La sequenza principale
Di notte, quando alziamo gli occhi al cielo, gli oggetti che fungono da ponte tra la nostra quotidianità e la complessità del mondo astronomico sono le stelle. Possono sembrare oggetti elementari ma celano dei segreti che possono aiutarci a capire come funziona il cosmo: quale è la struttura delle stelle? Come si evolvono? E soprattutto: come si classificano? Seguiteci su Eagle sera per scoprirlo.
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La prima è il tempo di Kelvin-Helmholtz (scala temporale termica, tau, che corrisponde al tempo necessario perché l'energia potenziale gravitazionale sia convertita in energia termica e la fusione nucleare possa avere inizio. È inversamente proporzionale alla massa, dal momento che, quanto più essa è maggiore, tanto più rapidi sono il collasso e il riscaldamento. Rapportando i valori di massa (M), raggio (R) e luminosità (L) con i medesimi parametri riferiti al Sole (massa solare M☉, raggio solare R☉, luminosità solare L☉), il suo valore è stimabile in:
Per una stella di massa solare equivale a circa 20 milioni di anni, ma per un astro di 50 masse solari si riduce ad un centinaio di migliaia di anni. La seconda scala temporale è rappresentata dal tempo di accrescimento, ovvero il tempo necessario perché, a un dato tasso di accrescimento, si accumuli una certa massa; esso è direttamente proporzionale alla massa stessa: è intuitivo, infatti, che sia necessario più tempo per raccogliere quantità di materia maggiori. È inoltre inversamente proporzionale alla temperatura del gas, dal momento che l'energia cinetica, e di conseguenza la pressione, aumentano all'incrementare della temperatura, rallentando dunque l'accumulo di materia. Per una stella di massa solare equivale a circa 20 milioni di anni, ma per un astro di 50 masse solari si riduce ad un centinaio di migliaia di anni. La seconda scala temporale è rappresentata dal tempo di accrescimento, ovvero il tempo necessario perché, a un dato tasso di accrescimento, si accumuli una certa massa; esso è direttamente proporzionale alla massa stessa: è intuitivo, infatti, che sia necessario più tempo per raccogliere quantità di materia maggiori. È inoltre inversamente proporzionale alla temperatura del gas, dal momento che l'energia cinetica, e di conseguenza la pressione, aumentano all'incrementare della temperatura, rallentando dunque l'accumulo di materia. I nuclei supercritici continuano a contrarsi lentamente per alcuni milioni di anni a temperatura costante fintantoché l'energia gravitazionale viene dissipata mediante l'irraggiamento di onde radio millimetriche. Il manifestarsi di fenomeni di instabilità provoca un improvviso collasso del frammento, che porta ad un aumento della densità al centro fino a ~3 × 1010 molecole al cm³ e ad un'opacizzazione della nube alla sua stessa radiazione, che provoca un aumento della temperatura (da 10 a 60-100 K) ed un rallentamento del collasso. Il riscaldamento dà luogo a un aumento della frequenza delle onde elettromagnetiche emesse: la nube ora irradia nell'infrarosso lontano, cui essa è trasparente; in questo modo la polvere media un secondo collasso della nube. Si viene a creare a questo punto una configurazione in cui un nucleo centrale idrostatico attrae gravitazionalmente la materia diffusa nelle regioni esterne: è il cosiddetto first hydrostatic core (primo nucleo idrostatico), che continua ad aumentare la sua temperatura in funzione del teorema del viriale e delle onde d'urto causate dal materiale a velocità di caduta libera. Dopo questa fase di accrescimento a partire dall'inviluppo di gas circostante, il nucleo inizia una fase di contrazione quasi statica. Quando la temperatura del nucleo raggiunge circa i 2000 K, l'energia termica dissocia le molecole di H2 in atomi di idrogeno, 47 che subito dopo si ionizzano assieme agli atomi di elio. Questi processi assorbono l'energia liberata dalla contrazione, permettendole di proseguire per periodi di tempo comparabili col periodo del collasso a velocità di caduta libera. Non appena la densità del materiale in caduta raggiunge il valore di 10−8g cm−3, la materia diviene sufficientemente trasparente da permettere alla luce di sfuggire. La combinazione di moti convettivi interni e dell'emissione di radiazioni permette all'embrione stellare di contrarre il proprio raggio. 47 Questa fase continua finché la temperatura dei gas è sufficiente a mantenere una pressione abbastanza elevata da evitare un ulteriore collasso; si raggiunge così un momentaneo equilibrio idrostatico. Quando l'oggetto così formato cessa questa prima fase di accrescimento prende il nome di protostella; l'embrione stellare permane in questa fase per alcune decine di migliaia di anni. In seguito al collasso la protostella deve aumentare la propria massa accumulando gas; ha così inizio una seconda fase di accrescimento che va avanti ad un ritmo di circa 10−6-10−5 M☉ all'anno. L'accrescimento del materiale verso la protostella è mediato da una struttura discoidale, allineata con l'equatore della protostella, che si forma nel momento in cui il moto di rotazione della materia in caduta (inizialmente uguale a quello della nube) viene amplificato a causa della conservazione del momento angolare; tale formazione ha anche il compito di dissipare l'eccesso di momento angolare, che altrimenti causerebbe lo smembramento della protostella. In questa fase si formano inoltre dei flussi molecolari, frutto forse dell'interazione del disco con le linee di forza del campo magnetico stellare, che si dipartono dai poli della protostella, anch'essi probabilmente con la funzione di disperdere l'eccesso di momento angolare. 4 L'urto di questi getti con il gas dell'inviluppo circostante può generare delle particolari nebulose a emissione note come oggetti di Herbig-Haro. L'aggiunta di massa determina un incremento della pressione nelle regioni centrali della protostella, che si riflette in un aumento della temperatura; quando questa raggiunge un valore di almeno un milione di kelvin, ha inizio la fusione del deuterio, un isotopo dell'idrogeno (21H); la pressione di radiazione che ne risulta rallenta (ma non arresta) il collasso, mentre prosegue la caduta di materiale dalle regioni interne del disco di accrescimento sulla superficie della protostella. La velocità di accrescimento non è costante: infatti la futura stella raggiunge in tempi rapidi quella che sarà la metà della sua massa definitiva, mentre impiega oltre dieci volte più tempo per accumulare la restante massa. La fase di accrescimento è la parte cruciale del processo di formazione di una stella, dal momento che la quantità di materia che l'astro nascente riesce ad accumulare condizionerà irreversibilmente il suo destino successivo: infatti, se la protostella accumula una massa compresa tra 0,08 e 8-10 M☉ evolve successivamente in una stella pre-sequenza principale; se invece la massa è nettamente superiore, la protostella raggiunge immediatamente la sequenza principale. La massa determina inoltre la durata della vita di una stella: le stelle meno massicce vivono molto più a lungo delle stelle più pesanti: si va dal bilione di anni delle stelle di classe M V 51 fino ai pochi milioni di anni delle massicce stelle di classe O. Se invece l'oggetto non riesce ad accumulare almeno 0,08 M☉ la temperatura del nucleo permette la fusione del deuterio, ma si rivela insufficiente all'innesco delle reazioni di fusione dell'idrogeno pròzio, l'isotopo più comune di questo elemento (11H); questa "stella mancata", dopo una fase di stabilizzazione, diviene quella che gli astronomi definiscono nana bruna. L'emissione di vento da parte della protostella all'ignizione della fusione del deuterio determina la dispersione di gran parte dell'involucro di gas e polveri che la circonda; la protostella passa così alla fase di stella pre-sequenza principale (o stella PMS, dall'inglese pre-main sequence), la cui fonte di energia è ancora il collasso gravitazionale e non la fusione dell'idrogeno come nelle stelle di sequenza principale. Si riconoscono due principali classi di stelle PMS: le variabili Orione, che hanno una massa compresa tra 0,08 e 2 M☉, e le stelle Ae/Be di Herbig, con una massa compresa tra 2 e 8 M☉. Non si conoscono stelle PMS più massicce di 8 M☉, dal momento che quando entrano in gioco delle masse molto elevate l'embrione stellare raggiunge in maniera estremamente rapida le condizioni necessarie all'innesco della fusione dell'idrogeno e passa direttamente alla sequenza principale. Le variabili Orione si suddividono a loro volta in stelle T Tauri, stelle EX Lupi (EXor) e stelle FU Orionis (FUor). Si tratta di astri simili al Sole per massa e temperatura, ma alcune volte più grandi in termini di diametro e, per questa ragione, più luminosi. N 1 Sono caratterizzate da alte velocità di rotazione, tipiche delle stelle giovani, e possiedono un'intensa attività magnetica, oltre che getti bipolari. Le FUor e le EXor rappresentano delle categorie particolari di T Tauri, caratterizzate da cambiamenti repentini e cospicui della propria luminosità e del tipo spettrale; le due classi differiscono tra loro per tipo spettrale: le FUor sono, in stato di quiescenza, di classe F o G; le EXor di classe K o M. Le stelle Ae/Be di Herbig, appartenenti alle classi A e B, sono caratterizzate da spettri in cui dominano le linee di emissione dell'idrogeno (serie di Balmer) e del calcio presenti nel disco residuato dalla fase di accrescimento. La stella PMS segue un caratteristico tragitto sul diagramma H-R, noto come traccia di Hayashi, durante il quale continua a contrarsi. La contrazione prosegue fino al raggiungimento del limite di Hayashi, dopodiché prosegue a temperatura costante in un tempo di Kelvin-Helmholtz superiore al tempo di accrescimento; in seguito le stelle con meno di 0,5 masse solari raggiungono la sequenza principale. Le stelle da 0,5 a 8 M☉, al termine della traccia di Hayashi, subiscono invece un lento collasso in una condizione prossima all'equilibrio idrostatico, seguendo a