Costante C: quando l'Universo impone i limiti di velocità...

Nelle immense distanze cosmiche, la cosa più veloce che esiste è la luce. I fotoni e la radiazione elettromagnetica viaggiano a velocità enormi -se messe in rapporto con quelle della quotidianità umana-. Ma perché è impossibile raggiungerla? Che cos'è la misteriosa Costante C? Se sei curioso di saperne di più, seguici su Eagle sera!

La velocità della luce si dice "Costante C" o più semplicemente "C".

In fisica la velocità della luce è la velocità di propagazione di un'onda elettromagnetica e di una particella libera senza massa. Nel vuoto ha un valore di 299792458 m/s. Viene indicata normalmente con la lettera c (dal latino celeritas), scelta fatta per primo da Paul Drude nel 1894. Secondo la relatività ristretta, la velocità della luce nel vuoto,  costante C, è una costante fisica universale indipendente dal sistema di riferimento utilizzato e la velocità massima a cui può viaggiare qualsiasi informazione nell'universo, unendo le grandezze fisiche classiche di spazio e tempo nell'unica entità dello spaziotempo e rappresentando la grandezza di conversione nell'equazione di equivalenza massa-energia. Nella relatività generale è la velocità prevista per le onde gravitazionali. Dal 21 ottobre 1983 si considera il valore costante C come esatto, ovvero senza errore, e a partire da esso si definisce lunghezza del metro nel Sistema Internazionale. Galileo Galilei fu il primo a sospettare che la luce non si propagasse istantaneamente e a cercare di misurarne la velocità. Egli scrisse del suo tentativo infruttuoso di usare lanterne per mandare dei lampi di luce tra due colline fuori Firenze. Giovanni Alfonso Borelli (1608-1679), seguace di Galilei, fece il tentativo di misurare la velocità della luce sulla distanza Firenze-Pistoia per mezzo di specchi riflettenti. La prima misura della velocità della luce fu effettuata nel 1676 dal danese Ole Rømer, che utilizzò un'anomalia nella durata delle eclissi dei satelliti medicei (i satelliti di Giove scoperti da Galileo). Egli registrò le eclissi di Io, un satellite di Giove: ogni giorno o due, Io entrava nell'ombra di Giove per poi riemergerne. Rømer poteva vedere Io "spegnersi" e "riaccendersi", se Giove era visibile. L'orbita di Io sembrava essere una specie di distante orologio, ma Rømer scoprì che il suo "ticchettio" era più veloce quando la Terra si avvicinava a Giove e più lento quando se ne allontanava. Rømer misurò le variazioni in rapporto alla distanza tra Terra e Giove e le spiegò stabilendo una velocità finita per la luce. Egli ottenne un valore di circa 210 800 000 m/s, il cui scostamento rispetto al valore accertato in seguito era dovuto essenzialmente alla scarsa precisione con cui aveva misurato il tempo necessario alla luce per percorrere il diametro dell'orbita terrestre. Una targa all'Osservatorio di Parigi, dove l'astronomo danese lavorava, commemora quella che fu, in effetti, la prima misurazione di una quantità universale. Rømer pubblicò i suoi risultati, che contenevano un errore del 10-25%, nel Journal des savants. Quando si rigettò il modello della luce come un flusso di particelle, proposto da Cartesio e sostenuto da Isaac Newton, il modello ondulatorio, suo successore, pose il problema dell'esistenza di un mezzo che sostenesse le oscillazioni. Tale ipotetico mezzo, detto etere, doveva avere caratteristiche molto peculiari: elastico, privo di massa e resistenza al moto dei corpi, doveva peraltro trascinare la luce come una corrente trascina una barca o il vento le onde sonore. Un vento dell'etere doveva trascinare la luce. Per verificare la presenza dell'etere tramite l'effetto di trascinamento, Albert Abraham Michelson e Edward Morley ripeterono più volte un'esperienza con un interferometro. Se, a causa del vento dell'etere, la velocità di propagazione della luce nei due bracci dell'interferometro fosse stata diversa, i due fasci di luce avrebbero impiegato un tempo diverso per tornare a incontrarsi e quindi le oscillazioni nei due fasci avrebbero presentato una differenza di fase δ, come nelle funzioni sinusoidali:

Barra delle equazioni per i lettori più curiosi:

