I paradossi della fisica: i misteri del cosmo

In questo nuovo e sorprendente articolo tratteremo un argomento mai affrontato prima, su Eagle sera. Fin ora abbiamo analizzato, spiegato e riflettuto circa il funzionamento del cosmo, dei suoi corpi e delle sue leggi. Ma sappiamo anche che gli astronomi non hanno scoperto proprio tutto sull'universo. Anzi, a volte alcune scoperte sembrano loro assurde, inspiegabili. Sono i PARADOSSI! Ma cos'è, precisamente un paradosso? E quali sono i più famosi? E, soprattutto, qual'è la loro soluzione? Seguiteci in quest'articolo per scoprirlo!!!


Esempi di paradossi


Cosa sono i paradossi?

Ora che conosciamo qualche paradosso, andiamo a vedere cos'è un paradosso, per definizione. Un paradosso, dal greco παρά (contro) e δόξα (opinione), è, genericamente, la descrizione di un fatto che contraddice l'opinione comune o l'esperienza quotidiana, riuscendo perciò sorprendente, straordinaria o bizzarra; più precisamente, in senso logico-linguistico, indica sia un ragionamento che appare invalido, ma che deve essere accettato, sia un ragionamento che appare corretto, ma che porta a una contraddizione. Secondo la definizione, che ne dà Mark Sainsbury, si tratta di "una conclusione evidentemente inaccettabile, che deriva da premesse evidentemente accettabili per mezzo di un ragionamento evidentemente accettabile". In filosofia ed economia il termine paradosso è usato spesso anche come sinonimo di antinomia. In matematica invece si distinguono i due termini: il paradosso consiste in una proposizione eventualmente dimostrata e logicamente coerente, ma lontana dall'intuizione; l'antinomia, invece, consiste in una vera e propria contraddizione logica. Il paradosso è un potente stimolo per la riflessione. Rivela sia la debolezza della nostra capacità di discernimento sia i limiti di alcuni strumenti intellettuali per il ragionamento.  

Il paradosso dell'area scomparsa: la seconda figura non è un triangolo ma un quadrilatero! C'è un piccolo angolo, quasi piatto, sull'ipotenusa.

È stato così che paradossi basati su concetti semplici hanno spesso portato a grandi progressi intellettuali. Talvolta si è trattato di scoprire nuove regole matematiche o nuove leggi fisiche per rendere accettabili le conclusioni che all'inizio erano "apparentemente inaccettabili". Altre volte si sono individuati i sottili motivi per cui erano fallaci le premesse o i ragionamenti "apparentemente accettabili". Sin dall'inizio della storia scritta si hanno riferimenti ai paradossi: dai paradossi di Zenone alle antinomie di Immanuel Kant, fino a giungere ai paradossi della meccanica quantistica e della teoria della relatività generale, l'umanità si è sempre interessata ai paradossi. Il buddhismo zen (specie quello di scuola Rinzai) affida l'insegnamento della sua dottrina ai kōan, indovinelli paradossali. l più antico paradosso si ritiene essere il paradosso di Epimenide, in cui il Cretese Epimenide afferma: "Tutti i cretesi sono bugiardi". Poiché Epimenide era originario di Creta, la frase è paradossale. A rigor di logica, moderna ovviamente, questo non è un vero paradosso: detta p la frase di Epimenide, o è vera p o è vera non p. La negazione di p è "Non tutti i cretesi sono bugiardi", ossia "Qualche cretese dice la verità", che non va confusa con l'opposto di p (cioè "Nessun cretese è bugiardo" equivalente a "Tutti i cretesi sono sinceri"). Evidentemente quindi Epimenide non fa parte dei cretesi sinceri, e la frase è falsa. Tuttavia la negazione dei quantificatori non era ben chiara nella logica degli antichi greci. Subito dopo troviamo i paradossi di Zenone. Un altro famoso paradosso dell'antichità, questo sì irresolubile, è il paradosso di Protagora, più o meno contemporaneo di Zenone di Elea.

