ed inclinate. Mentre la fascia di Kuiper ricorda infatti una corona circolare relativamente piatta, che si estende da 30 a 50 UA dal Sole ed ospita oggetti in orbita circolare (cubewani) o leggermente eccentrica (plutini e twotini), il disco diffuso presenta oggetti con parametri orbitali assai più disomogenei, che spesso, come nel caso di Eris, raggiungono inclinazioni anche maggiori di 45° rispetto all'eclittica. Si ritiene che molte di queste orbite siano instabili, e che gli oggetti del disco diffuso siano generalmente destinati ad allontanarsi progressivamente dal centro del sistema solare e a raggiungere la nube di Oort o lo spazio interstellare. Sta prendendo progressivamente piede l'ipotesi che gli asteroidi centauri non siano altro che oggetti di provenienza analoga a quelli del disco diffuso, che tuttavia sono stati progressivamente deviati verso il sistema solare interno piuttosto che in direzione periferica; si tratterebbe, utilizzando un'espressione impropria, di oggetti del disco diffuso cis-nettuniani. Alcuni planetoidi, come 1999 TD10, si situano a metà strada fra centauri ed oggetti del disco diffuso. Sebbene Sedna sia ufficialmente considerato un oggetto del disco diffuso, il suo scopritore, Michael Brown, ha suggerito che l'elevata distanza del corpo (76 UA al perielio) renda improbabile una qualsiasi forma di interazione gravitazionale significativa con i pianeti conosciuti, e che l'oggetto dovrebbe pertanto essere considerato un membro della nube di Oort (di cui parleremo tra poco). Secondo questa linea di pensiero, si renderebbe necessario individuare una linea di demarcazione posta fra Sedna ed oggetti più interni, come Eris, in possesso di tutti i requisiti necessari per essere classificati come appartenenti al disco diffuso. Come Sedna, anche 2000 CR105 (scoperto precedentemente) ed altri corpi individuati negli anni successivi sembrano eludere la definizione tradizionale di oggetti del disco diffuso, e potrebbero piuttosto appartenere alla parte più interna della nube di Oort. Il primo oggetto del disco diffuso ad essere scoperto fu 1996 TL66, individuato nel 1996 dall' osservatorio di Mauna Kea; successivamente è stato incluso nella categoria anche (48639) 1995 TL8, già noto dal 1995, e scoperto nell'ambito del progetto Spacewatch. Il diagramma riportato rappresenta le orbite di tutti gli oggetti del disco diffuso fino a 100 unità astronomiche, a confronto con le orbite degli oggetti della fascia di Kuiper (in grigio) e dei corpi in risonanza orbitale con i giganti gassosi del sistema solare interno (in verde le risonanze con Nettuno). L'eccentricità delle orbite è rappresentata mediante segmenti che si estendono dal perielio all'afelio; l'inclinazione orbitale è rappresentata sull'asse delle ordinate. I corpi del disco diffuso non presentano mai perielio inferiore alle 35 UA, e si situano pertanto ben al di fuori della zona di influenza gravitazionale diretta di Nettuno (segmenti rossi). I plutini (in grigio, Plutone ed Orco) e gli oggetti in risonanza orbitale 2:5 (in verde) possono raggiungere distanze minori da Nettuno solo perché le loro orbite sono rese stabili dai fenomeni di risonanza. Gli oggetti del disco diffuso presentano parametri orbitali talmente variegati che eventuali anomalie possono solamente consistere in clamorose regolarità o in valori estremi. Alcuni casi emblematici, rappresentati in giallo, sono:

  • 1999 TD10, la cui elevatissima eccentricità orbitale (addirittura prossima a 0,9) porta il suo perielio nei pressi dell'orbita di Saturno, rendendolo un potenziale membro della famiglia dei centauri;
  • 2002 XU93, caratterizzato dalla più alta inclinazione orbitale mai osservata (circa 78° sull'eclittica);
  • 2004 XR190, caratterizzato da un'orbita circolare altamente inclinata.

Gli oggetti in risonanza orbitale con altri corpi, mostrati in verde, non sono considerati membri del disco diffuso. Alcune simulazioni suggeriscono che numerosi oggetti potrebbero essere soggetti a risonanze orbitali particolarmente deboli, quali 6:11, 4:9, 3:7, 5:12, 3:8, 2:7, 1:4; è possibile che diversi corpi già osservati ricadano entro queste categorie. I grafici contenuti nel diagramma mostrato mettono a confronto le eccentricità e le inclinazioni orbitali degli oggetti del disco diffuso con quelle di alcuni cubewani; ogni rettangolo colorato rappresenta le bande d'incertezza sui due parametri. Il numero relativo di oggetti contenuti in ogni singolo riquadro è rappresentato secondo le convenzioni pittoriche caratteristiche della cartografia, dove i picchi sono prossimi al marrone e le valli appaiono verdi. Come è possibile osservare, si tratta di due popolazioni estremamente divergenti; circa un terzo dei cubewani percorre orbite quasi circolari e poco inclinate, caratterizzate da un'eccentricità massima di 0,25. Gli oggetti del disco diffuso, al contrario, presentano eccentricità generalmente comprese fra 0,25 e 0,55 e inclinazioni di 15-20°, oppure eccentricità comprese fra 0,50 e 0,55 ed inclinazioni inferiori a 10°, ma molti di essi non appartengono a questi due raggruppamenti convenzionali. A parte 2004 XR190, tuttavia, nessun oggetto del disco diffuso conosciuto presenta eccentricità inferiori a 0,3. La scoperta del planetoide 2000 CR105, caratterizzato da un perielio troppo lontano dall'orbita di Nettuno per risentire della sua influenza gravitazionale in maniera significativa, ha dato origine ad una discussione nella comunità scientifica relativamente all'opportunità di introdurre il concetto di disco diffuso esteso, o distaccato (detached), per usare il termine scelto da David Jewitt, che recentemente ha incluso anche Sedna in questa categoria. 

