Super Terra: un nuovo tipo di pianeta?

La Terra: un pianeta dalle dimensioni modeste. Secondo gli astronomi, nello Spazio, esistono pianeti simili al nostro, ma con delle differenze, come la composizione, la distanza dalla stella madre o... la massa! Potrebbero perfettamente esistere pianeti gemelli della Terra ma molto, molto più grandi. Ma potrebbero essere abitabili? Come sono fatti? Cosa hanno di speciale, tanto da meritarsi il nome di Super Terre? Seguiteci su Eagle sera per scoprirlo.


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Super Terre: cosa sono?

In astronomia si definisce super Terra un pianeta extrasolare di tipo roccioso che abbia una massa compresa tra 1,9-5 e 10 masse terrestri (M⊕); questa classe di pianeti è dunque una via di mezzo tra i giganti gassosi di massa simile ad Urano e Nettuno ed i pianeti rocciosi di dimensioni simili alla Terra. Il nostro sistema solare non contiene pianeti classificabili in questa categoria, in quanto il pianeta roccioso più grande è proprio la Terra e il pianeta immediatamente di massa maggiore, Urano, è un gigante gassoso con una massa pari a circa 14 volte quella terrestre. Il termine "super Terra" si riferisce esclusivamente alla massa del pianeta, e non considera altre proprietà quali condizioni in superficie o eventuale abitabilità. Per evitare potenziali ambiguità sono stati coniati anche altri termini, di utilizzo meno diffuso, per enfatizzare alcune probabili caratteristiche di certe super Terre individuate: nano gassoso, per i pianeti più massicci di questa categoria e probabilmente costituiti da grandi quantità di gas; super Venere o super Plutone, per sottolineare le altissime o viceversa bassissime temperature superficiali che caratterizzerebbero il pianeta in oggetto. I primi pianeti appartenenti a questa categoria furono scoperti nel 1992 attorno ad una pulsar; fu però a partire dal 2005 che si iniziarono ad individuare delle super Terre attorno a stelle di sequenza principale, con la scoperta di Gliese 876 d. In generale, la definizione di super Terra si basa esclusivamente sulla massa, e non comprende altre caratteristiche, come temperatura, composizione, parametri orbitali o ambiente, affini a quelli della Terra. Mentre le fonti generalmente sono concordi nell'indicare 10 masse terrestri (~69% della massa di Urano) come il limite superiore perché una super Terra possa ancora considerarsi tale, il limite inferiore varia tra 1-1,9 e 5 M⊕. Secondo altri autori il termine andrebbe limitato ai pianeti privi di un involucro atmosferico significativo. I pianeti che eccedono le 10 M⊕ entrano nel novero dei giganti gassosi. Al 2019, la carenza di pianeti cosiddetti intermedi (Fulton gap, dal nome dell'astronomo che ha rilevato il fenomeno), cioè aventi raggio tra 1,5 e due volte quello terrestre, trova spiegazione, oltre ad una insufficiente base statistica, alla possibilità di ulteriori scenari nell'evoluzione della formazione esoplanetaria. La scoperta delle prime super Terre coincide con la scoperta dei primi pianeti extrasolari: nel 1992 Aleksander Wolszczan e Dale Frail scoprirono tre pianeti attorno alla pulsar millisecondo PSR B1257+12 la cui massa era compresa tra 0,025 e 4,3 volte la massa terrestre: valori troppo bassi per considerarli dei giganti gassosi. Dal momento che sino ad allora l'esistenza degli esopianeti era solamente oggetto di discussione e speculazione, la scoperta suscitò un grande interesse nella comunità scientifica, dal momento che si trattava dei primi esopianeti confermati e per di più orbitavano attorno ad una pulsar, fatto sorprendente per l'epoca in quanto si supponeva che solo le stelle di sequenza principale potessero avere dei pianeti. Bisognerà però attendere sino al 2005 prima che venga individuata la prima super Terra intorno ad una stella di sequenza principale: si trattava di Gliese 876 d, scoperta da un gruppo guidato dal ricercatore Eugenio Rivera in orbita attorno alla nana rossa Gliese 876 (in precedenza erano stati scoperti nel sistema due giganti gassosi di dimensioni simili a Giove). Ha una massa stimata tra 5,8 e 7,5 masse terrestri ed un periodo orbitale di soli due giorni; la grande vicinanza del pianeta alla sua stella madre fa sì che la sua temperatura superficiale sia piuttosto elevata, tra 430 e 650 K. Nel 2006 sono state scoperte altre due super Terre: OGLE-2005-BLG-390L b, con una massa 5,5 volte quella terrestre, scoperta grazie all'effetto lente gravitazionale, e HD 69830 b, con una massa pari a 10 volte quella terrestre. Nell'aprile 2007 un gruppo svizzero, guidato da Stéphane Udry, ha annunciato la scoperta di due super Terre attorno alla nana rossa Gliese 581, denominate Gliese 581 c e d ed entrambe ritenute al limite della zona abitabile del sistema. Al momento della scoperta si riteneva che Gliese 581 c, che possiede una massa pari a 5 volte quella terrestre e dista mediamente dalla stella madre 0,073 au (11 milioni di km), si trovasse nel bordo più interno e caldo della zona abitabile. Pertanto si ritenne inizialmente che la temperatura del pianeta variasse tra un minimo di −3 °C (270 K), con un'albedo paragonabile a Venere, ed un massimo di 40 °C (313 K), con un'albedo paragonabile a quella terrestre. Ricerche successive hanno però mostrato che Gliese 581 c si troverebbe ben più internamente rispetto alla zona abitabile del sistema e soffrirebbe inoltre di un importante effetto serra, simile a quello che affligge Venere. Gliese 581 d, con una massa 7,7 volte quella terrestre, orbita invece all'interno della zona abitabile, in corrispondenza del suo limite esterno. Nel giugno 2008 è stata scoperta una delle super Terre di massa più piccola, MOA-2007-BLG-192Lb; individuato grazie all'effetto lente gravitazionale, il pianeta possiede una massa di circa 3,3 M⊕ ed orbita attorno ad una nana bruna. Nello stesso mese è stata annunciata la scoperta di tre super Terre orbitanti attorno ad una stella un po' più piccola del Sole, HD 40307. Il primo pianeta ha una massa pari a 4,2 masse terrestri, il secondo 6,7 e il terzo 9,4. I tre pianeti sono stati individuati grazie al metodo della velocità radiale calcolata mediante lo spettrografo HARPS situato in Cile, presso l'osservatorio di La Silla. Lo stesso team ha annunciato la scoperta di un ulteriore pianeta con 7,5 masse terrestri intorno alla stella HD 181433, attorno alla quale orbita un pianeta simile a Giove già noto con un periodo di tre anni.

