Fobos

Il nostro sistema solare è ricchissimo di oggetti misteriosi: tra questi uno è Fobos, una piccola ma straordinaria luna marziana. Seguici su Eagle sera per saperne di più.


Fobos

Fobos (Φόβος, in lingua greca, indicato anche come Marte I) è il maggiore e il più interno dei due satelliti naturali di Marte (l'altro è Deimos). Scoperto il 18 agosto 1877 dall'astronomo statunitense Asaph Hall, è stato così nominato, su suggerimento di Henry Madan, dal personaggio della mitologia greca Fobos, uno dei figli di Ares e Afrodite. Orbita, a meno di 6000 km dalla superficie di Marte, in 7 ore e 39 minuti. È il satellite naturale noto più vicino al proprio pianeta e completa tre orbite nel tempo che Marte impiega per ruotare su sé stesso; se osservato da Marte, sorge a ovest e tramonta a est. Pur così vicino al pianeta, con un diametro di circa 22 km, appare molto più piccolo della Luna vista dalla Terra. La sua origine e la sua composizione rimangono incerti, potrebbe essere un asteroide catturato oppure essersi formato contemporaneamente a Marte o poco dopo a causa di un impatto. È poco riflettente, ha forma irregolare e assomiglia a un asteroide carbonioso. Il cratere Stickney di 8 km di diametro è la caratteristica più prominente di Fobos, sebbene piuttosto peculiari risultino soprattutto le striature (grooves) che percorrono gran parte della superficie. Dagli anni settanta è stato oggetto di osservazioni ravvicinate da parte di sonde spaziali orbitanti attorno a Marte, che hanno permesso di chiarire alcuni dubbi sul suo aspetto, la sua composizione e la sua struttura interna. L'osservazione di Fobos dalla Terra è ostacolata dalle sue ridotte dimensioni e dalla sua vicinanza al pianeta rosso. È osservabile solo per un limitato periodo di tempo quando Marte è prossimo all'opposizione e appare come un oggetto puntiforme, senza che sia possibile risolverne la forma. In tale circostanza Fobos raggiunge una magnitudine di 11,6.[10] Per confronto Marte può raggiungere una magnitudine massima di −2,8, risultando poco meno di 600.000 volte più luminoso. Inoltre all'opposizione Fobos si discosta in media 24,6 arcosecondi dal pianeta. Di conseguenza è più semplice osservare Deimos, che si discosta da Marte 61,8 arcosecondi, pur raggiungendo una magnitudine di 12,8. Per procedere all'osservazione di entrambi i satelliti, in condizioni particolarmente favorevoli, è necessario disporre di un telescopio di almeno 12 pollici (30,5 cm). Utilizzare un elemento che occulti il bagliore del pianeta e dispositivi per la raccolta di immagini quali lastre fotografiche o CCD, con esposizioni di alcuni secondi, risulta d'aiuto. Fobos appare grande quanto un terzo della Luna vista dalla Terra. Data la sua vicinanza col pianeta, la vista migliore si ottiene dalle latitudini equatoriali della superficie di Marte e appare tanto più piccolo quanto maggiore è la latitudine dell'osservatore; risulta invece completamente invisibile (sempre oltre l'orizzonte) da latitudini maggiori di 69°. Raggiunge una magnitudine apparente massima di −3,9 all'opposizione (corrispondente a una fase di Luna piena) con un diametro angolare di 8'. Poiché Fobos completa un'orbita in meno di un giorno marziano, un osservatore sulla superficie del pianeta lo vedrebbe sorgere a ovest e tramontare a est. Il suo moto sarebbe molto veloce, con un periodo apparente di 11 ore (in 4,5 delle quali attraversa il cielo, sorgendo nuovamente 6,5 ore dopo). Il suo aspetto, inoltre, varierebbe a causa del fenomeno delle fasi, il cui ciclo si completa in una notte. Sempre a causa della sua peculiare vicinanza al pianeta, Fobos viene eclissato da Marte, salvo che per brevi periodi in prossimità degli equinozi, subito dopo esser sorto fino a poco prima di tramontare, rimanendo un'ombra scura vagante per gran parte del suo percorso apparente del cielo marziano. Il diametro angolare del Sole visto da Marte è di circa 21'. Di conseguenza non possono verificarsi eclissi totali sul pianeta, perché le due lune sono entrambe troppo piccole per coprire il disco solare nella sua interezza. D'altra parte dall'equatore è possibile osservare transiti di Fobos quasi ogni giorno; essi sono molto rapidi e si concludono in meno di mezzo minuto circa. Invece Deimos transita sul disco solare una volta al mese circa, ma il fenomeno, che dura circa un minuto e mezzo, rimane poco visibile. Fobos è in rotazione sincrona con Marte, cioè mostra sempre la stessa faccia al pianeta, come la Luna alla Terra. Così da tale faccia Marte sarebbe sempre visibile, raggiungendo una dimensione di 42° (pari a circa 80 volte quella della Luna piena vista dalla Terra). Invece dalla faccia opposta sarebbe possibile osservare periodicamente Deimos. Inoltre, come quello di Fobos visto da Marte, l'aspetto di quest'ultimo visto dal satellite cambia a seconda dell'angolazione d'arrivo dei raggi del Sole. Le due lune di Marte furono "scoperte" prima nel mondo della fantasia che in quello reale. Con un ragionamento tanto logico quanto assurdo, all'inizio del XVII secolo Keplero aveva ipotizzato che Marte potesse avere due satelliti, essendo allora noto che ne avesse uno il pianeta che lo precede, la Terra, e quattro quello subito seguente, Giove. Nel 1726 Jonathan Swift, probabilmente ispirato dall'ipotesi di Keplero, nei suoi Viaggi di Gulliver fece descrivere agli scienziati di Laputa il moto di due satelliti orbitanti attorno a Marte. Voltaire, presumibilmente influenzato da Swift, fornì una descrizione analoga nel suo racconto filosofico Micromega del 1752. Al tempo di entrambi, i telescopi non erano abbastanza potenti da poter individuare satelliti così piccoli come Fobos e Deimos. Si tratta quindi di licenze letterarie, se non di vera e propria satira verso gli scienziati del tempo.[40] Asaph Hall scoprì Deimos il 12 agosto 1877 e Fobos il seguente 18 agosto (le fonti dell'epoca adottano la convenzione astronomica, precedente al 1925, che il giorno inizi a mezzogiorno; conseguentemente le scoperte sono riferite rispettivamente all'11 e al 17 agosto) con il telescopio rifrattore di 26 pollici (66 cm) di diametro dello United States Naval Observatory a Washington, il più potente allora esistente, inaugurato quattro anni prima. Hall in quel periodo stava cercando sistematicamente delle possibili lune di Marte e per riuscire nell'impresa aveva utilizzato il micrometro in dotazione allo strumento per schermare la luce del pianeta. Il 10 agosto aveva già visto una luna del pianeta, ma, a causa del maltempo, non riuscì a identificarla se non nei giorni seguenti. I nomi delle due lune, adottati inizialmente con l'ortografia Phobus e Deimus, furono proposti da Henry Madan (1838 - 1901), "Science Master" a Eton e richiamano quelli dei personaggi di Fobos (paura) e Deimos (terrore) che, secondo la mitologia greca, accompagnavano in battaglia il loro padre Ares, dio della guerra.[13] Ares è l'equivalente greco della divinità romana Marte. «Egli [Ares] parlò, e ordinò al Terrore e alla Paura di preparare i suoi destrieri. E lui stesso indossò l'armatura scintillante.» Le dimensioni e le caratteristiche orbitali dei satelliti di Marte hanno consentito, per lungo tempo, la loro osservazione solo in occasioni favorevoli, con il pianeta all'opposizione e i due satelliti in condizioni di elongazione adeguata, che ricorrono circa ogni due anni, con condizioni particolarmente favorevoli che si verificano circa ogni sedici anni. La prima configurazione favorevole si verificò nel 1879. Numerosi osservatori, in tutto il mondo, parteciparono alle osservazioni con lo scopo di determinare con esattezza le orbite dei due satelliti. Nei quarant'anni seguenti la maggior parte delle osservazioni (più dell'85% del totale di quelle compiute tra il 1888 e il 1924) avvennero presso due osservatori statunitensi, lo United States Naval Observatory e l'Osservatorio Lick, con l'obiettivo, tra gli altri, di determinare la direzione dell'asse di rotazione del pianeta. Tra il 1926 e il 1941 proseguì soltanto il Naval Observatory, con 311 osservazioni visuali. Dal 1941 in poi, le osservazioni avvennero solo con la tecnica fotografica. Nei quindici anni seguenti le ricerche furono poche o nulle e ripresero nel 1956, volte soprattutto a individuare eventuali altri satelliti. Nel 1945 Bevan P. Sharpless aveva rilevato un'accelerazione di Fobos, che era stata predetta teoricamente da Hermann Struve all'inizio del Novecento con studi di meccanica orbitale. Nonostante ciò, alcuni astronomi provarono a spiegarla come effetto delle perturbazioni della tenue atmosfera marziana. L'informazione non ricevette particolare attenzione finché non fu ripresa da Iosif Šklovskij, che nel 1959 avanzò l'ipotesi che Fobos potesse essere un oggetto cavo e - speculò - un satellite artificiale lanciato da una civiltà aliena presente anticamente sul pianeta. Tale ipotesi guadagnò una certa notorietà e fu riproposta nel 1966 da Šklovskij stesso nel libro Intelligent Life in the Universe scritto con Carl Sagan. La controversia che l'accompagnò portò a nuove osservazioni astrometriche, che coinvolsero entrambe le lune, negli anni sessanta e settanta, che confermarono l'accelerazione orbitale, ma riducendola a soli 1,8 cm l'anno anziché i 5 cm l'anno misurati inizialmente da Sharpless, che così ridotta poteva essere spiegata con effetti mareali. Nel 1988, in concomitanza con le missioni sovietiche del Programma Phobos, furono condotte osservazioni da Kudriavcev e colleghi. Nei dieci anni seguenti, invece, le due lune non furono oggetto di alcuna osservazione, fino al 2003, quando osservazioni molto accurate furono condotte dall'Osservatorio Lowell. Osservazioni spettroscopiche di Fobos e Deimos sono state condotte dalla fine degli anni ottanta prima con l'Infrared Telescope Facility, presso l'osservatorio di Mauna Kea, e poi con il telescopio spaziale Hubble, confrontando i dati ottenuti con quelli di asteroidi appartenti alle classi C, P, D e T. Sebbene siano state trovate alcune similitudini, i risultati non sono risultati definitivi e non hanno permesso di identificare la composizione delle due superfici. Osservazioni radar sono state condotte nel 1989 dall'osservatorio Goldstone e nel 2005 dal radiotelescopio di Arecibo. Per lo strato superficiale di regolite che ricopre Fobos è stata stimata una densità di (1,6±0,3)×103 kg/m³. Fobos non è risultato invece un obiettivo accessibile per le ottiche adattive del Very Large Telescope. Difficilmente osservabili dalla Terra, è stato possibile studiare estensivamente Fobos e Deimos solo grazie all'esplorazione spaziale del pianeta rosso. La prima sonda a fotografare Fobos fu il Mariner 7 nel 1969. Le immagini ottenute non consentirono di identificare alcuna caratteristica della superficie; nella migliore di esse, identificata dalla sigla 7F91, Fobos occupava solo quaranta pixel, che permisero tuttavia una stima del suo diametro e della sua albedo. La missione successiva fu quella del Mariner 9, che raggiunse Marte nel 1971 e trovò il pianeta interessato da una tempesta di sabbia globale che impedì l'osservazione diretta della superficie marziana per circa due mesi. Parte di questo periodo fu allora utilizzato per condurre uno studio approfondito dei due satelliti di Marte. La sonda raccolse un centinaio di immagini di Fobos - con una risoluzione massima di 100 metri - che permisero di determinarne le dimensioni, la forma e il periodo di rotazione, di migliorare le conoscenze sul suo moto orbitale e di identificare le principali caratteristiche superficiali. Fu inoltre rilevata la presenza di uno strato di regolite sulla superficie di entrambe le lune. Al massimo del suo avvicinamento a Fobos, il Mariner 9 raggiunse una distanza di 5 710 km. Con le missioni Viking 1 e 2 del 1976 si ebbe un ulteriore incremento nelle conoscenze su entrambi i satelliti, grazie sia ai miglioramenti tecnici introdotti nei sistemi di raccolta di immagini, sia ai passaggi più stretti che i due orbiter eseguirono soprattutto su Fobos. Per la prima volta, inoltre, lo studio dei satelliti naturali di Marte fu posto tra gli obiettivi primari durante l'estensione delle missioni e la mole di dati raccolta non fu superata per i successivi quarant'anni. In particolare, la superficie fu osservata ad alta risoluzione nel visibile, nell'infrarosso e nell'ultravioletto, rilevando variazioni di colore. Di Fobos fu determinata la massa, la densità e stimata l'età e la composizione. Furono identificate le striature (indicate grooves in inglese) tanto caratteristiche della superficie della luna: catene di crateri irregolari di diametro compreso tra 50 e 100 m, molto compatte e orientate preferenzialmente in direzione parallela al piano orbitale di Fobos. I dati raccolti condussero a ipotizzare che Fobos fosse un asteroide di tipo C catturato da Marte. Nel 1988, i sovietici, con una nutrita partecipazione internazionale, lanciarono due sonde complementari, denominate Phobos 1 e 2, per l'esplorazione di Marte e Fobos. Dopo aver eseguito osservazioni del mezzo interstellare nella fase di crociera e del pianeta e delle sue lune da un'orbita areocentrica, le sonde avrebbero dovuto eseguire un sorvolo ravvicinato particolarmente stretto su Fobos, transitando a soli 50 m dalla superficie della luna. Contestualmente avrebbero rilasciato ciascuna due lander, dei quali uno avrebbe avuto la possibilità di spostarsi "a saltelli", mentre l'altro sarebbe stato una piattaforma fissa. Phobos 1 fu perduta durante la fase di crociera, Phobos 2 raggiunse Marte, ma andò perduta per un malfunzionamento del computer quando si trovava a meno di 100 km dalla luna, nel sorvolo programmato per il rilascio dei lander. La missione produsse risultati scientifici di rilievo, tra i quali nuovi valori della massa di Fobos e della sua densità, immagini ad alta risoluzione della superficie, indizi della presenza di un debole campo magnetico interno e una prova indiretta (e non definitiva) dell'esistenza di un toro di gas e polveri, probabilmente rilasciati dalla superficie di Fobos, in corrispondenza dell'orbita della luna. Sebbene le ragioni che condussero alla perdita della missione siano state identificate, l'episodio è stato attribuito da alcuni ufologi all'azione di un veicolo alieno, di cui la sonda avrebbe ripreso l'ombra proiettata sulla superficie del pianeta nelle sue ultime fotografie. In realtà, l'ombra osservata sulla superficie di Marte apparteneva a Fobos, deformata dalla particolare prospettiva determinata dal sorvolo ravvicinato e dai tempi di esposizione degli apparecchi fotografici. Nel 1997 Fobos fu oggetto di osservazioni da due sonde statunitensi, Mars Pathfinder, dalla superficie del pianeta, e Mars Global Surveyor, dall'orbita. Per entrambe le sonde, lanciate nel 1996, Fobos costituì un obiettivo secondario, di opportunità. In particolare, nel caso del Mars Global Surveyor l'orbita operativa fu raggiunta attraverso una fase di aerofrenaggio durata quattro mesi, durante i quali la sonda eseguì alcuni passaggi a qualche migliaio di chilometri di distanza da Fobos, acquisendo immagini ad alta risoluzione della superficie e provando a determinarne spettroscopicamente la composizione. Anche Mars Pathfinder eseguì osservazioni spettroscopiche delle due lune, ottenendo dati che misero in discussione alcune conclusioni tratte durante gli anni settanta e correlando Fobos e Deimos agli asteroidi di tipo D.