Nube di Oort

La nube di Oort è una nube sferica di comete posta tra 20 000 e 100 000 Unità astronomiche o 0,3 e 1,5 anni luce dal Sole, cioè circa 2400 volte la distanza tra il Sole e Plutone. Questa nube non è mai stata osservata perché troppo lontana e buia perfino per i telescopi odierni, ma si ritiene che sia il luogo da cui provengono le comete di lungo periodo (come la Hale-Bopp e la Hyakutake, avvistate alla fine del XX secolo) che attraversano la parte interna del sistema solare. Nel 1932, l'astronomo estone Ernst Öpik ipotizzò che le comete avessero origine da una nube situata al bordo esterno del sistema Solare. Nel 1950 l'idea fu ripresa dall'astronomo olandese Jan Oort per spiegare un'apparente contraddizione: le comete vengono periodicamente distrutte dopo numerosi passaggi nel sistema solare interno, perciò se le comete si fossero originate all'inizio del sistema oggi sarebbero tutte distrutte. Il fatto che le si possono ancora osservare, implica che abbiano un'origine diversa. Secondo la teoria, la nube di Oort conterebbe milioni di nuclei di comete, che sarebbero stabili perché la radiazione solare è troppo debole per avere un effetto a quelle distanze. La nube fornirebbe una provvista continua di nuove comete, che rimpiazzerebbero quelle distrutte. La teoria sembrerebbe essere confermata dalle osservazioni successive, che ci mostrano come le comete provengano da ogni direzione, con simmetria sferica. La nube di Oort sarebbe un residuo della nebulosa originale da cui si formarono il Sole e i pianeti cinque miliardi di anni fa e sarebbe debolmente legata al sistema solare. Si pensa che anche le altre stelle abbiano una nube di Oort e che i bordi esterni delle nubi di due stelle vicine possano a volte sovrapporsi, causando un'occasionale "intrusione" cometaria. Sino a non molto tempo fa, si pensava comunemente che la Nube di Oort si fosse formata insieme al disco proto-planetario che circondava il Sole dopo la sua nascita. Tuttavia, i modelli più sofisticati e dettagliati sulla formazione del nostro sistema planetario mostrano che questo enorme inviluppo dovrebbe essere ben diverso da quella che si presume avrebbe circondato il Sole, nel caso in cui la nostra stella si fosse formata in un contesto isolato. Il Sole potrebbe avere catturato un gran numero di piccoli corpi ghiacciati dalle stelle a cui questi appartenevano quando ancora faceva parte di un ammasso di stelle neonate, creandosi così un proprio enorme inviluppo di nuclei cometari Si ritiene che il nostro astro si sia formato contestualmente a centinaia di altre stelle strettamente addensate all'interno di una nube di gas. Questo nuovo modello mostra che successivamente il Sole avrebbe catturato gravitazionalmente una vasta nube di comete man mano che il giovane ammasso stellare si disperdeva. La Nube di Oort contenga un miscuglio di campioni di materiali provenienti da un gran numero di stelle strette parenti del Sole. Si può concludere che più del 90% delle comete provenienti dalla nube potrebbe avere un'origine extrasolare. Vi sono varie ipotesi od osservazioni relativi a oggetti transnettuniani di grandi dimensioni che orbitano attorno al Sole su di un'orbita particolarmente eccentrica e che siano parte della nube di Oort. 90377 Sedna è un oggetto transnettuniano di dimensioni approssimativamente pari ai due terzi di quelle di Plutone. Gli scopritori sostengono che Sedna sia il primo corpo della nube di Oort a essere osservato, affermando che è troppo lontano dal Sole per essere considerato un oggetto della fascia di Kuiper. Tuttavia è assai più vicino al Sole di quanto ci si attenderebbe da un oggetto della nube di Oort, soprattutto nei pressi del perielio, e la sua inclinazione orbitale non si discosta eccessivamente dall'eclittica. Sedna appartiene piuttosto alla nube di Oort interna, una regione relativamente poco spessa situata sul piano dell'eclittica ed estesa dalla fascia di Kuiper sino alla nube esteriore. 2012 VP113 è un planetoide avente magnitudine assoluta di 4,1, forse classificabile come pianeta nano e che ha il più grande perielio conosciuto per un oggetto del sistema solare. L'ultimo passaggio al perielio è avvenuto attorno al 1979, a una distanza di 80 AU e al momento della scoperta era a 83 AU dal Sole. Sono noti solo altri quattro oggetti del sistema solare aventi perieli superiori a 47 UA: 90377 Sedna (76 UA), 2004 XR190 (51 UA), 2010 GB174 (48 UA) e 2004 VN112 (47 UA). La scarsità di corpi celesti con perieli compresi fra 50 e 75 UA non sembra essere un artefatto legato alle osservazioni. Di contro, Tyche è il nome dato a un ipotetico pianeta gigante gassoso situato nella nube di Oort, proposto per la prima volta nel 1999 dall'astronomo John Matese dell'Università della Louisiana. L'esistenza di Tyche può essere ipotizzata dallo studio dei punti d'origine delle comete a lungo periodo. Molti astronomi hanno espresso scetticismo circa l'esistenza di questo oggetto. L'analisi condotta sui dati del telescopio spaziale WISE ha escluso l'esistenza di tale pianeta. 