Nel febbraio 2009 è stata annunciata la scoperta di CoRoT-7 b, con una massa stimata di 4,8 M⊕ ed un periodo orbitale di appena 0,853 giorni; la densità stimata sembra indicare una composizione molto simile a quella dei pianeti del sistema solare interno, dunque con prevalenza di silicati. CoRoT-7 b, scoperto appena dopo HD 7924 b, è la prima super Terra individuata attorno ad una stella di sequenza principale che non sia una nana rossa. Il 21 aprile 2009 è stata annunciata la scoperta di un'altra super Terra intorno a Gliese 581: Gliese 581 e. Con una massa di circa 1,9 M⊕, è il più piccolo esopianeta sinora individuato attorno ad una stella di sequenza principale; orbita intorno alla sua stella in 3,15 giorni ad una distanza media di 0,03 au. Si ritiene che il pianeta sperimenti un riscaldamento mareale almeno 100 volte superiore a quello che il satellite Io subisce da Giove. Nel dicembre 2009 è stata annunciata la scoperta di GJ 1214 b, 2,7 volte più massiccio della Terra, la cui densità è compatibile con quella ipotizzata per un pianeta oceano. Delle 32 super Terre scoperte nel 2009, 24 sono state scoperte tramite lo strumento HARPS montato sui telescopi Keck. Nel gennaio 2010 è stato individuato il pianeta HD 156668 b; la sua massa minima di 4,15 masse terrestri lo rende il secondo pianeta meno massiccio ad esser stato scoperto mediante il metodo della velocità radiale, dopo Gliese 581 e. Il 24 agosto è stata annunciata la scoperta di un sistema planetario costituito da almeno sette pianeti, non tutti confermati, in orbita attorno alla nana gialla HD 10180; uno dei pianeti non confermati, HD 10180 b, possiederebbe una massa di 1,35±0,23 M⊕, che lo renderebbe, qualora venisse confermato, l'esopianeta meno massiccio scoperto attorno ad una stella di sequenza principale; vi è però una probabilità del 98,6% che il pianeta sia realmente esistente. l 29 settembre è stata annunciata la scoperta, tramite la misurazione della velocità radiale, di una quarta super Terra attorno a Gliese 581; denominato Gliese 581 g o, amichevolmente, Zarmina,il pianeta presenta una massa 3,1 volte quella terrestre ed orbita secondo una traiettoria quasi circolare ad una distanza media dalla stella di 0,146 au, che lo colloca nella zona abitabile. La scoperta del pianeta, assieme a quella contemporanea di Gliese 581 f, è stata messa in dubbio da una successiva analisi dei dati, dalla quale non si è avuto un riscontro preciso dell'effettiva presenza di questi ultimi due pianeti; l'Extrasolar Planet Encyclopedia li classifica, a dicembre 2011, come non confermati. l 29 settembre è stata annunciata la scoperta, tramite la misurazione della velocità radiale, di una quarta super Terra attorno a Gliese 581; denominato Gliese 581 g o, amichevolmente, Zarmina,il pianeta presenta una massa 3,1 volte quella terrestre ed orbita secondo una traiettoria quasi circolare ad una distanza media dalla stella di 0,146 au, che lo colloca nella zona abitabile. La scoperta del pianeta, assieme a quella contemporanea di Gliese 581 f, è stata messa in dubbio da una successiva analisi dei dati, dalla quale non si è avuto un riscontro preciso dell'effettiva presenza di questi ultimi due pianeti; l'Extrasolar Planet Encyclopedia li classifica, a dicembre 2011, come non confermati