[76] Nei dieci anni in cui il Mars Global Surveyor è stato attivo, non ha più potuto osservare direttamente Fobos, ma ha più volte registrato la posizione della sua ombra sulla superficie di Marte, acquisendo informazioni utili a migliorare la conoscenza dell'orbita della luna. Nel 2001 la NASA lanciò un secondo orbiter marziano, il Mars Odyssey, per il quale non previde alcuna osservazione di Fobos o Deimos. Solo un aggiornamento del software avvenuto nel 2017 ha  dato alla sonda la possibilità di riorientarsi verso la piccola luna e rilevare la temperatura in vari punti della superficie. Un netto miglioramento nella comprensione di Fobos è stato dovuto alla sonda Mars Express (MEX), l'esordio europeo nell'esplorazione di Marte. A differenza degli orbiter statunitensi, che erano stati collocati su orbite di lavoro basse, MEX (lanciata nel 2003) fu posta su un'orbita ellittica con apoastro oltre l'orbita di Fobos. In particolare, ogni cinque mesi e mezzo la sonda avrebbe eseguito una serie di passaggi ravvicinati alla luna, addirittura con un rischio non nullo di collidere con essa. Fobos fu quindi incluso tra gli obiettivi secondari della missione. Nella primavera del 2010 ci fu una delle migliori serie di incontri, con dieci sorvoli a una distanza inferiore ai 1 000 km; nel corso del più stretto la sonda transitò a 77 km dal centro della luna, battendo in tal modo il record di 80 km detenuto fino ad allora dal Viking Orbiter 1. MEX ha eseguito un sorvolo ancora più stretto il 29 dicembre 2013, transitando a soli 45 km dal centro della luna. Mars Express ha permesso di ottenere nuove stime della massa di Fobos, delle sue dimensioni e, quindi, della sua densità. È stato inoltre stimato che il materiale che costituisce la luna possegga una porosità del 30% ± 5%. Il 75% della superficie di Fobos è stata mappata con una risoluzione di 50 m/pixel. Ciò ha permesso di tracciare una mappa completa delle striature e di stimare l'età di Fobos utilizzando il metodo del conteggio dei crateri. Mars Express non ha fornito dati conclusivi riguardo all'origine della luna, ma ha rilevato la presenza di minerali ricchi di ferro e magnesio e, in prossimità del cratere Stickney, di argilla. Queste osservazioni supportano l'ipotesi che Fobos si componga dello stesso materiale che costituisce il pianeta e avvalorano l'ipotesi dell'impatto gigante. Infine, l'orbita di Fobos è stata determinata con un errore di 30 m sulla sua posizione. Quando Mars Express non sarà più operativa e non potrà più essere manovrata, alla lunga precipiterà su Fobos. L'impatto, la cui probabilità diventa certa in un periodo di tempo compreso tra 5 secoli e un millennio, originerà una nuvola di detriti di cui sarà necessario tener conto nell'esplorazione della luna.[86] Dal 2005 orbita attorno a Marte il Mars Reconnaissance Orbiter, che ha sperimentato un sistema di navigazione alternativo basato sul puntamento ottico di Fobos e Deimos. Durante la sua missione, ancora operativa al 2019, ha catturato delle immagini ad alta definizione della superficie di Fobos usando lo strumento HiRISE, un telescopio riflettore di mezzo metro. Nel 2011 la Russia ha lanciato la sonda Fobos-Grunt che, dopo essere entrata in orbita su Marte e aver effettuato una serie di sorvoli ravvicinati di Fobos, sarebbe dovuta atterrare sulla sua superficie nel 2013 e recuperare dei campioni di suolo che avrebbe riportato sulla Terra nel 2014. Sfortunatamente, la sonda non lasciò nemmeno l'orbita terrestre per un problema elettrico e dopo un anno precipitò nell'oceano Pacifico. Fobos è stato oggetto di osservazioni nell'ultravioletto da una distanza di 300 km attraverso la sonda statunitense MAVEN, lanciata nel 2013, che percorre un'orbita ellittica con periastro a soli 145 km dalla superficie di Marte e apoastro poco oltre l'orbita di Fobos. L'orbita percorsa da MAVEN, così come quella di Mars Express, espone la sonda al rischio di collidere con Fobos; opportune manovre correttive sono periodicamente condotte per evitare che ciò accada. Anche la Mars Orbiter Mission, lanciata dall'ISRO nel 2013, ha l'opportunità di osservare Fobos, anche se il contributo più significativo l'ha offerto nell'osservazione della "faccia nascosta" di Deimos. I rover utilizzati dalla NASA per esplorare la superficie di Marte hanno rivolto diverse volte le fotocamere al cielo sia durante la notte, per osservare il moto di Fobos, sia di giorno, per fotografare dei transiti di Fobos sul disco solare. Queste osservazioni permettono di migliorare la conoscenza dell'orbita della luna. Fobos è stato più volte indicato come possibile obiettivo di una missione per la raccolta di campioni da riportare sulla Terra. La JAXA (l'Agenzia spaziale giapponese) sta pianificando di lanciare nel 2024 il Martian Moons eXploration (MMX) per raggiungere le due lune di Marte, recuperare dei campioni dalla superficie di Fobos e portarli sulla Terra nel 2029. Un esame dettagliato dei campioni potrebbe risolvere una volta per tutte l'arcano della formazione dei satelliti marziani. Fobos è stato anche indicato come possibile obiettivo di una missione umana, quale passo preliminare di una missione sulla superficie di Marte, della quale potrebbe permettere di stabilire con più precisione costi, rischi e fattibilità. La missione su Fobos risulterebbe di gran lunga più economica, e quindi realizzabile anni prima di una missione su Marte, considerando i limiti di budget a cui le agenzie spaziali nazionali sono sottoposte. Il moto orbitale di Fobos è uno dei più studiati tra quelli dei satelliti naturali del sistema solare. Fobos percorre un'orbita prograda quasi circolare, inclinata di 1,082° rispetto al piano equatoriale di Marte. Con una distanza media dal pianeta di circa 9 380 km (pari a circa 1,75 volte il raggio di Marte), l'orbita di Fobos è più bassa di un'orbita areosincrona (l'equivalente per Marte di un'orbita geostazionaria attorno alla Terra). Fobos cioè orbita più vicino al pianeta rosso di quanto non faccia un satellite geostazionario attorno alla Terra, sia in termini assoluti, sia in proporzione, cioè rapportando le distanze in termini dei raggi dei due pianeti. Conseguentemente, Fobos completa un'orbita in 7 ore e 39 minuti, più rapidamente di quanto Marte ruoti su sé stesso - in 24,6 ore. Prima della sua scoperta, non era noto alcun satellite con tale caratteristica e Fobos ha continuato a rappresentare un'eccezione fino a quando le sonde Voyager non hanno individuato altri casi analoghi nel sistema solare esterno, quali ad esempio Metis. Fobos mantiene il primato di satellite naturale più vicino alla superficie del pianeta madre. Come anche Deimos, è in rotazione sincrona con il pianeta e in virtù di ciò rivolge sempre la stessa faccia verso la superficie marziana. L'asse di rotazione è perpendicolare al piano orbitale. L'asimmetricità del campo gravitazionale marziano impartisce all'orbita di Fobos un moto di precessione degli apsidi e una retrogradazione dei nodi che si completano in circa 2,25 anni. Tuttavia, poiché l'orbita è quasi equatoriale, il suo aspetto complessivamente risulta poco variato. Fobos subisce, inoltre, un'accelerazione stimata in 1,270 ± 0,003 × 10−3 °/anno2, che determina una costante riduzione della sua orbita. Il decadimento dell'orbita di Fobos è di circa 1,8 centimetri all'anno, ovvero di 1,8 metri ogni secolo. Il fenomeno potrebbe portare la luna a precipitare sul pianeta in un tempo compreso tra trenta e cinquanta milioni di anni. È tuttavia probabile che gli effetti mareali che lo determinano condurranno alla disgregazione della luna, portando alla formazione di un anello di detriti attorno a Marte ben prima di allora, quando, avvicinatasi maggiormente alla superficie, supererà il limite di Roche. L'origine dei satelliti naturali di Marte è una questione ancora aperta, che ha visto contrapporsi prevalentemente tre teorie. I due satelliti potrebbero essersi formati per accrescimento nel processo che ha condotto anche alla formazione del pianeta Marte, potrebbero essere degli asteroidi catturati oppure potrebbero essersi formati dopo l'impatto di un corpo vagante col pianeta. La questione si potrebbe risolvere con una missione in loco o con una che preveda il campionamento del suolo con trasferimento dei campioni sulla Terra per un'analisi dettagliata delle loro caratteristiche mineralogiche. Per aspetto, dimensioni e classificazione spettrale, Fobos e Deimos sono stati spesso associati agli asteroidi carboniosi (di tipo C o D) della fascia principale; tuttavia asteroidi catturati dal pianeta difficilmente sarebbero venuti a trovarsi - pur nei tempi in cui è avvenuta la formazione del sistema solare - sulle attuali orbite percorse dai due oggetti, con eccentricità e inclinazioni quasi nulle. Avrebbero anzi potuto mostrare caratteristiche orbitali simili a quelle dei satelliti irregolari dei giganti gassosi. Anche i dati sulla composizione e sulla porosità di Fobos ottenuti grazie alla sonda Mars Express sembrano incompatibili con l'ipotesi che Fobos sia un asteroide della fascia principale catturato dal pianeta. In letteratura sono stati proposti vari modelli per descrivere possibili processi che avrebbero condotto alla regolarizzazione delle due orbite, sebbene non abbiano fornito spiegazioni conclusive. Ad esempio, alcuni modelli riuscirebbero a giustificare la variazione della quota di apocentro di Fobos, ma non quella di Deimos - piccolo e relativamente lontano da Marte. Altre difficoltà verrebbero incontrate nel giustificare i valori dell'inclinazione orbitale, a meno di non assumere che i due oggetti non percorressero già delle orbite eliocentriche fortuitamente prossime al piano equatoriale di Marte. I risultati di simulazioni numeriche pubblicati nel 2018 da B. Hansen forniscono una possibile spiegazione: Fobos e Deimos potrebbero non corrispondere agli oggetti direttamente catturati da Marte, ma si sarebbero aggregati a partire da quelli, nelle ultime fasi di formazione planetaria; ciò potrebbe giustificare anche il fatto che Fobos appaia come un agglomerato di massi. Altrimenti, secondo un'ipotesi avanzata da Geoffrey Landis nel 2009, Fobos e Deimos avrebbero potuto essere lune asteroidali di oggetti delle dimensioni di Cerere o componenti di asteroidi binari a contatto, che si sarebbero avvicinati al pianeta con una velocità d'eccesso iperbolico pressoché nulla. La separazione della coppia avrebbe quindi condotto alla cattura di uno dei due componenti. Il modello proposto da Landis è stato però utilizzato, peraltro dando esito favorevole, solo nella descrizione della cattura di Fobos. I dati spettrografici rilevati dalla sonda Mars Express suggeriscono che il materiale di cui si compone la piccola luna risalga ai tempi della formazione planetaria; Fobos quindi avrebbe potuto essersi formato contemporaneamente a Marte. Ciò giustificherebbe con semplicità anche i valori di eccentricità e inclinazione orbitale delle due lune. D'altra parte, il meccanismo previsto per la formazione di satelliti regolari incontra alcune difficoltà, con i due oggetti che sembrerebbero essersi entrambi aggregati in prossimità dell'orbita areosincrona e quindi troppo vicini tra loro rispetto a quanto previsto dal modello. Un possibile alternativa è che le due lune nascano dal materiale di un precedente satellite regolare, che sarebbe andato distrutto a seguito di un impatto. Robert A. Craddock nel 2011 ha proposto che l'impatto di un terzo corpo con il pianeta potrebbe aver lanciato del materiale in orbita che, organizzatosi in un