Pianeti nani

Un pianeta nano è un corpo celeste di tipo planetario orbitante attorno a una stella e caratterizzato da una massa sufficiente a conferirgli una forma quasi sferica, ma che non è stato in grado di "ripulire" la propria fascia orbitale da altri oggetti di dimensioni confrontabili: per quest'ultima caratteristica non rientra nella denominazione di pianeta. Nonostante il nome, un pianeta nano non è necessariamente più piccolo di un pianeta. In teoria non vi è limite alle dimensioni dei pianeti nani. Si osservi inoltre che la classe dei pianeti è distinta da quella dei pianeti nani, e non comprende quest'ultima. Il termine pianeta nano è stato introdotto ufficialmente nella nomenclatura astronomica il 24 agosto 2006 da un'assemblea dell'Unione Astronomica Internazionale, fra molte discussioni e polemiche. Tra le altre cose, si è fatto notare che il termine è fuorviante e che i criteri non sono oggettivi (nessun corpo può ripulire completamente la propria fascia orbitale, né esiste una soglia obiettiva su quando un corpo è sferoidale o no). Tuttavia, la necessità di creare questa classe di oggetti per distinguerla dai pianeti tradizionali esisteva, ed è probabile che il nome resti. L'11 giugno 2008 il Comitato esecutivo dell'Unione Astronomica Internazionale riunitosi a Oslo ha assegnato il nome plutoidi alla classe dei pianeti nani transnettuniani, stabilendo al contempo un requisito preliminare per valutare il raggiungimento dell'equilibrio idrostatico, con l'intenzione di favorire l'assegnazione dei nomi dei candidati plutoidi. L'UAI ha stabilito che un corpo celeste transnettuniano che possiede una magnitudine assoluta inferiore a H = +1 può essere ragionevolmente classificato tra i plutoidi e quindi tra i pianeti nani. L'UAI riconosce cinque pianeti nani: Cerere, Plutone, Haumea, Makemake ed Eris. Prima delle scoperte dell'inizio del XXI secolo, gli studiosi non avevano avuto una forte necessità di una definizione formale del termine pianeta. Dopo la scoperta di Plutone, nel 1930, gli astronomi avevano stabilito che il Sistema solare contenesse nove pianeti e migliaia di altri corpi dalle dimensioni significativamente minori, asteroidi e comete. Per quasi 50 anni, Plutone è stato ritenuto più grande di Mercurio, ma la scoperta nel 1978 della sua luna Caronte permise di misurarne la massa con precisione, ottenendo per essa un valore molto più piccolo delle stime iniziali: il valore misurato corrispondeva a circa un ventesimo della massa di Mercurio, rendendo Plutone di gran lunga il pianeta più piccolo. Sebbene fosse ancora dieci volte più massiccio di Cerere, l'oggetto più grande presente nella fascia principale degli asteroidi, anche dal confronto con la Luna Plutone appariva ridimensionato, raggiungendone appena un quinto della massa. Inoltre, possedendo alcune caratteristiche inusuali quali un'elevata eccentricità orbitale e un'elevata inclinazione orbitale, divenne evidente che si trattava di un corpo differente da ogni altro pianeta. Negli anni novanta, gli astronomi cominciarono a trovare altri oggetti nella stessa regione di spazio in cui orbita Plutone (conosciuta come Fascia di Kuiper), e alcuni altri anche a distanze maggiori. Alcuni di essi condividevano le caratteristiche chiave dell'orbita di Plutone, cosicché il corpo celeste cominciò a essere visto come il più grande di una nuova classe di oggetti, i plutini. Ciò portò alcuni astronomi a smettere di riferirsi a Plutone come a un pianeta e diversi termini, come pianeta minore, sub-pianeta e planetoide cominciarono a essere usati per gli oggetti in seguito indicati come pianeti nani. Quando nel 2005 furono scoperti altri tre oggetti (Quaoar, Sedna ed Eris) di dimensioni comparabili a quelle di Plutone fu chiaro che si doveva o classificare anche loro come pianeti, oppure Plutone avrebbe dovuto essere riclassificato. Gli astronomi erano inoltre convinti che si potesse riuscire a scoprire altri oggetti delle dimensioni di Plutone e, quindi, il numero di pianeti con caratteristiche simili a Plutone sarebbe cresciuto rapidamente. Nel 2006, furono determinate le dimensioni di Eris (conosciuto allora come 2003 UB313) e lo si scoprì essere leggermente più grande di Plutone. Ufficiosamente, alcuni studiosi e giornalisti cominciarono a riferirsi all'oggetto come al Decimo pianeta. Conseguentemente, la questione fu oggetto di un intenso dibattito durante la XXVI Assemblea Generale dell'Unione Astronomica Internazionale dell'agosto del 2006. La prima bozza di proposta, avanzata dal gruppo di lavoro appositamente istituito dalla UAI, fu di considerare qualunque corpo con una forza di gravità tale da fargli raggiungere la forma di equilibrio idrostatico (ovvero quasi sferica) come pianeta. Tale definizione avrebbe immediatamente incluso Eris e Cerere nella lista dei pianeti, più Caronte, considerando il suo sistema come un sistema doppio. Inoltre fu individuata una lista di 12 potenziali oggetti candidabili come pianeti, qualora si fosse dimostrata una forma modellata dall'equilibrio idrostatico. Dopo l'opposizione di numerosi astronomi a una tale risoluzione, l'astronomo uruguayano Julio Ángel Fernández avanzò una proposta alternativa, in cui si creava una classificazione intermedia per quegli oggetti sufficientemente grandi da aver assunto una forma sferica, ma non abbastanza da aver ripulito la propria fascia orbitale dalla maggior parte dei planetesimi che vi hanno orbitato dalla formazione del Sistema solare a oggi. Escludendo Caronte dalla lista, la nuova proposta assegnava Plutone, Cerere ed Eris alla nuova categoria. La risoluzione finale dell'Unione Astronomica Internazionale conservò la distinzione in tre categorie per i corpi celesti in orbita intorno al Sole. Fernández aveva suggerito di chiamare gli oggetti della classe intermedia planetoidi, ma la sessione plenaria della III Divisione della UAI votò unanimemente per pianeti nani. Sebbene ci fosse preoccupazione riguardo allo status di pianeti in altri sistemi solari, tale questione ancora non è stata risolta; è stato proposto di decidere al riguardo soltanto quando saranno stati sviluppati strumenti in grado di permettere l'osservazione e lo studio di tali oggetti. La 6ª Risoluzione dell'UAI del 2006 riconobbe Plutone come "il prototipo di una nuova categoria di oggetti transnettuniani". Il nome e la precisa natura di tale categoria non furono specificati e la loro comunicazione fu rimandata a data da destinarsi. L'11 giugno 2008, il "Comitato Esecutivo" dell'Unione Astronomica Internazionale ha comunicato il nome, plutoidi, e la definizione: tutti i pianeti nani transnettuniani sono plutoidi[1]. L'11 luglio 2008, il "Gruppo di lavoro per la nomenclatura dei Sistemi planetari" (Working Group for Planetary System Nomenclature) ha riclassificato l'oggetto allora noto come (136472) 2005 FY9 come un pianeta nano, rinominandolo Makemake. Due mesi dopo, il 17 settembre anche (136108) 2003 EL61, rinominato Haumea, è stato classificato tra i pianeti nani. I pianeti nani, dunque, sono:

