Le nubi di Magellano

Le Nubi di Magellano sono "galassie satelliti" della Via Lattea. Ma quali sono le loro caratteristiche? Seguici su Eagle sera per saperne di più.



Cos'è una galassia?

Una galassia è un grande insieme di stelle, sistemi, ammassi ed associazioni stellari, gas e polveri (che formano il mezzo interstellare), legati dalla reciproca forza di gravità. Il nome deriva dal greco γαλαξίας (galaxìas), che significa "di latte, latteo"; è una chiara allusione alla Via Lattea, la Galassia per eccellenza, di cui fa parte il sistema solare. Le galassie sono oggetti vastissimi di dimensioni estremamente variabili; variano dalle più piccole galassie nane, contenenti poche centinaia di milioni di stelle, alle galassie giganti, che hanno anche mille miliardi di stelle, orbitanti attorno ad un comune centro di massa. Non tutti i sistemi massicci auto-gravitanti costituiti da stelle vengono definiti galassie; il limite dimensionale inferiore, convenzionalmente, per la definizione di galassia è un ordine di massa di 106 masse solari, criterio per cui gli ammassi globulari e gli altri ammassi stellari non sono galassie. Non è definito un limite superiore, tutte le galassie osservate comunque non superano una dimensione massima di circa 1013 masse solari. Le galassie sono state categorizzate secondo la loro forma apparente, ossia sulla base della loro morfologia visuale. Una tipologia molto diffusa è quella ellittica, che, come si può ben arguire dal nome, ha un profilo ad ellisse. Le galassie spirale possiedono invece una forma discoidale con delle strutture spiraliformi che si dipartono dal nucleo. Le galassie con forma irregolare o insolita sono dette galassie peculiari; la loro strana forma è solitamente il risultato degli effetti delle interazioni mareali con le galassie vicine. Se tali interazioni sono particolarmente intense, a causa della grande vicinanza tra le strutture galattiche, può aver luogo la fusione delle due galassie, che risulta nella formazione di una galassia irregolare. La collisione tra due galassie dà spesso origine ad intensi fenomeni di formazione stellare (in gergo starburst). Nell'universo osservabile sono presenti probabilmente più di 100 miliardi di galassie; secondo nuove ricerche, tuttavia, il numero stimato di galassie nell'universo risulterebbe più alto di almeno dieci volte e oltre il 90% delle galassie nell'universo osservabile risulterebbe non rilevabile con i telescopi di cui disponiamo oggi, ancora troppo poco potenti.[8] Gran parte di esse ha un diametro compreso fra 1000 e 100.000 parsec e sono di solito separate da distanze dell'ordine di milioni di parsec (megaparsec, Mpc). Lo spazio intergalattico è parzialmente colmato da un tenue gas, la cui densità è inferiore ad un atomo al metro cubo. Nella maggior parte dei casi le galassie sono disposte nell'Universo organizzate secondo precise gerarchie associative, dalle più piccole associazioni, formate da alcune galassie, agli ammassi, che possono essere formati anche da migliaia di galassie. Tali strutture, a loro volta, si associano nei più imponenti superammassi galattici. Queste grandi strutture sono di solito disposte all'interno di enormi correnti (come la cosiddetta Grande Muraglia) e filamenti, che circondano immensi vuoti dell'Universo. Sebbene non sia ancora del tutto ben chiaro, la materia oscura sembra costituire circa il 90% della massa di gran parte delle galassie a spirale, mentre per le galassie ellittiche si ritiene che questa percentuale sia minore, variando fra lo 0 e circa il 50%. I dati provenienti dalle osservazioni inducono a pensare che al centro di molte galassie, sebbene non di tutte, esistano dei buchi neri supermassicci; la presenza di questi singolari oggetti spiegherebbe l'attività del nucleo delle galassie cosiddette attive. Tuttavia la loro presenza non implica necessariamente che la galassia che li ospiti sia attiva, dato che anche la Via Lattea molto probabilmente nasconde nel suo nucleo un buco nero massivo di nome Sagittarius A*. La parola "galassia" deriva dal termine greco che indicava la Via Lattea, Γαλαξίας (Galaxìas) per l'appunto, che significa "latteo", o anche κύκλος γαλακτικός (kyklos galaktikòs), col significato di "circolo galattico". Il nome deriva da un episodio piuttosto noto della mitologia greca. Zeus, invaghitosi di Alcmena, dopo avere assunto le fattezze del marito, il re di Trezene Anfitrione, ebbe un rapporto con lei, che rimase incinta. Dal rapporto nacque Eracle, che Zeus decise di porre, appena nato, nel seno della sua consorte Era mentre lei era addormentata, cosicché il bambino potesse bere il suo latte divino per diventare immortale. Era si svegliò durante l'allattamento e si rese conto che stava nutrendo un bambino sconosciuto: respinse allora il bambino e il latte, sprizzato dalle mammelle, schizzò via, andando a bagnare il cielo notturno; si sarebbe formata in questo modo, secondo gli antichi Greci, la banda chiara di luce nota come "Via Lattea". Quando William Herschel compilò il suo catalogo degli oggetti del cielo profondo, usò la locuzione nebulosa spirale per descrivere le caratteristiche di alcuni oggetti di aspetto nebuloso, come la Galassia di Andromeda; queste "nebulose" furono in seguito riconosciute, quando si iniziò a scoprirne la distanza, come immensi agglomerati di stelle estranei alla Via Lattea; ebbe così origine la teoria degli "universi-isola". Tuttavia, tale teoria cadde presto in disuso, poiché per "Universo" si intendeva la totalità dello spazio, con all'interno tutti gli oggetti osservabili, così si preferì adottare il termine galassia. Di fatto, da un punto di vista strettamente etimologico, i termini "galassia" e "Via Lattea" sono analoghi. L'osservazione amatoriale delle galassie, rispetto ad altri oggetti del profondo cielo, è resa difficoltosa da due fattori principali: A) la grandissima distanza che ci separa da esse, che fa in modo che solo le più vicine siano visibili con relativa facilità, quindi la loro luminosità superficiale, in genere molto debole. B) molte delle galassie più vicine a noi sono galassie nane di piccole dimensioni, formate solo da alcuni milioni di stelle, visibili solo con un potente telescopio (e non è un caso che molte di queste siano state scoperte solo in tempi recenti). Oltre alla Via Lattea, la galassia all'interno della quale si trova il nostro sistema solare, solo altre tre sono visibili ad occhio nudo: le Nubi di Magellano (Grande e Piccola Nube di Magellano), visibili solamente dall'emisfero australe del nostro pianeta, si presentano come macchie irregolari, quasi dei frammenti staccati della Via Lattea, la cui scia luminosa corre a breve distanza; si tratta di due galassie molto vicine, orbitanti attorno alla nostra; tra le galassie giganti invece, l'unica visibile ad occhio nudo è la Galassia di Andromeda, osservabile principalmente dall'emisfero boreale terrestre. È la galassia gigante più vicina a noi e anche l'oggetto più lontano visibile ad occhio nudo: si presenta come un alone chiaro allungato, privo di dettagli. La Galassia del Triangolo, una galassia spirale di medie dimensioni poco più lontana di Andromeda, risulta già invisibile ad occhio nudo, rivelandosi solo con un binocolo nelle notti più limpide. Tra le galassie prossime al nostro Gruppo Locale alcune degne di nota sono in direzione della costellazione dell'Orsa Maggiore (M82 e M81), ma già sono visibili solo con un telescopio amatoriale. Dopo la scoperta, nei primi decenni del XX secolo, che le cosiddette nebulose spiraliformi erano entità distinte (chiamate galassie o universi-isola) dalla Via Lattea, si sono condotte numerose osservazioni volte a studiare tali oggetti, principalmente alle lunghezze d'onda della luce visibile. Il picco di radiazione di gran parte delle stelle, infatti, ricade entro questo range; pertanto l'osservazione delle stelle che formano le galassie costituiva la quasi totalità dell'astronomia ottica. Alle lunghezze d'onda del visibile è possibile osservare in maniera ottimale le regioni H II (costituite da gas ionizzato), allo scopo di esaminare la distribuzione delle polveri all'interno dei bracci delle galassie a spirale. La polvere cosmica, presente nel mezzo interstellare, è però opaca alla luce visibile, mentre risulta già più trasparente all'infrarosso lontano, utilizzato per osservare nel dettaglio le regioni interne delle nubi molecolari giganti, sede di intensa formazione stellare, ed i centri galattici. Gli infrarossi sono anche utilizzati per osservare le galassie più lontane, che mostrano un alto spostamento verso il rosso; esse ci appaiono come dovevano presentarsi poco dopo la loro formazione, nei primi stadi dell'evoluzione dell'Universo. Tuttavia, poiché il vapore acqueo e il diossido di carbonio della nostra atmosfera assorbono una parte rilevante della porzione utile dello spettro infrarosso, per le osservazioni nell'infrarosso sono usati solamente telescopi ad alta quota o in orbita nello spazio. Il primo studio sulle galassie, in particolare su quelle attive, non basato sulle frequenze del visibile fu condotto tramite le radiofrequenze; l'atmosfera è infatti quasi totalmente trasparente alle onde radio di frequenza compresa fra 5 MHz e 30 GHz (la ionosfera blocca i segnali al di sotto di questa fascia). Grandi radiointerferometri sono stati usati per mappare i getti emessi dai nuclei delle galassie attive. I radiotelescopi sono in grado di osservare l'idrogeno neutro, includendo, potenzialmente, anche la materia non ionizzata dell'Universo primordiale collassata in seguito nelle galassie. I telescopi a raggi X e ad ultravioletti possono inoltre osservare fenomeni galattici altamente energetici. Un intenso brillamento (flare) agli ultravioletti fu osservato nel 2006 mentre una stella di una galassia distante era catturata dal forte campo gravitazionale di un buco nero. La distribuzione del gas caldo negli ammassi galattici può essere mappata attraverso i raggi X; infine, l'esistenza dei buchi neri supermassicci nei nuclei delle galassie fu confermata proprio attraverso l'astronomia a raggi X. La scoperta che il Sole è all'interno di una galassia, e che vi sono innumerevoli altre galassie, è strettamente legata alla scoperta della vera natura della Via Lattea. Prima dell'avvento del telescopio, oggetti lontani come le galassie erano del tutto sconosciuti, data la loro bassa luminosità e la grande distanza. Alle civiltà classiche poteva essere nota soltanto una macchia chiara in direzione della costellazione di Andromeda (quella che fu per lungo tempo chiamata "Grande Nube di Andromeda"), visibile senza difficoltà ad occhio nudo, ma la cui natura era del tutto ignota. Le due Nubi di Magellano, le altre galassie visibili ad occhio nudo, possedevano una declinazione troppo meridionale perché potessero essere osservate dalle latitudini temperate boreali. Furono sicuramente osservate dalle popolazioni dell'emisfero sud, ma da parte loro ci sono giunti pochi riferimenti scritti. Il primo tentativo di catalogare quelli che allora erano chiamati "oggetti nebulosi" risale all'inizio del XVII secolo, ad opera del siciliano Giovan Battista Odierna, che inserì nel suo catalogo De Admirandis Coeli Characteribus del 1654 anche alcune di quelle che in seguito sarebbero state chiamate "galassie". Verso la fine del XVIII secolo, l'astronomo francese Charles Messier compilò un catalogo delle 109 nebulose più luminose, seguito poco dopo da un catalogo, che comprendeva altre 5000 nebulose, stilato dall'inglese William Herschel. Herschel fu inoltre il primo a tentare di descrivere la forma della Via Lattea e la posizione del Sole al suo interno; nel 1785 compì un conteggio scrupoloso del numero di stelle in seicento regioni differenti del cielo dell'emisfero boreale; egli notò che la densità stellare aumentava man mano che ci si avvicinava ad una determinata zona del cielo, coincidente col centro della Via Lattea, nella costellazione del Sagittario. Suo figlio John ripeté poi le misurazioni nell'emisfero meridionale, giungendo alle stesse conclusioni. Herschel senior disegnò poi un diagramma della forma della Galassia, considerando però erroneamente il Sole nei pressi del suo centro. Nel 1845, William Parsons costruì un nuovo telescopio che gli permise di distinguere le galassie ellittiche da quelle spirali; riuscì inoltre a distinguere sorgenti puntiformi di luce (ovvero delle stelle) in alcune di queste nebulose, dando credito all'ipotesi del filosofo tedesco Immanuel Kant, che riteneva che alcune nebulose fossero in realtà galassie distinte dalla Via Lattea. Nonostante questo, le galassie non furono universalmente accettate come entità separate dalla Via Lattea finché Edwin Hubble non risolse definitivamente la questione nei primi anni venti del XX secolo. Nel 1917 Heber Curtis osservò la supernova S Andromedae all'interno della "Grande Nebulosa di Andromeda" (M31); cercando poi con accuratezza nei registri fotografici ne scoprì altre undici. Curtis determinò che la magnitudine apparente di questi oggetti era 10 volte inferiore di quella che raggiungono gli oggetti all'interno della Via Lattea. Come risultato egli calcolò che la "nebulosa" dovesse trovarsi ad una distanza di circa 150.000 parsec; Curtis divenne così sostenitore della teoria degli "universi isola", che affermava che le nebulose di forma spirale erano in realtà galassie simili alla nostra, ma separate. Nel 1920 ebbe luogo il Grande Dibattito tra Harlow Shapley e Heber Curtis sulla natura della Via Lattea, delle nebulose spiraliformi e sulle dimensioni generali dell'Universo. Per supportare l'ipotesi che la Grande Nebulosa di Andromeda fosse in realtà una galassia esterna, Curtis indicò la presenza di macchie scure, situate nel piano galattico di Andromeda, simili alle nebulose oscure osservabili nella Via Lattea, e fece notare anche il notevole spostamento della galassia secondo l'effetto Doppler. Il problema fu definitivamente risolto da Edwin Hubble nei primi anni venti, grazie all'uso del nuovo e più potente telescopio Hooker, situato presso l'osservatorio di Monte Wilson. Lo scienziato americano fu in grado di risolvere le parti esterne di alcune nebulose spiraliformi come insiemi di stelle e tra esse identificò alcune variabili Cefeidi, che lo aiutarono a stimare la distanza di queste nebulose: queste si rivelarono troppo distanti per essere parte della Via Lattea. Nel 1936 lo stesso Hubble ideò un sistema di classificazione per le galassie ancora usato ai nostri giorni: la sequenza di Hubble. Lo schema classificativo della Sequenza di Hubble si basa sulla morfologia visuale delle galassie; esse si suddividono in tre tipi principali: ellittiche, spirali e irregolari. Dato che tale sequenza si basa esclusivamente su osservazioni di tipo prettamente morfologico visivo, essa non tiene in considerazione alcune delle caratteristiche più importanti delle galassie, quali il tasso di formazione stellare delle galassie starburst e l'attività nel nucleo delle galassie attive. In astronomia, una galassia ellittica è un tipo di galassia caratterizzato dalle seguenti proprietà:

