Le supernovae

Le supernovae (o supernove) sono le esplosioni più energetiche dell'universo: possono essere più luminose di intere galassie. Nell'antichità, apparivano come brillantissime luci nel cielo, che gli antichi chiamavano novae, ovvero "nuove", intendendo "stelle nuove". Oggi l'appellativo di novae si riferisce a esplosioni di minore entità, dovute all'accumulo di idrogeno sulla superficie di una nana bianca, che non può avere una massa superiore a 1,44 volte quella del Sole. Il prefisso "super" viene aggiunto per riferirsi a esplosioni provocate dalla morte di stelle gigantesche, assai più massive. Tali eventi sono ciò che chiamiamo supernovae. Seguici su Eagle sera per saperne di più. 


Le supernovae

Una supernova (plurale supernove, in latino supernovae; abbreviata come SN o SNe) è un'esplosione stellare più energetica di quella di una nova. Le supernove sono molto luminose e causano una emissione di radiazione che può per brevi periodi superare quella di una intera galassia. Durante un intervallo di tempo che può andare da qualche settimana a qualche mese, una supernova emette tanta energia quanta è previsto che ne emetta il Sole durante la sua intera esistenza e, per una quindicina di secondi, raggiunge una temperatura di cento miliardi di Kelvin, ma perché ciò avvenga, la stella deve avere una massa almeno nove volte superiore a quella del nostro Sole. L'esplosione espelle la maggior parte o tutto il materiale che costituisce la stella a velocità che possono arrivare a 30 000 km/s (10% della velocità della luce), producendo un'onda d'urto che si diffonde nel mezzo interstellare. Ciò si traduce in una bolla di gas in espansione che viene chiamata resto di supernova. Il termine nova, che significa "nuova" in latino, si riferisce a ciò che appare essere una nuova stella brillante nella volta celeste. Il prefisso "super-" distingue le supernove dalle nove ordinarie che sono molto meno luminose. La parola supernova fu utilizzata per la prima volta da Walter Baade e Fritz Zwicky nel 1931. Le supernove possono essere innescate in due modi: o tramite la riaccensione improvvisa dei processi di fusione nucleare in una stella degenere o tramite il collasso del nucleo di una stella massiccia. Nonostante nessuna supernova sia stata osservata nella Via Lattea da SN 1604, i resti di supernova esistenti indicano che eventi di questo tipo occorrono mediamente circa tre volte ogni secolo nella nostra galassia. Essi giocano un ruolo significativo nell'arricchimento del mezzo interstellare di elementi chimici pesanti. Inoltre, la bolla di gas in espansione creata dall'esplosione può portare alla formazione di nuove stelle. L'interesse di Ipparco di Nicea per le stelle fisse potrebbe essere stato ispirato dall'osservazione di una supernova, almeno secondo quanto riferisce Plinio il Vecchio. La prima testimonianza scritta di una supernova riguarda SN 185, che fu osservata dagli astronomi cinesi nel 185 d.C.. La supernova più brillante di cui si abbia notizia è SN 1006, che fu dettagliatamente descritta da astronomi cinesi e islamici. La supernova SN 1054, anch'essa minuziosamente osservata, risultò nella Nebulosa Granchio. Le supernove SN 1572 e SN 1604, le ultime a essere state osservate nella Via Lattea, ebbero un notevole impatto sullo sviluppo delle teorie astronomiche in Europa perché esse dimostrarono che l'idea aristotelica che il cielo stellato fosse qualcosa di immutabile non era corretta[14]. Giovanni Keplero iniziò ad osservare SN 1604 il 17 ottobre 1604: era la seconda supernova osservabile durante la sua generazione, dopo che SN 1572 era stata osservata da Tycho Brahe in direzione della costellazione di Cassiopea. Dopo il miglioramento delle tecniche di costruzione dei telescopi, si cominciò ad osservare supernove appartenenti ad altre galassie, a cominciare dal 1885, quando S Andromedae fu osservata nella galassia di Andromeda. Il nome super-nova fu usato per la prima volta nel 1931 da Walter Baade e Fritz Zwicky durante una conferenza tenuta al Caltech e poi nel 1933 durante un congresso della American Physical Society. Nel 1938 il trattino fu lasciato cadere e il nome moderno cominciò ad essere utilizzato. Poiché le supernove sono eventi relativamente rari, perfino all'interno di una intera galassia (per esempio all'interno della Via Lattea ne occorre uno ogni 30 anni circa), per raccogliere un numero di campioni sufficientemente ampio è necessario monitorare un numero elevato di galassie. Una supernova non può essere predetta con sufficiente margine di accuratezza. Di solito, quando sono scoperte, l'esplosione è già in corso. Molti degli interessi scientifici che le supernove rivestono - per esempio, come candele standard per la misurazione delle distanze - richiedono che venga osservato il picco di luminosità. È perciò importante cominciare ad osservare la supernova prima che essa raggiunga il picco. Gli astronomi non professionisti, essendo in numero molto maggiore rispetto a quelli professionisti, giocano un ruolo importante nella scoperta precoce delle supernove, soprattutto mediante l'osservazione di galassie vicine mediante telescopi ottici e mediante il confronto con immagini pregresse. Verso la fine del novecento gli astronomi hanno cominciato a utilizzare sempre più massicciamente telescopi e CCD controllati da computer per rilevare le supernove. Anche se questi sistemi sono popolari presso gli astronomi dilettanti, esistono anche installazioni professionali come il Katzman Automatic Imaging Telescope. Il Supernova Early Warning System (SNEWS) è invece una rete di rilevatori di neutrini progettata per dare un avviso precoce di una supernova nella nostra galassia. I neutrini sono particelle subatomiche che vengono prodotte in modo massiccio durante l'esplosione di una supernova e che, non interagendo in maniera significativa con il mezzo interstellare, arrivano sulla Terra in grande quantità. Alcuni studi precoci su quella che era allora creduta essere semplicemente una nuova categoria di novae furono condotti negli anni trenta da Walter Baade e Fritz Zwicky presso l'osservatorio di Monte Wilson. Gli astronomi americani Rudolph Minkowski e Fritz Zwicky dal 1941 cominciarono a sviluppare lo schema della moderna classificazione delle supernove. Durante il XX secolo sono stati elaborati modelli per i differenti tipi di supernove osservabili e la comprensione della loro importanza nei processi di formazione stellare sta crescendo. Negli anni sessanta gli astronomi scoprirono che le esplosioni delle supernove potevano essere utilizzate come candele standard, utilizzabili come indicatrici di distanze astronomiche. In particolare le supernove forniscono importanti informazioni sulle distanze cosmologiche. Alcune delle supernove più distanti osservate recentemente appaiono più deboli di quanto ci si aspetterebbe. Ciò supporta l'ipotesi che l'espansione dell'universo stia accelerando. Per ricostruire le date in cui sono avvenute le supernove di cui non si hanno testimonianze scritte sono state sviluppate diverse tecniche: la data di Cassiopeia A è stata determinata dalla eco luminosa prodotta dall'esplosione mentre l'età del resto di supernova RX J0852.0-4622 è stata stimata mediante misurazioni relative alla sua temperatura e all'emissione di raggi gamma prodotti dal decadimento del titanio-44. Nel 2009 nei ghiacci antartici sono stati scoperti nitrati il cui deposito è avvenuto in corrispondenza della comparsa di supernove passate[32][33]. I programmi di ricerca per le supernove sono di due tipi: i primi sono rivolti a eventi relativamente vicini, i secondi a eventi più lontani. A causa dell'espansione dell'universo la distanza di oggetti remoti può essere conosciuta misurando l'effetto Doppler esibito dal loro spettro (ossia il loro spostamento verso il rosso): in media gli oggetti più distanti recedono a velocità maggiori e quindi hanno un maggiore spostamento verso il rosso. La ricerca quindi si divide fra supernove a grande o piccolo spostamento verso il rosso; la divisione fra queste due classi cade più o meno nella fascia di spostamento compresa fra z = 0,1-0,3. La ricerca sulle supernove a grande spostamento verso il rosso si concentra solitamente sulla descrizione delle loro curve di luce; esse sono utili come candele standard al fine di fare predizioni di carattere cosmologico. Per l'analisi dello spettro di una supernova è invece più utile rivolgere la propria attenzione alle supernove a piccolo spostamento verso il rosso. Queste ultime risultano importanti anche per descrivere la parte vicina all'origine del diagramma di Hubble, che mette in relazione lo spostamento verso il rosso con la distanza delle galassie visibili. La scoperta di una nuova supernova viene comunicata al Central Bureau for Astronomical Telegrams della Unione Astronomica Internazionale che provvede a diffondere una circolare in cui le viene assegnato un nome. Esso è composto dalla sigla SN seguita dall'anno della scoperta e da un suffisso di una o due lettere. Le prime 26 supernove dell'anno ricevono le lettere maiuscole dalla A alla Z; quelle successive sono designate mediante suffissi di due lettere minuscole: aa, ab, e così via. Per esempio, SN 2003C designa la terza supernova annunciata nell'anno 2003. L'ultima supernova del 2012 è stata SN 2012ik, cioè è stata la 245ª ad essere scoperta. Dal 2000 gli astronomi professionisti e dilettanti hanno scoperto centinaia di supernove ogni anno (390 nel 2009, 341 