disco, si sarebbe poi riassemblato in una serie di piccoli oggetti, di cui Deimos e Fobos sarebbero gli ultimi superstiti. Il processo di aggregazione da un disco circumplanetario spiegherebbe bene i valori di inclinazione ed eccentricità delle orbite di entrambi mentre le condizioni di bassa gravità ne spiegherebbero le densità. Già nel 1982, Schultz e Lutz-Garihan avevano in effetti ipotizzato, alla luce di alcune regolarità nei crateri di impatto presenti sulla superficie di Marte, che il pianeta fosse stato circondato da una serie di satelliti che, in una fase molto remota della sua storia, progressivamente impattarono sulla superficie. A rafforzare l'ipotesi ha inoltre concorso il fatto che Mars Express abbia rilevato che la regolite in prossimità del cratere Stickney si componga di basalto e fillosilicati, minerali che potrebbero provenire dalla superficie di Marte. La Vastitas Borealis è stata anche indicata da più soggetti come una possibile sede dell'impatto. In tal caso, l'evento sarebbe stato tanto potente da riorientare l'asse di rotazione del pianeta, portando il bassopiano nell'attuale posizione circumpolare. Tra le difficoltà presentate da questo scenario c'è il fatto che le due lune siano molto piccole e poco massicce. Come nel caso della formazione della Luna, l'impatto avrebbe potuto sollevare tanto materiale da condurre alla formazione di un satellite di dimensioni nettamente maggiori. Una possibile spiegazione verrebbe offerta se l'impatto fosse avvenuto abbastanza precocemente durante la formazione di Marte. Il disco che si sarebbe venuto a formare, sarebbe stato parzialmente depauperato della sua massa dagli incontri ravvicinati che il pianeta avrebbe avuto con i planetoidi che costituivano la nebulosa solare. Fobos ha una forma irregolare, ben lontana da uno sferoide in equilibrio idrostatico; le sue dimensioni sono pressappoco di 27 × 22 × 18 chilometri, cui corrisponde un diametro medio di 22,2 km e un volume di 5 729 km³. Secondo analisi del 2014 delle rilevazioni eseguite attraverso la sonda Mars Express, Fobos ha una massa di 1,0658×1016 kg, circa un milionesimo di quella della Luna. Questo dato conduce a stimare per Fobos una densità di 1,872×103 kg/m³, inferiore a quella tipica delle rocce. La porosità del materiale che compone Fobos è compresa tra il 25 e il 35%. Anche così, si deve presumere che la luna contenga anche una certa percentuale di ghiaccio affinché possa essere ottenuto il valore stimato per la sua densità. Fobos infine ha una gravità trascurabile, di soli 0,0057 m/s², quindi un uomo di 80 kg sulla superficie peserebbe solamente 46 grammi. Nei modelli della struttura interna di Fobos, la sua massa è un parametro assai significativo che i ricercatori vorrebbero conoscere con elevata precisione. Purtroppo però si è osservato che i dati raccolti da missioni spaziali differenti, e anche durante fly-by differenti della stessa missione, hanno condotto a risultati piuttosto lontani fra loro. Questo è dovuto sia all'inaccuratezza ancora presente nella conoscenza dell'orbita di Fobos, sia al rumore nella misura. La composizione di Fobos, così come quella di Deimos, non è nota e rimane una delle questioni aperte più dibattute tra gli scienziati che studiano la luna. Le osservazioni spettroscopiche della superficie, infatti, non hanno mostrato caratteristiche spettrali prominenti, ma fornito solo deboli indizi che non sono risultati conclusivi. La composizione di Fobos è fortemente correlata al processo che ha condotto alla sua formazione. Se la luna si fosse aggregata a partire dallo stesso materiale che compone Marte, oggi dovrebbe avere una composizione molto simile a quella del pianeta. D'altra parte, se così fosse, dovrebbe aver subito nel frattempo un qualche processo di erosione spaziale che avrebbe reso ciò irriconoscibile. Se Fobos invece fosse stato catturato, allora potrebbe avere la stessa composizione degli asteroidi di tipo C o di tipo D, cui è stato spettroscopicamente associato. Per quanto il dato della densità escluda che Fobos possa essere metallico o composto da silicati coesi, esso risulterebbe compatibile con varie combinazioni di materiali porosi e sostanze volatili e, di conseguenza, non permette di discriminare tra di esse. La luna, inoltre, è ricoperta da uno spesso strato di regolite, che contribuisce a mascherarne la composizione. La regolite sembra differenziarsi spettroscopicamente in due tipi: quella "rossa", apparentemente identica a quella presente anche su Deimos, e quella "blu", in prossimità del cratere Stickney. La relazione tra i due materiali non è nota: non è chiaro cioè se si tratta di due stadi temporali dello stesso materiale o di due materiali diversi. Determinare la composizione di Fobos e Deimos non è solo una questione accademica, perché se, ad esempio, fosse presente ghiaccio d'acqua e questo fosse relativamente vicino alla superficie, potrebbe essere estratto e utilizzato durante le missioni umane su Marte. Studi teorici suggeriscono infatti che dovrebbe essere possibile trovare del ghiaccio a una profondità compresa tra 270 e 740 m all'equatore e tra 20 e 60 m in prossimità dei poli, la cui sublimazione sarebbe stata impedita dalla regolite. È stato ipotizzato che Fobos, come gli asteroidi che presentano crateri da impatto di notevoli dimensioni (quali Gaspra, Ida e Mathilde), non sia un corpo compatto, ma un agglomerato di rocce (modello descritto con la locuzione inglese rubble pile), con spazi vuoti macroscopici tra i blocchi e ghiaccio d'acqua che avrebbe riempito parte degli interstizi. Il tutto sarebbe ricoperto dallo spesso strato di regolite, la cui profondità potrebbe essere anche di un centinaio di metri. Questa struttura interna potrebbe spiegare sia il valore della densità media,[126] sia la capacità di resistere a impatti potenzialmente catastrofici, come quello che ha generato il cratere Stickney. La struttura ad agglomerato inoltre renderebbe Fobos deformabile sotto l'azione delle forze mareali esercitate dal pianeta; i movimenti interni non sarebbero direttamente visibili in superficie, nascosti dallo strato di regolite che si comporterebbe come una membrana cementizia elastica. A questo modello si affiancano delle possibili alternative, che si differenziano soprattutto per la quantità e la distribuzione di ghiaccio e vuoti nella struttura. Se Fobos fosse costituito da rocce porose come una spugna, sarebbe sopravvissuto all'impatto pur in assenza di grandi quantità di ghiaccio. Viceversa, se trovasse conferma l'ipotesi della cattura, Fobos potrebbe essere composto da un miscuglio di rocce e ghiaccio, con elevate percentuali di quest'ultimo. Fobos è un corpo molto scuro, con albedo geometrica pari solamente a 0,071. La superficie, estesa quanto la metà del Lussemburgo, appare pesantemente craterizzata. La sua caratteristica più prominente è certamente il grande cratere Stickney, di circa 8 km di diametro, battezzato con il cognome da nubile della moglie di Asaph Hall (Angeline Stickney). Ben 70 crateri hanno dimensioni superiore a 1 km e 26 maggiori di 2 km. La maggior parte dei crateri ha la forma di un paraboloide di rivoluzione o di una calotta sferica. Sono state osservate anche alcune raggiere associati a piccoli crateri, che potrebbero indicare la presenza di ghiaccio d'acqua subito sotto la superficie. Analizzando il numero dei crateri, è stata stimata un'età compresa tra 4,3 e 3,5 miliardi di anni per la superficie di Fobos, tuttavia il dato potrebbe essere falsato dal fatto che l'evento che ha creato il cratere Stickney potrebbe aver prodotto una nube di detriti che sarebbe ricaduta successivamente su Fobos, generando ulteriori crateri. La superficie è ricoperta da uno strato di regolite, di cui - come detto - sono distinguibili due tipologie: una, detta "rossa" perché ha un'emissione spettrale più prominente nell'infrarosso, copre quasi interamente la superficie; l'altra, "blu", con un'emissione spettrale più uniforme alle varie lunghezze d'onda, è presente soprattutto in prossimità del cratere Stickney. Sono riconoscibili anche massi di grandi dimensioni, anche di un centinaio di metri di diametro.[139] Tra questi, c'è un piccolo monolito di poco meno di un centinaio di metri, il monolito di Fobos, situato a 15° Nord e 14° Ovest, pochi chilometri a est del cratere Stickney, che presenta un'albedo considerevolmente alta rispetto al resto del satellite e che in una fotografia del Mars Global Surveyor si erge dalla superficie e proietta un'ombra lunga. Tra le caratteristiche più particolari presenti sulla superficie di Fobos ci sono le striature (indicate come grooves in inglese): alcune famiglie di solchi paralleli, ciascuno formato da una serie di crateri allineati. Ciascuna famiglia non si estende per più di un emisfero; è possibile individuare una regione di Fobos (la Laputa Regio[18]) che ne è praticamente sprovvista e, ai suoi antipodi, una nelle quali esse si concentrano e sovrappongono. Le varie famiglie non sono parallele tra loro, ma sono tangenti, salvo errori di qualche grado, al piano orbitale di Fobos. Infine, in ciascuna striatura è possibile riconoscere una porzione centrale, più larga e nella quale i crateri che la compongono sono più fitti, e regioni periferiche, più sottili e nelle quali i crateri sono più radi.[19] Scoperte nel 1976 nelle immagini acquisite con Programma Viking, furono inizialmente credute fratture prodotte dall'impatto che aveva originato il cratere Stickney oppure catenae di crateri prodotte da impatti secondari, sempre legate al cratere Stickney. Le immagini di migliore qualità ottenute nelle missioni successive dimostrarono in modo inequivocabile, tuttavia, l'inconsistenza di entrambe le ipotesi proposte. Non erano osservabili, infatti, né le distribuzioni radiali che avrebbero dovuto mostrare eventuali impatti secondari, né l'aspetto poligonale che si sarebbe manifestato se fosse stato fratturato un oggetto inizialmente monolitico. L'ipotesi ritenuta a oggi più plausibile, che riesce a spiegare quasi nella loro totalità le caratteristiche osservate, è che le striature siano formate da impatti secondari di detriti (ejecta) lanciati nello spazio da impatti primari sulla superficie di Marte. Le caratteristiche di superficie di Fobos hanno ricevuto nomi di astronomi o di personaggi de I viaggi di Gulliver, il romanzo di Jonathan Swift. In tutto sono venti le denominazioni ufficiali, di cui diciassette crateri, una regio (Laputa Regio), un dorsum (Kepler Dorsum), e una planitia (Lagado Planitia). Tra i primi riferimenti letterari a Fobos e Deimos vi sono alcune descrizioni del loro moto notturno osservato dalla superficie di Marte. Tra queste sono degne di nota quella molto accurata presente nel capitolo XXII del libro di fantascienza To Mars via the moon: an astronomical story di Mark Wicks del 1911 e quella inserita da Edgar Rice Burroughs nel romanzo Sotto le lune di Marte del 1912. Nella trasposizione nella fantascienza, Fobos è talvolta rappresentato come sede di insediamenti umani stabiliti nella colonizzazione di Marte o successivi a essa. Nella Trilogia di Marte (1992-1996) di Kim Stanley Robinson, su Fobos è presente una base militare e la stessa luna diventa un'arma quando, ridotta in pezzi, viene scagliata contro la superficie. In Phobos (2004) di Ty Drago una stazione di ricerca su Fobos è oggetto di attacchi da parte di una fiera autoctona, mentre nel racconto The Wheels of Dream (1980), John M. Ford descrive la costruzione di una ferrovia circumlunare. Arthur C. Clarke ambienta su Fobos il racconto K. 15 (Hide and Seek , 1949), nel quale un agente in fuga sfrutta l'agilità acquisita grazie alla bassa gravità della luna per difendersi dagli attacchi di un incrociatore; ne Le sabbie di Marte (The Sands of Mars, 1951), invece, Fobos viene ignito come un secondo Sole per permettere l'agricoltura nel processo di terraformazione di Marte.[148] In un racconto più vicino ai giorni nostri, Daniel Logan immagina una spedizione statunitense su Fobos in The Phobos Expedition (2017), giocando sulle difficoltà incontrate dai russi nel raggiungere la luna.[149] Un'altra trasposizione ricorrente vede Fobos essere un oggetto artificiale di origine aliena, come in Phobos, the Robot Planet (1955) di Paul Capon e L'enigma del pianeta rosso (Secret of the Martian Moons, 1955) di Donald A. Wollheim, Mission to the Heart Stars (1965) di James Blish, in Mezzogiorno. XXII secolo dei fratelli Arkadij e Boris Strugackij[151] e in Olympos (2005) di Dan Simmons. Fobos compare anche come ambientazione in diversi videogiochi di fantascienza. In Zone of the Enders: The 2nd Runner viene usato come piattaforma per un'arma capace di distruggere qualunque oggetto del sistema solare. In Armored Core 2, invece, è ambientata l'ultima missione del gioco, dove si scopre che il satellite non è naturale, ma è stato costruito da una civiltà extraterrestre e possiede un meccanismo di deorbitazione che va disattivato, in quanto potrebbe farlo schiantare sulla superficie e distruggere la colonia marziana. In Unreal Tournament attorno a Fobos orbita una stazione spaziale che è terreno di battaglia per i giocatori. Nel gioco Leather Goddesses of Phobos la piccola luna marziana è l'origine di una spedizione verso la Terra per schiavizzare l'umanità. In RTX Red Rock da una stazione spaziale situata sulla superficie di Fobos iniziano le avventure del protagonista che deve difendere la colonia marziana da un attacco alieno.