  • momento angolare assente o ridotto
  • assenza di bracci spirale
  • stelle giovani assenti
  • ammassi aperti assenti o molto ridotti
  • sono costituite principalmente da stelle di popolazione II
  • nubi di gas e polveri interstellari assenti o molto ridotte

Le galassie ellittiche variano enormemente di grandezza, e annoverano tra di esse sia galassie molto piccole (non si sa se quelle davvero microscopiche, le nane sferoidali, siano anch'esse da considerarsi galassie ellittiche), sia le più grandi galassie conosciute. M32 e M110, due satelliti della Galassia di Andromeda, sono galassie ellittiche nane. M87, la galassia principale dell'Ammasso della Vergine, è un'enorme ellittica grande forse 10 volte la nostra Via Lattea e circondata da 15.000 ammassi globulari, contro i 157 della nostra galassia. Maffei 1 è considerata, a 10 milioni di a.l. di distanza, la galassia ellittica gigante più vicina alla nostra galassia. Questo ritratto tradizionale delle galassie ellittiche le dipinge come galassie dove la formazione stellare è finita dopo i primi momenti, e che adesso risplendono solo grazie a stelle che stanno invecchiando. Si pensava che una galassia ellittica non attraversasse alcun cambiamento durante la sua vita, se non per il graduale affievolimento di luminosità. Alcune recenti osservazioni hanno però trovato ammassi aperti blu e giovani all'interno di alcune galassie ellittiche, assieme ad altre strutture che possono essere spiegate dalla fusione tra galassie. In questa nuova visione (ancora piuttosto sperimentale), le galassie ellittiche sarebbero il risultato di un lungo processo dove due o più galassie più piccole, di qualunque tipo, entrano in collisione e si fondono in un unico oggetto più grande. Questo processo di fusione a volte può protrarsi fino ad epoche contemporanee, e non è limitato alle galassie ellittiche. Per esempio, sappiamo che la nostra stessa Via Lattea è impegnata a "digerire" un paio di piccole galassie in questo istante (un istante che va misurato in milioni di anni). Studi recenti hanno evidenziato che le galassie ellittiche ruotano meno velocemente delle galassie a spirale.

Una galassia a spirale, o anche galassia spiraliforme o galassia spirale, è un tipo di galassia della sequenza di Hubble, caratterizzato dalle seguenti proprietà:

  • È composta da un bulge centrale circondato da un disco
  • Il bulge somiglia ad una piccola galassia ellittica, contenente molte stelle vecchie (la cosiddetta popolazione II), e spesso un buco nero supermassiccio al suo centro
  • Il disco è un agglomerato di stelle giovani di popolazione I, ammassi aperti e nubi di gas, piatto e rotante
  • Ha un considerevole momento angolare.

Le galassie spirali prendono il loro nome dai brillanti bracci di formazione stellare presenti nel disco, che si estendono all'incirca come una spirale logaritmica dal bulge. Questi bracci possono essere più o meno evidenti, e a volte sono difficili da vedere, ma distinguono comunque le galassie spirali da quelle lenticolari, che hanno anche loro un disco ma senza bracci. Il disco delle galassie spirali è in genere circondato da un grande alone sferoidale di stelle di popolazione II, la maggior parte delle quali sono concentrate in ammassi globulari in orbita attorno al centro galattico. La nostra Via Lattea è stata confermata essere, in tempi recenti, una spirale barrata, anche se la barra del disco galattico è difficile da osservare dalla nostra posizione. La prova più convincente che sia una galassia di questo tipo viene da osservazioni delle stelle nel centro galattico con il telescopio spaziale Spitzer. Una peculiare galassia a spirale è la cosiddetta Galassia cometa, membro dell'ammasso di galassie Abell 2667: si tratta probabilmente di una galassia osservata durante una rapida fase di trasformazione dalla forma a spirale a quella lenticolare. Uno studio pubblicato a giugno 2017 effettuato con i telescopi ALMA ed Herschel ha evidenziato che le galassie a spirale ruotano più velocemente di quelle ellittiche, con un momento angolare cinque volte maggiore di queste ultime. Lo studio si è concentrato sulle quantità dei gas che precipitano verso la regione centrale delle galassie in formazione. Nelle galassie ellittiche questo processo è molto più rapido. Tale processo di formazione viene successivamente bloccato dalle fughe di gas dovute alla esplosione di supernove, dai venti stellari sino alle energie che si sprigionano dagli eventuali buchi neri che si formano al loro interno. Il momento angolare iniziale viene così controbilanciato e dissipato. Nelle galassie a spirale il processo di addensamento dei gas nella regione centrale è più lento, in tempi comparabili a quelli dell'Universo; la formazione stellare avviene più lentamente ed il momento angolare iniziale viene in tal modo mantenuto. Tale ricerca ha evidenziato come il differente momento angolare e quindi la differenza di velocità della rotazione delle galassie sia correlata alle caratteristiche insite nelle regioni centrali delle galassie in formazione e non, come in precedenza supposto, ad eventi di fusione. Uno studio pubblicato nel 2016 ha identificato un tipo particolare di galassia a spirale denominato galassia a spirale superluminosa che si presenta insolitamente di grandi dimensioni, massiccia e luminosa al pari di una galassia ellittica gigante ma con un tasso di formazione stellare elevato, in media 30 masse solari/anno.

Una galassia a spirale barrata, o anche galassia spirale barrata, è una galassia a spirale dal cui bulbo centrale si dipartono due prolungamenti di stelle che nell'insieme ricordano una barra. In queste galassie i bracci curvi della spirale partono dalla barra, anziché dal nucleo. Si usa anche il più generico galassia barrata, in quanto la barra è presente anche in galassie di diversa morfologia. Le osservazioni col telescopio spaziale Spitzer, nel 2005, hanno fornito una prova che la Via Lattea ha una barra che passa attraverso il centro, stimata della lunghezza di circa 27.000 anni luce. Gli astronomi hanno ipotizzato che questa formazione sia temporanea e sia causata dalla forza mareale tra galassie. Nonostante ciò, molti astronomi rifiutano l'idea di una galassia a spirale barrata, e preferiscono attribuire alla Via Lattea il modello a spirale classico. Nella sequenza di Hubble questo tipo di galassie è indicata come "SB" ed è diviso in 3 sottocategorie:

  • SBa - i bracci della spirale si avvolgono fino a formare una struttura complessiva quasi circolare intorno al nucleo galattico e alla barra, posta in posizione diametrale
  • SBb - a metà strada fra le SBa e le SBc
  • SBc - le spirali sono molto più allargate e la configurazione complessiva richiama quella di una lettera "S"

Esiste inoltre un'ulteriore classificazione (introdotta nel 1959 dall'astronomo francese Gérard Henri de Vaucouleurs), che distingue le (più rare) galassie SBd; inoltre esistono galassie irregolari che presentano la struttura di una barra, classificate come SBm (la Grande Nube di Magellano ad esempio è spesso così classificata). Esistono anche galassie lenticolari che presentano barre e sono classificate come SB0. Sebbene le galassie a spirale siano molto numerose, le spirali barrate sono circa il 15% del totale delle galassie. Contando anche altri tipi di galasse barrate che non sono spirali, nel catalogo RSA (Revised Shapley-Ames Catalog of Bright Galaxies) le galassie classificate come barrate sono circa il 25% di quelle catalogate. Tuttavia ulteriori ricerche suggeriscono che in campo radio sia possibile individuare un gran numero di barre non osservate con la strumentazione ottica. Secondo questo studio, la percentuale di galassie barrate fra le spirali sarebbe di circa il 72%.

Una galassia peculiare è una galassia che presenta una forma insolita, una dimensione eccezionale o una composizione diversa dalle altre galassie. Normalmente una galassia peculiare è il risultato di un fenomeno di interazione o forze mareali di altre galassie. Può contenere una quantità insolita di polvere interstellare e gas, e possedere una luminosità superficiale più o meno alta rispetto alle galassie o getti dipolari. Le galassie peculiari sono indicate con la sigla "pec" o la lettera "p" nei vari cataloghi di galassie. Esempi di galassie peculiari sono le galassie irregolari, le galassie dello starburst e le galassie ad anello, che possiedono una struttura anulare di stelle e mezzo interstellare che circonda una barra centrale.

