Stelle Degeneri

Le Stelle sono gli oggetti che vediamo quando alziamo gli occhi al cielo di notte: ci sembrano fermi, statici, ma nel corso dei nostri viaggi attraverso i misteri del cosmo, ci siamo resi conto che sono corpi di immane potenza, che regolano e comandano mondi interi. Ci riescono grazie alla loro massa, gigantesca se comparata alla nostra quotidianità o anche alle sei sestilioni di tonnellate della Terra. E' per questo che le stelle riescono a emanare energia e radiazione per moltissimi anni luce, nonostante, per la maggior parte, siano fatte degli elementi più comuni del cosmo, l'idrogeno e l'elio. Ma cosa succede quando incontriamo una stella composta da Materia Esotica? Seguiteci su Eagle sera per scoprirlo...


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Nane Brune



Glossario: la Materia Esotica

La materia esotica è materia composta prevalentemente da particelle effimere, ovvero che decadono dopo poco tempo dalla loro produzione. Studiate attraverso i raggi cosmici, possono anche essere prodotte in laboratorio (ad esempio negli esperimenti condotti negli acceleratori). Sono composte principalmente da muoni, tau e dai tre tipi di neutrini e tutta una serie di particelle strane, ovvero particelle composte da quark di tipo strange, charm, bottom, top. Con l'aggettivo "esotico" si indicano in fisica spesso anche particelle, campi o più in generale condizioni e oggetti che non sono previste dalla teoria comunemente accettata nel campo della fisica a cui si fa riferimento, e richiederebbero una modificazione di essa. Il termine in genere non viene utilizzato in modo univoco. Il 4 ottobre 2016, David Thouless, Duncan Haldane e Michael Kosterlitz, vincono il Premio Nobel per la Fisica in quanto "hanno contribuito a comprendere i comportamenti esotici della materia".

Le Stelle Degeneri

In astronomia il termine stella degenere è utilizzato per definire in maniera collettiva le nane bianche, le stelle di neutroni e gli altri corpi celesti costituiti da materia esotica, tutti generalmente di dimensioni piccole a dispetto della loro grande massa. Un sinonimo di stella degenere è stella compatta, che però è utilizzato per quegli oggetti, tra cui i buchi neri, la cui esatta natura è sconosciuta ma i dati ottenuti dall'osservazione suggeriscono che abbiano una massa elevata ma piccole dimensioni. Al termine della propria evoluzione, le stelle, qualunque sia la loro massa, attraversano una fase in cui la materia che le costituisce assume uno stato degenere. Durante la fase di stabilità della sequenza principale e le fasi immediatamente successive la stella risplende, perdendo energia; tale perdita, che le stelle subiscono continuamente, è compensata dalla produzione di energia nel nucleo tramite le reazioni di fusione nucleare. Quando una stella è prossima alla fine della propria esistenza, la pressione di radiazione del nucleo non è più in grado di contrastare la gravità degli strati più esterni dell'astro. Di conseguenza il nucleo va incontro ad un collasso, mentre gli strati più esterni vengono espulsi in maniera più o meno violenta; ciò che resta è un oggetto estremamente denso: una stella compatta, costituita da materia in uno stato altamente degenere. Le stelle degeneri sono nane bianche e stelle di neutroni; la differenza che intercorre tra le stelle compatte e le stelle classiche è analoga a quella che sussiste tra solidi e gas. Se si attendesse un tempo sufficiente perché una nana bianca sia sufficientemente fredda e se si possedesse una navicella in grado di resistere alle enormi forze gravitazionali e mareali, sarebbe possibile atterrare sulla sua superficie, che si presenta solida. Tuttavia il tempo previsto perché la superficie di una nana bianca si raffreddi è enorme, persino superiore all'attuale età dell'Universo. Nonostante le stelle degeneri emettano radiazioni elettromagnetiche, quindi consumino una certa quantità di energia, esse per mantenere inalterata la propria pressione non necessitano di alte temperature per compiere le reazioni nucleari, come invece richiedono le stelle normali. Escludendo un'eventuale perturbazione esterna o un decadimento barionico, l'esistenza di una stella degenere dovrebbe durare molto a lungo, o essere addirittura "eterna". Quella di stella compatta è una fase che interesserà prima o poi tutte le stelle dell'universo e raggiungerà il suo massimo nella cosiddetta era degenere dell'universo. Supponiamo di fare un esperimento mentale nel quale immaginiamo di creare un oggetto freddo aggiungendo sempre più massa ed ignorando la pressione termica. In che modo agirà la forza di gravità? In questo esperimento abbiamo sei diversi oggetti alternativi: pianeta, nana bruna, nana bianca, stella di neutroni, stella esotica e buco nero. A basse densità della materia, l'oggetto è mantenuto tale da forze di natura elettromagnetica, che costringono gli elettroni ad occupare degli orbitali posti attorno al nucleo atomico che danno origine ai legami chimici, consentendo l'esistenza di corpi solidi come le rocce. La consistenza di tali corpi è tale che essi non si contraggono in maniera eccessiva qualora gli si aggiungesse massa; una massa maggiore ad ogni modo rende l'oggetto di dimensioni maggiori: il raggio dunque cresce con la massa. A un certo punto, qualora la massa sia piuttosto grande, la pressione al centro del corpo è talmente elevata che tutta la materia è ionizzata: gli elettroni sono strappati all'attrazione dei nuclei atomici e sono liberi di muoversi nello spazio; di conseguenza, non è possibile la realizzazione di legami chimici. Tale situazione è quella che gli astrofisici ritengono sia presente all'interno di Giove. Qualora, ipoteticamente, al pianeta venisse aggiunta massa, la crescita della gravità non sarebbe più esattamente controbilanciata dalla pressione, sicché il pianeta subirebbe una contrazione che ne ridurrebbe il raggio. Giove ha il maggiore volume possibile per una massa fredda. Se gli si aggiungesse massa però il diametro e il volume del pianeta diminuirebbero, contrariamente a quanto si potrebbe intuitivamente pensare. La densità al centro del corpo è ora talmente elevata che gli elettroni divengono degeneri, vale a dire che gli elettroni si trovano nel livello quantico ad energia più bassa disponibile. Dato che gli elettroni appartengono alla categoria dei fermioni, essi obbediscono al principio di esclusione di Pauli, secondo il quale due elettroni non possono occupare il medesimo livello. Così gli elettroni occupano una banda piuttosto vasta di livelli a bassa energia; qualora la massa incrementasse ulteriormente costringendo questa banda ad allargarsi, si verrebbe a creare una forza quantistica, detta pressione degenerativa degli elettroni, che a questo punto si trova a mantenere stabile il centro del pianeta, mentre gli ioni presenti esercitano una forza quasi nulla. Arrivati a costruire una massa compresa tra circa 13 e 75 masse gioviane, noteremmo che il corpo si mantiene in equilibrio prettamente grazie alla pressione degli elettroni degenerati: ciò che avremo di fronte sarà una nana bruna, un oggetto intermedio, per dimensioni e temperatura, tra un pianeta ed una piccola stella. Questi astri mancati emettono una radiazione molto debole, principalmente concentrata nell'infrarosso, dovuta al meccanismo di Kelvin-Helmholtz; è questo il motivo per cui le prime nane brune furono individuate soltanto nel 1995. Se continuassimo, nel nostro esperimento mentale, ad aggiungere massa, scopriremo che la gran parte del nostro oggetto diviene sempre di più di materia degenere. Le stelle chiamate nane degeneri o, più comunemente, nane bianche sono costituite prevalentemente da materia degenere, per lo più nuclei di carbonio ed ossigeno "immersi" in un "mare" di elettroni degeneri. Le nane bianche si formano a partire dai nuclei delle stelle di sequenza principale giunte alla fine della propria esistenza e, al momento della loro formazione, hanno una temperatura elevatissima. Tale temperatura è però destinata a diminuire man mano che l'astro si raffredda, cedendo calore allo spazio circostante in conformità con il secondo principio della termodinamica; quando la temperatura è ormai molto bassa, si origina una nana nera. Le prime nane bianche furono osservate nel XIX secolo, ma la loro vera natura, così come le loro altissime densità e pressioni, non furono spiegate fino agli anni venti del XX secolo. L'equazione di stato della materia degenere è definita soft, vale a dire che aggiungendo sempre più massa l'oggetto subirà una diminuzione delle dimensioni. Se nel nostro esperimento immaginario continuassimo ad aggiungere massa a quella che ora è una nana bianca, noteremmo che l'oggetto si contrarrebbe mentre la densità centrale raggiungerebbe valori impensabili, con gli elettroni degeneri ad energia sempre maggiore. Il raggio della stella è ora ridotto a qualche decina di migliaia di chilometri, mentre la massa è prossima a quel limite teorico che consente a una nana bianca di restar tale: il limite di Chandrasekhar, corrispondente a circa 1,4 masse solari. Se avessimo la possibilità di prendere un campione di materia dal centro della nana bianca e iniziassimo a comprimerla lentamente, noteremmo che gli elettroni sarebbero costretti a combinarsi coi nuclei atomici (cattura elettronica), annichilando i protoni in neutroni con un'emissione di positroni e neutrini. Man mano che la densità incrementa, tali nuclei divengono sempre più estesi e sempre meno saldi. Alla densità critica di circa 4·1014 kg/m3, chiamata "neutron drip line", il nucleo atomico potrebbe tendere a decadere in protoni e neutroni; eventualmente potrebbe raggiungere un punto dove la materia possiede una densità (~2·1017 kg/m3) paragonabile a quella del nucleo atomico. A questo punto la materia è principalmente formata da neutroni liberi, con tracce di protoni ed elettroni. Oggetti con queste densità centrali si potranno formare se nel nostro esperimento appena condotto continuiamo ad aggiungere massa fino a superare il limite di Chandrasekhar; si formerà così la nostra quarta classe di oggetti compatti. In certe stelle binarie in cui una delle componenti è una nana bianca, la massa è trasferita dalla compagna alla nana bianca, la quale potrebbe superare il limite di Chandrasekhar. Gli elettroni reagiscono con i protoni formando neutroni, i quali non forniranno la pressione necessaria per resistere alla gravità; la stella a quel punto collasserà. Se il nucleo della stella è composto in prevalenza da carbonio ed ossigeno, a causa del collasso gravitazionale inizierà la fusione esplosiva di questi due elementi (detonazione del carbonio), dando luogo ad una luminosissima supernova di tipo Ia che distruggerà completamente la nana bianca. Se invece il nucleo è composto in massima parte da magnesio o altri elementi più pesanti, il collasso continua. Con l'incremento della densità iniziale, gli elettroni residui reagiscono con i protoni per formare ulteriori neutroni; il collasso continuerà finché (a densità sempre maggiori) i neutroni non degenerano. Dopo una riduzione di tre ordini di magnitudine, è possibile che la massa trovi un nuovo equilibrio, concentrata in un raggio di appena 10-20 km: una stella di neutroni. Sebbene la prima stella di neutroni non sia stata osservata direttamente prima del 1967, quando fu scoperta la prima radiopulsar, la loro esistenza era già stata ipotizzata da Walter Baade e Fritz Zwicky fin dal 1933, solo un anno dopo la scoperta del neutrone, nel 1932. Essi capirono che poiché le stelle di neutroni sono così dense, il collasso di una stella normale in una di neutroni potrebbe liberare un'energia potenziale gravitazionale notevole, fornendo così una spiegazione possibile delle supernovae. Questa è la spiegazione per le supernove di tipo Ib, Ic e II. Tali supernove si manifestano quando il nucleo ferroso di una stella massiccia supera il limite di Chandrasekhar e collassa in una stella di neutroni. Come gli elettroni, anche i neutroni sono fermioni; quindi permettono alla pressione degenerativa dei neutroni di mantenere una stella di neutroni senza collassare. In più, le interazioni repulsive tra neutroni aggiungono ulteriore pressione. Come il limite di Chandrasekhar per le nane bianche, c'è una massa limitante per le stelle di neutroni, il limite di Tolman-Oppenheimer-Volkoff, superato il quale queste forze non sono sufficienti a mantenere la stella integra più a lungo. Così come non sono ben conosciute le forze che agiscono all'interno di queste masse dense, altrettanto è ignoto lo stesso limite. Si crede che sia compreso tra le 2 e le 3 volte la massa del Sole. Se ulteriore massa si addensa su una stella di neutroni, questo limite potrà essere raggiunto, ma cosa accada in seguito non è ben chiaro.

È possibile che i neutroni si possano decomporre nei loro componenti più semplici, i quark. In questo caso, la stella si concentrerà e diventerà più densa, ma potrà sopravvivere in questa nuova fase per un periodo indefinito, se non riceve ulteriore massa: sarà diventata un nucleone di grandi dimensioni. Una stella in questo ipotetico stato è chiamata stella di quark o stella strana. Le pulsar RX J1856.5-3754 e 3C 58 potrebbero essere stelle di quark. Se seguiamo i modelli standard della fisica delle particelle e assumiamo che i quark ed i leptoni non siano particelle elementari fondamentali, ma siano loro stessi composti da preoni, un'eventuale stella più densa, la stella di preoni non sarebbe del tutto impensabile. Una stella può collassare fino ad occupare un decimillesimo del suo diametro originale; potrebbe essere una sorta di "quark gigante" la cui densità può superare i 1023 kg/m3, raggiungendo in certi casi i 1033 kg/m3. Le stelle Q (o buchi grigi) sono stelle di neutroni compatte e più pesanti, con uno stato esotico della materia. L'oggetto compatto del sistema V404 Cygni potrebbe essere un buco grigio. Nel nucleo di una stella di neutroni che subisce il collasso gravitazionale i quark potrebbero iniziare a trasformarsi in leptoni a causa dell'interazione elettrodebole. L'energia risultante potrebbe interrompere la contrazione dell'astro per una decina di milioni di anni; in questo stadio, la stella prende il nome di stella elettrodebole. Gli oggetti di massa stellare che abbiamo analizzato (nane brune, nane bianche, stelle di neutroni, fino ad oggetti ancora più esotici come stelle di quark, stelle di preoni, buchi grigi e stelle elettrodeboli) sono tutti sostenuti, completamente o parzialmente, da una pressione degeneratrice. Tutte queste stelle sono chiamate stelle degeneri. Con l'aggiunta di massa, l'equilibrio contro il collasso gravitazionale raggiunge il suo punto di rottura. La pressione della stella non è sufficiente per controbilanciare la gravità e in pochi millisecondi avviene un catastrofico collasso gravitazionale. La velocità di fuga alla superficie, già ad un minimo di 1/3 della velocità della luce, può arrivare a raggiungere persino la stessa velocità della luce. A quel punto, l'energia e la materia non possono sfuggire: si è formato un buco nero. Tutta la luce viene intrappolata nell'orizzonte degli eventi: questo fatto spiega anche perché il buco nero appaia proprio "nero", ossia privo di luce, ad eccezione dell'eventuale radiazione di Hawking. Si presume che il collasso continuerà; secondo la teoria classica della relatività generale, viene creata una singolarità gravitazionale che occupa non più di un punto. Potrebbe esserci un nuovo arresto del catastrofico collasso gravitazionale al diametro comparabile con la lunghezza di Planck, ma a questa lunghezza non ci sono teorie della gravità che prevedono cosa potrebbe succedere nei momenti successivi.

Eddington riportò anche un'altra scoperta di Adams sulla compagna di Sirio, effettuata nel 1925 l'astronomo aveva misurato la lunghezza d'onda di alcune righe di emissione della stella (non ancora battezzata nana bianca) e aveva trovato che erano significativamente maggiori del previsto. Lo spostamento verso il rosso delle linee di assorbimento dello spettro di un corpo celeste per effetto della propria forza di gravità (redshift gravitazionale) è una delle conseguenze previste dalla teoria della relatività generale, formulata pochi anni prima da Albert Einstein. In particolare, l'entità del redshift gravitazionale dipenderebbe dal rapporto tra la massa M e il raggio R dell'oggetto e quindi dalla sua densità. Applicando il procedimento inverso, Adams poté calcolare dal redshift osservato il rapporto R/M per Sirio B. Dal momento che la massa era già nota attraverso lo studio dei parametri orbitali del sistema binario, il calcolo permise di risalire direttamente al valore del raggio; la stima era ancora incerta, ma concordava con il valore ottenuto anni prima e con la natura compatta di Sirio B. Così scrive Edington:

Raffronto tra le dimensioni della nana bianca Sirio B e della Terra.

Le Nane Bianche

Eddington riportò anche un'altra scoperta di Adams sulla compagna di Sirio, effettuata nel 1925 l'astronomo aveva misurato la lunghezza d'onda di alcune righe di emissione della stella (non ancora battezzata nana bianca) e aveva trovato che erano significativamente maggiori del previsto. Lo spostamento verso il rosso delle linee di assorbimento dello spettro di un corpo celeste per effetto della propria forza di gravità (redshift gravitazionale) è una delle conseguenze previste dalla teoria della relatività generale, formulata pochi anni prima da Albert Einstein. In particolare, l'entità del redshift gravitazionale dipenderebbe dal rapporto tra la massa M e il raggio R dell'oggetto e quindi dalla sua densità. Applicando il procedimento inverso, Adams poté calcolare dal redshift osservato il rapporto R/M per Sirio B. Dal momento che la massa era già nota attraverso lo studio dei parametri orbitali del sistema binario, il calcolo permise di risalire direttamente al valore del raggio; la stima era ancora incerta, ma concordava con il valore ottenuto anni prima e con la natura compatta di Sirio B. Così scrive Edington:

Una nana bianca (o nana degenere) è una stella di piccole dimensioni, con una bassissima luminosità e un colore tendente al bianco. Nonostante le ridotte dimensioni, paragonabili a quelle della Terra, la massa dell'astro è simile o lievemente superiore a quella del Sole; è quindi un oggetto molto compatto, dotato di un'elevatissima densità e gravità superficiale. La prima nana bianca fu scoperta verso la fine del XVIII secolo, ma la reale natura di tali oggetti venne riconosciuta solamente nel 1910; il termine stesso nana bianca fu coniato nel 1922. Si conoscono oltre 11.000 oggetti appartenenti a questa peculiare classe stellare; di questi, otto si trovano entro 6,5 parsec (circa 21 anni luce) di distanza dal Sole e sono annoverati tra i cento sistemi stellari più vicini alla Terra. Si ritiene che le nane bianche siano l'ultima fase dell'evoluzione delle stelle di massa piccola e medio-piccola, le quali costituirebbero oltre il 97% delle stelle della Galassia. Queste, dopo aver concluso la sequenza principale e le fasi di instabilità ad essa successive, attraversano delle ulteriori fasi di forte instabilità che le portano ad espellere i propri strati più esterni, mentre i nuclei inerti vanno a costituire le nane bianche. Non essendo più soggette alla fusione nucleare, esse non possiedono una fonte di energia autonoma che possa contrastare il collasso gravitazionale cui sono naturalmente sottoposte; l'unica forza che vi si oppone è la pressione degli elettroni degenerati. La fisica della materia degenere impone per una nana bianca una massa limite, il limite di Chandrasekhar ,Mch, che, per un oggetto che non compie una veloce rotazione su se stesso, equivale a 1,44 masse solari (M☉).Nel caso di una nana bianca al carbonio-ossigeno, il tipo più comune di nana bianca nell'universo, l'avvicinamento o eventualmente il superamento di tale limite, che normalmente avviene a causa del trasferimento di massa in un sistema binario, ne può provocare l'esplosione in una nova o in una supernova di tipo Ia. Le nane bianche possiedono, al momento della loro formazione, un'alta temperatura di colore ed una temperatura effettiva altrettanto elevata, la quale diminuisce gradualmente in funzione degli scambi termici con lo spazio circostante. Il graduale raffreddamento della stella la porta ad assumere un colore via via sempre più tendente al rosso, sino allo stadio terminale di nana nera; si tratta però di un modello teorico, poiché sino ad ora non è ancora stata scoperta alcuna nana nera. Gli astronomi ritengono che il tempo previsto perché una nana bianca si raffreddi del tutto sia di gran lunga superiore all'attuale età dell'universo. Data la loro bassa luminosità, ma alta temperatura, le nane bianche occupano la parte inferiore sinistra del diagramma Hertzsprung-Russell. La prima nana bianca fu individuata dall'astronomo anglo-tedesco William Herschel nel sistema stellare di Keid, situato nella costellazione di Eridano. Il 31 gennaio 1783 l'astronomo puntò il telescopio in direzione della stella, notando che attorno alla componente più brillante (Keid A), una stella arancione di magnitudine 4,43,[17] orbitava una coppia costituita da due stelle molto più deboli, una bianca di magnitudine 9,52 (Keid B) ed una rossa (Keid C) di magnitudine 11,17; in seguito la coppia venne osservata anche da Friedrich von Struve nel 1827 e dal figlio Otto nel 1851. Nel 1910 Henry Norris Russell, Edward Charles Pickering e Williamina Fleming scoprirono che, sebbene fosse una stella molto debole, Keid B presentava uno spettro dalle caratteristiche simili a quelle delle brillanti stelle di classe spettrale A, come Sirio (la stella più brillante del cielo), Vega e Altair, dal tipico colore bianco; il tipo spettrale della nana bianca fu poi ufficialmente descritto nel 1914 da Walter S. Adams. Nel corso del XIX secolo i progressi conseguiti nell'ambito delle tecniche astrometriche permisero di ottenere misure abbastanza precise della posizione degli astri, tali da riuscire a determinare minime variazioni (dell'ordine di alcuni secondi d'arco) del moto di alcune stelle. L'astronomo tedesco Friedrich Bessel si servì di tali misure per scoprire che Sirio e Procione subivano delle oscillazioni nel loro moto spaziale molto simili a quelle riscontrate nelle stelle doppie, sebbene i due astri non sembrassero avere dei compagni; Bessel imputò dunque simili oscillazioni a delle «compagne invisibili». L'astronomo stimò il periodo orbitale della compagna di Sirio in circa 50 anni,mentre Christian H. F. Peters ne calcolò i parametri orbitali nel 1851. Tuttavia fu necessario attendere sino al 31 gennaio 1862 prima che Alvan Graham Clark riuscisse ad osservare una debole stellina mai vista in precedenza nei pressi di Sirio, identificata in seguito come la compagna predetta da Bessel. Applicando la terza legge di Keplero, gli astronomi calcolarono che la massa del nuovo oggetto, denominato Sirio B, dovesse essere compresa tra 0,75 e 0,95 volte quella del Sole; tuttavia, l'oggetto risultava meno luminoso della nostra stella. Poiché la luminosità L di un corpo celeste dipende dal quadrato del suo raggio R, questi dati dovevano necessariamente implicare che le dimensioni della stella fossero molto ridotte. Walter S. Adams annunciò nel 1915 che lo spettro della piccola stella, ribattezzata affettuosamente Il Cucciolo, presentava caratteristiche assimilabili a quelle di Sirio A, che suggerivano che la temperatura superficiale dell'oggetto dovesse essere prossima ai 9000 K. Combinando poi il valore della temperatura con la luminosità, Adams riuscì a risalire al valore del diametro di Sirio B, che risultò essere di soli 36 000 km. Misure più accurate, svolte nel 2005 attraverso il Telescopio spaziale Hubble, hanno mostrato che la stella possiede, in realtà, un diametro minore (circa un terzo di quello stimato da Adams), equivalente a quello terrestre (circa 12 000 km), ed una massa pari a circa il 98% di quella solare. Nel 1917 Adriaan Van Maanen scoprì nella costellazione dei Pesci una terza nana bianca, ribattezzata in suo onore stella di Van Maanen.[31] Queste tre nane bianche, le prime ad esser state scoperte, vengono dette nane bianche classiche. In seguito furono scoperte diverse altre stelle bianche dalle proprietà simili a quelle delle nane classiche, per giunta caratterizzate da alti valori di moto proprio. Simili valori dovevano indicare che, nonostante si trovassero molto vicine al sistema solare, queste stelle avessero una luminosità intrinseca molto bassa, e quindi che si trattasse di vere e proprie nane bianche; tuttavia si dovette attendere sino agli anni trenta del XX secolo perché la prima nana bianca non appartenente al gruppo delle classiche venisse riconosciuta come tale. Si ritiene che sia stato Willem Luyten a coniare il termine nana bianca quando esaminò questa classe di stelle nel 1922; il termine fu in seguito reso popolare dall'astrofisico inglese Arthur Eddington. Il risultato delle rilevazioni di Adams e Luyten rese quindi necessaria l'introduzione di una nuova classe di stelle. Nel 1926 Arthur Eddington menzionò la scoperta di Sirio B e le analisi su di essa nel suo libro The Internal Constitution of Stars (La struttura interna delle stelle) con queste parole:

(EN)

«Apparentely then we have a star of mass about equal to the sun and of radius much less than Uranus»

(IT)

«Apparentemente dunque abbiamo una stella di massa pressoché equivalente al Sole e di raggio molto minore rispetto ad Urano.»

Eddington riportò anche un'altra scoperta di Adams sulla compagna di Sirio, effettuata nel 1925 l'astronomo aveva misurato la lunghezza d'onda di alcune righe di emissione della stella (non ancora battezzata nana bianca) e aveva trovato che erano significativamente maggiori del previsto. Lo spostamento verso il rosso delle linee di assorbimento dello spettro di un corpo celeste per effetto della propria forza di gravità (redshift gravitazionale) è una delle conseguenze previste dalla teoria della relatività generale, formulata pochi anni prima da Albert Einstein.[39] In particolare, l'entità del redshift gravitazionale dipenderebbe dal rapporto tra la massa M e il raggio R dell'oggetto e quindi dalla sua densità. Applicando il procedimento inverso, Adams poté calcolare dal redshift osservato il rapporto R/M per Sirio B. Dal momento che la massa era già nota attraverso lo studio dei parametri orbitali del sistema binario, il calcolo permise di risalire direttamente al valore del raggio; la stima era ancora incerta, ma concordava con il valore ottenuto anni prima e con la natura compatta di Sirio B. Così scrive Edington:

(EN)

«We learn about the stars by receiving and interpreting the messages which their light brings to us. The message of the Companion of Sirius when it was decoded ran: "I am composed of material 3,000 times denser than anything you have ever come across; a ton of my material would be a little nugget that you could put in a matchbox." What reply can one make to such a message? The reply which most of us made in 1914 was-"Shut up. Don't talk nonsense."»

(IT)

«Apprendiamo nozioni sulle stelle ricevendo ed interpretando i messaggi che la loro luce porta con sé. Il messaggio della Compagna di Sirio, quando fu decifrato, diceva: "Sono costituita da materia 3 000 volte più densa di qualunque altra tu abbia mai visto; una tonnellata della mia materia sarebbe una piccola pepita che tu potresti mettere in una scatola di fiammiferi." Che risposta si può dare ad un simile messaggio? La risposta che la gran parte di noi diede nel 1914 fu: "Sta' zitta! Non dire assurdità!"»

Nonostante l'esistenza delle nane bianche risultasse ormai solidamente appurata, la loro natura era ancora un mistero. In particolare, gli astronomi non riuscivano a capacitarsi di come una massa grande come quella del Sole potesse coesistere in un volume simile a quello della Terra. Nell'ultima parte del suo libro dedicato alla struttura stellare, Eddington conclude così:

«Sembra che l'equazione di stato dei gas perfetti perda di validità a queste elevate densità e che le stelle come quella studiata da Adams non siano costituite da gas allo stato ordinario.»

Secondo Eddington, una spiegazione logica possibile per raggiungere densità così elevate era che la materia che costituiva le nane bianche non fosse formata da atomi legati chimicamente l'uno con l'altro, ma da un plasma formato da nuclei atomici completamente ionizzati e da elettroni liberi. In questo modo era possibile comprimere i nuclei in spazi più ristretti di quanto potesse avvenire nel caso degli atomi, dove la maggior parte dello spazio è vuoto e costellato da elettroni posizionati nei loro orbitali. Ralph H. Fowler perfezionò questo modello nel 1926, applicando i principi della meccanica quantistica e la statistica di Fermi-Dirac, introdotta nell'agosto dello stesso anno da Enrico Fermi e Paul Dirac. Alfred Fowler riuscì, nello stesso anno, a spiegare la struttura stabile delle nane bianche identificando nella pressione degli elettroni degenerati il meccanismo che permetteva alla stella di non collassare completamente su se stessa. L'esistenza di una massa limite che nessuna nana bianca può oltrepassare è una delle conseguenze di una struttura la cui pressione è sostenuta dalla materia degenere, nella fattispecie dagli elettroni. Le prime stime di questo limite furono pubblicate nel 1929 da Wilhelm Anderson e nel 1930 da Edmund Clifton Stoner. Studi più completi della struttura interna delle nane bianche, che tenevano conto anche degli effetti relativistici dell'equazione di stato della materia degenere, vennero compiuti in quegli anni dall'astrofisico indiano Subrahmanyan Chandrasekhar. Nel suo articolo del 1931, The maximum mass of ideal white dwarfs, Chandrasekhar affermò che la massa limite di una nana bianca (detta oggi in suo onore limite di Chandrasekhar) dipende dalla propria composizione chimica.[10][46] Questo ed altri studi sulla struttura e l'evoluzione delle stelle valsero all'astrofisico indiano il Premio Nobel per la Fisica nel 1983. Al di là dell'importanza di aver trovato un valore ben preciso, la scoperta di una massa limite per una nana bianca è stata di fondamentale importanza nella comprensione degli stadi terminali dell'evoluzione delle stelle in base alla loro massa. Lo stesso Chandrasekhar disse in un discorso a Washington nel 1934: 

«La storia di una stella di massa piccola deve essere essenzialmente differente da quella di una stella di grande massa. Per una stella di piccola massa lo stadio naturale di nana bianca rappresenta il primo passo verso la totale estinzione dell'astro. Una stella di grande massa non può attraversare questo stadio e siamo liberi di speculare su eventuali altre possibilità.» 

La stima di tale massa limite, difatti, aprì la strada ad altre ipotesi sull'esistenza di oggetti ancora più compatti delle nane bianche, che si sarebbero originati dal collasso di stelle più massicce. La scoperta nel 1932 da parte di James Chadwick di una nuova particella subatomica, il neutrone, e lo studio dei decadimenti nucleari, portarono l'anno seguente Walter Baade e Fritz Zwicky a teorizzare l'esistenza di stelle costituite da questa nuova particella, che potevano contenere in spazi ancora più ristretti masse anche maggiori di quelle possedute dalle nane bianche. L'ipotesi venne confermata nel 1965 con la scoperta delle pulsar. La veridicità delle tesi sulla natura degenere delle nane bianche è stata recentemente confermata grazie allo studio astrosismologico delle pulsazioni di alcune nane bianche. Nel 1939 furono scoperte 18 nuove nane bianche, mentre Luyten ed altri astronomi si dedicarono alla ricerca di tali stelle nel corso degli anni quaranta. Al 1950 si conoscevano oltre cento nane bianche, mentre nel 1999 il numero era salito ad oltre 2000. Da allora, grazie alle immagini della Sloan Digital Sky Survey, sono state scoperte altre 9000 nane bianche, quasi tutte di recente formazione. La formazione di una nana bianca è un processo progressivo e non violento, che riguarda tutte le stelle di massa compresa tra 0,08 ed 8-10 volte la massa solare che abbiano concluso la fase di stabilità della sequenza principale e le fasi di instabilità ad essa successive; queste si diversificano a seconda della massa dell'astro. Le stelle con masse comprese tra 0,08 e 0,5 masse solari, le nane rosse, si riscaldano mano a mano che l'idrogeno viene consumato al loro interno, accelerando la velocità delle reazioni nucleari e divenendo per breve tempo delle stelle azzurre; quando tutto l'idrogeno è stato convertito in elio, esse si contraggono gradualmente, diminuendo di luminosità ed evolvendo in nane bianche costituite prevalentemente da elio. Tuttavia, poiché la durata della sequenza principale per una stella di questo tipo è stata stimata sugli 80 miliardi - 1 bilione di anni e l'attuale età dell'universo si aggira sui 13,7 miliardi di anni, pare logico credere che nessuna nana rossa abbia avuto il tempo per raggiungere la fase di nana bianca. Le stelle la cui massa è compresa tra 0,5 ed 8 masse solari attraversano una fase di notevole instabilità alla fine della sequenza principale: il nucleo subisce diversi collassi gravitazionali, incrementando la propria temperatura, mentre gli strati più esterni, in reazione al vasto surplus energetico che ricevono dal nucleo in contrazione, si espandono e si raffreddano, assumendo di conseguenza una colorazione via via sempre più tendente al rosso. Ad un certo punto l'energia sprigionata dal collasso gravitazionale permette allo strato di idrogeno immediatamente superiore al nucleo di raggiungere la temperatura di innesco della fusione nucleare. A questo punto la stella, dopo esser passata per la fase altamente instabile di subgigante, si trasforma in una fredda ma brillante gigante rossa con un nucleo inerte di elio e un guscio in cui prosegue la fusione dell'idrogeno e permane in questa fase per circa un miliardo di anni. Quando il nucleo raggiunge la massa sufficiente, una complessa serie di contrazioni e collassi gravitazionali provoca un forte innalzamento della temperatura nucleare sino ad oltre 100 milioni di kelvin, che segna l'innesco (flash) della fusione dell'elio in carbonio e ossigeno tramite il processo tre alfa, mentre nel guscio immediatamente superiore continua il processo di fusione dell'idrogeno residuo in elio. La stella, raggiungendo questo stadio evolutivo, arriva ad un nuovo equilibrio e si contrae leggermente passando dal ramo delle giganti rosse al ramo orizzontale del diagramma H-R. Non appena l'elio è stato completamente esaurito all'interno del nucleo, lo strato attiguo, che in precedenza ha fuso l'idrogeno in elio, inizia a fondere quest'ultimo in carbonio, mentre sopra di esso un altro strato continua a fondere parte dell'idrogeno restante in elio; la stella entra così nel ramo asintotico delle giganti (AGB, acronimo di Asymptotic Giant Branch). Gli strati più esterni di una gigante rossa o di una stella AGB possono estendersi per diverse centinaia di volte il diametro del Sole, arrivando ad avere raggi dell'ordine dei 108 km (alcune unità astronomiche), come nel caso di Mira (ο Ceti), una gigante del ramo asintotico con un raggio di 5 × 108 km (3 U.A.). Se la stella ha una massa sufficiente (non superiore ad 8-9 M☉), col tempo è possibile l'innesco anche della fusione di una parte del carbonio in ossigeno, neon e magnesio. In seguito ai progressivi collassi e riscaldamenti susseguitisi durante le fasi sopra descritte, il nucleo della stella assume una forma degenere:[69] si forma in questo modo la nana bianca. Quando nel nucleo cessa completamente la fusione del combustibile nucleare, la stella può seguire due diverse vie a seconda della massa. Se ha una massa compresa tra 0,08 e 0,5 masse solari, la stella morente dà luogo ad una nana bianca di elio senza alcuna fase intermedia, espellendo gli strati esterni sotto forma di vento stellare.Se invece la sua massa è compresa tra 0,5 ed 8 masse solari, si generano delle violente pulsazioni termiche all'interno dell'astro che causano l'espulsione dei suoi strati più esterni in una sorta di "supervento" che assorbe la radiazione ultravioletta emessa a seguito dell'alta temperatura degli strati interni dell'astro. Tale radiazione viene poi riemessa sotto forma di luce visibile dall'involucro dei gas, i quali vanno a costituire una nebulosità in espansione, la nebulosa protoplanetaria prima e planetaria poi, al cui centro rimane il cosiddetto nucleo della nebulosa planetaria (PNN, dall'inglese Planetary Nebula Nucleus), che diverrà poi la nana bianca. Una nana bianca appena formata ha una temperatura molto elevata, pari a circa 100-200 milioni di K, che diminuisce in funzione degli scambi termici con lo spazio circostante, finché l'oggetto non raggiunge lo stadio ultimo di nana nera (l'irraggiamento termico è trattato più approfonditamente nel paragrafo Temperature superficiali e dispersione dell'energia termica). L'esistenza di simili oggetti è molto lunga: la loro vita sarebbe simile a quella del tempo di vita media del protone, la cui durata raggiungerebbe i 1032 - 1049 anni secondo alcune teorie della grande unificazione, mentre sarebbe superiore a 10200 anni secondo altre teorie. Esistono diversi tipi di nane bianche, che differiscono tra loro per massa e, conseguentemente, composizione chimica interna. Non considerando la classificazione spettrale delle atmosfere, che verrà trattata in una sezione specifica, è possibile suddividerle in tre sottogruppi:

  • nane bianche all'elio;
  • nane bianche al carbonio-ossigeno;
  • nane bianche all'ossigeno-neon-magnesio.