questo punto un percorso nel diagramma H-R detto traccia di Henyey. La fase di collasso ha termine quando finalmente, nel nucleo della stella, si raggiungono i valori di temperatura e pressione necessari per l'innesco della fusione dell'idrogeno prozio; quando la fusione dell'idrogeno diviene il processo di produzione energetica predominante e l'eccesso di energia potenziale accumulata con la contrazione viene dispersa, la stella raggiunge la sequenza principale standard del diagramma H-R e l'intenso vento generato a seguito dell'innesco delle reazioni nucleari spazza via i materiali residui, rivelando alla vista la presenza della stella neoformata. Gli astronomi si riferiscono a questo stadio con l'acronimo ZAMS, che sta per Zero-Age Main Sequence, sequenza principale di età zero. La curva della ZAMS può essere calcolata mediante simulazioni computerizzate delle proprietà che le stelle avevano al momento del loro ingresso in questa fase. Le successive trasformazioni della stella sono studiate dall'evoluzione stellare. Pur esplicando in modo chiaro le modalità attraverso cui avviene, il modello standard non spiega che cosa dia inizio al collasso. Non sempre la formazione di una stella inizia in maniera del tutto spontanea, a causa delle turbolenze interne oppure per via della diminuzione della pressione interna del gas a causa del raffreddamento o della dissipazione dei campi magnetici. Anzi, più spesso, come dimostrano innumerevoli dati osservativi, è necessario l'intervento di qualche fattore che dall'esterno perturbi la nube, causando le instabilità locali e promuovendo dunque il collasso. A tal proposito numerosi sono gli esempi di stelle, per lo più appartenenti ad ampie associazioni stellari, le cui caratteristiche mostrano che si sono formate quasi contemporaneamente: dal momento che un simultaneo collasso di nuclei densi indipendenti sarebbe un'incredibile coincidenza, è più ragionevole pensare che questo sia la conseguenza di una forza applicata dall'esterno, che ha agito sulla nube causando il collasso e la successiva formazione stellare. Tuttavia non sono infrequenti gli esempi di collassi iniziati spontaneamente: alcuni esempi di questo sono stati individuati tramite l'osservazione infrarossa in certi nuclei densi isolati, relativamente quiescenti, posti in nubi vicine tra loro. In alcuni di essi, come nel globulo di Bok Barnard 355, sono state riscontrate tracce di lenti moti centripeti interni e sono state osservate anche delle sorgenti infrarosse, segno che potrebbero essere avviati alla formazione di nuove stelle. Diversi possono essere gli eventi esterni in grado di promuovere il collasso di una nube: le onde d'urto generate dallo scontro di due nubi molecolari o dall'esplosione nelle vicinanze di una supernova; le forze di marea che si instaurano a seguito dell'interazione tra due galassie, che innescano una violenta attività di formazione stellare definita starburst (si veda anche il paragrafo Variazioni nella durata e nel tasso di formazione stellare); gli energici super-flare di un'altra vicina stella in uno stadio più avanzato di formazione oppure la pressione del vento o l'intensa emissione ultravioletta di vicine stelle massicce di classe O e B, che può regolare i processi di formazione stellare all'interno delle regioni H II. Si ipotizza inoltre che la presenza di un buco nero supermassiccio al centro di una galassia possa avere un ruolo regolatore nei confronti del tasso di formazione stellare nel nucleo galattico: 72 infatti, un buco nero che sta accrescendo materia con tassi molto elevati può diventare attivo ed emettere un forte getto relativistico collimato in grado di limitare la successiva formazione di stelle. Tuttavia, l'emissione radio attorno ai getti, così come l'eventuale bassa intensità del getto stesso, può avere un effetto esattamente opposto, innescando la formazione di stelle qualora si trovi a collidere con una nube che gli transita nelle vicinanze. 73 L'attività di formazione stellare risulta fortemente influenzata dalle condizioni fisiche estreme che si riscontrano entro 10-100 parsec dal nucleo galattico: intense forze di marea, incremento dell'entità delle turbolenze, riscaldamento del gas e presenza di campi magnetici piuttosto intensi; 74 a rendere più complesso questo quadro concorrono inoltre gli effetti dei flussi microscopici, della rotazione e della geometria della nube. Sia la rotazione che i campi magnetici possono ostacolare il collasso della nube, 75 76 mentre la turbolenza favorisce la frammentazione, e su piccole scale promuove il collasso. 77 Eccettuando la lacuna sopra discussa, il modello standard descrive bene ciò che accade in nuclei isolati in cui sta avvenendo la formazione di una stella. Tuttavia, la stragrande maggioranza delle stelle non nasce in solitaria, ma in folti ammassi stellari, e il modello non spiega l'influenza che tale ambiente esercita sulle stelle nascenti. Inoltre, rispetto a quanto ritenuto in passato, la formazione stellare è un evento piuttosto violento: infatti l'osservazione infrarossa ha mostrato che la formazione di una stella interferisce negativamente sulla nascita degli astri adiacenti, dal momento che la radiazione e il vento prodotti nelle ultime fasi della formazione possono limitare la quantità di gas che può accrescere liberamente sulle vicine protostelle. Per sopperire a tale lacuna sono state sviluppate due teorie. La prima, detta teoria dell'accrescimento competitivo, si concentra sulle interazioni tra nuclei densi adiacenti. La versione più estrema di questa teoria prevede la formazione di numerose piccole protostelle, che si muovono rapidamente nella nube entrando in competizione tra loro per catturare quanto più gas possibile. Alcune protostelle tendono a prevalere sulle altre, divenendo le più massicce; altre potrebbero persino essere espulse dall'ammasso, libere di muoversi all'interno della galassia. La concorrente, la teoria del nucleo turbolento, privilegia invece il ruolo della turbolenza dei gas: la distribuzione delle masse stellari rispecchia, infatti, lo spettro dei moti turbolenti all'interno della nube piuttosto che una successiva competizione per l'accumulo di massa. Le osservazioni sembrano dunque favorire questo modello, anche se la teoria dell'accrescimento competitivo potrebbe sussistere in regioni in cui la densità protostellare è particolarmente elevata.
Formazione di gruppi stellari
È ormai assodato che il processo di formazione stellare raramente porta alla nascita di un singolo oggetto; anzi, più spesso il risultato è la formazione di un gruppo di oggetti più o meno intensamente legati dalla forza di gravità, poiché, come si è visto, solo una nube sufficientemente grande può collassare sotto la sua stessa gravità, dando origine a un certo numero di frammenti da cui nasceranno altrettante stelle o sistemi stellari multipli, che andranno a costituire un ammasso o un'associazione stellare.
Sistemi multipli
Anche se è possibile che alcuni sistemi multipli (in particolare le binarie a lungo periodo) si siano formati dalla cattura gravitazionale reciproca tra due o più stelle singole nate indipendentemente, tuttavia, data la bassissima probabilità di un simile evento (sarebbero comunque necessari almeno tre oggetti anche per la formazione di un sistema binario, dal momento che in base alla legge della conservazione dell'energia serve comunque un terzo elemento che assorba l'energia cinetica in eccesso affinché due stelle possano legarsi reciprocamente) e l'elevato numero di stelle binarie note, appare evidente che quello della cattura gravitazionale non sia il principale meccanismo di formazione di un sistema multiplo. Anzi, l'osservazione di sistemi multipli costituiti da stelle pre-sequenza principale dà credito all'ipotesi secondo cui simili sistemi esistano già durante la fase di formazione. Il modello che dunque ne esplica in modo accettabile l'esistenza suggerisce che questi si siano creati dalla suddivisione di un singolo originario nucleo denso in più frammenti orbitanti attorno a un comune centro di massa, i quali collassano a formare le componenti del futuro sistema binario o multiplo. Gli ammassi e le associazioni stellari sono il prodotto del collasso e della frammentazione di una vasta porzione di una nube molecolare gigante, processo questo che può durare diverse migliaia di anni; si stima che il tasso di formazione degli ammassi aperti nella nostra Galassia sia di circa uno ogni poche migliaia di anni. Le prime stelle dell'ammasso a vedere la luce sono le più massicce, calde e luminose (di classe spettrale O e B), la cui intensa emissione ultravioletta ionizza rapidamente il gas della nube rendendola una regione H II. Il vento da queste prodotto e la pressione di radiazione spazzano via il gas non ancora collassato, isolando i bozzoli avviati alla formazione delle stelle di massa intermedia e piccola. Dopo alcuni milioni di anni, l'ammasso sperimenta la prima esplosione di supernova, che contribuisce ulteriormente ad espellere i gas residui. In questo scenario solamente una quantità di materia compresa tra il 10% e il 30-40% del gas originario della nube collassa per formare le stelle dell'ammasso, prima di essere espulso; di conseguenza viene a perdersi la gran parte della massa che potrebbe potenzialmente collassare in ulteriori stelle. Tutti gli ammassi perdono una notevole quantità di materia durante la loro prima giovinezza e molti si disgregano prima ancora di essersi formati del tutto. Le stelle giovani rilasciate dal loro ammasso natale diventano così parte della popolazione galattica diffusa, ossia quelle stelle prive di legami gravitazionali che si confondono fra le altre stelle della galassia. Poiché la gran parte delle stelle, se non tutte, quando si formano fanno parte di un ammasso, gli ammassi stessi vengono considerati come gli elementi fondamentali delle galassie; i violenti fenomeni di espulsione di gas che modellano e disgregano molti ammassi aperti alla loro nascita lasciano la loro impronta sulla morfologia e sulle