La definizione di pianeta

Esiste una definizione precisa per indicare i pianeti; tale definizione è cambiata nel tempo, riflettendo il pensiero scientifico prevalente nelle varie epoche. Seguici su Eagle sera per saperne di più. 


La definizione di pianeta

Il 24 agosto 2006, al termine dell'Assemblea Generale di Praga dell'Unione Astronomica Internazionale (International Astronomy Union, o IAU), venne approvato il testo completo della definizione di pianeta del Sistema solare, che individua tre categorie di oggetti: pianeti, pianeti nani e piccoli oggetti del sistema solare. Alla definizione di pianeta corrisponono Mercurio, Venere, la Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano e Nettuno; a quella di pianeta nano corrispondono oggetti come Plutone, Cerere, Haumea, Makemake ed Eris. Storicamente, il concetto di pianeta è mutato con il progredire delle conoscenze scientifiche. Come rivela l'etimologia del termine (che in greco significa "vagabondo"), nell'antichità venivano considerati "pianeti" tutti gli astri che si spostano nel cielo notturno rispetto allo sfondo delle stelle fisse: la Luna, il Sole, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno. Erano escluse le comete che, pur muovendosi, erano considerate fenomeni atmosferici. Con l'introduzione del modello eliocentrico, la Terra fu classificata tra i pianeti, mentre il Sole e la Luna ne furono chiaramente distinti. Il successivo sviluppo delle tecniche osservative con l'introduzione del telescopio permise la scoperta di Urano, Nettuno e Plutone, i quali furono subito inseriti nell'elenco dei pianeti del Sistema solare. Successive osservazioni evidenziarono le anomalie di Plutone rispetto agli altri pianeti: un'orbita di significativamente eccentrica, inclinata rispetto al piano dell'eclittica, e una massa pari a un quinto di quella della Luna. Era già accaduto che oggetti ritenuti pianeti al momento della scoperta fossero poi riclassificati, dopo lo studio dello loro caratteristiche. Negli ultimi anni del XX secolo nacque una discussione sull'opportunità di riclassificare Plutone tra gli asteroidi, resa sempre più concreta dalla scoperta di numerosi altri oggetti orbitanti oltre l'orbita di Nettuno. La necessità di una decisione fu dettata dall'individuazione di Eris, più massiccio di Plutone. Riconoscere Eris come il decimo pianeta avrebbe richiesto implicitamente una definizione di pianeta che assumesse le dimensioni di Plutone come arbitrario limite inferiore. In una serie di riunioni iniziata nel 2005, l'Unione Astronomica Internazionale cercò di individuare, alla luce delle conoscenze scientifiche, i requisiti che caratterizzano un pianeta. Tali caratteristiche vennero individuate nell'equilibrio idrostatico e nella dominanza orbitale, oltre che nel fatto di orbitare attorno al Sole. La pubblicazione della nuova definizione suscitò proteste. Alcuni proposero di mantenere Plutone tra i pianeti e di aumentare, piuttosto che ridurre, il numero dei pianeti, applicando eventualmente una distinzione tra pianeti principali (gravitazionalmente dominanti) e altri pianeti. La conoscenza dei pianeti è stata acquisita nella Preistoria ed è un elemento comune alla maggior parte delle civiltà. Il termine "pianeta" è invece di origine greca. I Greci credevano che la Terra fosse ferma al centro dell'universo, in accordo con il modello geocentrico, e che gli oggetti nel cielo e il cielo stesso ruotassero intorno ad essa. Gli astronomi greci utilizzavano la locuzione πλάνητες ἀστέρες plànētes astéres, stelle vagabonde, per descrivere gli oggetti del cielo che si muovevano nel corso dell'anno, in contrasto con gli ἀπλανεῖς ἀστέρες aplanêis astéres, le "stelle fisse", che sembrano immobili nelle loro posizioni relative sulla sfera celeste. La cosmologia greco-romana riconosceva l'esistenza di sette pianeti: la Luna, Venere, Mercurio, il Sole, Marte, Giove e Saturno; alcuni studiosi ritengono che gli astronomi antichi operassero una distinzione tra il Sole e la Luna e gli altri cinque pianeti di aspetto stellare, come riporta il naturalista tedesco Alexander von Humboldt: «Dei sette corpi celesti che, per la continua variazione delle loro posizioni relative e delle loro distanze, dalla più remota antichità sono sempre stati distinti dalla sfera delle stelle fisse, che ad ogni aspetto sensibile conservano immutate le posizioni relative e le distanze, solo cinque - Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno - hanno un aspetto stellare - cinque stellas errantes - mentre il Sole e la Luna, per la dimensione dei loro dischi, la loro importanza per l'uomo ed il posto loro assegnato nei