Per galassia nana si intende una galassia di piccole dimensioni composta da un numero di stelle variabile da 100 milioni ad alcuni miliardi, poche se confrontate con i 200/400 miliardi circa di stelle che popolano la Via Lattea, la nostra galassia. La Grande Nube di Magellano, con oltre 30 miliardi di stelle, è a volte classificata come galassia nana. Nella Sequenza di Hubble sono classificate con il prefisso d (da Dwarf, in lingua inglese "nano") che precede la categoria morfologica attribuita alla galassia. Le galassie nane orbitano normalmente intorno a galassie molto più grandi. Essendo oggetti non molto luminosi, sono note in particolare le galassie nane del Gruppo Locale, ovvero dell'ammasso di galassie di cui fanno parte la Via Lattea, la Galassia di Andromeda e la Galassia del Triangolo. Tuttavia l'avvento dei telescopi spaziali come Hubble e dei moderni telescopi terrestri, come Subaru e Keck, hanno permesso di spingersi con le osservazioni ben oltre il Gruppo Locale, identificando galassie nane estremamente remote che risalgono addirittura alle prime fasi della formazione dell'Universo, come ad esempio la galassia Abell 1835 IR1916. Fino ad oggi sono state identificate oltre 40 galassie nane, tra confermate e candidate, satelliti della Via Lattea, oltre alla scoperta di numerose correnti stellari che rappresentano quanto resta di galassie nane ormai completamente disgregate dalle forze mareali della nostra galassia. Le galassie nane si differenziano in base alla morfologia e/o in base ad altre caratteristiche peculiari:

  • Galassie nane ellittiche (dE)
  • Galassie nane sferoidali (dSph)
  • Galassie nane irregolari (dI)
  • Galassie nane spirali (dS)
  • Galassie nane di tipo magellanico (dSm)
  • Galassie nane compatte blu (BCD)
  • Galassie nane ultra-compatte (UCD)
  • Galassie nane ultra-deboli (UFD)
  • Galassie nane a bassa luminosità superficiale (LSBD)
  • Pea galaxies
  • Extreme emission-line galaxies (EELG)

Alcune galassie nane note sono quelle ellittiche del Sagittario e del Cane Maggiore. È stata scoperta recentemente una nuova tipologia: le galassie nane ultra-compatte, caratterizzate da dimensioni molto piccole: 100 - 200 anni luce di diametro. Le stelle all'interno delle galassie sono in costante movimento; nelle galassie ellittiche, a causa del bilanciamento fra velocità e gravità, i movimenti sono relativamente contenuti, le stelle si muovono in direzioni casuali ed i movimenti rotazionali attorno al nucleo sono minimi; ciò conferisce a queste galassie la tipica forma sferica. Nelle galassie a spirale, le dinamiche sono notevolmente più complesse. Il nucleo, di forma sferoidale, possiede un'elevata densità di materia, il che comporta che questo si comporti in modo simile ad un corpo rigido. Nei bracci di spirale (che costituiscono il disco galattico), invece, la componente di rotazione è preponderante, il che spiega la forma appiattita del disco. La velocità orbitale della gran parte delle stelle della galassia non dipende necessariamente dalla loro distanza dal centro. Se si suppone, per l'appunto, che le parti più interne dei bracci di spirale ruotino più lentamente delle parti esterne (come avviene, ad esempio, in un corpo rigido), le galassie spirali tenderebbero ad "attorcigliarsi" e la struttura a spirale diverrebbe staccata dal nucleo. Questo scenario è in realtà l'opposto di quanto si osserva nella galassie spirali; per questo motivo gli astronomi suppongono che i bracci delle spirali siano il risultato di diverse onde di densità emanate dal centro galattico. Da ciò ne consegue che i bracci di spirale cambiano di continuo morfologia e posizione. L'onda di compressione aumenta la densità dell'idrogeno molecolare, che, manifestando fenomeni di instabilità gravitazionale, collassa facilmente dando luogo alla formazione di protostelle; di fatto, i bracci appaiono più luminosi del resto del disco non perché la loro massa sia notevolmente più elevata, ma perché contengono un gran numero di stelle giovani e brillanti. Fuori dalle regioni del bulge o dal bordo esterno, la velocità di rotazione galattica è compresa fra 210 e 240 km/s. Pertanto, il periodo orbitale di una stella che orbita nei bracci di spirale è direttamente proporzionale solo alla lunghezza della traiettoria percorsa, a differenza di quanto può invece essere osservato nel sistema solare, dove i pianeti, percorrendo orbite differenti nel rispetto delle leggi di Keplero, possiedono anche significative differenze nella velocità orbitale; quest'andamento delle orbite dei bracci di spirale costituisce uno degli indizi più evidenti dell'esistenza della materia oscura. Il senso di rotazione di una galassia a spirale può essere misurato studiando l'effetto Doppler riscontrato sulla galassia stessa, che rivela se le sue stelle sono in avvicinamento o in allontanamento da noi; tuttavia, questo è possibile solo a determinate condizioni: innanzitutto, la galassia non deve presentarsi "di faccia" o "di taglio", ossia l'angolo di visuale non deve essere uguale a 0º o 90º, questo perché se una galassia che si mostra perfettamente di faccia, le sue stelle giacciono approssimativamente alla stessa distanza da noi, in qualunque punto della loro orbita esse si trovino. Nel secondo caso - quello delle galassie con angolo di visuale inclinato - occorre dapprima stabilire quale parte di essa è più vicina e quale è più lontana. Alcune galassie possiedono dinamiche del tutto particolari e insolite; è questo il caso della Galassia Occhio Nero (nota anche con la sigla del Catalogo di Messier M64). M64 è all'apparenza una normale galassia a spirale, oscurata in più punti da fitte nebulose oscure; tuttavia, recenti analisi dettagliate hanno portato alla scoperta che i gas interstellari delle regioni esterne ruotano in direzione contraria rispetto ai gas e le stelle delle regioni interne. Alcuni astronomi ritengono che la rotazione contraria abbia avuto inizio quando M64 assorbì una propria galassia satellite, entrata in collisione con essa probabilmente più di un miliardo di anni fa. Nelle regioni di contatto tra le opposte rotazioni, i gas collisero e si compressero contraendosi, dando vita a una zona di formazione stellare molto attiva. Della piccola galassia scontratasi con M64 ora non resta quasi più nulla; le sue stelle o sono state assimilate dalla galassia principale o sono state disperse nello spazio come stelle iperveloci, ma i segni della collisione sarebbero visibili nel moto contrario dei gas nelle regioni esterne di M64. Le galassie interagenti sono due o più galassie influenzate dalla reciproca forza di gravità. Un esempio di interazione minore è quello dato da una galassia che disturba uno dei bracci principali di un'altra galassia; un esempio di interazione maggiore è invece dato dalle galassie in collisione. Una galassia gigante che interagisce con le sue galassie satelliti è un evento comune: la gravità della galassia satellite può attrarre e distorcere uno dei bracci della galassia principale, come sembra stia avvenendo tra la Via Lattea e la Galassia Nana Ellittica del Sagittario; in queste occasioni si può verificare un fenomeno di formazione stellare localizzato. Un altro celebre esempio è dato dalla Galassia Vortice, che interagisce e viene deformata dalla piccola galassia satellite NGC 5195. Una fusione galattica è un evento che può verificarsi quando due o più galassie collidono. Si tratta del tipo più violento di interazione galattica, i cui effetti sulle singole galassie, dovuti sia alle interazioni gravitazionali tra i soggetti interagenti che all'attrito dinamico tra i gas e la polvere cosmici, sono di enorme portata e dipendono da diversi fattori, come gli angoli di collisione, le velocità dei corpi celesti coinvolti e le dimensioni relative di questi ultimi. Le fusioni galattiche sono un vasto argomento di ricerca per l'astrofisica odierna, poiché il tasso di fusione galattica è una misura di fondamentale importanza per capire l'evoluzione galattica e fornisce agli astrofisici indizi per ricostruire la storia dell'Universo. Durante una fusione galattica sia le stelle che la materia oscura di una galassia possono essere disturbate dalle altre galassie in avvicinamento, tanto che, durante le ultime fasi della fusione, il potenziale gravitazionale (vale a dire la forma della galassia) inizia a cambiare così rapidamente e drasticamente, in un processo che viene chiamato "rilassamento violento", che le orbite delle stelle possono subire alterazioni così profonde da far perdere ogni indizio sul loro precedente percorso. Per esempio, all'inizio di una collisione tra due galassie a disco, le stelle di entrambe le galassie ruotano ordinatamente sui piani dei due dischi separati ma, durante la fusione, tale moto si trasforma tanto che la galassia risultante è dominata da stelle che orbitano attorno al centro galattico in una complicata rete di orbite interagenti dai tracciati quasi casuali, come si osserva nelle galassie ellittiche. Le fusioni sono eventi che portano spesso anche a un elevato tasso di formazione stellare, risultando essere dei veri e propri siti starburst. Il valore tipico di tale tasso di formazione è di poco meno di 100 masse solari all'anno, che è già un valore importante se rapportato all'attuale tasso di formazione stellare della nostra galassia, la Via Lattea, che è di circa 0,68-1,45 masse solari all'anno, ma che può arrivare anche alle migliaia di masse solari all'anno a seconda del contenuto di gas di ogni galassia e del suo spostamento verso il rosso. Sebbene durante una fusione galattica la stelle delle galassie interagenti non si avvicinino quasi mai abbastanza da poter effettivamente collidere, accade comunque che enormi nubi molecolari precipitino velocemente verso il centro della galassia in formazione, unendosi quindi con altre nubi molecolari e formando nubi che, collassando, danno origine a nuove stelle. Si ritiene che tale fenomeno, attualmente osservabile in molte fusioni galattiche a noi note, abbia avuto una maggiore intensità durante le fusioni che hanno portato alle galassie ellittiche oggi visibili e che si stima siano avvenute tra 1 e 10 miliardi di anni fa, quando le galassie erano più ricche di gas e conseguentemente di nubi molecolari. Inoltre, anche lontano dal centro della galassia in formazione, le nubi di gas si compenetrano l'un l'altra, dando origine a onde d'urto che, propagandosi all'interno delle nubi stesse, possono innescare la formazione stellare. Il risultato di tutti questi processi è che, una volta terminata la fusione, la galassia formatasi risulta avere un basso contenuto di gas residuo utile a dare origine a nuove stelle. Quindi, se due galassie sono coinvolte in una fusione "maggiore", al termine di questa, ossia dopo diverse centinaia di milioni di anni, la galassia risultante dalla fusione avrà un basso contenuto di stelle giovani rimaste, esattamente come si può oggi osservare nelle galassie ellittiche a noi note, in cui sono presenti poche stelle giovani e poche nubi molecolari. Proprio per questo si ritiene oggi che le galassie ellittiche siano il risultato finale di enormi fusioni galattiche che hanno consumato la maggior parte del gas durante il loro procedere dando come risultato una galassia con un tasso di formazione stellare decisamente basso. Al giorno d'oggi grazie a software sempre più avanzati, è possibile simulare diversi tipi di fusioni galattiche, utilizzando coppie di galassie di qualsiasi tipo e tenendo conto di molti fattori come tutte le interazioni gravitazionali, l'energia e la massa rilasciate nel mezzo interstellare dalle supernove, la fluidodinamica dei gas interstellari e molto altro. Un simile archivio di fusioni galattiche, chiamato Galmer, può essere liberamente consultato online. Una delle più vaste fusioni mai osservate è quella attualmente visibile nell'ammasso di galassie ClG J0958+4702, a una distanza di circa 5 miliardi di anni luce dalla Terra, che coinvolge ben quattro galassie ellittiche e che potrebbe dar origine a una delle più grandi galassie conosciute. Le fusioni galattiche possono essere classificate in base ad alcune delle proprietà delle galassie coinvolte nell'evento, come il loro numero, la loro dimensione relativa e il loro quantitativo di gas. Le fusioni possono essere catalogate in base al numero di galassie in esse coinvolte:

  • Fusione binaria Una fusione galattica è detta "binaria" quando coinvolge due galassie interagenti.
  • Fusione multipla Una fusione galattica è detta "multipla" quando coinvolge tre o più galassie interagenti.

Le fusioni possono essere catalogate in base a quanto la galassia più grande tra quelle coinvolte nel processo risulta modificata nella forma o nella dimensione dopo la fusione:

Fusione minore Una fusione è detta "minore" se una delle galassie coinvolte è significativamente più grande dell'altra o delle altre. In un simile scenario la galassia più grande ingloberà la più piccola, assorbendo la gran parte del suo gas e delle sue stelle senza subire una modifica sostanziale. Si ritiene che la stessa Via Lattea stia attualmente assorbendo diverse galassie più piccole in questo modo, come la Galassia Nana Ellittica del Cane Maggiore e probabilmente anche la Grande Nube di Magellano, e che la Corrente stellare della Vergine sia quello che rimane di una galassia nana sferoidale quasi del tutto fusasi con essa.

  • Fusione maggiore Una fusione è detta "maggiore" quando riguarda galassie che hanno approssimativamente la stessa dimensione; prendendo il caso di due galassie a spirale, si ritiene che se i due corpi celesti collidono con un angolo e una velocità appropriati, allora la fusione avviene in modo tale da portare all'espulsione di polveri e gas attraverso una serie di meccanismi che spesso includono uno stadio in cui sono presenti dei nuclei galattici attivi, attivati proprio dalla concentrazione conseguente al processo di fusione. Si ritiene che in questo caso il risultato della fusione sia una galassia ellittica e molti astronomi concordano nel ritenere che sia stato proprio questo il meccanismo originario alla base della creazione di tali galassie. Un esempio di fusione maggiore è quello visibile nella costellazione del Leone, tra le galassie NGC 3808 e NGC 3808A (conosciute anche come Arp 87), mentre un'altra fusione maggiore è quella che ci si attende avverrà tra circa 4,5 miliardi di anni tra la Via Lattea e la galassia di Andromeda e che darà come risultato una galassia ellittica gigante. 
  • Le fusioni possono essere catalogate in base alle interazioni dei gas presenti all'interno o attorno alle galassie coinvolte:
  • Fusione bagnata Una fusione galattica è detta "bagnata" quando avviene tra due o più galassie con un alto contenuto di gas intergalattico (le cosiddette "galassie blu"). Questo tipo di fusioni è caratterizzato da un elevato tasso di formazione stellare, trasforma due galassie a disco in una galassia ellittica e può innescare l'attività di un quasar.
  • Fusione a secco Una fusione galattica è detta "a secco" quando avviene tra due o più galassie con un basso contenuto di gas intergalattico (le cosiddette "galassie rosse"). Solitamente questo genere di fusioni non cambia molto il tasso di formazione stellare delle galassie coinvolte, ma aumenta comunque la massa stellare.
  • Fusione umida Una fusione galattica è detta "umida" quando avviene tra due galassie dello stesso tipo, blu o rosse, e nel caso in cui sia presente abbastanza gas da consentire una significativa formazione stellare ma non abbastanza da formare ammassi globulari.
  • Fusione mista Una fusione galattica è detta "mista" quando avviene tra galassie ricche di gas e galassie che ne hanno invece un basso contenuto. 