Il 2 febbraio 2011 il telescopio spaziale Kepler ha trasmesso una lista di 1235 probabili pianeti extrasolari, che comprende 68 possibili pianeti di dimensioni simili alla Terra (R < 1,25 R⊕) e altre 288 possibili super Terre (1,25 R⊕ < R < 2 R⊕). Inoltre, 54 probabili pianeti sono stati individuati nella zona abitabile del loro sistema; sei di questi hanno dimensioni inferiori al doppio di quelle terrestri: KOI 326.01 (R = 0,85 R⊕), KOI 701.03 (R = 1,73 R⊕), KOI 268.01 (R = 1,75 R⊕), KOI 1026.01 (R = 1,77 R⊕), KOI 854.01 (R = 1,91 R⊕), KOI 70.03 (R = 1,96 R⊕). Degno di nota è anche un sistema costituito da ben sei pianeti, denominati da "b" a "g", in orbita attorno a Kepler-11, una nana gialla molto simile al Sole. Tutti e sei i pianeti, le cui masse sono comprese tra 2,3 e 13,5 M⊕, sono transitanti sulla superficie della stella, in virtù della loro inclinazione rispetto alla nostra linea di vista inferiore al grado. Questa proprietà ha reso possibile una misurazione diretta dei diametri e dei periodi orbitali semplicemente monitorando le eclissi della stella da parte dei pianeti. Il sistema è il più compatto conosciuto: le orbite dei pianeti da "b" ad "f" infatti giacciono tutte ad una distanza inferiore a quella che separa Mercurio dal Sole, mentre l'orbita di "g" è più larga del 20% rispetto all'orbita di Mercurio. Sulla base di queste ultime scoperte, gli astronomi ipotizzano che possano trovarsi almeno 30000 probabili pianeti abitabili entro mille anni luce dalla Terra, almeno 50 miliardi di pianeti di tipo roccioso solamente nella Via Lattea, 500 milioni dei quali probabilmente orbitanti nella zona abitabile del loro sistema.  La scoperta di altre quattro super Terre (Gliese 370 b e le tre orbitanti attorno al sistema di HD 20794) tramite lo spettrografo HARPS dell'ESO è stata annunciata il 17 agosto 2011; tra queste, Gliese 370 b giacerebbe al limite interno della zona abitabile del sistema e sarebbe potenzialmente abitabile qualora possedesse una copertura nuvolosa in grado di coprire più del 50% della superficie planetaria. Altre 10 super Terre, su 41 nuovi esopianeti scoperti, sono state confermate il 12 settembre. Il 5 dicembre 2011 è stata annunciata e confermata la scoperta, tramite il telescopio Kepler, della prima super Terra inequivocabilmente orbitante nella zona abitabile del suo sistema planetario: si tratta di Kepler-22 b, un pianeta di raggio 2,4 volte quello terrestre, che orbita ad una distanza dalla sua stella (una nana gialla lievemente più piccola del Sole) di circa 0,89 au. Nel settembre 2012 è stata annunciata la scoperta di due pianeti in orbita attorno a Gliese 163, dei quali uno, Gliese 163 c, con una massa pari a 6,9 volte la massa della Terra e probabilmente orbitante nella zona abitabile del sistema. Nell'ottobre dello stesso anno è stato dato l'annuncio della probabile scoperta di una super terra anche attorno ad α Centauri B, facente parte del sistema stellare più vicino al Sole, mentre a dicembre sono state annunciate cinque super Terre in orbita attorno alla vicina τ Ceti, uno dei quali, e, sarebbe all'interno della zona abitabile. Nel gennaio 2013 è stata poi annunciata la scoperta, in seguito all'analisi dei dati forniti dal telescopio spaziale Kepler, di un possibile pianeta, denominato KOI-172.02, molto simile alla Terra (R =1,5 r⊕) che orbita nella zona abitabile del sistema di una nana gialla simile al Sole; questo pianeta è ritenuto un possibile candidato ad ospitare forme di vita extraterrestri. Nell'aprile dello stesso anno è stata annunciata la scoperta di cinque pianeti orbitanti all'interno della zona abitabile della stella Kepler-62, distante 1 200 anni luce dal sistema solare. Altre tre super Terre sono state individuate attorno alla nana rossa Gliese 667 C e sono parte di un sistema più ampio comprendente altri quattro pianeti.

