Un ipercubo (cubo a quattro dimensioni: secondo i fisici il tempo è la quarta dimensione)

Il tempo: un grande mistero

Sappiamo che nell'astronomia e nella cosmologia vi sono numerosi concetti estranei alla nostra quotidianità: è difficile -forse impossibile- immaginare quanto siano lontane le altre galassie, quanto sia caldo il nucleo di una stella o quanto sia potente il campo magnetico di una magnetar. Oggi, però, affronteremo un argomento che, pur sembrando scontato, mette in dubbio le più elementari intuizioni: il tempo. Quando parliamo di tempo immaginiamo subito una retta dove noi, così come tutto ciò che esiste, possiamo muoverci in una sola direzione. Ma forse queste intuizioni, così scontate, così ovvie, sono totalmente errate: il tempo è qualcosa di molto più complesso. Se volete saperne di più, seguiteci su Eagle sera!



Tempo: cos'è

Il tempo è l'ipotetica dimensione nella quale si concepirebbe e si misurerebbe il trascorrere degli eventi. La complessità del concetto è da sempre oggetto di studi e riflessioni filosofiche e scientifiche. Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche accettate da oltre un secolo, il tempo è solo apparente ma non esiste nella realtà fondamentale, anche se per l'uomo è stato da sempre una verità fondamentale. Dalla nascita dell'universo, presumibilmente e secondo la conoscenza umana, emergerebbe l'esperienza umana conosciuta come "il trascorrere del tempo". Sono i fenomeni, i cambiamenti materiali e spaziali dell'esperienza umana, ma non della fisica dove non è possibile sequenziare gli eventi in assoluto ma solo localmente, che determinano apparentemente secondo l'osservazione umana, il corso degli eventi in apparente successione. Tutto ciò che si muove nello spazio localmente e/o si trasforma è descritto dalla mente umana a livello temporale. Alcuni esempi tra i più immediati dell'apparente correlazione tra tempo e moto sono la rotazione della Terra attorno al proprio asse, che determina ad esempio nell'uomo la distinzione tra il giorno e la notte, e il suo percorso di rivoluzione su un'orbita ellittica intorno al Sole, che determina le variazioni stagionali e la durata dell'anno, "solare" per l'appunto predicibile dall'uomo. Il dato dell'esperienza umana è che tutto ciò che interessa i nostri sensi sia ciò che appare come energia o materia, ovvero, le loro trasformazioni. La materia, come più intuibile riferimento, "è", e (contestualmente) "diviene" (ossia assume altra forma). L'ovvietà di questa asserzione non tragga in inganno: essa sottende una contraddizione, perché l'essere di un oggetto è certificato dalla sua identità (nel tempo), ovvero dal suo permanente esistere; il divenire, invece, presuppone la trasformazione, ovvero la diversità (della forma), per cui impone un "prima" e un "dopo", vale a dire un (intervallo di) "tempo" che scientificamente invece è senza spiegazione. In filosofia occidentale il tempo trae origine dalla trasformazione. La percezione umana del "tempo" è la proiezione che la coscienza costruisce in modo che la realtà di cui siamo parte si sarebbe materialmente modificata. Se una persona osserva una formica che si muove, la diversità delle posizioni assunte, o se un uomo presta attenzione al susseguirsi dei pensieri di un individuo o ai battiti del suo cuore, fatti fisiologici, e in ultima analisi, fisici, ciò appare ad una mente umana che è trascorso un "intervallo di tempo", tempo che però presuppone una logica circolare poiché la sua spiegazione è anche la sua definizione. Si evidenzia "intervallo", apparente in una cornice temporale, a significare che il tempo è apparentemente una "durata" (unico sinonimo di tempo), e come tale ha un inizio e una fine come assioma ma senza alcuna dimostrazione. Molto di ciò che riguarda la percezione del tempo sembra dipendere dalla mente: il passato è un ricordo, derivato dalla memoria del vissuto; il presente una comprensione, una lettura del reale secondo il "linguaggio dei valori" adottato dal soggetto al momento della percezione; il futuro una previsione, una proiezione dei costrutti intellettuali, sia razionali sia passionali, da cui spesso ci si lascia guidare, mentre scientificamente tutto il tempo esiste simultaneamente e continuamente senza distinzione tra passato e futuro, mentre il presente formalmente non esisterebbe in quanto ogni atto necessita di una latenza come minimo del lasso della velocità-luce. Eventi distinti tra loro possono essere apparentemente simultanei oppure apparire distanziarsi in proporzione a un certo numero di cicli di un determinato fenomeno soggettivo e locale, per cui sembrerebbe possibile quantificare in che misura un certo evento avvenga dopo un altro, ma in realtà ciò è fisicamente impossibile, l'istante è indefinibile, la simultaneità è solo apparente e gli eventi accadono in ordine diverso per osservatori differenti. Il tempo misurabile, solo localmente nella stessa cornice temporale, che separa i due eventi corrisponde all'ammontare dei cicli intercorsi in una data cornice temporale, ma per altri osservatori l'ordine degli eventi potrebbe avere diversi cicli temporali o anche essere invertito. Convenzionalmente tali cicli si considerano, per definizione, periodici entro un limite di errore sperimentale e solo localmente. Tale errore sarà percentualmente più piccolo quanto più preciso sarà lo strumento (orologio) che compie la misura e relativa alla posizione vicino ad una massa in cui è posizionato e relativamente alla sua velocità, accelerazione e direzione. Nel corso della storia dell'uomo gli orologi sono passati dalla scala astronomica (moti del Sole, della Terra) a quella quantistica (orologi atomici) raggiungendo progressivamente precisioni crescenti fino a evidenziare che il tempo scorre differentemente sulla terra anche a poca distanza di altezza. Uno dei modi di definire il concetto di dopo è basato sull'assunzione della causalità apparente all'esperienza umana. Il lavoro compiuto dall'umanità per incrementare la comprensione della natura apparente del tempo e della misurazione relativa del tempo, con la creazione e il miglioramento dei calendari e degli orologi, è stato uno dei principali motori della scoperta scientifica che nell'ultimo secolo ha portato alla soppressione del concetto di tempo universale e fondamentale.

Misurazione del tempo

L'unità di misura standard del Sistema Internazionale è il secondo. In base a esso sono definite misure più ampie come il minuto, l'ora, il giorno, la settimana, il mese, l'anno, il lustro, il decennio, il secolo e il millennio. Il tempo può essere misurato, esattamente come le altre dimensioni fisiche. Gli strumenti per la misurazione del tempo sono chiamati orologi. Gli orologi molto accurati vengono detti cronometri. I migliori orologi disponibili sono gli orologi atomici. Esistono svariate scale temporali continue di utilizzo corrente: il tempo universale, il tempo atomico internazionale (TAI), che è la base per le altre scale, il tempo coordinato universale (UTC), che è lo standard per l'orario civile, il tempo terrestre (TT), ecc. L'umanità ha inventato i calendari per tenere traccia del passaggio di giorni, settimane, mesi e anni. Nel linguaggio di tutti i giorni spesso si usa il tempo come misuratore di distanze, per indicare la durata di un percorso (come ad esempio: "mezz'ora d'automobile", "un giorno di viaggio", "10 minuti di cammino"). Dato che la velocità è uguale a spazio percorso diviso l'intervallo di tempo impiegato a percorrere quello spazio, si può fare un'inferenza implicita sulla velocità media tenuta dal corpo in movimento. Si valorizza così in modo approssimato la distanza a livello temporale, in relazione al fatto che lo spazio percorso può essere espresso come la velocità media (all'incirca nota), moltiplicata per l'intervallo di tempo interessato. Tecnicamente, però, espressioni come "un anno luce" non esprimono un intervallo di tempo, ma una distanza avendone nota la velocità: infatti più precisamente l'anno luce si può esprimere come "la distanza percorsa dalla luce in un anno", conoscendone esattamente la velocità (appunto la velocità della luce), anche se la luce in sé non ha esperienza di tempo in quanto i fotoni a quella velocità non scorrono nel tempo. In questi casi particolari, una locuzione contenente riferimenti al tempo indica quasi sempre distanze precise nello spazio, al punto da assurgere al ruolo di unità di misura.

Se ti interessa il concetto di anno luce clicca qui per leggere il nostro articolo relativo...

Approfondiamo: il tempo

Sapere cos'è e come misurare il tempo non è certo sufficiente per capire come questa ipotetica dimensione. Importanti questioni filosofiche, metafisiche e fisiche sul tempo comprendono:

  • Il tempo senza cambiamento è concettualmente impossibile?
  • Il tempo scorre, oppure l'idea di passato, presente e futuro è completamente soggettiva, descrittiva solo di un inganno dei nostri sensi?
  • Il tempo è rettilineo o lo è solo nel breve spazio di tempo che l'uomo ha sperimentato e sperimenta?