La Via Lattea

La Via Lattea (dal latino Via Lactea) è la galassia a cui appartiene il nostro sistema solare; è "la galassia" per eccellenza: il nome infatti deriva dal greco galaxias (correlato alla parola latte) utilizzato in epoca greca per designarla. In base agli studi più recenti pare che, da un punto di vista strettamente morfologico, sia una galassia a spirale barrata, ovvero una galassia composta da un nucleo attraversato da una struttura a forma di barra da cui si dipartono i bracci di spirale che seguono un andamento logaritmico; insieme alla Galassia di Andromeda, è il membro principale del Gruppo Locale, un gruppo di galassie comprendente anche la Galassia del Triangolo ed una cinquantina di galassie minori, principalmente galassie nane. Nell'astronomia osservativa, il termine designa la debole banda luminosa biancastra dall'aspetto lattiginoso che attraversa diagonalmente la sfera celeste, formata dalle stelle e dalle nebulosità situate nel disco galattico stesso. La Via Lattea è più brillante in direzione della costellazione del Sagittario, dove si trova il centro galattico che però non è visibile a causa dell'assorbimento della luce da parte delle dense polveri presenti in quella direzione. Nel corso della storia molti miti e leggende sono sorti per spiegare l'origine della Via Lattea: dal latte di Era che allatta Eracle nella mitologia greca al Gange etereo dell'India; immaginata da Democrito e dagli astronomi arabi come una scia di stelle lontane, fu riconosciuta come tale da Galileo Galilei e, in seguito, da studiosi e filosofi come Immanuel Kant, William Herschel e Lord Rosse. Secondo alcune fonti il termine "Via Lattea" va riferito esclusivamente alla scia luminosa osservabile nel cielo notturno; in campo scientifico, consuetudine radicata principalmente nei Paesi anglosassoni, per indicare la galassia nel complesso sarebbe preferibile utilizzare il termine Galassia Via Lattea (in inglese Milky Way Galaxy) o anche la Galassia, con l'iniziale maiuscola. Tuttavia anche nelle pubblicazioni scientifiche la locuzione Via Lattea resta la più diffusa, anche per indicare la galassia nel suo complesso. Osservando la Via Lattea dalla Terra, che giace in uno dei suoi bracci di spirale, essa appare nel cielo notturno come una fascia chiara di luce bianca che percorre trasversalmente l'intera volta celeste, dove si addensa un numero di stelle maggiore che nelle altre aree del cielo e che appare di aspetto leggermente diverso a seconda dell'emisfero in cui ci si trova. Numerose interruzioni nella sua continuità sono causate dalla presenza in più punti di nebulose oscure e polveri che oscurano la luce delle stelle più lontane. Il tratto più luminoso ricade tra le costellazioni di Ofiuco, Scorpione e Sagittario, ossia in direzione del centro galattico; numerosi altri punti brillanti si dispongono a nord e a sud del centro, in particolare il tratto costituito dal Braccio del Cigno, nell'omonima costellazione, e dal Braccio della Carena-Sagittario, nella costellazione della Carena. Relativamente all'equatore celeste, la Via Lattea passa nel suo estremo a nord nella costellazione di Cassiopea e nell'estremo a sud nella costellazione della Croce del Sud. Questa disposizione è dovuta alla grande inclinazione relativa tra il piano orbitale della Terra (l'eclittica, ovvero il piano fondamentale del Sistema Solare) e il piano equatoriale della Galassia. In realtà, a causa del fenomeno della precessione degli equinozi, questa inclinazione della Via Lattea varia sensibilmente a seconda delle epoche, aumentando o diminuendo se l'asse di rotazione terrestre si avvicina o si allontana dalla stessa scia della Via Lattea; nella nostra epoca, la sua inclinazione è in lenta ma costante crescita. Nell'epoca precessionale opposta alla nostra, 13 000 anni fa o tra 13 000 anni, l'inclinazione della Via Lattea diminuisce. A causa della diversa distribuzione delle nebulose oscure nella nostra Galassia, la sua forma vista dalla Terra appare molto irregolare e frastagliata: il tratto a nord del centro galattico, che ricade nell'emisfero boreale, appare solcato da una lunga scia scura che percorre la fascia centrale della scia luminosa per oltre una quarantina di gradi: si tratta di un complesso nebuloso noto come Fenditura del Cigno ed è una caratteristica tipica della Via Lattea del cielo boreale; vista dall'emisfero australe, nel suo ramo a sud del centro galattico, appare meno oscurata della parte boreale: l'unica nebulosa oscura di rilievo è la Nebulosa Sacco di Carbone, che si presenta come una toppa scura che si sovrappone al grande chiarore della Via Lattea dei cieli del sud. Invece in direzione opposta al centro galattico, fra le costellazioni dell'Auriga e dei Gemelli, la scia chiara appare un po' meno spessa e meno brillante. Il fatto che la Via Lattea divida il cielo notturno terrestre in due emisferi più o meno uguali indica che il Sistema Solare si trova vicino al piano galattico. La relativamente bassa luminosità superficiale della Via Lattea non le permette però di poter essere scorta dalle più grandi aree urbane o suburbane afflitte da inquinamento luminoso. Numerose cosmogonie, formulate dalle popolazioni di tutto il mondo, hanno cercato di spiegare l'origine della Via Lattea. I nomi italiano, inglese, ed europei in generale derivano dall'antico nome greco Γαλαξίας, Galaxias, che deriva a sua volta dalla parola γάλα, γάλαϰτος (gala, galaktos), ossia latte; che è pure l'origine stessa della parola galassia. Il nome deriva da un noto episodio della mitologia greca: Zeus, invaghitosi di Alcmena, dopo avere assunto le fattezze del marito, il re di Tirinto Anfitrione, ebbe un rapporto con lei e la ingravidò. Nacque Eracle che Zeus decise di porre, appena nato, al seno della moglie Era addormentata, cosicché il bambino potesse berne il latte divino e diventare così immortale. Ma Era si svegliò, s'accorse che stava nutrendo un bambino sconosciuto e lo respinse; il latte, sprizzato dalle mammelle, schizzò e bagnò il cielo notturno, originando la "Via Lattea". Nella forma latina Via Lactea, il termine fu poi utilizzato dai Romani che ricalcarono il mito greco. I Babilonesi, fondatori dell'astronomia, credevano che la Via Lattea fosse ottenuta dalla metamorfosi della coda della dea-drago Tiāmat, dopo che questa venne catturata dal dio Marduk. Gli antichi Egizi consideravano la Via Lattea come una controparte celeste del Nilo: un fiume chiaro che attraversava il cielo notturno esattamente come il Nilo attraversava le loro terre. Nell'area dell'Asia centrale, dell'Africa e in alcune culture mediterranee, il nome della Via Lattea è legato a parole indigene che significano paglia, analogamente al nome in sardo Sa bia 'e sa palgia, La via della paglia, il termine venne diffuso dagli Arabi che l'avevano mutuato dalla lingua armena. In alcune lingue uraliche, turche, ugrofinniche e baltiche, la Via Lattea è chiamata Via degli uccelli; il nome cinese Fiume d'argento (銀河) è usato in tutta l'Asia orientale, inclusi Corea e Giappone. Un nome alternativo usato nell'antica Cina, specialmente nei poemi, è Fiume etereo di Han (天汉); in giapponese invece Fiume d'argento (銀河 ginga) assume il significato generico di galassia, mentre la Via Lattea precisamente detta è chiamata Sistema del Fiume d'argento (銀河系 gingakei) o anche Fiume celestiale (天の川 ama no kawa). Nelle lingue correnti in India, sia in quelle di origine indoeuropea sia in quelle di origine dravidica, si utilizza il termine sanscrito e Hindi Akasha Ganga, il Gange celeste. In svedese è chiamata infine Vintergatan (Strada dell'Inverno), poiché le stelle della sua fascia sono usate per predire il tempo del successivo inverno. In Spagna la Via Lattea viene chiamata popolarmente Camino de Santiago perché era usata come guida dai pellegrini diretti in questo luogo. Secondo una leggenda medievale, la Via Lattea fu formata dalla polvere sollevata dai pellegrini stessi. Lo stesso termine Compostela deriverebbe da campus stellae. Aristotele descrisse la Via Lattea in una sua opera sulle Scienze della Terra, i Meteorologica (DK 59 A80), ma già prima di lui i filosofi Anassagora (circa 500-428 a.C.) e Democrito (450-370 a.C.) avanzarono l'idea che la Via Lattea fosse una lunga scia di stelle molto distanti. L'astronomo persiano Abū Rayhān al-Bīrūnī (973-1048 d.C.) fu il primo a notare che la Via Lattea è formata da un insieme di innumerevoli stelle nebulose. Una prima conferma giunse nel 1610, quando Galilei usò un cannocchiale per studiare la Via Lattea: vide in effetti che era composta da un elevatissimo numero di deboli stelline. In un trattato del 1755 Immanuel Kant, rifacendosi ad un'opera precedente di Thomas Wright, speculò correttamente che la Via Lattea fosse in realtà un corpo in rotazione formato da un numero enorme di stelle, legate dalla forza di gravità come avviene nel sistema solare, ma in scala molto maggiore; dall'interno il disco di stelle è visto come una lunga scia chiara solo per un effetto prospettico. Speculò inoltre, sempre correttamente, sul fatto che alcune delle nebulose visibili nel cielo notturno non fossero altro che delle "galassie" simili alla nostra ma molto più lontane. Il primo tentativo di descrivere la forma della Via Lattea e la posizione del Sole al suo interno fu di William Herschel nel 1785, attraverso un conteggio scrupoloso del numero di stelle in seicento regioni differenti del cielo. Disegnò in seguito un diagramma della forma della Galassia, considerando erroneamente il Sole nei pressi del suo centro. Nel 1845 Lord Rosse costruì un nuovo telescopio che gli consentì di distinguere la forma ellittica e spiraliforme di alcune delle nebulose allora conosciute; inoltre cercò di capire quale fosse il "punto sorgente individuale" in molte di queste particolari "nebulose", secondo quanto formulato in precedenza da Kant. Nel 1917 Heber Curtis osservò la supernova S Andromedae all'interno della "Grande Nebulosa di Andromeda"; cercando poi nei registri fotografici trovò altre undici stelle novae. Curtis determinò che la magnitudine apparente di questi oggetti era stata 10 volte inferiore di quella che raggiungono gli oggetti all'interno della Via Lattea. Come risultato egli calcolò che la "nebulosa" dovesse trovarsi ad una distanza di circa 150 000 parsec. Diventò così un sostenitore della teoria degli "universi isola", che affermava che le nebulose di forma spirale erano in realtà galassie separate simili alla nostra. Nel 1920 ebbe luogo il Grande Dibattito tra Harlow Shapley e Heber Curtis riguardo alla natura della Via Lattea, delle nebulose spiraliformi e sulle dimensioni dell'Universo. Per supportare l'ipotesi che la Grande Nebulosa di Andromeda fosse in realtà una galassia esterna, Curtis indicò la presenza di linee oscure simili alle nebulose oscure osservabili nella Via Lattea, come anche il notevole Effetto Doppler osservato. Il problema fu definitivamente risolto nei primi anni venti da Edwin Hubble che si servì del potente telescopio Hooker, appena costruito nell'osservatorio di Monte Wilson. Fu in grado di risolvere le parti esterne di alcune nebulose spiraliformi come insiemi di stelle e identificò alcune variabili Cefeidi, che lo aiutarono a stimare la distanza di queste nebulose: queste si rivelarono troppo distanti per essere parte della Via Lattea. Nel 1936 lo stesso Hubble ideò un sistema di classificazione per le galassie in base alla loro morfologia ancora usato ai nostri giorni, la Sequenza di Hubble.  Il disco stellare della Via Lattea ha un diametro di circa 100 000 anni luce e uno spessore, nella regione dei bracci, di circa 1 000 anni luce. Le stime sul numero di stelle che la compongono sono varie e a volte controverse: secondo alcune fonti sarebbero circa 200 miliardi, mentre secondo altre potrebbero essere fino a 400 miliardi; In realtà il numero esatto dipende dalla quantità delle stelle di piccola massa, altamente incerto; inoltre recenti osservazioni inducono a pensare che il disco gassoso della Via Lattea abbia uno spessore di ben 12 000 anni luce, un valore dodici volte superiore a quello precedentemente ipotizzato. Se vi fosse un modellino in scala con un diametro di 130 km che rappresentasse la nostra Galassia, il sistema solare ne occuperebbe appena 2 millimetri. All'esterno della Via Lattea si staglia l'alone galattico, delimitato dalle due galassie satelliti maggiori, la Grande e la Piccola Nube di Magellano, i cui perigalattici (i punti delle loro orbite più vicini alla nostra Galassia) distano circa 180 000 anni luce dalla Via Lattea stessa. Definire l'età esatta della Via Lattea presenta notevoli difficoltà; l'età stimata di HD 140283, la stella più antica conosciuta nella Galassia, è di circa 13,7 miliardi di anni, un'età non molto diversa da quella dell'Universo stesso. Questa stima è basata sulle ricerche condotte nel 2004 da un team di astronomi che si servirono dello spettrografo del Very Large Telescope per misurare, per la prima volta, il contenuto in berillio di due stelle dell'ammasso globulare NGC 6397.[34] Da queste ricerche emerse che il lasso di tempo che separa la comparsa della prima generazione di stelle dell'intera Galassia da quella dell'ammasso globulare esaminato si aggira tra i 200 e i 300 milioni di anni; considerando l'età stimata delle stelle dell'ammasso globulare (13,4 ± 0,8 miliardi di anni), fu possibile stimare l'età delle stelle più vecchie della Via Lattea, che quindi si aggirerebbe sui 13,7 ± 0,8 miliardi di anni ossia circa 300 milioni di anni più vecchie. Se questi calcoli sono corretti, il disco galattico avrebbe un'età compresa tra 6,5 e 10,1 miliardi di anni. Le osservazioni condotte dal telescopio spaziale Spitzer nel 2005 confermarono che la Via Lattea è realmente una galassia a spirale barrata: la nostra Galassia è dunque formata da un nucleo centrale (bulge) attraversato da una struttura simile ad una barra, costituita da stelle evolute, circondate da gas e polveri; dalla barra si dipartono quattro strutture a spirale logaritmica su cui si dispongono le formazioni stellari più giovani. La distribuzione della massa nella Galassia sembra ricalcare il modello Sbc suggerito nella classificazione di Hubble, ossia una galassia spirale con dei bracci relativamente sottili e sfrangiati. L'ipotesi che la Via Lattea fosse in realtà una spirale barrata, e non una semplice galassia a spirale come si credeva inizialmente, iniziò ad interessare gli astronomi attorno agli anni ottanta; i loro sospetti furono confermati dalle osservazioni condotte dal telescopio spaziale Spitzer nel corso del 2005, che mostrarono anche che la barra centrale della Via Lattea fosse in realtà più larga di quanto inizialmente sospettato. La Via Lattea è ora considerata una spirale barrata di tipo SBbc. Nel 2006 fu stimata con maggior accuratezza la massa totale della Galassia, e fu indicato un valore di circa 5,8 × 1011 M☉, che comprende un numero di componenti stellari variabile, a seconda dell'abbondanza di stelle di piccola massa, tra 200 e 400 miliardi di stelle. La magnitudine assoluta integrata della Via Lattea è stata invece stimata intorno a −20,9. Gran parte della massa galattica potrebbe essere costituita da materia oscura, che forma un alone galattico le cui stime di massa variano tra 600 miliardi e 3000 miliardi di masse solari (M☉). Il Centro della Via Lattea, noto anche come Centro