sistemi mitologici, furono classificati separatamente.» (Alexander von Humboldt, Cosmos, 1845-1862)  Nel Timeo, scritto intorno al 360 a.C., Platone menziona «il sole, e la luna, e cinque altri astri che s'addomandano pianeti». Aristotele fa una distinzione simile nel De caelo (Sul cielo): «I movimenti del sole e della luna sono inferiori a quelli di alcuni dei pianeti». Nel 350 a.C. Arato nei Phenomena tradusse in versi un trattato di astronomia di Eudosso di Cnido e descrisse «quelle cinque altre sfere, che si mescolano [alle costellazioni] e ruotano vagando su ogni lato delle dodici figure dello Zodiaco». Nell'Almagesto, scritto nel II secolo d.C., Tolomeo fa riferimento «al Sole, alla Luna ed a cinque pianeti». Igino nel De astronomia menziona «le cinque stelle che molti hanno chiamato vaganti e che i Greci chiamano Planeta». Marco Manilio, che visse sotto gli imperatori Augusto e Tiberio, nell'Astronomica, considerato uno dei testi principali dell'astrologia moderna, dice: «Ora il dodecatemorio è diviso in cinque parti, perché tante sono le stelle chiamate vaganti che con il loro luminoso transito brillano in cielo». Sette pianeti sono presenti in Cicerone, Somnium Scipionis, scritto intorno al 53 a.C., in cui lo spirito di Scipione l'Africano proclama: «Sette di queste sfere contengono i pianeti, un pianeta in ogni sfera, che si muovono nella direzione contraria rispetto al moto del cielo». Plinio il Vecchio nel trattato Naturalis historia, scritto tra il 23 ed il 79 a.C., fa riferimento alle «sette stelle, che a causa del loro moto chiamiamo pianeti, poiché ogni stella cammina meno di quanto esse facciano». Il poeta greco Nonno di Panopoli, che visse probabilmente attorno alla prima metà del V secolo, dice in Dionysiaca: «Ho oracoli di storia su sette tavole, e le tavole recano i nomi dei sette pianeti». Gli scrittori medievali e rinascimentali generalmente accettavano l'idea che esistano sette pianeti. Il manuale medievale di introduzione all'astronomia, il De Sphaera di Giovanni Sacrobosco, includeva il Sole e la Luna tra i pianeti, mentre il più avanzato Theorica planetarum presentava la «teoria dei sette pianeti» e le istruzioni alle Tavole alfonsine insegnavano come «trovare per mezzo delle tavole i moti principali del Sole, della Luna e degli altri pianeti». Nel XIV secolo, il poeta inglese John Gower nelle Confessio Amantis si riferisce al Sole e alla Luna come a pianeti. Anche Dante nel Paradiso si riferisce al Sole e alla Luna come a dei pianeti, riprendendo la concezione aristotelica. Anche Niccolò Copernico, che portò all'affermazione della teoria eliocentrica, fu ambivalente riguardo al fatto che Sole e Luna fossero pianeti. Nel De revolutionibus orbium coelestium, Copernico chiaramente separa «il sole, la luna, i pianeti e le stelle»; tuttavia nella dedica a papa Paolo III, fa riferimento al «moto del sole e della luna... e degli altri cinque pianeti». Il modello eliocentrico proposto da Copernico determinò una rivoluzione concettuale nella comprensione dei pianeti: la Terra fu classificata tra i pianeti, mentre il Sole e la Luna ne furono chiaramente distinti. Thomas Kuhn, storico della scienza, ha scritto: «I copernicani che negavano al Sole il titolo tradizionale di "pianeta" [...] stavano cambiando il significato di "pianeta" in un modo che avrebbe permesso utili distinzioni, in un mondo in cui tutti i corpi celesti [...] sarebbero stati visti diversmente da come erano stati visti fino ad allora. [...] Guardando la Luna, un copernicano [...] dice: "una volta credevo che la luna fosse (o vedevo la luna come) un pianeta, ma ero in errore".» (Thomas Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, 1962) Si potrebbe dire, quindi, che la Terra fu il primo pianeta dell'Era moderna. Copernico nel De Revolutionibus fa riferimento alla Terra come a un pianeta in modo obliquo;[30] Galileo, invece, nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, introduce la questione nella discussione tra i suoi personaggi.  