I paradossi di Zenone (che molti secoli dopo sarebbero stati di aiuto nello sviluppo del calcolo infinitesimale) sfidavano in modo provocatorio la nozione comune di tempo. Il paradosso più celebre è quello di Achille e la tartaruga: secondo il suo ragionamento, attenendosi strettamente alle regole logiche, l'eroe greco (detto "pié veloce" in quanto secondo la mitologia greca era "il più veloce tra i mortali") non raggiungerebbe mai una tartaruga. L'esempio è molto semplice: supponiamo che inizialmente Achille e la tartaruga siano separati da una distanza x e che la velocità dell'eroe corrisponda a 10 volte quella dell'animale. Achille comincia a correre fino a raggiungere il punto x dove si trovava la tartaruga ma essa, nel frattempo, avrà percorso una distanza uguale a 1/10 di x. Achille prosegue e raggiunge il punto "x + 1/10 di x" mentre la tartaruga ha il tempo di compiere una distanza di 1/100 di x (1/10 di 1/10 di x), distanziando nuovamente l'inseguitore. Continuando all'infinito Achille riuscirà ad avvicinarsi sempre di più all'animale il quale però continuerà ad avere un sempre più piccolo ma comunque sempre presente distacco. La paradossale conclusione di Zenone era: Achille non raggiungerà mai la tartaruga. La posizione di Parmenide è assai diversa da quella dell'allievo Zenone: questi infatti sosteneva che l'"ancoraggio metafisico" del reale, l'essenza stessa della realtà, fosse eterno e che, dunque, il tempo fosse una posizione della doxa ('opinione'), di quella sapienza che non è propria di chi sa veramente. In seno all'essere (che è l'essenza del mondo), in sintesi, non c'è tempo né moto. Anche Platone è stato influenzato da questa concezione. Secondo la sua celebre definizione il tempo è "l'immagine mobile dell'eternità". Per Aristotele, invece, è la misura del movimento secondo il "prima" e il "poi", per cui lo spazio è strettamente necessario per definire il tempo. Solo Dio è motore immobile, eterno e immateriale. Secondo Agostino il tempo è stato creato da Dio assieme all'Universo, ma la sua natura resta profondamente misteriosa, tanto che il filosofo, vissuto tra il IV e il V secolo d.C., afferma ironicamente: "Se non mi chiedono cosa sia il tempo lo so, ma se me lo chiedono non lo so". Agostino critica una concezione del tempo aristotelica inteso come misura del moto (degli astri): nelle "Confessioni" afferma che il tempo è "distensione dell'animo" ed è riconducibile a una percezione propria del soggetto che, pur vivendo solo nel presente (con l'attenzione), ha coscienza del passato grazie alla memoria e del futuro in virtù dell'attesa. Per Agostino, insomma, il tempo è un'entità soggettiva. Tuttavia ne riconosce anche una dimensione oggettiva quando, nella "Città di Dio", il santo di Ippona lo definisce, ad esempio, "divenire del movimento secondo il prima e il poi, dato che le sue parti non possono essere simultaneamente", oppure quando afferma che senza creatura non esiste il tempo giacché non esiste alcun essere mutevole e che l'eternità, propria di Dio, al contrario, è l'assenza assoluta della mutabilità, del movimento, concludendone che il tempo non preesiste al mondo ma è stato creato con esso perché questi è sottoposto alla caducità, al cambiamento, in una parola, al divenire. Inoltre, nel tentativo di spiegare come gli angeli sono sempre esistiti, eppure non sono coeterni al Creatore, il santo di Ippona giunge ad affermare esplicitamente che è ragionevole sostenere che esisteva il tempo prima dell'uomo e di Abramo, e che gli angeli sono sempre esistiti, ma nel tempo perché senza i loro movimenti, soggetti al futuro e al passato, era impossibile che si avesse il tempo, ribadendo la differenza tra eternità che non diviene e tempo che muta e mostrando così chiaramente come egli non vincoli il tempo alla sola percezione/esistenza dell'uomo. Da sant'Agostino in poi nel pensiero cristiano il tempo è concepito in senso lineare-progressivo e non più circolare-ciclico come nel mondo pagano. Dalla caduta di Adamo l'escatologia cristiana procede verso la "consumazione del tempo", il riscatto dell'uomo verso Dio, il Giudizio Universale e l'eternità spirituale. Il tempo è stato considerato in vari modi nel corso della storia del pensiero, ma le definizioni di Platone e Aristotele sono state di riferimento per moltissimi secoli (magari criticate o reinterpretate in senso cristiano), fino a giungere alla rivoluzione scientifica. Di questo periodo è fondamentale la definizione di Isaac Newton (1642-1727), secondo il quale il tempo (al pari dello spazio) è "sensorium Dei" (senso di Dio) e scorrerebbe immutabile, sempre uguale a sé stesso (una concezione analoga è presente nelle opere di Galileo Galilei). Degna di nota è la contesa tra Newton e Leibniz, che riguardava la questione del tempo assoluto: mentre il primo credeva che il tempo fosse, analogamente allo spazio, un contenitore di eventi, il secondo riteneva che esso, come lo spazio, fosse un apparato concettuale che descriveva le interrelazioni tra gli eventi stessi. John Ellis McTaggart credeva, dal canto suo, che il tempo e il cambiamento fossero semplici illusioni. È stato il filosofo tedesco Immanuel Kant a cambiare radicalmente questo modo di vedere, grazie alla sua cosiddetta nuova "rivoluzione copernicana", secondo la quale al centro della filosofia non si deve porre l'oggetto ma il soggetto: il tempo diviene allora, assieme allo spazio, una "forma a priori della sensibilità". In sostanza se gli esseri umani non fossero capaci di avvertire lo scorrere del tempo non sarebbero neanche capaci di percepire il mondo sensibile e i suoi oggetti che, anche se sono inconoscibili in sé, sono collocati nello spazio. Quest'ultimo è definito come "senso esterno", mentre il tempo è considerato un "senso interno": in ultima analisi tutto ciò che esiste nel mondo fisico viene percepito e ordinato attraverso le strutture a priori del soggetto e ciò che, in prima battuta, viene collocato nello spazio viene poi ordinato temporalmente (come dimostra la nostra memoria). Un grande contributo alla riflessione sul problema del tempo si deve al filosofo francese Henri Bergson il quale, nel suo Saggio sui dati immediati della coscienza osserva che il tempo della fisica non coincide con quello della coscienza. Il tempo come unità di misura dei fenomeni fisici, infatti, si risolve in una spazializzazione (come ad esempio le lancette dell'orologio) in cui ogni istante è oggettivamente rappresentato e qualitativamente identico a tutti gli altri; il tempo originario, invece, si trova nella nostra coscienza che lo conosce mediante intuizione; esso è soggettivo, e ogni istante risulta qualitativamente diverso da tutti gli altri. Un cambiamento radicale del concetto di tempo in fisica è stato invece introdotto dalla teoria della relatività ("ristretta" nel 1905 e "generale" nel 1916) di Einstein. Secondo la relatività ristretta, la misura degli intervalli di tempo non è assoluta, ma relativa all'osservatore. Quello che è uguale per tutti gli osservatori, infatti, è il valore dalla velocità della luce: è una costante universale: c = 299792,458 km/s. Le quantità invarianti per tutti gli osservatori non sono quelle relative separatamente allo spazio e al tempo, bensì quelle definite nello spaziotempo quadridimensionale. La decomposizione di quest'ultimo in tre dimensioni spaziali e una temporale è invece relativa a ciascun osservatore. A sua volta, la presenza del campo gravitazionale determina una curvatura dello spaziotempo, capace di deflettere la luce e di rallentare il tempo (teoria della relatività generale). Secondo la relatività ristretta l'intervallo di tempo fra due eventi misurato da un osservatore differisce da quello misurato da un altro osservatore per un fattore moltiplicativo, che dipende dalla velocità relativa dei due osservatori. Più in particolare le formule di Lorentz sono le seguenti:

Barra delle equazioni per i lettori più curiosi

dove:

  • x, y, z rappresentano le tre coordinate spaziali, supponendo che i due osservatori si muovano l'uno rispetto all'altro nella direzione x;
  • t rappresenta la coordinata temporale;
  • v è la velocità relativa fra i due osservatori;
  • c è la costante della velocità della luce nel vuoto;
è il fattore di dilatazione temporale di Lorentz. 

Alcuni effetti previsti dalla teoria della relatività furono inizialmente considerati come paradossi. Uno dei più noti è il cosiddetto paradosso dei gemelli. La premessa del paradosso è che esistano due gemelli, di cui uno parte per un viaggio interstellare con un'astronave capace di andare a una velocità prossima a quella della luce, mentre l'altro rimane sulla Terra. In base all'effetto di dilatazione degli intervalli temporali descritto dalle formule di Lorentz, il gemello rimasto sulla Terra dovrebbe aspettarsi che il tempo sia trascorso più lentamente per il gemello astronauta, e quindi che quest'ultimo apparirà più giovane quando i due si incontreranno nuovamente sulla Terra. Ma il gemello astronauta, facendo lo stesso ragionamento nel suo sistema di riferimento, si aspetta invece di trovare più giovane il gemello rimasto sulla Terra: in questo consisterebbe il paradosso. In realtà la situazione descritta non si può ricondurre a una singola trasformazione di Lorentz che connetta i due osservatori: se i due gemelli si allontanano fra loro e successivamente si riavvicinano, non possono essersi mossi di moto rettilineo uniforme l'uno rispetto all'altro. In presenza di moti accelerati, il calcolo del tempo trascorso per ciascuno dei due deve essere fatto mediante il calcolo del tempo proprio lungo la sua traiettoria spaziotemporale (linea di universo): la differenza fra i due valori del tempo proprio trascorso lungo le due traiettorie (valori che non dipendono dal sistema di riferimento considerato) fornisce la differenza di età finale fra i due gemelli, senza alcuna ambiguità o paradosso. Si può dimostrare che il tempo proprio trascorso fra due eventi è massimo per una traiettoria inerziale rispetto a ogni altra traiettoria possibile fra gli stessi due eventi. La teoria della relatività cambia radicalmente la nozione di simultaneità (due eventi possono avvenire contemporaneamente per un osservatore ma non per un altro). Proprio la revisione del concetto di simultaneità - dovuta al fatto (sperimentalmente osservato) che la velocità della luce è la stessa per tutti gli osservatori - permise a Einstein di spiegare l'origine delle formule di Lorentz e dei conseguenti effetti di contrazione delle misure di lunghezza e dilatazione delle misure di tempo quando si confrontano osservatori in moto l'uno rispetto all'altro. Poiché due eventi A e B, simultanei per un dato osservatore, non lo saranno per altri (e vi saranno osservatori per cui A avviene prima di B, e altri per i quali B avviene prima di A), il principio di causalità - che afferma che un evento passato può influenzare un evento futuro, ma non viceversa - deve essere necessariamente riformulato. Si afferma quindi che un evento A può influenzare un evento B solo se A precede temporalmente B per qualunque osservatore inerziale: questo si verifica se B è contenuto nel cono luce futuro di A, ossia se B può essere raggiunto a partire da A da un corpo che viaggi a velocità inferiore a quella della luce, o al più da un segnale che viaggi alla velocità della luce. Se esistesse un corpo in grado di viaggiare a velocità maggiore di quella della luce, rispetto a qualche osservatore esso apparirebbe viaggiare all'indietro nel tempo. La stessa teoria della relatività prevede, d'altra parte, (1) che una particella di massa nulla possa solo viaggiare alla velocità della luce, e (2) che sia impossibile accelerare un corpo massivo fino alla velocità della luce, poiché occorrerebbe un'energia infinita per farlo. Si può inoltre ricavare facilmente che per una particella di massa nulla, che viaggia alla velocità della luce, il tempo proprio non trascorre. La dilatazione degli intervalli temporali descritta dalle formule di Lorentz viene spesso descritta, nei testi scolastici o divulgativi, dicendo che "un osservatore sulla Terra vede rallentare un orologio posto su un'astronave che viaggi a grande velocità": ma quest'affermazione si presta a essere interpretata scorrettamente. Ciò che l'osservatore sulla Terra misurerebbe se osservasse l'orologio dell'astronave con un ipotetico telescopio, infatti, non sarebbe l'intervallo di tempo misurato da quell'orologio, bensì l'intervallo di tempo fra la ricezione (al telescopio) di segnali luminosi consecutivi emessi dall'orologio. La dilatazione che si osserverebbe non sarebbe quella data dal solo fattore gamma di Lorentz, ma quella data dall'effetto Doppler relativistico. Anche il concetto fisico di simultaneità, la cui revisione da parte di Einstein destò inizialmente un certo disorientamento, è in realtà distinto dall'idea ingenua che se ne ha usualmente. Noi tendiamo a pensare, ad esempio, che ciò che vediamo attorno a noi in un certo istante, o ciò che vediamo raffigurato in una fotografia, sia l'immagine di una collezione di eventi simultanei. In realtà non è così: l'immagine retinica e la fotografia non riproducono tutti gli oggetti così come si trovavano nello stesso istante, ma come si trovavano nell'istante in cui hanno emesso i segnali luminosi che sono poi arrivati simultaneamente alla retina, o all'obiettivo dell'apparecchio fotografico. Finché nell'immagine compaiono solo oggetti vicini, la differenza è impercettibile. Ma se si osserva o si fotografa il cielo stellato è facile rendersi conto che le immagini dei corpi celesti corrispondono a segnali emessi molto tempo fa, in momenti diversi, tanto più indietro nel tempo quanto più l'oggetto è lontano dall'osservatore. Ciò che l'immagine retinica e quella fotografica a fotografia rappresentano, dunque, non è una porzione dell'insieme degli eventi simultanei in un dato istante, ma è invece precisamente una porzione del cono luce passato. La differenza fra spazio di simultaneità e cono luce, a causa del valore molto grande della velocità della luce, è impercettible alla scala delle distanze terrestri, mentre diventa evidente quando si confrontano i due insiemi su distanze astronomiche (come nel caso del cielo stellato). Due osservatori, in moto uno rispetto all'altro, che in un certo istante vengano a trovarsi nella stessa posizione, in quell'istante vedono attorno a sé esattamente la stessa immagine dello spazio fisico circostante (e se scattassero entrambi una fotografia, otterrebbero esattamente la stessa fotografia), anche per oggetti molto lontani, dato che il cono luce spaziotemporale di un evento è il medesimo per tutti gli osservatori. Viceversa, l'insieme degli eventi simultanei (che non corrisponde a una percezione istantanea, ma è una costruzione matematica derivante dall'attribuzione, da parte di ciascun osservatore, di una coordinata temporale a ciascun evento dello spaziotempo) sarebbe diverso per i due osservatori. Einstein ebbe alcune discussioni sul tempo con grandi pensatori della sua epoca, tra cui il filosofo francese Henri Bergson, che attribuisce grande importanza agli stati di coscienza piuttosto che al tempo spazializzato della fisica (si veda "Durata e simultaneità" del 1922). Per Bergson il tempo concretamente vissuto è una durata "reale" a cui lo stato psichico presente conserva da un lato il processo da cui proviene (attraverso la memoria), ma naturalmente costituisce anche qualcosa di nuovo. Dunque non c'è soluzione di continuità tra gli stati della coscienza: esiste una continua evoluzione, un movimento vissuto che la scienza non può spiegare pienamente con i suoi concetti astratti e rigidi, nonostante il riconoscimento dei suoi grandi progressi. L'ingegnere J. W. Dunne sviluppò una teoria del tempo nella quale considerava la nostra percezione del tempo come simile alle note suonate su un piano. Avendo avuto alcuni sogni premonitori, decise di tenerne traccia, e trovò che contenevano eventi passati e futuri in quantità equivalenti. Da questo concluse che nei sogni riusciamo a sfuggire al tempo lineare. Pubblicò le sue idee in An Experiment with Time del 1927, cui fecero seguito altri libri. Possiamo chiederci:

  • "Che cos'è il tempo?"
  • "Come se ne definisce un'unità di misura, prescindendo dalla comune opinione?"

È nel tentativo di dare una risposta rigorosa a queste domande che ci si accorge delle difficoltà e dei pregiudizi. L'unico modo convincente di rispondere alla domanda "Che cos'è il tempo" è forse quello operativo, dal punto di vista strettamente fisico-sperimentale: "Il tempo è ciò che si misura con degli strumenti adatti". Un'analisi microscopica del problema tuttavia mostra come la definizione di orologio sia adatta solo a una trattazione macroscopica del problema e quindi non consenta di formulare una definizione corretta per le equazioni del moto di particelle descritte dalla meccanica quantistica. Se si segue coerentemente sino in fondo questa definizione, si vede facilmente come tutti gli strumenti di misura del tempo ("orologi") si basino sul confronto (e conseguente conteggio) tra un movimento nello spazio (ad esempio la rotazione o la rivoluzione terrestre) e un altro movimento "campione" (meccanico, idraulico, elettronico), con sufficienti caratteristiche di precisione e riproducibilità. Si noti che il campione di movimento deve essere sempre un moto accelerato (rotazione, oscillazione lineare o rotatoria), mentre non è campione idoneo il moto rettilineo uniforme. Si noti anche come il metodo di confronto del movimento con il campione si fondi necessariamente sulla trasmissione di segnali elettromagnetici (es. luminosi, ma non solo), le cui proprietà influiscono direttamente sulla misura: da ciò conseguono in modo quasi ovvio le formulazioni della interdipendenza tra coordinate spaziali, asse temporale e velocità della luce espresse della relatività ristretta. In base a queste osservazioni, data la totale sovrapponibilità degli effetti operativi, si potrebbe addirittura assumere quale definizione del tempo, in fisica, l'identità con il movimento stesso. In questo senso, l'intero Universo in evoluzione si può considerare il vero fondamento della definizione di tempo; si noti l'importanza essenziale della specifica "in evoluzione", ossia in movimento vario, accelerato: senza movimento, senza variazione anche il tempo scompare. L'idea che una teoria fondamentale non debba contenere il concetto di tempo tra le sue primitive risale a Bryce DeWitt ed è stata sviluppata successivamente da Carlo Rovelli, Craig Callender e Julian Barbour.

Fisica moderna

Lo Spaziotempo

In fisica per spaziotempo, o cronòtopo, si intende la struttura quadridimensionale dell'universo. Introdotto dalla relatività generale, è composto da quattro dimensioni: le tre dello spazio (lunghezza, larghezza e profondità) e il tempo, e rappresenta il "palcoscenico" nel quale si svolgono i fenomeni fisici. Lo spaziotempo è un concetto fisico che combina le nostre classiche nozioni tradizionalmente distinte di spazio e di tempo in un'unica entità omogenea. L'introduzione dello spazio-tempo è una conseguenza diretta della teoria della relatività ristretta, che stabilisce un'equivalenza fra lo spazio e il tempo. Così come nella nostra visione classica dello spazio le sue tre dimensioni componenti sono equivalenti e omogenee fra loro e relative all'osservatore (ciò che viene considerato avanti o dietro da un osservatore può essere considerato destra o sinistra da un altro osservatore disposto diversamente), la visione relativistica assimila anche la dimensione temporale (prima-dopo) alle tre dimensioni spaziali, rendendola percepibile in modo diverso da osservatori in condizioni differenti. I punti dello spaziotempo sono detti eventi e ciascuno di essi corrisponde ad un fenomeno che si verifica in una certa posizione spaziale e in un certo momento. Ogni evento è perciò individuato da quattro coordinate. In genere, per visualizzare le coordinate spaziali si usano tre coordinate cartesiane determinate dalla scelta di una terna di riferimento ortogonale; esse si possono denotare con le tre lettere diverse x, y e z oppure con le lettere dotate di indici (o deponenti, o pedici) x1, x2, x3. Nel primo caso la coordinata temporale si indica con t, nel secondo con x0. Le coordinate con indici hanno il vantaggio formale di consentire l'uso di indici correnti e quindi di espressioni sintetiche. Di solito per un indice che corre solo nelle dimensioni spaziali 1, 2 e 3 si usano lettere latine come i, j e k, mentre per gli indici spaziotemporali che corrono da 0 a 3 si usano lettere greche come μ e ν. Inoltre quando si studiano sistemi particolari (ad es. dotati di determinate simmetrie), per le dimensioni spaziali, invece delle coordinate cartesiane risulta conveniente usare ora le coordinate sferiche, ora le coordinate cilindriche, ora altre. Ogni oggetto presente nell'universo influisce sullo spaziotempo e quindi su tutt'e quattro le dimensioni che lo compongono: per esempio, la Terra influenza le tre dimensioni dello spazio attraverso l'attrazione gravitazionale, e influisce sul tempo attraverso un rallentamento del tempo stesso. Nei buchi neri il tempo viene rallentato di moltissimo; tanto che in teoria, al centro di essi, il tempo è completamente fermo. Fino alla teoria della relatività di Einstein, relatività ristretta e generale, il tempo era concepito come assoluto e indipendente dagli osservatori. Lo spazio, inoltre, era regolato dalla geometria euclidea. In tale geometria e nella fisica pre-relativistica la lunghezza di un oggetto non cambia quando questo si sposta o ruota nello spazio, oppure quando lo si osserva da diverse angolazioni.

Barra delle equazioni per i lettori più curiosi

Nella geometria euclidea, l'invariante fondamentale è quindi la distanza tra due punti 

e

ovvero il suo quadrato: 

che non cambia quando vengono applicate traslazioni oppure isometrie, cioè rotazioni e riflessioni.

In fisica la trasformazione galileiana è un insieme di leggi che descrivono il legame tra le coordinate di un oggetto in due sistemi di riferimento in moto rettilineo uniforme l'uno rispetto all'altro, nell'ipotesi che le velocità in gioco siano molto inferiori alla velocità della luce. La relazione fra le due misure sarà:

E quindi entrambi, utilizzando le proprie misure, sono in grado di calcolare che cosa ha misurato l'altro. Al limite, basta che uno dei due effettui le misure e le trasmetta all'altro per i suoi calcoli. Se gli osservatori determinano la posizione di P in tempi successivi allora sono in grado di determinare il vettore posizione di P in funzione del tempo, e quindi: 

Gli osservatori possono pure calcolare la velocità e l'accelerazione di P mentre si sposta lungo la sua traiettoria. L'osservatore O1 vede l'altro osservatore muoversi con velocità v, mentre O2 vede O1 muoversi con velocità -v. Entrambi determinano la posizione del punto P in tempi successivi t' e t''. Gli spostamenti misurati dai due osservatori nel medesimo intervallo di tempo sono diversi, quindi anche le velocità di P risultano diverse tuttavia i due osservatori possono convertire nel proprio sistema di riferimento le velocità misurate dall'altro osservatore, a patto di conoscere la velocità con la quale questo si muove. In pratica si verifica la relazione:

Tutto questo funziona soltanto se è possibile effettuare misure contemporanee. Se i due osservatori sono in moto rettilineo uniforme l'uno rispetto all'altro si avrà:

se, invece, si trovano in moto accelerato l'uno rispetto all'altro, le accelerazioni viste dai due sono allora diverse il che richiede una formula di conversione.

Consideriamo due osservatori nello spazio tridimensionale in moto relativo rettilineo uniforme uno rispetto all'altro, disposti sul piano in maniera del tutto arbitraria. Pertanto, conviene allineare gli osservatori facendo coincidere i piani definiti dai loro assi x e y ed allineando gli assi x nella direzione del moto. Questo è possibile perché lo spazio euclideo è omogeneo e isotropo quindi consente traslazioni lungo i tre assi e rotazioni sui tre piani coordinati. Si vede immediatamente che le trasformazioni per passare da un osservatore all'altro, rispettivamente per il primo e il secondo, sono:

dette trasformazioni galileiane. 