Ciò provocava la formazione di frange di interferenza al passare entro una fenditura di circa mezzo millimetro fra due cartoncini posti di fronte a una sorgente di luce a poca distanza dall'occhio. Le frange avrebbero dovuto spostarsi al variare dell'orientamento dello strumento rispetto al vento dell'etere. La differenza attesa nei tempi impiegati dalla luce per percorrere i bracci dell'interferometro parallelo e perpendicolare al vento dell'etere si calcola facilmente. Nelle numerose esperienze di Michelson, Morley e altri ancora non si osservò mai lo spostamento di tali frange, indipendentemente dal modo in cui veniva orientato l'interferometro e dalla posizione della Terra lungo la sua orbita. La spiegazione di tale risultato secondo Einstein era che non vi è nessun etere e che l'indipendenza della velocità della luce dalla sua direzione di propagazione è un'ovvia conseguenza dell'isotropia dello spazio. L'etere diventò quindi semplicemente non necessario. È possibile ricavare la velocità della luce nel vuoto (dal momento che è un'onda elettromagnetica), a partire dalle equazioni di Maxwell. A partire dalla terza equazione di Maxwell, applicandovi l'operatore rotore, si ottiene:

Barra delle equazioni per i lettori più curiosi:

Dato che:

Alcuni passaggi:

Passando attraverso i materiali la luce subisce degli eventi di dispersione ottica e, in moltissimi casi di interesse, si propaga con una velocità inferiore a C, di un fattore chiamato indice di rifrazione del materiale. La velocità della luce nell'aria è solo leggermente inferiore a C. Materiali più densi, come l'acqua e il vetro rallentano la luce a frazioni pari a 3/4 e 2/3 di C. Esistono poi materiali particolari, detti metamateriali, che hanno indice di rifrazione negativo. La luce sembra rallentare per effetto di urto anelastico: viene assorbita da un atomo del materiale attraversato che si eccita e restituisce la luce in ritardo e in direzione deviata. Nel 1999, un gruppo di scienziati guidati da Lene Hau fu in grado di rallentare la velocità di un raggio di luce fino a circa 61 km/h. Nel 2001, furono in grado di fermare momentaneamente un raggio. Si veda: condensato di Bose-Einstein per ulteriori informazioni. Nel gennaio 2003, Mikhail Lukin, assieme a scienziati della Harvard University e dell'Istituto Lebedev di Mosca, riuscirono a fermare completamente la luce dentro un gas di atomi di rubidio a una temperatura di circa 80 °C: gli atomi, per usare le parole di Lukin, "si comportavano come piccoli specchi" (Dumé, 2003), a causa degli schemi di interferenza di due raggi di "controllo". (Dumé, 2003) Nel luglio del 2003, all'Università di Rochester Matthew Bigelow, Nick Lepeshkin e Robert Boyd hanno sia rallentato che accelerato la luce a temperatura ambiente, in un cristallo di alessandrite, sfruttando i cambiamenti dell'indice di rifrazione a causa dell'interferenza quantistica. Due raggi laser vengono inviati sul cristallo, in determinate condizioni uno dei due subisce un assorbimento ridotto in un certo intervallo di lunghezze d'onda, mentre l'indice di rifrazione aumenta nello stesso intervallo, o "buco spettrale": la velocità di gruppo è dunque molto ridotta. Usando invece lunghezze d'onda differenti, si è riusciti a produrre un "antibuco spettrale", in cui l'assorbimento è maggiore, e dunque alla propagazione superluminale. Si sono osservate velocità di 91 m/s per un laser con una lunghezza d'onda di 488 nanometri, e di -800 m/s  per lunghezze d'onda di 476 nanometri. La velocità negativa indica una propagazione superluminale, perché gli impulsi sembrano uscire dal cristallo prima di esservi entrati. Nel settembre 2003, Shanhui Fan e Mehmet Fatih Yanik dell'Università di Stanford hanno proposto un metodo per bloccare la luce all'interno di un dispositivo a stato solido, in cui i fotoni rimbalzano tra pilastri di semiconduttori creando una specie di onda stazionaria. I risultati sono stati pubblicati su Physical Review Letters del febbraio 2004.

Se ti interessano le idee sulla propulsione a velocità trans-luce, clicca qui: verrai catapultato in un nostro articolo sulla velocità a curvatura.