nel 2010, 290 nel 2011). Le supernove osservate in epoche storiche non hanno suffisso, ma sono seguite solo dall'anno della scoperta: SN 185, SN 1006, SN 1054, SN 1572 (chiamata Nova di Tycho) e SN 1604 (stella di Keplero). Dal 1885 viene aggiunta una lettera alla notazione, anche se è stata osservata una sola supernova in quell'anno (per esempio, SN 1885A, SN 1907A, ecc.). Prima del 1987 raramente erano necessari suffissi di due lettere, ma dal 1988 essi sono sempre stati necessari. Le supernove sono state classificate sulla base delle caratteristiche della loro curva di luce e delle linee di assorbimento dei diversi elementi chimici che appaiono nei loro spettri. Una prima divisione viene effettuata sulla base della presenza o dell'assenza delle linee dell'idrogeno. Se lo spettro della supernova presenta tali linee (chiamate serie di Balmer nella porzione visibile dello spettro), essa viene classificata come di Tipo II; altrimenti è di Tipo I. Ognuna di queste due classi è a sua volta suddivisa in base alla presenza di altri elementi chimici o alla forma della curva di luce (cioè del grafico che rappresenta la magnitudine apparente dell'oggetto in funzione del tempo). Le supernove di Tipo I sono suddivise in base ai loro spettri: le supernove di tipo I-A mostrano le linee di assorbimento del silicio nei loro spettri, quelle di tipo I-B e I-C no. Le supernove di Tipo I-B esibiscono evidenti linee dell'elio neutro, contrariamente a quelle Tipo I-C. Le curve di luce sono simili, sebbene quelle di tipo Ia siano più luminose al loro picco. In ogni caso, la curva di luce non viene considerata un fattore importante nella classificazione delle supernove di tipo I. Un piccolo numero di supernove di Tipo I-A mostra caratteristiche non comuni come luminosità differenti da quelle delle altre supernove della loro classe o curve di luce allungate. Di solito, ci si riferisce a queste supernove collegandole al primo esemplare che ha manifestato delle anomalie. Per esempio, la supernova SN 2008ha, meno luminosa del normale, è classificata come di tipo SN 2002cx, dato che quest'ultima supernova è stata la prima, fra quelle osservate, a presentare queste caratteristiche. Anche le supernove di Tipo II possono essere suddivise in ragione dei loro spettri. La maggior parte di esse, infatti, mostra linee di emissione dell'idrogeno molto allargate, indicanti velocità di espansione molto elevate, dell'ordine di migliaia di chilometri al secondo; alcune, invece, come SN 2005gl, possiedono spettri aventi linee dell'idrogeno sottili e vengono chiamate supernove di Tipo IIn, dove n abbrevia la parola inglese narrow, che significa "stretto". Quelle che hanno linee dell'idrogeno allargate sono a loro volta suddivise sulla base della loro curva di luce. Quelle di tipo più comune hanno un caratteristico appiattimento della curva, poco dopo il picco; ciò sta a indicare che la loro luminosità resta quasi invariata per alcuni mesi prima di declinare definitivamente. Queste supernove sono designate con la sigla II-P, dove P abbrevia la parola plateau, che significa "altopiano". Meno comunemente le supernove con linee dell'idrogeno allargate mostrano un costante declino della luminosità dopo il picco. Esse sono designate con la sigla II-L, dove L abbrevia la parola linear, sebbene la curva di luce non sia in realtà una linea retta. Una piccola porzione delle supernove di Tipo II, come SN 1987K e SN 1993J, può cambiare il proprio tipo: esse mostrano, cioè, inizialmente linee dell'idrogeno, ma dopo qualche settimana o mese il loro spettro è dominato dall'elio. Il termine Tipo IIb viene utilizzato per designare queste supernove dato che esse combinano caratteristiche proprie delle supernove di Tipo II e di quelle di Tipo Ib. Alcune supernove, non riconducibili a nessuna delle classi precedenti, vengono designate con la sigla pec, abbreviazione di peculiar, che significa "strano", "insolito". La nomenclatura descritta sopra ha carattere solo tassonomico e descrive solo proprietà della luce emessa dalle supernove, non le loro cause. Ad esempio, le supernove di tipo I hanno progenitori differenti: quelle di tipo Ia sono prodotte dall'accrescimento di materiale su una nana bianca, mentre quelle di tipo Ib/c sono prodotte dal collasso del nucleo di massicce stelle di Wolf-Rayet. I paragrafi seguenti descrivono i modelli scientifici delle più plausibili cause di una supernova. Una nana bianca può ricevere materiale da una compagna mediante accrescimento o mediante fusione delle due componenti. La quantità di materiale ricevuto può essere tale da innalzare la temperatura del suo nucleo fino al punto di fusione del carbonio. A questo punto si innesca un runaway termico che disgrega completamente la nana bianca. Nella maggior parte dei casi il processo avviene mediante il lento accrescimento della nana bianca da parte di materiale costituito per lo più da idrogeno e in minima parte da elio. Siccome il punto di fusione è raggiunto da stelle aventi una massa quasi identica e una composizione chimica molto simile, le supernove di tipo Ia hanno proprietà molto simili e vengono utilizzate come candele standard per misurare distanze intergalattiche. È tuttavia spesso richiesto un qualche tipo di correzione che tenga conto delle anomalie nello spettro dovute al grande spostamento verso il rosso delle supernove più distanti o delle piccole variazioni di luminosità identificabili dalla forma della curva di luce o dallo spettro. Ci sono diversi modi in cui una supernova di questo tipo può formarsi, ma essi condividono il medesimo meccanismo di base. Se una nana bianca al carbonio-ossigeno accresce sufficiente materiale da raggiungere il limite di Chandrasekhar di 1,44 M☉, così da non essere più in grado mantenere il suo equilibrio termodinamico mediante la pressione degli elettroni degenerati, essa comincerà a collassare. Tuttavia le teorie attuali sostengono che in realtà il limite non viene mai raggiunto nei casi standard: il nucleo, infatti, giunge a condizioni di temperatura e densità sufficienti a innescare la detonazione del carbonio quando viene raggiunto il 99% del limite di Chandrasekhar e pertanto prima che il collasso abbia inizio. In pochi secondi, una frazione sostanziale della materia che costituisce la nana bianca viene fusa, liberando abbastanza energia (1-2 × 1044 joule da disgregare la stella in una supernova. Viene prodotta un'onda d'urto che si propaga a velocità dell'ordine di 5.000-20.000 km/s, circa il 3% della velocità della luce. Inoltre la luminosità della stella aumenta enormemente, raggiungendo la magnitudine assoluta −19,3 (5 miliardi di volte la luminosità del Sole), con piccole variazioni da una supernova all'altra. Ciò permette di utilizzare queste supernove come candele standard secondarie per misurare le distanze intergalattiche. Il modello per la formazione di questa categoria di supernove prevede un sistema binario stretto in cui la più la massiccia delle due componenti si sia evoluta fuoriuscendo dalla sequenza principale e diventando una gigante[58]. Ciò comporta che le due stelle condividano lo stesso inviluppo di gas, con un conseguente decadimento dell'orbita. La stella gigante perde a questo punto la maggior parte dei suoi strati superficiali, il che lascia scoperto il suo nucleo, composto principalmente di carbonio e ossigeno. La stella si è così trasformata in una nana bianca. L'altra stella in un secondo momento evolve anch'essa diventando a sua volta una stella gigante. Data la vicinanza fra le due componenti, parte del gas della gigante viene trasferito alla nana bianca, incrementando la sua massa. Sebbene questo modello generale sia ampiamente accettato, i dettagli esatti circa l'innesco del carbonio e circa gli elementi pesanti prodotti nell'esplosione non sono ancora chiari. Le supernove di Tipo Ia seguono una caratteristica curva di luce - il grafico che mostra la luminosità in funzione del tempo - dopo l'esplosione. La luminosità viene prodotta dal decadimento radioattivo del nichel-56 in cobalto-56 e di questo in ferro-56. Un altro modello per la formazione delle supernove di Tipo Ia è costituito dalla fusione di due nane bianche, la cui massa combinata supera il limite di Chandrasekhar. Le esplosioni prodotte da questo meccanismo di formazione sono molto differenti fra loro e in alcuni casi esso non conduce nemmeno alla formazione di una supernova, ma si assume che, quando una supernova viene prodotta, essa sia meno luminosa ma abbia una curva di luce più allungata rispetto alle supernove di Tipo Ia causate dal meccanismo standard. Supernove di Tipo Ia eccezionalmente luminose possono verificarsi quando la nana bianca ha una massa superiore al limite di Chandrasekhar. Quando ciò si verifica l'esplosione è asimmetrica[64] ma il materiale espulso ha una energia cinetica minore. Non esiste alcuna classificazione formale per le supernove di Tipo Ia non standard. Una supernova di tipo Ia è una tipologia di supernova originata dall'esplosione di una nana bianca. Una nana bianca è ciò che resta di una stella di massa medio-piccola che ha completato il suo ciclo vitale e al cui interno la fusione nucleare è cessata; tuttavia, le nane bianche al carbonio-ossigeno, le più comuni dell'Universo, sono in grado, se le loro temperature salgono a sufficienza, di far perdurare le reazioni di fusione, che rilasciano una gran quantità di energia. Da un punto di vista fisico, le nane bianche a lenta rotazione possiedono una