Alcuni paradossi, poi, hanno preceduto di secoli la loro risoluzione: prendiamo ad esempio il paradosso di Zenone della freccia:

"Il terzo argomento è quello della freccia. Essa infatti appare in movimento ma, in realtà, è immobile: in ogni istante difatti occuperà solo uno spazio che è pari a quello della sua lunghezza; e poiché il tempo in cui la freccia si muove è fatto di infiniti istanti, essa sarà immobile in ognuno di essi." Esistono varie forme di classificazione dei paradossi. Secondo le loro implicazioni, i paradossi si dividono in:
  • Positivi: un esempio ne è la teoria della relatività ristretta. Un paradosso "nullo" o "retorico" deriva dal tipico ragionamento sofista, che dimostra una cosa e il suo contrario, come i già citati paradossi di Zenone.
  • Negativi: portano il ragionamento a partire da un'ipotesi alla negazione della stessa e sono in pratica una dimostrazione per assurdo della falsità dell'ipotesi di partenza. Di quest'ultimo tipo sono molti teoremi matematici e fisici, come ad esempio il teorema dell'infinità dei numeri primi o il teorema di Church.

Se invece categorizziamo che cosa ci appare paradossale secondo i nostri sensi, abbiamo i paradossi visivi, auditivi, tattili, gustativi e olfattivi, più spesso indicati come anomalie o ambiguità, e i paradossi logici e matematici che sono categoria a sé. Più diffusa è invece la classificazione di W. V. Quine (1962) che distingueva in tre classi di paradossi:

  • Paradosso "veridico", che produce un risultato apparentemente assurdo sebbene sia dimostrato comunque vero con un argomento valido. Ad esempio il teorema di impossibilità di Arrow stabilisce difficoltà enormi del mappare i voti come risultati di un volere popolare. Il paradosso di Monty Hall dimostra invece che una decisione che ha intuitivamente una probabilità del 50%, quando al contrario non si dia il caso di ciò. Nel ventunesimo secolo, il paradosso del Gran Hotel di Hilbert e del gatto di Schrödinger sono famosi e vividi esempi di una teoria considerata logica ma dalle conclusioni che sembrano paradossali.
  • Paradosso "falsidico", più comunemente conosciuto come fallacia, stabilisce che una conclusione non sia falsa perché appaia tale (anzi, può anche sembrare il contrario), ma perché non è valida la sua dimostrazione. Esempi di argomenti del genere sono i sofismi algebrici (come 1=2), scorretti perché poggiano, in qualche punto nascosto, per una divisione per zero, impossibile nei campi numerici e in generale in tutti i domini di integrità. Altri esempi famosi in letteratura sono i paradossi di Zenone.
  • Un paradosso non presente fra i punti precedenti dovrebbe essere un'antinomia.
C'è anche un quarto tipo di paradosso preso in esame, addizionalmente, nel lavoro di Quine: un paradosso che è effettivamente sia vero che falso contemporaneamente, chiamato dialetheia. Nella logica occidentale mainstream si è assunto che non esistessero, seguendo Aristotele, sebbene esistano delle eccezioni della filosofia orientale e nella logica paraconsistente. 
Zenone di Elea

Elea (o Velia) città di Zenone.


Ora che sappiamo  cosa sono i paradossi, andiamo ad analizzare tre paradossi famosissimi: il paradosso dei gemelli, del nonno e di Fermi. 


Il paradosso dei Gemelli

Il paradosso dei gemelli è un esperimento mentale che sembra rivelare una contraddizione insita nella teoria della relatività ristretta. L'analisi che porta a tale conclusione è però scorretta: un'analisi corretta mostra che non vi è alcuna contraddizione. Principale sostenitore della questione fu Herbert Dingle, filosofo inglese, il quale intendeva provare la non validità della teoria einsteniana. Pur avendo ricevuto numerose confutazioni logiche da Einstein e Born, egli continuò a scrivere ai giornali, e quando questi ultimi cominciarono a rifiutare le pubblicazioni, parlò di un complotto ai suoi danni. Risolvendo il paradosso dei gemelli, Einstein ammise la possibilità teorica di un viaggio nel futuro, ferma restando l'impossibilità di superare la velocità della luce. La prima costruzione teorica per la quale risultava possibile un viaggio nel passato fu elaborata più tardi dallo stesso Einstein insieme a Nathan Rosen. Consideriamo un'astronave che parta dalla Terra nell'anno 3000; che mantenendo una velocità costante v raggiunga la stella Wolf 359, distante 8 anni luce dal nostro pianeta; e che appena arrivata, inverta la rotta e ritorni sulla Terra, sempre a velocità v. Di una coppia di fratelli gemelli, l'uno salga sull'astronave, mentre l'altro rimanga a terra. Volutamente, nei calcoli trascuriamo per semplicità l'accelerazione e la decelerazione della navetta, anche se, per portarsi a velocità relativistiche in tempi brevi, occorrerebbero accelerazioni insostenibili per l'uomo e per la nave. Supponiamo che v sia di 240.000 km/s, cioè v = 0,8 c. Per questa velocità si ha:

Barra delle equazioni per i lettori più curiosi

per cui, secondo la teoria della relatività ristretta, nel sistema in movimento il tempo scorre al 60% del tempo nel sistema in quiete. Quindi:

  • Nel sistema di riferimento della Terra l'astronave percorre 8 anni luce in 10 anni, sia durante il viaggio di andata, che durante il viaggio di ritorno: essa quindi arriva nell'anno terrestre 3020. Sull'astronave, però, il tempo scorre al 60% rispetto alla Terra, quindi l'orologio dell'astronauta avanza di 6 anni all'andata e altrettanti durante il ritorno: all'arrivo il calendario dell'astronave segna l'anno 3012. Il fratello rimasto sulla Terra è perciò, dopo il viaggio, otto anni più vecchio del suo gemello.
  • Nei sistemi di riferimento dell'astronave (andata e ritorno), dove l'astronave è ferma ed è il sistema Terra-stella a muoversi a 0,8 c, per effetto della contrazione relativistica delle lunghezze la distanza fra la Terra e Wolf 359 si accorcia al 60%, misura cioè 4,8 anni luce: a 0,8 c questa distanza viene percorsa da Wolf in 6 anni durante la 'andata' (in cui Wolf si avvicina all'astronave) e dalla Terra in 6 anni durante il 'ritorno' (in cui la Terra si avvicina all'astronave), per un totale di 12 anni di viaggio, coerentemente con quanto calcolato nel sistema di riferimento della Terra.

Ma, per chi immagina l'esperienza dei due gemelli esattamente equivalente, adesso si chiede perché non sia l'orologio della Terra a muoversi al 60% del tempo dell'astronave visto che il sistema Terra appare muoversi a 0,8 c vedendolo dall'interno dell'astronave. Se così fosse, quando l'astronave fa ritorno sulla Terra, dovrebbero essere trascorsi solo 7,2 anni (60% di 12 anni) e quindi non dovrebbe essere l'anno 3020, ma il 3007,2 e il fratello a bordo dell'astronave dovrebbe essere 4,8 anni più vecchio del gemello sedentario. Il paradosso sta quindi nel fatto che a dipendere semplicemente dal sistema di riferimento che consideriamo, uno dei due gemelli si trova in un caso più giovane, e in un altro più vecchio dell'altro gemello. Ne segue che ammettere come corretto un sistema di riferimento implica che l'altro sia scorretto.

La chiave di volta nella soluzione di questo paradosso ed in generale dei casi in cui la simmetria del problema fa sorgere il dubbio su chi sia più "vecchio" sta nel riformulare questa domanda nel modo corretto.

Dati due punti nello spazio-tempo, ad esempio:

  • 1) sull'astronave il "gemello avvia la fase di ritorno" in quello che per lui è l'inizio del 3006;
  • 2) sulla terra il "gemello festeggia il 3010".

Allora è ovvio sapere chi sia più vecchio, in questo caso è banalmente il terrestre ad essere più vecchio di 4 anni. I punti dello spazio-tempo sono classici eventi fisici, non c'è nessuna stranezza in questo. L'aspetto più indigesto nella relatività non è il fatto che il tempo scorra diversamente o che lo spazio si comprima ma piuttosto la frantumazione del concetto di simultaneità. Dall'esempio precedente è evidente chi sia più vecchio nei due eventi selezionati, mentre è impossibile dire chi tra i due gemelli sia più vecchio in "un dato momento" o "in assoluto" semplicemente perché la domanda non ha senso, la relatività ci insegna che occorre indicare un sistema inerziale a cui far riferimento. Ogni sistema infatti considererà sincroni punti dello spazio-tempo differenti, e quindi età differenti dei due fratelli, ma nessuno di essi può considerarsi privilegiato rispetto agli altri ed è per questo che non è possibile definire univocamente chi sia più vecchio in assoluto!