  1. Cerere (dal latino Cerēs, Cerere, in origine chiamato Cerere Ferdinandea, catalogato come 1 Ceres secondo la designazione asteroidale) è l'asteroide più massiccio della fascia principale del sistema solare; la sua scoperta, avvenuta il 1º gennaio 1801 a opera di Giuseppe Piazzi dall'osservatorio astronomico di Palermo, è stata la prima per un asteroide e per mezzo secolo Cerere è stato considerato l'ottavo pianeta. Dal 2006 Cerere è l'unico asteroide del sistema solare interno considerato un pianeta nano, alla stregua di Plutone, Makemake, Haumea ed Eris, che però appartengono tutti al sistema solare esterno. Il suo diametro varia dai 900 ai 1000 km e la sua massa è pari al 32% di quella dell'intera fascia principale. La fascia di Edgeworth-Kuiper contiene oggetti molto più grandi di Cerere; oltre ai pianeti nani già citati, si ricordano Quaoar, Orco e Sedna. Le osservazioni astronomiche hanno rivelato che ha forma sferica. La sua superficie è probabilmente composta da un miscuglio di ghiaccio d'acqua e vari minerali, come carbonati e argille idrate. Cerere ha subito un processo di differenziazione, che ha condotto alla formazione di un nucleo roccioso e di un mantello di materiali ghiacciati, e potrebbe ospitare un oceano di acqua liquida sotto la superficie. Dalla Terra appare come un oggetto stellare la cui magnitudine varia tra 6,7 e 9,3. La sua luminosità è troppo debole perché possa essere visto a occhio nudo. Il 27 settembre 2007 la NASA ha lanciato la missione Dawn che ha visitato Vesta nel biennio 2011-2012; la sonda Dawn è entrata in orbita attorno a Cerere il 6 marzo 2015. Quando Cerere è all'opposizione in prossimità del proprio perielio, può raggiungere una magnitudine apparente pari a +6,7. Un corpo celeste con una tale luminosità apparente è troppo debole per essere visto a occhio nudo, ma in condizioni di visibilità particolari lo si può individuare senza ricorrere a binocoli o telescopi. Cerere ha raggiunto la sua massima luminosità (pari a 6,73) il 18 dicembre 2012. Gli unici altri asteroidi della fascia principale che raggiungono una tale magnitudine sono Vesta e, durante rare opposizioni in prossimità del perielio, Pallade e Iris. Durante una congiunzione, Cerere raggiunge una magnitudine pari a +9,3, prossima al limite di visibilità di un binocolo 10×50. Può quindi essere individuata con un binocolo ogni volta che sia sopra l'orizzonte e durante una notte buia. Cerere fu individuato il 1º gennaio 1801 dall'astronomo italiano Giuseppe Piazzi. Piazzi lo battezzò Ceres Ferdinandea in onore della dea romana Cerere (protettrice del grano e della Sicilia) e di Ferdinando III di Sicilia. L'aggettivazione Ferdinandea è poi caduto in disuso, presso la comunità internazionale. Per qualche tempo Cerere fu anche chiamato Hera, in Germania. Il corpo celeste fu scoperto quando, dall'Osservatorio Reale di Palermo, Piazzi stava cercando la stella catalogata da Nicolas-Louis de Lacaille come Lacaille 87, poiché la sua posizione non corrispondeva a quella riportata nel catalogo zodiacale di Johann Tobias Mayer (alla fine si scoprì che Francis Wollaston, nella riedizione del catalogo Mayer, aveva commesso un errore). Sicché, il 1º gennaio 1801 Piazzi scoprì un oggetto brillante nella costellazione del Toro. La prima osservazione lo portò a ipotizzare che si trattasse di una stella fissa, non riportata dal catalogo. Nei giorni seguenti, tuttavia, notò che non si trovava più nella posizione iniziale, e sospettò che si trattasse di una stella diversa, ma le successive osservazioni lo convinsero che l'astro era dotato di moto proprio: si era mosso prima verso l'Ariete e successivamente aveva percorso un tratto in moto retrogrado, che lo aveva condotto in prossimità delle stelle 13 e 14 Tauri.  Dal diario di Giuseppe Piazzi: «Risultati delle osservazioni della nuova stella scoperta il dì primo gennaio all'Osservatorio Reale di Palermo - Palermo 1801. Già da nove anni travagliando io a verificare le posizioni delle stelle che si trovano raccolte ne' vari Cataloghi degli astronomi, la sera del primo gennaio dell'anno corrente, tra molte altre cercai la 87.a del Catalogo delle stelle zodiacali dell'Abate La Caille. Vidi pertanto che era essa preceduta da un'altra, che secondo il costume, volli osservare ancora, tanto maggiormente, che non impediva l'osservazione principale. La sua luce era un poco debole, e del colore di Giove, ma simile a molte altre, che generalmente vengono collocate nell'ottava classe rispetto alla loro grandezza. Non mi nacque quindi alcun dubbio sulla di lei natura. La sera del due replicai le mie osservazioni, e avendo ritrovato, che non corrispondeva né il tempo, né la distanza dallo zenit, dubitai sulle prime di qualche errore nell'osservazione precedente: concepii in seguito un leggiero sospetto, che forse esser potesse un nuovo astro. La sera del tre il mio sospetto divenne certezza, essendomi assicurato che essa non era Stella fissa. Nientedimeno, avanti di parlarne aspettai la sera del 4, in cui ebbi la soddisfazione di vedere, che si era mossa colla stessa legge che tenuto aveva nei giorni precedenti..." Piazzi non poté seguire il moto di Cerere abbastanza a lungo (compì solo ventiquattro osservazioni) prima che, l'11 febbraio, l'astro entrasse in congiunzione, e diventasse quindi invisibile da Terra; non fu possibile determinarne l'orbita, e Cerere andò perduto. Nonostante i buoni presupposti per la scoperta di un nuovo pianeta, Piazzi decise di essere prudente e in alcune lettere ad altri astronomi annunciò semplicemente di aver individuato una cometa. In una lettera all'astronomo Barnaba Oriani di Milano, amico e conterraneo, Piazzi rivelò i suoi sospetti: «Avevo annunciato questa stella come una cometa, ma poiché non è accompagnata da alcuna nebulosità, e inoltre il suo movimento è così lento e piuttosto uniforme, mi è venuto in mente più volte che potesse essere qualcosa di meglio di una cometa.» In aprile, Piazzi inviò le sue osservazioni complete a Oriani, Johann Elert Bode e Jérôme Lalande a Parigi. Successivamente furono riassunte nell'edizione del settembre 1801 del Monatliche Correspondenz. Carl Friedrich Gauss, a ventiquattro anni, riuscì a fornire agli astronomi i mezzi per recuperare l'asteroide, sviluppando un nuovo metodo di determinazione dell'orbita di un corpo celeste con tre sole osservazioni. Il metodo era basato sull'utilizzo dei minimi quadrati, una metodologia che Gauss sviluppò appositamente per l'astronomia, ma che per la sua efficacia si diffuse in molti altri ambiti. In poche settimane Gauss predisse la traiettoria di Cerere in base ai dati raccolti da Piazzi e comunicò i suoi risultati a Franz Xaver von Zach, editore del Monatliche Correspondenz. Il 31 dicembre 1801, Franz Xaver von Zach e Heinrich Wilhelm Olbers confermarono con certezza la riscoperta di Cerere. Johann Elert Bode pensò che Cerere fosse il "pianeta mancante" previsto da Johann Daniel Titius, orbitante fra Marte e Giove a una distanza, secondo la legge di Titius-Bode, di 419 milioni di chilometri (2,8 AU) dal Sole. A Cerere fu assegnato un simbolo astronomico (una falce di cui esistono diverse varianti - ), e rimase elencato come pianeta in tavole e libri astronomici per circa mezzo secolo, finché non furono scoperti ulteriori pianetini. Cerere risultò essere deludentemente piccolo: il suo disco non era distinguibile con gli strumenti dell'epoca, così William Herschel per descriverlo nel 1802 coniò il termine "asteroide" ("simile a stella"). 