A causa della loro massa maggiore rispetto a quella terrestre, le caratteristiche fisiche delle super Terre differiscono in maniera sostanziale da quelle del nostro pianeta. Caratteristica principale delle super Terre è l'alto valore della gravità superficiale, in genere maggiore di quella di Nettuno e Saturno (e in certi casi anche di quella di Giove), che dipende strettamente dal valore della massa e dalle dimensioni di questi pianeti. Un gruppo di astronomi ha sviluppato dei modelli fisico-matematici per dedurre le dimensioni di quattordici diverse tipologie di pianeti che si ritiene possano esistere nella nostra Galassia; tra questi, pianeti composti da sostanze pure, quali acqua e/o ghiaccio (pianeti oceano), carbonio, ferro, silicati, monossido di carbonio, carburo di silicio, e da miscele di queste sostanze. Il gruppo ha calcolato in che modo la gravità arrivi a comprimere questi pianeti, consentendo di predire un preciso valore del diametro a seconda della composizione e della massa presa in esame. Ad esempio, un pianeta di massa terrestre composto da acqua e/o ghiaccio avrebbe un diametro di circa 15700 km, mentre un pianeta ferroso di egual massa avrebbe un diametro di appena 4800 km; per raffronto, la Terra, costituita prevalentemente da silicati con un nucleo ferroso, ha un diametro equatoriale di 12756 km. Se ne deduce dunque che i pianeti a prevalenza d'acqua e ghiaccio siano i meno densi, mentre i pianeti ferrosi siano quelli con la densità maggiore; bisogna comunque tenere presente che, a parità di composizione, un pianeta massiccio è più denso di un pianeta meno massiccio. Uno studio condotto sul pianeta Gliese 876 d[1] ha reso noto che sarebbe teoricamente possibile dedurre la composizione di una super Terra calcolando la densità a partire dal raggio, misurabile durante il transito sulla superficie della stella, e dalla massa del pianeta, deducibile tramite le misurazioni astrometriche.[1] Nel caso specifico, dal momento che Gliese 876 d non è un pianeta transitante e dato che l'unico valore noto è la sua massa (5,88±0,99 M⊕), il suo raggio teorico calcolato è compreso tra 9200 km (1,4 r⊕), assumendo che si tratti di un pianeta di silicati con un grande nucleo ferroso, e 12500 km (2,0 r⊕), assumendolo un pianeta oceano. La gravità superficiale stimata per un pianeta il cui raggio è compreso entro questo range andrebbe tra 1,9 e 3,3 g (19 e 32 m/s²). La struttura di una super Terra riflette le modalità che hanno condotto alla sua formazione. A seconda della regione del sistema planetario in cui il pianeta si è formato, è possibile riconoscere due tipi principali di super Terre: le super Terre ricche in acqua e ghiaccio, che si sono formate al di là della frost line del sistema e che daranno luogo ai pianeti oceano, e le super Terre povere d'acqua, simili grossomodo ai pianeti del sistema solare interno e formatesi internamente alla frost line. La formazione di una super Terra povera d'acqua ricalca sostanzialmente la formazione dei pianeti rocciosi del sistema solare. L'urto e l'aggregazione dei planetesimi, frammenti di roccia ricchi di ferro e silicati presenti nel disco circumstellare residuato dalla nascita della stella madre, determina la formazione di un certo numero di protopianeti, che, in virtù dell'enorme attrito causato dalle plurime collisioni, si presentano come delle caldissime sfere di roccia fusa che irradiano calore nello spazio circostante. Il raffreddamento della parte più superficiale del magma determina la formazione di strutture cristalline di silicati di ferro, da cui avranno origine dei minerali. A seconda della quantità di ossigeno dei silicati, una parte del ferro può non venire incorporata nei minerali nascenti; questa frazione libera di ferro, a causa della sua densità maggiore rispetto al resto del magma silicatico, sprofonda verso il centro del pianeta nascente, andando a costituire un nucleo circondato da un mantello di magma prevalentemente silicatico; l'interno del pianeta in formazione assume così un aspetto pluristratificato, simile a quello della Terra. Ciò che differenzia il nucleo di una super Terra da quello terrestre è il fatto che il primo, nonostante le elevatissime temperature (~10000 K), si presenterebbe completamente solido a causa delle elevate pressioni che gravano su di esso; il nucleo terrestre è composto invece da una frazione solida, detta nucleo interno, circondata da un involucro fluido, il nucleo esterno, percorso da correnti convettive che sarebbero responsabili del campo geomagnetico. Tra le super Terre povere d'acqua sono annoverati gli ipotetici pianeti di carbonio, che orbiterebbero attorno a stelle originatesi a partire da nebulose particolarmente ricche di questo elemento e povere in ossigeno. La loro struttura interna comprende un nucleo ferroso, circondato da un mantello interno di carburi e un mantello esterno di grafite, sovrastato a sua volta da una sottile crosta e, in alcuni casi, da un'atmosfera secondaria, ricca di composti del carbonio. Si ritiene che se nel mantello esterno si raggiungessero opportune condizioni di pressione, alcuni strati di grafite, dello spessore anche di diversi chilometri, potrebbero cristallizzare in diamante. Notevolmente differente è la formazione dei pianeti ricchi d'acqua, rappresentati dai pianeti oceano: come già accennato, questi pianeti si formano al di là della frost line, che corrisponde ad una distanza dalla stella tale che la temperatura è sufficientemente bassa da permettere ai composti volatili contenenti idrogeno, come l'acqua, l'ammoniaca e il metano, di raggiungere lo stato di ghiaccio. La loro struttura è assai peculiare: questi pianeti sono infatti caratterizzati da grandissime quantità d'acqua, che danno luogo ad un oceano superficiale profondo diverse centinaia di chilometri. Negli strati inferiori di questo immenso oceano l'acqua, per effetto della grandissima pressione, raggiunge lo stato solido: si crea così un secondo mantello, più superficiale rispetto a quello di roccia, costituito da ghiaccio. Non si tratta però del comune ghiaccio visibile nelle regioni fredde del nostro pianeta, il ghiaccio Ih, ma delle calde forme cristalline note come ghiaccio VII, X e XI, che si formano a seguito di pressioni elevatissime.