Il paradosso del Nonno

Adesso andiamo ad analizzare il paradosso più famoso in assoluto:  il paradosso del nonno. Il paradosso del nonno è un celebre paradosso sul viaggio nel tempo.

Il primo a descriverlo fu René Barjavel, uno scrittore francese di fantascienza, nel suo libro Il viaggiatore imprudente (Le voyageur imprudent, 1943). Il paradosso del nonno è stato molto utilizzato, in letteratura e nel cinema, per dimostrare che i viaggi indietro nel tempo sono impossibili. (Nota importante: il paradosso del nonno non è l'unico paradosso derivante dai viaggi nel tempo. Se accettiamo i viaggi temporali accettiamo anche cose assurde come "A porta a B che porta a C che porta ad A"!) Il paradosso suppone che un nipote torni indietro nel tempo e uccida suo nonno prima che incontri sua nonna, dunque prima che possa sposarsi e avere discendenza. L'uccisione rende impossibile l'esistenza del nipote e dunque dello stesso viaggio nel tempo che determina l'assassinio del nonno. A (l'assassinio) porta a B (il nipote non nasce) che impedisce A. Ma allora B non avviene ma così nulla impedisce A. In pratica, A >- -A, cioè l'assassinio impedisce l'assassinio. Un paradosso apparentemente irrisolvibile!

Sono state proposte alcune ipotesi per risolvere la contraddizione non solo di questo paradosso, ma di tutti quelli derivanti da viaggi nel tempo; ecco le più importanti:

  • secondo la teoria del multiverso questo paradosso non è una contraddizione, perché ogni "interferenza" col passato produrrebbe le sue conseguenze solo in un universo parallelo, nel quale la storia si evolve in maniera diversa;
  • un universo parallelo viene generato istantaneamente a ogni singola "interferenza": un viaggio nel passato comporterebbe la creazione di infiniti universi con infinite linee temporali;
  • se invece si assume che l'universo esistente sia unico (o che i vari universi siano totalmente isolati, il che è equivalente), allora il paradosso è una vera e propria antinomia, perciò deve in qualche modo essere impossibile che il fatto paradossale avvenga:
    • secondo la congettura di protezione cronologica (formulata da Stephen Hawking), deve in qualche modo essere impossibile ogni forma di viaggio indietro nel tempo, per motivi da noi ancora sconosciuti;
    • secondo il principio di autoconsistenza di Novikov, il viaggio nel tempo non è impossibile, ma le conseguenze che esso produce dal passato verso il futuro sono proprio quelle che hanno reso possibile quel viaggio dal futuro verso il passato: in altri termini è possibile andare indietro nel tempo, ma è impossibile modificare la storia tramite un viaggio indietro nel tempo, poiché esso è già avvenuto nel passato e doveva avvenire nel presente. Nello specifico, ad esempio, se sono effettivamente riuscito a tornare nel passato e a uccidere mio nonno prima che sposasse mia nonna, allora o ho ucciso qualcun altro convinto che fosse lui, o suo figlio (ossia mio padre) è stato concepito prima che lo uccidessi.


Il paradosso di Fermi

Il paradosso di Fermi, attribuito al fisico Enrico Fermi, sorge nel contesto di una valutazione della probabilità di entrare in contatto con forme di vita intelligente extraterrestre. Si riassume solitamente nel seguente ragionamento: dato l'enorme numero di stelle nell'universo osservabile, è naturale pensare che la vita possa essersi sviluppata in un grande numero di pianeti e che moltissime civiltà extraterrestri evolute siano apparse durante la vita dell'universo. Da tale considerazione nasce la domanda:

«Se l'Universo e la nostra galassia pullulano di civiltà sviluppate, dove sono tutte quante?»

oppure:

Enrico Fermi

«Se ci sono così tante civiltà evolute, perché non ne abbiamo ancora ricevuto le prove, come trasmissioni radio, sonde o navi spaziali?»