Le stelle di piccola massa (<0,5 M☉), per via delle proprie caratteristiche fisiche, hanno la capacità di fondere solamente l'idrogeno in elio: infatti, alla conclusione di questo processo, gli elettroni del nucleo stellare degenerano molto prima che l'astro possa raggiungere temperature in grado di innescare la fusione dell'elio in carbonio. Per questa ragione, la nana bianca che ne risulta sarà costituita esclusivamente da elio. Ma poiché, come si è visto, la durata della sequenza principale di tali stelle è di gran lunga superiore all'età dell'universo, sembra ragionevole pensare che non vi sia stato tempo a sufficienza perché si evolvessero delle nane bianche all'elio. Tuttavia, è stata scoperta l'esistenza di oggetti che presentano le medesime caratteristiche teorizzate per le nane He. Gli astronomi escludono che derivino da stelle di piccola massa giunte alla fine della loro esistenza, ipotizzando che esse si originino dall'interazione tra le componenti di un sistema binario costituito da una stella compatta (probabilmente una stella di neutroni) ed una stella appena uscita dalla sequenza principale, in procinto di evolvere verso la fase di gigante. Quando quest'ultima raggiunge dimensioni tali da colmare il proprio lobo di Roche, si innesca un rapido processo di trasferimento di massa che priva la stella dello strato esterno di idrogeno, lasciando scoperto il nucleo degenere di elio prima ancora che possano essere raggiunte temperature e densità tali da permetterne la fusione in carbonio e ossigeno. Si prevede che lo stesso fenomeno possa verificarsi anche allorquando attorno alla stella orbiti a distanza molto ravvicinata un pianeta molto massiccio (del tipo Hot Jupiter) o una nana bruna. Le nane bianche al carbonio-ossigeno (C-O) costituiscono il tipo di nana bianca più diffusa nell'universo. Si formano a partire da stelle con massa compresa tra 0,5 ed 8 masse solari, nei cui nuclei si raggiungono le condizioni di temperatura e pressione necessarie a fondere l'elio in carbonio e ossigeno tramite il processo tre alfa, così chiamato perché il carbonio-12, prodotto della reazione, viene sintetizzato mediante l'unione di tre particelle alfa (ovvero nuclei di elio, costituiti da due protoni e due neutroni). Il processo sfrutta come intermedio il berillio-8 e rilascia un'energia complessiva di 7,275 MeV per nucleo di carbonio prodotto. Il progressivo aumento della quantità di carbonio aumenta la possibilità che una piccola parte di esso sia convertita in ossigeno; tuttavia è ancora sconosciuta l'esatta proporzione dei due elementi, in quanto non è ancora stata stabilita la quantità effettiva di carbonio che si converte in ossigeno. Quando la stella esaurisce il processo di fusione dell'elio in carbonio, una serie di fenomeni di instabilità, accompagnati dall'emissione di un intenso vento stellare, provocano la progressiva espulsione degli strati esterni dell'astro che vanno a costituire la nebulosa planetaria, lasciando al centro il nucleo di carbonio e ossigeno che, dopo aver passato le fasi di nucleo della nebulosa planetaria e stella pre-degenere, diviene una nana bianca C-O. Si stima che una stella simile al Sole espelle, nelle sue ultime fasi di vita, una quantità di materia pari al 40% della propria massa, mentre il restante 60% andrà a costituire la stella degenere. Le stelle massicce (>8 M☉) possiedono nel loro nucleo la giusta combinazione di temperatura e pressione necessaria a consentire la fusione di elementi più pesanti del carbonio e dell'ossigeno, come il silicio e, alla fine, il ferro. La massa del nucleo di tali stelle eccede la massa limite di Chandrasekhar; di conseguenza, il loro destino finale non è il passaggio verso lo stadio di nana bianca, ma la catastrofica esplosione in una supernova di tipo II, con la formazione, in base alla massa del nucleo residuo, di una stella di neutroni, di un buco nero stellare o di una qualunque altra forma esotica di stella degenere. Tuttavia, alcune stelle la cui massa sia al limite tra quella di una stella di massa media e quella di una stella massiccia (tra 8 e 10 M☉), possono riuscire a fondere il carbonio in neon anche se la loro massa non risulta sufficiente a fondere la totalità di quest'ultimo in ossigeno e magnesio; se questo si verifica, il nucleo non riesce a superare la massa di Chandrasekhar e il suo collasso dà luogo, anziché ad una stella di neutroni, ad una rarissima nana bianca all'ossigeno-neon-magnesio (O-Ne-Mg). Un problema cui si trovano di fronte gli astrofisici riguarda la precisa determinazione dell'intervallo della massa stellare che genera tali oggetti, anche alla luce dell'alto tasso di perdita di massa che le caratterizza nelle fasi finali della loro evoluzione. Questo rende difficile simulare matematicamente con precisione quali stelle terminino i processi di fusione con la nucleosintesi del carbonio, quali con la sintesi di ossigeno e neon e quali proseguano sino alla sintesi del ferro; sembra che comunque giochi un ruolo importante nel determinare il destino dell'astro la sua metallicità. La composizione chimica di una nana bianca dipende dai residui della fusione nucleare della stella progenitrice, e quindi dalla sua massa originaria. La composizione può variare anche a seconda della porzione di oggetto che si prende in considerazione. Le nane bianche all'elio, che si formano dalle stelle meno massicce, possiedono un nucleo di elio, circondato da una tenue atmosfera costituita da idrogeno quasi puro. Le nane bianche al carbonio-ossigeno possiedono invece un nucleo totalmente costituito da carbonio e ossigeno, mentre le rare nane bianche O-Ne-Mg possiedono un nucleo ricco di neon e magnesio, con una discreta abbondanza di ossigeno, circondato da un mantello ricco di carbonio e ossigeno. In entrambi i casi, la porzione esterna dell'oggetto è ricoperta da una tenue atmosfera di elio e idrogeno, che, per via del proprio peso atomico minore, verrà a trovarsi al di sopra dello strato di elio. Si stima che la massa di una nana bianca vada da un minimo di 0,17 fino ad un massimo, seppur con alcune eccezioni (si veda il paragrafo Relazione massa-raggio e limite di massa), di 1,44 masse solari (limite di Chandrasekhar), anche se la maggior parte delle nane bianche scoperte si colloca entro un valore medio, compreso fra 0,5 e 0,7 masse solari con un picco attorno a 0,6. Il raggio stimato di una nana bianca è compreso fra 0,008 e 0,02 volte il raggio del Sole ed è di conseguenza confrontabile con quello della Terra (0,009 Rʘ). Le nane bianche quindi racchiudono una massa simile a quella del Sole in un volume che è normalmente un milione di volte più piccolo; ne consegue che la densità della materia in una nana bianca sia almeno un milione di volte più alta di quella all'interno del Sole (circa 109 kg m−3, ovvero 1 tonnellata per centimetro cubo). Le nane bianche sono costituite, infatti, da una delle forme di materia più dense conosciute: un gas degenere di elettroni, superato soltanto da oggetti compatti con densità ancora più estreme, come le stelle di neutroni, i buchi neri e le ipotetiche stelle di quark. La compressione a cui è soggetta la materia di una nana bianca aumenta la densità degli elettroni e quindi il loro numero in un dato volume; poiché essi obbediscono al principio di esclusione di Pauli, due elettroni non possono occupare il medesimo stato quantico; di conseguenza essi devono obbedire alla statistica di Fermi-Dirac, che permette di descrivere lo stato di un gas di particelle in condizioni di densità estreme, in modo da soddisfare il principio di esclusione di Pauli. Il principio sancisce che gli elettroni non possono occupare tutti contemporaneamente il livello di energia più basso, nemmeno a temperature vicine allo zero assoluto, ma sono costretti ad occupare livelli sempre più elevati all'aumentare della densità dell'astro; l'insieme dei livelli energetici occupati dagli elettroni in queste condizioni prende il nome di mare di Fermi. Lo stato di questi elettroni viene chiamato degenere, ed è in grado di fornire alla nana bianca l'energia necessaria a mantenere l'equilibrio idrostatico anche se questa si raffreddasse a temperature vicine allo zero assoluto. Un modo per comprendere come gli elettroni non possano occupare tutti lo stesso stato sfrutta il principio di indeterminazione: l'alta densità degli elettroni in una nana bianca implica che la loro posizione sia abbastanza localizzata, creando una corrispondente incertezza nella quantità di moto. Quindi alcuni elettroni dovranno avere quantità di moto molto elevate e, conseguentemente, un'alta energia cinetica. Applicando sia il principio di esclusione di Pauli sia il principio di indeterminazione è possibile vedere come all'aumentare del numero degli elettroni aumenti anche la loro energia cinetica, e dunque la pressione stessa: è quella che viene definita pressione degli elettroni degenerati, la quale mantiene in equilibrio la nana bianca contro il collasso gravitazionale cui sarebbe naturalmente soggetta; è quindi un effetto quantistico che limita la quantità di materia che può essere alloggiata in un determinato volume. Tale pressione dipende solamente dalla densità e non dalla temperatura della materia. La materia degenere è relativamente comprimibile; ciò sta a significare che la densità di una nana bianca di massa elevata è decisamente superiore rispetto a quella di una nana bianca di massa inferiore. Di conseguenza, il raggio di una nana bianca è inversamente proporzionale alla sua massa. Qualora una nana bianca superi la massa limite di Chandrasekhar e non intervenissero delle reazioni nucleari, la pressione degli elettroni degenerati non riuscirebbe più a contrastare la forza di gravità; la stella allora collasserebbe in un oggetto ancora più denso, come una stella di neutroni o addirittura un buco nero stellare. La temperatura superficiale delle nane bianche sinora scoperte è compresa entro un campo di valori che va dagli oltre 150 000 K fino a poco meno di 4 000 K; tuttavia, la gran parte delle nane scoperte possiede una temperatura superficiale compresa fra 8 000 e 40 000 K. Poiché per la legge di Stefan-Boltzmann la luminosità dipende dalla quarta potenza della temperatura , un simile intervallo di temperatura corrisponde ad una luminosità che oscilla tra 10² e meno di 10−5 L☉. In accordo con la legge di Wien, il picco di emissione radiativa di un dato oggetto dipende dalla sua temperatura superficiale. La radiazione visibile emessa dalle nane bianche varia lungo un'ampia gamma di tonalità, dal colore azzurro tipico delle stelle di classe O V sino al rosso delle stelle di classe M V; le nane bianche più calde inoltre possono emettere anche raggi X a bassa energia (i cosiddetti raggi X molli) o ultravioletti, il che rende possibile studiarne la composizione e la struttura atmosferica grazie anche ad osservazioni nei raggi X e negli ultravioletti. A meno che la nana bianca non si trovi in condizioni particolari (come l'accrescimento di materia da una stella compagna o da un'altra sorgente), la grande energia termica irradiata dall'astro deriva dal calore accumulato mentre nella stella originaria erano attivi i processi di fusione nucleare. Poiché questi oggetti hanno un'area superficiale estremamente piccola, il tempo necessario ad irradiare e disperdere il calore è molto lungo.[8] Il processo di raffreddamento della nana bianca comporta, oltre ad una ovvia riduzione della temperatura superficiale, una diminuzione della quantità di radiazioni emesse e dunque della luminosità; dato che tali oggetti non hanno altri modi per disperdere l'energia al di fuori dell'irraggiamento, ne consegue che il raffreddamento sia un processo che rallenta col tempo.[110] Per fare un esempio, una nana C-O di 0,59 masse solari, con un'atmosfera di idrogeno, si raffredda fino a raggiungere una temperatura superficiale di 7140 K in un miliardo e mezzo di anni. Per perdere ulteriori 500 K e raggiungere i 6640 K occorrerebbero circa 0,3 miliardi di anni, mentre per perdere successivamente altri 500 K di temperatura sarebbe necessario un tempo variabile fra 0,4 e 1,1 miliardi di anni; quindi, quanto più la temperatura dell'oggetto è alta, tanto più è alta la velocità di dissipazione dell'energia termica. Questa tendenza sembra arrestarsi quando si raggiungono temperature piuttosto basse: infatti, sono note solo pochissime nane bianche con una temperatura superficiale al di sotto dei 4000 K, tra cui WD 0346+246, che possiede una temperatura superficiale di circa 3900 K. La ragione per cui non si osservano nane bianche a temperature inferiori risiede nell'età dell'universo, che è finita: infatti non c'è stato sinora tempo a sufficienza per far sì che le più antiche nane bianche si potessero raffreddare ulteriormente. Un indice, noto come funzione di luminosità delle nane bianche, sfrutta il tasso di raffreddamento di questi oggetti, che può essere utilizzato per determinare il tempo in cui le stelle si iniziarono a formare in una determinata regione della Galassia; tale mezzo ha permesso di stimare l'età del disco galattico a circa 8 miliardi di anni. Il processo di raffreddamento di una nana bianca prosegue, in ottemperanza al secondo principio della termodinamica, sino al raggiungimento dell'equilibrio termico con la radiazione cosmica di fondo, diventando quella che di fatto è nota come nana nera; tuttavia, dato il lungo tempo previsto perché una nana bianca giunga a questa fase, si pensa che non esistano ancora delle nane nere. Un processo strettamente correlato a quello di raffreddamento è il processo di cristallizzazione degli strati interni. Sebbene la materia che costituisce una nana bianca sia fondamentalmente allo stato di plasma, ossia un gas composto da nuclei atomici ed elettroni liberi, è stato teoricamente predetto negli anni sessanta che durante il processo di raffreddamento possa aver luogo il passaggio dalla fase di plasma ad una fase solida degli strati interni della nana tramite il fenomeno della cristallizzazione, che avrebbe inizio a partire dal centro dell'oggetto. Perché il processo abbia inizio la temperatura del nucleo della nana deve raggiungere un valore limite di circa 1,7 × 107 K; le interazioni tra gli atomi divengono rilevanti e la materia cessa di comportarsi come un gas ideale assumendo i connotati di un liquido. I modelli fisico-matematici ritengono che quando la temperatura superficiale della nana bianca raggiunge un valore prossimo ai 5 000 K (considerando per la nana una massa di 0,6 M☉ e un nucleo composto di C-O al 50:50 in massa) ha luogo la transizione di fase tra lo stato liquido e quello solido, che ha come effetto l'inizio del processo di cristallizzazione del nucleo. Date le fortissime pressioni cui sono soggetti, nonostante la temperatura interna sia ancora piuttosto elevata, gli atomi iniziano a disporsi in un reticolo cristallino, che assume la struttura di un sistema cubico. È necessario che l'ossigeno precipiti al centro della stella e cristallizzi prima del carbonio, di modo che la nana bianca inizi a differenziare un nucleo di ossigeno cristallino circondato da un mantello fluido di carbonio, con piccole quantità di ossigeno. Questo fenomeno libera calore latente allungando i tempi di raffreddamento di circa 2 miliardi di anni. Tuttavia, per masse stellari prossime alla Mch, la fase di cristallizzazione ha inizio molto prima a causa della densità elevata, sicché una nana bianca massiccia può trovarsi in gran parte cristallizzata già a temperature superficiali dell'ordine dei 12 000 K. La misura del grado di cristallizzazione (Γ) è data dalla formula:

Barra delle equazioni per i lettori più curiosi

dove z è il numero atomico (che per una nana bianca al carbonio - z=6 - e ossigeno - e Z=8 - vale 7 supponendo che vi sia un 50% di ciascun elemento), K è la costante di Boltzmann, T la temperatura e di è la distanza tra gli ioni, che è in relazione con la densità p della stella secondo la relazione 

dove mH è la massa dell'idrogeno e 

 il numero di massa medio, pari, nel caso delle nane C-O, a 14 - (12+6)/2 -. Una serie di campagne osservative astrosismologiche iniziate nel 1995 indussero a ritenere che le nane bianche pulsanti fossero un buon test per verificare o eventualmente confutare la teoria della cristallizzazione. Sulla base di queste osservazioni astrosismologiche, nel 2004 un gruppo di ricercatori dell'Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics stimarono che circa il 90% della massa della nana BPM 37093 fosse cristallizzata; studi successivi hanno però ridimensionato questo valore, considerando la frazione di massa cristallizzata compresa fra il 32% e l'82%.

Sebbene la maggior parte delle nane bianche nell'attuale epoca dell'universo siano composte prevalentemente da carbonio e ossigeno, le indagini spettroscopiche mostrano una marcata dominanza delle linee dell'idrogeno (serie di Balmer) o dell'elio, a seconda che la loro atmosfera sia dominata o dall'uno o dall'altro elemento; l'elemento dominante nell'atmosfera è di solito almeno 1000 volte più abbondante rispetto a tutti gli altri elementi. Come spiegato da Évry Schatzman negli anni quaranta, l'alta gravità superficiale potrebbe essere la causa di questa emissione: infatti, gli elementi più pesanti tenderebbero a precipitare negli strati più profondi, mentre elementi leggeri come l'idrogeno e l'elio, che meno risentono dell'effetto della gravità, tenderebbero a restare in alta quota. Quest'atmosfera, l'unica parte della nana bianca a noi visibile, sarebbe lo strato più elevato di una struttura che è il relitto dell'involucro della stella progenitrice quando si trovava nel ramo asintotico delle giganti e potrebbe contenere, oltre agli elementi che componevano la stella, anche del materiale acquisito dal mezzo interstellare. Si ipotizza che quest'involucro, nel caso l'elemento dominante sia l'elio, consista di uno strato molto ricco di elio, con una massa non superiore a un centesimo della massa solare complessiva; mentre se a dominare è l'idrogeno, la sua massa potrebbe essere pari a un decimillesimo di quella solare. Nonostante siano molto sottili, gli strati esterni determinano l'evoluzione termica delle nane bianche. Poiché gli elettroni degenerati presenti nella nana bianca conducono bene il calore, gran parte della massa di questi astri è prevalentemente isoterma, nonché molto calda: una nana bianca con una temperatura superficiale compresa fra 8000 K e 16 000 K potrebbe avere una temperatura interna compresa fra i 5 e i 20 milioni di K; la stella mantiene una temperatura molto elevata semplicemente grazie al fatto che gli strati più esterni sono opachi alla radiazione. Il primo sistema per classificare gli spettri delle nane bianche fu sviluppato da Gerard Peter Kuiper nel 1941, seguito da molti altri schemi di classificazione, proposti e usati. Il sistema attualmente in uso fu proposto da Edward M. Sion e dai suoi coautori nel 1983 ed è stato rivisto più volte in seguito; questo schema classifica lo spettro con un simbolo che consiste di una D iniziale (dall'inglese Dwarf, "Nana"), una lettera che descrive la caratteristica principale dello spettro e un'altra opzionale che codifica una sequenza di caratteristiche secondarie (come mostrato nella tabella a destra), più un indice di temperatura, calcolato dividendo 50 400 K per la temperatura effettiva. Ad esempio:

  • una nana bianca che presenta nel suo spettro solo righe dell'elio neutro (He I) ed una temperatura effettiva pari a circa 15 000 K verrà classificata come DB3, mentre se si ha una certezza circa la precisione delle misure di temperatura, DB3.5;
  • una nana bianca con un campo magnetico polarizzato, una temperatura effettiva pari a 17 000 K e uno spettro dominato dalle righe dell'He I, in cui sono visibili anche alcune righe dell'idrogeno, avrà una classificazione DBAP3. I classici simboli di approssimazione "?" e ":" vengono invece usati se la classificazione è incerta.