dinamiche delle strutture galattiche. Spesso accade che due o più ammassi apparentemente distinti si siano formati dalla stessa nube molecolare: è il caso ad esempio di Hodge 301 e R136, nella Grande Nube di Magellano, che si sono formati dai gas della Nebulosa Tarantola; nella nostra Galassia invece si è scoperto, ripercorrendo indietro nel tempo i loro movimenti nello spazio, che due grandi ammassi aperti relativamente vicini al sistema solare, le Iadi e il Presepe, si sarebbero formati dalla stessa nube circa 600 milioni di anni fa. 89 Talvolta una coppia di ammassi aperti formatisi nello stesso periodo può costituire un ammasso doppio; l'esempio più noto nella Via Lattea è quello dell'Ammasso Doppio di Perseo, formato da h Persei e da χ Persei, ma sono noti un'altra decina di ammassi doppi, soprattutto in altre galassie, come nella Piccola Nube di Magellano e nella stessa Grande Nube, entrambe galassie satelliti della nostra; è comunque più semplice identificare effettivamente come tali gli ammassi doppi nelle galassie esterne, dal momento che nella nostra Galassia la prospettiva può far apparire vicini due ammassi che in realtà sono distanti tra loro. Presa alla lettera, la teoria standard della formazione stellare sembra precludere l'esistenza delle stelle massicce (M>8 M☉), dal momento che il rapido raggiungimento delle condizioni necessarie per innescare la fusione dell'idrogeno causerebbe l'immediato arresto della fase di accrescimento e dunque una forte limitazione alla massa della futura stella. Pertanto, si ritiene che nel caso delle stelle massicce al modello standard si aggiungano dei meccanismi supplementari, ancor'oggi in certa misura oggetto d'ipotesi, che consentano a questi oggetti di raggiungere le quantità di materia che li caratterizzano. Per le stelle massicce il tempo di Kelvin-Helmholtz è notevolmente inferiore al tempo di accrescimento: di conseguenza, queste stelle non passano attraverso la fase di PMS, ma raggiungono direttamente la sequenza principale. L'intensa emissione elettromagnetica (in particolare di ultravioletti - UV -) che ne consegue porrebbe fine immediatamente alla fase di accrescimento, mantenendo dunque la massa della stella entro una decina di masse solari. In passato si riteneva che questa pressione di radiazione fosse sufficiente ad arrestare l'accrescimento della protostella; di conseguenza, risultava impensabile la formazione di stelle di massa superiore ad una decina di masse solari. Tuttavia, la scoperta di stelle aventi anche masse ben oltre le 100 M☉ ha indotto gli astrofisici a formulare dei modelli che potessero spiegarne la formazione. Fino ai primi anni ottanta si riteneva che un ruolo importante nella formazione di una stella massiccia fosse rivestito dalle polveri miste ai gas della nube, che sembrerebbero svolgere una funzione di tampone tra l'irraggiamento della protostella massiccia ed il gas della nube. La radiazione UV disgrega le polveri nelle immediate vicinanze dell'astro o le confina a una certa distanza, sicché i granelli di polvere si accumulano andando a costituire un guscio la cui sorte dipende dalle caratteristiche chimico-fisiche delle polveri stesse. Se queste hanno un punto di sublimazione basso, la radiazione disgrega facilmente il guscio; l'irraggiamento non è però sufficientemente potente da contrastare la caduta della materia, sicché essa prosegue fino al termine dei materiali a disposizione. Viceversa, se la temperatura di sublimazione delle polveri è molto alta, il guscio assorbe la radiazione UV riemettendola nell'infrarosso; la pressione esercitata da questo irraggiamento secondario contrasta la caduta dei gas arrestando l'accrescimento. Tuttavia, la scoperta che in media il punto di sublimazione delle polveri è piuttosto basso alimentò le suggestioni che potessero esistere stelle con masse addirittura di 1000 masse solari; questo entusiasmo fu però frenato dall'ulteriore scoperta che le polveri sono costituite prevalentemente da grafite e silicati, che hanno un alto potere assorbente nei confronti della radiazione UV: di conseguenza, l'irraggiamento infrarosso secondario delle polveri avrebbe sempre prevalso sul collasso della nube, rendendo di fatto impossibile la formazione di una stella così massiccia. Alla fine degli anni novanta, un astrofisico giapponese ipotizzò che il collasso avvenisse in maniera asimmetrica, e che un disco mediasse l'accrescimento, proprio come accade per le stelle di piccola massa. Diversi lavori teorici hanno rinforzato quest'ipotesi, mostrando che la produzione di getti e flussi molecolari a partire dal disco crea una cavità nel materiale nebuloso, formando un corridoio di sfogo attraverso il quale la grande radiazione di una protostella massiccia può disperdersi senza inficiare eccessivamente l'accrescimento. L'ipotesi è stata poi confermata da numerosi dati, sia teorici sia osservativi: sono state individuate, tramite procedimenti indiretti basati sulla luminosità della protostella riflessa dalla nube, diverse strutture discoidali, grandi alcune migliaia di unità astronomiche, che si ritiene appartengano a protostelle di classe B, che possederebbero una massa inferiore a 20 M☉ ed un tasso di accrescimento stimato in circa 10−4 M☉/anno. Gli studi condotti sull'emissione di maser CH3OH e H2O da parte di protostelle massicce ha indotto gli astrofisici a ipotizzare che il campo magnetico generato dalla protostella, proprio come nel caso delle stelle di piccola massa, giochi un ruolo importante nel vincolare le polveri, stabilizzando quindi il disco di accrescimento, e consenta inoltre di mantenere gli elevati tassi di accrescimento necessari per la nascita della stella. La ricerca invece di dischi attorno alle protostelle supermassicce di classe O (che possono anche superare le 100 M☉) non ha ancora dato frutti, anche se sono state individuate delle imponenti strutture toroidali (~20 000 UA e 50-60 M☉) i cui tassi di accrescimento sono stimati tra 2 × 10−3 e 2 × 10−2 M☉/anno. Alla luce di questa scoperta si ipotizza che l'accrescimento delle stelle massicce sia mediato da questi imponenti ed instabili tori di gas e polveri, nel cui versante interno si trova il disco di accrescimento. Anche alla formazione delle stelle massicce è stata applicata la teoria dell'accrescimento competitivo, la quale riesce a spiegare sia le grandi masse sia la tipica collocazione galattica di questa classe stellare. Infatti, la maggior parte delle stelle massicce note è situata nelle zone centrali di grandi ammassi stellari o di associazioni OB, che corrispondono al "fondo" del pozzo gravitazionale della nube: le protostelle che si sono originate in questa posizione risultano avvantaggiate dal potenziale gravitazionale e riescono ad accumulare più materia rispetto a quelle che si originano nelle altre aree della nube. In questo ambiente la densità di protostelle di massa intermedia può risultare tale da favorire le possibilità di collisione; di conseguenza, le stelle di massa media formatesi in questo modo potrebbero poi fondersi per dar luogo a una stella massiccia. 100 101 Questo scenario implica elevate densità dei gas, che una gran parte delle stelle massicce risultanti siano dei sistemi binari e che siano poche le stelle di massa intermedia che siano riuscite a competere con le stelle più massive. 102 Alcune osservazioni e simulazioni computerizzate confermano in parte quest'ipotesi, anche se presuppone delle densità di presenza protostellare talmente elevate (oltre 3 milioni di astri per anno luce cubo) da sembrare poco realistiche. Degni di nota sono i risultati, pubblicati nel gennaio 2009, di una simulazione computerizzata tesa a far luce sulle modalità che conducono alla nascita di una stella estremamente massiccia. La simulazione, in accordo con il modello standard della formazione stellare, prevede che la scintilla iniziale della nascita di una protostella massiccia sia il collasso di un frammento molecolare e la contemporanea costituzione del disco di accrescimento. La grande mole del disco lo rende tuttavia gravitazionalmente instabile, il che ne rende possibile la frammentazione e la formazione, a partire dai frammenti, di un certo numero protostelle secondarie; sebbene alcune di queste, a causa delle perturbazioni gravitazionali, possano essere espulse dal disco e dar luogo a singole stelle, la gran parte sembra invece destinata a precipitare al centro del disco per fondersi con la protostella principale, la quale acquisisce così una massa estremamente elevata. La simulazione ha anche dimostrato come mai gran parte delle stelle massicce note siano in realtà dei sistemi multipli: si è visto infatti che una o più protostelle secondarie riescono a raggiungere, senza esser fagocitate dalla protostella primaria, una massa tale da svincolarsi dal disco della principale, formare a loro volta un proprio disco e fondersi con le protostelle secondarie che da esso traggono origine, divenendo quindi anche queste delle stelle massicce. 103 L'osservazione di alcune regioni di formazione stellare da parte del telescopio spaziale Spitzer ha in parte confermato questo modello, anche se la piena verifica è complicata: infatti è difficile riuscire a cogliere le stelle massicce nell'atto della loro formazione, visto che si tratta comunque di una classe stellare piuttosto rara e che il processo che porta alla loro formazione si esaurisce in tempi assai brevi su scala astronomica. Ora che abbiamo approfondito il concetto di formazione stellare possiamo continuare a trattare del modello standard. La classe spettrale di una stella è determinata dalla temperatura superficiale della stella stessa. Infatti, la legge di Wien prescrive che un corpo nero riscaldato a una certa temperatura emetterà una radiazione elettromagnetica con un determinato picco di intensità. In particolare, tale picco coinciderà con una lunghezza d'onda tanto minore quanto sarà più alta la temperatura del corpo nero. Sebbene una stella non sia un corpo nero, lo può essere considerato con una certa approssimazione.