Galattico, è il centro rotazionale della Via Lattea; si trova a circa 7900 ± 430 parsec dalla Terra[1], in direzione della costellazione del Sagittario, nel punto in cui la Via Lattea appare più luminosa. Questa parte della galassia è rimasta misteriosa per molto tempo e solo recenti osservazioni, rese possibili dai grandi telescopi europei dell'emisfero australe, hanno permesso di saperne di più. In sintesi, dopo una quindicina d'anni d'osservazione, si è arrivati alla conclusione che nella Via Lattea, come nella maggior parte delle galassie, vi sia un buco nero supermassiccio chiamato Sagittarius A*. A causa delle fredde polveri interstellari sulla linea di vista, il Centro Galattico non può essere studiato alle lunghezze d'onda del visibile, né dell'ultravioletto, né dei raggi X a debole frequenza; tutte le informazioni di cui disponiamo ci sono fornite dall'osservazione a raggi gamma, raggi X a forte frequenza, infrarossi e onde radio. Le coordinate del Centro Galattico furono calcolate e presentate per la prima volta dall'astronomo Harlow Shapley nel suo studio sulla distribuzione degli ammassi globulari del 1918. Nel sistema delle coordinate equatoriali, queste coordinate sono: Ascensione retta 17h 45m 40,04s; Declinazione −29° 00′ 28,1″ (epoca J2000). Il parsec centrale attorno a Sagittarius A* contiene centinaia di stelle. Sebbene la gran parte di queste siano vecchie stelle rosse sulla Sequenza principale, sono presenti anche diverse stelle di grande massa: sono state infatti identificate più di cento stelle di popolazione OB e di Wolf-Rayet, le quali sarebbero nate a seguito di un unico evento di formazione stellare che ebbe luogo pochi milioni di anni fa. L'esistenza di queste stelle relativamente giovani fu una sorpresa per gli esperti, che ipotizzavano che la forza mareale del buco nero avrebbe contrastato la loro formazione. Questo cosiddetto "paradosso della giovinezza" è ancor più notevole in stelle che hanno un'orbita molto stretta attorno a Sagittarius A*, come le stelle S2 e S0-102. Le ipotesi prevalenti affermano che quest'ammasso di stelle supermassicce si sarebbe formato al di là del Centro Galattico, e che poi sarebbe migrato in direzione di Sagittarius A attratto dalla corrente gravitazionale, o che si sarebbe formato in loco, grazie alla stessa forza gravitazionale che avrebbe contratto la grande nube del disco di accrescimento del buco nero. È interessante notare che molte di queste stelle giovani e massicce sembrano essere concentrate in uno (UCLA) o due (MPE) dischi, piuttosto che distribuite in modo casuale all'interno del parsec centrale. La formazione stellare non sembra tuttavia avvenire attualmente all'interno del Centro Galattico, sebbene il Disco Circumnucleare (CND) di gas molecolare orbitante a due parsec da Sagittarius A* sembri essere un sito favorevole all'evento. Un lavoro di mappatura della densità del gas in una regione di 400 anni-luce attorno al Centro Galattico presentato nel 2003 da Antony Stark e Chris Martin ha rivelato un anello di accumulo la cui massa supera di diversi milioni di volte quella del Sole e prossimo alla densità critica adatta alla formazione stellare. Le loro conclusioni sono che in circa 200 milioni di anni potrebbe verificarsi nel Centro Galattico uno starburst, ossia un violento episodio di formazione stellare, con stelle supermassicce che rapidamente evolvono in supernovae; lo starburst, come osservato in altre galassie, si accompagna spesso alla formazione di getti galattici ai poli. La Via Lattea, secondo questo studio, potrebbe diventare una "galassia starburst" entro 500 milioni di anni. Ogni braccio di spirale descrive una spirale logaritmica (come d'altra parte fanno tutti i bracci delle galassie a spirale), con un'inclinazione di circa 12 gradi. L'esito di studi condotti nel 1993 ha suggerito l'esistenza, nella Via Lattea, di due bracci maggiori (Braccio di Perseo e Braccio Scudo-Croce) e due bracci complementari (Braccio del Cigno e Braccio del Sagittario), aventi tutti origine al centro della Galassia, con alcuni bracci secondari, che si dipartono dai maggiori; i loro nomi sono elencati di seguito, come mostrato anche dall'immagine a sinistra. All'esterno dei bracci maggiori è presente un anello esterno, detto Anello dell'Unicorno; si tratta di una struttura anulare, che circonda la Galassia, formato da stelle e gas strappati dalle forze mareali ad altre galassie milioni di anni fa. Uno studio del 2008 ha tuttavia messo in discussione la natura di due dei bracci di spirale, considerandoli solo come degli addensamenti maggiori di gas rispetto allo spazio intragalattico circostante; i due bracci maggiori pertanto sarebbero il Braccio di Perseo e il Braccio Scudo-Croce. Come spesso accade in molte galassie, la distribuzione della massa nella Via Lattea fa sì che la velocità orbitale della gran parte delle stelle attorno al centro galattico non dipenda necessariamente dalla loro distanza dal centro; fuori dalle regioni del bulge o dal bordo esterno, la velocità tipica è compresa fra 210 e 240 km/s. Pertanto, il tipico periodo orbitale di una stella è direttamente proporzionale solo alla lunghezza della traiettoria percorsa, a differenza di quanto può invece essere osservato nel sistema solare, dove, nel rispetto delle leggi di Keplero, le differenti orbite dei pianeti possiedono anche differenze di velocità significative associate, ed è dunque anche uno degli indizi più evidenti dell'esistenza della materia oscura. Un altro aspetto interessante è il cosiddetto "problema dell'attorcigliamento" delle galassie spirali: se si suppone infatti che le parti più interne dei bracci di spirale ruotino più lentamente delle parti esterne, la Via Lattea si "attorciglierebbe" così tanto che la struttura a spirale ne verrebbe staccata. Questo scenario è in realtà l'opposto di quanto si osserva nella galassie spirali; per questo motivo gli astronomi suppongono che i bracci di spirale si formino come risultato di un'onda di densità di materia emanata dal centro galattico. Il modello può essere paragonato ad un ingorgo stradale su un'autostrada: le auto sono tutte in movimento, ma c'è sempre un punto in cui le auto sono ferme; uno scenario simile si osserva nei bracci di spirale laddove si rinvengono forti addensamenti stellari e di nebulose. Questo modello si accorda bene anche con i fenomeni di formazione stellare osservati nei bracci di spirale o nelle loro vicinanze: l'onda di compressione aumenta la densità dell'idrogeno molecolare, che collassa facilmente dando luogo alla formazione delle protostelle. Il disco galattico è circondato da un alone sferoidale formato da stelle vecchie ed ammassi globulari, il 90% dei quali si trovano entro un raggio di 100 000 anni luce, suggerendo l'esistenza di un alone di stelle di 200 000 anni luce di diametro. Tuttavia, alcuni ammassi globulari sono stati osservati a distanze anche maggiori, come Palomar 4 e AM1, che si trovano ad oltre 200 000 anni luce dal centro galattico. A differenza del disco, che contiene gas e polveri che oscurano la visuale ad alcune lunghezze d'onda, l'alone galattico ne è completamente privo; i fenomeni di formazione stellare hanno luogo nel disco, e specialmente nei bracci di spirale, dove la densità è maggiore, mentre nell'alone tali fenomeni non si verificano. Anche gli ammassi aperti sono oggetti tipici del disco e non dell'alone. Recenti scoperte hanno aumentato le dimensioni della struttura nota della Via Lattea. Con la scoperta che il disco della Galassia di Andromeda si estende molto più di quanto precedentemente osservato, si è ipotizzato che anche quello della nostra Galassia potesse essere più esteso; questa ipotesi trovò la prima conferma con la scoperta dell'estensione del braccio esterno appartenente al Braccio del Cigno. Con la scoperta della Galassia Nana Ellittica del Sagittario arrivò anche l'individuazione di una scia di detriti causati dall'orbita polare della galassia e la sua interazione con la Via Lattea. Similmente, con la scoperta della Galassia Nana Ellittica del Cane Maggiore, fu scoperto un anello di detriti circondante il disco della Via Lattea derivante dall'interazione di questa galassia con la nostra. Nel 2006 fu infine scoperta una grandissima struttura diffusa estesa sulla volta celeste su una superficie apparente di circa 5000 volte quella della Luna piena, che non sembra adattarsi al modello ideato per la nostra Galassia: questo gruppo di stelle si estende infatti perpendicolarmente al piano galattico, verso l'esterno. La teoria più accreditata afferma che si tratti di una galassia nana in fase di fusione con la Via Lattea; questa galassia è stata chiamata col nome di Corrente stellare della Vergine, poiché si estende in direzione dell'omonima costellazione, a circa 30 000 anni luce da noi. Il Sole, e quindi anche la Terra e tutto il Sistema Solare, si trova nella Nube Interstellare Locale, che a sua volta si trova dentro la Bolla Locale, a sua volta dentro la Cintura di Gould situata nei pressi del bordo interno del Braccio di Orione, ad una distanza di circa 7,62 ± 0,32 kpc dal centro galattico. La distanza tra il nostro braccio locale e quello subito più esterno, il Braccio di Perseo, è di circa 6500 anni luce. Il Sole e il Sistema Solare si trovano in quella fascia che gli scienziati chiamano zona galattica abitabile. L'apice della traiettoria solare, noto come apice solare, indica la direzione in cui il Sole si sposta nello Spazio attraverso la Via Lattea. La direzione generica del moto solare è poco a sud della stella Vega, entro i confini meridionali della costellazione di Ercole, con un angolo di 60° rispetto alla direzione del centro galattico. L'orbita solare attorno alla Galassia si ipotizza che sia approssimativamente circolare, con l'aggiunta di perturbazioni dovute ai bracci di spirale e alla distribuzione di massa non uniforme. In aggiunta a ciò, il Sole oscilla su e giù rispetto al piano galattico all'incirca 2,7 volte per orbita; ciò ricorda molto da vicino come un moto armonico semplice lavori nel caso non sia né forzato né smorzato da forze esterne. A causa della relativamente alta densità di stelle e polveri incrociate nei pressi del piano galattico, queste oscillazioni spesso coincidono con i periodi di grandi estinzioni di massa verificatisi sulla Terra, probabilmente a causa dell'aumentato rischio di impatto con corpi celesti estranei. Il Sistema Solare impiega circa 225-250 milioni di anni per completare un'orbita attorno alla Galassia (un anno galattico); si pensa dunque che il Sole abbia completato durante la sua vita circa 20-25 orbite complete, mentre dall'origine dell'Uomo sarebbe trascorso 1/1250 di rivoluzione. La velocità orbitale del Sistema Solare rispetto al centro galattico è approssimativamente di 220 km/s; a questa velocità, al Sistema Solare occorrono circa 1400 anni per compiere uno spostamento pari ad un anno luce, o 8 giorni per muoversi di una UA. La Via Lattea e la Galassia di Andromeda formano un sistema binario di galassie spirali giganti; insieme alla Galassia del Triangolo e a tutte le galassie nane satelliti, circa una cinquantina, formano il Gruppo Locale. Il Gruppo Locale fa invece parte del Superammasso della Vergine. In uno studio del 2014 si indica un esteso superammasso di galassie che comprenderebbe i gruppi suddetti, citato col nome di Laniakea (nome che in lingua hawaiiana sta per "Immenso paradiso"); le dimensioni di quest'ammasso sarebbero di circa 500 milioni di anni luce. La Via Lattea è il centro di gravità attorno al quale orbitano due galassie più piccole, chiamate Nubi di Magellano, e una parte delle galassie nane del Gruppo Locale. La più grande tra queste è la Grande Nube di Magellano, con un diametro di 20 000 anni luce, ossia circa un quinto di quello della nostra Galassia; nei suoi pressi si trova una compagna, la Piccola Nube di Magellano. Le due galassie sono connesse tra di loro e con la Via Lattea tramite la Corrente Magellanica, un ponte di idrogeno neutro; si pensa che il materiale di cui è composta la corrente sia stato strappato via dalla Grande Nube a causa delle forze mareali durante l'ultimo transito ravvicinato con la nostra Galassia. Alcune delle galassie nane orbitanti attorno alla Via Lattea sono la Galassia Nana Ellittica del Cane Maggiore, la più vicina, la Galassia Nana Ellittica del Sagittario, la Galassia Nana dell'Orsa Minore, quella dello Scultore, del Sestante, della Fornace e la Galassia Leo I. Le galassie nane più piccole orbitanti attorno alla nostra possiedono un diametro di appena 500 anni luce; tra queste ci sono la Galassia Nana della Carena e del Drago, più la galassia Leo II. Probabilmente esistono altre galassie nane ancora sconosciute, sempre gravitazionalmente legate alla Via Lattea. Osservazioni attraverso la zona d'ombra galattica rivelano di tanto in tanto nuovi membri del Gruppo Locale, finora solo galassie nane, alcune delle quali si rivelano poi essere legate con la nostra. Un'ipotesi suggestiva è stata da poco suggerita per spiegare il cosiddetto movimento in eccesso che la Via Lattea possiede verso una parte di Spazio oscurata dal centro galattico: alcuni scienziati americani hanno teorizzato l'esistenza di un'altra galassia gigante di dimensioni paragonabili alla Galassia di Andromeda, posta nel Gruppo Locale a circa 3 milioni di anni luce da noi, oppure al massimo un gruppo di galassie simile al Gruppo Locale ma appena al di fuori di questo, popolato da alcune galassie giganti. Finora non è stato possibile osservare questa galassia (o quest'ammasso di galassie) poiché la sua direzione sarebbe proprio in direzione del centro galattico, e dunque oscurato dalla Terra dalle polveri oscure. La radioastronomia, secondo alcuni, potrebbe essere in futuro in grado di attraversare lo spesso strato di nubi galattiche per osservare lo Spazio a noi nascosto. Nel gennaio del 2006 alcuni ricercatori riportarono che il fino ad allora inspiegato warp (distorsione) riscontrato sul disco galattico era stato ora mappato e si era trovato un increspamento, o vibrazione, creata dalle Nubi di Magellano durante la loro rivoluzione attorno alla nostra Galassia, che causa delle vibrazioni a certe frequenze quando queste si trovano appena fuori dai confini della Via Lattea. Prima queste due galassie, che possiedono assieme circa il 2% della massa della Via Lattea, erano considerate troppo piccole per influenzare la nostra Galassia; tuttavia, tenendo conto della presenza della materia oscura, il movimento di queste due galassie crea una scia che la influenza. Secondo delle elaborazioni condotte dall'Università del Massachusetts, la materia oscura si separa dal disco galattico assieme allo strato di gas conosciuto, comportando un aumento dell'effetto gravitazionale delle due Nubi di Magellano nel momento di transito vicino alla Via Lattea. Le misure attuali suggeriscono inoltre che la Galassia di Andromeda si stia avvicinando a noi ad una velocità compresa fra 100 e 140 km/s. Come conseguenza di ciò si ipotizza che fra 3 o 4 miliardi di anni la Via Lattea e la Galassia di Andromeda potrebbero collidere; in un evento apparentemente catastrofico come quello di uno scontro fra galassie, le singole stelle non collideranno fra di loro, ma si mescoleranno, andando a formare un'unica grande galassia ellittica nel corso di un miliardo di anni dallo scontro. 