Le nane bianche la cui classificazione primaria dello spettro è DA possiedono un'atmosfera dominata dall'idrogeno; questo tipo costituisce la gran parte (circa i tre quarti) di tutte le nane bianche conosciute. Una piccola frazione (circa lo 0,1%) hanno atmosfere al carbonio, le cosiddette nane DQ calde Teff ~15 000 K); le altre stelle (classificabili DB, DC, DO, DZ e le DQ fredde) hanno atmosfere dominate dall'elio. Qualora il carbonio e i metalli non siano presenti, la classificazione spettrale dipende dalla temperatura effettiva: fra i 100 000 K e i 45 000 K lo spettro viene classificato DO ed è dominato dall'elio ionizzato una volta; dai 30 000 K ai 45 000 K, lo spettro è classificato DB e mostra righe dell'elio neutro, mentre sotto i 12 000 K lo spettro è privo di emissioni ed è classificato DC. La ragione dell'assenza di nane bianche con un'atmosfera dominata dall'elio e una temperatura effettiva compresa fra 30 000 K e 45 000 K, chiamata DB gap (mancanza di DB), non è chiara; si sospetta che possa essere dovuta alla competizione di processi evolutivi atmosferici, come la separazione gravitazionale degli elementi e il rimescolamento convettivo. Negli anni sessanta[N 7] fu ipotizzato che le nane bianche potessero avere dei campi magnetici generati dalla conservazione del flusso magnetico totale superficiale durante l'evoluzione di una normale stella di piccola massa in una nana bianca. Secondo questa teoria, qualora la stella progenitrice avesse un campo magnetico originario di circa ~100 gauss (0,01 T), il collasso in nana bianca farebbe variare il campo sino a ~(100×100)²=106 gauss (100 T), dato che il raggio della stella diminuisce di un fattore 100. La prima nana magnetica ad essere osservata fu GJ 742, il cui campo magnetico fu dedotto nel 1970 a partire dall'emissione di luce circolarmente polarizzata. Da allora sono stati scoperti campi magnetici in oltre 100 nane bianche, con valori compresi tra 2×10³ e 109 gauss (da 0,2 T a 100 kT); tuttavia, solo una minima parte delle nane bianche sinora conosciute è stata esaminata per misurarne il campo magnetico, e si stima che almeno il 10% di esse possieda dei campi con intensità superiori ad 1 milione di gauss (100 T). Una nana bianca pulsante è una stella nana bianca la cui luminosità varia a causa delle pulsazioni delle sue onde di gravità non-radiali. I tipi conosciuti di nane bianche pulsanti sono le cosiddette DAV, o stelle ZZ Ceti, con un'atmosfera dominata da idrogeno e di classe spettrale DA, DBV, o stelle V777 Her, con prevalenza di elio nell'atmosfera e di classe spettrale DB e le stelle GW Vir, con prevalenza di elio, carbonio ed ossigeno, di tipo PG 1159 (alcuni autori non le includono nella classe delle stelle GW Vir). Queste ultime possono essere suddivise in stelle DOV e stelle PNNV; in realtà queste non sarebbero delle vere e proprie nane bianche, ma delle "pre-nane bianche", che ancora non hanno raggiunto lo stadio di nana bianca e non si trovano quindi nella regione delle nane bianche nel diagramma HR., § 1.1; È stato anche proposto un sottotipo di stelle DQV, dominate dalla presenza del carbonio nell'atmosfera. Tutte queste variabili mostrano delle piccole variazioni (1% - 30%) nell'emissione di luce, che permettono di ottenere un'evidenza astrosismologica degli strati interni delle nane bianche. I primi calcoli suggerirono che le nane bianche variassero con un periodo di circa 10 secondi, ma delle ricerche condotte negli anni sessanta non approdarono ad alcun risultato. § 7.1.1; La prima stella bianca variabile scoperta fu HL Tau 76; nel 1965 e nel 1966, Arlo U. Landolt si accorse che questa stella variava con un periodo di circa 12,5 minuti. La ragione per cui il suo periodo è più lungo di quanto predetto è dovuto alla natura stessa della stella, che, come le altre nane bianche variabili pulsanti, deriva dalle pulsazioni delle onde di gravità., § 7. Nel 1970 fu scoperto che un'altra nana bianca, Ross 548, possedeva le stesse caratteristiche di variabilità della precedente; nel 1972, le fu assegnata la designazione di stella variabile ZZ Ceti. Il nome ZZ Ceti si riferisce anche a questa classe di nane bianche pulsanti con atmosfera ad idrogeno, chiamate anche DAV. Queste stelle hanno dei periodi compresi fra i 30 secondi ed i 25 minuti e si trovano tutte nella sottile fascia di escursione termica da 12.500 a 11.100 K. Le misurazioni del tasso di cambiamento del periodo per le pulsazioni dell'onda di gravità in ZZ Ceti sono ottenute direttamente da una scala temporale per una nana bianca di classe DA, da cui si può desumere anche una misurazione indipendente dell'età del disco galattico. Nel 1982, alcuni calcoli suggerirono che anche l'atmosfera all'elio delle nane bianche di classe spettrale DB e con temperatura superficiale di 19.000 K potesse pulsare. Esaminando questo tipo di stelle si scoprì che la nana bianca GD 358 era in effetti una variabile con spettro DB, che divenne così il prototipo delle stelle DBV. Fu la prima volta che un nuovo tipo di variabile venne predetto prima della sua scoperta. Nel 1985 a questa stella fu assegnata la designazione di stella variabile, diventando V777 Her, che è diventato anche un nome alternativo per designare l'intera classe di variabili DBV. Queste stelle hanno una temperatura effettiva attorno ai 25.000 k. La terza classe conosciuta di nane bianche variabili è quella nota come classe GW Vir, talvolta suddivisa in stelle DOV e PNNV; il loro prototipo è PG 1159-035. La variabilità di questa stella fu osservata per la prima volta nel 1979 e le fu data la designazione stellare GV Vir nel 1985, nome da cui la classe ha quindi preso il nome. Queste stelle non sono delle nane bianche in senso stretto, ma si trovano in una fase di transizione nel diagramma HR fra il ramo asintotico delle giganti ed il ramo delle nane bianche; possono essere chiamate "pre-nane bianche". Sono stelle estremamente calde, con una temperatura superficiale compresa fra 75.000 K e 200.000 K, con un'atmosfera dominata da elio, carbonio e ossigeno. Potrebbero avere una bassa gravità superficiale (log g ≤ 6.5.) e si crede che queste stelle possano, raffreddandosi, diventare delle stelle di classe DO. Il periodo del moto vibrazionale delle stelle GW Vir va da un minimo di 300 ad un massimo di 500 secondi; il modo in cui le pulsazioni vengono eccitate in questo tipo di stelle fu studiato per la prima volta negli anni ottanta, rimanendo però un enigma per altri vent'anni. Fin dall'inizio si è creduto che il meccanismo di eccitazione fosse causato dal cosiddetto meccanismo κ associato con il carbonio e l'ossigeno nell'involucro sotto l'atmosfera, ma si credeva che questo meccanismo non potesse funzionare se l'elio fosse stato presente anch'esso nell'involucro. Per contro, sembra adesso che l'instabilità avvenga pure in presenza di elio. Una nuova classe di nane bianche, con tipo spettrale DQ e molto calde, con un'atmosfera dominata dal carbonio, è stata scoperta nel 2007. In teoria, queste nane bianche dovrebbero pulsare a temperature in cui la loro atmosfera si deve presentare parzialmente ionizzata. Osservazioni condotte al McDonald Observatory suggeriscono che SDSS J142625.71+575218.3 è una di queste stelle; se fosse confermato, sarebbe il primo membro di una nuova classe di nane bianche pulsanti, le stelle DQV. Tuttavia è anche possibile che si tratti di una nana bianca binaria con un disco di accrescimento al carbonio-ossigeno. Le nane bianche si trovano, oltre che singolarmente, anche in sistemi con altre stelle o addirittura in sistemi planetari, che vengono ereditati dalla stella progenitrice e possono interagire con la nana in vari modi. Si conoscono numerosi sistemi stellari di cui almeno una componente sia una nana bianca: per fare qualche esempio, la già citata Sirio, attorno a cui orbita la nana Sirio B, la più vicina al sistema solare, o ancora Procione, Keid, IK Pegasi e via discorrendo. Probabile testimonianza di interazioni in un sistema binario è la Nebulosa Occhio di Gatto (NGC 6543), la cui peculiare forma sarebbe dovuta all'esistenza di un disco di accrescimento causato dal trasferimento di massa tra le due componenti del sistema, una delle quali in evoluzione verso la fase di nana bianca, che può aver generato i getti polari che interagiscono con la materia espulsa precedentemente. Le osservazioni spettroscopiche agli infrarossi condotte dal Telescopio spaziale Spitzer della NASA sulla porzione centrale della nebulosa planetaria NGC 7293 (la Nebulosa Elica) suggeriscono la presenza di un disco di materia circumstellare, che potrebbe esser stato originato dalle collisioni di alcune comete che erano in orbita attorno alla stella progenitrice, in fase di evoluzione verso lo stadio di nana bianca. È inoltre probabile che l'emissione X della stella centrale sia dovuta alla caduta di una certa quantità di materiali dal disco sulla superficie della stella stessa. Allo stesso modo, alcune osservazioni condotte nel 2004 indicarono la presenza di un disco di polveri attorno alla giovane nana bianca G29-38 (originatasi circa 500 milioni di anni fa da una gigante AGB), che si sarebbe formato a causa della distruzione mareale di una cometa che sarebbe passata molto vicina alla nana bianca al suo periastro. Se la nana bianca si trova in un sistema binario assieme ad una compagna gigante, l'interazione tra le due stelle potrebbe dar luogo a diversi fenomeni: in primo luogo le variabili cataclismiche (tra cui si annoverano le novae e le supernovae di tipo Ia); quindi le cosiddette sorgenti di raggi X supermolli (in inglese super-soft x-ray sources), che si originano qualora la materia, sottratta alla stella compagna dalla nana bianca, precipiti sulla sua superficie con una velocità tale da mantenere costante un principio di fusione sulla superficie dell'oggetto compatto, che fa sì che l'idrogeno in caduta sull'oggetto venga subito convertito in elio. Fanno parte di questa categoria di oggetti le nane bianche più massicce caratterizzate da altissime temperature superficiali (comprese tra 0,5 × 106 e 1 × 106 K). I sistemi binari costituiti da una nana bianca che assume materia dalla compagna prendono il nome di variabili cataclismiche. Quando il processo di accrescimento della nana dovuto al trasferimento di massa nel sistema binario non è in grado di farla avvicinare al limite di Chandrasekhar, la materia ricca di idrogeno accresciuta sulla sua superficie può andare incontro ad un'esplosione termonucleare. Finché il nucleo della nana bianca resta integro, tali esplosioni superficiali possono andare incontro a recidività fin tanto che il processo di accrescimento va avanti; questi periodici fenomeni cataclismici prendono il nome di novae classiche (o novae ricorrenti). Esiste anche un particolare tipo di novae, le cosiddette novae nane, le quali hanno dei picchi di luminosità più frequenti ma meno intensi rispetto alle novae classiche; si ritiene che si formino non dalla fusione nucleare della materia accumulata in superficie ma dal violento rilascio dell'energia potenziale gravitazionale durante il processo di accrescimento. Oltre alle novae e alle novae nane, esistono diverse altre classi di variabili cataclismiche, tutte caratterizzate da improvvise variazioni nella luminosità e da emissioni X.

Approfondiamo: le Supernove di tipo 1A

Una supernova di tipo Ia è una tipologia di supernova originata dall'esplosione di una nana bianca. Una nana bianca è ciò che resta di una stella di massa medio-piccola che ha completato il suo ciclo vitale e al cui interno la fusione nucleare è cessata; tuttavia, le nane bianche al carbonio-ossigeno, le più comuni dell'Universo, sono in grado, se le loro temperature salgono a sufficienza, di far perdurare le reazioni di fusione, che rilasciano una gran quantità di energia. Da un punto di vista fisico, le nane bianche a lenta rotazione possiedono una massa limite, definita limite di Chandrasekhar, che equivale a circa 1,44 masse solari (M☉). In un secondo momento anche la componente secondaria inizia ad affrontare la fase post-sequenza principale, espandendosi in gigante rossa e inglobando la nana bianca. In questa fase, le due stelle condividono nuovamente un comune involucro gassoso e continuano ad avvicinarsi man mano che perdono momento angolare; il risultato sarà un'orbita così stretta che essa potrà essere completata in poche ore. Durante questa fase si attivano dei meccanismi di trasferimento di massa dalla gigante verso la nana bianca; se questo meccanismo dura per un tempo sufficiente, la nana bianca può avvicinarsi alla massa limite di Chandrasekhar, pari a circa 1,44 M☉. La durata del trasferimento di materia dalla secondaria alla nana bianca può durare per alcuni milioni di anni (durante i quali può andare incontro a ripetute esplosioni di nova) prima che si raggiungano le condizioni idonee all'esplosione in supernova di tipo Ia. Questa è la massa più elevata che può essere supportata dalla pressione esercitata dagli elettroni degenerati; oltre questo limite le nane bianche tendono a collassare. Se una nana bianca aumenta gradualmente la propria massa accrescendola da una compagna in un sistema binario, si ritiene che, nel momento in cui si approssima al limite, il suo nucleo possa raggiungere la temperatura richiesta per la fusione del carbonio. Se la nana bianca si fonde poi con un'altra stella (un evento in realtà molto raro), essa potrebbe persino superare il limite e iniziare a collassare, riaumentando la temperatura fino al punto di fusione. In un secondo momento anche la componente secondaria inizia ad affrontare la fase post-sequenza principale, espandendosi in gigante rossa e inglobando la nana bianca. In questa fase, le due stelle condividono nuovamente un comune involucro gassoso e continuano ad avvicinarsi man mano che perdono momento angolare; il risultato sarà un'orbita così stretta che essa potrà essere completata in poche ore. Durante questa fase si attivano dei meccanismi di trasferimento di massa dalla gigante verso la nana bianca; se questo meccanismo dura per un tempo sufficiente, la nana bianca può avvicinarsi alla massa limite di Chandrasekhar, pari a circa 1,44 M☉. La durata del trasferimento di materia dalla secondaria alla nana bianca può durare per alcuni milioni di anni (durante i quali può andare incontro a ripetute esplosioni di nova) prima che si raggiungano le condizioni idonee all'esplosione in supernova di tipo Ia. In un secondo momento anche la componente secondaria inizia ad affrontare la fase post-sequenza principale, espandendosi in gigante rossa e inglobando la nana bianca. In questa fase, le due stelle condividono nuovamente un comune involucro gassoso e continuano ad avvicinarsi man mano che perdono momento angolare; il risultato sarà un'orbita così stretta che essa potrà essere completata in poche ore. Durante questa fase si attivano dei meccanismi di trasferimento di massa dalla gigante verso la nana bianca; se questo meccanismo dura per un tempo sufficiente, la nana bianca può avvicinarsi alla massa limite di Chandrasekhar, pari a circa 1,44 M☉. La durata del trasferimento di materia dalla secondaria alla nana bianca può durare per alcuni milioni di anni (durante i quali può andare incontro a ripetute esplosioni di nova) prima che si raggiungano le condizioni idonee all'esplosione in supernova di tipo Ia. Entro pochi secondi dall'inizio della fusione, una sostanziale frazione della materia della nana bianca subisce una reazione termonucleare incontrollata che rilascia un'energia sufficiente (1-2 × 1044 J) a disgregare la stella in una violenta esplosione. Questa categoria di supernovae produce un picco notevole di luminosità assoluta, che si presenta pressoché simile in tutte le esplosioni di questo tipo a causa della relativa uniformità delle masse delle nane bianche che esplodono in seguito ai processi di accrescimento. Per tale ragione le supernovae di tipo Ia sono utilizzate come candele standard per misurare la distanza della loro galassia ospitante, poiché la loro magnitudine apparente dipende quasi esclusivamente dalla distanza a cui si trovano. Diversi modelli sono stati proposti per spiegare la formazione di una supernova di tipo Ia. Uno di questi è costituito dall'evoluzione di un sistema binario stretto. Il sistema è inizialmente costituito da due stelle di sequenza principale, con la componente primaria lievemente più massiccia della secondaria; possedendo una massa superiore, la primaria subisce un'evoluzione più rapida, giungendo per prima alla fase di gigante del ramo asintotico, stadio in cui il volume della stella si espande enormemente rispetto a quello posseduto quando essa si trovava all'interno della sequenza principale. Se le due stelle sono sufficientemente vicine da condividere un comune involucro di gas esterno, la primaria può perdere una significativa frazione della sua massa, cedendo inoltre una certa quantità di momento angolare, che causa un decadimento della sua orbita che si riflette in una riduzione del semiasse maggiore e del periodo di rivoluzione, determinando un avvicinamento delle due stelle. La componente primaria infine espelle i suoi strati più esterni in una nebulosa planetaria, mentre il nucleo collassa in una tenue nana bianca. In un secondo momento anche la componente secondaria inizia ad affrontare la fase post-sequenza principale, espandendosi in gigante rossa e inglobando la nana bianca. In questa fase, le due stelle condividono nuovamente un comune involucro gassoso e continuano ad avvicinarsi man mano che perdono momento angolare; il risultato sarà un'orbita così stretta che essa potrà essere completata in poche ore. Durante questa fase si attivano dei meccanismi di trasferimento di massa dalla gigante verso la nana bianca; se questo meccanismo dura per un tempo sufficiente, la nana bianca può avvicinarsi alla massa limite di Chandrasekhar, pari a circa 1,44 M☉. La durata del trasferimento di materia dalla secondaria alla nana bianca può durare per alcuni milioni di anni (durante i quali può andare incontro a ripetute esplosioni di nova) prima che si raggiungano le condizioni idonee all'esplosione in supernova di tipo Ia.

L'evoluzione di un sistema binario può portare, qualora le due stelle che lo costituiscono abbiano una massa adeguata, alla formazione di un sistema costituito da due nane bianche. I sistemi composti da due nane bianche hanno come sigla DWD, sigla in inglese per Double White dwarf (doppia nana bianca). La scoperta di simili sistemi e l'osservazione, soprattutto nei raggi X, delle interazioni reciproche tra le due componenti del sistema hanno portato allo sviluppo di modelli sui meccanismi che potrebbero condurre alla fusione di due nane bianche. Inizialmente due nane bianche di massa diversa (in genere la più massiccia al carbonio-ossigeno e la più leggera ricca in elio) si trovano ad una distanza piuttosto piccola l'una dall'altra. Nel corso di migliaia di anni, l'orbita delle due stelle attorno al comune baricentro inizia a restringersi e a decadere a causa della progressiva perdita del momento angolare, dovuta sia alle interazioni magnetiche tra le due stelle e le loro atmosfere, sia all'emissione di onde gravitazionali. La progressiva diminuzione dell'ampiezza dell'orbita e il conseguente aumento dell'attrazione gravitazionale tra le due componenti provoca lo smembramento della nana all'elio; il processo di rottura è estremamente complesso e porterebbe alla formazione di un disco di plasma quasi degenere in orbita attorno alla nana al carbonio-ossigeno. Man mano che perdono il loro momento angolare, le particelle del disco precipitano sulla superficie della nana superstite, accrescendone la massa. Quando il processo di accrescimento ha portato sulla superficie della stella una massa sufficiente si ha l'innesco delle reazioni nucleari, che causano un'espansione dell'astro. Ovviamente, perché si possa verificare questo fenomeno, è necessario che la massa complessiva delle due nane bianche non ecceda la Mch. L'oggetto così formato fa parte di un particolare tipo di stelle, denominate stelle all'elio estreme. Si tratta di astri meno massicci del Sole ma molto più estesi, con dimensioni paragonabili a quelle di una stella gigante, e caldi. Il motivo che ha portato gli astrofisici a ritenere che questa particolare classe stellare tragga origine non da una nube di idrogeno molecolare ma dalla fusione di due nane bianche sta proprio nella particolare composizione chimica: infatti sono costituite prevalentemente da elio, con una consistente presenza di carbonio, azoto ed ossigeno e tracce di tutti gli altri elementi stabili, mentre l'idrogeno è quasi assente. Tali stelle presentano anche una certa variabilità, associata a pulsazioni radiali della superficie stellare. 