Approfondimento: la nostra Luna

Certamente Fobos è una luna straordinaria, ma la nostra non è da meno: in questo breve approfondimento Eagle sera vi accompagnerà in un viaggio verso l'unico satellite naturale della Terra.

La Luna è un satellite naturale, l'unico della Terra. Il suo nome proprio viene talvolta utilizzato, per antonomasia e con l'iniziale minuscola («una luna»), come sinonimo di satellite anche per i corpi celesti che orbitano attorno ad altri pianeti. Orbita a una distanza media di circa 384400 km dalla Terra, sufficientemente vicina da essere osservabile a occhio nudo, così che sulla sua superficie è possibile distinguere delle macchie scure e delle macchie chiare. Le prime, dette mari, sono regioni quasi piatte coperte da rocce basaltiche e detriti di colore scuro. Le regioni lunari chiare, chiamate terre alte o altopiani, sono elevate di vari kilometri rispetto ai mari e presentano rilievi alti anche 8000-9000 metri. Essendo in rotazione sincrona rivolge sempre la stessa faccia verso la Terra e il suo lato nascosto è rimasto sconosciuto fino al periodo delle esplorazioni spaziali. Durante il suo moto orbitale, il diverso aspetto causato dall'orientazione rispetto al Sole genera delle fasi chiaramente visibili e che hanno influenzato il comportamento dell'uomo fin dall'antichità. Impersonata dai greci nella dea Selene, fu da tempo remoto considerata influente sui raccolti, le carestie e la fertilità. Condiziona la vita sulla Terra di molte specie viventi, regolandone il ciclo riproduttivo e i periodi di caccia; agisce sulle maree e la stabilità dell'asse di rotazione terrestre. Si pensa che la Luna si sia formata 4,5 miliardi di anni fa, non molto tempo dopo la nascita della Terra. Esistono diverse teorie riguardo alla sua formazione; la più accreditata è che si sia formata dall'aggregazione dei detriti rimasti in orbita dopo la collisione tra la Terra e un oggetto delle dimensioni di Marte chiamato Theia. Il suo simbolo astronomico ☾ è una rappresentazione stilizzata di una sua fase (compresa tra l'ultimo quarto e il novilunio visto dall'emisfero boreale, oppure tra il novilunio e il primo quarto visto dall'emisfero australe) La faccia visibile della Luna è caratterizzata dalla presenza di circa 300 000 crateri da impatto (contando quelli con un diametro di almeno 1 km). Il cratere lunare più grande è il bacino Polo Sud-Aitken, che ha un diametro di circa 2500 km, è profondo 13 km e occupa la parte meridionale della faccia nascosta. Il termine italiano "Luna" (di solito minuscolo nell'uso comune, non astronomico) deriva dal latino lūna, da un più antico *louksna, a sua volta proveniente dalla radice indoeuropea leuk- dal significato di "luce" o "luce riflessa"[13]; dalla stessa radice deriva anche l'avestico raoxšna ("la brillante"), e altre forme nelle lingue baltiche, slave, nell'armeno e nel tocario; paralleli semantici si possono trovare nel sanscrito chandramā ("luna"[15], considerata come una divinità) e nel greco antico σελήνη selḗnē (da σέλας sélas, "fulgore" [del fuoco], "splendore"), esempi che mantengono il significato di "lucente", sebbene siano di diversi etimi. Nelle lingue germaniche il nome della Luna deriva dal proto-germanico *mēnōn, assimilato probabilmente dal greco antico μήν e dal latino mensis che derivavano dalla comune radice indoeuropea *me(n)ses, dal chiaro significato odierno di mese. Da *mēnōn derivò probabilmente quello anglosassone mōna, mutato successivamente in mone attorno al dodicesimo secolo, quindi nell'odierno moon. L'attuale termine tedesco Mond è etimologicamente strettamente correlato a quello di Monat (mese) e si riferisce al periodo delle sue fasi lunari.

Storia delle osservazioni

Nei tempi antichi non erano rare le culture, prevalentemente nomadi, che ritenevano che la Luna morisse ogni notte, scendendo nel mondo delle ombre; altre culture pensavano che la Luna inseguisse il Sole (o viceversa). Ai tempi di Pitagora, come enunciava la scuola pitagorica, veniva considerata un pianeta. Uno dei primi sviluppi dell'astronomia fu la comprensione dei cicli lunari. Già nel V secolo a.C. gli astronomi babilonesi registrarono i cicli di ripetizione (saros) delle eclissi lunari e gli astronomi indiani descrissero i moti di elongazione della Luna. Successivamente fu spiegata la forma apparente della Luna, le fasi, e la causa della Luna piena. Anassagora affermò per primo, nel 428 a.C., che Sole e Luna fossero delle rocce sferiche, con il primo a emettere luce che la seconda riflette. Sebbene i cinesi della dinastia Han credessero che la Luna avesse un'energia di tipo Ki, la loro teoria ammetteva che la luce della Luna fosse solo un riflesso di quella del Sole. Jing Fang, vissuto tra il 78 e il 37 a.C., notò anche che la Luna avesse una certa sfericità. Nel secondo secolo dopo Cristo, Luciano scrisse un racconto dove gli eroi viaggiavano fino alla Luna scoprendo che era disabitata. Nel 499, l'astronomo indiano Aryabhata menzionò nella sua opera Aryabhatiya che la causa della brillantezza della Luna è proprio la riflessione della luce solare. All'inizio del Medioevo alcuni credevano che la Luna fosse una sfera perfettamente liscia, come sosteneva la teoria aristotelica, e altri che vi si trovassero oceani (a tutt'oggi il termine «mare» è impiegato per designare le regioni più scure della superficie lunare). Il fisico Alhazen a cavallo dell'anno 1000, scoprì che la luce solare non è riflessa dalla Luna come uno specchio, ma è riflessa dalla superficie in tutte le direzioni. Quando, nel 1609, Galileo puntò il suo telescopio sulla Luna, scoprì che la sua superficie non era liscia, bensì corrugata e composta da vallate, monti alti più di 8000 m e crateri. La stima dell'elevazione dei rilievi lunari fu oggetto di una brillante intuizione matematica: sfruttando la conoscenza del diametro lunare ed osservando la distanza delle vette montuose dal terminatore, l'astronomo toscano ne calcolò efficacemente l'altitudine; misurazioni moderne hanno confermato la presenza di monti che, avendo origine differente da quelli terrestri, data la minor gravità lunare, giungono ad 8 km di elevazione (il punto più alto misura 10750 m rispetto alla quota media). Ancora agli inizi del Novecento c'erano dubbi sulla possibilità che la Luna potesse avere un'atmosfera respirabile. L'astronomo Alfonso Fresa, ponendosi il problema dell'abitabilità della Luna, la legava inscindibilmente alla presenza dell'acqua e dell'aria:

«Innanzitutto bisogna intendersi sul significato della parola vita, la quale, se va intesa nel senso organico, molto difficilmente potrà ancora albergare sulla Luna, giacché mancano lassù i fattori necessari alla sua esistenza: l'aria e l'acqua. Si potrebbe obiettare che un'assenza completa di esse non debba essere presa alla lettera, perché pur non verificandosi nemmeno in piccolissima parte i fenomeni di rifrazione, un residuo sparutissimo di aria può esistere sul nostro satellite, per quanto anche l'analisi spettroscopica abbia confermato che il nostro satellite è completamente privo di atmosfera.»

Osservazione dalla Terra e esplorazione

La Luna è l'unico oggetto del cielo di cui è possibile osservare dei dettagli superficiali ad occhio nudo. Il nostro satellite infatti mostra una serie di dettagli chiari e scuri, determinati dalla differenza di albedo tra le zone pianeggianti, dette mari - più scure - e le zone più elevate, craterizzate e più chiare. Nel corso di circa un mese essa mostra diverse fasi lunari, caratterizzate da un diverso aspetto e da una conseguente variazione di luminosità. In prossimità della Luna nuova, quando è presente solo un piccolo spicchio illuminato, è possibile osservare la luce cinerea. La luminosità massima della Luna piena è di circa -12 di magnitudine apparente, mentre il semidiametro angolare alla distanza media dalla Terra, secondo Simon Newcomb, è di 0,25905°. Già con un binocolo la Luna mostra moltissimi dettagli come i mari e i crateri. L'osservazione in questo caso risulta particolarmente suggestiva a causa della visione a largo campo. Le fasi lunari descrivono il diverso aspetto che la Luna mostra verso la Terra durante il suo moto, causate a loro volta dal suo diverso orientamento rispetto al Sole. Le fasi lunari si ripetono in un intervallo di tempo detto "mese sinodico", pari a circa 29 giorni. Il mese del nostro calendario gregoriano è derivato da esso. Le fasi lunari sono dovute al moto di rivoluzione della Luna e al suo conseguente ciclico cambiamento di posizione rispetto alla Terra e al Sole. Sono rappresentate dalla parte del satellite terrestre illuminata dal Sole. Vi sono quattro posizioni fondamentali, rappresentate nella figura a lato e nell'elenco sottostante dai numeri dispari, e quattro fasi intermedie:

  1. Luna nuova (o congiunzione o fase di novilunio)
  2. Luna crescente
  3. Luna piena (o opposizione o fase di plenilunio)
  4. Luna calante

Il termine "quarto" si riferisce alla posizione della Luna nell'orbita attorno alla Terra, da tali due posizioni dalla Terra è visibile mezzo emisfero. Per un osservatore posto nel emisfero boreale, quando la Luna è crescente, la parte illuminata del disco lunare è a destra, mentre quando è calante la parte illuminata è a sinistra. Mentre nell'emisfero australe avviene il contrario: quando è crescente è illuminata la parte sinistra, quando è calante è illuminata la parte destra[1]. La transizione da un emisfero all'altro provoca quindi il fenomeno della "Luna a barchetta" (si veda nei proverbi più sotto). È importante preporre che le fasi lunari, in ambito astronomico, sono calcolate e sempre riferite in termini di geocentricità cioè per un ipotetico osservatore collocato al centro della Terra. Per il calcolo delle fasi lunari si possono impiegare delle specifiche formule chiuse, come quelle proposte in tempi recenti dal matematico Jean Meeus e perfettamente idonee ad essere informatizzate, oppure in modo più semplice e, volendo, rigoroso, tramite un comune calcolo iterativo che interpola da una funzione di secondo grado gli istanti (o tempi) nei quali la differenza, in valore assoluto, fra la longitudine apparente del Sole e quella della Luna raggiunge i seguenti angoli:

  • 0° a Luna Nuova
  • 270° al primo Quarto
  • 180° a Luna Piena
  • 90° all'ultimo Quarto

Nonostante l'impiego di formule notevolmente più semplici e brevi, il metodo iterativo ha lo svantaggio di richiedere necessariamente la conoscenza della longitudine apparente del Sole e della Luna, mentre invece non è necessaria applicando un metodo a formula chiusa. Nella pratica, onde evitare di rendere impossibile il calcolo in taluni computer, si preferisce imporre una tolleranza "cautelare", nei valori sopra riportati, di circa 1 milionesimo di grado in più o in meno rispetto ai valori angolari indicati.

  • Con la Luna nuova, la Luna è interposta fra la Terra e il Sole: sorge al mattino e tramonta alla sera. Se si allinea in prossimità del nodo con la Terra e il Sole si ha un'eclissi solare.
  • Nelle quadrature o quarti (primo quarto e ultimo quarto), le semirette congiungenti la Terra con la Luna e il Sole formano un angolo di 90°: al primo quarto la Luna sorge a mezzogiorno e tramonta a mezzanotte, all'ultimo quarto sorge a mezzanotte e tramonta a mezzogiorno.
  • Con la Luna piena la posizione della Terra è compresa tra Sole e Luna: la Luna sorge alla sera e tramonta al mattino. Se invece si allinea dietro l'ombra della Terra si ha un'eclissi lunare.
  • Congiunzione ed opposizione vengono denominate sizigie.