  2. Plutone è un pianeta nano orbitante nella parte esterna del sistema solare, nella fascia di Kuiper. Scoperto da Clyde Tombaugh nel 1930, è stato considerato per 76 anni il nono pianeta del sistema solare. Il suo status di pianeta venne messo in discussione dal 1992, in seguito all'individuazione di diversi oggetti di dimensioni simili nella fascia di Kuiper; la scoperta di Eris nel 2005, un pianeta nano del disco diffuso che è il 27% più massiccio di Plutone, ha portato infine l'Unione Astronomica Internazionale a riconsiderare, dopo un acceso dibattito, la definizione di pianeta, e a riclassificare così Plutone come pianeta nano l'anno successivo. Plutone è il sedicesimo corpo celeste sia per grandezza e per massa del sistema solare, ed è il più grande dei pianeti nani e degli oggetti transnettuniani conosciuti, superato in ambedue le categorie come massa da Eris. Presenta massa e dimensioni inferiori a quelle dei maggiori satelliti naturali del sistema solare: i satelliti medicei di Giove, Titano, Tritone e la Luna. Confrontato con quest'ultima, la sua massa è pari solo ad un sesto e il suo volume ad un terzo. Come gli altri oggetti della fascia di Kuiper, Plutone è principalmente costituito da ghiaccio e roccia. La sua orbita è piuttosto eccentrica e inclinata rispetto al piano dell'eclittica, mentre la sua distanza dal Sole varia da 30 a 49 UA. Periodicamente Plutone, durante il suo perielio, viene a trovarsi più vicino al Sole di Nettuno, tuttavia essendo in risonanza orbitale 2:3 con esso, non gli si avvicina mai a meno di 17 UA. Plutone ha cinque lune conosciute: Caronte (la più grande, con un diametro che è poco più della metà del suo), Stige, Notte, Cerbero e Idra. Plutone e Caronte vengono considerati un sistema binario o un pianeta doppio, poiché il baricentro del sistema giace al di fuori di entrambi. Il 14 luglio 2015, la sonda New Horizons è diventata la prima navicella spaziale a sorvolare Plutone, effettuando misure e osservazioni dettagliate del pianeta nano e delle sue lune. Nel settembre 2016, gli astronomi hanno annunciato che la calotta bruno-rossastra che ricopre il polo nord di Caronte è composta da toline, macromolecole organiche che possono essere ingredienti per la vita, e che, rilasciate dall'atmosfera di Plutone, precipitano su Caronte a 19 000 km di distanza. Si sospettava da tempo l'esistenza di un pianeta esterno rispetto a quelli già noti, a causa del fatto che Urano e Nettuno sembravano muoversi in modo diverso dal previsto, come se fossero perturbati dall'attrazione gravitazionale di un altro oggetto. Alle stesse conclusioni arrivarono William Henry Pickering e Percival Lowell all'inizio del Novecento. Perfino lo scrittore Howard P. Lovecraft aveva ipotizzato, sulla base di calcoli astronomici, l'esistenza di un altro pianeta oltre Nettuno. La tecnica delle perturbazioni aveva già riportato un grande successo nel 1846, quando Nettuno era stato scoperto allo stesso modo. Clyde Tombaugh iniziò ad interessarsi di astronomia sin da giovane, negli anni venti, costruendosi telescopi amatoriali per osservare oggetti del sistema solare. Nel 1928 inviò alcuni disegni di osservazioni compiute su Marte e Giove a Vesto Slipher, allora direttore dell'Osservatorio Lowell di Flagstaff, in Arizona. Questi lo assunse all'osservatorio, incaricandolo della ricerca del Pianeta X, previsto da Lowell e Pickering. Seguendo le previsioni teoriche e dedicandosi a lunghe ricerche, il 18 febbraio 1930, per mezzo del confronto di lastre fotografiche impressionate pochi giorni prima, il 23 e il 29 gennaio, Tombaugh scoprì l'oggetto cercato, che già dai primi calcoli pareva orbitare al di là dell'orbita di Nettuno. Dopo che l'osservatorio ebbe ottenuto fotografie di conferma, la notizia della scoperta fu telegrafata all'Harvard College Observatory il 13 marzo 1930, in quanto l'osservatorio volle far coincidere la data con quella della scoperta di Urano da parte di Herschel e con la data di nascita di Percival Lowell, avvenuta nel 1855. Il pianeta fu in seguito ritrovato in fotografie risalenti al 19 marzo 1915. La più antica immagine sicura attualmente conosciuta di Plutone risale al 23 gennaio 1914 ed è stata ripresa dall'Osservatorio di Heidelberg, immagini risalenti al 21 agosto 1909 e 11 novembre 1909 riprese dall'Osservatorio Yerkes necessitano ancora di una conferma definitiva. Osservazioni tramite il telescopio spaziale Hubble avevano stimato la densità di Plutone compresa tra 1,8 e 2,1 g/cm³, mentre coi dati della New Horizons si è ottenuta una più precisa stima di 1,860±0,013 g/cm³. La struttura interna di Plutone è probabilmente differenziata, con il materiale roccioso depositato in un nucleo denso circondato da un mantello di ghiaccio. Il diametro del nucleo è ipotizzato essere di circa 1700 km, ossia il 70% del diametro di Plutone. La densità media di Plutone, pari a due volte quella dell'acqua, suggerisce che il suo interno sia costituito da un miscuglio di materiali rocciosi, di ghiaccio d'acqua e di metano (la presenza di quest'ultimo è stata dedotta dalle osservazioni sulla riflettività del suolo del pianeta a diverse lunghezze d'onda). L'Istituto di ricerca planetaria del DLR ha calcolato che il rapporto densità/raggio di Plutone si colloca in una zona intermedia tra quelli dei satelliti di ghiaccio (come le lune di media grandezza di Urano e di Saturno) e satelliti rocciosi come Europa. Alcuni studiosi dell'Università della California sostengono che sotto lo strato ghiacciato Plutone potrebbe ospitare un oceano liquido dello spessore di 100-180 km. Infatti, se il nucleo roccioso contiene almeno 75 parti per miliardo di potassio radioattivo, il calore prodotto sarebbe sufficiente a mantenere dell'acqua liquida sotto la superficie. La presenza di questo oceano è però strettamente legata alle caratteristiche e alla dimensione dello strato di ghiaccio più esterno, elementi che non possono essere misurati direttamente dalla Terra. Sono state diverse le teorie avanzate per spiegare le piccole dimensioni di Plutone, simile a quella dei satelliti del gigante Nettuno, in particolare di Tritone. Il matematico britannico Raymond Arthur Lyttleton nel 1936 avanzò l'ipotesi che Plutone e Tritone ruotassero un tempo attorno a Nettuno, fintanto che una perturbazione gravitazionale avesse espulso Plutone dal sistema e spostato Tritone su di un'orbita retrograda attorno al pianeta. La teoria fu ripresa anche da Gerard Kuiper, che sosteneva che Tritone e Plutone avevano in comune alcune caratteristiche atmosferiche e geologiche. La teoria fu abbandonata quando studi dinamici dimostrarono che Plutone e Nettuno non si avvicinavano mai tra loro, perché le rispettive orbite sono in risonanza orbitale 3:2. Inoltre, nel 1992 vennero scoperti diversi corpi ghiacciati simili a Plutone, al di là dell'orbita di Nettuno, e ci si rese conto che Plutone rappresentava solo il più grande di questi oggetti transnettuniani fino a quel momento sconosciuti.[61] Plutone, come un tempo Tritone, fa parte della fascia di Kuiper. Gli oggetti che compongono la fascia possono presentare varie risonanze con Nettuno; quelli che come lo stesso Plutone presentano un fenomeno di risonanza orbitale 2:3 con il gigante ghiacciato sono detti plutini. Tritone ha le stesse origini e caratteristiche di Plutone, tuttavia venne catturato da Nettuno, quando il pianeta gigante emigrò verso la fascia di Kuiper. Plutone potrebbe essere considerato uno dei tanti frammenti del disco protoplanetario durante la formazione del sistema solare; il suo accrescimento non fu sufficiente perché divenisse un vero e proprio pianeta. Come altri oggetti della fascia di Kuiper sarebbe stato allontanato dal Sole oltre l'orbita di Nettuno per l'influenza gravitazionale dei pianeti giganti. Mentre alcuni di questi corpi furono espulsi nel sistema solare esterno oppure formarono la nube di Oort, altri come Plutone risentirono meno degli effetti gravitazionali e formarono la fascia di Kuiper. Caronte potrebbe essersi invece formato a causa di una collisione di Plutone con uno dei tanti planetesimi di quella affollata proto-fascia di Kuiper, i cui resti possono essere identificati nelle lune minori Notte, Idra, Cerbero e Stige, membri quindi di una famiglia collisionale. La comunità scientifica è relativamente concorde che all'inizio del sistema solare Urano e Nettuno occupassero un'orbita molto più vicina al Sole; secondo il modello di Nizza, sviluppato nel 2004 da un gruppo di astronomi dell'osservatorio della Costa Azzurra, forse a causa di un risonanza orbitale di 1:2 che si creò tra Giove e Saturno, Urano e Nettuno vennero spinti su orbite più esterne. Quando Nettuno si avvicinò agli oggetti della protofascia di Kuiper, al tempo occupata da oggetti su orbite relativamente regolari e poco eccentriche, ne catturò uno (Tritone), bloccò Plutone e altri oggetti attraverso l'instaurazione di risonanze orbitali, modificandone le orbite, e gettò altri ancora in orbite caotiche, come gli oggetti del disco diffuso. L'instabilità della proto-fascia di Kuiper causata dalla migrazione di Nettuno, con la conseguente espulsione di oggetti da quella zona di spazio anche verso le zone interne del sistema solare, potrebbe spiegare l'intenso bombardamento tardivo avvenuto 600 milioni di anni dopo la formazione del sistema solare e l'origine dei troiani di Giove. È possibile che Plutone avesse un'orbita quasi circolare, intorno alle 33 UA dal Sole, prima che la migrazione di Nettuno la perturbasse. Il modello di Nizza richiede che ci fossero circa un migliaio di corpi delle dimensioni di Plutone, in origine, nel disco di planetesimi, tra cui Tritone ed Eris.