Questo quesito serve di solito come monito alle stime più ottimistiche dell'equazione di Drake, che proporrebbero un universo ricco di pianeti con civiltà avanzate in grado di stabilire comunicazioni radio, inviare sonde o colonizzare altri mondi.

Il "paradosso" è il contrasto tra l'affermazione, da molti condivisa e sostenuta da stime di Drake, che non siamo soli nell'Universo e i dati osservativi che contrastano con questa ipotesi. Ne deriva che: o l'intuizione e le stime come quelle di Drake sono errate, o la nostra osservazione/comprensione dei dati è incompleta.

La soluzione più semplice è che la probabilità che la vita si evolva spontaneamente nell'Universo fino a produrre una civiltà evoluta sia estremamente bassa. Molti sono gli elementi contemporaneamente necessari perché la vita come la intendiamo, basata sul carbonio, possa evolversi su un pianeta. Fattori astronomici, come la posizione all'interno della galassia, l'orbita percorsa dal pianeta intorno alla sua stella centrale e la tipologia di quest'ultima, la sua ellitticità e l'inclinazione dell'orbita, nonché la presenza di satelliti naturali dalle caratteristiche della Luna, sono i fattori determinanti alla predisposizione alla vita. Soprattutto, anche in presenza di condizioni ambientali favorevoli, i componenti genetici della vita, a partire dalle molecole complesse di DNA con capacità di auto-replicazione, sono entità chimiche di elevatissima complessità, per lo sviluppo delle quali non si hanno allo stato attuale modelli provati e verificabili. Inoltre, la nascita della vita nella forma conosciuta, lo sviluppo di forme di vita intelligente e quindi di civiltà richiede che si verifichino molte altre coincidenze. Gli studi sul nostro Sistema solare sembrano confermare l'eccezionalità della vita sulla Terra (ipotesi della rarità della Terra). Questa tesi può essere contestata sostenendo che la vita non debba necessariamente essere come la si osserva sulla Terra, ma possa evolversi in condizioni differenti, e che non debba necessariamente basarsi sul carboni. Tuttavia si tratta di una argomentazione completamente speculativa perché di fatto al momento l'unico tipo di vita osservata e sperimentabile è quella presente sulla Terra e basata sulla chimica del carbonio. Inoltre molta dell'incertezza deriva dal fatto che i meccanismi che portano alla nascita della vita sono ignoti e quindi è molto difficile, o impossibile, stimarne la probabilità. Tuttavia l'occorrenza della vita è ritenuta un evento poco probabile anche da parte di alcuni sostenitori dell'esistenza di civiltà aliene. Per scavalcare il problema hanno formulato l'ipotesi della panspermia, cioè la vita può diffondersi facilmente attraverso l'Universo o addirittura, nella forma sostenuta da Francis Crick, può essere deliberatamente diffusa da civiltà evolute. Quest'ipotesi non risolve il problema ma lo sposta su qualche altro mondo, per il quale si può fare la stessa obiezione di estrema improbabilità.

Un parametro dell'equazione di Drake è la durata media delle civiltà tecnologicamente evolute. Drake ne stimò la durata in 10.000 anni (da quando iniziano a poter comunicare con onde radio). Le cause della scomparsa di una civiltà possono essere sia naturali che culturali. Se una civiltà tende naturalmente ad annientarsi, è solo questione di tempo perché inventi i mezzi necessari. L'unico dato osservativo disponibile è che la nostra civiltà dispone da decenni dei mezzi necessari, ma per ora è sopravvissuta. Anche in questo caso è difficile dire quanto la competizione gerarchica, l'aggressività e l'autoritarismo, elementi del militarismo, siano prerogative della specie umana o siano costanti universali, legate all'evoluzione o all'organizzazione politica degli individui intelligenti. Si consideri che non è necessaria una distruzione totale della specie, ma è sufficiente una involuzione a livelli primitivi dei sopravvissuti per sottrarre la civiltà alla lista di quelle in grado di comunicare. Anche eventi catastrofici naturali possono considerarsi gravi pericoli per un pianeta vivo: l'impatto di una cometa o di un asteroide, l'eruzione di un supervulcano o l'alterazione delle condizioni climatiche sono minacce alla vita sulla Terra, più volte bersaglio di eventi catastrofici, che hanno causato diverse estinzioni di massa (la più nota è quella dei dinosauri). Eventi di questo tipo sarebbero anche prevedibili da una civiltà più avanzata della nostra, ma difficilmente rimediabili o prevenibili. Il problema con questa tesi è che non esiste un campione statisticamente valido con cui poter stimare il parametro di durata media di una civiltà evoluta; anzi il campione è allo stato attuale composto da un solo caso: noi. Né siamo in grado di affermare che ne esistano o ne siano esistite altre. Infatti estrapolare tale valore dalle informazioni relative alla nostra esistenza, oltre a non essere statisticamente sensato, vizia il risultato con un effetto di selezione. 