La Luna compie una rivoluzione attorno alla Terra in 27 giorni, 7 ore, 43 minuti e 11 secondi (mese siderale). Il mese lunare (ovvero il periodo compreso fra due Lune nuove) ha invece una durata media di 29 giorni, 12 ore, 44 minuti e 3 secondi. La differenza è dovuta al fatto che nel frattempo sia la Terra che la Luna sono avanzate lungo l'orbita terrestre ed il loro allineamento col Sole è cambiato. Tale differenza non è costante principalmente perché nel corso dell'anno la velocità della Terra lungo la sua orbita varia in dipendenza della distanza Terra-Sole. Ci si potrebbe aspettare che una volta al mese, quando la Luna passa tra la Terra e il Sole nel corso di una luna nuova, la sua ombra cada sulla Terra causando una eclissi solare, ma questo non accade ogni mese. E neppure è vero che durante ogni Luna piena, l'ombra della Terra cade sulla Luna, causando una eclissi lunare. Eclissi solari e lunari non sono osservate ogni mese, perché il piano dell'orbita della Luna attorno alla Terra è inclinato di circa 5° 9' rispetto al piano dell'orbita della Terra attorno al Sole (il piano dell'eclittica ). Così, quando si verificano lune nuove e piene, la Luna di solito si trova a nord o a sud della retta che passa per la Terra e il Sole. Quando durante la sua orbita, la Luna si frappone tra la Terra e il Sole, proietta un cono d'ombra sulla Terra detto eclissi solare, o più propriamente eclissi solare totale, sempre che la Luna sia a una distanza dalla Terra tale da farla apparire di diametro angolare lievemente maggiore di quello del Sole, in caso contrario, l'eclissi sarebbe solo anulare, poiché il cono d'ombra della Luna non raggiunge la superficie terrestre. Il fenomeno è ben visibile dalla Terra perché il Sole viene letteralmente oscurato per alcuni minuti durante il giorno. L'evento non è comune e non accade a ogni novilunio: occorre infatti che la precessione del piano dell'orbita lunare sia tale che l'asse nodale coincida con la direzione Terra-Sole al novilunio. Leggeri scostamenti di quest'asse possono provocare uno stato di oscurità non totale proiettando solo la penombra della Luna sulla Terra e in questo caso il fenomeno si chiama eclissi solare parziale; in questi casi dalla Terra il Sole è visto come una mezzaluna e la sua luminosità è parzialmente ridotta. Pur essendo diverse eclissi consecutive, esse si ripetono ogni circa 18 anni in quello che si chiama ciclo di Saros; dopo ogni ciclo, la posizione relativa di Sole, Terra e Luna si ripresenta uguale a prima, e quindi anche le eclissi. Da un punto di vista scientifico le eclissi solari rappresentano un'ottima opportunità per studiare la corona solare, invisibile normalmente per via della eccessiva luminosità del Sole. Un altro fenomeno interessante si ha quando la Terra proietta la sua ombra sulla Luna, che accade quando l'asse nodale dell'orbita lunare coincide con la direzione Terra-Sole al plenilunio, ed è chiamato eclissi lunare. La Luna piena perde improvvisamente di luminosità non appena entra nella penombra terrestre, per poi oscurarsi del tutto appena entra nel cono d'ombra. A differenza dell'eclissi solare, l'eclissi lunare può durare alcune ore, per via della differenza di grandezza dei corpi che proiettano l'ombra. Nel 270 a.C. Aristarco di Samo sfruttò un'eclissi lunare per calcolare il diametro della Luna. A volte capita di vedere la Luna che, nel momento in cui sorge, possiede un colore rossastro. Ciò avviene poiché la sua luce (che proviene dal Sole e che è reindirizzata sulla Terra) deve attraversare uno strato atmosferico più ampio rispetto a quello che trova nel momento in cui è più alta nel cielo; la radiazione luminosa deve pertanto oltrepassare una quantità maggiore di polveri e turbolenze dell'aria ed è soggetta a una maggiore diffusione. Tale azione è più efficace con i raggi a frequenze più elevate, di colore blu, e meno con quelli a frequenze più basse, di colore rosso (scattering di Rayleigh): quindi poiché la componente rossa della sua luce non viene dispersa e arriva diretta ai nostri occhi, noi vediamo la Luna di colore rosso. Il fenomeno della Luna rossa, per questi stessi motivi, si verifica anche durante le eclissi lunari totali. Essendo la Luna il secondo corpo celeste più luminoso dopo il Sole, la sua localizzazione è particolarmente semplice. Tuttavia, la sua eccessiva luminosità crea problemi per l'osservazione con un telescopio amatoriale, in quanto la sua immagine è troppo brillante anche a 50X di ingrandimento, quasi accecante. Si usano particolari filtri astronomici, in particolare filtri a densità neutra per ridurre la luminosità per aumentare l'ingrandimento e apprezzare la visione dei rilievi sulla superficie. Particolarmente interessante è l'osservazione presso il terminatore che permette di apprezzare i rilievi grazie alla lunga ombra proiettata sulla superficie , che risulta limpida per l'assenza di atmosfera. L'esplorazione della Luna è avvenuta sia attraverso sonde robotiche, sia direttamente tramite equipaggi umani. La prima missione per l'esplorazione della Luna è stata la sonda Luna 1 lanciata dall'Unione Sovietica nel 1959 nell'ambito del Programma Luna. La missione eseguì un sorvolo ravvicinato del satellite, ma "mancò" la superficie, obiettivo che venne raggiunto il 14 settembre 1959 dalla successiva Luna 2. Nell'ottobre del 1959 la sonda sovietica Luna 3 ottenne la prima immagine della faccia nascosta. Sempre all'Unione Sovietica spetta il primato del primo lander (Luna 9, 1966) e del primo orbiter (Luna 10, 1966). Gli Stati Uniti risposero con i Programmi Pioneer e Ranger e, grazie al Programma Apollo, riuscirono con l'Apollo 11 a compiere il 20 luglio 1969 il primo atterraggio umano sulla superficie della Luna. Durante le missioni Apollo furono raccolti e portati sulla Terra 381,7 kg di campioni del suolo e delle rocce lunari. Nonostante il successo delle missioni Apollo, l'interesse dell'opinione pubblica statunitense per l'esplorazione lunare calò notevolmente e ciò determinò l'interruzione anticipata del Programma Apollo e la cessazione di missioni dedicate esplicitamente all'esplorazione della Luna. Il processo di esplorazione è ripreso nel 1990 con la prima missione giapponese, Hiten, seguita nel 1994 dalla statunitense Clementine. Proprio l'individuazione di possibili tracce di ghiaccio d'acqua in prossimità dei poli lunari da parte di quest'ultima ha generato un rinnovato interesse per la Luna che negli anni duemila ha condotto al lancio di missioni lunari da parte delle agenzie spaziali statunitense, europea, giapponese, cinese ed indiana. La Cina, la Russia e gli Stati Uniti, inoltre, hanno reso noto di voler riportare un equipaggio umano sulla superficie lunare e di valutare l'opportunità di stabilirvi una base di ricerca permanente. L'esplorazione della Luna ebbe inizio nel 1959, quando la sonda sovietica Luna 2 impattò con la superficie lunare. Nello stesso anno, il 7 ottobre, la missione Luna 3 trasmise a Terra fotografie dell'allora mai vista faccia nascosta della Luna. Fu l'inizio di una serie decennale di esplorazioni lunari condotte da sonde automatiche. In risposta al programma sovietico di esplorazione spaziale, il presidente degli Stati Uniti d'America John F. Kennedy dichiarò al Congresso il 25 maggio 1961: "io credo che questa nazione debba impegnarsi per raggiungere entro la fine del decennio l'obiettivo di portare un uomo sulla Luna e riportarlo sulla Terra". Nello stesso anno le autorità sovietiche annunciano pubblicamente la volontà di portare un equipaggio sulla Luna e di installarvi una base. Nel 1962 John DeNike e Stanley Zahn pubblicarono la loro idea di una base sotto la superficie del Mare della Tranquillità. Una base per un equipaggio di 21 uomini posta a quattro metri di profondità, in modo da essere protetta dalle radiazioni solari in maniera analoga a come la Terra è protetta dall'atmosfera. Sostenevano inoltre la scelta dei reattori nucleari come fonte di energia perché più efficienti dei pannelli solari e funzionanti anche durante le lunghe notti lunari. Anch'essi prevedevano il ricorso a purificatori d'aria basati sulle alghe. L'esplorazione della superficie da parte di esseri umani ebbe inizio con la missione Apollo 8, che nel 1968 orbitò attorno alla Luna con tre astronauti a bordo. Era la prima volta che occhi umani vedevano direttamente la faccia nascosta del satellite. L'anno successivo il modulo Apollo 11 portò sulla superficie due astronauti, dimostrando la possibilità umana di viaggiare fino alla Luna, eseguire attività di ricerca e ritornare con campioni di suolo lunare. I primi esseri umani atterrarono sulla Luna il 20 luglio 1969. Era l'apice della corsa allo spazio, la gara tra URSS e Stati Uniti d'America ispirata dalla guerra fredda. Il primo astronauta a camminare sulla superficie lunare fu lo statunitense Neil Armstrong, comandante dell'Apollo 11. L'ultimo sarebbe stato, poco più di tre anni più tardi, lo statunitense Eugene Cernan, durante la missione Apollo 17, il 14 dicembre 1972. L'equipaggio dell'Apollo 11 lasciò una targa di acciaio inossidabile, per commemorare lo sbarco e lasciare informazioni sulla visita ad ogni altro essere, umano o meno, che la trovi. Sulla targa c'è scritto:

«Qui, uomini dal pianeta Terra posero piede sulla Luna per la prima volta, luglio 1969 DC

Siamo venuti in pace, per tutta l'umanità.»

La targa raffigura i due emisferi del pianeta Terra, ed è firmata dai tre astronauti e dall'allora presidente degli Stati Uniti Richard Nixon. Le missioni successive proseguirono questa fase di esplorazione. Apollo 12 allunò vicino alla nave Surveyor 3 dimostrando la fattibilità di allunaggi di precisione. Dopo il quasi disastro dell'Apollo 13, la missione Apollo 14 fu l'ultima in cui gli astronauti rimasero in quarantena al loro rientro. La missione Apollo 15 fece uso di rover lunari e Apollo 16 fece il primo allunaggio sugli altopiani della Luna. In totale gli sbarchi sulla Luna delle missioni Apollo furono 6 (Apollo 11, 12, 14, 15, 16 e 17), per un totale di 12 astronauti discesi sul nostro satellite; la missione Apollo 13 non atterrò sulla Luna a causa di un incidente durante il volo e le restanti previste missioni Apollo 18, 19 e 20 furono annullate per tagli di bilancio. Dopo gli sbarchi del Programma Apollo, nessun essere umano ha più camminato sulla Luna. L'interesse per l'esplorazione della Luna iniziava a calare presso il pubblico statunitense. Apollo 17 fu l'ultima missione, le successive vennero annullate dal presidente Nixon. L'attenzione si volse sullo Space Shuttle e sulle missioni con equipaggio nelle orbite basse. In risposta a questo cambio di direzione anche l'Unione Sovietica iniziò a lavorare ad un progetto di shuttle, benché negli anni settanta portò a termine il Programma Luna con due rover automatici Lunochod che portarono sulla Luna varie strumentazioni e tre sonde spaziali che riportarono a Terra campioni di suolo lunare. La fine del programma lunare sovietico giunse infine nel 1976. Nei decenni successivi l'interesse per l'esplorazione lunare è calato considerevolmente, lasciando solo pochi entusiasti a sostenere un ritorno. La missione giapponese Hiten, lanciata nel 1990, è stata la prima appositamente dedicata all'esplorazione dalla conclusione del Programma Apollo nel 1972. In seguito alla individuazione di alcuni indizi sulla possibile presenza d'acqua in prossimità dei poli lunari (Clementine, NASA, 1994), negli anni 1990 e nei successivi anni 2000 è rinato un rinnovato interesse per l'esplorazione lunare. La NASA nel 1998 ha lanciato la missione Lunar Prospector che avrebbe dovuto, tra le altre cose, confermare le osservazioni della sonda Clementine, tuttavia la missione non riuscì a dare una risposta definitiva. Nel 2003 l'Agenzia Spaziale Europea ha lanciato la sonda SMART-1, la prima sonda europea per l'esplorazione della Luna. Missione prevalentemente tecnologica, ideata per testare la tecnologia del motore a ioni che avrebbe dovuto essere utilizzato nella missione BepiColombo, ha effettuato una ricognizione completa della superficie lunare, anche nei raggi X, e si è conclusa il 3 settembre 2006 con uno schianto controllato sulla superficie. L'Agenzia Spaziale Giapponese ha lanciato il 14 settembre 2007 la sua seconda missione lunare, SELENE (Selenological and Engineering Explorer) o Kaguya, come è stata ribattezzata subito dopo il lancio. La missione ha dato un notevole contributo nella mappatura delle anomalie gravitazionali della Luna, grazie all'utilizzo di due piccoli satelliti che hanno affiancato l'orbiter principale. Nel frattempo, la Cina ha espresso il proprio interesse all'esplorazione del satellite e l'intenzione di voler costruire una base sulla Luna. Gli Stati Uniti hanno allora risposto agli annunci del programma lunare cinese con l'intenzione di tornare con un equipaggio umano sulla Luna entro il 2020 e di realizzare sul lungo termine una base stanziale che faccia da trampolino per raggiungere Marte. La Cina ha iniziato il suo programma di esplorazione lunare per studiare il satellite e investigare le potenzialità di estrazione dell'elio-3, una possibile sorgente energetica per la Terra[5]. L'orbiter Chanh'e 1 è stato lanciato il 24 ottobre 2007. La missione ha avuto molto successo ed è stata estesa di ulteriori quattro mesi. La sonda è stata fatta impattare deliberatamente sulla superficie lunare. Il 1 ottobre 2010 è stato lanciato l'orbiter Chang'e 2, e tre anni più tardi la missione Chang'e 3 ha fatto atterrare nei pressi della regione Sinus Iridum il rover Yutu, il primo oggetto a compiere un atterraggio morbido lunare dalla sonda Luna 24 nel 1976. Il lander Chang'e 4, inizialmente progettato come sonda di riserva in caso di fallimento del predecessore, è stato destinato all'esplorazione della faccia nascosta della Luna, dove è atterrato con successo il 3 gennaio 2019, nei pressi del cratere Von Kármán. Il lander ha rilasciato sulla superficie il rover Yutu-2. La missione Chang'e 5, lanciata a novembre 2020 e costituita da un lander, un orbiter e un modulo di ascesa, ha prelevato e riportato sulla Terra con successo circa 2 kg di rocce lunari. L'agenzia spaziale indiana ha lanciato il 22 ottobre 2008 l'orbiter lunare Chandrayaan-1. La missione, della durata prevista di due anni, consisteva nel creare una mappa lunare tridimensionale e condurre una mappatura chimica e mineralogica della superficie e rilasciare la sonda Moon Impact Probe che è impattata sulla superficie il 14 novembre. Tra le varie scoperte scientifiche, la sonda ha confermato la presenza di molecole d'acqua nel suolo lunare. La missione successiva Chandrayaan-2 è stata lanciata il 22 luglio 2019 ed era costituita da un orbiter, un lander e il rover Pragyan. L'atterraggio del lander e del rover è fallito a causa di un malfunzionamento. Nel 2009 la NASA ha lanciato la missione Lunar Reconnaissance Orbiter, che ha creato una mappa tridimensionale ad alta risoluzione della superficie e ha trasportato la sonda da impatto LCROSS. L'impatto, avvenuto il 9 ottobre 2009 nei pressi del cratere Cabeo, ha permesso di studiare i detriti sollevati dalla collisione, e ha fornito ulteriori evidenze della presenza di acqua. Nel 2011, la missione GRAIL ha portato in orbita lunare due sonde per misurare le anomalie del campo gravitazionale lunare e desumere informazioni sulla composizione della crosta e del mantello. La missione si è conclusa nel 2012. La sonda israeliana Beresheet, un dimostratore tecnologico di un lander che sarebbe dovuto essere la prima sonda finanziata privatamente a raggiungere la Luna, ha tuttavia fallito l'atterraggio l'11 aprile 2019. Nel 2015 l'Agenzia spaziale russa ha previsto di mandare nuovamente l'uomo sulla Luna nel 2030 per installarvi una base permanente.