Invece, le trasformazioni di Lorentz, formulate dal fisico Hendrik Antoon Lorentz, sono trasformazioni lineari di coordinate che permettono di descrivere come varia la misura del tempo e dello spazio tra due sistemi di riferimento inerziali, cioè sistemi in cui l'oggetto della misura è in moto rettilineo uniforme rispetto all'osservatore. Albert Einstein ricavò a sua volta le trasformazioni di Lorentz nell'articolo sulla relatività ristretta del 1905 postulando la costanza della velocità della luce in ogni sistema di riferimento e la validità della relatività galileiana. Il fatto che l'equazione delle onde si conservi sotto trasformazione di Lorentz permette di scrivere le equazioni di Maxwell dell'elettromagnetismo in una forma invariante nel passaggio tra due sistemi di riferimento in moto relativo tra loro. Questo ha rimosso le contraddizioni esistenti tra elettromagnetismo e meccanica classica e spiegato i risultati nulli dell'esperimento di Michelson-Morley. Il gruppo delle trasformazioni di Lorentz, pur comprendendo anche le classiche rotazioni degli assi spaziali, è caratterizzato dalla presenza dei boost (letteralmente in italiano "spinta"), cioè le trasformazioni fra due sistemi inerziali in moto relativo fra loro. Tali trasformazioni consistono essenzialmente in rotazioni che coinvolgono anche l'orientamento dell'asse temporale. Le trasformazioni suddette compaiono invece alla base della teoria della Relatività ristretta di Albert Einstein, come diretta conseguenza degli assiomi di costanza della velocità della luce c e dell'invarianza delle leggi fisiche in seguito a cambi di sistemi di riferimento (inerziali). Con l'accettazione da parte della comunità scientifica della teoria della relatività è stato demolito il concetto di spazio e di tempo assoluti e separati l'uno dall'altro, mentre ha preso il suo posto il concetto di spaziotempo, nel quale non c'è un sistema di riferimento privilegiato e per ogni evento le coordinate spaziali e temporali sono legate tra di loro in funzione dello spostamento relativo dell'osservatore. Con l'assenza di un tempo assoluto, anche il concetto di contemporaneità è stato modificato dall'avvento della relatività: si può definire al suo posto l'altrove assoluto, cioè l'insieme degli eventi che non appartengono né al futuro né al passato, al di fuori cioè del cono di luce. La teoria della relatività ristretta (o relatività speciale), sviluppata da Albert Einstein nel 1905, è una riformulazione ed estensione delle leggi della meccanica. In particolare essa è necessaria per descrivere eventi che avvengono ad alte energie e a velocità prossime a quella della luce, riducendosi alla meccanica classica negli altri casi. La teoria si basa su due postulati:

  • le leggi della meccanica, dell'elettromagnetismo e dell'ottica sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali;
  • la luce si propaga nel vuoto a velocità costante c indipendentemente dallo stato di moto della sorgente o dell'osservatore.

Se vuoi approfondire il concetto di Costante C leggi il nostro articolo su di essa...

Il primo postulato, noto anche come principio di relatività speciale, riafferma ed estende il principio di relatività di Galileo, mentre il secondo può derivarsi dal primo ed elimina la necessità dell'etere luminifero, dando il giusto significato all'esperimento di Michelson-Morley. Dai due postulati discende che nell'universo descritto dalla relatività speciale le misure di intervalli temporali e di lunghezze spaziali effettuate da osservatori inerziali non corrispondono necessariamente fra loro, dando luogo a fenomeni come la dilatazione del tempo e la contrazione delle lunghezze, che sono espressione dell'unione dello spazio tridimensionale e del tempo in un'unica entità quadridimensionale nella quale si svolgono gli eventi, chiamata cronotopo o spazio-tempo. In questo ambito lo strumento matematico che consente il cambio di sistema di riferimento sono le trasformazioni di Lorentz, che si riducono alle trasformazioni di Galileo della fisica classica nel limite di basse velocità. Dai postulati della relatività si ricava anche che l'energia di un corpo include un termine additivo, indipendente dalla velocità del corpo e proporzionale alla sua massa, dato dalla nota formula E=mc². La riscrittura delle leggi della meccanica operata dalla relatività ristretta portò a una radicale svolta nella comprensione del mondo fisico e a una grande fama del suo autore anche al di fuori del contesto scientifico, mentre la relazione E=mc² è divenuta la più famosa equazione in assoluto, entrando a far parte della cultura in generale. La fisica classica, cioè la fisica newtoniana, postula l'esistenza dello spazio e del tempo assoluti, che hanno cioè proprietà determinate indipendentemente dal sistema di riferimento utilizzato e in cui la misurazione di lunghezze spaziali e intervalli temporali fornisce gli stessi risultati in qualunque sistema di riferimento. Allo stesso modo, in meccanica classica, due eventi simultanei in un sistema di riferimento (cioè con la stessa coordinata temporale) lo sono in ogni sistema di riferimento inerziale. In particolare, il principio della relatività galileiana presuppone l'esistenza di sistemi di riferimento inerziali rispetto ai quali sono validi i tre principi della dinamica di Newton, legati fra loro attraverso le trasformazioni di Galileo. Un esempio di sistema di riferimento inerziale può essere identificato con quello delle cosiddette "stelle fisse". La teoria dell'elettromagnetismo, elaborata dalle equazioni di Maxwell, ottenne nel XIX secolo eccellenti e numerose conferme in campo sperimentale, ma si trovò ad affrontare una contraddizione di fondo rispetto alla meccanica newtoniana. Infatti, le equazioni di Maxwell non sono invarianti in forma rispetto al gruppo delle trasformazioni di Galileo: in altre parole, secondo il principio di relatività galileiano, due osservatori inerziali avrebbero dovuto usare equazioni diverse per descrivere gli stessi fenomeni elettromagnetici. La principale contraddizione tra queste due teorie risiede nella determinazione della velocità della luce. Infatti, la teoria di Maxwell prevede che il campo elettrico e magnetico si propaghino nello spazio vuoto a una velocità finita e costante:

dove c è la velocità della luce, 

 è la costante dielettrica del vuoto e 

è la permeabilità magnetica del vuoto. Questo è apertamente in contrasto con la relatività galileiana, nella quale non è possibile che un osservatore fermo rispetto al mezzo nel quale si propaga un'onda elettromagnetica misuri la stessa velocità di propagazione rispetto a un osservatore in moto rispetto al medesimo mezzo: secondo la relatività galileiana infatti la velocità misurata da un osservatore in moto deve rispettare la legge di trasformazione delle velocità di Galileo. Per risolvere questi problemi si postulò che la propagazione del campo elettromagnetico avvenisse in un sistema di riferimento privilegiato e assoluto[2], solidale con quello che venne chiamato etere e che costituiva il mezzo di propagazione delle onde elettromagnetiche. Questo mezzo doveva avere caratteristiche molto particolari, come, per esempio, permeare tutto lo spazio senza offrire nessuna resistenza meccanica al moto dei corpi che si muovevano immersi in esso. Incominciarono quindi degli esperimenti che tentarono di provare l'esistenza dell'etere, di testarne le proprietà e di misurarne la velocità rispetto alla Terra. Questi esperimenti si rivelarono però in contrasto con le teorie che ammettevano l'esistenza dell'etere. Dovevano quindi esistere esperimenti di EM (elettromagnetismo) in grado di mostrare lo stato di moto del sistema di riferimento rispetto all'etere, assoluto (infatti le equazioni di Maxwell dovevano valere solo nell'etere). Tuttavia l'esperimento di Michelson-Morley mostrò che, entro il limite dell'errore di misura, la velocità del sistema di riferimento terrestre era nulla rispetto all'etere (infatti i cammini della luce in direzione parallela e perpendicolare alla velocità terrestre risultavano uguali), e ciò era verificato anche ripetendo l'esperimento 6 mesi dopo, con la Terra in moto in direzione opposta rispetto a un sistema solidale col Sole. Il "fallimento" dell'esperimento di Michelson (il cui scopo era effettivamente la ricerca dell'etere e non la dimostrazione della sua non rilevabilità) portava a due ipotesi: la prima prevedeva che l'etere fosse trascinato dalla Terra e che quindi la Terra fosse un sistema di riferimento privilegiato e assoluto, la seconda che l'etere effettivamente non avesse esistenza fisica. La prima ipotesi venne scartata in quanto pensare la Terra come sistema di riferimento assoluto nell'universo era inammissibile dopo secoli di scienza galileiana, che aveva confermato il principio di relatività alla base della descrizione della realtà fisica. Inoltre, anche la prospettiva di modificare le equazioni di Maxwell per renderle invarianti non dava risultati, in quanto Hippolyte Fizeau mostrò che queste fornivano risultati in disaccordo con l'esperimento di trascinamento della luce nell'acqua in movimento: la composizione delle velocità non veniva rispettata dalla luce. Era allora chiaro che se la teoria dell'EM era corretta, le misure di EM non potevano mostrare alcuna velocità rispetto all'etere. Allora occorreva trovare delle nuove trasformazioni con le quali sostituire quelle di Galileo e di conseguenza modificare tutta la meccanica classica per renderla invariante rispetto a queste nuove trasformazioni. Così Einstein spiegava le sue perplessità:

«Presi in esame l'esperimento di Fizeau, e quindi cercai di affrontare i problemi connessi, nell'ipotesi che le equazioni di Lorentz relative all'elettrone valessero tanto nel caso di un sistema di riferimento definito rispetto ai corpi in moto, quanto nel caso di un riferimento definito nel vuoto. Ad ogni modo, allora ero certo della validità delle equazioni di Maxwell-Lorentz nell'ambito dell'elettrodinamica. Per di più tale esperimento ci chiariva le conseguenze della cosiddetta invarianza della velocità della luce che quelle equazioni dovrebbero implicare anche in riferimenti in moto. Questa invarianza della velocità della luce, tuttavia, era in contrasto con la legge di addizione delle velocità, ben nota in meccanica. Ebbi molta difficoltà a capire quale fosse la natura del contrasto.»