Barra delle equazioni per i lettori più curiosi
Ne segue che la temperatura della fotosfera della stella determinerà il picco di massima intensità della radiazione emessa e, di conseguenza, il colore della stella stessa. Un indicatore della classe spettrale a cui la stella appartiene è il suo indice di colore, B − V, che misura la differenza fra la magnitudine apparente della stella nella lunghezza del blu (B) e in quella del visibile (V); tali magnitudini sono determinate mediante appositi filtri. Il valore di B − V, di conseguenza, fornisce una misura della temperatura della stella. Se idealmente si considerano le stelle come corpi neri, allora la loro posizione nel diagramma H-R determina il loro raggio; infatti raggio, temperatura e luminosità assoluta sono messi in relazione dalla legge di Stefan-Boltzmann:
ove σ è la costante di Stefan-Boltzmann. Conoscendo luminosità e temperatura è dunque possibile ricavare il raggio di una stella. La massa di una stella di sequenza principale è strettamente correlata con il raggio e la luminosità. La relazione massa-luminosità specifica il rapporto fra la luminosità L e la massa M, che nella sua versione approssimata afferma che il rapporto fra le luminosità di due stelle è proporzionale alla terza potenza e mezza del rapporto fra le loro masse:
ove L1 e L2 sono le luminosità delle due stelle e M1 e M2 le loro masse. Il rapporto fra la massa M e il raggio R è approssimativamente una relazione lineare: infatti il rapporto fra M e R aumenta di solo di tre volte all'aumentare di 2,5 ordini di grandezza di M. Una migliore approssimazione rispetto al semplice rapporto lineare è data dalla relazione: R ∝ M0,78
A questo punto diviene fondamentale approfondire anche il concetto di nucleosintesi stellare. La nucleosintesi stellare è il termine che indica collettivamente le reazioni nucleari che avvengono all'interno di una stella, con l'effetto di produrre i nuclei degli elementi chimici. Nelle stelle, vengono prodotti tutti gli elementi chimici tranne l'idrogeno, che fa da carburante iniziale. L'elio, benché prodotto in quantità, è già presente nell'Universo in grandi percentuali, e la massa apportata dalle stelle è contenuta. Per tutti gli altri elementi, compresa la grande maggioranza degli atomi che compongono il nostro pianeta, assenti o presenti in quantità trascurabili nel gas interstellare, le stelle sono le principali responsabili della loro esistenza. In particolare, le stelle di grande massa producono le quantità più grandi di elementi fino al ferro-56, mentre gli elementi più pesanti possono essere prodotti in un'esplosione di supernova, che avviene alla fine della vita di una stella di grande massa. Per dare un'idea intuitiva del processo, la fusione nucleare che avviene al centro del Sole è quasi la stessa di quella di una bomba H. In effetti, ciò che accade in una stella è paragonabile ad un'esplosione atomica continua contenuta dal suo stesso peso, o equivalentemente ad un reattore a fusione nucleare. All'interno del Sole, vengono fuse 600 milioni di tonnellate di idrogeno al secondo, e di queste 4 milioni di tonnellate vengono convertite in energia pura, secondo la famosa equazione di Einstein E=mc². Tali reazioni furono scoperte in un lungo arco di tempo che iniziò all'inizio del XX secolo, quando gli astrofisici si resero conto per la prima volta che l'energia delle reazioni di fusione nucleare erano responsabili della longevità del Sole come fonte di calore e luce. Le spiegazioni precedenti (combustibile chimico, contrazione gravitazionale) erano inadeguate per spiegare l'età di 4,5 miliardi di anni della nostra stella. Nel 1920, Arthur Eddington, sulla base di precise misure degli atomi da parte di F. W. Aston, fu il primo a suggerire che le stelle ottenessero la loro energia dalla fusione nucleare di idrogeno in elio. Nel 1928, George Gamow derivò quello che è oggi chiamato il fattore Gamow, una formula quanto-meccanica che dà la probabilità di portare due nuclei sufficientemente vicini perché la forza nucleare forte possa superare la barriera di Coulomb. Il fattore Gamow fu usato nella decade seguente da Robert Atkinson e Fritz Houtermans, e più tardi da Gamow stesso e da Edward Teller per calcolare il ritmo a cui le reazioni nucleari si svolgono alle alte temperature che si pensa esistano nell'interno delle stelle. Nel caso del Sole, il calcolo dà il risultato esposto più sopra, assieme al tempo medio necessario perché un certo protone venga fuso: circa 13 miliardi di anni, il che spiega facilmente l'età della nostra stella. Nel 1939, in un articolo chiamato "Energy Production in Stars" (Produzione di energia nelle stelle), Hans Bethe analizzò le differenti possibilità per delle reazioni in cui l'idrogeno viene fuso in elio. Selezionò due processi che pensava fossero quelli che effettivamente avvenivano nelle stelle. Il primo, la catena protone-protone, è la principale fonte di energia nelle stelle di piccola massa, come il Sole o più piccole. Il secondo, il ciclo del carbonio-azoto-ossigeno, che era stato considerato anche da Carl von Weizsäcker nel 1938, è importante in stelle più grandi. Negli anni seguenti, furono aggiunti molti dettagli alla teoria di Bethe, come un famoso articolo del 1957 pubblicato da Margaret Burbidge, Geoffrey Burbidge, William Fowler e Fred Hoyle. Tale articolo riassumeva e rifiniva le ricerche precedenti in una visione coerente che era consistente con le abbondanze osservate degli elementi.
Le reazioni più importanti sono:
Fusione dell'idrogeno:
- la catena protone-protone
- il ciclo del carbonio-azoto-ossigeno
Fusione dell'elio:
- il processo alfa
- il processo tre alfa
Fusione di elementi più pesanti:
- processo di fusione del carbonio
- processo di fusione del neon
- processo di fusione dell'ossigeno
- processo di fusione del silicio
Produzione di elementi più pesanti del ferro:
- cattura di neutroni (processi r e s)
- cattura di protoni (processo p)
Gli elementi oltre il ferro nella tavola periodica non possono formarsi tramite la normale fusione nucleare che
avviene nelle stelle. Fino al nichel, la fusione è un processo esoergonico (cioè produce energia)
quindi avviene spontaneamente. Gli elementi del "gruppo del ferro"
sono quelli che possiedono l'energia di legame maggiore, per cui la fusione di
elementi per creare nuclei con numero di massa superiore a quello del nichel non può avvenire perché assorbirebbe
energia. In realtà, il 52Fe può catturare un nucleo di elio per
dare 56Ni ma è l'ultimo passaggio nella catena di cattura
dell'elio. Il flusso di neutroni all'interno di una stella può produrre isotopi più pesanti tramite
la cattura di neutroni da parte di nuclei. Gli isotopi così prodotti sono
generalmente instabili, così si realizza un equilibrio dinamico che determina il
verificarsi di qualsiasi guadagno netto in numero di massa. La probabilità per
la creazione di un isotopo è solitamente definita in termini di una
"sezione" per tali processi, ciò ha rivelato che c'è una sezione
sufficiente per la cattura di neutroni per creare isotopi fino al bismuto-209 (il più pesante isotopo stabile conosciuto). La produzione di altri
elementi come rame, argento, oro, zirconio e piombo si ritiene avvenga tramite cattura neutronica. Ciò è detto "processo s" dagli astronomi, che sta per "slow
neutron capture" (letteralmente: "cattura neutronica
lenta"). Per isotopi più pesanti del 209Bi, il processo S
sembra non funzionare. L'attuale opinione è che tali isotopi sarebbero formati
nelle enormi esplosioni conosciute come supernove. Nelle esplosioni di supernove, viene prodotto un
grande flusso di neutroni ad alta energia e i nuclei bombardati con tali
neutroni aumentano la loro massa un'unità alla volta per produrre i nuclei
pesanti. Questo processo apparentemente procede molto rapidamente, durante
queste esplosioni, ed è chiamato "processo r" che sta per "rapid neutron capture" (letteralmente:
"cattura neutronica rapida"). Tale processo deve avvenire molto
rapidamente, in modo che i prodotti intermedi non abbiano il tempo di decadere.
Con un ampio eccesso di neutroni, questi nuclei si disintegrerebbero nuovamente
in nuclei più leggeri se non fosse che il grande flusso di neutrini rende possibile la conversione di neutroni in protoni secondo
la forza debole nei nuclei. Gli strati contenenti gli elementi
pesanti possono essere espulsi dalla esplosione della supernova, e fornire la
materia prima di elementi pesanti nelle distanti nuvole di idrogeno che poi
condenseranno per formare nuove stelle. Un
altro concetto da comprendere quando parliamo della sequenza principale è la
struttura stellare. Ogni stella ha una propria struttura interna che varia a seconda della massa e
dell'età; i modelli attualmente formulati sulla struttura stellare cercano
di descrivere abbastanza dettagliatamente la struttura interna dell'astro
servendosi della luminosità e
del colore consentendo
inoltre di predirne con una certa approssimazione l'evoluzione futura.