Nel 1781 l'astronomo William Herschel, scrutando il cielo nel tentativo di scorgere fenomeni di parallasse stellare, individuò una "cometa" nella costellazione del Toro. A differenza delle stelle, che rimangono puntiformi anche se osservate con telescopi di elevata potenza, quell'oggetto aveva dimensioni che aumentavano proporzionalmente alla magnificazione ottica impiegata. A Herschel non venne l'idea che potesse trattarsi di un pianeta. Tuttavia, differentemente dalle altre comete, questo oggetto seguiva un'orbita quasi circolare che giaceva su un piano assai prossimo al piano dell'eclittica. Prima di annunciare la scoperta della propria "cometa", Herschel ricevette una lettera di Nevil Maskelyne, direttore dell'Osservatorio Reale di Greenwich, che gli scrisse: «Non so come chiamarlo. È altrettanto probabile che sia un pianeta regolare in orbita quasi circolare intorno al Sole, quanto che sia una cometa in moto su un'orbita ellittica con elevata eccentricità. Non ho ancora visto alcuna chioma o coda associata a esso». La "cometa" era inoltre troppo lontana per poter essere risolta. L'oggetto fu infine riconosciuto come il settimo pianeta e denominato Urano. Le irregolarità osservate nell'orbita di Urano portarono alla scoperta di Nettuno nel1846. Presunte irregolarità nell'orbita di Nettuno portarono poi alla ricerca del nono pianeta, ricerca che nel 1930 permise di localizzare Plutone. Inizialmente si credette che Plutone avesse una massa pari all'incirca a quella della Terra, ma successive osservazioni permisero di misurarne un valore molto inferiore, insufficiente per influenzare l'orbita di Nettuno. Nel 1989, la sonda Voyager 2 determinò che tali irregolarità erano dovute a una sovrastima della massa di Nettuno. Finché Copernico non pose la Terra tra i pianeti in orbita intorno al Sole e non riconobbe che la Luna orbita intorno alla Terra, il concetto di satellite non aveva senso. Solo oggi possiamo dire che la Luna fu il primo satellite naturale a essere scoperto. Con la scoperta dei Satelliti medicei di Giove nel 1610, Galileo Galilei fornì nuovi argomenti a sostegno del modello avanzato da Copernico: se un altro pianeta aveva dei satelliti, allora nulla vietava che anche la Terra ne avesse. Permaneva comunque una certa confusione sui termini da adottare per descrivere i nuovi oggetti scoperti; Galileo stesso si riferì a essi chiamandoli "stelle" e "pianeti" (nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo). Similmente, nel 1655 Christiaan Huygens utilizzò diversi termini per descrivere Titano (da lui scoperto), tra cui: "pianeta", "stella", "Luna" e il più moderno "satellite". Giovanni Cassini, annunciando la scoperta delle lune di Saturno Giapeto e Rea, rispettivamente nel 1671 e nel 1672, le descrisse come Nouvelles Planetes autour de Saturne ("Nuovi pianeti intorno a Saturno"). Tuttavia, quando il Journal de Scavans riportò la notizia nel 1686 si riferì a esse strettamente con il termine "satellite". Quando William Herschel annunciò la scoperta di due oggetti in orbita intorno ad Urano nel 1787 si riferì a essi chiamandoli sia "satelliti" sia "pianeti secondari", mentre tutti i seguenti annunci di scoperte di nuovi satelliti naturali utilizzarono esclusivamente il termine "satellite". Ciononostante, sul libro "Illustrated Astronomy" del 1868 Asa Smith si riferisce ai satelliti chiamandoli "pianeti secondari". Uno dei risultati inattesi della scoperta di Urano fu che essa sembrò convalidare la legge di Bode, una formula empirica che descrive con buona approssimazione i semiassi maggiori delle orbite dei pianeti del Sistema solare, che fino ad allora era stata considerata dagli astronomi come una coincidenza senza significato. Tuttavia Urano era stato scoperto quasi alla distanza esatta predetta dalla legge. Poiché la legge di Bode prevedeva che esistesse un pianeta tra Marte e Giove che non era stato mai osservato, numerosi astronomi rivolsero la loro attenzione a quella regione nella speranza di poter individuare l'oggetto mancante. Nel 1801, l'astronomo italiano Giuseppe Piazzi scoprì un minuscolo nuovo mondo, Cerere, proprio alla distanza giusta dal Sole per soddisfare la legge di Bode e l'oggetto fu classificato tra i pianeti. Nel 1802 Heinrich Olbers scoprì Pallade, un secondo "pianeta" a quasi la medesima distanza dal Sole di Cerere. Che due pianeti potessero occupare la stessa orbita era un affronto a secoli di pensiero; anche William Shakespeare aveva ridicolizzato l'idea («Due stelle non conservano il loro moto in una sfera»). Nel 1804 e nel 1807, altri due oggetti, Giunone e Vesta rispettivamente, furono scoperti su distanze orbitali simili alle precedenti. Herschel suggerì che questi quattro mondi non fossero classificati tra i pianeti, ma seguissero una loro classificazione e suggerì il termine "asteroide", ovvero "di aspetto stellare", riferendosi al fatto che sono oggetti troppo piccoli perché possa essere risolto il loro disco e, di conseguenza, osservati con un telescopio appaiono come le stelle. La maggior parte degli astronomi, comunque, preferì continuare ad utilizzare il termine pianeta, concezione che fu radicata anche dal fatto che quei quattro asteroidi rimasero gli unici conosciuti fino al 1845 per la difficoltà di distinguere gli asteroidi