Stelle di Neutroni

Una stella di neutroni è una stella compatta formata da materia degenere, la cui componente predominante è costituita da neutroni mantenuti insieme dalla forza di gravità. Si tratta di una cosiddetta stella degenere. È un corpo celeste massiccio di piccole dimensioni - di ordine non superiore alla decina di chilometri - ma avente altissima densità, e massa generalmente compresa tra le 1,4 e le 3 masse solari (anche se la più massiccia finora osservata è pari a 2,01 masse solari). Una stella di neutroni è il risultato del collasso gravitazionale del nucleo di una stella massiccia, che segue alla cessazione delle reazioni di fusione nucleare per l'esaurimento degli elementi leggeri al suo interno, e rappresenta pertanto l'ultimo stadio di vita di stelle con massa molto grande (superiore alle 10 masse solari). I neutroni sono costituenti del nucleo atomico e sono così chiamati in quanto elettricamente neutri. L'immensa forza gravitazionale, non più contrastata dalla pressione termica delle reazioni nucleari che erano attive nel corso della vita di una stella, schiaccia i nuclei atomici fra loro portando a contatto le particelle subatomiche, fondendo gli elettroni con i protoni trasformandoli in neutroni. La materia che forma le stelle di neutroni è diversa dalla materia ordinaria, e non ancora del tutto compresa. Le sue caratteristiche fisiche di densità sono più vicine a quelle dei nuclei atomici piuttosto che alla materia ordinaria composta da atomi. Le stelle di neutroni sono state tra i primi oggetti astronomici notevoli a essere predetti teoricamente (nel 1934) ed, in seguito, scoperti ed identificati (nel 1967). Le stelle di neutroni hanno una massa simile a quella del Sole, sebbene il loro raggio sia di qualche decina di chilometri, vale a dire diversi ordini di grandezza inferiore. La loro massa è concentrata in un volume di 7 × 1013 m3, circa 1014 volte più piccolo e la densità media è quindi 1014 volte più alta. Tali valori di densità sono i più alti conosciuti e impossibili da riprodurre in laboratorio (a titolo esemplificativo, per riprodurre una densità pari a quella dell'oggetto in questione occorrerebbe comprimere una portaerei nello spazio occupato da un granello di sabbia). Per fare un esempio concreto, consideriamo una stella di neutroni con raggio di 15 km e massa pari a 1,4 volte quella del Sole; essa avrà una densità di 1,98 x 1011 kg/cm3, vale a dire 198 milioni di tonnellate per centimetro cubo. Volendo immaginare una quantità equivalente in peso della "nostra" materia, per eguagliare la massa di un cm3 di materia della suddetta stella di neutroni sarebbe necessario un volume di 72 milioni di metri cubi di marmo (assumendo per esso una densità di 2,75 g/cm3), pari a un cubo di marmo con lato di 416 metri. Si tratta di una densità simile a quella dei nuclei atomici, ma estesa per decine di chilometri. In effetti, le stelle di neutroni possono essere considerate nuclei atomici giganti tenuti insieme dalla forza gravitazionale, che non collassano grazie all'effetto repulsivo della pressione di degenerazione neutronica, dovuto al Principio di esclusione di Pauli, e all'effetto repulsivo della forza forte, secondo il limite di Tolman-Oppenheimer-Volkoff. A causa della massa compressa in piccole dimensioni, una stella di neutroni possiede un campo gravitazionale superficiale cento miliardi (1011) di volte più intenso di quello della Terra. Una delle misure di un campo gravitazionale è la sua velocità di fuga, cioè la velocità che un oggetto deve avere per potergli sfuggire; sulla superficie terrestre essa è di circa 11 km/s, mentre su quella di una stella di neutroni si aggira intorno ai 100000 km/s, cioè un terzo della velocità della luce. Le stelle di neutroni sono uno dei possibili stadi finali dell'evoluzione stellare e sono quindi a volte chiamate stelle morte o cadaveri stellari. Si formano nelle esplosioni di supernova come il residuo collassato di una stella di grande massa (nelle supernovae di tipo II o Ib). Una tipica stella di neutroni ha un diametro di 20 km, ha una massa minima di 1,4 volte quella del Sole (altrimenti sarebbe rimasta una nana bianca) e una massima di 3 volte quella del Sole (altrimenti collasserebbe in un buco nero). La sua rotazione è spesso molto rapida: la maggior parte delle stelle di neutroni ruota con periodi da 1 a 30 s, ma alcune arrivano a pochi millesimi di secondo. La materia alla loro superficie è composta da nuclei ordinari ionizzati. Cominciando a scendere, si incontrano nuclei con quantità sempre più elevate di neutroni. Questi nuclei in condizioni normali decadrebbero rapidamente, ma sono tenuti stabili dall'enorme pressione. Ancora più in profondità si trova una soglia sotto la quale i neutroni liberi si separano dai nuclei e hanno un'esistenza indipendente. In questa regione si trovano nuclei, elettroni liberi e neutroni liberi. I nuclei diventano sempre di meno andando verso il centro, mentre la percentuale di neutroni aumenta. La natura esatta della materia superdensa che si trova al centro non è ancora ben compresa. Alcuni ricercatori si riferiscono ad essa come ad una sostanza teorica, il neutronio. Potrebbe essere una mistura superfluida di neutroni con tracce di protoni ed elettroni, potrebbero essere presenti particelle di alta energia come pioni e kaoni e altri speculano di materia composta da quark subatomici. Finora le osservazioni non hanno né confermato né escluso questi stati "esotici" della materia. Tuttavia, esaminando le curve di raffreddamento di alcune stelle di neutroni conosciute, sembrerebbe confermata l'ipotesi di stati superfluidi (e anche superconduttivi), almeno in alcune zone degli strati interni di tali astri. Nel 1932, Sir James Chadwick scoprì[3] il neutrone, una nuova particella (che allora si pensava elementare mentre oggi si sa essere composta di quark) che gli valse il premio Nobel del 1935. Nel 1934, Walter Baade e Fritz Zwicky proposero l'esistenza di stelle interamente composte di neutroni, dopo solo due anni dalla scoperta di Chadwick. Cercando una spiegazione per le origini delle supernova, proposero che queste producessero delle stelle di neutroni. Baade e Zwicky proposero correttamente che le supernova sono alimentate dall'energia di legame gravitazionale della stella di neutroni in formazione: "Nel processo della supernova la massa viene annichilata". Se per esempio le parti centrali di una stella massiccia, prima del collasso, ammontano a 3 masse solari, allora si potrebbe formare una stella di neutroni di 2 masse solari. L'energia di legame di una tale stella di neutroni è equivalente, quando espressa in unità di massa usando la famosa equazione E=mc², ad 1 massa solare. È in ultima analisi questa energia che alimenta la supernova. Una stella di neutroni isolata, senza alcuna materia attorno ad essa, è praticamente invisibile: la sua altissima temperatura la porta ad emettere un po' di radiazione visibile, ultravioletta, X e gamma, ma data la sua piccolezza la luce emessa è molto poca e, a distanze astronomiche, non rilevabile. Se però la stella di neutroni ha una compagna, questa può cederle massa. Oppure la stella di neutroni può "alimentarsi" da materia presente nei dintorni, se per esempio sta attraversando una nube di gas. In tutti questi casi la stella di neutroni può manifestarsi sotto varie forme:

  • Pulsar: termine generico indicante una stella di neutroni che emette impulsi direzionali di radiazione rilevabili sulla Terra grazie al suo fortissimo campo magnetico e alla sua radiazione. Funzionano più o meno come un faro rotante o come un orologio atomico.
  • Burster a raggi X - una stella di neutroni con una compagna binaria di piccola massa, dalla quale estrae materia che va a cadere sulla sua superficie. La materia che cade acquista un'enorme energia, ed è irregolarmente visibile.
  • Magnetar - un tipo di ripetitore gamma soft che ha un campo magnetico molto potente.

Le stelle di neutroni ruotano in modo molto rapido dopo la loro creazione, a causa della legge di conservazione del momento angolare: come una pattinatrice che accelera la sua rotazione chiudendo le braccia, la lenta rotazione della stella originale accelera mentre collassa. Una stella di neutroni appena nata può ruotare molte volte al secondo (quella nella Nebulosa del Granchio, nata appena 950 anni fa, ruota 30 volte al secondo). A volte, quando hanno una compagna binaria e possono ricevere da essa nuova materia, la loro rotazione accelera fino a migliaia di volte al secondo, distorcendo la loro forma sferica in un ellissoide, vincendo il loro fortissimo campo gravitazionale (tali stelle di neutroni, in genere scoperte come pulsar, sono chiamate pulsar ultrarapide). Col tempo, le stelle di neutroni rallentano perché i loro campi magnetici rotanti irradiano energia verso l'esterno. Le stelle di neutroni più vecchie possono impiegare molti secondi o anche minuti per compiere un giro. Questo effetto è detto frenamento magnetico. Nel caso delle pulsar, il frenamento magnetico aumenta l'intervallo tra un impulso e un altro. Il ritmo a cui una stella di neutroni rallenta la propria rotazione è costante e molto lento: i ritmi osservati sono tra 10−12 e 10−19 secondi al secolo. In altre parole, una stella di neutroni che adesso ruota in esattamente 1 secondo, tra un secolo ruoterà in 1,000000000001 secondi, se è tra quelle che rallentano di più: le più giovani, con un campo magnetico più forte. Le stelle di neutroni con un campo magnetico più debole hanno anche un frenamento magnetico meno efficace, e impiegano più tempo per rallentare. Queste differenze infinitesimali sono comunque misurabili con grande precisione dagli orologi atomici, sui quali ogni osservatore di pulsar si sincronizza. A volte le stelle di neutroni sperimentano un Glitch: un improvviso aumento della loro velocità di rotazione (comunque molto piccolo, comparabile con il rallentamento visto in precedenza). Si pensa che i glitch si originino da riorganizzazioni interne della materia che le compongono, in modo simile ai terremoti terrestri.

Esistono due tipologie particolari di stelle di Neutroni: le Pulsar e le Magnetar...

Pulsar

Una pulsar, nome che stava originariamente per sorgente radio pulsante, è una stella di neutroni. Nelle prime fasi della sua formazione, in cui ruota molto velocemente, la sua radiazione elettromagnetica in coni ristretti è osservata come impulsi emessi ad intervalli estremamente regolari. Nel caso di pulsar ordinarie, la loro massa è comparabile a quella del Sole, ma è compressa in un raggio di una decina di chilometri, quindi la loro densità è enorme. Il fascio di onde radio emesso dalla stella è causato dall'azione combinata del campo magnetico e della rotazione. Le pulsar si formano quando una stella esplode come supernova II, mentre le sue regioni interne collassano in una stella di neutroni congelando ed ingigantendo il campo magnetico originario. La velocità di rotazione alla superficie di una pulsar è variabile e dipende dal numero di rotazioni al secondo sul proprio asse e dal suo raggio. Nel caso di pulsar con emissioni a frequenze del kHz, la velocità superficiale può arrivare ad essere una frazione significativa della velocità della luce, a velocità di 70.000 km/s. Le pulsar furono scoperte da Jocelyn Bell sotto la direzione di Antony Hewish nel 1967, mentre stavano usando un array radio per studiare la scintillazione delle quasar. Trovarono invece un segnale molto regolare, consistente di un impulso di radiazione ogni pochi secondi. L'origine terrestre del segnale fu esclusa, perché il tempo che l'oggetto impiegava ad apparire era in sincronia con il giorno siderale invece che con il giorno solare e la potenza emessa era di ordini di grandezza superiore a quella producibile artificialmente. La scoperta fu premiata con un Nobel nel 1974 che fu però assegnato scorrettamente al solo Hewish. Bell riceverà 44 anni dopo lo Special Breakthrough Prize con un premio in denaro di 3 milioni di dollari. Il nome originale dell'oggetto fu "LGM" (Little Green Men, piccoli omini verdi) perché qualcuno scherzò sul fatto che, essendo così regolari, potessero essere segnali trasmessi da una qualche forma di vita extraterrestre. Dopo molte speculazioni, una spiegazione più prosaica fu trovata in una stella di neutroni, un oggetto fino ad allora solo ipotizzato. Negli anni 1970-1980, fu scoperta una nuova categoria di pulsar: le pulsar superveloci, o pulsar millisecondo che, come indica il loro nome, hanno un periodo di pochi millisecondi invece che di secondi o più e risultano essere molto antiche, frutto di un processo evolutivo lungo. Nel 2004 viene individuata la prima "pulsar doppia" ovvero due stelle pulsar che orbitano una attorno all'altra, in un sistema binario. La scoperta è opera di un gruppo di ricercatori internazionali, a cui partecipano anche italiani. In quest'ultimo caso, la grandissima precisione degli impulsi ha permesso agli astronomi di calcolare la perdita di energia orbitale del sistema, si pensa dovuta all'emissione di onde gravitazionali. L'esatto ammontare di questa perdita di energia è in buon accordo con le equazioni della Relatività generale di Einstein. Il modello di pulsar generalmente accettato, e raramente messo in discussione, è quello del rotatore obliquo. Spiega le osservazioni con un fascio di radiazioni che punta nella nostra direzione una volta per ogni rotazione della stella di neutroni. L'origine del fascio rotante è legato al disallineamento tra l'asse di rotazione e l'asse del campo magnetico della pulsar, analogamente a quanto si osserva sulla Terra. Il fascio è emesso dai poli magnetici della pulsar, che possono essere separati dai poli di rotazione di un angolo anche ampio. Questo angolo rende il comportamento dei fasci simile a quello di un faro. La sorgente di energia dei fasci è l'energia rotazionale della stella di neutroni, la quale rallenta lentamente la propria rotazione per alimentare i fasci. Le pulsar millisecondo sono state probabilmente accelerate dal momento angolare posseduto da materia esterna caduta su di esse, proveniente da una vicina stella compagna in un sistema binario mediante il meccanismo del trasferimento di massa. Anche le pulsar millisecondo, però, rallentano costantemente la propria rotazione. L'osservazione di glitch è di interesse per lo studio dello stato della materia nelle stelle di neutroni. Un glitch è un improvviso aumento della velocità di rotazione (che viene osservato come un'improvvisa riduzione dell'intervallo tra gli impulsi). Per lungo tempo si è creduto che tali glitch derivassero da "stellemoti" dovuti ad aggiustamenti della crosta superficiale della stella di neutroni. Oggi esistono anche modelli alternativi, che spiegano i glitch come improvvisi fenomeni di superconduttività dell'interno della stella. La causa esatta dei glitch non è al momento conosciuta. Nel 2003, le osservazioni della pulsar della Nebulosa del Granchio ha rivelato "sotto-impulsi", sovrapposti al segnale principale, con una durata di pochi nanosecondi. Si pensa che impulsi così stretti possano essere emessi da regioni della superficie della pulsar con un diametro massimo di 60 centimetri, rendendo queste regioni le più piccole strutture mai misurate all'esterno del Sistema Solare. La scoperta delle pulsar ha confermato l'esistenza di stati della materia prima solo ipotizzati, appunto la stella di neutroni, e impossibile da riprodurre in laboratorio a causa delle alte energie necessarie, gravitazionali e non. Questo tipo di oggetto è l'unico in cui è possibile osservare il comportamento della materia a densità nucleari, anche se solo indirettamente. Inoltre, le pulsar millisecondo hanno consentito un nuovo test della relatività generale in condizioni di forti campi gravitazionali. Grazie alle pulsar, è stata possibile la scoperta del primo pianeta extrasolare, e successivamente di altri 10. Sono in corso studi per verificare la fattibilità di utilizzare le pulsar millisecondo per determinare con precisione la posizione di un oggetto che si muove a migliaia di chilometri all'ora nello spazio profondo ed utilizzarle in futuro per missioni spaziali robotiche. 

Magnetar

Una magnetar (contrazione dei termini inglesi magnetic star, letteralmente "stella magnetica") è una stella di neutroni che possiede un enorme campo magnetico, miliardi di volte quello terrestre, il cui decadimento genera intense ed abbondanti emissioni elettromagnetiche, in particolare raggi X, raggi gamma e (molto raramente) anche radiofrequenze. La teoria riguardante tali oggetti fu formulata da Robert Duncan e Christopher Thompson nel 1992. Nel decennio seguente l'ipotesi della magnetar è stata largamente accettata come una possibile spiegazione fisica per particolari oggetti conosciuti come soft gamma repeater (sorgenti ricorrenti di raggi gamma morbidi) e pulsar anomale a raggi X. Quando durante un'esplosione di supernova una stella collassa in una stella di neutroni, il suo campo magnetico cresce in potenza (mentre la dimensione viene dimezzata, la potenza quadruplica). Duncan e Thompson hanno calcolato che il campo magnetico di una stella di neutroni, normalmente di circa 1×108 T, può, tramite un effetto simile alla dinamo, diventare ancora più grande, superiore a 1×1011 T (o 1×1015 G); una simile stella di neutroni è detta per l'appunto magnetar. Una supernova, durante l'esplosione, arriva a perdere il 10% della sua massa. Nel caso di stelle molto grandi (10-30 M⊙) che, a seguito dell'esplosione, non si trasformano in buchi neri, perdono circa l'80% della propria massa. Si ritiene che circa 1 supernova su 10 degeneri in una magnetar anziché in una più comune stella di neutroni o in una pulsar: accade quando la stella ha già una veloce rotazione ed un forte magnetismo. Si ritiene che il campo magnetico di una magnetar sia il risultato di un moto convettivo ad effetto dinamo di materiale caldo nel nucleo della stella di neutroni che intercorre nei primi 10 s circa di vita della stella; se la stella stessa ruota inizialmente alla stessa velocità del periodo di convezione, circa 10 ms, le correnti convettive sono in grado di operare globalmente sull'astro e di trasferire una quantità significativa della loro energia cinetica nella forza del loro campo magnetico. Nelle stelle di neutroni che ruotano meno rapidamente, le celle convettive si formano solo in alcune regioni della stella. Negli strati esterni della magnetar le tensioni che si originano dalle torsioni delle linee di forza del campo magnetico stellare possono provocare uno "stellamoto" (starquake), ovvero la crosta della stella di neutroni viene spaccata dall'intenso magnetismo e sprofonda nello strato interno in modo molto simile a ciò che accade alla crosta terrestre durante un terremoto. Queste onde sismiche sono estremamente energetiche e causano una forte emissione di raggi X e gamma; gli astronomi definiscono questo oggetto soft gamma repeater. La vita attiva di una magnetar è abbastanza breve: i forti campi magnetici decadono dopo circa 10000 anni, dopo di che cessano sia l'attività che l'emissione di raggi X. Molto probabilmente la Via lattea è piena di magnetar spente. Un campo magnetico di circa 10 GT è in grado di smagnetizzare una carta di credito da metà della distanza tra la Terra e la Luna. Un piccolo magnete costituito dal lantanide neodimio ha un campo di circa 1 tesla, la Terra ha un campo geomagnetico di 30-60 μT, e gran parte dei sistemi di conservazione dei dati possono essere gravemente danneggiati da breve distanza da un campo di 1 mT. Il campo magnetico di una magnetar può essere letale da una distanza di 1000 km, poiché in grado di strappare i tessuti per via del diamagnetismo dell'acqua. Le forze di marea di una magnetar di 1,4 M⊙ sono altrettanto letali alla stessa distanza, in grado di fare a pezzi un uomo di corporatura media con una forza di oltre 20 kN (oltre 2040 kgf). Nel 2003 nella rivista scientifica Scientific American fu descritto ciò che accade nel campo magnetico di una magnetar: i fotoni X si scindono in due parti o si fondono insieme, mentre i fotoni della luce polarizzata, quando entrano nel campo magnetico, cambiano velocità e, talvolta, lunghezza d'onda. Finché il campo riesce ad evitare che gli elettroni vibrino, come farebbero normalmente in risposta alla sollecitazione della luce, le onde luminose "scivolano" oltre gli elettroni senza perdere energia. Ciò avviene più facilmente nel vuoto, dove è possibile dividere la luce in differenti polarizzazioni (come in un immateriale cristallo di calcite). Un simile campo magnetico "stira" gli atomi in lunghi cilindri. In un campo di circa 105 tesla, gli orbitali atomici si deformano sino alla forma di un sigaro. A 1010 tesla, un atomo di idrogeno si allunga sino a diventare 200 volte più stretto del suo diametro normale. A fine 2017 è stato effettuato un censimento degli Outburst (eventi durante i quali le magnetar aumentano di luminosità sino a migliaia di volte) con la creazione di un catalogo che analizza le proprietà di emissione di tutti gli outburst osservati dalle magnetar, dalle prime fasi attive sino al loro decadimento. 