L'interno
di una stella di sequenza principale si
trova in una condizione di equilibrio in cui le forze predominanti, la gravità (che
ha un verso orientato in direzione del centro della stella) e l'energia termica della massa del plasma, con verso orientato in
direzione della superficie, si controbilanciano perfettamente. Perché questa
situazione di stabilità permanga, è necessario che le temperature raggiunte nel
nucleo raggiungano o superino i 107 K; la combinazione
dell'elevata temperatura e di una pressione altrettanto elevata favoriscono
le reazioni di fusione dei nuclei di idrogeno in nuclei elio, che sprigionano un'energia sufficientemente alta
da contrastare il collasso cui
la stella andrebbe naturalmente incontro. Tale energia è emessa sotto
forma di neutrini e fotoni gamma, che,
interagendo col plasma circostante, contribuiscono a mantenere elevata la
temperatura assieme all'energia termica del nucleo. L'interno di una stella
stabile si trova in uno stadio di equilibrio sia idrostatico sia termico ed è caratterizzato da
un gradiente di temperatura che origina un flusso
energetico in direzione dell'esterno. La struttura interna di una stella di
sequenza principale dipende in primo luogo dalla sua massa, che è all'origine
della diversa disposizione delle strutture all'interno del corpo celeste. La zona radiativa è
quella regione all'interno della stella in cui il trasferimento dell'energia per irraggiamento è
sufficientemente efficiente per mantenere il flusso energetico. In questa zona
il plasma non subisce né perturbazioni né spostamenti di massa; se però il
plasma inizia a dare manifestazioni di instabilità e compie movimenti di
tipo convettivo, la regione assume le
caratteristiche di zona convettiva. Quanto detto si verifica
generalmente nelle zone della stella in cui sono localizzati flussi altamente
energetici, come nello strato immediatamente superiore al nucleo o in aree con
un'opacità superiore allo strato
più esterno. 1 La posizione della zona radiativa e di quella
convettiva di una stella di sequenza principale dipende dalla sua classe spettrale e
dalla massa. Nelle stelle con una massa diverse volte quella solare la
zona convettiva è posta in profondità, adiacente al nucleo, mentre la zona
radiativa è posta subito al di sopra della zona convettiva. Nelle stelle meno
massicce, come il Sole, le
due zone sono invertite, ovvero la zona radiativa è adiacente al nucleo. 2 Le nane rosse con
una massa inferiore a 0,4 masse solari presentano solamente una zona convettiva
che previene l'accumulo di un nucleo di elio. In gran parte delle stelle
la zona convettiva tende a variare nel corso del tempo man mano che la stella
procede nella sua evoluzione e
viene modificata la sua composizione interna. La porzione visibile di una stella di sequenza
principale è detta fotosfera. In questo strato il plasma della stella diviene trasparente ai
fotoni luminosi e permette la
propagazione delle radiazioni nello spazio. Sulla fotosfera compaiono
delle zone più scure causate dall'attività magnetica dell'astro: si tratta
delle macchie stellari, che appaiono scure poiché hanno una temperatura inferiore a quella del
resto della fotosfera. Al di sopra della fotosfera si staglia l'atmosfera stellare. In una stella di sequenza
principale, come il Sole, la parte più bassa dell'atmosfera, detta cromosfera, è una debole regione in cui hanno luogo vari
fenomeni come le spicole o i flare, circondata da
una zona di transizione, dall'ampiezza di 100 km, in cui la temperatura
cresce enormemente. Al di sopra si trova la corona, un volume di plasma ad
elevatissima temperatura (oltre il milione di kelvin) che si estende nello
spazio per diversi milioni di km. L'esistenza della corona sembra
dipendere da una zona convettiva negli strati superficiali della stella. A
dispetto dell'altissima temperatura, la corona emette una quantità
relativamente piccola di luce e risulta visibile solo durante un'eclissi solare. Dalla
corona si diparte un vento stellare costituito da plasma
estremamente rarefatto, che si propaga fino a quando non interagisce col mezzo interstellare.
Il vento solare, ad
esempio, si estende fino all'eliopausa, formando una
regione a forma di bolla nota come eliosfera. L'energia termica proveniente
dal nucleo è trasportata negli
strati superiori in differenti modi, principalmente per mezzo della convezione e
dell'irraggiamento, ma
anche per conduzione, come
nelle nane bianche. La convezione è la modalità
prevalente, in cui la temperatura è abbastanza alta da permettere che una data
quantità di gas continui a risalire all'interno della stella se sale in maniera
piuttosto lenta secondo dei processi adiabatici. In tal caso, la colonna di
gas più calda tende a salire secondo il principio di Archimede e continua la sua ascesa
finché si mantiene più calda del gas circostante; quando però esaurisce la sua
energia termica e si raffredda, la colonna di gas termina la sua ascesa ed
inizia la discesa verso l'iniziale posizione del gas. Nelle zone con un
basso gradiente termico ed un'opacità abbastanza bassa da consentire il passaggio
delle radiazioni risulta invece favorito il trasporto tramite l'irraggiamento. Nelle
stelle di massa paragonabile al Sole (0,3-1,5 masse solari) la fusione
dell'idrogeno avviene essenzialmente tramite la cosiddetta catena protone-protone, che stabilisce un gradiente
di temperatura non troppo elevato; perciò l'irraggiamento tende a prevalere
nella parte più interna della stella. La parte più esterna è invece decisamente
più fredda, tanto che l'idrogeno diviene neutro ed opaco alle radiazioni ultraviolette, permettendo la convezione.
Riassumento, le stelle con una massa simile al Sole presentano la zona
perinucleare radiativa e subito sopra uno strato convettivo. Il nucleo
delle stelle massicce (con massa superiore a 1,5 masse solari) possiede una temperatura superiore ad 1,8 × 107 K, che fa procedere la fusione dell'idrogeno in elio anziché secondo la
catena protone-protone secondo il ciclo del carbonio-azoto-ossigeno (ciclo CNO). In tale
catena di reazioni la produzione di energia dipende dalla quindicesima potenza della
temperatura, mentre nella catena protone-protone dipende dalla quarta potenza
della temperatura. 2 7 Poiché il ciclo CNO è
altamente sensibile alle variazioni termiche, il gradiente di temperatura nella
parte più interna dell'astro è abbastanza elevato da rendere il nucleo
convettivo. Nella parte più esterna il gradiente termico è nettamente più
basso, ma è ancora così elevato da mantenere completamente ionizzato
l'idrogeno, che diviene trasparente alle radiazioni ultraviolette, rendendo la
zona radiativa. Le stelle di sequenza principale meno massicce non
presentano una zona radiativa, ma il trasporto energetico avviene solamente per
convezione. Allo stesso modo le stelle giganti sono completamente
convettive. Lo schema più semplice utilizzato
per descrivere la struttura stellare è quello di una simmetria sferica quasi statica che considera la stella in uno stato di equilibrio.
Proprie di tale modello sono quattro equazioni differenziali di primo grado: due rappresentano il modo in cui la materia e la pressione variano in base al raggio; le altre due mostrano
in che modo temperatura e luminosità varino
al variare del raggio.
Extra: la matematica delle stelle
Nella scrittura delle
equazioni della struttura stellare (dando per assunta la simmetria sferica) si
considerano la densità della materia rho, la
temperatura T, la
pressione totale (quella della materia + quella della radiazione) P, la luminosità l e
la velocità di produzione dell'energia per unità di massa varepsilon in
un guscio sferico di spessore mbox posto
ad una distanza r dal
centro della stella. Si assume inoltre che la stella si trovi in uno stato
di equilibrio termodinamico (materia
e fotoni si trovano alla
medesima temperatura); sebbene non si tratti di un equilibrio statico, poiché
la temperatura tende a crescere man mano che si procede verso il centro della
stella, tale approssimazione si rivela corretta poiché il cammino libero medio lambda dei
fotoni è decisamente inferiore alla distanza alla quale la temperatura
varierebbe considerevolmente, come nel caso lambda \ll T La prima equazione è
una spiegazione dell'equilibrio idrostatico: la forza dovuta
al gradiente di pressione,
diretta verso l'esterno della stella, controbilancia in maniera perfetta
la forza di gravità, che è orientata verso il centro della stella,
secondo l'equazione:
dove m è ma massa cumulativa all'interno del guscio ad una distanza r e G è la costante di gravitazione universale. La massa cumulativa cresce con il raggio in conformità all'equazione di continuità della massa:
L'integrazione dell'equazione di continuità della massa a partire dal centro r=0 verso la superficie della stella r=R dà come risultato la massa complessiva della stella. Considerando la quantità di energia che lascia gli strati della sfera si ottiene l'equazione dell'energia:
dove varepsilon è la luminosità liberata sotto forma di neutrini (che normalmente lasciano la stella senza interagire con la materia ordinaria) per unità di massa. Poiché all'esterno del nucleo (dove avviene la produzione di energia tramite reazioni di fusione nucleare) non viene prodotta energia, la luminosità rimane costante. L'equazione di trasporto dell'energia ha forme diverse in relazione al modo in cui essa è trasportata. Nel caso della conduzione (tipica delle nane bianche) l'equazione ha questa forma:
dove k è l'opacità della materia e sigma la costante di Stefan-Boltzmann. Non esiste un'equazione specifica che descriva il trasporto energetico per convezione; un modo per supplire a tale mancanza è dato dalla cosiddetta teoria della lunghezza di mescolanza. Tale teoria considera il gas come se contenesse una discreta quantità di elementi che mantengono in maniera approssimativa la stessa temperatura, densità e pressione del gas circostante ma si spostano al suo interno secondo una lunghezza caratteristica, che prende il nome di lunghezza di mescolanza. L'equazione valevole per un gas ideale monoatomico è:
dove gamma è il coefficiente di dilatazione adiabatica, vale a dire la quantità di calore specifico del gas sottoposto ad una determinata pressione (per un gas ideale allo stato di plasma gamma). Ricoprono una rilevanza non indifferente anche le equazioni di stato (ad esempio la legge dei gas perfetti, la pressione di radiazione ecc.), che combina la pressione ad altre variabili, come temperatura, densità, composizione chimica e così via. La soluzione di tali equazioni, combinate con una serie di condizioni al contorno, consente di descrivere il comportamento di una stella. Le tipiche condizioni al contorno stabiliscono i valori dei parametri osservabili in maniera appropriata alla superficie r=R ed al centro r=0 della stella: P(R)=0 significa che la pressione superficiale è uguale a zero; m(0)=0 significa che non vi è massa nel centro della stella, come richiesto nel caso in cui la massa rimanga finite; m(R)=M significa che la massa complessiva della stella è la massa stellare; T(R)=T significa che la temperatura alla superficie è la temperatura effettiva della stella. Sebbene al giorno d'oggi i modelli sull'evoluzione stellare descrivano le caratteristiche principali dei diagrammi colore-magnitudine, è necessario fare passi avanti in modo da dissipare le incertezze collegate alla conoscenza dei fenomeni di trasporto energetico. La sfida più difficoltosa permane comunque la trasposizione numerica dei fenomeni di turbolenza; alcuni gruppi di ricerca si occupano attualmente di sviluppare modelli semplificati delle turbolenze tramite calcoli computerizzati in tre dimensioni.