dalle stelle ancora non cartografate. I libri di testo scientifici nel 1828, dopo la morte di Herschel, ancora numeravano gli asteroidi tra i pianeti. La scoperta di nuovi asteroidi riprese grazie a carte stellari più precise e nel 1845 e nel 1847 due nuovi asteroidi furono individuati da Karl Ludwig Hencke. Nel 1851 il numero degli asteroidi era salito a 15 e veniva adottato un nuovo metodo di classificazione, ponendo un numero a precedere il nome seguendo l'ordine di scoperta. Di fatto, gli asteroidi erano stati distinti dai pianeti. Negli anni sessanta dell'Ottocento, il numero degli asteroidi conosciuti aveva superato le cento unità e diversi osservatori in Europa e negli Stati Uniti iniziarono a riferirsi loro collettivamente come a "pianeti minori", sebbene ci volle più tempo perché anche i primi quattro asteroidi scoperti fossero raggruppati in questa categoria. Il percorso travagliato seguito da Cerere è rispecchiato nella storia di Plutone, che fu classificato tra i pianeti subito dopo la sua scoperta da parte di Clyde Tombaugh nel 1930. Urano e Nettuno furono dichiarati pianeti per le loro orbite circolari, gli elevati valori della massa e la prossimità al piano dell'eclittica; nessuna di queste caratteristiche è condivisa anche da Plutone: un minuscolo mondo ghiacciato in una regione di giganti gassosi, con un'orbita che lo porta ad elevarsi alto sul piano dell'eclittica ed a entrare in quella di Nettuno. Nel 1978, gli astronomi scoprirono la sua luna più grande, Caronte, e ciò permise loro di determinare la massa del pianeta, trovando un valore molto inferiore alle aspettative, pari ad un sesto della massa della Luna. Tuttavia Plutone rimaneva, per quanto chiunque potesse dire, unico. Nel 1992, diversi astronomi hanno iniziato ad individuare un gran numero di corpi ghiacciati oltre l'orbita di Nettuno, simili per composizione e dimensioni a Plutone, scoprendo la Fascia di Edgeworth-Kuiper, la cui esistenza era stata suggerita nella prima metà del XX secolo come la zona di origine delle comete a corto periodo. L'orbita di Plutone giace all'interno di questa fascia e così il suo status planetario fu posto in discussione. Il precedente di Cerere, che aveva dimostrato che un oggetto può essere riclassificato perché condivide la sua orbita con altri corpi di analoghe dimensioni, induceva molti a sostenere che anche Plutone dovesse essere riclassificato tra gli asteroidi. Mike Brown del California Institute of Technology propose di ridefinire "pianeta" «ogni oggetto del Sistema solare che ha una massa superiore alla somma della massa di tutti gli altri oggetti che occupano un'orbita simile». Quegli oggetti che non avrebbero rispettato questo vincolo, sarebbero diventati pianeti minori. Nel 1999, Brian Marsden del Minor Planet Center dell'Harvard University propose di assegnare a Plutone il numero 10000 (nell'elenco degli asteroidi) mantenendo tuttavia la posizione di pianeta. La prospettiva che Plutone potesse essere rimosso dalla lista dei pianeti generò un'ondata di protesta a cui l'Unione Astronomica Internazionale rispose chiarendo che al momento tale possibilità non veniva considerata. Tuttavia, la scoperta di diversi altri oggetti transnettuniani prossimi alle dimensioni di Plutone, come Quaoar e Sedna, erose ulteriormente le argomentazioni a favore dell'eccezionalità di Plutone rispetto agli altri oggetti appartenenti alla popolazione trans-nettuniana. Il 29 luglio 2005, infine, Mike Brown ed il suo gruppo di ricerca annunciarono la scoperta, poi confermata, di un oggetto transnettuniano più grande di Plutone, chiamato Eris. Nel periodo immediatamente seguente tale scoperta, si sviluppò una estesa discussione sull'opportunità di classificarlo come il "decimo pianeta". Anche la NASA rilasciò un comunicato in cui lo descriveva come tale. Tuttavia, riconoscere Eris come il decimo pianeta richiedeva implicitamente di accogliere una definizione di pianeta che avrebbe assunto le dimensioni di Plutone quale arbitrario limite inferiore. Molti astronomi, affermando che la definizione di pianeta avesse un'importanza scientifica ridotta e che piuttosto derivasse principalmente da considerazioni storiche e culturali, avrebbero invece preferito conservare Plutone tra i pianeti. Nell'ottobre del 2005, un gruppo di 19 membri dell'Unione Astronomica Internazionale (International Astronomy Union o IAU), presieduto dall'astronomo britannico Iwan Williams, e che lavorava sul tema già dalla scoperta di Sedna nel 2003, definì i tre criteri principali che potevano essere alla base della nuova definizione, e li mise ai voti con il sistema del voto per approvazione.