massa limite, definita limite di Chandrasekhar, che equivale a circa 1,44 masse solari (M☉). In un secondo momento anche la componente secondaria inizia ad affrontare la fase post-sequenza principale, espandendosi in gigante rossa e inglobando la nana bianca. In questa fase, le due stelle condividono nuovamente un comune involucro gassoso e continuano ad avvicinarsi man mano che perdono momento angolare; il risultato sarà un'orbita così stretta che essa potrà essere completata in poche ore. Durante questa fase si attivano dei meccanismi di trasferimento di massa dalla gigante verso la nana bianca; se questo meccanismo dura per un tempo sufficiente, la nana bianca può avvicinarsi alla massa limite di Chandrasekhar, pari a circa 1,44 M☉. La durata del trasferimento di materia dalla secondaria alla nana bianca può durare per alcuni milioni di anni (durante i quali può andare incontro a ripetute esplosioni di nova) prima che si raggiungano le condizioni idonee all'esplosione in supernova di tipo Ia. Questa è la massa più elevata che può essere supportata dalla pressione esercitata dagli elettroni degenerati; oltre questo limite le nane bianche tendono a collassare. Se una nana bianca aumenta gradualmente la propria massa accrescendola da una compagna in un sistema binario, si ritiene che, nel momento in cui si approssima al limite, il suo nucleo possa raggiungere la temperatura richiesta per la fusione del carbonio. Se la nana bianca si fonde poi con un'altra stella (un evento in realtà molto raro), essa potrebbe persino superare il limite e iniziare a collassare, riaumentando la temperatura fino al punto di fusione. In un secondo momento anche la componente secondaria inizia ad affrontare la fase post-sequenza principale, espandendosi in gigante rossa e inglobando la nana bianca. In questa fase, le due stelle condividono nuovamente un comune involucro gassoso e continuano ad avvicinarsi man mano che perdono momento angolare; il risultato sarà un'orbita così stretta che essa potrà essere completata in poche ore. Durante questa fase si attivano dei meccanismi di trasferimento di massa dalla gigante verso la nana bianca; se questo meccanismo dura per un tempo sufficiente, la nana bianca può avvicinarsi alla massa limite di Chandrasekhar, pari a circa 1,44 M☉. La durata del trasferimento di materia dalla secondaria alla nana bianca può durare per alcuni milioni di anni (durante i quali può andare incontro a ripetute esplosioni di nova) prima che si raggiungano le condizioni idonee all'esplosione in supernova di tipo Ia. In un secondo momento anche la componente secondaria inizia ad affrontare la fase post-sequenza principale, espandendosi in gigante rossa e inglobando la nana bianca. In questa fase, le due stelle condividono nuovamente un comune involucro gassoso e continuano ad avvicinarsi man mano che perdono momento angolare; il risultato sarà un'orbita così stretta che essa potrà essere completata in poche ore. Durante questa fase si attivano dei meccanismi di trasferimento di massa dalla gigante verso la nana bianca; se questo meccanismo dura per un tempo sufficiente, la nana bianca può avvicinarsi alla massa limite di Chandrasekhar, pari a circa 1,44 M☉. La durata del trasferimento di materia dalla secondaria alla nana bianca può durare per alcuni milioni di anni (durante i quali può andare incontro a ripetute esplosioni di nova) prima che si raggiungano le condizioni idonee all'esplosione in supernova di tipo Ia. Entro pochi secondi dall'inizio della fusione, una sostanziale frazione della materia della nana bianca subisce una reazione termonucleare incontrollata che rilascia un'energia sufficiente (1-2 × 1044 J) a disgregare la stella in una violenta esplosione. Questa categoria di supernovae produce un picco notevole di luminosità assoluta, che si presenta pressoché simile in tutte le esplosioni di questo tipo a causa della relativa uniformità delle masse delle nane bianche che esplodono in seguito ai processi di accrescimento. Per tale ragione le supernovae di tipo Ia sono utilizzate come candele standard per misurare la distanza della loro galassia ospitante, poiché la loro magnitudine apparente dipende quasi esclusivamente dalla distanza a cui si trovano. Diversi modelli sono stati proposti per spiegare la formazione di una supernova di tipo Ia. Uno di questi è costituito dall'evoluzione di un sistema binario stretto. Il sistema è inizialmente costituito da due stelle di sequenza principale, con la componente primaria lievemente più massiccia della secondaria; possedendo una massa superiore, la primaria subisce un'evoluzione più rapida, giungendo per prima alla fase di gigante del ramo asintotico, stadio in cui il volume della stella si espande enormemente rispetto a quello posseduto quando essa si trovava all'interno della sequenza principale. Se le due stelle sono sufficientemente vicine da condividere un comune involucro di gas esterno, la primaria può perdere una significativa frazione della sua massa, cedendo inoltre una certa quantità di momento angolare, che causa un decadimento della sua orbita che si riflette in una riduzione del semiasse maggiore e del periodo di rivoluzione, determinando un avvicinamento delle due stelle. La componente primaria infine espelle i suoi strati più esterni in una nebulosa planetaria, mentre il nucleo collassa in una tenue nana bianca. In un secondo momento anche la componente secondaria inizia ad affrontare la fase post-sequenza principale, espandendosi in gigante rossa e inglobando la nana bianca. In questa fase, le due stelle condividono nuovamente un comune involucro gassoso e continuano ad avvicinarsi man mano che perdono momento angolare; il risultato sarà un'orbita così stretta che essa potrà essere completata in poche ore. Durante questa fase si attivano dei meccanismi di trasferimento di massa dalla gigante verso la nana bianca; se questo meccanismo dura per un tempo sufficiente, la nana bianca può avvicinarsi alla massa limite di Chandrasekhar, pari a circa 1,44 M☉. La durata del trasferimento di materia dalla secondaria alla nana bianca può durare per alcuni milioni di anni (durante i quali può andare incontro a ripetute esplosioni di nova) prima che si raggiungano le condizioni idonee all'esplosione in supernova di tipo Ia. Le stelle aventi una massa iniziale almeno nove volte quella del Sole evolvono in modo complesso, fondendo progressivamente elementi sempre più pesanti a temperature sempre più elevate nei loro nuclei. La stella sviluppa una serie di gusci sovrapposti diventando simile a una cipolla, dove gli elementi più pesanti si accumulano negli strati più interni[67][68]. Il nucleo interno di queste stelle può collassare quando i processi di fusione nucleare diventano insufficienti a compensare la forza di gravità: questa è la causa di tutti i tipi di supernova eccetto quello Ia. Il collasso può causare la violenta espulsione degli strati superficiali della stella e quindi innescare una supernova oppure il rilascio di energia potenziale gravitazionale può essere insufficiente e la stella può diventare una stella di neutroni o un buco nero con modesto irraggiamento di energia. Il collasso del nucleo può avvenire attraverso meccanismi differenti: superamento del limite di Chandrasekhar, cattura elettronica, instabilità di coppia o fotodisintegrazione. Quando una stella massiccia arriva a sintetizzare un nucleo di ferro con massa superiore al limite di Chandrasekhar, la pressione degli elettroni degeneri non è più in grado di contrastare la forza di gravità e il nucleo collassa in una stella di neutroni o in un buco nero. La cattura di un elettrone da parte del magnesio in un nucleo degenere composto da ossigeno, neon e magnesio causa un collasso gravitazionale con conseguente fusione dell'ossigeno e risultati finali simili. La produzione di coppia di un elettrone e un positrone in seguito alle collisioni tra i nuclei atomici e i raggi gamma determina una riduzione della pressione termica all'interno del nucleo con conseguente caduta di pressione e parziale collasso seguito dall'innesco di un imponente runaway termonucleare che smembra completamente la stella. Un nucleo stellare sufficientemente massiccio e caldo può generare raggi gamma talmente energetici da innescare processi di fotodisintegrazione, cioè la scomposizione di nuclei atomici pesanti in nuclei più leggeri, con conseguente collasso della stella. Le modalità con cui il nucleo collassa, il tipo di supernova prodotto e la natura del resto di supernova dipendono essenzialmente da due fattori: la massa iniziale della stella e la sua metallicità. Quest'ultima determina infatti la perdita di massa che la stella subirà durante la sua esistenza a causa del vento stellare: le stelle a bassa metallicità subiscono minori perdite di massa e quindi hanno nuclei di elio e inviluppi di idrogeno più massicci al termine della loro esistenza. Si ritiene che le stelle aventi una massa iniziale inferiore a ~9 M☉ non abbiano massa sufficiente perché il loro nucleo collassi al termine della loro esistenza e quindi sono destinate a diventare delle nane bianche. Le stelle aventi una massa iniziale di ~9-10 M☉ sviluppano un nucleo degenere di ossigeno e neon, che può o collassare in una stella di neutroni per cattura elettronica o diventare una nana bianca all'ossigeno-neon-magnesio. Sopra le 10 M☉ iniziali il collasso del nucleo è invece l'unica alternativa. Gli esiti possibili di questo collasso sono tre: o una stella di neutroni o una stella di neutroni seguita da un buco nero o, direttamente, un buco nero. Quale di queste possibilità si realizza è determinato dalla massa della stella al termine della sua esistenza: quanto più massiccia era inizialmente la stella e quanto meno massa ha perduto nel corso della sua evoluzione, tanto più massiccia essa sarà al termine della sua esistenza. Le stelle aventi una grande massa al momento del collasso formeranno direttamente un buco nero, mentre quelle aventi minore massa lo formeranno solo dopo essere passate per lo stadio di stelle di neutroni, fino a giungere alle stelle che non producono affatto un buco nero, ma solo una stella di neutroni. Per quanto riguarda le stelle a bassissima metallicità, quelle aventi una massa alla ZAMS compresa fra 10 e 140 M☉ collassano perché sviluppano al termine della loro esistenza un nucleo di ferro la cui massa supera il limite di Chandrasekharl. Tuttavia il collasso ha esiti differenti a seconda della massa iniziale della stella. Le stelle con massa compresa fra 10 e 25 M☉ terminano la loro esistenza come stelle di neutroni, quelle aventi una massa compresa fra 25 e 40 M☉ danno vita a buchi neri solo dopo essere diventate stelle di neutroni, mentre quelle con massa compresa fra 40 e 140 M☉ collassano direttamente in buchi neri. Le stelle a bassissima metallicità con massa alla ZAMS superiore a 140 M☉ sviluppano invece nuclei di elio estremamente massicci (~65 M☉), all'interno dei quali la radiazione gamma è talmente intensa da dare vita a instabilità di coppia e da causare l'esplosione della stella senza lasciare alcun residuo. Per le stelle con massa ancora superiore (≥260 M☉), il meccanismo che interviene negli ultimi stadi della esistenza della stella è quello della fotodisintegrazione, che produce direttamente buchi neri molto massicci (≥100 M☉). Quanto più la metallicità iniziale è elevata, tanto più la stella perde massa nel corso della sua esistenza. Una stella molto massiccia alla ZAMS (≥260 M☉), per esempio, se presenta un certo livello di metallicità, perderà massa sufficiente da non produrre più meccanismi di fotodisintegrazione, ma terminerà la sua esistenza come una supernova a instabilità di coppia. A metallicità più elevate essa non svilupperà un nucleo sufficientemente massiccio da produrre instabilità di coppia, ma collasserà in un buco nero. A metallicità di poco inferiori a quella del Sole, essa produrrà un buco nero solo dopo essere passata per lo stadio di stella di neutroni. Infine a metallicità superiori a quella del Sole perderà un quantitativo di massa sufficiente da non produrre più un buco nero, ma da collassare in un stella di neutroni. Le supernovae di tipo Ib e Ic sono una classe di supernovae che si producono in seguito al collasso del nucleo di stelle molto massicce che hanno perso gran parte o tutto il proprio involucro esterno di idrogeno. Rispetto a quelle di tipo Ia, lo spettro luminoso di queste due categorie di supernovae è privo della linea di assorbimento del silicio. Le supernovae di tipo Ic si differenziano da quelle di tipo Ib per aver perso una parte maggiore del loro involucro, incluso parte dello strato di elio immediatamente sottostante allo strato di idrogeno. Una stella massiccia evoluta, prima di diventare una supernova, ha una struttura simile a quella di una cipolla, con molteplici involucri in cui avvengono le reazioni nucleari. L'involucro più esterno consiste di idrogeno, mentre se si procede verso il centro della stella seguono gli involucri di elio, carbonio, neon, ossigeno, silicio e ferro. Se il vento emanato dalla stella produce una perdita di massa significativa, lo strato superficiale di idrogeno può essere soffiato via dall'astro, esponendo l'involucro più interno costituito principalmente da elio commisto ad altri elementi. Le stelle molto massicce, aventi masse 25 volte quella del Sole o più, possono arrivare a perdere 10−5 masse solari all'anno, cioè l'equivalente della massa del Sole ogni 100.000 anni. Si suppone che le supernovae di tipo Ib e Ic siano prodotte dal collasso di stelle massicce che hanno perduto i loro strati esterni di idrogeno e elio o a causa dell'intenso vento stellare o a causa di un imponente trasferimento di massa a una compagna con cui interagiscono gravitazionalmente. Le stelle di Wolf-Rayet sono un esempio di stelle che hanno subito importanti perdite di massa di questo tipo: esse manifestano infatti spettri in cui le linee dell'idrogeno non compaiono. Le supernovae di tipo Ib si originano da stelle che hanno espulso la maggior parte del proprio idrogeno, mentre quelle di tipo Ic da stelle che hanno perso sia i gusci dell'idrogeno che gran parte di quello d'elio. A parte questo aspetto, tuttavia, i meccanismi che producono le supernovae di tipo Ib e Ic sono simili a quelli che producono quelle di tipo II, motivo per il quale entrambe le classi sono note anche come supernovae a collasso nucleare; in particolare, le supernovae di classe Ib/Ic sono note come supernovae a collasso nucleare nudo. Le caratteristiche spettrali inoltre permettono di considerare i tipi tipi Ib e Ic anche come una via di mezzo fra le supernovae di tipo Ia e quelle di tipo II. Vi sono evidenze che portano a pensare che solo una piccola percentuale di supernovae di tipo Ic causino gamma ray burst (GRB), anche se potenzialmente tutte le stelle che hanno perso lo strato superficiale dell'idrogeno possono originare GRB. Probabilmente la comparsa o meno di un GRB dipende dalla geometria dell'esplosione. Dal momento che le loro stelle progenitrici sono piuttosto rare, si ritiene che la frequenza con cui si verifichi l'esplosione di una supernova di tipo Ib o Ic sia nettamente inferiore a quella delle supernovae di tipo II; si verificano comunque con una certa frequenza nelle regioni di attiva formazione stellare (spesso associate a fenomeni di starburst), mentre non ne sono ancora state rintracciate all'interno di galassie ellittiche. Come le supernovae di tipo Ia, le supernovae di tipo Ib e Ic non mostrano nei loro spettri le linee dell'idrogeno; tuttavia si differenziano dalle supernovae di tipo Ia per la mancanza della linea di assorbimento del silicio monoionico alla lunghezza d'onda di 635,5 nm. Man mano che invecchiano, mostrano inoltre le linee di alcuni elementi come ossigeno, calcio e magnesio, mentre nelle supernovae di tipo Ia dominano le linee del ferro. Le supernovae di tipo Ib si differenziano inoltre dalle Ic per la mancanza in queste ultime delle linee dell'elio a 587,6 nm. Le curve di luce delle supernovae di tipo Ib sono generalmente abbastanza simili a quelle delle supernovae di tipo Ia, anche se possono differire in una certa misura. Spesso però il loro picco di luminosità risulta più basso e più spostato verso il rosso. Osservata nella porzione dell'infrarosso, la curva di luce appare molto simile a quella delle supernovae di tipo II-L. Rispetto alle supernovae di tipo Ic, le SN di tipo Ib solitamente presentano un declino della luminosità più lento. Le curve di luce delle supernovae di tipo Ia sono impiegate come candele standard per la misurazione delle distanze cosmologiche. Pertanto, per via della loro somiglianza con le curve luminose delle SN di tipo Ia, le supernovae di tipo Ib e Ic costituiscono una fonte di contaminazione e quindi, una volta riconosciute, andrebbero rimosse dai saggi osservativi prima di addentrarsi nella stima delle distanze cosmiche. Una supernova di tipo II (o supernova a collasso nucleare, dall'inglese core-collapse supernova) è un tipo di supernova che si forma a partire dal collasso interno e dalla conseguente violenta esplosione di una stella di massa superiore ad almeno 9 volte la massa del Sole (stella massiccia). Le stelle massicce, come d'altronde tutte le stelle, generano energia tramite la fusione nucleare, nei loro nuclei, dell'idrogeno in elio. Tuttavia, a differenza del Sole, queste stelle, giunte ad una fase avanzata del proprio ciclo vitale, non si limitano a fondere l'elio in carbonio, ma, in virtù della loro massa sufficientemente elevata, sono in grado di attuare dei cicli di fusione che, dal carbonio, portano alla produzione di elementi sempre più pesanti. Il prodotto finale di questi cicli di nucleosintesi è il ferro-56, un isotopo del ferro di peso atomico 56 uma che, a causa dell'eccessivo dispendio energetico necessario per fonderlo, si accumula inerte al centro dell'astro. Quando il nucleo ferroso raggiunge e supera una massa limite, detta limite di Chandrasekhar ed equivalente a 1,44 masse solari, va incontro ad un'implosione; il nucleo collassante si scalda, causando una serie di rapide reazioni nucleari che risultano nella formazione di neutroni e neutrini. Il collasso viene arrestato da varie interazioni su piccola scala tra i neutroni neoformati, che fanno sì che l'implosione "rimbalzi": si crea così un'onda d'urto che causa la violenta espulsione nello spazio circostante degli strati esterni della stella. Sarebbe questa, secondo i modelli, la sequenza di eventi che conduce all'esplosione di una supernova di tipo II. Le supernovae di tipo II sono classificate in due sottotipi principali a seconda della curva di luce cui danno luogo: le supernovae di tipo II-L, che danno luogo ad una curva che mostra una costante (Lineare) diminuzione di luminosità con l'avanzare del tempo, e le supernovae di tipo II-P, che danno luogo ad una curva che mostra un appiattimento (Plateau, che indica un periodo