Buchi Neri

In astrofisica un buco nero è un corpo celeste con un campo gravitazionale così intenso da non lasciare sfuggire né la materia, né la radiazione elettromagnetica, ovvero, da un punto di vista relativistico, una regione dello spaziotempo con una curvatura sufficientemente grande che nulla dal suo interno può uscirne, nemmeno la luce essendo la velocità di fuga superiore a c. Il buco nero è il risultato di implosioni di masse sufficientemente elevate. La gravità domina su qualsiasi altra forza, sicché si verifica un collasso gravitazionale che tende a concentrare lo spaziotempo in un punto al centro della regione, dove è teorizzato uno stato della materia di curvatura tendente ad infinito e volume tendente a zero chiamato singolarità, con caratteristiche sconosciute ed estranee alle leggi della relatività generale. Il limite del buco nero è definito orizzonte degli eventi, regione che ne delimita in modo peculiare i confini osservabili. Per le suddette proprietà, il buco nero non è osservabile direttamente. La sua presenza si rivela solo indirettamente mediante i suoi effetti sullo spazio circostante: le interazioni gravitazionali con altri corpi celesti e le loro emissioni (vedi lente gravitazionale), le irradiazioni principalmente elettromagnetiche della materia catturata dal suo campo di forza. Nel corso dei decenni successivi alla pubblicazione della Relatività Generale, base teorica della loro esistenza, vennero raccolte numerose osservazioni interpretabili, pur non sempre univocamente, come prove della presenza di buchi neri, specialmente in alcune galassie attive e sistemi stellari di binarie X. L'esistenza di tali oggetti è oggi definitivamente dimostrata e via via ne vengono individuati di nuovi con massa molto variabile, da valori di circa 5 fino a miliardi di masse solari. Nella fisica classica, basandosi sui principi della dinamica, era stata teorizzata nel XVIII secolo la possibilità che un corpo avesse una massa così grande da non consentire, nemmeno alla luce, di superare la velocità di fuga, ragione per cui tale corpo sarebbe risultato invisibile. Nel 1783 lo scienziato inglese John Michell suggerì in una lettera a Henry Cavendish (successivamente pubblicata nei rendiconti della Royal Society) che la velocità di fuga da un corpo celeste potrebbe risultare superiore alla velocità della luce, dando luogo a quella che egli chiamò una "stella oscura" (dark star). Nel 1798 Pierre-Simon de Laplace riportò quest'idea nella prima edizione del suo Traité de mécanique céleste. Il termine "buco nero" è stato coniato dal fisico John Archibald Wheeler. L'aggettivo "nero" deriva dal fatto che non può emettere luce. Il fatto che nessuna particella che vi fosse catturata possa più riemergere (nemmeno i fotoni) è la ragione del termine "buco". Da un punto di vista relativistico invece, un concetto di buco nero venne teorizzato dal fisico Karl Schwarzschild nel 1916, solo un anno dopo la pubblicazione della teoria della relatività generale. Nella relatività generale il campo gravitazionale viene descritto come deformazione dello spaziotempo causata da un oggetto molto massiccio, e la velocità della luce è una costante limite. Esplorando alcune soluzioni alle equazioni della teoria, Schwarzschild calcolò che un corpo ipoteticamente dotato di altissima densità produrrebbe nelle sue vicinanze una deformazione tale che la luce in allontanamento da esso tenderebbe a subire uno spostamento verso il rosso gravitazionale infinito. Il concetto teorizzato da Schwarzschild dipende dalla densità dell'oggetto, in astratto cioè si potrebbe applicare a un qualsiasi oggetto il cui volume fosse estremamente piccolo rispetto alla sua massa - anche se, nella realtà, non è noto alcun mezzo che possa fornire a un oggetto con massa piccola l'energia necessaria per concentrare a tal punto la materia: l'unica forza nota nell'universo in grado di sviluppare una tale intensità è la forza di gravità, in presenza di una grande quantità di materia. Nel 1915, Albert Einstein sviluppò la sua teoria della relatività generale, avendo in precedenza dimostrato che la forza gravitazionale influenza la luce. Solo pochi mesi dopo, Karl Schwarzschild trovò una soluzione per le equazioni di campo di Einstein, che descrive il campo gravitazionale di un punto materiale e di una massa sferica. Pochi mesi dopo Schwarzschild morì e Johannes Droste, uno studente di Hendrik Lorentz, diede in modo indipendente la stessa soluzione, approfondendone le proprietà. Questa soluzione ebbe una strana influenza su ciò che ora è chiamato il raggio di Schwarzschild, che diventò una singolarità, nel senso che alcuni dei termini dell'equazione di Einstein divennero infiniti. La natura di questa superficie non era compresa pienamente a quei tempi. Nel 1924, Arthur Eddington dimostrò che la singolarità cessava di esistere con una variazione di coordinate (vedi coordinate Eddington-Finkelstein), tuttavia si dovette aspettare fino al 1933, quando Georges Lemaître si rese conto che la singolarità del raggio di Schwarzschild era una singolarità coordinata non fisica. Nel 1931 Subrahmanyan Chandrasekhar calcolò, utilizzando la relatività speciale, che un corpo non rotante di elettroni-materia degenere, al di sopra di un certo limite di massa (ora chiamato il limite di Chandrasekhar di 1,4 masse solari) non ha soluzioni stabili.[8] I suoi argomenti furono contestati da molti contemporanei come Eddington e Lev Landau, i quali sostenevano che qualche forza ancora sconosciuta avrebbe impedito il collasso del corpo.[9] Questa teoria era in parte corretta: una nana bianca leggermente più massiccia rispetto al limite di Chandrasekhar collasserà in una stella di neutroni,[10] la quale è essa stessa stabile a causa del principio di esclusione di Pauli. Ma nel 1939, Robert Oppenheimer e altri previdero che le stelle di neutroni con massa pari a circa tre volte il Sole (il limite di Tolman-Oppenheimer-Volkoff) sarebbero collassate in buchi neri per le ragioni presentate da Chandrasekhar, e conclusero che nessuna legge fisica sarebbe intervenuta per fermare il collasso di alcune di queste.[11] Oppenheimer e i suoi coautori interpretarono la singolarità ai confini del raggio di Schwarzschild come la superficie di una bolla concentrata di materia in cui il tempo può rallentare e addirittura fermarsi. Questa conclusione è valida dal punto di vista di un osservatore esterno, mentre non lo è per un osservatore in caduta nel buco. A causa di questa proprietà, le stelle collassate sono chiamate "stelle congelate", perché un osservatore esterno vedrebbe la superficie della stella congelata nel tempo, nel momento stesso in cui il suo collasso la portasse all'interno del raggio di Schwarzschild. Poco dopo la formulazione della relatività generale da parte di Albert Einstein, risultò che la soluzione delle equazioni di Einstein (in assenza di materia) che rappresenta un campo gravitazionale statico e a simmetria sferica (la soluzione di Karl Schwarzschild, che corrisponde al campo gravitazionale centrale simmetrico della gravità newtoniana) implica l'esistenza di un confine ideale, detto orizzonte degli eventi, caratterizzato dal fatto che qualunque cosa lo oltrepassi, attratta dal campo gravitazionale, non sarà più in grado di tornare indietro. Poiché neppure la luce riesce ad attraversare l'orizzonte degli eventi dall'interno verso l'esterno, la regione interna all'orizzonte si comporta a tutti gli effetti come un buco nero. Poiché la soluzione di Schwarzschild descrive il campo gravitazionale nel vuoto, essa rappresenta esattamente il campo gravitazionale all'esterno di una distribuzione di massa con simmetria sferica: un buco nero potrebbe essere teoricamente prodotto da un corpo celeste massiccio solo se questo avesse densità tale da essere interamente contenuto all'interno dell'orizzonte degli eventi (se, cioè, il corpo celeste avesse raggio inferiore al raggio di Schwarzschild corrispondente alla sua massa totale). Si pose dunque l'interrogativo se una tale densità possa essere raggiunta come effetto del collasso gravitazionale di una data distribuzione di materia. Lo stesso Einstein (al quale la "singolarità" trovata da Schwarzschild nella sua soluzione appariva come una pericolosa inconsistenza nella teoria della relatività generale) discusse questo punto in un lavoro del 1939, concludendo che per raggiungere una simile densità le particelle materiali avrebbero dovuto superare la velocità della luce, in contrasto con la relatività ristretta:

«Il risultato fondamentale di questo studio è la chiara comprensione del perché le "singolarità di Schwarzschild" non esistono nella realtà fisica.» 

In realtà Einstein aveva basato i suoi calcoli sull'ipotesi che i corpi che collassano orbitino intorno al centro di massa del sistema, ma nello stesso anno Robert Oppenheimer e H. Snyder[14] mostrarono che la densità critica può essere raggiunta quando le particelle collassano radialmente. Successivamente anche il fisico indiano A. Raychaudhuri mostrò che la situazione ritenuta da Einstein non fisicamente realizzabile è, in realtà, perfettamente compatibile con la relatività generale:

«[In questo lavoro] si ottiene una soluzione non statica delle equazioni gravitazionali di Einstein che rappresenta un aggregato, dotato di simmetria sferica, di particelle che si muovono radialmente in uno spazio vuoto. Benché Einstein abbia ritenuto che la singolarità di Schwarzschild sia fisicamente irraggiungibile, poiché la materia non può essere concentrata arbitrariamente, la presente soluzione sembra dimostrare che non vi è un limite teorico al grado di concentrazione, e che la singolarità di Schwarzschild non ha significato fisico in quanto compare solo in particolari sistemi di coordinate.» 

 In altri termini, l'orizzonte degli eventi non è una reale singolarità dello spazio-tempo (nella soluzione di Schwarzschild l'unica vera singolarità geometrica è collocata nell'origine delle coordinate), ma ha comunque la caratteristica fisica di poter essere attraversato solo dall'esterno verso l'interno. In accordo con queste considerazioni teoriche numerose osservazioni astrofisiche sono state fatte risalire alla presenza di buchi neri che attraggono materia circostante. Secondo alcuni modelli, potrebbero esistere buchi neri privi di singolarità, dovuti a stati della materia più densi di una stella di neutroni, ma non al punto di generare una singolarità. Secondo le teorie attualmente considerate, un buco nero può formarsi solamente da una stella che abbia una massa superiore a 2,5 volte circa quella del Sole, come conseguenza del Limite di Tolman-Oppenheimer-Volkoff, anche se a causa dei vari processi di perdita di massa subiti dalle stelle al termine della loro vita occorre che la stella originaria sia almeno dieci volte più massiccia del Sole. I numeri citati sono meramente indicativi, in quanto dipendono dai dettagli dei modelli utilizzati per prevedere l'evoluzione stellare e, in particolare, dalla composizione chimica iniziale della nube di gas che ha dato origine alla stella in questione. Non è esclusa la possibilità che un buco nero possa avere origine non stellare, come si suppone ad esempio per i cosiddetti buchi neri primordiali. In astrofisica, il teorema dell'essenzialità[17] (in inglese no hair theorem) postula che tutte le soluzioni del buco nero nelle equazioni di Einstein-Maxwell sulla gravitazione e l'elettromagnetismo nella relatività generale possano essere caratterizzate solo da tre parametri classici esternamente osservabili: massa, carica elettrica e momento angolare.[18] Tutte le altre informazioni riguardanti la materia di cui è formato un buco nero o sulla materia che vi sta cadendo dentro "spariscono" dietro il suo orizzonte degli eventi e sono dunque permanentemente inaccessibili agli osservatori esterni (vedi anche il paradosso dell'informazione del buco nero). Due buchi neri che condividano queste stesse proprietà, o parametri, secondo la meccanica classica sono indistinguibili. Queste proprietà sono speciali perché sono visibili dall'esterno di un buco nero. Ad esempio, un buco nero carico respinge un altro con la stessa carica, proprio come qualsiasi altro oggetto carico. Allo stesso modo, la massa totale all'interno di una sfera contenente un buco nero può essere trovata utilizzando l'analogo gravitazionale della legge di Gauss, la massa ADM, lontano dal buco nero. Parimenti, il momento angolare può essere misurato da lontano usando l'effetto di trascinamento del campo gravitomagnetico. Quando un oggetto cade in un buco nero, qualsiasi informazione circa la forma dell'oggetto o della distribuzione di carica su di essa è uniformemente distribuita lungo l'orizzonte del buco nero, e risulta irrimediabilmente persa per l'osservatore esterno. Il comportamento dell'orizzonte in questa situazione è un sistema dissipativo che è strettamente analogo a quello di una membrana elastica conduttiva con attrito e resistenza elettrica - il paradigma della membrana. Questa congettura è diversa da altre teorie di campo come l'elettromagnetismo, che non ha attriti o resistività a livello microscopico, perché sono reversibili nel tempo. Dato che un buco nero alla fine raggiunge la stabilità con solo tre parametri, non c'è modo per evitare di perdere informazioni sulle condizioni iniziali: i campi gravitazionali ed elettrici di un buco nero danno pochissime informazioni su ciò che è stato risucchiato. L'informazione persa comprende ogni quantità che non può essere misurata lontano dall'orizzonte del buco nero, inclusi numeri quantici approssimativamente conservati, come il totale del numero barionico e leptonico. Questo comportamento è così sconcertante che è stato chiamato il paradosso dell'informazione del buco nero. I buchi neri più semplici hanno una massa, ma non carica elettrica né momento angolare. Questi buchi neri sono spesso indicati come buchi neri di Schwarzschild dopo che Karl Schwarzschild scoprì questa soluzione nel 1916. Secondo il teorema di Birkhoff, è l'unica soluzione di vuoto sfericamente simmetrica. Ciò significa che non vi è differenza osservabile tra il campo gravitazionale di un buco nero e di un qualsiasi altro oggetto sferico della stessa massa. La convinzione popolare di un buco nero capace di "risucchiare ogni cosa" nel suo ambiente quindi è corretta solo in prossimità dell'orizzonte di un buco nero; a distanza da questo, il campo gravitazionale esterno è identico a quello di qualsiasi altro organismo della stessa massa. Esistono anche soluzioni che descrivono i buchi neri più generali. I buchi neri carichi sono descritti dalla metrica di Reissner-Nordström, mentre la metrica di Kerr descrive un buco nero rotante. La soluzione più generale di un buco nero stazionante conosciuta è la metrica di Kerr-Newman, che descrive un buco nero sia con carica sia con momento angolare. Mentre la massa di un buco nero può assumere qualsiasi valore positivo, la carica e il momento angolare sono vincolati dalla massa. In unità di Planck, la carica elettrica totale Q e il momento angolare totale J sono tenuti a soddisfare:

Barra delle equazioni per i lettori più curiosi

per un buco nero di massa M. I buchi neri che soddisfano questa disuguaglianza sono detti estremali. Esistono soluzioni delle equazioni di Einstein che violano questa disuguaglianza, ma che non possiedono un orizzonte degli eventi. Queste soluzioni sono le cosiddette singolarità nude che si possono osservare dal di fuori, e, quindi, sono considerate non-fisiche. L'ipotesi della censura cosmica esclude la formazione di tali singolarità, quando vengono create attraverso il collasso gravitazionale della materia realistica. Questa ipotesi è supportata da simulazioni numeriche. A causa della relativamente grande forza elettromagnetica, i buchi neri formatisi dal collasso di stelle sono tenuti a mantenere la carica quasi neutra della stella. La rotazione, tuttavia, dovrebbe essere una caratteristica comune degli oggetti compatti. Il buco nero binario a raggi X GRS 1915 105 sembra avere un momento angolare vicino al valore massimo consentito.  I buchi neri sono comunemente classificati in base alla loro massa, indipendente del momento angolare J o carica elettrica Q. La dimensione di un buco nero, come determinata dal raggio dell'orizzonte degli eventi, o raggio di Schwarzschild, è approssimativamente proporzionale alla massa M tramite:

Barra delle equazioni per i lettori più curiosi

dove rsh è il raggio di Schwarzschild e MSole è la massa del sole. Questa relazione è esatta solo per i buchi neri con carica e momento angolare nulli, mentre per i buchi neri più generali può variare fino a un fattore di 2. 