Curiosità extra

Geologia

Alcuni modelli teorici indicano che alcune super Terre possono manifestare un'attività geologica affine a quella del nostro pianeta, caratterizzata forse da una tettonica a placche. L'attività geologica della Terra è alimentata dai moti convettivi che il magma del mantello compie in virtù del calore endogeno, che è in parte un residuo del processo di formazione planetaria e in parte è dovuto al decadimento degli elementi radioattivi presenti nel mantello. Supponendo che possieda una concentrazione di tali elementi affine a quella del nostro pianeta, dal momento che questi hanno una diffusione uniforme nella Galassia, è ragionevole pensare che una super Terra, in virtù della sua grande massa, abbia una quantità maggiore di elementi radioattivi e dunque sviluppi un maggior calore endogeno, che alimenterebbe dunque nel mantello dei moti convettivi più energici. La conseguenza sarebbe una tettonica a placche più violenta di quella terrestre, caratterizzata dalla presenza di zolle più sottili rispetto a quelle terrestri a causa di un più rapido turn-over della crosta planetaria, che si riflette in un minor tempo a sua disposizione per raffreddarsi ed ispessirsi. Nonostante il ridotto spessore della crosta, le faglie dovrebbero presentare una resistenza analoga a quella terrestre a causa della maggiore forza di gravità che esercita una maggiore pressione su di esse. I modelli suggeriscono che sorprendentemente la massa della Terra sia appena superiore al limite necessario per poter avere una tettonica attiva; questo spiega come mai Venere, che è appena meno massiccio della Terra, possieda una tettonica appena accennata, mentre Marte, con una massa circa un decimo di quella terrestre, si presenta geologicamente inattivo.


Clima e Abitabilità

L'attività geologica, e in particolare il vulcanismo, immette nell'atmosfera del nostro pianeta grandi quantità di gas, come l'anidride carbonica, che reagisce con il silicato di calcio delle rocce producendo carbonato di calcio e silice, solidi insolubili che sedimentano nei fondali oceanici. Il processo di subduzione della sottile crosta oceanica trasporta questi sedimenti nel mantello; la subduzione rifornisce così il mantello di carbonio, il quale, riconvertito in anidride carbonica, torna nell'atmosfera consentendo a questo ciclo di reazioni di riprendere. L'importanza di questo ciclo carbonio-silicio consiste nel fatto che il tutto agisce come un termostato che mantiene stabile la temperatura terrestre, contribuendo a mantenere l'acqua allo stato liquido e dunque rendendo il pianeta adatto a sviluppare la vita come la conosciamo. L'ipotetica maggiore efficienza della tettonica di una super Terra accelererebbe i tempi di questo ciclo, rendendo per certi versi questi pianeti più adatti allo sviluppo di forme di vita. La grande massa consente inoltre alla super Terra di trattenere un'atmosfera sufficientemente spessa in maniera più efficiente ed impedisce alle molecole d'acqua di sfuggire nello spazio. Tuttavia non possediamo informazioni precise sulle atmosfere delle super Terre e non si conoscono con esattezza le temperature superficiali di questi pianeti né l'eventuale presenza di un effetto serra, anche se è possibile stimare una temperatura di equilibrio in relazione dal grado di insolazione ricevuta dal pianeta e dall'albedo del pianeta. Ad esempio, per la Terra questa temperatura è di 254,3 K (−19 °C), ben al di sotto della temperatura media del pianeta; è la presenza di importanti quantità di gas serra e del suddetto ciclo carbonio-silicio a far sì che la Terra mantenga una temperatura media tale da mantenere l'acqua allo stato liquido. Allo stesso modo, Venere ha una temperatura di equilibrio di 231,7 K (−41 °C), nonostante l'imponente effetto serra che affligge l'atmosfera venusiana faccia sì che il pianeta abbia una temperatura reale di 737 K (464 °C).


Sotto: la nostra galleria immagini sulle Super terre, insieme ad un interessante video...


Ora che conosciamo la struttura generale delle Super Terre possiamo esplorare questi mondi lontani. Partiamo, dunque, alla volta di questi pianeti misteriosi...

Il problema da affrontare è: dove andiamo? Come si fa ad individuare gli esopianeti?


Individuare esopianeti

I metodi di individuazione di pianeti extrasolari sono diversi e si sono evoluti nel corso degli anni, permettendo oggi di scoprire nuovi pianeti a un ritmo sempre crescente. Le metodologie si possono dividere in due classi principali:

  • rilevamento diretto;
  • rilevamento indiretto.