Tornando, invece, al concetto di sequenza principale, ora possiamo continuare nel descrivere questo modello. A mano a mano che l'elio inerte, prodotto della fusione, si accumula nel nucleo della stella, la riduzione della quantità di idrogeno all'interno della stella si traduce nella diminuzione del tasso di fusione. Di conseguenza il nucleo stellare si contrae aumentando la sua temperatura e pressione, il che produce un nuovo innalzamento del tasso di fusione per compensare la maggiore densità del nucleo. La maggiore produzione di energia da parte del nucleo aumenta la luminosità e il raggio della stella nel tempo. Ad esempio, la luminosità del Sole, quando entrò nella sequenza principale, era circa il 70% di quella attuale. Cambiando la sua luminosità, la stella cambia anche la sua posizione nel diagramma H-R. Di conseguenza la sequenza principale non è una semplice linea nel diagramma, ma appare come una banda relativamente spessa in quanto in essa sono presenti stelle di tutte le età. Esistono altri fattori che allargano la banda della sequenza principale. Alcuni sono estrinseci, come ad esempio le incertezze nella distanza delle stelle o la presenza di una stella binaria irrisolta che altera i parametri stellari. Ma altri sono intrinseci: oltre alla differente composizione chimica, dovuta sia alla metallicità iniziale della stella, sia al suo stadio evolutivo 38 , le interazioni con una compagna stretta , una rotazione particolarmente rapida 40 o un campo magnetico peculiare possono modificare leggermente la posizione della stella all'interno della sequenza principale. Ad esempio, le stelle che hanno metallicità molto bassa, cioè che sono molto povere di elementi con numero atomico maggiore di quello dell'elio, si collocano un po' al di sotto della sequenza principale. Esse sono note come stelle subnane, benché esse, come tutte le altre stelle di sequenza principale, fondano l'idrogeno nei loro nuclei. Una regione quasi verticale nel diagramma H-R, conosciuta come striscia di instabilità, è occupata dal stelle variabili pulsanti, fra le quali le più note sono le variabili Cefeidi. Le pulsazioni sono correlate a oscillazioni di luminosità con periodi molto regolari. La striscia di instabilità interseca la parte alta della sequenza principale nella regione delle classi A e F, cioè in quella occupata dalle stelle aventi una massa compresa fra 1 e 2 M☉. La parte della striscia di instabilità più vicina alla sequenza principale è occupata dalle variabili Delta Scuti. Le stelle variabili di sequenza principale di questa regione presentano solo piccoli cambiamenti di luminosità che sono difficili da rilevare 42 . Altre stelle di sequenza principale variabili, come le variabili Beta Cephei, non hanno relazioni dirette con la striscia di instabilità. L'energia totale che una stella può generare mediante fusione è limitata dal quantitativo di idrogeno presente nel suo nucleo. Perché una stella sia in equilibrio l'energia generata nel nucleo deve essere uguale a quella irraggiata dalla superficie. Poiché la luminosità equivale all'energia irraggiata nell'unità di tempo, in prima approssimazione si può dedurre la lunghezza della vita di una stella dall'energia che può produrre durante la sua esistenza dividendola per la sua luminosità. Nelle stelle di sequenza principale la luminosità (L) e la massa (M) sono correlate dalla relazione massa-luminosità, che può essere approssimativamente espressa dalla seguente legge di potenza:
Barra delle equazioni per i lettori più curiosi
L'energia totale che una stella può generare mediante fusione è limitata dal quantitativo di idrogeno presente nel suo nucleo. Perché una stella sia in equilibrio l'energia generata nel nucleo deve essere uguale a quella irraggiata dalla superficie. Poiché la luminosità equivale all'energia irraggiata nell'unità di tempo, in prima approssimazione si può dedurre la lunghezza della vita di una stella dall'energia che può produrre durante la sua esistenza dividendola per la sua luminosità . Questa relazione si applica alle stelle di sequenza principale con massa compresa fra 0,1 e 50 M☉ 45 . Poiché il combustile nucleare disponibile per la fusione è proporzionale alla massa della stella e dato che il Sole è destinato a rimanere nella sequenza principale circa 10 miliardi di anni , possiamo calcolare il tempo di permanenza di una stella all'interno della sequenza principale tau mettendo in rapporto la sua massa e la sua luminosità con quelle del Sole e ricavando dal tempo di permanenza del Sole nella sequenza principale quello della stella 47 : infatti il numero di anni di permanenza di una stella all'interno della sequenza sarà uguale a:
ove n e m sono il rispettivamente il rapporto fra la massa e la luminosità della stella con quella del Sole. Ora, come si è detto, il rapporto fra le luminosità di due stelle è uguale alla terza potenza e mezzo del rapporto fra le masse; quindi:
Sostituendo nella prima equazione ne segue che una stella di n masse solari permarrà nella sequenza principale:
cioè:
Quindi, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, le stelle massicce, sebbene dispongano di maggior combustibile nucleare da fondere, hanno una vita più breve perché al crescere della massa l'incremento della luminosità è maggiore di quello della massa stessa. Di conseguenza, le stelle più massicce permangono nella sequenza principale solo pochi milioni di anni, mentre le stelle aventi una massa di 0,1 M☉ possono rimanere nella sequenza principale più di 1000 miliardi di anni. L'esatta relazione fra massa e luminosità dipende da quanto efficientemente l'energia viene trasportata dal nucleo alla superficie. Una maggiore opacità ha un effetto isolante che mantiene una maggiore quantità di energia nel nucleo, sicché la stella ha bisogno di produrre minori quantità di energia per mantenersi in equilibrio idrostatico. Al contrario, una minore opacità si traduce in un maggiore rilascio di energia da parte del nucleo che ha bisogno di produrne in quantità maggiore per mantenere l'equilibrio. Tuttavia, se l'opacità aumenta di molto, allora la convezione può risultare il meccanismo più efficiente di trasporto dell'energia, con il risultato che le condizioni per rimanere in equilibrio mutano. Nelle stelle di sequenza principale massicce l'opacità è determinata dallo scattering di elettroni, che rimane all'incirca costante con il crescere della temperatura. Di conseguenza, la luminosità cresce proporzionalmente al cubo della massa . Per le stelle al di sotto delle 10 M☉, l'opacità dipende dalla temperatura, il che si traduce in una crescita della luminosità proporzionale alla quarta potenza della massa. Per le stelle di piccola massa, le molecole dell'atmosfera contribuiscono all'opacità. Sotto le 0,5 M☉, la luminosità cresce con la potenza di 2,3 della massa, rendendo più piatta la curva in un grafico massa-luminosità nella parte relativa alle masse più piccole. Tuttavia, anche questi raffinamenti sono solo approssimativi in quanto la relazione massa-luminosità può variare con la composizione chimica della stella. Le stelle di massa superiore alle 0,5 M☉, una volta esaurito l'idrogeno nel nucleo e una volta diventate delle giganti rosse, possono cominciare a fondere l'elio in carbonio tramite il processo tre alfa, aumentando la loro luminosità. Di conseguenza questo stadio della loro evoluzione dura molto meno, comparato a quello di sequenza principale. Per esempio il Sole permarrà nella sequenza principale 10 miliardi di anni, mentre la sua fase di fusione dell'elio durerà 130 milioni di anni. Di conseguenza, delle stelle esistenti con massa superiore alle 0,5 M☉ il 90% sono stelle di sequenza principale. Un altro concetto che tratteremo è l'evoluzione stellare. L'evoluzione stellare è l'insieme dei cambiamenti che una stella sperimenta nel corso della sua esistenza. La stella nel corso della sua vita subisce variazioni di luminosità, raggio e temperatura dell'esterno e del nocciolo anche molto pronunciate. Tuttavia, dato che il ciclo vitale di una stella si estende per un tempo molto lungo su scala umana (milioni o miliardi di anni), è impossibile per un essere umano seguire passo passo l'intero ciclo di vita di una stella. Per comprendere come si evolvono le stelle si osserva di solito una popolazione di stelle che contiene stelle in fasi diverse della loro vita, e poi si costruisce un modello matematico che permette di riprodurre le proprietà osservate. Uno strumento ancora oggi fondamentale per gli astronomi, per esempio per inquadrare immediatamente lo stato e l'evoluzione di una stella è il diagramma Hertzsprung-Russell (detto per brevità diagramma H-R). Il diagramma riporta temperatura superficiale e luminosità (che variano insieme al raggio in funzione dell'età, della massa e della composizione chimica della stella) e permette di sapere in che fase della vita si trova una stella. A seconda della massa, dell'età e della composizione chimica, i processi fisici in atto in una stella sono diversi, e queste differenze portano stelle con caratteristiche diverse a seguire diversi percorsi evolutivi sul diagramma H-R. Alcuni astronomi considerano non appropriato il termine "evoluzione", e preferiscono usare il termine ciclo vitale stellare, in quanto le stelle non subiscono un processo evolutivo simile a quello degli individui di una specie ma, piuttosto, cambiano nelle loro quantità osservabili seguendo fasi ben precise che dipendono strettamente dalle caratteristiche fisiche della stella stessa. La nascita delle stelle è stata osservata con l'ausilio dei grandi telescopi di terra e soprattutto dei telescopi spaziali (in particolar modo Hubble e Spitzer). Le moderne tecniche di osservazione dello spazio nelle