L'Universo è vasto. Prendendo come riferimento la velocità della luce, essa impiega oltre 2 milioni di anni solo per arrivare alla galassia più vicina. È dunque possibile che esistano diverse civiltà evolute e desiderose di comunicare, ma isolate dalle enormi distanze intergalattiche. Questa soluzione però implica che probabilmente siamo soli nella nostra galassia, in contrasto con le stime meno pessimistiche dell'equazione di Drake, che ipotizza l'esistenza di 600 civiltà evolute. Una forma corretta di questa tesi afferma che le civiltà aliene siano attualmente troppo lontane, oppure che esistono civiltà relativamente vicine ma che non hanno ancora intrapreso, o intrapreso da poco, esplorazioni/comunicazioni spaziali.

Anche questa ipotesi non è soddisfacente: se il principio di mediocrità deve essere applicato per postulare l'esistenza di altre specie aliene, deve essere applicato anche per scartare posizioni temporali speciali nella storia della galassia, come sarebbe quella dell'inizio della colonizzazione galattica. Infine va considerato che due ipotetiche civiltà vicine nello spazio, ma separate da un lasso temporale anche breve nell'evoluzione tecnologica, sarebbero totalmente ignare l'una dell'altra. Inoltre un'obiezione fondamentale a quest'ipotesi è che la limitazione può riguardare solo i viaggi interstellari, non le comunicazioni via onde elettromagnetiche alla velocità della luce. È proprio la motivazione dietro agli esperimenti del SETI che da decenni cerca di captare nelle onde radio, segni di una comunicazione diretta (cioè inviata volontariamente) o indiretta (cioè fasci di onde radio usate per comunicazioni locali). L'assenza completa di queste trasmissioni non può essere imputata all'enorme distanza.

Secondo il fisico Roger Penrose, ideatore della cosmologia ciclica conforme secondo cui l'universo ha un'età infinita, alcuni segnali nella radiazione cosmica di fondo potrebbero anche indicare fonti di energia provenienti da civiltà aliene precedenti al Big Bang dell'attuale periodo dell'universo, civiltà che sarebbero quindi molto lontane da noi nel tempo.

Ancora più complesso è ipotizzare quale sia la probabilità che una forma di vita possa evolversi fino a creare una specie autocosciente e desiderosa di comunicare. È possibile che nell'Universo esistano molti corpi celesti ospitanti una forma di vita, ma su pochissimi questa si sia evoluta in una civiltà tecnologica. Inoltre anche se una civiltà sviluppa i mezzi adatti, non è detto che abbia l'idea o il desiderio di comunicare con altri mondi, o perché non ci considerano degni (potrebbero considerare la nostra una civiltà troppo arretrata) o hanno paura di noi o perché pensano che un contatto diretto possa nuocere a noi/loro, o semplicemente non hanno mai sviluppato l'idea dell'esistenza di altre civiltà con cui comunicare.

Tuttavia concepire una specie aliena come un'unica entità non è soddisfacente: se pure la civiltà aliena nel suo complesso fosse disinteressata, timorosa o non desiderosa di comunicare con altre civiltà, ciò non preclude che al suo interno possano esistere individui o gruppi interessati a comunicare. Inoltre, ed è un'obiezione determinante, indipendentemente dalla non volontà di comunicare, una civiltà tecnologica evoluta e arrivata almeno alla scoperta ed utilizzo delle onde elettromagnetiche produrrebbe comunque messaggi inconsapevoli attraverso la propagazione nello spazio delle comunicazioni locali.