Nella classe del rilevamento diretto si includono tutte le tecniche che permettono di osservare direttamente al telescopio questi pianeti. Nella classe del rilevamento indiretto ricadono quelle tecniche che permettono di individuare un pianeta a partire dagli effetti che esso induce (o vengono indotti) sulla (o dalla) stella ospite. Per confermare un pianeta e meglio definirne le caratteristiche fisiche è necessario l'utilizzo di più tecniche differenti. Al momento attuale il metodo di ricerca più fruttuoso è quello delle velocità radiali che ha fornito 203 pianeti sui circa 500 noti, seguito da quello dei transiti. Già nel 1955 Otto Struve aveva prospettato la possibilità di scoprire sistemi planetari extrasolari proprio con questi due metodi. Una stella attorno a cui orbiti un pianeta può essere pensata come una binaria spettroscopica, di cui è visibile un solo spettro. In questa situazione le righe di emissione o di assorbimento non hanno più la lunghezza d'onda corrispondente ai campioni osservati in quiete in laboratorio, ma risultano spostate per effetto Doppler verso il rosso o il blu, a seconda che la velocità sia positiva (allontanamento) o negativa (avvicinamento). Se l'orbita del pianeta è inclinata rispetto al piano tangente alla sfera celeste, nel punto in cui si osserva la stella, allora lo spostamento delle righe varia a seconda del valore della velocità e oscilla tra i valori estremi assunti dalla velocità radiale. Una volta ottenuti degli spettri ben distribuiti nel tempo, e dedotte da questi le velocità radiali ad ogni istante, si potrà costruire la curva di velocità radiale. Questo è il metodo che ha fornito la maggior parte dei pianeti scoperti durante la prima fase delle ricerche. Questo metodo è in grado di individuare facilmente pianeti molto vicini alla loro stella, ma per osservare pianeti di lungo periodo come ad esempio Giove sono necessarie osservazioni che coprano molti anni per poter osservare un intero periodo orbitale e quindi inferire un'orbita al pianeta. La tecnica è limitata alle stelle più brillanti della quindicesima magnitudine, poiché anche con i più grandi telescopi del mondo è difficile ottenere spettri di buona qualità che permettano di misurare queste piccole variazioni di velocità. Il metodo più recente e più promettente è quello detto del transito. Esso consiste nella rilevazione della diminuzione di luminosità della curva di luce di una stella quando un pianeta transita di fronte alla stella madre. La diminuzione è correlata alla dimensione relativa della stella madre, del pianeta e della sua orbita. Ad esempio nel caso di HD 209458, la diminuzione di luce è dell'ordine dell'1,7%. Si tratta di un metodo fotometrico che funziona solo per la piccola percentuale di pianeti la cui orbita è perfettamente allineata col nostro punto di vista, però può essere utilizzato fino a grandi distanze. Il satellite francese COROT (lanciato il 26 dicembre 2006) e il Kepler della NASA (lanciato il 7 marzo 2009) svolgono osservazioni di questo tipo al di fuori dell'atmosfera terrestre, in quanto tutto il rumore fotonico indotto dall'atmosfera è eliminato e si possono ottenere curve di luce con precisione dell'ordine di 1 mmag, sufficiente in linea teorica per osservare pianeti come la Terra. Il primo metodo storicamente usato è l'astrometrico i cui primi tentativi risalgono al 1943. Con questo metodo sono stati individuati molti candidati, ma nessuno è stato confermato come pianeta, costringendo la maggior parte degli astronomi a rinunciare al suo utilizzo, a favore di altri metodi. Il suo punto debole è dovuto al fatto che richiede una misura molto precisa del moto proprio di una stella: nel caso essa abbia un pianeta, il moto presenta piccole oscillazioni periodiche. Sfortunatamente queste sono così piccole che i migliori telescopi esistenti non possono produrre misure abbastanza sicure. Inoltre le misure sono più facili quando le orbite dei pianeti sono perpendicolari alla nostra linea di vista (cioè sono viste di faccia invece che di taglio), cosa che rende impossibile l'uso degli altri metodi per confermare l'osservazione. Nel maggio del 2009, questo metodo ha portato all'individuazione di VB 10b la cui reale esistenza è ora da verificare anche con altri metodi. L'effetto denominato microlente gravitazionale per la ricerca astronomica lo propose nel 1986 Bohdan Paczyński della Princeton University e nel 1991 suggerì che poteva essere utilizzato anche per cercare pianeti. I primi successi si ebbero nel 2002 quando un gruppo di astronomi polacchi (Andrzej Udalski, Marcin Kubiak e Michal Szymanski da Varsavia e il polacco-americano Bohdan Paczynski della Princeton) perfezionarono un metodo che poteva essere utilizzato nell'ambito del progetto OGLE (Optical Gravitational Lensing Experiment), finanziato da NASA e NSF. In un mese di lavoro scoprirono 46 oggetti, molti dei quali potevano essere pianeti. L'effetto avviene anche quando i campi gravitazionali di un pianeta e della sua stella cooperano per focalizzare la luce di una stella lontana. Per realizzarsi occorre che il pianeta e il suo sole e la stella lontana si trovino esattamente in linea prospettica con l'osservatore. Poiché un allineamento perfetto capita molto di rado (e l'effetto è molto piccolo da cui il nome micro) occorre tenere sotto sorveglianza un grande numero di stelle. Il suo studio funziona al meglio inquadrando stelle che si trovano tra noi e il nucleo galattico, in quanto si ha a disposizione un gran numero di stelle sullo sfondo. Gli eventi-lente sono brevi, solo alcuni giorni o settimane, perché i corpi osservati e la Terra si muovono l'una rispetto all'altra. Comunque sono stati misurati più di 1000 eventi-lente negli ultimi dieci anni. Questo metodo permette di scoprire pianeti di massa equiparabile a quella terrestre usando le tecnologie oggi disponibili, l'osservazione non può essere ripetuta poiché l'allineamento necessario capita raramente. La maggior parte di stelle osservate con questo metodo dista migliaia di anni luce il che rende problematica la scoperta di tali pianeti con mezzi più tradizionali, però osservando con continuità un sufficiente numero di stelle si può avanzare una stima della loro frequenza nella nostra galassia. Un approccio più recente consiste nello studio delle nubi di polveri. Molti sistemi solari contengono una quantità notevole di polvere dovuta a passaggi di comete e a collisioni fra asteroidi e pianeti. In tali casi la polvere si distribuisce come un disco attorno alla stella del sistema e assorbendone una parte di luce la riemette con radiazione infrarossa. Ma la pressione di radiazione esercitata dalla stella spingerebbe le particelle di