Formazione della Luna

Sono state proposte diverse ipotesi per spiegare la formazione della Luna che, in base alla datazione isotopica dei campioni lunari portati a Terra dagli astronauti, risale a 4,527 ± 0,010 miliardi di anni fa, cioè circa 50 milioni di anni dopo la formazione del sistema solare. Storicamente sono state avanzate diverse ipotesi sulla formazione della Luna. Le prime teorie suggerirono che la Luna si sarebbe originata dalla Terra, staccandosi per fissione dalla sua crosta per effetto della forza centrifuga o di un'immensa esplosione, nella zona delle Filippine, fossa delle Marianne (Oceano Pacifico). Questa teoria, nota come teoria della fissione, richiederebbe però un valore iniziale troppo elevato per la rotazione terrestre e non è compatibile con l'età relativamente giovane della crosta oceanica. (età giovane a causa della teoria dell'espansione degli oceani di Harry Hess). Questa teoria è compatibile con i più moderni studi sugli isotopi lunari, che hanno valori molto simili agli isotopi della crosta terrestre e con il fatto che si è recentemente scoperto che le rocce lunari hanno molecole d'acqua legate. Un'altra teoria, detta della cattura, ipotizza invece che la Luna si sia formata in un'altra zona del sistema solare e che sia stata in seguito catturata dall'attrazione gravitazionale terrestre. Un corpo esterno per poter esser catturato in un'orbita stabile ha bisogno di un fattore determinante per il dissipamento dell'energia al momento della sua fase di avvicinamento. Spesso in sistemi più complessi, con già altri elementi di massa rilevante in orbita, questo avviene grazie alla perturbazione gravitazionale di altri satelliti. Il sistema Terra-Luna potrebbe catturare altri asteroidi che si potrebbero posizionare in un'orbita stabile, ma gli effetti gravitazionali terrestri non basterebbero, ci sarebbe bisogno della perturbazione della Luna in un momento preciso della cattura; la Luna non potrebbe essere quindi stata catturata in questo modo, a causa dell'assenza di altri satelliti. D'altro canto, sebbene l'atmosfera possa dissipare l'energia in eccesso, il perielio del satellite catturato si stabilizzerebbe ai limiti dell'atmosfera, quindi in un'orbita troppo bassa; nonostante la Luna fosse molto più vicina alla Terra nella sua orbita primordiale, questa ipotesi richiederebbe un'enorme estensione dell'atmosfera terrestre. L'ipotesi dell'accrescimento presuppone che la Terra e la Luna si formarono assieme nello stesso periodo a partire dal disco di accrescimento primordiale. In questa teoria la Luna si formò dai materiali che circondavano la proto-Terra, analogamente a come si formarono i pianeti attorno al Sole. Questa ipotesi tuttavia non spiega in modo soddisfacente la scarsità di ferro metallico sulla Luna. Comunque nessuna di queste teorie riesce a spiegare l'elevato momento angolare del sistema Terra-Luna. La teoria dell'impatto gigante è quella più accettata dalla comunità scientifica[7]. Fu proposta nel 1975 da William Hartmann e Donald Davis, che ipotizzarono l'impatto di un corpo delle dimensioni di Marte, chiamato Theia o Orpheus, con la Terra. Da quest'impatto, nell'orbita circumterrestre si sarebbe generato abbastanza materiale da permettere la formazione della Luna. Anche l'astronomo canadese Alastair G. W. Cameron era un convinto sostenitore di questa tesi. Inoltre, si pensa che i pianeti si siano formati attraverso un'accessione di corpi più piccoli in oggetti maggiori, ed è riconosciuto che impatti come questo potrebbero essere avvenuti anche per altri pianeti. Simulazioni dell'impatto al computer riescono a predire sia il valore del momento angolare del sistema Terra-Luna, sia la piccola dimensione del nucleo lunare. L'ipotetico corpo Theia si sarebbe formato in un punto di Lagrange relativo alla Terra, ossia in una posizione gravitazionalmente stabile lungo la stessa orbita del nostro pianeta. Qui Theia si sarebbe accresciuto progressivamente inglobando i planetesimi e i detriti che occupavano in gran numero le regioni interne del sistema solare poco dopo la sua formazione. Quando Theia crebbe fino a raggiungere la dimensione di Marte, la sua massa divenne troppo elevata per restare stabilmente nel punto di Lagrange, soprattutto considerando l'influenza di Giove nel turbare le orbite degli altri pianeti del sistema solare. In accordo con questa teoria, 34 milioni di anni dopo la formazione della Terra (circa 4533 milioni di anni fa) questo corpo colpì la Terra con un angolo obliquo, distruggendosi e proiettando nello spazio sia i suoi frammenti sia una porzione significativa del mantello terrestre. L'urto avvenne con un angolo di 45° e a una velocità di circa 4 km/s (circa 14400 km/h), ad una velocità inferiore di quella che Theia si suppone avesse nello stato di corpo orbitante (40000 km/h), e siccome i due pianeti erano ancora allo stato fuso e quindi plastici, ancora prima dello scontro fisico le forze mareali avevano iniziato a distorcerne gli stati superficiali prima ed a smembrarne la protocrosta e il protomantello poi. Sembra inoltre che quasi la totalità della massa lunare sia di derivazione dalla crosta e dal mantello della proto-Terra. La proto-Terra, colpita da Theia, avrebbe dimezzato il suo tempo di rotazione dalle originali 8 ore a 4 ore. Secondo alcuni calcoli il due per cento della massa di Theia formò un anello di detriti, mentre circa metà della sua massa si unì per formare la Luna, processo che potrebbe essersi completato nell'arco di un secolo. È anche possibile che una parte del nucleo di Theia, più pesante, sia affondata nella Terra stessa fondendosi con il nucleo originario del nostro pianeta. Si ritiene che un simile impatto avrebbe completamente sterilizzato la superficie terrestre, provocando l'evaporazione degli eventuali mari primordiali e la distruzione di ogni tipo di molecola complessa. Se mai sulla Terra fossero già all'opera processi di formazione di molecole organiche, l'impatto di Theia dovrebbe averli bruscamente interrotti. Inoltre è stato suggerito che in conseguenza dell'impatto si siano formati altri oggetti di dimensioni significative, ma comunque inferiori a quelle della Luna, che avrebbero continuato ad orbitare attorno alla Terra, magari occupando uno dei punti di Lagrange del sistema Terra-Luna. Nell'arco di un centinaio di milioni di anni al più, le azioni gravitazionali degli altri pianeti e del Sole ne avrebbero comunque destabilizzato le orbite, causandone la fuga dal sistema o delle collisioni con il pianeta o con la Luna. Uno studio pubblicato nel 2011 suggerisce che una collisione tra la Luna e uno di questi corpi minori dalle dimensioni pari ad un trentesimo di quelle lunari potrebbe aver causato le notevoli differenze in caratteristiche fisiche esistenti tra le due facce della Luna. Le simulazioni condotte suggeriscono che, se l'impatto tra i due satelliti fosse avvenuto con velocità sufficientemente bassa, non avrebbe condotto alla formazione di un cratere, ma il materiale del corpo minore si sarebbe "spalmato" sulla Luna aggiungendo alla sua superficie uno spesso strato di crosta degli altipiani che vediamo occupare la faccia nascosta della Luna, la cui crosta è spessa circa 50 km più di quella della faccia visibile. Nel 2001 la ricercatrice statunitense Robin Canup ha modificato la teoria dell'impatto gigante illustrando che la neonata Luna sarebbe stata collocata su un'orbita non stabile e sarebbe ricaduta sul pianeta. L'attuale inclinazione dell'asse di rotazione terrestre è frutto di un secondo impatto. La teoria del doppio impatto nasce perché, con un singolo impatto, non si sarebbe avuta la quantità di materia necessaria a formare la Luna, in quanto la massa del disco che si sarebbe condensata a seguito del primo impatto, sarebbe stata circa 2 volte inferiore a quella dell'attuale massa lunare. Inoltre solo parte di questo materiale era oltre il limite di Roche, quindi non si sarebbe mai potuto aggregare per formare un satellite di grosse dimensioni. Uno studio pubblicato nel 2017 ha proposto che l'impatto in seguito al quale si sarebbe formata la Luna avrebbe contribuito ad accrescere la massa terrestre ben più di quanto in precedenza ipotizzato. Gli indizi che avvalorano questa teoria derivano dalle rocce raccolte durante gli atterraggi delle missioni Apollo, che mostrarono composizioni di isotopi di ossigeno quasi uguali a quelle terrestri. Inoltre la presenza di campioni di rocce di tipo KREEP (ovvero contenenti K = potassio, REE = Terre rare (Rare Earth Elements (EN) ), P = fosforo) indicano che in un periodo anteriore una grande parte della Luna fosse in uno stato fluido e la teoria dell'impatto gigante spiega facilmente l'origine dell'energia richiesta per formare un tale oceano di lava. Esistono diverse prove che la Luna possiede un nucleo ferroso, anche se piccolo. In particolare la densità media, il momento di inerzia e l'induzione magnetica suggeriscono che deve essere circa un quarto del raggio lunare. Per confronto gli altri corpi di tipo terrestre hanno un nucleo pari a metà del raggio. La Luna si sarebbe quindi formata principalmente da materiale proveniente dal mantello terrestre e dall'oggetto che ha impattato mentre il nucleo di quest'ultimo si sarebbe unito alla Terra, spiegando in questo modo il valore del momento angolare. Gli interrogativi ancora aperti che riguardano questa ipotesi sono:

  • Alcuni elementi volatili della Luna non si sono esauriti come previsto dalla teoria.
  • La percentuale di ossido di ferro (FeO) della Luna implica che il materiale proto-lunare proverrebbe da una piccola frazione del mantello terrestre;
  • Se il materiale proto-lunare proviene dal corpo che ha impattato, la Luna dovrebbe essere ricca di elementi siderofili, ma ne sono state rilevate quantità minime.