Se ci pensate, è proprio assurdo. Se a un corpo viene applicata una forza, infatti, la sua velocità non potrà che aumentare. O almeno così sembra, considerando le nostre esperienze di tutti i giorni. Oltre un secolo fa, però, Albert Einstein ha dimostrato che l'energia E di un corpo qualsiasi è legata alla sua massa m secondo la famosa equazione E=mc2, dove "c" è la velocità della luce (299.792,458 km/s). Questa relazione dice, tra l'altro, che energia e massa sono due entità equivalenti, che possono trasformarsi l'una nell'altra. E questo è esattamente ciò che accade quando acceleriamo un oggetto (anche se noi non ce ne accorgiamo): l'energia che gli imprimiamo va in piccolissima parte ad aumentare la sua massa. A mano a mano che la velocità aumenta, però, occorre sempre più energia per aumentarne ulteriormente la velocità, e questo accade perché sempre più energia si trasforma in massa. In pratica, quanto più ci si avvicina alla velocità della luce, tanto più l'oggetto diventa massiccio e inamovibile. Al 99,9% della velocità della luce, per esempio, un uomo di 80 kg avrebbe una massa di circa 2 tonnellate. Cercare di "spingerlo" per fargli superare la "barriera" della luce avrebbe come unico risultato quello di aumentare la sua massa di tantissimo, lasciandone la velocità praticamente inalterata. Ecco perché la velocità "c" non può essere mai raggiunta. Secondo alcuni studi teorici, esisterebbero particelle chiamate tachioni che avrebbero la proprietà di viaggiare a velocità superiori a "c"... ma, se anche esistessero davvero, non potrebbero mai rallentare. Il tachione (dal greco ταχύς tachýs, "veloce") è un'ipotetica particella avente massa immaginaria e velocità superiore a quella della luce. La prima descrizione teorico-concettuale è attribuita ad Arnold Sommerfeld, mentre tentativi di interpretazione all'interno della relatività ristretta furono compiuti da George Sudarshan nel 1962. Il termine "tachione" venne usato per la prima volta da Gerald Feinberg nel 1964. Nella ricerca fisica moderna il concetto compare in vari contesti, in particolare nella teoria delle stringhe e nella Teoria M. Il tachione viene spesso citato nella letteratura fantascientifica, sebbene di solito con proprietà non interamente corrispondenti a quelle scientifiche. L'ipotetica esistenza del tachione è compatibile con la teoria della relatività speciale, secondo la quale esso sarebbe una particella con un quadri-impulso di tipo-spazio, relegata ad una porzione tipo-spazio del grafico energia-momento; perciò non potrebbe mai rallentare alla velocità della luce o inferiore. Se la sua energia e la sua quantità di moto fossero reali, la massa a riposo sarebbe immaginaria, oppure se la massa a riposo e la quantità di moto fossero reali, l'energia sarebbe immaginaria. È difficile interpretare il significato fisico di una massa di valore complesso. Un effetto curioso è che, a differenza delle particelle ordinarie, la velocità di un tachione aumenta al diminuire della sua energia. Questa è una conseguenza della relatività ristretta in quanto il tachione in teoria ha una massa che elevata al quadrato è negativa. Secondo Einstein la massa totale di una particella rispetto ad un dato sistema di riferimento è la somma della sua massa a riposo e dell'incremento di massa dovuto all'energia cinetica. Se m indica la massa a riposo, allora l'energia totale è data dalla relazione:

Barra delle equazioni per i lettori più curiosi:

oppure

Si consideri questa relazione valida sia per i tachioni sia per le particelle comuni ("bradioni" o "tardioni"). In situazioni ordinarie questa equazione mostra che E aumenta all'aumentare della velocità, tendendo all'infinito quando v si avvicina a c, la velocità della luce. Invece se m è un valore immaginario, il denominatore della frazione deve essere anch'esso immaginario affinché il valore dell'energia rimanga nel campo dei numeri reali, visto che un valore immaginario diviso per un altro immaginario ne dà uno reale. Il denominatore è immaginario se la quantità all'interno della radice è negativa, il che avviene se v è maggiore di c. Quindi per lo stesso motivo per cui per i bradioni è impossibile superare la barriera della velocità della luce, i tachioni non possono avere velocità inferiori a quella della luce. L'esistenza di simili particelle pone degli interessanti problemi sulla fisica moderna. Si prendano per esempio le formule della radiazione elettromagnetica e si supponga che un tachione abbia una carica elettrica (non è possibile stabilire a priori se un tachione è neutro o dotato di carica); allora un tachione in accelerazione dovrebbe generare onde elettromagnetiche come qualsiasi particella dotata di carica. Però, come si è visto, diminuendo l'energia di un tachione la sua velocità aumenta e quindi, in una situazione del genere, una piccola accelerazione ne produrrebbe una maggiore, portando ad un effetto a catena simile alla catastrofe ultravioletta. Nel 1973 Philip Crough e Roger Clay hanno annunciato una particella più veloce della luce apparentemente dovuta ad un'ondata di raggi cosmici. L'osservazione non è stata né confermata né ripetuta.

Se la velocità della luce è insuperabile, quali sono gli oggetti più veloci mai costruiti dall'uomo? Se vuoi saperlo guarda il video qui sopra.

Se sei curioso clicca sul bottone sottostante per veder il nostro video sulla costante C.

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