varie lunghezze d'onda dello spettro elettromagnetico, soprattutto nell'ultravioletto e nell'infrarosso, e l'importante contributo della radioastronomia, hanno permesso di individuare i luoghi di formazione stellare. Le stelle si formano all'interno delle nubi molecolari, delle regioni di gas ad "alta" densità 1 presenti nel mezzo interstellare, costituite essenzialmente da idrogeno, con una quantità di elio del 23-28% e tracce di elementi più pesanti. Le stelle più massicce che si formano al loro interno le illuminano e le ionizzano in maniera molto forte, creando le cosiddette regioni H II; un noto esempio di simili oggetti è la Nebulosa di Orione. La formazione di una stella ha inizio quando una nube molecolare inizia a manifestare fenomeni di instabilità gravitazionale, spesso innescati dalle onde d'urto di una supernova o della collisione tra due galassie. Non appena si raggiunge una densità della materia tale da soddisfare i criteri dell'instabilità di Jeans (che si instaura quando la pressione interna del gas non è in grado di contrastare il collasso gravitazionale cui va naturalmente incontro una nube ricca di materia), la regione inizia a collassare sotto la sua stessa gravità. Il graduale collasso della nube porta alla formazione di densi agglomerati di gas e polveri oscure, noti come globuli di Bok, che arrivano a contenere una quantità di materia pari ad oltre 50 masse solari (M☉). Mentre all'interno del globulo il collasso gravitazionale causa un incremento della densità materiale, l'energia potenziale gravitazionale viene convertita in energia termica, con un conseguente aumento della temperatura: si forma in tal modo una protostella, circondata da un disco che ha il compito di accrescerne la massa. 4 Il periodo in cui l'astro è soggetto al collasso, fino all'innesco, nelle parti centrali della protostella, delle reazioni di fusione dell'idrogeno in elio, è variabile. Una stella massiccia in formazione permane in questa fase per qualche centinaio di migliaia di anni, mentre per una stella di massa medio-piccola dura un periodo di circa 10-15 milioni di anni. Se possiede una massa inferiore a 0,08 M☉, la protostella non raggiunge l'ignizione delle reazioni nucleari e si trasforma in una fredda e poco brillante nana bruna; 6 se possiede una massa fino ad otto masse solari, si forma una stella pre-sequenza principale, spesso circondata da un disco protoplanetario; se la massa è superiore ad 8 M☉, la stella raggiunge direttamente la sequenza principale senza passare per questa fase. Le stelle pre-sequenza principale si dividono in due categorie: le stelle T Tauri (e FU Orionis), che hanno una massa non superiore a due masse solari, e le stelle Ae/Be di Herbig, con masse fino ad otto masse solari. Queste stelle sono però caratterizzate da forti instabilità e variabilità, poiché non si trovano ancora in una situazione di equilibrio idrostatico. Un fenomeno tipico della fase T Tauri sono gli oggetti di Herbig-Haro, caratteristiche nebulose a emissione originate dalla collisione tra i flussi molecolari in uscita dai poli stellari e il mezzo interstellare. Enigmatico è il meccanismo di formazione delle stelle massicce. Le stelle di classe B (≥9M☉), nel momento in cui al loro interno si innescano le reazioni nucleari, si trovano ancora nel pieno della fase di accrescimento, la quale sarebbe contrastata e frenata dalla radiazione prodotta dal giovane astro; tuttavia, come accade per le stelle meno massicce, sembra che si formino dei dischi associati a getti polari che permetterebbero all'accrescimento di proseguire. 5 Analogamente, per quanto riguarda le stelle di classe O (>15M☉), le reazioni subentrano durante la fase di accrescimento, la quale prosegue però grazie alla formazione di enormi strutture toroidali, fortemente instabili. Le stelle trascorrono circa il 90% della propria esistenza in una fase di stabilità durante la quale fondono l'idrogeno del proprio nucleo in elio a temperatura e pressione elevate; tale fase prende il nome di sequenza principale. In questa fase, ogni stella genera un vento di particelle cariche che provoca una continua fuoriuscita di materia nello spazio (che per gran parte delle stelle risulta irrisoria). Il Sole, ad esempio, perde, nel vento solare, 10−14 masse solari di materia all'anno, ma le stelle più massicce arrivano a perderne decisamente di più, sino a 10−7 - 10−5 masse solari all'anno; tale perdita può riflettersi in maniera sostanziale sull'evoluzione dell'astro. La durata della fase di sequenza principale dipende innanzi tutto dalla quantità di combustibile nucleare disponibile, quindi dalla velocità a cui esso è fuso; vale a dire, dalla massa iniziale e dalla luminosità della stella. La permanenza del Sole nella sequenza principale è stimata in circa 1010 anni. Le stelle più grandi consumano il proprio "carburante" piuttosto velocemente ed hanno una vita decisamente più breve (qualche decina o centinaio di milioni di anni); le stelle più piccole invece bruciano l'idrogeno del nucleo molto lentamente ed hanno un'esistenza molto più lunga (decine o centinaia di miliardi di anni). Oltre alla massa, un ruolo preminente nell'evoluzione dell'astro è rivestito dalla propria metallicità, che influenza la durata della sequenza principale, l'intensità del campo magnetico 11 e del vento stellare. Le vecchie stelle di popolazione II hanno una metallicità minore delle più giovani stelle di popolazione I, poiché le nubi molecolari da cui si sono formate queste ultime possedevano una maggiore quantità di metalli. La sequenza principale termina non appena l'idrogeno, contenuto nel nucleo della stella, è stato completamente convertito in elio dalla fusione nucleare; la successiva evoluzione della stella segue vie diverse a seconda della massa dell'oggetto celeste. Le stelle con masse comprese tra 0,08 e 0,4 masse solari, le nane rosse, si riscaldano mano a mano che l'idrogeno viene consumato al loro interno, accelerando la velocità delle reazioni nucleari e divenendo per breve tempo delle stelle azzurre; quando tutto l'idrogeno negli strati interni è stato convertito in elio, esse si contraggono gradualmente, diminuendo di luminosità ed evolvendo in nane bianche costituite prevalentemente da elio. Tuttavia, poiché la durata della sequenza principale per una stella di questo tipo è stata stimata sugli 80 miliardi - 1 bilione di anni e l'attuale età dell'universo si aggira sui 13,7 miliardi di anni, pare logico dedurne che nessuna nana rossa abbia ancora avuto il tempo di giungere al termine della sequenza principale. Le stelle la cui massa è compresa tra 0,8 ed 8 masse solari attraversano una fase di notevole instabilità alla fine della sequenza principale: il nucleo (core) subisce diversi collassi gravitazionali, incrementando la propria temperatura, mentre gli strati più esterni, in reazione al vasto surplus energetico che ricevono dal core in contrazione, 22 si espandono e si raffreddano, assumendo di conseguenza una colorazione via via sempre più tendente al rosso. 16 Ad un certo punto, l'energia sprigionata dal collasso gravitazionale permette allo strato di idrogeno immediatamente circostante il nucleo di raggiungere la temperatura di ignizione della fusione nucleare. A questo punto, la stella, dopo esser passata per la fase altamente instabile di subgigante, si trasforma in una fredda ma brillante gigante rossa con un nucleo inerte di elio e un guscio in cui prosegue la fusione dell'idrogeno e permane in questa fase per circa un miliardo di anni. Se la stella possiede una massa sufficiente (~ 1 M☉), una complessa serie di contrazioni e collassi gravitazionali provoca un forte innalzamento della temperatura nucleare sino ad oltre 100 milioni di kelvin, che segna il violento innesco (flash) della fusione dell'elio in carbonio e ossigeno tramite il processo tre alfa, mentre nel guscio immediatamente superiore continua il processo di fusione dell'idrogeno residuo in elio. La stella, raggiungendo questo stadio evolutivo, arriva ad un nuovo equilibrio e si contrae leggermente passando dal ramo delle giganti rosse al ramo orizzontale del diagramma H-R. Non appena l'elio è stato completamente esaurito all'interno del core, lo strato attiguo, che in precedenza ha fuso l'idrogeno in elio, inizia a fondere quest'ultimo in carbonio, mentre sopra di esso un altro strato continua a fondere parte dell'idrogeno restante in elio; la stella entra così nel ramo asintotico delle giganti (AGB, acronimo di Asymptotic Giant Branch). Gli strati più esterni di una gigante rossa o di una stella AGB possono estendersi per diverse centinaia di volte il diametro del Sole, arrivando ad avere raggi dell'ordine dei 108 km (alcune unità astronomiche), come nel caso di Mira (ο Ceti), una gigante del ramo asintotico con un raggio di 5 × 108 km (3 U.A.). Se la stella ha una massa sufficiente (non superiore ad 8-9 M☉ ), col tempo è possibile l'innesco anche della fusione di una parte del carbonio in ossigeno, neon e magnesio. Qualora la velocità delle reazioni nucleari subisca un rallentamento, la stella compensa questo deficit energetico contraendo le proprie dimensioni e riscaldando la propria superficie; a questo punto la stella attraversa una fase evolutivamente parallela a quella di gigante rossa, ma caratterizzata da una temperatura superficiale decisamente più elevata, che prende il nome di fase di gigante blu. 23 Quando termina il processo di fusione dell'idrogeno in elio ed inizia la conversione di quest'ultimo in carbonio, le stelle massicce (con massa superiore ad 8 M☉) si espandono raggiungendo lo stadio di supergigante rossa. Non appena si esaurisce anche la fusione dell'elio, i processi nucleari non si arrestano ma, complice una serie di successivi collassi