Uno studio del maggio 2011 condotto dalla NASA porta elementi che tendono a smentire questa ipotesi. Lo studio, eseguito su campioni vulcanici lunari solidificatisi 3,7 miliardi di anni fa e raccolti dalla missione Apollo 17 del 1972, ha permesso di misurare nel magma lunare una concentrazione d'acqua 100 volte superiore a quelle precedentemente stimate. Le rocce vulcaniche tendono a includere all'interno delle loro microstrutture cristalline alcuni elementi volatili, tra cui l'acqua, e con analisi molto sofisticate è possibile ricavare la quantità d'acqua presente nel suolo lunare. Secondo la teoria dell'impatto l'acqua dovrebbe essersi dissolta quasi completamente durante l'impatto, mentre dai dati qui ricavati la quantità d'acqua stimata è simile a quella presente nella crosta terrestre. Studi successivi hanno evidenziato come quest'acqua fosse distribuita e la sua ipotetica origine, portando ad analizzare in modo più dettagliato le rocce lunarie andando ad ipotizzare come la Luna sia composta per un 50% da Theia.

Parametri orbitali, evoluzione e caratteristiche fisiche

Rispetto alle stelle fisse, la Luna completa un'orbita attorno alla Terra in media ogni 27,321661 giorni, pari a 27 giorni, 7 ore, 43 minuti e 12 secondi (mese siderale). Il suo periodo tropicale medio, calcolato da equinozio a equinozio, è invece di 27,321582 giorni, pari a 27 giorni, 7 ore, 43 minuti e 4,7 secondi. Un osservatore sulla Terra conta circa 29,5 giorni tra una nuova luna e la successiva, per via del contemporaneo movimento di rivoluzione del pianeta. Più esattamente il periodo sinodico medio tra due congiunzioni solari è di 29,530589 giorni, cioè 29 giorni, 12 ore, 44 minuti e 2,9 secondi. In un'ora, la Luna percorre sulla sfera celeste circa mezzo grado, distanza all'incirca pari alla sua dimensione apparente[90]. Nel suo moto, rimane sempre confinata in una regione del cielo indicata come lo Zodiaco, che si estende circa 8 gradi sopra e sotto l'eclittica, linea che la Luna attraversa (da Nord a Sud o viceversa) ogni 2 settimane circa. La Terra e la Luna orbitano attorno a un centro di massa comune, che si trova a una distanza di circa 4700 km dal centro della Terra. Poiché questo centro si trova dentro alla massa terrestre il moto della Terra è meglio descritto come un'oscillazione. Viste dal Polo nord della Terra l'orbita della Luna attorno alla Terra e l'orbita di questa attorno al Sole avvengono tutte in senso antiorario. Il sistema Terra-Luna non può essere considerato un pianeta doppio perché il centro di gravità del sistema Terra-Luna non è esterno al pianeta, ma è localizzato 1700 km al di sotto della superficie terrestre, circa un quarto del raggio terrestre. A differenza di quanto accade per gli altri satelliti naturali del sistema solare, la Luna è eccezionalmente grande rispetto al pianeta attorno a cui orbita. Infatti, il suo diametro e la sua massa sono pari rispettivamente a un quarto e a 1/81 di quelli terrestri. Nel sistema solare, solo Caronte nel confronto con Plutone ha dimensioni proporzionalmente maggiori, avendo una massa pari all'11,6% di quella del pianeta nano. Satelliti di dimensioni confrontabili con quelle della Luna orbitano attorno ai giganti gassosi (Giove e Saturno), mentre i pianeti più affini alla Terra o non hanno satelliti (Venere e Mercurio) o ne hanno di minuscoli (Marte). Il piano dell'orbita lunare è inclinato di 5°8' rispetto a quello dell'orbita della Terra intorno al Sole (il piano dell'eclittica). Le perturbazioni gravitazionali del Sole impongono all'orbita lunare un moto di precessione, in senso orario, con periodo di 18,6 anni; questo movimento è correlato alle nutazioni terrestri, che possiedono infatti lo stesso periodo. I punti in cui l'orbita lunare interseca l'eclittica sono chiamati nodi lunari. Le eclissi solari accadono quando un nodo coincide con una luna nuova, le eclissi lunari quando un nodo coincide con una luna piena. Il moto di rotazione della Luna è il movimento che compie intorno all'asse lunare nello stesso senso della rotazione terrestre, da Ovest verso Est, con una velocità angolare di 13° al giorno. La durata è quindi uguale a quella del moto di rivoluzione pari a 27 giorni, 7 ore, 43 minuti e 11,6 secondi. Poiché il periodo di rotazione della Luna è esattamente uguale al suo periodo orbitale, dalla superficie della Terra è visibile sempre la stessa faccia del satellite. Questa sincronia è il risultato dell'attrito mareale causato dalla Terra che ha rallentato la rotazione della Luna nella sua storia iniziale. Dato che il moto di rivoluzione attorno alla Terra non è perfettamente circolare, velocità di rotazione e distanza dalla Terra variano leggermente durante un'orbita e i moti di rotazione e rivoluzione presentano degli sfasamenti tali da creare oscillazioni apparenti di lieve entità nel moto di rotazione lunare dette librazioni; anche la precessione del piano dell'orbita contribuisce, sebbene in misura minore, alle oscillazioni di librazione. Questi sfasamenti consentono ad alcune zone delle superficie lunare di essere visibili per alcuni intervalli di tempo da un osservatore a Terra. Oltre a questo, si aggiunge anche una leggera oscillazione diurna apparente dovuta al moto dell'osservatore sulla superficie terrestre: il medesimo osservatore vedrà la Luna sotto un'angolazione diversa dal momento in cui essa sorge dall'orizzonte al momento in cui tramonta a causa dello spostamento del punto di osservazione dovuto alla rotazione terrestre. Come conseguenza di tutti questi fattori, dalla Terra è osservabile un po' più della metà della superficie lunare (circa il 59%). Il successo dell'esperimento Lunar Laser Ranging, a seguito delle missioni Apollo e Lunochod, ha permesso di rivelare con precisione millimetrica la distanza tra la Terra e la Luna e di misurare l'effettivo allontanamento dei due corpi nel corso degli anni. La Luna si allontana infatti di 3,8 centimetri all'anno. L'allontanamento progressivo della Luna dalla Terra è dovuto alle forze di marea esercitate dal satellite sul pianeta. Le masse d'acqua oceaniche presenti sulla Terra vengono attratte dalla Luna e si protendono nella direzione Terra-Luna, con un leggero disallineamento a causa del periodo di rotazione terrestre inferiore al periodo di rivoluzione lunare. L'attrazione che la Luna esercita su questo lobo di marea ha una componente nella direzione opposta alla rotazione terrestre. Questa azione comporta un rallentamento del momento angolare terrestre, mentre la sua reazione incrementa il momento angolare della Luna con un suo conseguente e progressivo trasferimento su un'orbita a quota più elevata. Da notare che, sebbene la Luna venga accelerata, la velocità del suo moto diminuisce a causa dell'aumento della quota dell'orbita. Subito dopo la formazione, la Luna si trovava a una distanza molto più ravvicinata di adesso. La sua orbita era a circa 25000 km e il periodo di rotazione della Terra era di circa 3 ore[101]. Essendo entrambi i corpi allo stato fuso e molto vicini, le forze mareali avevano un'intensità molto maggiore di quelle attuali ed erano reciproche, in quanto la Luna non era ancora in rotazione sincrona. Col passare del tempo, la Terra attraversò varie ere geologiche con una diversa conformazione del suolo: fuso, solido, con o senza oceani, con solo ghiaccio; ognuna delle conformazioni ha reazioni differenti alle forze di marea della Luna, per questo l'evoluzione nei tempi remoti del periodo di rotazione e della distanza Terra-Luna non può essere determinata con precisione. Nel passare degli anni, il giorno della Terra si è ridotto fino ad arrivare a 24 ore di oggi e la Luna si è allontanata fino a 384000 km e l'attrito mareale ne ha stabilizzato la rotazione fino a renderla sincrona con la rivoluzione. La Luna si allontana di 38 mm all'anno e la Terra rallenta la rotazione di 2,3 millisecondi ogni secolo. Il sistema Terra-Luna è l'unica coppia pianeta-satellite del sistema solare ad avere forze mareali sensibili sul pianeta. Questo è dovuto al rapporto delle masse di ben 1/81, il maggiore del sistema solare. Se oltre ai pianeti si considerano anche i pianeti nani, solo il sistema Plutone-Caronte supera questo valore, con un rapporto di masse di 1/9 che ha portato al raggiungimento dell'equilibrio mareale: il periodo di rotazione di Plutone, quello di Caronte e il periodo di rivoluzione di Caronte sono sincronizzati. Più di 4,5 miliardi di anni fa, la superficie della Luna era un oceano di magma liquido. Gli scienziati pensano che uno dei componenti delle rocce lunari detto KREEP, acronimo dell'espressione inglese K (potassio), Rare Earth Elements (terre rare), e P (fosforo), rappresenti l'ultimo resto del magma originario. Il KREEP è composto da quelli che gli scienziati chiamano "elementi incompatibili": elementi che non possono entrare a far parte delle strutture dei cristalli e che quindi rimangono inutilizzati sulla superficie del magma. Per i ricercatori, il KREEP è un marcatore utile per determinare la storia del vulcanismo lunare e tracciare la cronologia degli impatti da parte di comete e altri oggetti celesti. La crosta lunare è composta da una varietà di elementi primari: uranio, torio, potassio, ossigeno, silicio, magnesio, ferro, titanio, calcio, alluminio e idrogeno. Dai dati forniti dalla missione GRAIL sulle caratteristiche della crosta lunare, i ricercatori hanno ottenuto preziose informazioni anche sulla composizione interna del satellite, scoprendo che racchiude all'incirca la stessa percentuale di alluminio della Terra. Quando viene bombardato dai raggi cosmici, ogni elemento riemette nello spazio una sua propria radiazione particolare, sotto forma di raggi gamma. Alcuni elementi, come l'uranio, il torio e il potassio, sono radioattivi ed emettono spontaneamente raggi gamma. Quale che sia la loro causa, i raggi gamma emessi da ogni elemento sono diversi e uno spettrometro è in grado di distinguerli e appunto in questo modo è stato possibile scoprirne l'esistenza. Una mappa globale della Luna, che riporti l'abbondanza di questi elementi, non è ancora stata realizzata. Le ere geologiche della Luna vengono definite in base alla datazione di alcuni crateri che hanno avuto un effetto significativo sulla sua storia. La Luna è un corpo celeste internamente differenziato: come la Terra ha una crosta geochimicamente distinta, un mantello, la cui astenosfera è parzialmente fusa (di fatto le onde S rilevate dai sismografi non sono in grado di attraversarla), e un nucleo. La parte interna del nucleo, con un raggio di 240 km, è ricca di ferro allo stato solido ed è circondata da un guscio esterno fluido costituito principalmente da ferro liquido, con un raggio di circa 300 km. Attorno al nucleo si trova una fase parzialmente fusa con un raggio di circa 500 km. La sua composizione non è stata ancora pienamente identificata, ma si dovrebbe trattare di ferro metallico in lega con piccole quantità di zolfo e nichel; sono le analisi della variabilità della rotazione lunare a indicare che esso è almeno parzialmente fuso. Si ritiene che questa struttura si sia sviluppata attraverso una cristallizzazione frazionata dell'oceano di magma che ricopriva il satellite 4,5 miliardi di anni fa, al tempo della sua formazione. La cristallizzazione dell'oceano di magma avrebbe creato il mantello femico per precipitazione e separazione dei minerali di olivina e pirosseno; dopo che circa tre quarti del magma si erano cristallizzati, i minerali di plagioclasio, a densità più bassa, poterono galleggiare e formare la crosta superficiale. Gli ultimi liquidi a cristallizzare furono quelli che si trovarono compressi tra la crosta e il mantello, con un'elevata abbondanza di elementi scarsamente compatibili ed esotermici. A conferma di questo, la mappatura geochimica effettuata dalle sonde in orbita, mostra che la crosta è prevalentemente a base di anortosite; anche i campioni di roccia lunare della lava eruttata sulla superficie da fusioni parziali del mantello, confermano la composizione mafica del mantello, più ricco in ferro di quello terrestre. Attraverso i dati inviateci dalla missione GRAIL, le ultime stime effettuate, dimostrano invece che la crosta lunare è più sottile di quanto si pensasse, in media 32-34 km contro i 45 km delle stime precedenti. La Luna è il secondo satellite più denso del sistema solare dopo Io. Tuttavia le dimensioni del nucleo interno lunare sono piuttosto piccole in confronto alla dimensione totale del satellite, solo il 20% rispetto al circa 50% della maggioranza degli altri satelliti di tipo terrestre. La topografia della Luna è stata misurata utilizzando tecniche come l'altimetria laser e l'analisi stereoscopica delle immagini. La caratteristica topografica più rilevante è l'enorme Bacino Polo Sud-Aitken, situato sulla faccia nascosta della Luna e pertanto non direttamente visibile da noi. Si tratta di un vasto cratere da impatto di circa 2 500 km di diametro, il più grande del nostro satellite e uno dei più estesi dell'intero sistema solare. Oltre alle dimensioni, il cratere vanta anche due altri primati: con i suoi 13 km di profondità contiene il punto più basso dell'intera superficie lunare mentre la massima elevazione del satellite si trova sul suo bordo nord-est. Si ritiene che quest'area sia il risultato di un impatto obliquo che ha portato alla formazione del bacino. Anche altri grandi bacini da impatto come Mare Imbrium, Mare Serenitatis, Mare Crisium, Mare Smythii e Mare Orientale posseggono vaste depressioni e bordi molto elevati. L'emisfero nascosto della Luna ha un'elevazione media di 1,9 km più alta rispetto a quella dell'emisfero visibile.