polvere nello spazio interstellare in un tempo, su scala cosmica, relativamente breve. Pertanto una costante rilevazione di polvere può indicare un suo rimpiazzo dovuto a continue collisioni e fornisce evidenza indiretta della presenza di piccoli oggetti quali comete e asteroidi orbitanti attorno alla stella. Inoltre il rilevamento di una cavità interna a tale disco supporta l'ipotesi di un pianeta che ne abbia spazzato la polvere lungo la propria orbita. Anche la presenza dell'accumulo di un ammasso di polvere può essere conseguenza di influenza gravitazionale di un corpo planetario. Entrambe queste caratteristiche sono osservabili nel disco di polvere che circonda ε Eridani suggerendo l'esistenza di un pianeta con un raggio orbitale di circa 40 UA. Questo tipo di rivelazione planetaria può effettuarsi con osservazioni dallo spazio, perché la nostra atmosfera assorbe la maggior parte della radiazione infrarossa, rendendo impossibili le osservazioni di quelle deboli fonti dalla Terra. Il nostro stesso sistema solare contiene una quantità di polvere diffusa pari a un decimo della massa della Luna. Pur se questa quantità è insignificante, paragonata alla massa totale del sistema, il volume su cui è distribuita è così elevato che, da grandi distanze, l'emissione infrarossa della polvere sarebbe 100 volte più intensa di quella di tutti i pianeti. Il telescopio spaziale Hubble può svolgere queste osservazioni, utilizzando la sua camera NICMOS (Near Infrared Camera and Multi-object Spectrometer), ma non è stato possibile fargli svolgere questo compito a causa di un guasto al raffreddamento della NICMOS, che l'ha resa inutilizzabile dal 1999 al 2002. Immagini migliori sono state riprese nel 2003 da una camera "sorella", montata sul telescopio spaziale Spitzer (conosciuto prima come SIRTF, Space Infrared Telescope Facility). Lo Spitzer, progettato specificatamente per le osservazioni infrarosse è, per questo tipo di immagini, molto più potente di Hubble. L'individuazione di pianeti extrasolari orbitanti attorno alle pulsar è deducibile dal passaggio dell'eventuale pianeta davanti al fascio di radiazione emesso dalla pulsar. Sapendo il periodo di rotazione della pulsar Il corpo orbitante può essere rilevato calcolando l'intervallo nella ricezione dell'emissione che esso provoca al suo passaggio. Come le pulsar, alcuni tipi di stelle variabili pulsanti sono abbastanza regolari da poter determinare la velocità radiale in modo puramente fotometrico dallo spostamento Doppler della frequenza delle pulsazioni, senza necessità di uno studio spettroscopico.Questo metodo non è sensibile come il metodo di variazione degli intervalli di emissioni di una pulsar, poiché l'attività periodica è più lunga e meno regolare. La facilità di rilevare pianeti attorno a una stella variabile dipende dal periodo di pulsazione della stella, dalla regolarità delle pulsazioni, dalla massa del pianeta e dalla sua distanza dalla stella ospite. Il primo successo con questo metodo risale al 2007, quando V391 Pegasi b fu scoperto attorno a una stella nana pulsante. L'individuazione di pianeti extrasolari mediante imaging diretto è resa molto difficile dal fatto che l'osservazione di tali corpi celesti è sovrastata dalla luce di ogni stella intorno a cui ruotano, la quale ovviamente offusca la debole luminosità riflessa dei pianeti. È meno arduo ottenere immagini dirette quando il pianeta è particolarmente massivo (in genere più di quanto sia Giove) e la sua orbita è molto lontana dalla sua stella ma è abbastanza caldo da emettere radiazione infrarossa percepibile. Proprio per merito di quest'ultima proprietà si possono captare direttamente nell'infrarosso immagini di corpi catalogabili come pianeti. I primi tentativi di rilevare esopianeti mediante la visualizzazione ad alto contrasto sono stati effettuati con il telescopio Franco-Canadese, alle Hawaii, nei primi anni 2000. L'astronomo canadese Christian Marois, supportato dal collega René Doyon costruì una telecamera per infrarossi applicata al telescopio ma sebbene non riuscì a rilevare nessun esopianeta, fu il primo passo per comprendere le tecniche e migliorare la sensibilità per gli strumenti ad alto contrasto, sviluppando in seguito due tecniche: l'imaging differenziale angolare, o ADI, e la combinazione di immagini localmente ottimizzata, o LOCI. Queste nuove tecniche consentirono di effettuare una indagine a più ampia scala per quantificare percentualmente la presenza di pianeti giganti nel vicinato solare, non essendo ancora possibile l'imaging diretto di pianeti di dimensioni terrestri o nettuniani. L'indagine, condotta da David Lafrenière su un gruppo di giovani stelle appartenente all'Associazione Scorpius-Centaurus effettuata con il telescopio Gemini nord consentì la prima immagine di un pianeta in orbita attorno a una stella simile al Sole, la stella 1RXS J1609-210524. L'oggetto, separato distante circa 330 UA dal proprio astro fu confermato nel 2010. Nel 2008 Lafrenière insieme ai due colleghi canadesi scoprì il primo sistema esoplanetario, HR 8799 rilevato con metodo diretto. I 3 pianeti del sistema hanno massa 10 e 7 volte quella di Giove. Lo stesso giorno, il 13 novembre 2008 fu data notizia che il telescopio spaziale Hubble aveva captato direttamente la figura di un pianeta extrasolare, orbitante attorno alla brillante stella Fomalhaut, con massa non superiore a 3 volte quella di Giove. Entrambi i sistemi sono circondati da dischi non dissimili dalla fascia di Kuipe Nel 2004, un gruppo di astronomi utilizzò il Very Large Telescope dell'ESO in Cile per ottenere un'immagine di 2M1207b, un compagno per la nana bruna 2M1207[13]. L'anno successivo fu confermato che il compagno della nana bruna era di natura planetaria[14]. Si pensa che il pianeta sia diverse volte più massiccio di Giove e il suo semiasse maggiore sia superiore a 40 UA. Nel 2009 fu annunciato che l'analisi di immagini risalenti al 2003 avevano rivelato un pianeta in orbita intorno a Beta Pictoris. Del 2012 è l'annuncio che un pianeta supergioviano, con una massa di circa 12,8 MJ in orbita attorno a Kappa Andromedae, era stato direttamente osservato con il telescopio Subaru alle Hawaii. Esso orbita intorno alla sua stella madre ad una distanza di circa 55 UA, equivalenti a quasi due volte la distanza di Nettuno dal Sole. Un ulteriore sistema, Gliese 758, fu osservato nel novembre 2009, utilizzando lo strumento HiCIAO del telescopio Subaru; tuttavia non si scoprì un pianeta ma una nana bruna. Altri oggetti affini sono stati direttamente osservati: GQ Lupi b, AB Pictoris b, e SCR 1845 b, ma senza venir confermati come pianeti, in quanto sembra più probabile possa trattarsi di piccole nane brune.