in cui la luminosità si mantiene costante) seguito poi da una diminuzione di luminosità simile a quella del tipo L. Normalmente le supernovae di tipo II manifestano nei loro spettri la presenza di idrogeno. Le supernovae di tipo II si differenziano dalle supernovae di tipo Ib e Ic, anch'esse a collasso nucleare, per il fatto che queste ultime derivano da stelle massicce prive del loro strato esterno di idrogeno (per il tipo Ib) ed elio (per il tipo Ic); di conseguenza, i loro spettri appaiono privi di questi elementi. Le stelle massicce intraprendono dei tragitti evolutivi piuttosto complessi. Mentre la fase di sequenza principale, durante la quale l'astro fonde l'idrogeno in elio, è comune a tutte le stelle, sia quelle di massa piccola e medio-piccola, sia quelle massicce, le fasi successive a questa lunga fase di stabilità, così come i tipi di reazioni nucleari e gli elementi in esse coinvolti, si differenziano a seconda della massa dell'astro. Infatti, mentre le stelle di massa piccola e media, nelle fasi seguenti la sequenza principale, fondono l'idrogeno in un guscio più esterno al nucleo di elio e, solamente qualora la massa sia sufficiente, possono arrivare a fondere l'elio in carbonio ed ossigeno, le stelle massicce, conclusa la fusione dell'elio in carbonio, raggiungono, nei loro nuclei, le condizioni di temperatura e pressione necessarie a far avvenire la fusione di quest'ultimo in elementi più pesanti: ossigeno, neon, silicio e zolfo. In tali stelle può svolgersi in contemporanea la nucleosintesi di più elementi all'interno di un nucleo che appare stratificato; tale struttura è paragonata da molti astrofisici agli strati concentrici di una cipolla. In ciascun guscio avviene la fusione di un differente elemento: il più esterno fonde idrogeno in elio, quello immediatamente sotto fonde elio in carbonio e via dicendo, a temperature e pressioni sempre crescenti man mano che si procede verso il centro. Il collasso di ciascuno strato è sostanzialmente evitato dal calore e dalla pressione di radiazione dello strato sottostante, dove le reazioni procedono a un regime più intenso. I prodotti finali della nucleosintesi sono il nichel-56 (56Ni) e il cobalto-56 (56Co), risultato della fusione del silicio, che viene completata nel giro di pochi giorni. Questi due elementi decadono rapidamente in ferro-56 (56Fe). Il fattore limitante del processo di fusione nucleare è la quantità di energia che viene rilasciata mentre esso è in atto, che dipende dall'energia di legame che mantiene coesi i nuclei atomici. Ogni tappa successiva del processo produce dei nuclei sempre più pesanti, la cui fusione rilascia progressivamente un'energia sempre più bassa. Poiché i nuclei del ferro e del nichel possiedono un'energia di legame nettamente superiore a quella di qualunque altro elemento,[9] la loro fusione, anziché essere un processo esotermico (che produce ed emette energia), è fortemente endotermica (cioè richiede e consuma energia). La tabella sottostante riporta il tempo che una stella di massa 25 volte quella solare impiega per fondere il proprio combustibile nucleare. Si tratta di una stella di classe O, con un raggio 10 volte quello del Sole ed una luminosità 80 000 volte quella della nostra stella. Il ferro-56, non impiegabile per la fusione nucleare, si accumula inerte al centro dell'astro. Pur essendo sottoposto ad altissime sollecitazioni gravitazionali, il nucleo non collassa per via della pressione degli elettroni degeneri, uno stato in cui la materia è talmente densa che una sua ulteriore compattazione richiederebbe che gli elettroni occupino tutti il medesimo livello energetico. Tuttavia, per il principio di esclusione di Pauli, un medesimo livello energetico può essere occupato solamente da una coppia di identici fermioni con spin opposto; di conseguenza, gli elettroni tendono a respingersi, contrastando in questo modo il collasso gravitazionale. Quando la massa del nucleo ferroso raggiunge e supera il limite di Chandrasekhar, la pressione degli elettroni degeneri non è più in grado di contrastare efficacemente la gravità e il nucleo va incontro ad un catastrofico collasso;[11] la parte più esterna del nucleo, durante la fase di collasso, raggiunge velocità dell'ordine dei 70 000 km/s, pari al 23% della velocità della luce. Il nucleo in rapida contrazione si riscalda, producendo fotoni gamma ad alta energia che decompongono i nuclei di ferro in nuclei di elio e neutroni liberi tramite un processo noto come fotodisintegrazione. Man mano che la densità del nucleo aumenta, incrementa anche la probabilità che gli elettroni e i protoni si fondano (tramite un fenomeno noto come cattura elettronica), producendo altri neutroni e neutrini elettronici. Poiché questi ultimi raramente interagiscono con la normale materia, essi fuggono via dal nucleo, portando con sé energia ed accelerando il collasso, che va avanti in una scala temporale di alcuni millisecondi. Non appena il nucleo ha raggiunto un livello di contrazione tale da subire un distacco dagli strati ad esso immediatamente esterni, questi ultimi assorbono una parte dei neutrini prodotti, dando inizio all'esplosione della supernova. Il collasso del nucleo viene arrestato da una serie di interazioni repulsive su piccola scala, come l'interazione forte, che intervengono tra i neutroni; a questo punto, la materia, in caduta verso il centro della stella, "rimbalza", producendo un'onda d'urto che si propaga verso l'esterno. L'energia trasportata dall'onda degrada gli elementi pesanti presenti nel nucleo, ma così facendo perde energia, arrivando ad arrestarsi in prossimità della parte esterna del nucleo. Il nucleo di neutroni neoformato ha una temperatura iniziale di circa 100 miliardi di kelvin, 105 volte la temperatura del nucleo del Sole. La maggior parte di questa grande energia termica deve essere dispersa perché possa formarsi una stella di neutroni stabile; il processo di dispersione dell'energia termica è accompagnato da un'ulteriore emissione di neutrini. Questi neutrini, caratterizzati da differenti sapori e accoppiati dalle rispettive antiparticelle, gli antineutrini, si formano in numero molto maggiore rispetto ai neutrini formatisi per cattura elettronica. I due meccanismi di produzione dei neutrini permettono di disperdere l'energia potenziale gravitazionale del collasso rilasciando un flusso di neutrini con un'energia di circa 1046 joule (100 foe) in un lasso di tempo di una decina di secondi. Tramite un processo non ancora pienamente compreso, circa 1044 joule (1 foe) vengono riassorbiti dal fronte d'onda in stallo, provocando un'esplosione. I neutrini prodotti da una supernova sono stati rintracciati per la prima volta quando esplose la Supernova 1987 A, il che portò gli astronomi a concludere sulla validità di fondo del modello del collasso gravitazionale del nucleo. L'esplosione di una supernova lascia come residui, oltre ad un resto nebuloso, un residuo di materia degenere: la stella compatta. A seconda della massa originaria della stella (non tenendo eventualmente in conto l'intensità dell'esplosione e la quantità di materia da essa espulsa nello spazio) si possono formare due differenti residui: se la stella progenitrice ha una massa inferiore a 20 masse solari si viene a formare una stella di neutroni; se invece la massa è superiore a questo tetto massimo, il collasso gravitazionale porta il nucleo a raggiungere le dimensioni del raggio di Schwarzschild, andando a formare un buco nero. Il limite di massa teorico per questo tipo di collasso nucleare è fissato in circa 40-50 masse solari; al di sopra di questo tetto si ritiene che una stella collassi direttamente in buco nero senza dar luogo all'esplosione di una supernova, sebbene delle incertezze nei modelli del collasso nucleare di una supernova rendono il calcolo di questi limiti ancora piuttosto incerto. Il modello standard, in fisica delle particelle, è una teoria che descrive tre delle quattro interazioni fondamentali tra le particelle elementari che costituiscono la materia; la teoria consente la formulazione di ipotesi che permettono di predeterminare le modalità di interazione delle particelle in diverse condizioni. L'energia posseduta da ogni singola particella in una supernova è normalmente compresa tra 1 e 100 pJ (picojoule, 10−12 J, equivalenti a circa dieci-cento MeV). L'energia delle particelle coinvolte nell'esplosione di una supernova è abbastanza piccola da suggerire la correttezza di fondo dei modelli formulati a partire dal modello standard; tuttavia, le altissime densità di questo processo potrebbero spingere i fisici ad apportarvi alcune correzioni. In particolare, gli acceleratori di particelle situati sulla Terra sono in grado di produrre delle interazioni tra le particelle con energie di gran lunga maggiori (dell'ordine del TeV) rispetto a quelle riscontrate tra le particelle nelle supernovae, ma bisogna tener presente che questi esperimenti riguardano singole particelle che interagiscono con altre singole particelle; è dunque probabile che le alte densità nelle supernovae possano produrre degli effetti insoliti. Le interazioni tra i neutrini e le altre particelle nella supernova hanno luogo grazie alla forza nucleare debole, la cui origine sembra ben compresa; tuttavia, le interazioni tra protoni e neutroni coinvolgono la forza nucleare forte, le cui cause non sono state ancora ben comprese. La principale questione ancora non risolta riguarda il modo in cui il flusso