  • Criterio culturale: un pianeta è ciò che abbastanza gente riconosce come tale.

Questa definizione implicava il mantenimento dei nove pianeti conosciuti, tuttavia permetteva anche la definizione di Eris come decimo pianeta, considerando che era più grande di Plutone. Questa opzione ricevette 11 voti favorevoli.

  • Criterio strutturale: un pianeta è un corpo grande abbastanza da presentare una forma quasi sferica.

Questa definizione legava lo status di pianeta alla presenza di una forza di gravità tale da far sì che la forma della superficie fosse modellata dall'equilibrio idrostatico: al gruppo dei pianeti in tal caso si sarebbero aggiunti almeno Eris e Cerere. Questa opzione ricevette 8 voti favorevoli.

  • Criterio dinamico: un pianeta è un corpo grande abbastanza da imporre ad altri corpi minori di abbandonare la propria orbita.

Questo criterio legava lo status di pianeta al concetto di dominanza orbitale, introdotto da Alan Stern e Harold Levison nel 2000: i pianeti si sarebbero ridotti ad otto, con l'esclusione di Plutone ed Eris. Questa opzione ricevette sei voti favorevoli. Constatata la mancanza di un chiaro consenso, il comitato decise di sottoporre i tre criteri ad un voto più ampio, nell'ambito della XXVI Assemblea Generale dell'Unione Astronomica Internazionale, che si sarebbe tenuta tra il 14 e il 25 agosto del 2006, a Praga. Inoltre fu formato un altro comitato, presieduto da Owen Gingerich, storico e astronomo emerito all'Università di Harvard e costituito da cinque scienziati più la divulgatrice scientifica Dava Sobel. Il dibattito, anche fuori dell'ambito scientifico, vide sorgere spontaneamente due schieramenti opposti: coloro che nell'ambito della nuova definizione avrebbero voluto difendere lo status di Plutone, e coloro che ne accettavano il "declassamento". All'assemblea generale la prima bozza di proposta fu presentata il 18 agosto dal gruppo di lavoro istituito dall'UAI; era largamente basata sul secondo criterio individuato e proponeva di considerare come pianeta qualunque corpo con una forza di gravità tale da fargli raggiungere la forma di equilibrio idrostatico (ovvero quasi sferica). Secondo la definizione sarebbero stati aggiunti Eris e Cerere alla lista dei pianeti, più Caronte, considerando il suo sistema come un sistema doppio. Fu inoltre individuata una lista di 12 potenziali oggetti candidabili come pianeti, qualora si fosse dimostrata una forma modellata dall'equilibrio idrostatico. Tuttavia, secondo Mike Brown almeno 53 corpi del sistema solare, se non oltre 200, sarebbero potuti rientrare pienamente in tale definizione.[61] Data l'opposizione di numerosi astronomi a tale risoluzione, l'astronomo uruguayano Julio Ángel Fernández avanzò una proposta alternativa, in cui si creava una classificazione intermedia per quegli oggetti sufficientemente grandi da aver assunto una forma sferica, ma non abbastanza da aver ripulito la propria fascia orbitale dalla maggior parte dei planetesimi che vi avevano orbitato dalla formazione del Sistema solare a oggi. Escludendo Caronte dalla lista, la nuova proposta assegnava Plutone, Cerere ed Eris alla nuova categoria.[62] Il voto finale si ebbe il 24 agosto e vi presero parte 424 astronomi presenti all'assemblea, con approvazione a larga maggioranza. La definizione ridefinì la classificazione di pianeta, creando inoltre la nuova classe dei pianeti nani, in cui veniva, tra l'altro "declassato" Plutone.


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