Albert Einstein

La strada era lunga, ma concettualmente semplice. Per questo motivo Einstein non considerò mai la relatività speciale come un punto d'onore: disse invece che chiunque vi sarebbe prima o poi giunto, solo considerando le evidenze sperimentali. Nel 1905, in un lavoro dal titolo "Sull'elettrodinamica dei corpi in movimento", Einstein espose una teoria, la relatività ristretta, che, anziché prevedere un sistema di riferimento privilegiato, introducendo due postulati richiedeva la revisione dei concetti di spazio e tempo della fisica classica. Il primo postulato stabilisce la covarianza delle leggi dell'elettromagnetismo e della meccanica in tutti i sistemi di riferimento inerziali, mentre il secondo stabilisce che la velocità della luce nel vuoto è la stessa in tutti i sistemi di riferimento. Questa teoria risultò essere un'estensione della meccanica classica, che è contenuta nella relatività ristretta e può essere ritrovata se le velocità prese in considerazione sono molto inferiori a quella della luce. La perdita dei concetti di spazio e tempo assoluti ha conseguenze apparentemente contraddittorie o lontane dall'esperienza e dal senso comune, come la contrazione delle lunghezze e la dilatazione dei tempi, il paradosso dei gemelli. Tutti questi fenomeni, spiegati dalla relatività ristretta, sono in contrasto con il senso comune proprio perché richiedono velocità molto elevate (prossime a quelle della luce) per essere apprezzati; le esperienze di tutti i giorni, invece, avendo a che fare con velocità molto inferiori, possono essere spiegate efficacemente dalla fisica classica. Inoltre, mentre nella meccanica classica lo spazio e il tempo sono trattati come entità sostanzialmente distinte, la relatività ristretta introduce il concetto di spaziotempo, in cui essi sono indissolubilmente legati. Fu Max Planck a suggerire la parola "relatività", per sottolineare l'ottenimento di leggi ed equazioni che non cambiano forma nel passaggio tra sistemi di riferimento in moto relativo, e anche a indicare la soggettività delle descrizioni dei fenomeni fisici da parte di osservatori in diversi sistemi di riferimento. L'articolo di Einstein del 1905, come già accennato, rifonda la fisica classica a partire da due postulati, singolarmente desunti dall'esperienza, ma tra di loro inconciliabili all'interno degli schemi teorici classici:

  • Primo postulato (principio di relatività particolare): tutte le leggi fisiche sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali
  • Secondo postulato (invarianza della velocità della luce): la velocità della luce nel vuoto ha lo stesso valore in tutti i sistemi di riferimento inerziali, indipendentemente dalla velocità dell'osservatore o dalla velocità della sorgente di luce.

Il primo postulato è un'estensione di quello di Galilei, mentre il secondo conferma quanto già ricavato dalle equazioni di Maxwell, secondo le quali la velocità della luce dipende da valori costanti relativi al mezzo di propagazione e non dal moto relativo dei sistemi di riferimento. Entrambi, come detto, "prendono atto" dei risultati sperimentali. In realtà, come ha spiegato successivamente Einstein, l'unico principio fondante della teoria può essere considerato in effetti quello di relatività, o indipendenza delle leggi, in quanto l'invarianza della velocità della luce ne è una conseguenza. Il postulato di relatività ovviamente esclude il concetto di etere, non solo come mezzo che trasmette la luce (sostituito dal campo elettromagnetico), ma anche come riferimento assoluto; da questo consegue che, se ogni osservatore inerziale non può dire a ragione di essere fermo rispetto a un ipotetico etere, cade definitivamente il concetto di spazio assoluto. Anche il concetto di simultaneità perde la sua assolutezza; infatti, se la velocità della luce è finita ed è la stessa per ogni osservatore, due eventi simultanei in un sistema inerziale non lo sono più se osservati da un altro sistema inerziale in moto rispetto al primo. Se la luce emessa da due lampadine (chiamiamole A e B) equidistanti da un osservatore O, fermo rispetto a esse, lo raggiungerà allo stesso istante, allora O considererà i due eventi come simultanei. Un osservatore O' in un diverso stato di moto, ovvero in un sistema di riferimento inerziale in moto rettilineo uniforme rispetto a quello in cui O, A e B sono fermi, in generale percepirà la luce delle due lampadine in istanti diversi. Anche la meccanica classica prevede che la luce abbia una velocità finita, dunque che a seconda della posizione di un osservatore l'informazione luminosa di due eventi distanti simultanei possa giungere prima o dopo. Nell'ambito della meccanica classica, però, tutto si deve risolvere svolgendo gli opportuni calcoli che tengano nel debito conto la distanza dagli eventi e la velocità della luce: l'osservatore O', sapendo di essere (ad esempio) più vicino ad A che a B, calcolando il tempo che intercorre tra il momento in cui riceve l'impulso luminoso di A e quello di B, e conoscendo le distanze relative e la velocità della luce, dovrebbe concludere che "in realtà" gli eventi erano contemporanei. Per fare un altro esempio, se noi vedessimo un semaforo accendersi a pochi metri da noi e, circa otto minuti dopo, vedessimo il Sole diventare blu, pur avendo percepito in istanti diversi la luce dei due eventi, concluderemmo secondo la meccanica classica (sapendo che la luce del Sole impiega proprio 8 minuti per giungere sulla Terra) che i due eventi sono avvenuti nel medesimo istante. Ciò non risulta valido nell'ambito della relatività speciale. Se O' è in moto rispetto a O, A e B (a una velocità sufficientemente alta da apprezzare gli effetti relativistici), anche tenendo nel debito conto come precisato sopra gli effetti della velocità della luce dovrà concludere (ad esempio) che A precede B. Un altro osservatore O'', con stato di moto opposto, dovrà invece concludere che B precede A. La situazione è apparentemente paradossale, a causa della concezione "classica" dell'esistenza di un tempo assoluto, uguale per tutti i sistemi di riferimento. Venendo a mancare questo, sostituito dallo spazio-tempo relativistico, la simultaneità di due eventi distanti risulta essere legata allo stato di moto dell'osservatore di tali eventi, e non più assoluta. Questa situazione si verifica soltanto per eventi tra i quali intercorre un intervallo di tipo spaziale, tali cioè che è impossibile per un raggio di luce (o per qualcosa di più lento) essere presente a entrambi gli eventi: nell'esempio delle lampadine, in effetti, se esse sono distanti tra loro d, e la loro accensione risulta contemporanea per un osservatore fermo rispetto a esse, un raggio di luce non potrà essere presente sia all'accensione di A sia a quella di B, avendo velocità finita. Le coppie di eventi per i quali invece la luce (o qualcosa di più lento) può presenziare a entrambi, sono dette separate da un intervallo di tipo temporale: questi eventi saranno visti da tutti gli osservatori, qualunque sia il loro stato di moto, nello stesso ordine cronologico (anche se l'intervallo di tempo potrà apparire più breve o più lungo ai diversi osservatori). Per queste coppie di eventi sussiste dunque una definita relazione cronologica di prima/dopo, indipendente dall'osservatore. In fisica la dilatazione del tempo, in accordo con la teoria della relatività ristretta, è il fenomeno per cui la durata di un medesimo evento risulta maggiore se misurata in un sistema di riferimento in moto rispetto a quello assunto come solidale con l'evento. La dilatazione temporale diventa rilevante solo se la velocità relativa tra i due sistemi di riferimento è una frazione significativa (> 10%) della velocità della luce nel vuoto. L'evento E, misurato da un osservatore O che si trova nel sistema di riferimento S solidale a E (in quiete rispetto a E) ha durata Delta tau  (tempo proprio), che risulta essere la durata minima possibile. Un osservatore O' che si trovi nel sistema di riferimento S' con velocità relativa v rispetto a S misurerà per lo stesso evento E una durata Delta t maggiore, data dalla relazione 

Inoltre:

  • Nessun corpo massivo può assumere velocità uguali o superiori a c; le trasformazioni di Lorentz per v maggiore o uguale a c non sono definite (i valori sotto radice diventano nulli o negativi). Il valore nullo non è accettabile, in quanto compare nel denominatore delle formule: un corpo può essere accelerato in tempo finito solo a una frazione della velocità della luce minore di 1. I corpi senza massa materiale, come i fotoni stessi, viaggiano sin dalla loro emissione alla velocità della luce. Da ciò si può dedurre che qualsiasi elemento di massa zero, si muoverebbe alla velocità della luce. Eventuali particelle più veloci della luce (dette tachioni) non potrebbero invece rallentare al di sotto della velocità della luce.
  • La contrazione delle lunghezze non deve essere vista come se il metro variasse la sua dimensione o come se l'orologio segnasse un tempo diverso. Le misure infatti saranno differenti solo se effettuate da un altro osservatore in moto relativo: la lunghezza del proprio metro e la durata del proprio minuto è la stessa per tutti gli osservatori. C'è da specificare, inoltre, che il restringimento della lunghezza secondo la teoria della relatività ristretta avviene soltanto nella direzione di avanzamento, e sia lo scorrere più lento del tempo, sia il restringimento dello spazio, si verificano contemporaneamente.
  • La teoria ammette questi effetti come conseguenza della peculiarità di c e del moto relativo e quindi come conseguenza del nostro modo di guardare le cose. La lunghezza propria è la più grande fra tutte le lunghezze relative ai punti di vista, ma non per questo è più reale delle altre. Sarebbe come notare che più lontani siamo da un oggetto e più piccolo questo ci sembra: niente ci può dire se l'oggetto si rimpicciolisce veramente o se sia un effetto della distanza. Non ha quindi senso domandarsi se si tratti di un fenomeno reale o apparente. Inoltre la persona che ipoteticamente sperimentasse la contrazione dello spazio, non avrebbe la sensazione di sentirsi ristretta, in quanto il suo sistema di misurazione rimarrebbe lo stesso poiché anch'esso coinvolto nella stessa contrazione (Il suo metro sarebbe sempre lungo 1 metro, il centimetro uguale, ecc.).
  • Le trasformazioni di Lorentz trattano il tempo alla stregua di una qualunque coordinata spaziale; dato che un evento può essere sempre individuato tramite la sua posizione nello spazio e lungo l'asse temporale, il formalismo relativistico può essere formulato in uno spazio a 4 dimensioni (spazio-tempo) di Minkowsky, nel quale le prime 3 coordinate coincidono con le normali coordinate spaziali e la 4 è rappresentata dal tempo. Un evento è individuato quindi dai 4 numeri (r, ct)=(x, y, z, ct). In generale, nella teoria della relatività ad avere valore assoluto non sono le misure delle distanze nello spazio o gli intervalli di tempo, quanto la separazione (distanza pseudoeuclidea) fra gli eventi (i punti dello spazio-tempo quadridimensionale). Le trasformazioni di Lorentz sono le trasformazioni lineari che connettono fra loro sistemi diversi di coordinate spazio-temporali lasciando invariata la separazione spazio-temporale fra ogni coppia di eventi.