di neutrini trasferisce la propria energia al resto della stella producendo le onde d'urto che ne causano l'esplosione. Si sa che solamente l'1% dell'energia di queste particelle debba essere trasferita per provocare l'esplosione, ma spiegare come quest'1% venga trasferito ha causato non poche difficoltà agli astrofisici, nonostante si ritenga che le interazioni tra le particelle in gioco siano ben conosciute. Negli anni novanta, un modello prese in considerazione il convective overturn, che ipotizza che la convezione, sia dei neutrini dall'interno, sia dal materiale in caduta dall'esterno, completino il processo di distruzione della stella, lasciando ai neutrini la possibilità di fuggire dall'astro. Durante questa fase, vengono sintetizzati elementi più pesanti del ferro tramite cattura neutronica, grazie alla pressione dei neutrini ai limiti della cosiddetta "neutrinosfera", la quale infine diffonde nello spazio circostante una nebulosa di gas e polveri più ricca in elementi pesanti rispetto alla stella originaria. La fisica del neutrino, modellata sul modello standard, riveste un ruolo cruciale nella comprensione di questo processo; un altro ambito di studi molto importante è l'idrodinamica del plasma che costituisce la stella morente: comprendere il suo comportamento durante il collasso del nucleo consente di determinare quando e come si forma l'onda d'urto e quando e come entra in stallo e si rinvigorisce, dando quindi luogo all'esplosione dell'astro.[24] Le simulazioni computerizzate sono riuscite con successo a calcolare il comportamento delle supernovae di tipo II quando si forma l'onda d'urto. Ignorando il primo secondo dell'esplosione, ed assumendo che essa sia effettivamente iniziata, gli astrofisici sono stati in grado di formulare delle dettagliate teorie in merito alle modalità di sintesi degli elementi pesanti e all'aspetto che sarebbe stato assunto dalla curva di luce dell'esplosione. L'analisi dello spettro di una supernova di tipo II mostra normalmente la serie di Balmer dell'idrogeno ionizzato; ed è proprio la presenza di queste linee la discriminante tra una supernova di questa categoria ed una supernova di tipo Ia. Mettendo in relazione la luminosità di una supernova di tipo II con un periodo di tempo, la curva di luce che ne risulta mostra un caratteristico picco seguito da un declino con un tasso medio di 0,008 magnitudini al giorno: un tasso minore rispetto a quello delle supernovae di tipo Ia. Le supernovae di tipo II sono suddivise in due classi, a seconda dell'aspetto assunto dalla curva di luce: le supernovae di tipo II-L e le supernovae di tipo II-P. La curva di luce di una supernova di tipo II-L mostra un declino costante (Lineare) della luminosità dopo il picco; la curva di una supernova di tipo II-P mostra invece un caratteristico appiattimento (in gergo Plateau) durante la fase di declino, il che rappresenta un periodo in cui la luminosità resta costante o diminuisce in maniera estremamente più lenta: infatti, raffrontando i tassi di declino si può notare come quello di una supernova II-P sia notevolmente inferiore (circa 0,0075 magnitudini/giorno) rispetto a quello del tipo II-L (0,012 magnitudini/giorno). La differenza nel tracciato grafico tra i due tipi di supernova sarebbe dovuta al fatto che, nel caso delle supernovae II-L, si ha l'espulsione della maggior parte dello strato di idrogeno della stella progenitrice, mentre il plateau del tipo II-P sarebbe dovuto ad un cambiamento nell'opacità alla radiazione dello strato esterno: le onde d'urto ionizzano l'idrogeno dello strato esterno, provocando un considerevole aumento dell'opacità che evita l'immediata fuga dei fotoni dalla parte più interna dell'esplosione. Solamente quando la fascia di idrogeno si raffredda abbastanza da consentire la ricombinazione degli atomi neutri lo strato diventa trasparente lasciando passare i fotoni. Esistono delle supernovae di tipo II caratterizzate da spettri insoliti; tra queste si annoverano le supernovae di tipo IIn e IIb. Le supernovae di tipo IIn presentano spettri con linee di emissione dell'idrogeno di spessore medio o sottile ("n" sta per narrow, che in inglese significa stretto). È possibile che le stelle progenitrici di questa classe di SN siano delle variabili blu luminose circondate da un cospicuo inviluppo di gas, risultato dell'imponente perdita di massa per mezzo del vento stellare cui queste stelle sono andate incontro; i modelli matematici indicano, nel caso degli spettri con linee dell'H a spessore medio, che il materiale espulso con la deflagrazione instauri forti interazioni con i gas dell'inviluppo che circonda la stella esplosa. Alcuni esempi di supernovae di tipo IIn sono SN 2005gl e SN 2006gy. Le supernovae di tipo IIb presentano invece delle caratteristiche intermedie con quelle delle supernovae di tipo Ib: mostrano deboli linee dell'idrogeno nella porzione iniziale dello spettro, motivo per il quale sono classificate come SN di tipo II, ma la loro curva di luce presenta, dopo il picco iniziale, un secondo picco, che le assimila alle supernovae di tipo Ib. Si ritiene che le stelle progenitrici potrebbero essere delle supergiganti che hanno perso gran parte del proprio strato esterno di idrogeno a seguito di interazioni mareali con un'altra stella in un sistema binario, lasciando quasi scoperto il nucleo.[34] Man mano che il materiale espulso dalla supernova IIb si espande, lo strato di idrogeno residuo diviene rapidamente più trasparente rivelando gli strati più profondi.[34] L'esempio più tipico di SN di tipo IIb è SN 1993J, mentre sembrerebbe che anche Cassiopeia A appartenga a questa classe. Il collasso nucleare di stelle molto massicce non può essere arrestato in nessun modo: infatti, le interazioni repulsive neutrone-neutrone sono in grado di mantenere un oggetto che non abbia una massa superiore al limite di Tolman-Oppenheimer-Volkoff di circa 3,8 masse solari.[38] Al di sopra di questo limite il nucleo collassa a formare direttamente un buco nero stellare,[18] producendo forse una (ancora teorica) esplosione di ipernova. Nel meccanismo proposto per questo fenomeno, noto come collapsar, due getti di plasma estremamente energetici (getti relativistici) vengono emessi dai poli della stella a velocità prossime a quella della luce; i getti emettono una grande quantità di radiazione ad alta energia, in particolare raggi gamma. L'emissione di getti relativistici a partire dal collasso di una stella in buco nero è una delle possibili spiegazioni per la formazione dei gamma ray burst, la cui eziologia è ancora quasi totalmente sconosciuta.[39] Benché le supernove siano conosciute in primo luogo come eventi molto luminosi, la radiazione elettromagnetica è solo un effetto secondario dell'esplosione. Soprattutto nel caso di supernove derivanti dal collasso del nucleo, la radiazione elettromagnetica emessa rappresenta solo una piccola frazione dell'energia totale dell'evento. Ci sono significative differenze nel bilancio dell'energia prodotta dai diversi tipi di supernove. Nelle supernove di Tipo Ia, la maggior parte dell'energia è convogliata nella nucleosintesi di elementi pesanti e nell'accelerazione del materiale espulso. Invece nelle supernove in cui il nucleo collassa la maggior parte dell'energia è convogliata nell'emissione di neutrini e, sebbene parte di essi forniscano energia per l'esplosione, più del 99% di essi viene espulso dalla stella nei minuti che seguono il collasso. Le supernove di Tipo Ia ricavano la propria energia dalla fusione del carbonio e dell'ossigeno presenti nella nana bianca. I dettagli non sono ancora stati modellati, ma il risultato è l'espulsione dell'intera massa della stella originaria a velocità molto elevate. Fra la massa espulsa, circa 0,5 M☉ sono costituiti da nichel-56, generato dalla fusione del silicio. Il nichel-56 è radioattivo con una emivita di sei giorni; tramite il decadimento beta più esso genera il cobalto-56, emettendo raggi gamma. Il cobalto-56 decade a sua volta nello stabile Fe-56 con una emivita di 77 giorni. Questi due processi sono responsabili delle emissioni elettromagnetiche nelle supernove di Tipo Ia e, in combinazione con la via via maggiore trasparenza del materiale espulso, sono alla base del rapido declino della curva di luce caratteristica di questo tipo di supernove. Le supernove derivanti dal collasso del nucleo sono generalmente meno luminose delle supernove di Tipo Ia, ma l'energia totale rilasciata è maggiore. Essa deriva inizialmente dall'energia potenziale gravitazionale che viene rilasciata dal materiale che collassa nel nucleo sotto forma di neutrini elettronici derivanti dalla disintegrazione dei nuclei atomici; in seguito, l'energia viene emessa sotto forma di neutrini termici di tutti i sapori derivanti dalla caldissima stella di neutroni appena formata. L'energia cinetica e quella derivante dal decadimento del nichel-56 sono inferiori a quelle rilasciate dalle supernove di Tipo Ia e ciò rende questo tipo di supernove meno luminose, sebbene l'energia derivante dalla ionizzazione dell'idrogeno rimanente, che a volte ammonta a molte masse solari, può contribuire a rallentare il declino della curva di luce e a produrne un caratteristico appiattimento. In alcune supernove causate dal collasso del nucleo, il ricadere del materiale espulso nel buco nero appena formato causa dei getti relativistici che si traducono nel trasferimento di una parte considerevole dell'energia al materiale espulso.