del nucleo ed aumenti di temperatura e pressione, proseguono con la sintesi di altri elementi più pesanti: ossigeno, neon, silicio e zolfo. In tali stelle, poco prima della loro fine, può svolgersi in contemporanea la nucleosintesi di più elementi all'interno di un nucleo che appare stratificato; tale struttura è paragonata da molti astrofisici agli strati concentrici di una cipolla. In ciascun guscio avviene la fusione di un differente elemento: il più esterno fonde idrogeno in elio, quello immediatamente sotto fonde elio in carbonio e via dicendo, a temperature e pressioni sempre crescenti man mano che si procede verso il centro. Il collasso di ciascuno strato è sostanzialmente evitato dal calore e dalla pressione di radiazione dello strato sottostante, dove le reazioni procedono a un regime più intenso. Il prodotto finale della nucleosintesi è il nichel-56 (56Ni), risultato della fusione del silicio, che viene completata nel giro di pochi giorni. Il nichel-56 decade rapidamente in ferro-56 (56Fe). Poiché i nuclei del ferro possiedono un'energia di legame nettamente superiore a quella di qualunque altro elemento, la loro fusione, anziché essere un processo esotermico (che produce ed emette energia), è fortemente endotermica (cioè richiede e consuma energia). La supergigante rossa può anche attraversare uno stadio alternativo, che prende il nome di supergigante blu. Durante questa fase la fusione nucleare avviene in maniera più lenta; per via di tale rallentamento, l'astro si contrae e, poiché una grande quantità di energia viene emessa da una superficie fotosferica più piccola, la temperatura superficiale aumenta, donde il colore blu; l'astro tuttavia, prima di raggiungere questo stadio, passa per la fase di supergigante gialla, caratterizzata da una temperatura e da dimensioni intermedie rispetto alle due fasi. Una supergigante rossa può in qualunque momento, a patto che rallentino le reazioni nucleari, trasformarsi in una supergigante blu. Nelle stelle più massicce, ormai in una fase evolutiva avanzata, un grande nucleo di ferro inerte si deposita al centro dell'astro; in tali oggetti gli elementi più pesanti, spinti da moti convettivi, possono affiorare in superficie, formando degli oggetti molto evoluti noti come stelle di Wolf-Rayet, caratterizzate da forti venti stellari che provocano una consistente perdita di massa. 32 Quando una stella è prossima alla fine della propria esistenza, la pressione di radiazione del nucleo non è più in grado di contrastare la gravità degli strati più esterni dell'astro. Di conseguenza il nucleo va incontro ad un collasso, mentre gli strati più esterni vengono espulsi in maniera più o meno violenta; ciò che resta è un oggetto estremamente denso: una stella compatta, costituita da materia in uno stato altamente degenere. In seguito ai progressivi collassi e riscaldamenti susseguitisi durante le fasi sopra descritte, il nucleo della stella assume una configurazione degenere: 34 si forma in questo modo la nana bianca, un oggetto dalle dimensioni piuttosto piccole (paragonabili all'incirca a quelle della Terra) con una massa minore o uguale al limite di Chandrasekhar (1,44 masse solari). Quando nel nucleo cessa completamente la fusione del combustibile nucleare, la stella può seguire due diverse vie a seconda della massa. Se ha una massa compresa tra 0,08 e 0,5 masse solari, la stella morente dà luogo ad una nana bianca di elio senza alcuna fase intermedia, espellendo gli strati esterni sotto forma di vento stellare. Se invece la sua massa è compresa tra 0,5 ed 8 masse solari, si generano delle violente pulsazioni termiche all'interno dell'astro che causano l'espulsione dei suoi strati più esterni in una sorta di "supervento" che assorbe la radiazione ultravioletta emessa a seguito dell'alta temperatura degli strati interni dell'astro. Tale radiazione viene poi riemessa sotto forma di luce visibile dall'involucro dei gas, i quali vanno a costituire una nebulosità in espansione, la nebulosa protoplanetaria prima e planetaria poi, al cui centro rimane il cosiddetto nucleo della nebulosa planetaria (PNN, dall'inglese Planetary Nebula Nucleus), che diverrà poi la nana bianca. Una nana bianca appena formata ha una temperatura molto elevata, pari a circa 100-200 milioni di K, che diminuisce in funzione degli scambi termici con lo spazio circostante, finché l'oggetto non raggiunge lo stadio ultimo di nana nera. 37 Si tratta però di un modello teorico, poiché sino ad ora non è stata ancora osservata alcuna nana nera; perciò gli astronomi ritengono che il tempo previsto perché una nana bianca si raffreddi del tutto sia di gran lunga superiore all'attuale età dell'Universo. 34 Nelle stelle con masse superiori ad 8 masse solari, la fusione nucleare continua finché il nucleo non raggiunge una massa superiore al Limite di Chandrasekhar. Oltrepassato quest'ultimo, il nucleo non riesce più a tollerare la sua stessa massa e va incontro ad un improvviso e irreversibile collasso. Gli elettroni urtano contro i protoni dando origine a neutroni e neutrini assieme ad un forte decadimento beta ed a fenomeni di cattura elettronica. L'onda d'urto generata da questo improvviso collasso provoca la catastrofica esplosione della stella in una brillantissima supernova di tipo II o di tipo Ib o Ic, se si trattava di una stella particolarmente massiccia. Le supernovae hanno una luminosità tale da superare, anche se per breve tempo, la luminosità complessiva dell'intera galassia che le ospita. Le supernovae esplose in epoca storica nella Via Lattea furono osservate ad occhio nudo dagli uomini, che le ritenevano erroneamente delle "nuove stelle" (donde il termine nova, utilizzato inizialmente per designarle) che comparivano in regioni del cielo dove prima non sembravano essercene. L'energia liberata nell'esplosione è talmente elevata da consentire la fusione dei prodotti della nucleosintesi stellare in elementi ancora più pesanti, quali oro, magnesio ecc; questo fenomeno è detto nucleosintesi delle supernovae. L'esplosione della supernova diffonde nello spazio la gran parte della materia che costituiva la stella; tale materia forma il cosiddetto resto di supernova, mentre il nucleo residuo sopravvive in uno stato altamente degenere. Se la massa del residuo è compresa tra 1,4 e 3,8 masse solari, esso collassa in una stella di neutroni (che talvolta si manifesta come pulsar), che si configura stabile poiché il collasso gravitazionale, cui andrebbe naturalmente incontro, è contrastato dalla pressione del neutronio, la particolare materia degenere di cui tali oggetti sono costituiti. Tali oggetti hanno una densità elevatissima (circa 1017 kg/m3) e sono costituiti da neutroni, con una certa percentuale di materia esotica, principalmente materia di quark, presente probabilmente nel suo nucleo. Nel caso in cui la stella originaria sia talmente massiccia che il nucleo residuo mantiene una massa superiore a 3,8 masse solari (limite di Tolman-Oppenheimer-Volkoff), nessuna forza è in grado di contrastare il collasso gravitazionale ed il nucleo collassa fino a raggiungere dimensioni inferiori al raggio di Schwarzschild: si origina così un buco nero stellare. La materia costituente il buco nero si trova in un particolare stato, altamente degenere, che i fisici non sono ancora riusciti ad esplicare. Gli strati esterni della stella espulsi nella supernova contengono una grande quantità di elementi pesanti che possono essere reimpiegati in nuovi processi di formazione stellare; tali elementi possono anche permettere la formazione di sistemi extrasolari, che possono contenere, eventualmente, anche dei pianeti di tipo roccioso. Le esplosioni delle supernovae ed i venti delle stelle massicce svolgono un ruolo di primo piano nel plasmare le strutture del mezzo interstellare. La distinzione tra stelle nane e stelle giganti è una distinzione effettuata sulla base della loro classificazione spettrale, non sulla base delle loro dimensioni fisiche. Le stelle nane sono caratterizzate da una densità più elevata. Questa differenza si traduce nella maggiore larghezza delle righe del loro spettro e quindi in una classe di luminosità più bassa. Maggiore è la densità, maggiore è la larghezza delle righe. In ordine di densità decrescente e di luminosità crescente distinguiamo le seguenti classi di luminosità:
- Subnane: classe di luminosità VI;
- Nane: classe di luminosità V;
- Subgiganti: classe di luminosità IV;
- Giganti: classe di luminosità III;
- Giganti brillanti: classe di luminosità II;
- Supergiganti: classe di luminosità I.
Le nane rosse, le nane arancioni e le nane gialle sono effettivamente più piccole e deboli delle stelle giganti dei rispettivi colori perché hanno una superficie radiante proporzionalmente più piccola. Tuttavia per le stelle più massicce, di colore bianco, azzurro e blu, la differenza di taglia e di brillantezza fra le "nane" di sequenza principale e le "giganti" diventa sempre più piccola, finché per le stelle più calde diviene non più osservabile direttamente. Infine, le nane bianche non rientrano nella classificazione spettrale su data, pur essendo a volte classificate con classe di luminosità VII, perché così come le stelle di neutroni non sono classificabili come stelle, cioè come oggetti il cui equilibrio idrostatico è sorretto da una adeguata produzione di energia nucleare nelle regioni interne. Questo tipo di oggetti sono sorretti dalla elevatissima degenerazione del gas che le compone, non possono in nessun modo ospitare fenomeni di fusione nucleare. Sia le nane bianche che le stelle a neutroni appartengono alla classe di sorgenti note come oggetti compatti e rappresentano i resti di una porzione più o meno ampia del nucleo dei loro progenitori stellari.