Teoria della "Foresta Oscura"

Presentata da Liu Cixin in La materia del cosmo

Primo assioma: la sopravvivenza è il primario bisogno di una civiltà, di conseguenza le civiltà fanno tutto ciò che serve per garantirsi la sopravvivenza
Il secondo assioma è che le civiltà crescono e si espandono, ma la quantità della materia e delle risorse dell'universo è finita.
Conseguenza: l'universo è una foresta oscura dove tutti si nascondono, perché non appena sei notato sei catalogato come possibile concorrente alla sopravvivenza, ti distruggono e ti depredano della tua materia prima che lo faccia tu. A questa teoria si possono però portare le obiezioni già viste nel punto precedente. Una civiltà tecnologica necessariamente produce una grande quantità di messaggi inconsapevoli, almeno fino a che non subentra la sindrome della foresta oscura, ammesso che questo sia l'evoluzione necessaria di ogni civiltà. Inoltre anche a questa teoria si può portare una delle obiezioni principali dei punti precedenti: l'unica civiltà tecnologica di cui abbiamo esperienza è la nostra e noi ci stiamo comportando in modo completamente opposto. 

Non siamo in grado di ricevere

I tentativi di inviare/ricevere comunicazioni si sono basati sull'utilizzo di onde elettromagnetiche. Così come prima di Guglielmo Marconi non avremmo neppure immaginato di usare questo mezzo, così potremmo non essere neppure in grado di immaginare le tecniche usate da civiltà radicalmente diverse dalla nostra. Alcune tecnologie teorizzate potrebbero essere basate sui neutrini, le onde gravitazionali o la correlazione quantistica. Vi è da aggiungere che tali tecnologie di comunicazioni teorizzate sono assai opinabili sulla base delle conoscenze scientifiche attuali, in particolare utilizzare la correlazione quantistica per trasmettere informazioni contrasta con un ben assodato teorema della meccanica quantistica. La trasmissione mediante onde gravitazionali o neutrini non pone obiezioni di carattere teorico, ma richiederebbe civiltà con una quantità di energia paragonabile a quella contenuta in larga parte dell'Universo. Attualmente vi sono in funzione in alcuni laboratori rivelatori di neutrini e di onde gravitazionali in grado di misurare tali ipotetici segnali se particolarmente intensi. Si può comunque ipotizzare che una civiltà attraversi diverse fasi di evoluzione tecnologica, passando anche per le relativamente facili onde elettromagnetiche. È ragionevole ritenere che scienziati di questa civiltà siano in grado comunque di ricevere e decodificare segnali radio, anche se per loro ormai obsoleti.

Rimanendo nel campo delle onde radio dobbiamo tenere in considerazione il problema della velocità della luce. Le microonde da noi emesse da quando si è sviluppata la televisione si stanno ancora allontanando da noi alla velocità della luce in tutte le direzioni. Il raggio in anni luce della sfera entro la quale queste informazioni sono ricevibili coincide numericamente con il periodo in anni dal quale le trasmissioni sono iniziate. Nel caso della Terra questo valore è quindi di circa 50 anni luce. La tendenza ad ottimizzare le trasmissioni per ragioni economiche, come nel caso della televisione digitale o dei telefoni cellulari, focalizzandole in fasci di microonde e sopprimendo la portante, fa sì che i segnali trasmessi siano meno distinguibili dallo spazio.

I critici di questa soluzione fanno notare che se una civiltà aliena volesse comunicare, utilizzerebbe dei segnali facilmente riconoscibili come tali, come ad esempio una modulazione con portante. Se tale civiltà intendesse usare segnali di difficile ricezione per evitare di comunicare con altre civiltà più arretrate o diverse, si ricadrebbe nel caso precedente. Inoltre alcuni dei mezzi di comunicazione proposti, alternativi alle onde elettromagnetiche, o sono speculazioni teoriche o sono già rilevabili con la tecnologia terrestre.


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