Nelle supernove di Tipo IIn l'esplosione avviene all'interno di una densa nube di gas, che circonda la stella, e produce onde d'urto che causano l'efficiente conversione di una grande porzione dell'energia cinetica in radiazione elettromagnetica. Sebbene l'esplosione iniziale sia quella di una normale supernova, questi eventi risultano essere molto luminosi e di lunga durata in quanto non ricavano la propria luminosità esclusivamente dal decadimento radioattivo. Benché le supernove a instabilità di coppia derivino dal collasso del nucleo e abbiano spettri e luminosità simili a quelle di Tipo IIP, la natura dell'esplosione è più simile a quella di una gigantesca supernova di Tipo Ia con fusione di carbonio, ossigeno e silicio prodotta dal runaway termico. L'energia totale rilasciata da questi eventi è paragonabile a quella degli altri tipi di supernove, ma la produzione di neutrini è stimata essere molto bassa e, di conseguenza, l'energia cinetica ed elettromagnetica rilasciata è molto alta. I nuclei di queste stelle sono molto più grandi di una nana bianca, sicché il nichel prodotto può essere di diversi ordini di grandezza maggiore di quello espulso solitamente con conseguenti luminosità eccezionali. Le curve di luce dei differenti tipi di supernove variano in forma e in ampiezza in funzione dei meccanismi che hanno portato all'esplosione, del modo in cui la radiazione visibile viene prodotta e della trasparenza del materiale espulso. Inoltre le curve di luce differiscono in maniera significativa a seconda della lunghezza d'onda presa in considerazione: per esempio, nella banda dell'ultravioletto e, in generale, delle lunghezze d'onda più corte, si nota un picco estremamente luminoso della durata di poche ore, corrispondente allo shock dell'esplosione iniziale, che è tuttavia pressoché invisibile alle altre lunghezze d'onda. Le curve di luce delle supernove di Tipo Ia sono per lo più uniformi, con un massimo molto luminoso iniziale e un susseguente rapido declino della luminosità. Come si è detto, l'energia è prodotta dal decadimento radioattivo del nickel-56 e del cobalto-56. Questi radioisotopi, espulsi nell'esplosione, eccitano il materiale che li circonda, facendolo emettere radiazione. Nella fase iniziale la curva di luce declina rapidamente a causa della riduzione della fotosfera e della radiazione emessa. Successivamente la curva di luce continua a declinare nella banda B, sebbene mostri un rallentamento del declino intorno ai 40 giorni dall'esplosione: esso è la manifestazione visibile di un massimo secondario che avviene nella banda dell'infrarosso che si produce quando alcuni elementi pesanti ionizzati si ricombinano emettendo radiazione IR e quando il materiale espulso diviene ad essa trasparente. Poi la curva di luce continua a declinare a un ritmo leggermente superiore a quello del tempo del decadimento radioattivo del cobalto, dato che il materiale espulso si diffonde su volumi più ampi e quindi la conversione dell'energia derivante dal decadimento radioattivo in luce visibile diventa più difficile. Dopo alcuni mesi, la curva di luce modifica la sua forma perché l'emissione di positroni diventa il processo dominante di produzione della radiazione da parte del rimanente cobalto-56, sebbene questa porzione della curva di luce sia stata poco studiata. Le curva delle supernove di Tipo Ib e Ic sono simili a quelle di Tipo Ia sebbene abbiano un picco di luminosità mediamente inferiore. La luce visibile è anche in questo caso prodotta dal decadimento radioattivo, che viene convertito in radiazione visibile, ma la massa del nickel-56 che risulta dall'esplosione è minore. La curva di luce varia considerevolmente fra un episodio e l'altro e occasionalmente possono presentarsi supernove di Tipo Ib/c di alcuni ordini di grandezza più luminose o meno luminose della media. Le supernova di Tipo Ic più luminose vengono chiamate anche ipernovae e tendono ad avere curve di luce più large, oltre che con picchi maggiori. La fonte dell'energia in eccesso deriva probabilmente da getti relativistici emessi dal materiale che circonda il buco nero appena formato e che possono anche produrre gamma ray burst. Le curve di luce delle supernove di Tipo II sono caratterizzate da un declino molto meno accentuato rispetto a quelle delle supernove di Tipo I. Esse declinano nell'ordine di 0,05 magnitudini al giorno, se si esclude la fase in cui il declino si arresta. La radiazione visibile viene prodotta dall'energia cinetica piuttosto che dal decadimento radioattivo, data l'esistenza di idrogeno nel materiale espulso dalla stella progenitrice. Nella fase iniziale l'idrogeno viene portato ad alte temperature e viene ionizzato. La maggior parte delle supernove di tipo II mostra un prolungato appiattimento della loro curva di luce dovuto alla ricombinazione dell'idrogeno che produce luce visibile. Successivamente, la produzione di energia è dominata dal decadimento radioattivo, sebbene il declino sia più lento rispetto a quello delle supernove di tipo I dato che l'idrogeno permette una più efficiente conversione in luce visibile della radiazione emessa. Nelle supernove di Tipo II-L l'avvallamento è assente perché la stella progenitrice ha poco idrogeno nella sua atmosfera, sufficiente per apparire nello spettro, ma insufficiente per produrre un rallentamento del declino della luminosità. Le supernove di tipo IIb sono talmente carenti di idrogeno nelle loro atmosfere che le loro curve di luce sono simili a quelle delle supernove di tipo I e l'idrogeno tende perfino a scomparire dai loro spettri dopo poche settimane. Le supernove di Tipo IIn sono caratterizzate da linee spettrali aggiuntive prodotte dal denso inviluppo di gas che circonda la stella progenitrice. Le loro curve di luce sono generalmente larghe ed estese, a volte molto luminose (nel qual caso vengono classificate come ipernovae). La luminosità è dovuta a una efficiente conversione dell'energia cinetica in radiazione elettromagnetica causata dalla interazione fra il materiale espulso e l'inviluppo di gas. Ciò accade quando l'inviluppo è sufficientemente denso e compatto, il che indica che è stato prodotto dalla stella progenitrice poco prima dell'esplosione. Gli scienziati si sono lungamente interrogati sulle ragioni per cui l'oggetto compatto che rimane come resto di una supernova di Tipo II è spesso accelerato ad alte velocità: si è osservato che le stelle di neutroni hanno spesso alte velocità e si presume che anche molti buchi neri le abbiano, sebbene sia difficile osservarli in isolamento. La spinta iniziale deve essere notevole dato che essa accelera un oggetto avente una massa superiore a quella del Sole a una velocità superiore a 500 km/s. Una simile spinta deve essere provocata da una asimmetria nell'esplosione, ma l'esatto meccanismo per cui la quantità di moto viene trasferita all'oggetto compatto non è chiaro. Due delle spiegazioni proposte sono l'esistenza di meccanismi di convezione nella stella che sta per collassare e la produzione di getti durante la formazione della stella di neutroni o del buco nero. Secondo la prima spiegazione nelle ultime fasi della sua esistenza la stella sviluppa meccanismi di convezione su larga scala negli strati superiori al nucleo. Essi possono causare una distribuzione asimmetrica delle abbondanze di elementi che si traduce in una ineguale produzione di energia durante il collasso e l'esplosione Un'altra possibile spiegazione è l'accrescimento di gas intorno alla stella di neutroni appena formata, da cui si dipartono getti ad altissima velocità e che accelerano la stella in direzione opposta. Tali getti potrebbero anche giocare un ruolo nelle prime fasi dell'esplosione stessa. Asimmetrie iniziali sono state osservate anche nelle prime fasi di supernove di Tipo Ia. Ne segue che la luminosità di questo tipo di supernove dovrebbe dipendere dall'angolo dal quale vengono osservate. Tuttavia, l'esplosione diventa simmetrica con il passaggio del tempo e le asimmetrie iniziali possono essere rilevate misurando la polarizzazione della luce emessa. Le supernove ricoprono un ruolo chiave nella sintesi di elementi chimici più pesanti dell'ossigeno. Gli elementi più leggeri del ferro-56 sono prodotti dalla fusione nucleare, mentre quelli più pesanti del ferro-56 sono prodotti tramite nucleosintesi durante l'esplosione della supernova. Anche se non tutti concordano con questa affermazione, le supernove sono probabilmente i luoghi in cui avviene il processo R, un tipo molto rapido di nucleosintesi che avviene in condizioni di alta temperatura e alta densità neutronica. Le reazioni producono nuclei atomici molto instabili e ricchi di neutroni, che decadono rapidamente per decadimento beta. Il processo R, che avviene nelle supernove di Tipo II, produce circa metà degli elementi più pesanti del ferro presenti nell'universo, compresi l'uranio e il plutonio[102]. L'altro processo che produce elementi più pesanti del ferro è il processo S, che avviene nelle giganti rosse e che arriva a sintetizzare elementi fino al piombo in tempi considerevolmente più lunghi di quelli impiegati dal processo R. In astronomia, un resto di supernova (SNR dalla dizione inglese Supernova remnant) è il materiale lasciato dalla gigantesca esplosione di una supernova. Questo può accadere in due modi: quando una stella molto massiccia termina il suo combustibile nucleare, e collassa su se stessa sotto l'azione della propria forza di gravità, oppure quando una nana bianca accumula abbastanza materiale da una stella compagna da raggiungere la massa critica e fa la stessa fine. In entrambi i casi, l'esplosione risultante espelle con molta forza la maggior parte o forse tutta la materia che componeva la stella. Nel caso dell'esplosione di una stella massiccia, il nucleo della stella può collassare così rapidamente da formare un oggetto estremamente compatto formato da materia degenere. Si tratta generalmente di una stella di neutroni o a volte di un buco nero, a cui ci si riferisce come resto di supernova compatto. In tutte le esplosioni, gli strati esterni della stella sono espulsi all'esterno ad una velocità di migliaia di chilometri al secondo, dando luogo a una nube di gas e polveri in espansione. Questa nube, che raccoglie anche il mezzo interstellare precedentemente esistente nella zona di espansione, e che è spesso attraversata da onde d'urto generate dall'esplosione stessa o dall'interazione tra la nube