  3. Eris (nome ufficiale 136199 Eris) è il secondo pianeta nano per diametro medio del sistema solare dopo Plutone, rispetto al quale ha però una massa del 27% superiore. Si tratta di un oggetto ghiacciato orbitante nel sistema solare esterno, fra gli oggetti cosiddetti transnettuniani, quindi un plutoide. Ha un'orbita molto eccentrica che lo porta da una distanza minima dal Sole di 5,6 miliardi di km ad una massima di 14,6 miliardi (quest'ultima circa il doppio della distanza massima di Plutone dal Sole). Eris appartiene al disco diffuso ed al momento della sua scoperta era stato ritenuto il più grande fra gli oggetti transnettuniani; come sottolineato infatti dagli astronomi dell'Osservatorio di Monte Palomar l'oggetto era sicuramente più grande di Plutone.Tuttavia successive misurazioni hanno stabilito il suo diametro in circa 2.326 chilometri, più piccolo di qualche decina rispetto a Plutone. Originariamente soprannominato il Decimo Pianeta dagli scopritori, dalla NASA e dai media, l'oggetto è stato classificato come un pianeta nano dall'UAI nella stessa occasione − l'assemblea generale del 24 agosto 2006 − in cui l'organismo ha promulgato definitivamente la definizione ufficiale di pianeta. La stessa UAI ha quindi ufficialmente battezzato l'oggetto, nel mese successivo, con il nome di Eris, personificazione della discordia secondo la mitologia greca. Eris era precedentemente noto mediante la designazione provvisoria 2003 UB313 o con il nome informale di Xena, in onore della principessa guerriera di una nota serie televisiva statunitense. Dal 13 settembre 2006 al 2 aprile 2007, quando 145562 Zurbriggen ricevette la denominazione ufficiale, è stato l'asteroide denominato con il più alto numero ordinale. Prima della sua denominazione, il primato era di 134340 Pluto. Eris possiede un satellite, Disnomia, del diametro di circa 250 km. l diametro dell'oggetto, misurato con l'occultazione di una stella, è stimato intorno ai 2326 km, con un'incertezza di ±12 km. L'albedo superficiale quindi è molto alta (0,97[11]± 0,01) e già le prime osservazioni indicavano che sulla superficie dell'oggetto è presente del metano ghiacciato. Entrambe queste proprietà lo rendono il più simile a Plutone di tutti i grandi plutoidi del sistema solare esterno finora scoperti. La densità media di Eris è valutata in 2,52 g/cm³.Eris presenta un periodo orbitale di 557 anni ed attualmente si trova quasi alla massima distanza possibile dal Sole (ovvero all'afelio) raggiunta nel 1977. Come nel caso di Plutone, la sua orbita è estremamente eccentrica, e lo porta a circa 35 UA di distanza dal Sole al perielio (la distanza di Plutone varia da 29 a 49,5 au, mentre l'orbita di Nettuno arriva appena a 30 au). Mentre i pianeti rocciosi del sistema solare interno e i giganti gassosi giacciono su orbite poste, approssimativamente, sul medesimo piano (l'eclittica), l'orbita di Eris presenta un'inclinazione pari a circa 44°. L'oggetto è abbastanza luminoso, e la sua magnitudine apparente media di 18,8 lo rende visibile da Terra con modesti telescopi, un telescopio con un obiettivo o uno specchio di almeno 20 cm e un CCD dovrebbe riuscire a fotografarlo in buone condizioni osservative. Probabilmente la forte inclinazione dell'orbita è la causa principale del notevole ritardo occorso nella scoperta, dato che molte delle ricerche di pianeti nani situati al di fuori dell'orbita di Nettuno si erano in precedenza concentrate sul piano dell'eclittica, dove si è accumulata la maggior parte della materia che compone il sistema solare. Eris è stato scoperto l'8 gennaio 2005 da un gruppo di astronomi composto da Michael Brown, Chad Trujillo e David Rabinowitz, grazie allo studio di fotografie scattate il 21 ottobre 2003. La scoperta è stata annunciata il 29 luglio 2005, lo stesso giorno in cui è stata resa nota l'individuazione di altri due grandi oggetti della fascia di Kuiper, Haumea e Makemake. Il gruppo di ricerca guidato da Brown da diversi anni sta esplorando sistematicamente il cielo alla ricerca di pianeti nani orbitanti nel sistema solare esterno, e aveva già contribuito in precedenza alla scoperta di diversi oggetti transnettuniani particolarmente massicci, fra cui Quaoar e Sedna. Le osservazioni di routine sono state effettuate dalla squadra il 31 ottobre 2003 per mezzo del telescopio riflettore Samuel Oschin di 48 pollici dell'osservatorio di Monte Palomar, ma l'oggetto planetario visibile nelle immagini è stato individuato solo nel mese di gennaio 2005, quando ulteriori riprese dello stesso campo hanno permesso di evidenziare il suo lento movimento rispetto allo sfondo di stelle. Successive osservazioni hanno consentito una determinazione preliminare dei parametri orbitali di Eris, rendendo possibile una stima della distanza e delle sue dimensioni. Il team aveva pianificato di posticipare l'annuncio della propria scoperta finché ulteriori osservazioni non avessero permesso una determinazione più precisa della dimensione e della massa dell'oggetto, ma è forse stato costretto a pubblicare la notizia per non perdere la priorità della scoperta, in seguito ad alcune indiscrezioni trapelate. Il 2 ottobre 2005 gli stessi osservatori che avevano scoperto Eris hanno reso nota l'individuazione di un suo satellite naturale, che si rivelerà molto utile per misurare con maggiore precisione la massa del pianeta nano. 