Le Nubi di Magellano

Le Nubi di Magellano sono due piccole galassie irregolari, che orbitano attorno alla nostra Via Lattea come satelliti. Sono visibili ad occhio nudo nel cielo notturno dell'emisfero sud, e prendono il loro nome dal navigatore Ferdinando Magellano, poiché furono descritte nel resoconto della spedizione da lui guidata. La distanza della Grande Nube di Magellano (sigla internazionale LMC) è stimata sui 48 Kpc. (157 000 anni-luce), mentre la Piccola Nube di Magellano (sigla internazionale SMC) disterebbe circa 61 Kpc, equivalenti a 200 000 anni luce. La Grande Nube è la terza galassia più vicina alla nostra, dopo la Galassia Nana Ellittica del Cane Maggiore (12,9 Kpc) e la Galassia Nana Ellittica del Sagittario (16 Kpc). Entrambe le galassie sono collegate fra loro e con la Via Lattea da un lungo ponte di idrogeno neutro e stelle, noto come Corrente Magellanica; questo flusso si sarebbe formato a causa delle intense forze mareali presenti tra la nostra Galassia e le sue galassie satelliti. Un secondo flusso di materia, noto come Ponte Magellanico, collega le due Nubi fra di loro. La Grande Nube ospita la più grande nebulosa diffusa del Gruppo Locale, in cui è vigorosa la formazione stellare, nonché ciò che rimane della supernova SN 1987a, la più vicina osservata negli ultimi 300 anni. Entrambe le Nubi sono ben osservabili dall'emisfero australe; la Grande Nube è la più settentrionale delle due, e giace a cavallo del 69º grado di declinazione sud: diventa completamente visibile sopra l'orizzonte a partire dal 15º parallelo nord. La si individua nelle notti limpide come una larga macchia chiara, circa 20 gradi a sud della brillantissima stella Canopo. La Piccola Nube ha declinazione media -73°, ed essendo più piccola e debole della compagna, si rende visibile senza difficoltà solo a partire da pochi gradi a nord dell'equatore. La sua individuazione è facilitata dalla presenza della luminosa stella Achernar, visibile 15° a NNE. Entrambe le Nubi si presentano circumpolari in quasi tutto l'emisfero sud, così da poter essere osservate in ogni periodo dell'anno da città come Sydney, Città del Capo e Rio de Janeiro. La posizione delle due Nubi, prossima al polo sud celeste, fa sì che queste non fossero note a nessuno dei popoli che abitarono le sponde del Mediterraneo in epoche storiche; tuttavia, erano certamente conosciute fin da tempi antichi dagli abitanti dell'emisfero meridionale, essendo ben visibili ad occhio nudo, sebbene ben pochi riferimenti ci siano giunti da questi popoli. La prima menzione della Grande Nube di Magellano fu ad opera dell'astronomo persiano Abd al-Rahmān al-Sūfi, che nel 964, nel suo Libro delle stelle fisse, la chiamò Al Bakr, il Bue Bianco degli arabi del sud, e riportò che mentre non era visibile dal nord dell'Arabia e da Baghdad, si poteva osservate dallo stretto di Bab el Mandeb, 12°15' latitudine nord. Il primo europeo a riportare l'esistenza delle Nubi di Magellano fu l'esploratore fiorentino Amerigo Vespucci nel 1503-04 menzionandole in una lettera sul suo terzo viaggio; egli fa riferimento a "tre canopi, due chiari ed uno scuro": i due oggetti chiari sono le due Nubi di Magellano, mentre l'oggetto scuro è la Nebulosa Sacco di Carbone, osservabile nella Via Lattea australe. Nel 1515 le Nubi vennero descritte dal navigatore Andrea Corsali nel suo viaggio verso Kochi; dello stesso anno è anche la descrizione dello storico Pietro Martire d'Anghiera nel suo De Rebus Oceanicis et Orbe novo. Ernesto Capocci, nei suoi Dialoghi danteschi ipotizza che anche Marco Polo avesse potuto esserne a conoscenza in base agli scritti di Al Sufi. Il loro nome attuale fu assegnato dallo scrittore Antonio Pigafetta, imbarcato con la Spedizione di Magellano, nel suo libro del 1524 "Relazione del primo viaggio intorno al mondo", cioè della prima circumnavigazione del globo guidata da Ferdinando Magellano nel 1519. La Grande Nube di Magellano e la vicina Piccola Nube di Magellano sono cospicui oggetti dell'emisfero meridionale; osservandole ad occhio nudo sembrano parti separate della nostra Galassia. Fino alla scoperta della Galassia nana ellittica del Sagittario nel 1994, erano considerate le galassie più vicine alla Via Lattea. L'osservazione e le teorie basate su di essa suggeriscono che le Nubi di Magellano subiscano distorsioni mareali a causa dell'interazione con la Via Lattea: una scia composta di idrogeno neutro, nota come Corrente Magellanica, le collega con la nostra Galassia e tra loro, ed entrambe sembrano galassie spirali barrate fortemente disturbate. Comunque gli effetti della loro gravità si fanno sentire anche sulla nostra galassia, ne è prova la distorsione subita dalle parti esterne del disco galattico. La velocità radiale ed il moto proprio delle Nubi di Magellano sono state recentemente misurate dal team dell'Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, per ottenere misure in 3D della velocità. L'elevata velocità misurata sembrerebbe indicare che le due Nubi non sarebbero così legate fisicamente alla Via Lattea come si pensa, dunque alcuni degli effetti presunti sulle due Nubi andrebbero rivisti. Tralasciando le differenti strutture e la minor massa, differiscono dalla Via Lattea per due motivi principali: il primo è che la loro massa è composta da una relativamente più alta frazione di idrogeno ed elio rispetto alla Via Lattea; il secondo è che sono più povere di metalli rispetto alla nostra Galassia; infatti le più giovani stelle delle Nubi di Magellano hanno una metallicità rispettivamente 0.5 e 0.25 di quella solare. Entrambe sono note per le loro nebulose (famosa la Nebulosa Tarantola nella Grande Nube di Magellano) e per la giovane popolazione stellare, ma, come in ogni galassia, sono presenti sia stelle molto giovani che molto vecchie, segno di una lunga storia di formazione stellare. La Grande Nube presenta una struttura a barra ben visibile anche ad occhio nudo; questa attraversa il nucleo e si dispone in senso est-ovest. Sul suo lato nord-orientale si trova l'oggetto più notevole della galassia, la Nebulosa Tarantola, considerata attualmente la più grande "fornace" del Gruppo Locale: le sue dimensioni sono notevolmente più grandi di quelle della Nebulosa di Orione, ed al suo interno è vigorosa la formazione stellare. A nord della barra, la Nube si presenta frammentata, con gruppi di stelle ed ammassi apparentemente isolati, più un gran numero di nebulose diffuse; la parte sud ha invece una forma più regolare, anche se priva di oggetti notevoli. Nei pressi della Nebulosa Tarantola è esplosa la Supernova 1987a, la più vicina e brillante degli ultimi trecento anni. La Piccola Nube appare come una debole chiazza luminosa, estesa in senso NNE-SSW, visibile ad occhio nudo senza difficoltà solo con cieli limpidi e privi di inquinamento luminoso. Nonostante la parte più brillante si trovi nelle sue regioni più meridionali, gli oggetti più notevoli si trovano nella parte nord; in particolare, si osserva un grande complesso di nebulosità diffuse. Ad ovest della Nube si trova il grande ammasso globulare 47 Tucanae, appartenente alla nostra Galassia.