La caratteristica distintiva dei buchi neri è la comparsa di un orizzonte degli eventi attorno al baricentro della loro massa: spazio geometricamente sferico e chiuso (con apparente superficie materiale rispetto ad osservatori esterni) che ne circonda il nucleo massiccio, delimitando la regione spazio-temporale dalla quale relativisticamente non può uscire o venir emesso alcun segnale né alcuna quantità di materia (eccetto la teorica Radiazione di Hawking), quindi può solo esser raggiunta da altri osservabili e attraversata nella sua direzione, non in senso opposto. Questo impedimento ad emissioni e fuoriuscite produce il costante mantenimento o un potenziale aumento del contenuto del buco nero che, in lunghissimo periodo, potrebbe venir destabilizzato solo dalla citata radiazione quantistica ipotizzata dal notissimo fisico Stephen Hawking. Allora, la concentrazione di massa raggiungendo qui la quantità critica capace di deformare in modo così estremo lo spazio-tempo tale che i possibili percorsi di tutte le particelle possono solo piegarsi verso la sua area[32], senza più vie di fuga, osservatori esterni non possono ottenere informazione su eventi compresi entro i suoi confini e ciò ne rende impossibile qualsiasi verifica diretta. Per osservatori fuori da tale influenza gravitazionale, come prescrive la Relatività, orologi vicini al buco nero risultano procedere più lentamente rispetto a quelli lontani da esso. A causa di questo effetto, detto dilatazione temporale gravitazionale, da punti di vista esterni e distanti un oggetto in caduta verso un buco nero, avvicinandosi al suo orizzonte degli eventi, appare rallentato nella propria velocità fino ad impiegare un tempo infinito per raggiungerlo. Coerentemente rallenta anche ogni altro suo processo fisico e organico in atto. In sincronia con tale rallentamento la sua immagine è soggetta al noto fenomeno del red-shift gravitazionale, sicché, in modo commisurato al suo approssimarsi all'orizzonte, la luce che rendeva visibile l'oggetto si sposta sempre più verso l'infrarosso sino a diventare impercepibile. Ma un osservatore in caduta nel buco nero non nota nessuno di suddetti cambiamenti mentre attraversa l'orizzonte degli eventi. Secondo il suo personale orologio attraversa l'orizzonte degli eventi dopo un tempo finito, senza percepire alcun comportamento insolito: in quanto per ogni sistema il "tempo proprio" ovunque si trovi o proceda, per equivalenza relativistica tra punti d'osservazione, risulta invariante. E in questo caso particolare nemmeno è in grado di valutare esattamente quando compie l'attraversamento essendo impossibile individuare con precisione confini dell'orizzonte, e posizione rispetto ad esso, da parte di chi (o di qual strumento) vi effettui misurazioni locali. Però a causa del principio di simmetria fisica egli riscontrerà nello spazio esterno all'orizzonte un ritmo temporale inversamente proporzionale a quello attribuitogli da osservatori là collocati, e cioè ne vedrà una accelerazione tendente all'infinito, una velocizzazione estrema degli eventi cosmici in atto. Per identico motivo la luce indirizzata verso lui, verso l'orizzonte degli eventi del buco nero, apparirà con frequenza (lunghezza d'onda) opposta a quella in allontanamento: un blue-shift invece che red-shift. La forma dell'orizzonte degli eventi di un buco nero è sempre approssimativamente sferica. Per quelli non rotanti (o statici) la sua geometria è simmetrica (tutti i punti del suo confine distano ugualmente dal centro gravitazionale), mentre per buchi neri rotanti la forma è oblata (allargata lungo l'asse di rotazione) in misura più o meno pronunciata a secondo della velocità rotatoria: effetto calcolato da Larry Smarr (Stanford University) nel 1973. Al centro di un buco nero, come descritto dalla relatività generale, si trova una singolarità gravitazionale, una regione in cui la curvatura dello spaziotempo diventa infinita.[43] Per un buco nero non rotante, questa regione prende la forma di un unico punto, mentre per un buco nero rotante viene spalmata per formare una singolarità ad anello giacente nel piano di rotazione. In entrambi i casi, la regione singolare ha volume pari a zero. Si può dimostrare che la regione singolare contiene tutta la massa del buco nero. La regione singolare può quindi essere pensata come avente densità infinita. Gli osservatori che cadono in un buco nero di Schwarzschild (cioè, non rotante e non carico) non possono evitare di essere trasportati nella singolarità una volta che attraversano l'orizzonte degli eventi. Gli osservatori possono prolungare l'esperienza accelerando verso l'esterno per rallentare la loro discesa, ma fino a un certo punto; dopo aver raggiunto una certa velocità ideale, è meglio la caduta libera per proseguire. Quando raggiungono la singolarità, sono schiacciati a densità infinita e la loro massa è aggiunta alla massa totale del buco nero. Prima che ciò accada, essi sono comunque stati fatti a pezzi dalle crescenti forze di marea in un processo a volte indicato come spaghettificazione o "effetto pasta". Nel caso di un buco nero rotante (Kerr) o carico (Reissner-Nordström), è possibile evitare la singolarità. Estendendo queste soluzioni per quanto possibile, si rivela la probabilità, altamente ipotetico-speculativa, di un'uscita dal buco nero verso regioni spazio-temporali differenti e lontane (eventualmente anche altri universi), col buco che funge da tunnel spaziale. Comunque questa possibilità finora pare non più che teorica in quanto pur lievi perturbazioni basterebbero a distruggerne la via.[50] Sembrano inoltre non impossibili curve spaziotemporali chiuse di tipo tempo (che permetterebbero di ripercorrere il proprio passato) intorno alle singolarità di Kerr, però ciò implicherebbe problemi di causalità come il paradosso del nonno. Parte della comunità scientifica valuta che nessuno di questi effetti particolari possa verificarsi in un corretto trattamento quantico dei buchi neri rotanti e carichi. La comparsa delle singolarità nella relatività generale è comunemente considerata elemento di rottura della teoria stessa. Tale inadeguatezza viene compensata dal ricorso alla fisica quantistica quando a descrivere detti processi si considerano gli effetti quantistici dovuti alla densità estremamente elevata della materia e pertanto alle interazioni tra particelle secondo la meccanica dei quanti. Non è stato ancora possibile combinare effetti quantistici e gravitazionali in una singola teoria, sebbene esistano tentativi di formulare una gravità quantistica. Si pensa che una tale teoria possa riuscire a escludere la presenza delle singolarità e dunque dei problemi fisici che esse pongono. Il 10 dicembre 2018, Abhay Ashtekar, Javier Olmedo e Parampreet Singh hanno pubblicato un articolo scientifico nel campo della teoria della gravità ad anello che prevede l'assenza di singolarità centrale all'interno del buco nero, senza specificare geometricamente il futuro della materia a questo punto mentre il modello Janus propone una spiegazione. Questo nuovo studio fornisce le stesse conclusioni di quelli ottenuti da lavori precedenti basati sulla relatività generale. La sfera fotonica è un confine sferico di spessore nullo tale che i fotoni che si spostano tangenti alla sfera sono intrappolati in un'orbita circolare. Per i buchi neri non-rotanti, la sfera fotonica ha un raggio di 1,5 volte il raggio di Schwarzschild. Le orbite sono dinamicamente instabili, quindi ogni piccola perturbazione (come una particella di materia in caduta) aumenterà nel tempo, o tracciando una traiettoria verso l'esterno che sfuggirà al buco nero o una spirale verso l'interno che eventualmente attraverserà l'orizzonte degli eventi. Mentre la luce può ancora sfuggire dall'interno della sfera fotonica, ogni luce che l'attraversi con una traiettoria in entrata sarà catturata dal buco nero. Quindi qualsiasi luce che raggiunga un osservatore esterno dall'interno della sfera fotonica deve essere stata emessa da oggetti all'interno della sfera, ma ancora fuori dell'orizzonte degli eventi. Altri oggetti compatti, come le stelle di neutroni, possono avere sfere fotoniche. Ciò deriva dal fatto che il campo gravitazionale di un oggetto non dipende dalla sua dimensione effettiva, quindi ogni oggetto più piccolo di 1,5 volte il raggio di Schwarzschild corrispondente alla sua massa può effettivamente avere una sfera di fotoni. I buchi neri rotanti sono circondati da una regione dello spazio-tempo in cui è impossibile stare fermi chiamata ergosfera. Questo è il risultato di un processo noto come effetto di trascinamento; la relatività generale predice che qualsiasi massa rotante tenderà a "trascinare" leggermente tutto lo spazio-tempo immediatamente circostante. Qualsiasi oggetto vicino alla massa rotante tenderà a muoversi nella direzione della rotazione. Per un buco nero rotante questo effetto diventa così forte vicino all'orizzonte degli eventi che un oggetto, solo per fermarsi, dovrebbe spostarsi più veloce della velocità della luce nella direzione opposta. L'ergosfera di un buco nero è delimitata nella sua parte interna dal confine dell'orizzonte degli eventi (esterno) e da un sferoide schiacciato, che coincide con l'orizzonte degli eventi ai poli ed è notevolmente più largo intorno all'equatore. Il confine esterno è talvolta chiamato ergo-superficie. Gli oggetti e le radiazioni normalmente possono sfuggire dall'ergosfera. Attraverso il processo di Penrose, gli oggetti possono emergere dall'ergosfera con energia maggiore di quella d'entrata. Questa energia viene prelevata dalla energia di rotazione del buco nero, facendolo rallentare. Considerando la natura esotica dei buchi neri, può essere naturale domandarsi se tali oggetti possano esistere in natura o asserire che siano soltanto soluzioni "patologiche" delle equazioni di Einstein. Einstein stesso pensò erroneamente che i buchi neri non si sarebbero formati perché ritenne che il momento angolare delle particelle collassate avrebbe stabilizzato il loro moto a un certo raggio. Ciò condusse i relativisti del periodo a rigettare tutti i risultati contrari a questa teoria per molti anni. Tuttavia, una minoranza continuò a sostenere che i buchi neri fossero oggetti fisici e, per la fine del 1960, la maggior parte dei ricercatori era convinta che non vi fosse alcun ostacolo alla formazione di un orizzonte degli eventi. Penrose dimostrò che una volta formatosi un orizzonte degli eventi, si forma una singolarità da qualche parte all'interno di esso. Poco dopo, Hawking dimostrò che molte soluzioni cosmologiche che descrivono il Big Bang hanno singolarità senza campi scalari o altra materia esotica (cfr. teoremi di singolarità di Penrose-Hawking). La soluzione di Kerr, il teorema no-hair e le leggi della termodinamica dei buchi neri hanno dimostrato che le proprietà fisiche dei buchi neri sono relativamente semplici, il che li rende "oggetti rispettabili per la ricerca". Si pensa che il processo di formazione primaria per i buchi neri sia il collasso gravitazionale di oggetti pesanti come le stelle, ma ci sono anche processi più esotici che possono portare alla produzione di buchi neri. Verso il termine del proprio ciclo vitale, dopo aver consumato tramite fusione nucleare il 90% dell'idrogeno trasformandolo in elio, nel nucleo della stella si arrestano le reazioni nucleari. La forza gravitazionale, che prima era in equilibrio con la pressione generata dalle reazioni di fusione nucleare, prevale e comprime la massa della stella verso il suo centro. Quando la densità diventa sufficientemente elevata può innescarsi la fusione nucleare dell'elio, in seguito alla quale c'è la produzione di litio, azoto e altri elementi (fino all'ossigeno e al silicio). Durante questa fase la stella si espande e si contrae violentemente più volte espellendo parte della propria massa. Le stelle più piccole si fermano a un certo punto della catena e si spengono, raffreddandosi e contraendosi lentamente, attraversano lo stadio di nana bianca e nel corso di molti milioni di anni diventano una sorta di gigantesco pianeta. In questo stadio la forza gravitazionale è bilanciata da un fenomeno quantistico, detto pressione di degenerazione, legato al principio di esclusione di Pauli. Per le nane bianche la pressione di degenerazione è presente tra gli elettroni. Se invece il nucleo della stella supera una massa critica, detta limite di Chandrasekhar e pari a 1,44 volte la massa solare, le reazioni possono arrivare fino alla sintesi del ferro. La reazione che sintetizza il ferro per la formazione di elementi più pesanti è endotermica, richiede energia invece che emetterne, quindi il nucleo della stella diventa una massa inerte di ferro e non presentando più reazioni nucleari non c'è più nulla in grado di opporsi al collasso gravitazionale. A questo punto la stella subisce una contrazione fortissima che fa entrare in gioco la pressione di degenerazione tra i componenti dei nuclei atomici. La pressione di degenerazione arresta bruscamente il processo di contrazione, ma in questo caso può provocare una gigantesca esplosione, detta esplosione di supernova di tipo II. Durante l'esplosione quel che resta della stella espelle gran parte della propria massa, che va a disperdersi nell'universo circostante. Quello che rimane è un nucleo estremamente denso e massiccio. Se la sua massa è abbastanza piccola da permettere alla pressione di degenerazione di contrastare la forza di gravità si arriva a una situazione di equilibrio e si forma una stella di neutroni. Se la massa supera le tre masse solari (limite di Volkoff-Oppenheimer) non c'è più niente che possa contrastare la forza gravitazionale. Inoltre, secondo la relatività generale, la pressione interna non viene più esercitata verso l'esterno (in modo da contrastare il campo gravitazionale), ma diventa essa stessa una sorgente del campo gravitazionale rendendo così inevitabile il collasso infinito. A questo punto la densità della stella morente, ormai diventata un buco nero, raggiunge velocemente valori tali da creare un campo gravitazionale talmente intenso da non permettere a nulla di sfuggire alla sua attrazione, neppure alla luce. È stato teorizzato che la curvatura infinita dello spaziotempo può far nascere un ponte di Einstein-Rosen o cunicolo spazio-temporale. A causa delle loro caratteristiche i buchi neri non possono essere "visti" direttamente ma la loro presenza può essere ipotizzata a causa degli effetti di attrazione gravitazionale che esercitano nei confronti della materia vicina e della radiazione luminosa in transito nei paraggi o "in caduta" sul buco. Esistono anche altri scenari che possono portare alla formazione di un buco nero. In particolare una stella di neutroni in un sistema binario può rubare massa alla sua vicina fino a superare la massa di Chandrasekhar e collassare. Alcuni indizi suggeriscono che questo meccanismo di formazione sia più frequente di quello "diretto". Un altro scenario permette la formazione di buchi neri con massa inferiore alla massa di Chandrasekhar. Anche una quantità arbitrariamente piccola di materia, se compressa da una gigantesca forza esterna, potrebbe in teoria collassare e generare un orizzonte degli eventi molto piccolo. Le condizioni necessarie potrebbero essersi verificate nel primo periodo di vita dell'universo, quando la sua densità media era ancora molto alta a causa di variazioni di densità o di onde di pressione. Questa ipotesi è ancora completamente speculativa e non ci sono indizi che buchi neri di questo tipo esistano o siano esistiti in passato. Il collasso gravitazionale richiede una grande densità. Al momento nell'universo queste alte densità si trovano solo nelle stelle, ma nell'universo primordiale, poco dopo il Big Bang, le densità erano molto più elevate, e ciò probabilmente permise la creazione di buchi neri. Tuttavia la sola alta densità non è sufficiente a consentire la formazione di buchi neri poiché una distribuzione di massa uniforme non consente alla massa di convergere. Affinché si formino dei buchi neri primordiali, sono necessarie delle perturbazioni di densità che possano poi crescere grazie alla loro stessa gravità. Vi sono diversi modelli di universo primordiale che variano notevolmente nelle loro previsioni della dimensione di queste perturbazioni. Molti prevedono la creazione di buchi neri, che vanno da una massa di Planck a centinaia di migliaia di masse solari. I buchi neri primordiali potrebbero così spiegare la creazione di qualsiasi tipo di buco nero. La caratteristica fondamentale dei buchi neri è che il loro campo gravitazionale divide idealmente lo spaziotempo in due o più parti separate fra di loro da un orizzonte degli eventi. Un'informazione fisica (come un'onda elettromagnetica o una particella) potrà oltrepassare un orizzonte degli eventi in una direzione soltanto. Nel caso ideale, e più semplice, di un buco nero elettricamente scarico e non rotante (buco nero di Schwarzschild) esiste un solo orizzonte degli eventi che è una sfera centrata nell'astro e di raggio pari al raggio di Schwarzschild, che è funzione della massa del buco stesso. Una frase coniata dal fisico John Archibald Wheeler, un buco nero non ha capelli, sta a significare che tutte le informazioni sugli oggetti o segnali che cadono in un buco nero vengono perdute con l'eccezione di tre fattori: massa, carica e momento angolare. Il corrispondente teorema è stato dimostrato da Wheeler, che è anche colui che ha dato il nome a questi oggetti astronomici. In realtà un buco nero potrebbe non essere del tutto nero: esso potrebbe emettere particelle, in quantità inversamente proporzionale alla sua massa, portando a una sorta di evaporazione. Questo fenomeno, proposto dal fisico Stephen Hawking nel 1974, è noto come radiazione di Hawking ed è alla base della termodinamica dei buchi neri. Alcune sue osservazioni sull'orizzonte degli eventi dei buchi neri, inoltre, hanno portato alla formulazione del principio olografico. Esiste una simulazione, effettuata al computer da alcuni ricercatori sulla base di osservazioni, che mostra l'incontro di una stella simile al Sole con un buco nero supermassiccio, dove la stella viene "triturata" e mentre alcuni detriti stellari "cadono" nel buco nero, altri vengono espulsi nello spazio a velocità elevata. Un gruppo di astronomi analizzando i dati del Chandra X-ray Observatory della NASA ha invece scoperto l'espulsione di un buco nero ad altissima velocità dal centro di una galassia, dopo la fusione di due galassie. Altri effetti fisici sono associati all'orizzonte degli eventi, in particolare per la relatività generale il tempo proprio di un osservatore in caduta libera, agli occhi di un osservatore distante, appare più lento con l'aumentare del campo gravitazionale fino ad arrestarsi completamente sull'orizzonte. Quindi un astronauta che stesse precipitando verso un buco nero, se potesse sopravvivere all'enorme gradiente del campo gravitazionale, non percepirebbe nulla di strano all'avvicinarsi dell'orizzonte; al contrario un osservatore esterno vedrebbe i movimenti dello sfortunato astronauta rallentare progressivamente fino ad arrestarsi del tutto quando si trova a distanza uguale al raggio di Schwarzschild dal centro del buco nero. Al contrario degli oggetti dotati di massa, i fotoni non vengono rallentati o accelerati dal campo gravitazionale del buco nero, ma subiscono un fortissimo spostamento verso il rosso (in uscita) o verso il blu (in entrata). Un fotone prodotto o posto esattamente sull'orizzonte degli eventi, diretto verso l'esterno del buco nero, subirebbe un tale spostamento verso il rosso da allungare all'infinito la sua lunghezza d'onda (la sua energia quindi diminuirebbe scendendo all'incirca a zero). Uno dei primi oggetti nella Via Lattea candidati a essere un buco nero fu la sorgente di raggi X chiamata Cygnus X-1. Si ipotizza che enormi buchi neri (di massa pari a milioni di volte quella del Sole) esistano al centro delle galassie, la nostra e nella galassia di Andromeda. In questo caso si definiscono buchi neri supermassicci, la cui esistenza può essere verificata in modo indiretto misurando l'effetto sulla materia circostante del loro intenso campo gravitazionale. Nel nucleo centrale della nostra galassia, in particolare, si osserva l'esistenza di una forte sorgente radio ma molto compatta - nota come Sagittarius A* - la cui alta densità risulta compatibile solo con la struttura di un buco nero. Attualmente si calcola che le galassie osservabili abbiano di norma tale genere di buco nero nel loro nucleo: ciò permette anche di spiegare la forte emissione radiativa delle galassie attive (considerando la sequenza che comprende galassie come la nostra fino ai QSO). In pratica una trasformazione d'energia gravitazionale in energia elettromagnetica e cinetica attraverso la rotazione di ogni disco di accrescimento gassoso che tipicamente circonda i buchi neri. Un analogo fisico di un buco nero è il comportamento delle onde sonore in prossimità di un ugello de Laval: una strozzatura utilizzata negli scarichi dei razzi che fa passare il flusso dal regime subsonico a supersonico. Prima dell'ugello le onde sonore possono risalire il flusso del getto, mentre dopo averlo attraversato ciò è impossibile perché il flusso è supersonico, quindi più veloce del suono. Altri analoghi possono essere le onde superficiali in un liquido in moto in un canale circolare con altezza decrescente, un tubo per onde elettromagnetiche la cui velocità è alterata da un laser, una nube di gas di forma ellissoidale in espansione lungo l'asse maggiore. Tutti questi modelli, se raffreddati fino alla condizione di condensato di Bose - Einstein, dovrebbero presentare l'analogo della radiazione di Hawking, e possono essere usati per correggere le previsioni di quest'ultima: come un fluido ideale, la teoria di Hawking considera la velocità della luce (suono) costante, indipendentemente dalla lunghezza d'onda (comportamento detto di Tipo I). Nei fluidi reali la velocità può aumentare (Tipo II) o diminuire (Tipo III) all'aumentare della lunghezza d'onda. Analogamente dovrebbe avvenire con la luce, ma se il risultato fosse che lo spazio tempo diffonde la luce come il Tipo II o il Tipo III, andrebbe modificata la relatività generale, cosa già nota perché per le onde con lunghezza d'onda prossima alla lunghezza di Planck diventa significativa la gravitazione quantistica. Restando invece nel campo relativistico (ossia relativo alla teoria della relatività), poiché per descrivere un buco nero sono sufficienti tre parametri - massa, momento angolare e carica elettrica - i modelli matematici derivabili come soluzioni dell'equazione di campo della relatività generale si riconducono a quattro:
  • Buco nero di Shwarzshild: È la soluzione più semplice in quanto riguarda oggetti non rotanti e privi di carica elettrica, ma è anche piuttosto improbabile nella realtà, poiché un oggetto dotato anche di una minima rotazione una volta contratto in buco nero deve aumentare enormemente la sua velocità angolare in virtù del principio di conservazione del momento angolare. 
  • Buco nero di Kerr: Deriva da oggetti rotanti e privi di carica elettrica, caso che presumibilmente corrisponde alla situazione reale. Buco nero risultante dal collasso di una stella in rotazione nel quale la singolarità non è più un punto, ma assume la forma di un anello a causa della rotazione. Per questa ragione si formeranno non uno ma due orizzonti degli eventi distinti. La rotazione del buco nero fa sì che si formi la cosiddetta ergosfera. Questa è la zona immediatamente circostante all'orizzonte esterno causata dall'intenso campo gravitazionale dove lo spaziotempo oltre a essere curvato entra in rotazione trascinato dalla rotazione del buco nero come un gigantesco vortice.
  • Buco nero di Kerr-Newman: Riguarda la situazione in cui si ha sia rotazione sia la carica elettrica ed è la soluzione più generale. In tale situazione lo spazio tempo non sarà asintoticamente piatto a causa della presenza del campo elettromagnetico.
  • Buco nero di Reissner-Nordström: È il caso di un buco nero dotato di carica elettrica ma non rotante. Valgono le stesse considerazioni fatte sul buco nero di Kerr-Newman a proposito del comportamento asintotico.