  4. Haumea (già noto con la designazione provvisoria di (136108) 2003 EL61, ufficialmente 136108 Haumea) è un pianeta nano del sistema solare esterno, dotato di due satelliti. È qualificato come oggetto transnettuniano. La scoperta fu annunciata nel luglio 2005 indipendentemente da due diversi gruppi di lavoro. Il 20 luglio dal gruppo dell'Osservatorio di Monte Palomar sotto la guida di Michael Brown e il 27 luglio da quello dell'Osservatorio della Sierra Nevada sotto la guida di José Luis Ortiz Moreno. Ne nacque un contezioso che fu risolto dall'IAU a favore del gruppo spagnolo lasciando però, in deroga alle normali procedure, la scelta del nome al gruppo statunitense. Entrambi i gruppi nei loro annunci segnalarono prescoperte in immagini di anni precedenti: Monte Palomar in immagini del 2004 e Sierra Nevada in immagini del 2003. Il 17 settembre 2008, è stato classificato come pianeta nano dall'IAU e denominato Haumea in onore di una dea hawaiana della fertilità. Per dimensioni, l'oggetto è simile a Plutone. Una particolarità del corpo è che la sua rotazione è estremamente rapida, circa quattro ore, il che gli fa assumere una forma allungata. 'attribuzione della scoperta di Haumea fu una questione controversa e due gruppi di astronomi se ne attribuirono la paternità. Mike Brown e il suo gruppo del Caltech, che scoprirono Haumea il 28 dicembre 2004 su immagini risalenti al 6 maggio dello stesso anno, pubblicarono on-line il 20 luglio 2005 un estratto del loro articolo con l'intenzione di annunciare ufficialmente la scoperta alla conferenza del Minor Planet Center (MPC) prevista nel settembre successivo. Pochi giorni dopo José Luis Ortiz Moreno e il suo gruppo dell'Instituto de Astrofísica de Andalucía dell'Osservatorio della Sierra Nevada in Spagna, identificarono Haumea in immagini prese tra il 7 e il 10 maggio 2003. Ortiz inviò un'email urgente all'MPC nella notte del 27 luglio 2005 annunciando la scoperta. Brown, che aveva inizialmente riconosciuto agli spagnoli il diritto all'accredito, contestò il fatto quando scoprì che il loro estratto, contenente abbastanza informazioni da permettere al team di Ortiz di ritrovare Haumea nelle immagini del 2003, era stato consultato prima che Ortiz pianificasse ulteriori osservazioni telescopiche per ottenere nuove immagini utili per un secondo annuncio all'MPC del 29 luglio. Ortiz confermò di aver consultato il lavoro di Brown, ma solo per verificare di aver veramente scoperto un nuovo oggetto. I protocolli della IAU stabiliscono che la paternità della scoperta di un pianeta minore vada assegnata a chi invia per primo all'MPC un resoconto con dati sufficienti a determinare in modo accettabile la sua orbita, e che lo scopritore abbia la priorità nella scelta del nome. La decisione finale dell'IAU fu di attribuire la scoperta all'Osservatorio della Sierra Nevada dove lavorava il gruppo spagnolo, ma la scelta del nome, Haumea, avvenne in conformità a quanto proposto dal Caltech. Il gruppo di Ortiz aveva proposto di chiamarlo "Ataecina", dal nome dell'antica dea iberica della primavera. 