La Grande Nube

La Grande Nube di Magellano (ingl. Large Magellanic Cloud, abbreviata in LMC in notazione internazionale) è una galassia nana, probabilmente satellite[3] della Via Lattea, e la più grande delle due Nubi di Magellano. Data la sua relativamente breve distanza di soli 48 kpc (160 000 al), è la galassia più vicina alla Via Lattea dopo la Nana Ellittica del Cane Maggiore (|12,9 kpc) e quella del Sagittario (16 kpc), quest'ultima posta dalla parte opposta del centro galattico rispetto al sistema solare. La Grande Nube di Magellano ha una massa equivalente a circa 10 miliardi di volte quella del Sole (1010 masse solari), pari a circa un decimo della massa della Via Lattea, ossia circa 20 miliardi di stelle; con un diametro di circa 14 000 anni-luce[2] è dunque anche la quarta galassia più grande del Gruppo Locale, dopo quella di Andromeda, la via Lattea e la galassia del Triangolo. Sebbene la Grande Nube sia spesso considerata una galassia irregolare, essa contiene una barra di notevole spessore che attraversa il suo centro che suggerisce che in origine si trattasse di una galassia spirale barrata la quale, a causa delle grandi forze mareali dovute all'interazione con la nostra Galassia e con la Piccola Nube di Magellano, abbia subito delle deformazioni. Il database degli oggetti extragalattici della NASA la considera infatti di classe SB(s) m, secondo la classifica di Hubble. È visibile a occhio nudo come un debole oggetto nel cielo notturno dell'emisfero australe della Terra, al confine tra le costellazioni del Dorado e della Mensa. È chiamata così in onore di Ferdinando Magellano che la osservò assieme alla sua compagna (detta Piccola Nube di Magellano) nel suo viaggio di circumnavigazione terrestre. Nella Nube si trova la Nebulosa Tarantola, la regione di formazione stellare più attiva del Gruppo Locale di galassie. Inoltre, nel 1987, fu osservata nella Nube l'esplosione di quella che sarebbe diventata famosa come Supernova 1987a. La Grande Nube di Magellano è un oggetto dell'emisfero australe, visibile dalla Terra solo da latitudini inferiori al diciottesimo parallelo nord; il suo debole chiarore tuttavia fa sì che sia ben osservabile solo a partire da circa 1000 km a sud dell'equatore. Invisibile alle latitudini temperate boreali, si presenta circumpolare in quasi tutto l'emisfero sud, quindi da città come Sydney (in Australia), Città del Capo (in Sudafrica) e Rio de Janeiro (in Brasile) è sempre visibile in qualunque periodo dell'anno. Si trova quasi esattamente in direzione del polo sud dell'eclittica, caratteristica che fa in modo che non sia mai osservabile allo zenit in un cielo notturno. Gran parte della Nube ricade entro i confini della costellazione del Dorado. Si mostra in un cielo non inquinato come una chiazza chiara di forma vagamente ellissoidale, delle dimensioni di 7-8 gradi; dà l'idea di un brandello separato della Via Lattea, visibile una ventina di gradi più ad est. La si individua senza grandi difficoltà, circa 20 gradi a sud-sud-ovest della brillante stella Canopo; la parte più notevole della Nube si trova nell'angolo a nord-est, ed è costituito dalla Nebulosa Tarantola, il cui vago chiarore è distinguibile anche ad occhio nudo nelle notti più buie e limpide. La caratteristica più evidente anche ad occhio nudo è la grande barra centrale che l'attraversa in senso est-ovest, dove si concentrano la gran parte degli oggetti celesti molti dei quali sono visibili anche con un telescopio amatoriale; la parte a nord della barra appare molto frammentata e irregolare, ricchissima di nebulose diffuse e campi di stelle giovani. La parte a sud invece, che ricade nella costellazione della Mensa, non ospita oggetti notevoli e le sue dimensioni sono inferiori rispetto alla parte nord. Oggetti come la Nebulosa Tarantola e i campi stellari della parte settentrionale appaiono in un riflettore newtoniano da 200 mm ricchissimi di particolari. Proprio a causa della particolare posizione della Grande Nube di Magellano, vicino al polo sud dell'eclittica, dalle latitudini mediterranee non è mai visibile in nessuna delle epoche precessionali; fu così che restò sconosciuta a tutte le civiltà classiche. Sebbene fosse senz'altro nota agli abitanti dell'emisfero australe, essendo ben visibile ad occhio nudo, ben pochi documenti sulla sua osservazione ci sono pervenuti da questi popoli. La prima documentazione scritta che ci è giunta è infatti quella dell'astronomo persiano Abd al-Rahmān al-Sūfi, nella sua opera Libro delle stelle fisse, datato 964 d.C. Egli affermava che mentre non era visibile dal nord dell'Arabia e dalla città di Bagdad, si mostrava bassa sopra l'orizzonte meridionale dallo stretto di Bab el-Mandeb, a 12° 25' nord. In seguito le nubi furono note col nome "Nubi del Capo", probabilmente chiamate così dai navigatori, prima portoghesi, poi olandesi e danesi, che doppiavano il Capo di Buona Speranza per raggiungere le Indie. Da notare a questo proposito che secoli dopo, nel Settecento, l'astronomo Nicolas-Louis de Lacaille inventò la costellazione della Mensa proprio sotto la Grande Nube, poiché quest'ultima gli rammentava le nuvole che frequentemente circondano la cima del Monte Tabor, vicino a Città del Capo. Nel 1503-04 l'esploratore fiorentino Amerigo Vespucci la menzionò in una lettera sul suo terzo viaggio; egli fa riferimento a "tre canopi, due chiari ed uno scuro": i due oggetti chiari sono le due Nubi di Magellano, mentre l'oggetto scuro è la Nebulosa Sacco di Carbone, osservabile nella Via Lattea australe.[11] Nel 1515 le nubi vennero descritte dal navigatore Andrea Corsali nel suo viaggio verso Kochi; dello stesso anno è anche la descrizione dello storico Pietro Martire d'Anghiera nel suo De Rebus Oceanicis et Orbe novo. Il loro nome attuale fu assegnato nel gennaio del 1521 dallo scrittore Antonio Pigafetta, che era imbarcato con la Spedizione di Magellano. Tuttavia, il nome di Magellano divenne diffuso solo molto tempo dopo: nell'Uranometria di Bayer, pubblicata nel 1603, la Grande Nube viene chiamata in latino semplicemente "Nubecula Major", mentre nell'edizione francese del 1795 del catalogo stellare di Flamsteed veniva chiamata in francese "Le Grand Nuage" (La Grande Nube). Il primo a studiare nei dettagli le nubi di Magellano fu John Herschel, che dal 1834 al 1838 si stabilì a Città del Capo, dove costruì un osservatorio privato. Herschel individuò 278 oggetti diversi all'interno della Grande Nube di Magellano. Nei primi anni del Novecento l'astronoma Henrietta Swan Leavitt osservò centinaia di stelle variabili nelle immagini delle Nubi di Magellano e notò che alcune tra quelle stelle mostravano una regolarità: le più luminose avevano anche un periodo più lungo. Dopo alcuni studi confermò, nel 1912, che le stelle variabili oggi chiamate Cefeidi, presentano una relazione periodo-luminosità. Questa relazione rese le Cefeidi degli importantissimi indicatori di distanza nell'Universo, perché noto il periodo si può ricavare facilmente la distanza. Fino alla scoperta della Galassia Nana Ellittica del Sagittario, avvenuta nel 1994, la Grande Nube di Magellano era considerata la galassia più vicina alla Via Lattea; nel 2003, con la scoperta della Galassia Nana Ellittica del Cane Maggiore, il titolo di galassia più vicina passò a quest'ultima.[16] Il metodo delle variabili Cefeidi è stato uno dei più importanti per determinare la distanza della Grande Nube di Magellano; questa classe di stelle mostra, infatti, una relazione tra la loro magnitudine assoluta ed il periodo di variazione di luminosità. Ad ogni modo, la relazione magnitudine-periodo viene modificata da fattori interni alla stella stessa, primo tra i quali il tasso di metallicità. Sfortunatamente, le Cefeidi della Via Lattea che di solito sono usate come metro per calibrare la relazione sarebbero più ricche in metalli di quelle della Grande Nube. Di recente, la luminosità assoluta delle Cefeidi è stata ricalibrata prendendo a modello quelle scoperte nella galassia M106, che possiedono una varietà maggiore di gradi di metallicità. Utilizzando la nuova unità di misura, fu trovato un valore di circa 48 kpc, pari a circa 157000 al. Questa distanza, leggermente inferiore a quella precedentemente accettata di 50 kpc, è stata confermata da altri studiosi. Nel corso del Novecento, da quando è stata appurata la vera natura della galassie, si è sempre pensato che la Grande Nube fosse una galassia satellite della nostra Galassia; tuttavia uno studio del 2008 che prende in considerazione le nuove misurazioni del moto proprio della Nube ottenute tramite il Telescopio Spaziale Hubble, rischia di mettere in dubbio questa teoria: infatti queste nuove misurazioni mostrano che la velocità della galassia sia troppo elevata perché sia una vera galassia satellite, mentre sembrerebbe che sia la Grande che la Piccola Nube si stiano in realtà avvicinando per la prima volta alla Via Lattea. Sembra inoltre che le due Nubi non siano un sistema binario di galassie, come pure che la Corrente Magellanica potrebbe avere differenti origini. La Grande Nube di Magellano è classificata, secondo il database degli oggetti extragalattici della NASA, di tipo SB(s) m, ossia una galassia spirale barrata (SB) senza struttura ad anello (s) di forma non regolare e priva di bulge (m). La Nube fu a lungo considerata una galassia planare, ossia di forma piatta, come le galassie spirali dove le sue parti hanno la stessa distanza dalla Via Lattea. Tuttavia nel 1986 gli astronomi Caldwell e Coulson scoprirono una stella variabile cefeide nella parte nordorientale della galassia, la cui posizione risultava assai più vicina alla Via Lattea di tutte le restanti cefeidi della LMC. Più recentemente la diversa disposizione dei campi stellari della Nube è stata confermata attraverso lo studio di altre Cefeidi e la disposizione del ramo delle giganti rosse; tutti gli esiti mostrano che questi campi possiedono un'inclinazione di circa 35° rispetto al piano della Nube. Ulteriori studi sulla struttura della galassia che sfruttano la cinematica delle stelle di carbonio mostrano che il suo disco è spesso da entrambi i lati allo stesso modo. Riguardo alla distribuzione degli ammassi stellari, Schommer ed altri scienziati misurarono la velocità radiale di oltre 80 oggetti, scoprendo che il sistema di ammassi della Grande Nube possiede una cinematica paragonabile agli oggetti distribuiti su un normale disco galattico. Questi risultati vennero confermati dal team di Grocholski, che calcolarono le distanze tra gli ammassi, scoprendo che sono disposti nello stesso piano dei campi stellari. Come la gran parte delle galassie irregolari, la Grande Nube di Magellano è ricchissima di gas e polveri al cui interno frequentemente hanno luogo intensi e vigorosi fenomeni di formazione stellare. L'esempio più evidente è dato dalla Nebulosa Tarantola, la più grande regione di formazione stellare di tutto il Gruppo Locale. La Grande Nube è ricca di oggetti e fenomeni celesti di ogni tipo che dà la possibilità agli scienziati di poter analizzare e studiare le reazioni cosmiche, tra cui l'evoluzione stellare; un esempio è dato dalla supernova SN 1987a, esplosa nei pressi della Nebulosa Tarantola nel febbraio del 1987: l'oggetto che diede luogo all'esplosione non fu, come ci si aspetterebbe, una gigante rossa, ma, al contrario, una supergigante blu supermassiccia. Questa supernova fu anche la più vicina osservata negli ultimi secoli, nonché la prima dopo l'invenzione del telescopio. La stella più luminosa della Grande Nube si trova lungo la sua barra centrale, ed è la variabile S Doradus: invisibile ad occhio nudo, raggiunge nella sua fase di massima luminosità la magnitudine apparente 8,6. Considerata la sua enorme distanza, la sua magnitudine assoluta al massimo è di circa −10, il che significa che se fosse posta alla distanza di 32,6 al dalla Terra, sarebbe in grado di proiettare ombre degli oggetti. All'interno della galassia sono state recentemente osservate altre due stelle ipergiganti, catalogate come R 66 e R 126; appartengono alla classe O, ossia si tratta di stelle estremamente massicce e luminose, di colore blu e con temperatura superficiale elevatissima. Stranamente, attorno ad esse è presente un disco di polveri. L'intera galassia appare immersa internamente e circondata esternamente da grandi complessi di nebulosità diffuse, che ben si evidenziano nelle immagini all'infrarosso (come quella a destra), mostrandosi di aspetto granulare e ricco di "bozzoli", al cui interno si trovano numerosi ammassi aperti. Nell'immagine il colore blu è dato dalla luce che proviene dalle stelle più vecchie (in massima parte nella barra centrale); le regioni più chiare al di fuori sono affollate da stelle calde e massive ricoperte da spessi strati di polvere; il rosso nei pressi delle regioni chiare è polvere riscaldata dalle stelle, mentre i punti rossi sparsi nell'immagine sono o stelle vecchie coperte da polveri o galassie distanti. Infine, le regioni verdi contengono gas interstellare freddo illuminato dalla luce circostante. Queste immagini all'infrarosso svolgono un ruolo fondamentale nella scoperta, all'interno dei bozzoli di polveri e gas, degli starburst, ossia intensi fenomeni di formazione di stelle ipergiganti, che rapidamente evolvono esplodendo come supernovae; infatti le nubi interstellari, una volta riscaldate da stelle appena nate, emettono radiazione infrarossa, consentendo di scoprire stelle giovani e nuovi ammassi aperti invisibili all'osservazione nella banda del visibile. Complessivamente, all'interno della Grande Nube sono stati inoltre censiti circa 60 ammassi globulari (poco meno della metà di quelli presenti nella Via Lattea), ben 400 nebulose planetarie ed oltre 700 ammassi aperti, oltre a centinaia di migliaia di stelle giganti e supergiganti. All'interno della Nebulosa Tarantola brillano due grandi ammassi aperti, noti come Hodge 301 e R136, responsabili della sua grande luminosità. Altre nebulose minori sono visibili nel settore nord della galassia, mentre tra gli ammassi aperti i più notevoli sono NGC 1850 e NGC 1872; di notevole interesse per astronomi e scienziati è inoltre la nebulosa N44, che contiene al suo interno una vasta area priva di gas, al cui interno si trova un brillante ammasso di stelle giovani. L'8 dicembre 2011 è stata scoperta nella Nebulosa Tarantola VFTS 102, una stella che gira su se stessa con una velocità di 600 km/s. Al di fuori della galassia un grande flusso di idrogeno neutro e stelle, noto come Corrente Magellanica, connette le due Nubi alla Via Lattea; questo lungo ponte di materia si sarebbe formato a seguito dei vari transiti ravvicinati con la nostra Galassia.Le sue dimensioni apparenti raggiungono i 180° di volta celeste. Una seconda struttura, chiamata Ponte Magellanico, collega la Grande Nube con la Piccola Nube; oltre all'idrogeno sono presenti in piccola percentuale altri metalli, in origine appartenenti ad entrambe le Nubi, nonché un discreto numero di stelle isolate e piccole associazioni. Al di là delle sorgenti di fondo, durante il primo volo del razzo-sonda Nike-Tomahawk nel 1966 non venne registrata alcuna sorgente di raggi X; neppure nella seconda missione vennero individuate sorgenti X nella fascia 8-80 KeV. Nei lanci successivi venne programmato di studiare in dettaglio la Grande Nube di Magellano alla ricerca di sorgenti, la prima delle quali venne localizzata alle coordinate 05h 20m :; −69° : e facente parte sicuramente della galassia. Questa sorgente si estende per circa 12° e le sue emissioni sono comprese fra 1,5 e 10,5 keV, che alla distanza di 163000 pc equivalgono a 4×1038 erg/s. Nel 1970 venne lanciato con un missile Thor uno strumento di rilevazione di sorgenti cosmiche  di raggi X, allo scopo di indagare la Piccola Nube di Magellano per la prima volta e approfondire gli studi sulla Grande Nube; si è così notato che la sorgente precedente identificata conteneva la stella ε Doradus. La sorgente LMC X-1 coincide con una stella binaria a raggi X di grande massa, così come le successive sorgenti scoperte, denominate LMC X3, X4 e A 0538-66; fa eccezione la LMC X2, che si è appurato si tratti di una stella binaria a raggi X di piccola massa, l'unica conosciuta nella Grande Nube ad associata a emissioni X. Un'altra sorgente di raggi X è l'oggetto DEM L 316, formato da due resti di supernova; lo spettro di quest'oggetto ottenuto tramite osservazioni a raggi X rivela che l'involucro di gas di uno dei due resti contiene un'elevata percentuale di ferro, compatibile con un'esplosione di supernova di tipo Ia, mentre la minore abbondanza del secondo resto implica l'esplosione di una supernova di tipo II. Ad altri resti di supernova sono associate delle pulsar, come nel caso di SNR 0538-69.1, che contiene una pulsar con periodo di 16 millisecondi, e SNR 0540-697. Da un ipotetico osservatore situato nella Grande Nube, la Via Lattea sarebbe uno spettacolo imperdibile: la magnitudine apparente integrata della nostra Galassia sarebbe infatti pari a −2, ossia 14 volte più brillante di come ci appare la LMC dalla Terra, e occuperebbe circa 36° d'arco nella volta celeste, cioè oltre 70 volte il diametro della Luna piena. A causa della relativamente elevata latitudine galattica della Nube, questo osservatore avrebbe una vista "obliqua" della Via Lattea, che quindi sarebbe visibile per intero senza l'interferenza data dalle polveri interstellari, che rende lo studio della Galassia dalla Terra notevolmente difficoltoso. La Piccola Nube di Magellano apparirebbe invece come una macchia chiara di magnitudine apparente 0,6, di dimensioni maggiori di come appare a noi, e sarebbe visibile ad oltre 90° di distanza dalla Via Lattea; le sue dimensioni e la sua luminosità apparirebbero simili a quelle della Grande Nube vista dalla Terra.