e il mezzo interstellare, è detta resto di supernova diffuso. Un resto di supernova nella Grande Nube di Magellano, immagine che combina riprese ai raggi-x e luce visibile. Il resto di supernova compatto, quando esiste, dovrebbe trovarsi al centro di quello diffuso, ed in alcuni casi è così (come nel caso della Nebulosa del Granchio e della Nebulosa delle Vele). Spesso però l'esplosione è asimmetrica: il grosso del gas va da una parte e l'oggetto compatto viene "sparato" nell'altra direzione con velocità che possono superare i 200 km/s. In tal caso l'oggetto compatto esce rapidamente (poche centinaia o migliaia di anni) dal resto di supernova diffuso e diventa difficile mettere in relazione i due oggetti. Un resto di supernova diffuso è un oggetto effimero: in poche migliaia di anni si dissolve nel mezzo interstellare, che arricchisce degli elementi pesanti prodotti nel corso della vita della stella, e scompare. Nonostante ciò, i resti osservabili sono numerosi, perché le supernovae esplodono al ritmo di una ogni qualche decina d'anni nella nostra galassia. Gli oggetti compatti, invece, sono immortali o quasi. Il resto di supernova più famoso e più osservato con telescopi professionali, anche se piuttosto difficile da osservare a causa della sua grande lontananza, è quello della Supernova 1987a, la cui esplosione è stata visibile dalla Terra il 23 febbraio 1987, nella Grande Nube di Magellano, alla distanza di 168 000 anni luce. Molto più vicina è la Nebulosa del Granchio, resto di un'esplosione rilevata nell'anno 1054 e registrata dagli astronomi cinesi, con al centro una giovane stella di neutroni. Una supernova vicina alla Terra (in inglese near-Earth supernova) è una supernova abbastanza vicina alla Terra da avere effetti notevoli sulla biosfera. Supernove particolarmente energetiche possono rientrare in questa categoria anche se distanti fino a 3000 anni luce. I lampi gamma provenienti da una supernova possono indurre reazioni chimiche nell'alta atmosfera terrestre che hanno l'effetto di convertire l'azoto in ossidi di azoto, impoverendo l'ozonosfera abbastanza da esporre la superficie alla radiazione solare e cosmica. Si pensa che ciò sia accaduto in coincidenza della estinzione dell'Ordoviciano-Siluriano, avvenuta circa 450 milioni di anni fa che causò la morte di circa il 60% degli organismi viventi sulla Terra. In uno studio del 1996 si è ipotizzato che tracce di supernove passate potessero essere rilevate sulla Terra mediante la ricerca di determinati isotopi negli strati rocciosi: in particolare, la presenza di ferro-60, riscontrabile nelle rocce dei fondali dell'Oceano Pacifico, sarebbe riconducibile a questi eventi. Nel 2009, un elevato livello di ioni nitrati fu rilevato a una certa profondità nei ghiacci antartici in corrispondenza delle supernove del 1006 e 1054. I raggi gamma provenienti da queste supernove possono avere prodotto ossidi di azoto che sono rimasti intrappolati nei ghiacci. Le supernove di Tipo I sono considerate quelle potenzialmente più pericolose per la Terra. Poiché derivano da deboli nane bianche, esse possono prodursi in modo impredicibile in sistemi stellari poco studiati. È stata avanzata l'ipotesi che supernove di questo tipo devono essere distanti non più di 1000 parsec (circa 3300 anni luce) per avere effetti sulla Terra. Stime risalenti al 2003 valutano che una supernova di Tipo II dovrebbe avere una distanza minore di 8 parsec (26 anni luce) dalla Terra per distruggerne metà dello strato di ozono[116]. Molte stelle massicce appartenenti alla Via Lattea sono state proposte come possibili progenitrici di supernove nei prossimi milioni di anni. Alcune di esse sono ρ Cassiopeiae, η Carinae,, RS Ophiuchi, U Scorpii, VY Canis Majoris, Betelgeuse, Antares e Spica. Anche molte stelle di Wolf-Rayet come γ Velorum, WR 104 e quelle appartenenti all'ammasso Quintupletto sono state indicate come possibili progenitrici di supernove in un futuro relativamente vicino. La candidata più vicina alla Terra è IK Pegasi (HR 8210), distante circa 150 anni luce. Questa stella binaria stretta è formata da una stella di sequenza principale e da una nana bianca, distanti 31 milioni di km fra loro. La nana bianca ha una massa stimata attuale di 1,15 M☉ e si ritiene che nei prossimi milioni di anni riceverà dalla sua compagna, diventata una gigante rossa, sufficiente materiale da raggiungere la massa critica per innescare l'esplosione di una supernova di Tipo Ia. A quella distanza l'esplosione di una supernova di tipo Ia potrebbe essere pericolosa per la Terra, tuttavia non essendo la principale ancora entrata nello stadio finale della sua evoluzione, ciò avverrà in tempi relativamente lunghi, quando il sistema si sarà considerevolmente allontanato dal Sole. Parliamo, adesso, delle ipernovae. Un'ipernova è un'ipotetica esplosione stellare simile alla supernova ma con un rilascio di energia almeno 100 volte superiore. Alcune stelle eccezionalmente grandi al momento della loro morte potrebbero produrre un'ipernova, ad esempio stelle collapsar. Ne sono state rilevate poche fino a oggi, di conseguenza rare sono state le possibilità di studiarne i diversi comportamenti. La celeberrima stella Eta Carinae è una delle candidate a produrre un'ipernova. In un'ipernova le energie in gioco raggiungono valori talmente elevati da poter essere paragonate alla potenza dei raggi cosmici, e si sospetta che i gamma ray burst (GRB) altro non siano che le conseguenze di esplosioni di ipernove. Il satellite ROSAT ha trovato, nella radiazione X, presso la galassia M101 due bolle in forte espansione; una di queste toccava la velocità di 350 km/s, e la sua forza superava di 10 volte quella dell'esplosione di una supernova. Si ritiene che ciò sia provocato dall'esplosione di una stella molto massiccia, quando il suo nucleo metallico collassa su sé stesso per formare un buco nero; il tutto comincerebbe a ruotare così rapidamente che il campo magnetico diverrebbe sufficientemente grande da poter espellerlo nel tempo di pochi secondi e creare i gamma ray burst, e dal loro stesso studio si potrebbe arrivare alla conclusione che le due entità siano la stessa cosa. Le loro intense emissioni di energia provengono da qualunque direzione del cielo si osservi, segno questo di una distribuzione uniforme di questi oggetti; questa energia arriva, a volte, ad essere un milione di miliardi di volte maggiore di quella che emette il nostro Sole. Con l'entrata in opera del satellite Beppo-SAX, sono aumentate di molto le conoscenze al riguardo di questi fenomeni: infatti, entro poche ore, si riesce a stabilire la direzione di provenienza dei GRB, e ciò consente di poter rilevare i dati di quello che rimane dell'avvenuta esplosione. I possibili meccanismi che causano tutto ciò possono essere due: l'esplosione di una ipernova o la collisione fra due oggetti compatti, stelle di neutroni o buchi neri. La prima ipotesi vuole che i GRB siano l'effetto dell'esplosione di una stella di grande massa, più potente di quella di una supernova, per cui è stato coniato questo termine (ipernova), e ciò che rimane alla fine dell'esplosione è un buco nero. L'analisi di questi residui ha stabilito che il fenomeno avviene al di fuori della nostra galassia, ad una distanza da noi superiore ai 10 miliardi di anni luce, quindi lo studio di queste emissioni ci permette di approfondire le conoscenze dell'universo quando era ai primordi della propria esistenza. Parliamo ora dei collapser. Una collapsar è una stella di Wolf-Rayet in rapida rotazione attorno al proprio asse avente un nucleo di massa superiore alle 30 masse solari. Collassando, essa può generare un buco nero in rotazione, che attira la materia interstellare circostante accelerandola a velocità relativistiche caratterizzate da un fattore di Lorentz di circa 150, parametro che include questi oggetti tra i più veloci conosciuti. Le collapsar sono anche considerate delle supernovae di tipo Ib "fallite". Si crede che le collapsar siano la causa dei lampi gamma lunghi (con durata superiore ai 2 secondi), dal momento che lungo l'asse di rotazione del buco nero sono creati violenti getti di energia che sono la causa di intensi lampi di radiazione (osservabili solo se ci si trova lungo la direzione del getto). Un possibile esempio di collapsar è la supernova SN1998bw, alla quale è associato il lampo gamma GRB980425. Essa è stata classificata come supernova di tipo Ic a causa di un'anomalia del suo spettro nel campo delle onde radio, indizio della presenza di materia accelerata a velocità relativistiche. Osservazioni effettuate con il telescopio spaziale Hubble hanno portato un gruppo di scienziati del California Institute of Technology di Pasadena a scoprire la prova dell'esistenza di una supernova durante l'indagine del GRB 011121. Questo suffragherebbe la validità del modello delle collapsar, il quale prevede che una stella supermassiccia quando esplode dia origine ad un gamma ray burst (GRB) e che i detriti della supernova momentaneamente divengano più brillanti, mentre il lampo si affievolisce. Nello stesso tempo un gruppo di astronomi dell'Università di Leicester mette in crisi la validità di questo modello: da misure dello spettro del GRB 011211 che si è originato dopo l'esplosione di una supernova, è risultato che la stella supermassiccia è esplosa eiettando un guscio di detriti il quale è stato riscaldato dopo diversi giorni dell'emissione del GRB; ciò avvalorerebbe la teoria della supernova, secondo la quale l'esplosione origina una stella di neutroni che dopo alcuni mesi collassa ulteriormente divenendo un buco nero ed emettendo raggi gamma. L'energia prodotta in un secondo durante l'esplosione è estremamente alta e arriva a circa 10^47 joule, che corrisponde a 1.000 volte l'energia generata dal Sole in 10 miliardi di anni. La caduta di materiale all'interno della stella forma un buco nero ed anche getti diretti verso l'esterno lungo i poli da cui fuoriesce materiale ed energia ad una velocità che è un terzo di quella della luce; si forma un getto polare, simile ad un cono appuntito con un angolo di circa 20 gradi. Il getto irrompe dai poli come un tremendo geyser, che squarcia la stella; da questo istante la collapsar diventa una palla di fuoco che scaglia materiale a velocità relativistica nel vento solare che la stella aveva soffiato fino a poco prima verso il mezzo interstellare. 


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