  5. Makemake, ufficialmente designato (136472) Makemake, precedentemente noto con la designazione provvisoria di (136472) 2005 FY9) è il terzo pianeta nano per dimensioni del sistema solare ed è appartenente alla classe dei plutoidi. Il suo diametro è pari all'incirca a 3/4 di quello di Plutone. La sua orbita è per intero situata esternamente rispetto all'orbita di Nettuno, pertanto è corretto definirlo un oggetto transnettuniano, appartenente al gruppo dei cubewani. Ha un satellite conosciuto, S/2015 (136472) 1, la cui scoperta è stata resa nota nell'aprile del 2016. La temperatura estremamente bassa (circa 30 K) che si registra sulla sua superficie fa sì che essa sia ricoperta da ghiacci di metano, etano e probabilmente azoto. Il suo nome richiama la figura di Makemake, divinità della creazione secondo la mitologia pasquense. Makemake è stato scoperto il 31 marzo 2005 da un gruppo di ricerca dell'osservatorio di Monte Palomar, guidato da Michael Brown, che ha annunciato la scoperta il 29 luglio successivo, lo stesso giorno in cui è stata resa nota la scoperta di Eris e due giorni dopo la comunicazione di quella di Haumea. A dispetto della sua relativa luminosità (circa un quinto di quella di Plutone), Makemake non è stato scoperto se non dopo numerosi altri oggetti meno luminosi appartenenti alla fascia di Kuiper. La maggior parte delle campagne di ricerca degli asteroidi sono condotte in prossimità del piano dell'eclittica (la regione del cielo in cui transitano il Sole, la Luna e gli altri pianeti, se visti dalla Terra) a causa della maggiore probabilità di trovare oggetti lì piuttosto che altrove, ed è probabile che Makemake sia sfuggito alle prime ricerche a causa della sua elevata inclinazione orbitale che lo porta a visitare regioni del cielo lontane da tale piano. Infatti al momento della scoperta Makemake era alla sua massima distanza dall'eclittica, nella costellazione settentrionale della Chioma di Berenice. Oltre Plutone, Makemake è l'unico altro plutoide sufficientemente luminoso che avrebbe potuto essere scoperto da Clyde Tombaugh durante la sua ricerca, negli anni trenta del Novecento, del pianeta responsabile delle perturbazioni dell'orbita di Nettuno. All'epoca delle osservazioni di Tombaugh, Makemake era a pochi gradi dall'eclittica in prossimità del bordo tra le costellazioni del Toro e dell'Auriga come un oggetto della 16ª magnitudine. Tuttavia in tale posizione, assai prossima alla Via Lattea, sarebbe stato quasi impossibile individuarlo celato dal denso sfondo di stelle. Tombaugh proseguì le sue ricerche per alcuni anni dopo la scoperta di Plutone, ma non trovò né Makemake né altri oggetti transnettuniani. 

Le regioni più lontane del sistema solare

Il punto in cui termina il sistema solare e inizia lo spazio interstellare non è definito con precisione, poiché i suoi confini possono essere tracciati tramite due forze distinte: il vento solare o la gravità del sole. Il limite esterno tracciato dal vento solare giunge a circa quattro volte la distanza Plutone-Sole; questa eliopausa è considerata l'inizio del mezzo interstellare. Tuttavia, la sfera di Hill del Sole, ovvero il raggio effettivo della sua influenza gravitazionale, si ritiene si possa estendere fino a un migliaio di volte più lontano. L'eliosfera è divisa in due regioni distinte. Il vento solare viaggia a circa 400 km/s fino a quando non attraversa il cosiddetto termination shock, che si trova tra 80 e 100 UA dal Sole in direzione sopravvento, e fino a circa 200 UA dal Sole sottovento. Qui il vento rallenta drasticamente, aumenta di densità e temperatura e diviene più turbolento, formando una grande struttura ovale conosciuta con il nome di elioguaina (dal termine inglese heliosheath), la quale sembra si comporti come la coda di una cometa: essa si estende verso l'esterno per altri 40 UA sul lato sopravvento, mentre si estende molto meno nella direzione opposta. Entrambe le sonde Voyager 1, nel 2004, e Voyager 2, nel 2007, hanno superato il termination shock e sono entrate nell'elioguaina, e distano rispettivamente 145 e 120 UA dal Sole. Dopo l'attraversamento del termination shock, il vento solare continua a fluire fino a raggiungere il limite esterno dell'eliosfera, l'eliopausa, oltre la quale inizia il mezzo interstellare, anch'esso pervaso di plasma. La forma del limite esterno dell'eliosfera è probabilmente influenzata dalla dinamica dei fluidi delle interazioni con il plasma del mezzo interstellare, nonché dal campo magnetico solare, prevalente a sud. Al di là dell'eliopausa, a circa 230 UA, nel plasma interstellare si forma un'onda d'urto stazionaria (bow shock), dovuta al moto del Sole attraverso la Via Lattea. Nel 2012 la sonda spaziale Voyager 1, lanciata dalla NASA, ha attraversato l'eliopausa, scoprendo che è il "confine del sistema solare", in quanto il campo magnetico del Sole ha come limite questo spazio interstellare. Vedendo le oscillazioni dell'ago della bussola interna della sonda si è capito che col passare degli anni molteplici strati magnetici del Sole si sono accumulati e perfino intrecciati tra loro, creando bolle magnetiche. L'eliopausa è molto importante per la nostra stessa sopravvivenza, poiché, con l'enorme energia magnetica accumulata nel tempo, ci protegge da nocivi raggi cosmici. Una squadra finanziata dalla NASA ha sviluppato il concetto di una "Vision Mission" dedicato all'invio di una sonda nell'Eliosfera. 

Il sistema solare: contesto galattico

Il sistema solare è situato nella via Lattea, una galassia a spirale del diametro di circa 100000 al contenente circa 200 miliardi di stelle. Più precisamente è situato in uno dei bracci esterni, noto come il braccio di Orione a una distanza di 30000 al dal centro galattico, attorno al quale orbita con una velocità di 230 km/s, compiendo un'orbita in 230 milioni di anni o un anno galattico. La direzione in cui viaggia il sistema solare alla nostra epoca è un punto vicino alla stella Vega, chiamato apice solare. La posizione del sistema solare all'interno della galassia è stata fondamentale per lo sviluppo della vita sulla Terra. L'orbita quasi circolare attorno al nucleo galattico, con velocità simile alle stelle vicine e simile alla velocità di rotazione del braccio galattico, ha permesso al sistema di non attraversare altri bracci ricchi di supernove che, con la loro instabilità, avrebbero potuto compromettere l'equilibro di condizioni necessarie alla vita per evolversi. Il sistema solare si trova all'interno della Nube Interstellare Locale, vicino al confine con la nube G-cloud (dove risiedono Alfa Centauri e Antares), verso la quale si sta muovendo. La nube ha una densità di idrogeno leggermente superiore al mezzo interstellare e una dimensione di circa 30 al[93]. Il tutto è immerso in una struttura più grande, la Bolla Locale, con una densità di idrogeno leggermente inferiore e un diametro di circa 300 al. Ci sono solo sette sistemi stellari conosciuti nel raggio di 10 anni luce dal sistema solare. Il più vicino è Alfa Centauri, un sistema triplo a poco più di 4 anni luce di distanza. Poi ci sono tre sistemi poco luminosi con una sola stella, Stella di Barnard, Wolf 359 e Lalande 21185, prima di Sirio, un sistema doppio che è la stella più brillante del cielo notturno osservabile. Poco più distanti, a circa 9 anni luce, ci sono un sistema doppio Luyten 726-8 e la stella Ross 154. Oltre a questi sistemi ci potrebbero essere oggetti poco luminosi, come le nane brune recentemente scoperte WISE 1049-5319 e WISE 0855−0714, e quindi difficilmente individuabili. 


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