La Piccola nube

La Piccola Nube di Magellano (inglese Small Magellanic Cloud, sigla internazionale SMC) è una galassia nana di forma irregolare in orbita attorno alla Via Lattea. Contiene alcune centinaia di milioni di stelle. Situata ad una distanza di circa 200.000 anni luce, è una delle compagne della Via Lattea più vicine. È anche uno degli oggetti più distanti che possa essere visto a occhio nudo dalla Terra, secondo solo alla Galassia di Andromeda. Forma una coppia con la Grande Nube di Magellano, situata 20 gradi più ad est. Entrambe fanno parte del Gruppo Locale di galassie e, come indica il loro nome, sono dedicate a Ferdinando Magellano, che le osservò durante il suo viaggio di circumnavigazione terrestre. Avendo una declinazione media di -72 gradi, è visibile quasi esclusivamente dall'emisfero australe della Terra, dove tra l'altro appare circumpolare a quasi tutte le latitudini. Si trova nella costellazione del Tucano ed appare come un debole batuffolo di luce grande circa 3 gradi. Ad uno sguardo casuale sembra più un pezzo staccato della Via Lattea che una galassia indipendente; la sua luminosità superficiale molto bassa fa sì che sia difficile scorgerla da ambienti illuminati come le città. Occorre invece un cielo molto buio, possibilmente con la Luna sotto l'orizzonte. La si può individuare circa 15° a SSW della brillante e isolata stella Achernar. Gli oggetti più notevoli si osservano nella parte nord, in particolare alcune nebulose. Ad ovest brilla il grande ammasso globulare 47 Tucanae, appartenente alla nostra Galassia. La Piccola Nube è un oggetto molto meridionale; tuttavia, nel corso delle epoche precessionali, la sua declinazione varia sensibilmente, portandosi in direzione del polo sud celeste, come fu 3000 anni fa, ma anche a declinazioni inferiori, fino a raggiungere i -40° sud, diventando dunque visibile da tutta l'area del Mar Mediterraneo. L'ultima volta che si presentò in tale posizione fu oltre 18.000 anni fa, dunque troppo indietro perché fosse nota ai popoli delle civiltà classiche. Durante l'epoca dei Greci e dei Romani, la Nube si presentava a declinazioni talmente meridionali da poter essere usata nell'emisfero australe come riferimento, assieme alla stella Achernar, per individuare il polo sud celeste. D'altra parte, doveva senz'altro essere nota ai popoli abitanti nell'emisfero australe della Terra, ma nessun documento ci è giunto da essi. Il primo esploratore europeo a menzionare la Nube fu il fiorentino Amerigo Vespucci, in una lettera scritta durante i suoi viaggi negli anni 1503 e 1504; egli la apostrofa "Canopo chiaro", assieme alla Grande Nube di Magellano, in contrasto al "Canopo scuro", ossia la Nebulosa Sacco di Carbone, visibile come una toppa scura sulla Via Lattea del sud. Il celebre navigatore Ferdinando Magellano descrisse le due Nubi dettagliatamente attorno al 1519 durante il suo viaggio di circumnavigazione del mondo, portandola così all'attenzione della scienza occidentale. Secondo alcune speculazioni, la Nube sarebbe stata in principio una galassia di forma paragonabile ad una spirale barrata, in seguito deformata dall'attrazione gravitazionale della nostra Galassia; ciò potrebbe essere confermato anche dal fatto che essa non ci appare vista di faccia, ma con una forte angolazione, per cui se potessimo "girarle intorno", si presenterebbe con una forma molto allungata, simile ad un cilindro. La parte più lontana da noi è quella più settentrionale, in cui si trovano tra l'altro la gran parte degli oggetti non stellari. Tra questi, spiccano diversi ammassi aperti, in particolare NGC 265, estremamente compatto e NGC 290, dominato da stelle di diversi colori. Una straordinaria nebulosa diffusa è invece NGC 346, visibile nella parte settentrionale, forse l'oggetto più notevole della Nube. Un grande flusso di idrogeno neutro si estende tra le due Nubi di Magellano e la Via Lattea: si tratta di una struttura nota come Corrente Magellanica, e si sarebbe formata a causa delle intense forze mareali tra la nostra Galassia e le due galassie satelliti. Studi su dati recenti del 2012 hanno portato alla scoperta di un evento paradossale. Usando telescopi ottici in Sudafrica e in Cile (NTT dell'ESO) si è potuto identificare nella Piccola Nube di Magellano un sistema binario di stelle composto da una gigante blu ed una nana bianca. L'evento ha sollevato molti dubbi sulla possibilità reale del sistema perché se si parte dal presupposto che le stelle nascano assieme, la stella da cui origina la nana bianca dovrebbe evolvere più rapidamente della compagna, e questo è impossibile. L'ipotesi più accreditata sarebbe quella secondo cui le due stelle abbiano avuto un'origine separata, e poi, attraverso effetti gravitazionali si siano avvicinate a formare il sistema binario. Ulteriori studi condotti sui dati raccolti fanno pensare che questi sistemi siano piuttosto comuni in altre galassie ma non nella nostra a causa del diverso contenuto metallico dei gas. 


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