Tutta la meccanica classica venne modificata per renderla invariante per trasformazioni di Lorentz, ottenendo risultati diversi dalla visione classica; è comunque sempre valido il limite classico. Basandosi sul fatto che per velocità piccole la dinamica di Newton fornisce risultati corretti, si può supporre che valgano anche in relatività le stesse grandezze, anche se alcune grandezze devono essere ridefinite per accordarsi con la relatività ristretta. In effetti si trova che le stesse leggi di Newton (principio d'inerzia, secondo principio e conservazione della quantità di moto) valgono ugualmente in meccanica relativistica, a patto di ridefinire alcune delle grandezze coinvolte. È generalmente utilizzato, allo scopo di alleggerire la formulazione e creare degli invarianti per cambiamento di riferimento (quali erano il tempo e l'accelerazione in meccanica classica), un formalismo tensoriale che definisce le grandezze della cinematica non più grazie ai vettori in R3, ma ai quadrivettori nello Spazio-tempo di Minkowski M quadridimensionale. Data una nuova definizione di tempo proprio, uno scalare realmente indipendente dal sistema di riferimento e legato solo al moto del corpo studiato, si possono derivare, dalla posizione di un corpo nello spazio tempo, la sua quadrivelocità e quadriaccelerazione. Chiamiamo

il quadrivettore posizione che identifica la posizione della particella rispetto a un sistema di riferimento inerziale (sistema del laboratorio), dove c è la velocità della luce, t la coordinata temporale e x, y, e z le coordinate spaziali. Differenziando abbiamo: 

Definiamo tempo proprio il tempo che misurerebbe un orologio posto su una particella in moto vario nello spaziotempo come se si muovesse di moto rettilineo uniforme. In simboli ( |X| indica la norma di Minkowsky): 

Il tempo proprio è una grandezza utile a parametrizzare la traiettoria di un corpo. Il tempo proprio è una grandezza utile a parametrizzare la traiettoria di un corpo. Definiamo anche il quadrivettore velocità come

(quadrivelocità) e il quadrivettore accelerazione

Possiamo quindi esprimere quadrivelocità e quadriaccelerazione in funzione delle ordinarie velocità v e accelerazione a come: 

Di seguito sono riportati due casi notevoli, ottenuti applicando le trasformazioni di Lorentz. 

  • Legge di trasformazione degli angoli: Si ricava che la nozione di parallelismo tra due rette è invariante, mentre non lo è quella di perpendicolarità. L'angolo tra due vettori è invariante solo se si trovano entrambi in un piano perpendicolare alla velocità relativa tra i due osservatori.
  • Legge di composizione delle velocità: Come diretta conseguenza delle trasformazioni di Lorentz, le velocità si compongono non come normali vettori (vedi regola del parallelogramma) ma in un modo diverso, che tiene conto dell'insuperabilità della velocità della luce. Se nel sistema S un corpo ha velocità u, e il sistema S* si muove di velocità v=(v,0,0), cioè parallela all'asse x del sistema S, la velocità U' del corpo nel sistema S* sarà data dalle seguenti formule: 

Glossario: la composizione delle velocità

In fisica, la composizione delle velocità è un insieme di equazioni che descrivono il legame tra le velocità di un oggetto in due sistemi di riferimento diversi, l'uno in moto rettilineo uniforme rispetto all'altro. Nella teoria della relatività ristretta esse tengono conto, in particolare, dell'insuperabilità della velocità della luce e della sua costanza indipendentemente dal sistema di riferimento inerziale scelto. 

Trattiamo ora dei paradossi relativistici. Le difficoltà nell'accettazione della teoria della relatività si manifestarono anche nella formulazione di alcuni esperimenti mentali, chiamati paradossi relativistici, in cui l'applicazione della relatività ristretta porta a conseguenze lontane dal senso comune, se non addirittura contraddittorie (da qui il nome "paradossi"). I paradossi relativistici vennero anche usati dai detrattori della relatività per cercare di dimostrare l'incoerenza della teoria stessa. Alcuni di questi paradossi non cercano propriamente di evidenziare contraddizioni; sono soltanto delle previsioni fatte dalla teoria che risultano lontane dal senso comune, e quindi sono difficili da spiegare al di fuori di un ambito scientifico rigoroso. Altri paradossi tendono invece a cercare contraddizioni interne alla teoria della relatività. Un famoso esempio è il paradosso dei gemelli, che deve il suo nome alla presentazione che ne fece il filosofo Herbert Dingle negli anni cinquanta. Esso consiste nella situazione di due gemelli, uno dei quali compie un viaggio spaziale verso una stella per tornare quindi sulla Terra. Secondo Dingle, applicando i principi della relatività ristretta, si sarebbe dovuti giungere alla conclusione paradossale che ciascuno dei due gemelli, al ritorno del gemello che era partito, avrebbe dovuto essere più vecchio dell'altro. In realtà, questa situazione non può essere formalmente risolta all'interno della teoria della relatività ristretta ma solo nell'ambito della relatività generale, in quanto solo quest'ultima si riferisce anche ai sistemi di riferimento non inerziali (l'inversione della velocità dall'andata al ritorno della navicella implica infatti un'accelerazione); tuttavia, è possibile darne un'esauriente spiegazione anche nella relatività speciale, trascurando i momenti di accelerazione non nulla, senza giungere a contraddizioni. D'altra parte vi sono varie dimostrazioni sperimentali della relatività ristretta. Gli effetti sulle lunghezze e sugli intervalli di tempo sono normalmente osservati sia in natura sia nei laboratori, dove particelle sono spinte negli acceleratori a velocità vicine a quelle della luce. Una prima conferma fu ottenuta grazie all'esperimento di Bruno Rossi e David B. Hall ed è legata alla maggiore vita media dei pioni o dei muoni generati dai raggi cosmici nell'alta atmosfera terrestre: questi pioni e muoni esistono mediamente solo per circa 2 milionesimi di secondo, poi si trasformano in altre particelle. Muovendosi al 99% della velocità della luce, la distanza che dovrebbero percorrere si può calcolare in 300.000×0,99×2 milionesimi = 0,6 km. Quindi, percorrendo solo 600 metri, ed essendo prodotti nell'alta atmosfera, essi dovrebbero decadere prima di arrivare sulla superficie della terra. Nella realtà essi arrivano fino al livello del mare, cosa che viene interpretata come un aumento della loro vita media a causa dell'alta velocità: rispetto a un osservatore sulla superficie terrestre, la durata del loro stato stabile si allunga (perché il loro tempo scorre più lentamente), e sono quindi in grado di percorrere distanze più grandi di quelle attese. L'equivalenza tra massa ed energia è confermata dal difetto di massa: due particelle legate tra loro hanno una massa totale minore della somma delle stesse particelle libere; la differenza di massa è dovuta al fatto che le particelle appartengono allo stesso sistema cinetico: nel caso opposto entrambe sommano alla loro massa inerziale quella cinetica.

Torniamo ora al concetto di spaziotempo. 

Trattiamo del concetto di evento. In fisica, e in particolare nello studio della relatività, un evento indica un fenomeno fisico, localizzato in uno specifico punto dello spazio quadrimensionale. Per esempio, nell'esperienza sperimentabile da chiunque di prima mano:

  1. un bicchiere che cade a terra e si rompe in un determinato momento è un evento;
  2. un'eclisse osservabile ad occhio nudo è un evento.

Accadono in un unico posto in un determinato momento, in uno specifico sistema di riferimento. In senso stretto, la nozione di un evento è una idealizzazione astratta, nel senso che specifica un attimo definito ed un posto nello spazio, mentre la nozione comune di evento sembra avere un'estensione finita sia nel tempo che nello spazio. Uno degli obiettivi della relatività è di specificare la possibilità di come gli eventi si influenzino a vicenda. Questo è effettuato utilizzando un tensore metrico, che permette di determinare la struttura causale dello spaziotempo. La differenza (o l'intervallo) tra due eventi può essere classificata come separazione spaziale, temporale e/o luminare (fotonica). Per la meccanica relativistica sembra che solo se due eventi sono separati da intervalli spazio-temporali fotonici questi si possano influenzare l'un altro. In seguito allo sviluppo della meccanica quantistica questo presupposto è entrato in crisi ponendo le basi per una Teoria unificata del Tutto (o "Theory of Everything" in lingua inglese). La teoria della relatività generale afferma, inoltre, che lo spaziotempo viene più o meno incurvato dalla presenza di una massa; un'altra massa più piccola si muove allora come effetto di tale curvatura. Spesso, si raffigura la situazione come una palla che deforma un telo elastico teso con il suo peso, mentre un'altra pallina viene accelerata da questa deformazione del piano ed in pratica attratta dalla prima. Questa è solo una semplificazione alle dimensioni raffigurabili, in quanto ad essere deformato è lo spazio-tempo e non solo le dimensioni spaziali, cosa impossibile da raffigurare e difficile da concepire. L'unica situazione che riusciamo a raffigurare correttamente è quella di un universo a una dimensione spaziale ed una temporale. Un qualunque punto materiale è rappresentato da una linea (linea di universo), non da un punto, che fornisce la sua posizione per ogni istante: il fatto che sia fermo o in moto farà solo cambiare l'inclinazione di questa retta. Ora pensiamo di curvare tale universo usando la terza dimensione: quello che prima era la retta che descriveva un punto, ora è diventata una superficie. Su una superficie curva non vale la geometria euclidea, in particolare è possibile tracciare un triangolo i cui angoli sommati non forniscono 180º ed è anche possibile procedere sempre nella stessa direzione, ritornando dopo un certo tempo al punto di partenza. Ora affrontiamo un'altra questione: lo spaziotempo è quantizzato? La ricerca attuale è concentrata sulla natura dello spaziotempo alla scala di Planck. La teoria della gravitazione quantistica a loop, la teoria delle stringhe, il principio olografico e la termodinamica dei buchi neri predicono tutte uno spaziotempo quantizzato, con accordo sull'ordine di grandezza. La teoria della gravità a loop propone addirittura predizioni precise circa la geometria dello spaziotempo alla scala di Planck. La presenza di un quanto del tempo, il chronon, è stata proposta nel 1927. Le relative teorie, sviluppate successivamente, non ancora confermate, potrebbero aiutare il tentativo di unione tra quantistica e relatività.