Primati: Per quanto riguarda i buchi neri supermassicci, TON 618 è un quasar distante 10,4 miliardi di anni luce dalla Terra che contiene un buco nero con massa pari a 66 miliardi di masse solari, il quale è, a oggi, il più grande buco nero mai scoperto. Per quanto invece riguarda i buchi neri stellari, nel novembre del 2019 è stata annunciata su Nature la scoperta di un buco nero stellare di massa pari a 70 masse solari. Tale buco nero, ribattezzato LB-1 B (o LB-1 *) e distante circa 13 800 anni luce dalla Terra, fa parte di un sistema binario chiamato LB-1 ed è, a oggi, un enigma per gli astrofisici, poiché la sua massa è molto più grande di quanto fosse mai stato ipotizzato in base agli odierni modelli di evoluzione stellare. 

Ipotesi alternative ai Buchi neri: Prima dello scatto della foto all'orizzonte degli eventi del buco nero M87, alcuni scienziati avevano messo in dubbio l'esistenza di tali oggetti come sono attualmente definiti e avevano ipotizzato che i corpi celesti identificati attualmente come buchi neri ma fino ad allora solo osservati indirettamente fossero in realtà "stelle nere" prive di orizzonte degli eventi. «Noi abbiamo dimostrato che certi effetti quantistici possono impedire ai buchi neri di formarsi, producendo invece un oggetto chiamato "stella nera", che non arriverebbe a densità infinita e non sarebbe avvolto dall'orizzonte degli eventi.» Tali scienziati hanno visto come la definizione attuale di buco nero provochi alcuni paradossi: uno di questi è quello della perdita di informazioni. Questo paradosso consiste nel fatto che un buco nero, che contiene al suo interno un'enorme quantità di informazioni, evapori emettendo la radiazione di Hawking, che tuttavia non porta con sé nessuna informazione. Di conseguenza, durante l'evaporazione del buco nero, le informazioni contenute in esso svaniscono nel nulla. Questa perdita di informazioni contraddice una proprietà fondamentale della meccanica quantistica, l'unitarietà, secondo cui nessuna informazione può essere distrutta e costituisce il cosiddetto paradosso dell'informazione dei buchi neri. Secondo la teoria delle stelle nere alcuni effetti quantistici (RSET) controbilancerebbero l'attrazione gravitazionale, impedendo così alla stella collassante di diventare un buco nero. Esse diventerebbero invece stelle nere che hanno alcune proprietà osservabili in comune con i buchi neri, ma anche molte differenze. Esse sarebbero infatti corpi materiali estremamente densi, fatti di materia densa e privi di orizzonte degli eventi. Sarebbero estremamente fioche a causa di un intenso spostamento verso il rosso della luce da loro emessa. Potrebbero emettere una radiazione analoga a quella di Hawking ma in questo caso non ci sarebbe perdita di informazioni (in quanto le radiazioni emesse dalle stelle nere, a differenza di quella di Hawking, trasporterebbero informazioni) e dunque il principio di unitarietà non verrebbe violato. Poco prima della sua scomparsa, lo stesso Hawking pubblicò un articolo secondo cui le perturbazioni quantistiche in prossimità dell'orizzonte degli eventi permettono alla radiazione a lui intitolata di trasportare informazione (non essendo quindi prettamente termica) e grazie al principio di corrispondenza AdS/CFT l'informazione venga comunque conservata. In astrofisica, la teoria della gravastar è stata proposta da Pawel Mazur e Emil Mottola, come alternativa al modello dei buchi neri. Contro l'idea di una stella che collassa fino a divenire un oggetto di densità infinita, generando una singolarità nello spazio-tempo, la teoria delle gravastar afferma che, quando un oggetto va incontro a collasso gravitazionale, nella regione di spazio in cui si trova si determinerebbe una transizione di fase quantistica che argina il collasso definitivo. La stella si trasforma infine in una bolla sferica di vuoto carico di energia oscura o energia del vuoto. Questa bolla di vuoto denso d'energia è racchiusa da una crosta di materia iperdensa. Nel marzo del 2005, il fisico George Chapline al Lawrence Livermore National Laboratory in California ha affermato che la meccanica quantistica molto probabilmente non ammette buchi neri, che sono invece stelle di energia oscura. Queste stelle sono anche chiamate gravastar. La teoria è controversa fra gli astrofisici, poiché il modello delle gravastar richiede che si accetti una concezione alquanto speculativa di una teoria quantistica della gravità, e d'altro canto non presenta alcun vantaggio esplicativo rispetto al modello dei buchi neri. Inoltre, nessuna delle teorie che vogliano costituire una teoria quantistica della gravità implica effettivamente che lo spazio debba comportarsi come indicato da Mottola e Mazur. Il nome gravastar è una semplice sigla, derivata dalle parole inglesi GRAvitational VAcuum STAR (stella di vuoto gravitazionale). Una traduzione italiana del termine potrebbe essere gravistella, in analogia con quasistella, che traduce l'altra sigla inglese quasar. Mazur e Mottola hanno suggerito che le gravastar potrebbero fornire una soluzione ai paradossi relativi alla perdita di informazione nei buchi neri, e che potrebbero essere la causa dei lampi di raggi gamma. È opinione di molti che esistano modelli molto meno radicali e speculativi atti a risolvere i problemi teorici relativi alle due questioni qui prese in considerazione. Vista dall'esterno, una gravastar sembra simile a un buco nero. È visibile solo grazie alle emissioni di radiazioni ad alta energia generate dal consumo di materia che eventualmente provenga dallo spazio nelle sue immediate vicinanze. Gli astronomi osservano di continuo in cielo i raggi x emessi dalla materia che i presunti buchi neri assorbono, e così ne scoprono la presenza. Una gravastar produce segnali identici. All'interno di una gravastar, tuttavia, lo spazio-tempo si troverebbe in condizioni estreme, tali da produrre l'azione di una forza repulsiva (dal centro della stella verso la superficie) pari alla forza gravitazionale che tenderebbe di per sé a far implodere l'astro su se stesso, trasformandolo in un vero e proprio buco nero. Questa forza repulsiva è la manifestazione di quella stessa energia oscura la cui azione nello spazio interstellare distorce e sposta verso il rosso lo spettro delle supernovae lontane, e che tende a far espandere lo spazio-tempo molto più rapidamente di quanto le teorie del big bang prevedrebbero. La gravastar costituirebbe dunque la forma estrema dell'equilibrio dinamico, tipico di ogni stella, fra gravità e forze espansive. Intorno al vuoto che si genera nella gravastar, si troverebbe, come si è accennato, una bolla di materia densissima, una forma estrema di condensato di Bose-Einstein, nel quale tutta la materia (protoni, neutroni, elettroni), si converte in uno stato quantico, creando un super atomo. Nel 2002 lo scienziato e astronomo Samir Mathur ha proposto una variante del modello dei buchi neri nel contesto della teoria delle stringhe. In questo modello si prevede che esista una regione di spazio in cui materia e radiazione possono risultare definitivamente intrappolati, come avviene per i buchi neri, ma il confine di tale regione (l'orizzonte degli eventi) non sarebbe una superficie in senso classico se visto a una scala microscopica. Per questo modello, quindi, è stato proposto il nome "fuzzball", ossia "palla pelosa". In fisica, il principio olografico è una congettura riguardante la gravità quantistica, proposta da Gerardus 't Hooft e sviluppata da Leonard Susskind,[2] secondo cui l'intera informazione contenuta in un volume di spazio può essere rappresentata da una teoria che si situa sul bordo dell'area esaminata. Il principio olografico prende spunto da calcoli effettuati sulla termodinamica dei buchi neri, che implicano che l'entropia (o informazione) massima contenibile in una regione è proporzionale alla superficie che racchiude la regione, non al suo volume come ci si aspetterebbe (ovvero al quadrato del raggio piuttosto che al cubo). Nel 1972, lo scienziato e astronomo Jacob Bekenstein si domandò cosa accade a un oggetto con entropia, ad esempio un gas caldo, quando varca l'orizzonte degli eventi di un buco nero: se essa scomparisse ciò comporterebbe una violazione del secondo principio della termodinamica, in quanto il contenuto aleatorio del gas (l'entropia) sparirebbe una volta assorbito dal buco nero. La seconda legge può essere salvaguardata solo se si considerano i buchi neri come oggetti aleatori, con un'enorme entropia, il cui incremento compensi abbondantemente l'entropia del gas risucchiato. Nel 1981 il fisico e cosmologo Stephen Hawking mise in luce un paradosso apparentemente insormontabile: il paradosso dell'informazione del buco nero in seguito all'evaporazione dei buchi neri (radiazione di Hawking), fenomeno previsto dalla caratterizzazione dei buchi neri come oggetti termodinamici e da lui calcolato quantificando gli effetti della fluttuazione quantistica in corrispondenza all'orizzonte degli eventi. In seguito a tale evaporazione quantistica, con conseguente dissolvimento del buco nero, l'informazione passata oltre il punto di non ritorno sparirebbe, violando il principio di conservazione dell'informazione (ovvero il primo principio della termodinamica). Questo perché i processi che distruggono le informazioni non obbediscono alle leggi della fisica: se una mela e una arancia cadono oltre l'orizzonte degli eventi di un buco nero la materia vi rimane intrappolata finché il buco nero non evapora attraverso la radiazione di Hawking, e dopo che l'evaporazione è finita non sembra esserci alcun modo per determinare una qualsiasi informazione: es. quale frutto sia entrato per primo, neanche in linea di principio. L'evaporazione di Hawking è casuale e non contiene alcun tipo di informazione. Ciò porta in ultima analisi alla violazione di una proprietà fondamentale della meccanica quantistica: l'unitarietà (la conservazione della somma unitaria delle probabilità nell'evoluzione di un sistema), un altro modo per esprimere il paradosso informativo. Il premio Nobel della fisica Gerardus 't Hooft immaginò che tale violazione derivasse dall'approccio semi-classico di Hawking, e che il paradosso sarebbe svanito sviluppando una teoria unitaria della gravità quantistica. Hooft suppose che presso l'orizzonte degli eventi i campi quantistici possano essere descritti da una teoria con una dimensione di meno, e ciò lo portò, parallelamente a Leonard Susskind, all'introduzione del principio olografico. Nel 1993 il fisico teorico Leonard Susskind propose una soluzione del paradosso basata sul principio di complementarità (concetto mutuato dalla meccanica quantistica): il gas in caduta varcherebbe "o" non varcherebbe l'orizzonte, a seconda del punto di vista. Per un osservatore che seguisse il gas in caduta libera, l'attraversamento dell'orizzonte avverrebbe senza particolari fenomeni di soglia, in conformità al primo postulato della relatività ristretta e al principio di equivalenza dovuti ad Albert Einstein, mentre da un punto di vista esterno un osservatore "vedrebbe" le stringhe, ovvero i componenti elementari del gas, allargare le spire fino ad abbracciare la superficie dell'orizzonte degli eventi, sopra il quale si manterrebbe tutta l'informazione senza oltrepassarlo e senza alcuna perdita per l'esterno, nemmeno per successiva evaporazione. Fenomeni estremi avverrebbero nella singolarità, indescrivibili internamente, ma tali fenomeni sono complementari all'evaporazione, descrivibile esternamente all'orizzonte, dove l'informazione si dispone in superficie come su un ologramma. In sostanza l'informazione che si credeva perduta è confinata e codificata sulla superficie dell'orizzonte degli eventi, quindi non è persa. Il principio olografico risolve dunque il paradosso informativo nel contesto della teoria delle stringhe. Nel caso del buco nero, la teoria olografica comporta che il contenuto informativo caduto nel buco nero sia interamente conservato in corrispondenza dell'orizzonte degli eventi nella misura calcolata di un'area di Planck per ogni bit d'informazione aggiunto (fotone in entrata di lunghezza d'onda pari al diametro dell'orizzonte). Il gas in caduta nel buco nero allora varca "o" non varca l'orizzonte degli eventi? La soluzione è insita nella seguente domanda: quanto è grande una stringa (l'atomo, l'indivisibile)? Ebbene la risposta dipende dal punto di vista: l'atomo ha dimensioni infinitesime, e però cadendo in un buco nero ne avvolge l'orizzonte degli eventi come una guaina elastica stirata anche milioni di chilometri. Se tale soluzione suona strana ciò è niente rispetto a quel che viene di conseguenza, sempre secondo Susskind, il principio olografico vale non solo per i buchi neri in relazione all'orizzonte degli eventi, in condizioni estreme, ma anche per descrivere la realtà fisica comunemente percepita, in relazione all'orizzonte degli eventi cosmico, ovvero al confine sferico rispetto al punto di vista centrale, dove l'espansione del cosmo tende alla velocità della luce. Come per il buco nero, un osservatore situato sulla soglia dell'orizzonte cosmologico, ma ancora in contatto causale col centro, "vedrebbe" le stringhe, ovvero i componenti elementari della materia sensibile situata al centro dipanarsi e avvolgersi sulla superficie dell'orizzonte. Secondo il principio olografico, eventi percepiti internamente all'orizzonte come tridimensionali (a bassa frequenza e bassa energia, cosiddetti infrarossi) sono componenti a bassa frequenza di eventi estremi (ad alta frequenza ed alta energia, cosiddetti ultravioletti) che avvengono sulla superficie sferica bidimensionale dell'orizzonte cosmologico. Il fisico Juan Maldacena nel 1997 dimostrò che all'interno di uno Spazio Anti de Sitter la teoria della gravitazione è equivalente a una teoria quantomeccanica in uno spazio con una dimensione in meno. Il risultato lega la gravitazione alla meccanica quantistica, la cui unificazione rappresentava una chimera della fisica teorica fin dai tempi di Einstein. La soluzione matematica del principio olografico è stata ricavata per un particolare tipo di spazio tempo a curvatura negativa: lo spazio anti de Sitter, a costante cosmologica negativa: tuttavia ciò è all'opposto di quella misurata astronomicamente per il nostro universo, sostanzialmente piatto e a curvatura lievemente positiva, cioè uno spazio di de Sitter caratterizzato da una pressione di vuoto (energia oscura), dunque instabile, asimmetrico e sulla curva ancora in lieve pendenza di un'espansione inflativa esponenziale (attualmente 73,2 chilometri al secondo per ogni 3,26 milioni di anni luce), e con un orizzonte degli eventi cosmologico. Daniel Grumiller nel 2014 ha validato il principio olografico in uno spazio tridimensionale sostanzialmente piatto, simile a quello dove viviamo, misurando la quantità di informazioni quantistiche di entanglement in un sistema (due particelle quantistiche in entanglement non possono essere descritte individualmente ma formano un unico oggetto quantistico, anche se molto distanti), e dimostrando che la misura della quantità di entaglement in un sistema (detta "entropia di entanglement") assume lo stesso valore sia secondo una teoria quantomeccanica in uno spazio bidimensionale, sia secondo una teoria della gravità quantistica in uno spazio tridimensionale piatto. L'equivalenza conferma che il principio olografico vale in uno spazio tridimensionale sostanzialmente piatto, e cioè caratterizzato da una costante cosmologica simile a quella misurata per il nostro universo. Sono state studiate a più riprese (a incominciare da Albert Einstein e Nathan Rosen negli anni trenta) altre soluzioni delle equazioni della relatività generale con singolarità dette buchi bianchi. Sono anche state ipotizzate, sempre a livello teorico, soluzioni ottenute per incollamento di due soluzioni con singolarità. Questi sono detti ponti di Einstein-Rosen o wormholes. Le possibili (controverse) interpretazioni fisiche di soluzioni di questo tipo hanno acceso la fantasia di numerosi scrittori di fantascienza.


Stella di Quark

Una stella di quark, detta anche stella strana, è un tipo di stella ipotetico composta da materia strana. La materia strana è uno stato ultradenso della materia che si pensa si trovi all'interno di stelle di neutroni particolarmente massicce. Si ritiene che quando il neutronio che compone una stella di neutroni viene sottoposto ad una pressione sufficiente che origina dalla gravità della stella stessa, i singoli neutroni si rompono e i quark che li compongono formano la materia strana. La stella allora diviene una stella di quark o stella strana. La materia strana è composta da quark up, quark down e quark strange legati direttamente tra di loro in modo simile a quello in cui il neutronio è composto da neutroni; una stella di quark è essenzialmente un singolo gigantesco adrone. Una stella di quark si trova al confine tra una stella di neutroni ed un buco nero sia in termini di massa che di densità e se si aggiunge una quantità sufficiente di materia alla stella di quark essa collasserà subito in un buco nero. La materia strana è uno dei candidati costituenti della materia oscura prevista in numerose teorie cosmologiche. Allo stato attuale la stella di quark è fortemente ipotetica, tuttavia osservazioni effettuate il 10 aprile 2002 con il Chandra X-ray Observatory hanno riscontrato due candidate, designate con le sigle RX J185635-3754 e 3C 58, precedentemente considerate stelle di neutroni. La prima delle due risulta molto più piccola e la seconda molto più fredda di quello che dovrebbero essere secondo le leggi fisiche oggi conosciute, suggerendo l'ipotesi che esse siano composte da materia più densa del neutronio. Queste osservazioni sono comunque poste in dubbio dai ricercatori i quali ritengono che tali risultati non siano conclusivi; rimane pertanto controversa la questione dell'esistenza delle stelle strane. 


Stelle di Preoni

Una stella di preoni è un'ipotetica stella degenere costituita da preoni, una classe di particelle subatomiche teoriche che potrebbero costituire i quark e i leptoni. Gli astrofisici ritengono che tali stelle potrebbero avere delle enormi densità, superiori persino a 1020 g/cm³, una densità intermedia tra le stelle di quark e i buchi neri. Stando a quanto detto, una stella di preoni che abbia una massa simile a quella della Terra avrebbe le dimensioni di una pallina da tennis. Tali oggetti potrebbero esser rilevati in linea di principio tramite l'effetto lente gravitazionale dei raggi gamma; la presenza di simili stelle potrebbe potenzialmente spiegare le enigmatiche osservazioni che hanno portato alla formulazione dell'ipotesi della materia oscura. Si ritiene che le stelle preoniche si originino dalle esplosioni delle supernovae o si siano formate durante il Big bang, sebbene sembri difficile spiegare in che modo possano essersi formati degli oggetti così pesanti e compatti.


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