Acqua sulla Luna, magnetismo e superficie

La Luna per gran parte della sua storia antica è stata bombardata da asteroidi e comete, queste ultime ricche d'acqua. L'energia della luce solare divide la maggior parte di quest'acqua nei suoi elementi costituenti, idrogeno e ossigeno, di cui la maggior parte si disperde immediatamente nello spazio. È stato però ipotizzato che quantità significative di acqua possano rimanere sulla Luna, in superficie, in aree perpetuamente all'ombra o inglobate nella crosta. A causa della modesta inclinazione dell'asse di rotazione lunare (solo 1,5°), alcuni dei crateri polari più profondi non ricevono mai luce dal Sole, rimanendo sempre in ombra. In accordo con i dati raccolti durante la missione Clementine, sul fondo di tali crateri potrebbero essere presenti depositi di ghiaccio d'acqua. Le successive missioni lunari hanno tentato di confermare questi risultati, senza tuttavia fornire dati definitivi. Nell'ambito del suo progetto di ritorno sulla Luna, la NASA ha deciso di finanziare il Lunar Crater Observation and Sensing Satellite. La sonda è stata progettata per osservare l'impatto dello stadio superiore del razzo vettore Centaur che l'avrebbe portata in orbita, su una regione permanentemente in ombra situata in vicinanza al Polo Sud lunare. L'impatto del razzo è avvenuto il 9 ottobre 2009, seguito quattro minuti dopo da quello della sonda che in questo modo ha attraversato il pennacchio così sollevatosi e ne ha potuto analizzare la composizione. Il 13 novembre 2009, la NASA ha annunciato che, in seguito a un'analisi preliminare dei dati raccolti durante la missione di LCROSS, è stata confermata la presenza di depositi di ghiaccio d'acqua nei pressi del Polo Sud lunare. Nello specifico sono state rilevate linee di emissione dell'acqua nello spettro, nel visibile e nell'ultravioletto, del pennacchio generato dall'impatto sulla superficie lunare dello stadio superiore del razzo che aveva portato la sonda in orbita. È stata inoltre rilevata la presenza di idrossile, prodotto dalla scissione dell'acqua investita dalla radiazione solare. L'acqua (sotto forma di ghiaccio) potrebbe in futuro essere estratta e quindi divisa in idrogeno e ossigeno da generatori a energia solare. La quantità di acqua presente sulla Luna è un fattore importante nel rendere possibile la sua colonizzazione, perché il trasporto dalla Terra sarebbe estremamente costoso. L'acqua lunare potrebbe essere contenuta al suo interno e derivare dalla sua formazione, come rileva uno studio recente (maggio 2011) condotto dalla NASA. Lo studio evidenzia che la percentuale di acqua presente nella Luna potrebbe essere simile a quella terrestre e quindi i depositi rilevati potrebbero essere stati generati dalle eruzioni magmatiche del passato. Per più di un miliardo di anni dalla sua formazione, la Luna ebbe un campo magnetico paragonabile a quello terrestre. Gran parte del calore indispensabile a mantenere fluido il nucleo esterno e il mantello era dato, in parte dal decadimento degli isotopi radioattivi, ma soprattutto dalle forze mareali esercitate dalla Terra, come accade ancor oggi per la luna gioviana Io. Le forze mareali creavano un notevole attrito - e, quindi, riscaldamento interno - negli strati interni della Luna in quanto, all'inizio della sua storia, il satellite, che continua anche oggi ad allontanarsi progressivamente dalla Terra, orbitava intorno al pianeta a una distanza molto inferiore a quella odierna, cosicché la forza gravitazionale esercitata dalla Terra era in grado anche di fondere e far rimanere allo stato fuso le rocce del mantello lunare e quelle del nucleo esterno (che sono tuttora fuse). A distanza ravvicinata, le interazioni di marea tra la Terra e la Luna avrebbero, oltretutto, fatto sì che il mantello del nostro satellite ruotasse in modo leggermente diverso da quello del suo nucleo, creando celle convettive che si mantennero fino a circa 3 miliardi d'anni or sono. Proprio questo movimento differenziale avrebbe indotto nel nucleo un rimescolamento in grado, almeno stando alle previsioni teoriche, di dar luogo a una dinamo magnetica. Il campo magnetico esterno attuale della Luna è molto debole, compreso tra uno e cento nanotesla, circa un centesimo di quello terrestre. Non si tratta di un campo magnetico dipolare globale, che richiederebbe un nucleo interno liquido, ma solo una magnetizzazione crostale, probabilmente acquisita nelle prime fasi della sua storia quando la geodinamo era ancora operativa. Parte di questo residuo di magnetizzazione potrebbe anche derivare da campi magnetici transitori generatisi durante grandi eventi di impatto attraverso l'espansione della nube plasmatica associata all'impatto in presenza di un preesistente campo magnetico ambientale. Questa ricostruzione è supportata dalla localizzazione delle grandi magnetizzazioni crostali disposte agli antipodi dei grandi bacini da impatto. Le misurazioni del campo magnetico possono dare inoltre informazioni su dimensione e conduttività elettrica del nucleo lunare, fornendo quindi dati per una migliore teoria dell'origine della Luna. Per esempio, se il nucleo contenesse una proporzione maggiore di elementi magnetici (come il ferro) rispetto a quella terrestre, la teoria della nascita per impatto perderebbe credito (anche se potrebbero esistere spiegazioni alternative per questo fatto). Sopra tutta la crosta lunare si stende uno strato esterno di roccia polverosa, chiamata regolite. Sia la crosta sia la regolite sono distribuite in modo irregolare, l'una con uno spessore da 60 a 100 chilometri, l'altra passando da 3-5 metri nei mari fino a 10-20 metri sulle alture. Gli scienziati pensano che queste asimmetrie siano sufficienti per spiegare lo spostamento del centro di massa della Luna. L'asimmetria della crosta potrebbe anche spiegare la differenza nei terreni lunari che sono formati principalmente da mari sulla faccia vicina e rocce sulla parte lontana. La Luna non possiede quella che si può definire un'atmosfera nel senso comune del termine; si può solo parlare di un velo estremamente tenue, tanto che può essere quasi assimilato al vuoto, con una massa totale di meno di 10 tonnellate. La pressione superficiale risultante è attorno a 10−15 atmosfere (0,3 nPa), variabile in funzione del giorno lunare. La sua origine è imputabile al degassamento e allo sputtering, cioè il rilascio di atomi di gas da parte delle rocce che compongono la Luna, in seguito all'impatto degli ioni portati dal vento solare. Tra gli elementi che sono stati identificati ci sono sodio, potassio (presenti anche nelle atmosfere di Mercurio e del satellite Io) generati da sputtering; elio-4, da vento solare; argon-40, radon-222 e polonio-210 da degassamento per effetto del decadimento radioattivo all'interno di crosta e mantello. Non è ben chiara l'assenza di elementi allo stato neutro (atomi o molecole) come ossigeno, azoto, carbonio e magnesio, normalmente presenti nella regolite. La presenza di vapore acqueo è stata rilevata dalla sonda indiana Chandrayaan-1 a varie latitudini, con un massimo a ~60-70 gradi; si ritiene che possa essere generato dalla sublimazione del ghiaccio d'acqua della regolite. Dopo la sublimazione, questo gas può ritornare nella regolite, sotto l'effetto della debole attrazione gravitazionale della Luna, o essere disperso nello spazio a causa sia della radiazione solare sia del campo magnetico generato dal vento solare sulle particelle ionizzate. Le missioni Apollo che hanno portato astronauti sulla Luna hanno sbarcato anche alcuni sismografi. Questi sismografi hanno funzionato per molti anni ottenendo risultati ben diversi da quelli posti sulla superficie terrestre. Pur avendo registrato qualche migliaio di terremoti l'anno, si è visto che in media l'energia liberata da essi è molto bassa e non ha quasi mai superato il secondo grado della scala Richter. L'assenza di moti crostali impedisce lo sviluppo di terremoti di alta intensità. Il suolo lunare è grigiastro e composto da regolite lunare, una roccia polverosa generata principalmente a seguito dell'impatto di meteoroidi con la superficie e dell'azione del vento solare su di essa. Varia da grana molto fine ad argilla. La superficie si presenta cosparsa di crateri, eccezion fatta per i "mari" ossia le vaste zone pianeggianti resti di antiche colate laviche, dove i crateri sono più radi. Sono in tutto 1 571 (crateri denominati) oltre a 7 066 crateri correlati con raggio non inferiore a un metro. I più grandi raggiungono un diametro anche di 240 km. Non agendo sulla Luna forze tettoniche, eruzioni vulcaniche e fenomeni sismici, sono fenomeni rari, a parte casi estremamente rari causati da impatti con meteoriti. All'equatore la temperatura può raggiungere durante il giorno un massimo di 127 °C e un minimo di -247 °C rilevata in un cratere presso il polo Nord lunare. Non essendovi atmosfera, né scorrimento superficiale di acqua, mancano i relativi fenomeni di erosione tipici della Terra. Tuttavia, il continuo bombardamento di micrometeoriti unito all'impatto dei meteoroidi e degli asteroidi costituisce una forza di erosione, che ha levigato e leviga tuttora lentamente la superficie lunare. Manca l'acqua allo stato liquido; allo stato solido è invece probabilmente presente nei crateri circumpolari. La prima sonda ad allunare è stata la sovietica Luna 2, che rimase distrutta nell'impatto. L'uomo è arrivato col programma Apollo fra il 1969 e il 1972. Il primo a mettervi piede, nella missione Apollo 11, è stato l'astronauta statunitense Neil Armstrong. L'ultima visita è del rover cinese Yutu (Coniglio di giada) della missione Chang'e-3 nel dicembre 2013.

I mari lunari

Mare (plurale maria) è un termine latino utilizzato in esogeologia per designare diverse configurazioni morfologiche presenti sulla superficie della Luna e su Titano. Il termine è stato scelto a causa del colore scuro che contraddistingue queste regioni dai territori circostanti; si tratta in verità di pianure basaltiche, originatesi da antiche eruzioni di materiale incandescente seguite all'impatto con asteroidi particolarmente massicci. La maggiore albedo delle montagne lunari (formate da rocce più antiche) è dovuta alla presenza di regolite, che riflette più luce rispetto al basalto, formatasi dall'impatto di innumerevoli micrometeoriti nel corso di centinaia di milioni di anni di storia lunare. Il 16% della superficie lunare è ricoperta da maria, più numerosi nell'emisfero rivolto verso la Terra che non sulla faccia nascosta, dove sono più piccoli e meno evidenti. La nomenclatura lunare proposta dall'Unione Astronomica Internazionale prevede, oltre ai maria, la presenza di oceani (oceanus), simili ai maria ma più grandi, e di laghi (lacus), paludi (palus) e golfi (sinus), morfologicamente analoghi ai maria, ma di dimensioni inferiori. Vi sono inoltre alcune caratteristiche di albedo di Marte il cui nome comprende il termine mare: Mare Acidalium, Mare Australe, Mare Boreum, Mare Chronium, Mare Cimmerium, Mare Erythraeum, Mare Hadriacum, Mare Serpentis, Mare Sirenum, Mare Tyrrhenum.

I crateri

I crateri lunari occupano la maggior parte della superficie della luna e sono di diversi tipi. I crateri più antichi hanno permesso la datazione dell'intenso bombardamento tardivo che ha coinvolto la Terra 4 miliardi di anni fa. Il più visibile di essi è il Cratere Tycho, ben visibile anche a occhio nudo, che prese il nome dall'astronomo Tycho Brahe; pur non essendo molto grande è datato solo 100 milioni di anni e i detriti successivi all'impatto hanno lasciato segni a raggiera con un'albedo molto elevata, che non sono stati erosi da impatti successivi come per i crateri più antichi. Altri crateri degni di nota sono i crateri Peary e Malapert, situati rispettivamente in prossimità del polo nord e sud lunare. La peculiarità di questi crateri è di avere i bordi quasi sempre illuminati dal sole e i centri al buio totale, grazie alla loro posizione esterna e alla scarsa inclinazione dell'asse lunare. Sebbene l'illuminazione media annua raggiunga un massimo di 89% ai bordi, i centri sono al 100% al buio per tutti i giorni dell'anno e non sono soggetti agli effetti del vento solare: potrebbero quindi contenere elementi volatili cristallizzati, come l'acqua, ed essere di interesse per una futura missione spaziale.

Mappa superficiale

La prima mappa della Luna risale al 3000 a.C., un'illustrazione più che una mappa vera e propria, disegnata col carbone su una tomba di Knowth in Irlanda[146]. È dal XVII secolo che gli astronomi iniziarono a mappare la faccia visibile della superficie e assegnare nomi agli elementi principali, con Leonardo, Galileo e Harriot, soprattutto dopo l'invenzione del telescopio. Molti dei mari e dei crateri hanno ricevuto una denominazione. Dal 1919, l'Unione astronomica internazionale si occupa di catalogare gli elementi della superficie lunare e assegnare loro un nome ufficiale. Oltre agli elementi sopra citati, anche altri elementi meno comuni hanno ricevuto una denominazione, come monti, catene, fossi, valli e altro ancora. Dagli anni 1970, anche agli elementi della faccia nascosta, fino ad allora sconosciuti, è stata assegnata una nomenclatura.

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