Approfondiamo: Iperspazio e superspazio

Con il termine matematico iperspazio, introdotto nella letteratura matematica da Arthur Cayley nel 1867, si designa in genere uno spazio avente un numero di dimensioni geometriche superiore alle 3 dello spazio fisico: lo stesso spazio-tempo corrisponde ad un iperspazio a 4 dimensioni. Il termine è stato utilizzato anche nella narrativa fantascientifica come un artificio per poter aggirare il limite della velocità della luce nel comune spazio tridimensionale, e poter così effettuare un viaggio interstellare più veloce della luce, tipicamente a bordo di un'astronave. Albert Einstein, con la teoria della "Relatività ristretta", fu il primo fisico ad introdurre e rendere fisicamente 'palpabile' al grande pubblico un iperspazio a quattro dimensioni (x,y,z,t), inglobando il tempo 't' nel comune spazio tridimensionale (x,y,z) e creando il famoso spazio-tempo einsteiniano. Anche se a prima vista ciò può apparire un semplice artificio matematico-geometrico, esso è in realtà una tangibile entità, nel senso che con la nuova teoria la vecchia distanza tra due punti nello spazio assume ora un significato di distanza spazio-temporale unificata (non solo spazio, non solo tempo ma entrambi). Così il vecchio intervallo spaziale della fisica Newtoniana, ovvero quello che noi chiamiamo comunemente "distanza", viene rimpiazzato da un nuovo intervallo spazio-temporale: Einstein, postulando la costanza della velocità della luce in ogni condizione di moto relativo, giunse alla conclusione che in qualsiasi moto relativo tra due sistemi, come ad esempio la terra ed un'astronave in volo, l'intervallo I nello spazio quadridimensionale (x,y,z,t) si conserva. Il concetto di iperspazio inteso come artificio geometrico al fine di aggirare i limiti imposti dalla Relatività ristretta, si ritrova in nuce già nel racconto I sogni nella casa stregata (1933) di Howard Phillips Lovecraft, sebbene non vi compaiano astronavi, ma è compiutamente utilizzato e sviluppato l'anno seguente da Jack Williamson nel ciclo della Legione dello spazio. Essenzialmente l'idea proposta è che, sebbene due punti nello spazio a 3 dimensioni possano apparire molto distanti, gli stessi punti in un iperspazio con un numero superiore di dimensioni siano collegati da una traiettoria di lunghezza notevolmente più breve. Ossia, quella che appare come geodetica in 3 dimensioni, non è la vera geodetica nell'iperspazio. In tal modo, pur non oltrepassando la velocità della luce, sarebbe possibile percorrere in tempi ragionevoli grandi distanze. È chiaro che si tratta di un concetto in parte mutuato dalla relatività generale. Successivamente il termine iperspazio è stato usato nella fantascienza letteraria e cinematografica, ad esempio nella saga di Guerre stellari o anche nel ciclo della Fondazione di Isaac Asimov per indicare il tragitto di viaggio spaziale ad una velocità realmente superiore a quella della luce (300.000 km/s circa). In particolare l'iperspazio sarebbe il mezzo in cui si muovono i tachioni, la cui velocità non è mai inferiore a quella della luce e non ha limite verso l'alto. Si teorizza che tale spazio sia dotato di quattro dimensioni spaziali. 

Glossario: tachione

Il tachione (dal greco ταχύς tachýs, "veloce") è un'ipotetica particella avente massa immaginaria e velocità superiore a quella della luce. La prima descrizione teorico-concettuale è attribuita ad Arnold Sommerfeld, mentre tentativi di interpretazione all'interno della relatività ristretta furono compiuti da George Sudarshan nel 1962. Il termine "tachione" venne usato per la prima volta da Gerald Feinberg nel 1964. Nella ricerca fisica moderna il concetto compare in vari contesti, in particolare nella teoria delle stringhe e nella Teoria M. Il tachione viene spesso citato nella letteratura fantascientifica, sebbene di solito con proprietà non interamente corrispondenti a quelle scientifiche.

Il concetto di "superspazio" ha avuto due significati in fisica. La parola è stata usata la prima volta da John Archibald Wheeler per descrivere la configurazione spaziale della relatività generale, per esempio, tale uso può essere visto nel suo famoso libro di testo del 1973 dal titolo Gravitation. Il secondo significato si riferisce alle coordinate spaziali relative ad una teoria della supersimmetria. In tale formulazione, insieme alle dimensioni spazio ordinario x, y, z, ...., (dello spazio di Minkowski) ci sono anche le dimensioni "anticommutanti" le cui coordinate sono etichettate con i numeri di Grassmann; ovvero assieme alle dimensioni dello spazio di Minkowski che corrispondono a gradi di libertà bosonici, ci sono le dimensioni anticommutanti relative ai gradi di libertà fermionici.

Fisica Moderna

Spaziotempo di Minkowski

Lo spaziotempo di Minkowski (M4 o semplicemente M) è un modello matematico dello spaziotempo della relatività ristretta. Prende il nome dal suo creatore Hermann Minkowski. 

«Le concezioni di spazio e di tempo che desidero esporvi sono sorte dal terreno della fisica sperimentale, e in ciò sta la loro forza. Esse sono fondamentali. D'ora in poi lo spazio di per sé stesso o il tempo di per sé stesso sono condannati a svanire in pure ombre, e solo una specie di unione tra i due concetti conserverà una realtà indipendente.» 

 Hermann Minkowski

Fino all'epoca pre-einsteiniana lo spazio tridimensionale era tenuto ben distinto dal tempo ed entrambi erano considerati assoluti. I lavori di Jules-Henri Poincaré, Lorentz e, soprattutto, la relatività ristretta (1905) di Albert Einstein mostrarono invece un legame indissolubile fra spazio e tempo, ed entrambi i concetti persero il loro carattere assoluto. Prima di Einstein, l'universo poteva essere rappresentato da uno spazio euclideo tridimensionale R3, ovvero a 3 dimensioni, e la variabile temporale considerata indipendentemente da tale spazio. L'avvento della relatività speciale indusse però la necessità di creare una struttura matematica diversa e quadridimensionale, comprensiva delle relazioni fra spazio e tempo: questa struttura matematica, denotata con M4 o R1,3, fu introdotta nel 1907 da Hermann Minkowski. Lo spazio-tempo di Minkowski fornisce un semplice modello "locale" per la relatività ristretta. Non è tuttavia utilizzabile per descrivere l'universo nel suo complesso: la relatività generale (1915), incorporando la forza di gravità, descrive infatti l'intero spazio-tempo come "curvo" (cioè una varietà), di cui lo spazio-tempo di Minkowski è soltanto la versione "puntuale" o "piatta", cui si può ricorrere per approssimare lo spazio-tempo curvo nell'intorno di un evento. Come in ogni modello di spazio-tempo, ogni punto dello spazio ha quattro coordinate {\displaystyle (x,y,z,t)}, tre delle quali rappresentano un punto dello spazio, e la quarta un preciso momento temporale: intuitivamente, ciascun punto rappresenta quindi un evento, un fatto accaduto in un preciso luogo in un preciso istante. Il movimento di un oggetto puntiforme è quindi descritto da una curva, con coordinata temporale crescente, detto linea di universo. Poiché d^2 può assumere valori negativi, la separazione spazio-temporale non è un'usuale distanza. I vettori di tipo luce uscenti da P formano il cosiddetto cono di luce centrato in P. Dato che la rappresentazione in quattro dimensioni risulta essere graficamente difficile, nelle descrizioni si usa abbandonare per semplicità una o due coordinate spaziali, rappresentando ad esempio il sistema bidimensionale x,t o tridimensionale x,y,t. Nella descrizione tridimensionale, il cono di luce è effettivamente un (doppio) cono, uscente da P. Fissando l'origine in P, il cono di luce nel sistema tridimensionale è formato da tutti i punti x,y,t tali che -c^2t^2+x^2+y^2=0, ovvero

Tempo nella geologia

Il concetto di tempo in geologia è un argomento complesso in quanto non è quasi mai possibile determinare l'età esatta di un corpo geologico o di un fossile. Molto spesso le età sono relative (prima di..., dopo la comparsa di...) o presentano un margine di incertezza, che cresce con l'aumentare dell'età dell'oggetto. Sin dagli albori della geologia e della paleontologia si è preferito organizzare il tempo in funzione degli organismi che hanno popolato la Terra durante la sua storia: il tempo geologico ha pertanto struttura gerarchica e la gerarchia rappresenta l'entità del cambiamento nel contenuto fossilifero tra un'età e la successiva. Solo nella seconda metà del XX secolo, con la comprensione dei meccanismi che regolano la radioattività, si è incominciato a determinare fisicamente l'età delle rocce. La precisione massima ottenibile non potrà mai scendere al di sotto di un certo limite in quanto i processi di decadimento atomico sono processi stocastici e legati al numero di atomi radioattivi presenti all'interno della roccia nel momento della sua formazione. Le migliori datazioni possibili si attestano sull'ordine delle centinaia di migliaia di anni per le rocce con le più antiche testimonianze di vita (nel Precambriano) mentre possono arrivare a precisioni dell'ordine di qualche mese per rocce molto recenti. Un'ulteriore complicazione è legata al fatto che molto spesso si confonde il tempo geologico con le rocce che lo rappresentano. Il tempo geologico è un'astrazione, mentre la successione degli eventi registrata nelle rocce ne rappresenta la reale manifestazione. Esistono pertanto due scale per rappresentare il tempo geologico, la prima è la scala geocronologica, la seconda è la scala cronostratigrafica. In prima approssimazione comunque, le due scale coincidono e sono intercambiabili.

Percezione del tempo

La concezione filosofica del tempo, così come dello spazio, oltre a fornire un modello interpretativo dei fenomeni studiati dalla fisica e dalla scienza, si carica di significati spirituali, religiosi e psicologici, a seconda del contesto storico e culturale. Sul piano filosofico, si possono rilevare due modi diversi di considerare il tempo: nell'antica Grecia si distingueva il suo aspetto quantitativo, inteso come misurazione matematica, denominato chrònos, dal tempo qualitativo o kairós, associato cioè ad un determinato valore o archetipo. 

«Il tempo non possiede soltanto una quantità, ma anche una qualità. Oggi però quasi nessuno riesce a farsi un'idea seppur vaga della qualità del tempo. Nei tempi passati avveniva esattamente l'opposto. Allora si considerava in prima istanza la qualità del tempo e si tralasciava piuttosto la sua quantità. La qualità del tempo non ha niente a che vedere con la durata, ma afferma che ogni punto del tempo, o sezione del tempo (può essere un'ora, un secondo o un decennio), possiede una determinata qualità, che consente che emergano solo quei fatti che sono adeguati a questa qualità. Espresso in altri termini, questo significa che in quel determinato momento possono realizzarsi soltanto quei fatti i cui contenuti qualitativi corrispondono alla rispettiva qualità del tempo.» 

Thorwald Dethlefsen

Questa concezione qualitativa consentiva una comprensione del tempo basata sul principio di analogia, cioè sulla somiglianza analogica tra un determinato periodo di tempo ed un modello di riferimento, grazie al quale poterlo interpretare. La capacità di associare il tempo ad una precisa qualità, su cui si fondavano antiche scienze sapienziali come l'astrologia, la magia, la medicina, era attribuita soprattutto ai sapienti e ai sacerdoti, ritenuti in grado di leggere i segni dei tempi. Essi si basavano ad esempio sull'esame delle viscere animali, sul volo degli uccelli, o sulla posizione dei pianeti in un dato momento: associando le informazioni ottenute ai principi corrispondenti, si ricavava l'oroscopo, che significa propriamente «guardare nell'ora». Un'eredità di questa attribuzione analogica la si può ritrovare nell'odierna denominazione dei giorni della settimana, ognuno dei quali era associato, in base alla sua specifica qualità temporale, a un diverso pianeta: il principio della Luna, ad esempio, espressione del lato materno e inconscio della realtà, al lunedì, quello di Marte col suo spirito guerriero al martedì, e via dicendo. Poiché la corrispondenza astrologica tra macrocosmo e microcosmo valeva anche sul piano temporale, ogni istante poteva contenere e riassumere in sé l'eternità intera; soprattutto il momento iniziale di un accadimento era considerato il più importante, come un seme contenente in sé l'intera pianta. Da qui la consapevolezza di dover cominciare un'attività nel momento opportuno (kairos), ossia corrispondente alla qualità del risultato che si desiderava ottenere, come una vittoria militare, la buona riuscita di un matrimonio, il successo di un'impresa economica. L'abitudine di consultare gli astri prima di iniziare un'attività divenne prevalente soprattutto nel Rinascimento. Un corrispettivo odierno del termine kairos, utilizzato nell'ambito della psicologia analitica, è quello di sincronicità,[9] con cui Jung designava la reciproca influenza o interazione tra due eventi, che non è da intendere in senso causale, né come un agire materialmente dell'uno sull'altro, ma è dovuta al fatto che entrambi hanno avuto origine da uno stesso contesto, o sono stati sintonizzati su una stessa lunghezza d'onda. Per spiegare i fenomeni di risonanza o di vibrazione all'unisono, Rupert Sheldrake ha formulato la teoria del «campo morfico», ossia di uno spazio e di un tempo dotati di una specifica frequenza vibratoria, in grado di influenzare gli esseri viventi determinandone la forma e il comportamento, in una maniera non riconducibile ad un mero meccanicismo. Analoghe interpretazioni sono state proposte riguardo al paradosso della fisica quantistica noto come entanglement. Mentre il tempo qualitativo risulta dunque legato all'esperienza, nel tentativo di comprenderla e interpretarla, quello quantitativo risponde invece alla necessità di ottimizzare il tempo a disposizione, e dipende generalmente dall'organizzazione economica: astratto e frazionabile, viene visto come un'entità lineare e misurabile, mentre quello qualitativo, essendo basato su modelli perenni ed atemporali, tendenti a riproporsi nel corso della storia, è proprio di una visione ciclica. Quest'ultima tuttavia, combinandosi con una prospettiva retta e progressiva della storia, può dare luogo a una spirale. Il tempo può quindi essere concepito secondo tre modelli: ciclico, lineare, a spirale. Il tempo ciclico o concezione circolare vede l'universo come un continuo prodursi e disfarsi, in sequenza eterna ed infinita. Nella civiltà greca (come in quella romana), il tempo è vissuto come ordine misurabile del movimento, ossia come misura del perdurare delle cose mutevoli e come ritmica successione delle fasi in cui si svolge il divenire della natura. In questa cultura, troviamo una visione antropomorfica della mitologia classica e una visione naturalistica della religiosità orfico-misterica. Ne deriva un'elaborazione di teologia della storia su un duplice piano:

  • l'uno riguardante la struttura della narrazione
  • l'altro concernente la ripetitività degli eventi

Dalla visione antropomorfica della mitologia classica deriva la continuità degli eventi tra la storia degli dèi e quella degli uomini. Tale continuità viene garantita dalla figura dell'eroe prodotta dal connubio tra perfezione e immortalità divina e imperfezione e mortalità umana. La storia degli dèi rispecchia, anticipa e spiega la storia degli uomini, ma viene costruita a partire da quest'ultima. Dalla visione naturalistica della religiosità orfico-misterica si evince l'idea del ciclo come perenne ritorno in senso naturalistico, dove si stabilisce un'alternanza tra vita e morte, progresso e decadenza, fortuna e disgrazia. Il tempo, quindi, sempre si ripete e sempre è succube del fato, elemento essenziale di questa concezione temporale. Il tempo non può essere altro che la ruota in cui tutti gli esseri eternamente rinascono, muoiono e si ricompongono allo stato originale, come descrivono le mitologie orientali. Il tempo ciclico è un concetto cardine della filosofia indiana e della filosofia buddhista, con i concetti di saṃsāra, che solo il nirvana può spezzare, quello di kalachakra e quello dei kalpa o eoni, periodi di miliardi di miliardi di anni, divisi in yuga, equivalenti pressappoco alle quattro età (età dell'oro, dell'argento, del bronzo/rame e del ferro) della mitologia greca. L'idea del tempo ciclico era presente anche nell'antica Persia. Fondata sulla ciclicità delle "ère cosmiche" era pure la concezione del tempo presso le civiltà precolombiane d'America, i Maya e gli Aztechi. Il tempo ciclico nella storia umana, con involuzioni ed evoluzioni venne, con riferimento ai regimi politici, descritto da Polibio, sulla scia di Platone. Il concetto dei "corsi e ricorsi" (e quindi di tempo ciclico) venne espresso da Giambattista Vico. Esempio di ciclicità vichiana della storia può essere l'alternanza di periodi parlamentari (democrazia greca, repubblica romana, comuni, regni costituzionali, democrazie) e imperiali (i re di Roma, l'Impero romano, le signorie, il fascismo). Altro esempio, in campo economico, è l'alternanza di periodi di espansione economica e periodi di crisi. Ogni attimo è allo stesso tempo unico, ma non irripetibile in senso assoluto. La fisica novecentesca ha individuato i principi della relatività, scoprendo come il tempo sia una dimensione relativa, in rapporto ad altri parametri, come la velocità. La storia della società basata sullo stato, definibile come: universo strutturale statuale, analizzata col metodo scientifico, appare come un andamento ciclico e, dunque, il tempo storico non può più essere considerato come una entità lineare, ma occorre analizzarlo tenendo presente che si manifesta come una evoluzione curvilinea, con andamento ciclico. In tal modo, gli eventi che si susseguono nel corso delle varie generazioni umane, posti su un diagramma cartesiano, assumono un andamento ben preciso (in rapporto a precisi parametri di progresso, o regresso, in termini di: libertà sociali e politiche, benessere economico e sociale, nonché di incentivazioni, o disincentivazioni, del progresso scientifico), nel rapporto tra: il tempo cronologico ed il tempo storico, ove la valenza (ossia, il livello di progresso, o di regresso) di quest'ultimo sarà visibile sull'asse delle ordinate. La nascita della società basata sullo stato, definibile come universo strutturale statuale, e gli eventi sociopolitici ed economici, sono determinati da agenti causali ben distanti dalla volontà cosciente dei popoli, delle loro classi dirigenti e dei leader che ne emergono, i quali, con scelte arbitrarie (i cui effetti sono loro del tutto ignoti, anche quando venga raggiunto l'obiettivo prestabilito, o proclamato) possono, solo per breve tempo, influenzare l'andamento, e la velocità, del tempo storico stesso. Analizzata in tal modo, la storia, da pura agiografia, assume la valenza di una scienza prognostica, ossia, capace di far conoscere, in anticipo, il futuro, e può far individuare quali siano le prospettive reali dell'umanità, e quelle di vaste regioni del globo, così come quelle di specifiche unità statali. L'universo strutturale statuale, si evolve in modo ciclico, con due fasi ben distinte ed individuabili: la fase mercantile (o società aperta) e la fase feudale (o società chiusa). Appare possibile analizzare, in dettaglio, le caratteristiche di ciascuna delle due fasi del predetto universo strutturale statuale, con le sue partizioni, ossia: i sistemi sociali, i momenti di transizione tra un sistema sociale e l'altro, (la cui durata può essere anche di più secoli) nonché i momenti di transizione tra l'una e l'altra fase dei vari cicli storici, che si sono succeduti (innumerevoli volte, specie in alcune regioni del globo), da quando esiste l'universo strutturale statuale. Ciascun sistema sociale (o periodo di transizione tra un sistema consolidato e l'altro) si caratterizza con alcuni, specifici, regimi politici, i quali, a loro volta, possono manifestarsi in una certa variabilità di poteri concreti, che sono distinguibili per la diversità di: ideologie, programmi proclamati e parole d'ordine. Da un punto di vista prettamente scientifico, nella logica e nella fisica newtoniana classica, appare privo di fondamento, anche se è da considerare che non sia completamente impossibile a livello teorico, per la legge di Lavoisier che rende eterna la materia e la massa (sebbene non renda eterni i suoi stati di aggregazione); comunque si fanno delle obiezioni alla teoria, per cui sarebbe:

  • logicamente ascientifico, ovvero si basa su un'induzione che procede dal particolare all'universale: "la maggior parte dei fenomeni naturali procede esclusivamente in maniera ciclica (es. le stagioni, la nascita e morte degli uomini etc.), la storia dell'umanità è un fenomeno naturale, dunque la storia dell'umanità progredisce esclusivamente in maniera ciclica", ed è praticamente lo stesso modo col quale ragiona il tacchino induttivista di Bertrand Russell;
  • fisicamente ascientifico, in quanto la meccanica statistica di Ludwig Boltzmann dimostra l'irreversibilità dei processi termodinamici, sostenendo che l'entropia nell'universo aumenta progressivamente per quanto riguarda la materia inorganica, mentre nella vita l'entropia progredisce negativamente (negentropia), e da ciò ne consegue che la materia vivente e/o il suo dominio intellettuale (la tecnologia) è predisposta ad avere uno sviluppo progressivo (per quanto complesso e non privo di contraddizioni e reflussi).

La fisica quantistica e quella della relatività di Einstein, invece, non escludono completamente una tale ipotesi, pur formulandola a volte come "concezione a spirale", anche se molti scienziati la contestano. Esempio è la concezione del multiverso o la teoria del Big Bounce prevede invece che tutto possa ripartire. Tuttavia, molti pensano che l'universo conosciuto non sia affatto infinito ed eterno, ma che il tempo, almeno dal punto di vista teorico, possa esserlo, essendo una costante fisica, e ripetendosi in istanti "congelati", come è osservabile nel tempo "fermo" dei buchi neri. Il passato e il futuro sarebbero quindi solo mere esperienze sensibili ma non assolute. La teoria del multiverso, nella teoria delle bolle e in quella della teoria delle stringhe, ammette centinaia di migliaia di universi, teoricamente infiniti, con leggi fisiche forse diverse, in cui il tempo possa ripartire. Alla teoria delle bolle si affianca anche quella delle stringhe, sempre nell'ambito degli universi paralleli ed infiniti, e la teoria collegata dell'universo che rimbalza o "pulsa" (grazie all'energia derivata dalla collisione delle brane e delle stringhe), tra Big Bang e Big Crunch, come nella cosmologia teorica e filosofica degli antichi stoici. Nel contesto biblico e coranico è introdotta la concezione del tempo procedente a senso unico, dove lo svolgimento storico dell'umanità è irreversibile, senza possibilità di ritorno e con una serie di istanze nelle quali le libere decisioni dell'uomo, con il loro apporto di male o di bene, sono destinate a rimanere tali per tutta l'eternità. Alternativa alla concezione del tempo come ripetizione, ma anche a quella che vede il tempo come progresso, troviamo la concezione secondo cui il tempo segue determinate fasi per una legge eterna che lo governa e lo governerà necessariamente, ma, tali ripetizioni si differenziano dall'essere cicliche dal momento che si conducono comunque verso un progredire (come dire che il tempo segue dei semicicli progressivi). In questo si ritrova lo schema tesi-antitesi-sintesi di Hegel (quindi anche dell'Hegelismo) e di Marx (quindi anche del Marxismo e del Comunismo). Questa concezione tenta di coniugare il tempo ciclico e il tempo lineare.


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