Adesso che sappiamo come trovare gli esopianeti -e, quindi, anche le super Terre- partiamo alla volta di alcune di esse, scoperta molto recentemente...


OGLE-2018-BLG-0677, GJ229Ac e GJ180d

Nello studio pubblicato sull' Astronomical Journal viene descritta la modalità che i ricercatori hanno attuato per scoprire questa superterra, un pianeta che gli stessi ricercatori che l'hanno individuato considerano come "incredibilmente raro". Il pianeta, infatti, è stato scoperto con il metodo del microlensing gravitazionale, un effetto della luce che tende a curvarsi e ad ingrandire l'oggetto da cui proviene la stessa luce quando questa viene attratta, durante il suo percorso, da corpi molto grandi, che possono essere per esempio le stelle. I ricercatori si sono concentrati su un evento di microlensing denominato OGLE-2018-BLG-0677 ed osservato nel 2018. Analizzando proprio la curva della luce di questo evento, i ricercatori hanno potuto acquisire determinate informazioni. Si tratta, comunque, di un metodo non utilizzato spesso per la scoperta dei pianeti extrasolari in quanto bisogna che il pianeta e il raggio di luce si trovino in una posizione tale che dal nostro punto di vista, quello della Terra, avvenga l'effetto di "microlensing". Secondo Antonio Herrera Martin, l'autore principale dello studio, per avere un'idea di quanto sia difficile scoprire un pianeta con un metodo del genere bisogna considerare il tempo che serve per osservare l'ingrandimento provocato dall'effetto di microlensing è di circa cinque giorni mentre il pianeta stesso è stato rilevato solo nel corso di una piccola distorsione della stessa luce durata cinque ore. Gli astronomi hanno dovuto capire che questa distorsione era relativa anche ad un altro corpo diverso dalla stella intorno alla quale orbita l'esopianeta. Alla fine i ricercatori, che hanno utilizzato diversi telescopi presenti in varie aree del mondo, hanno acquisito diverse informazioni: la stella ha il 10% della massa del Sole mentre il pianeta potrebbe avere una massa compresa tra quella della Terra e quella di Nettuno (catalogabile dunque come "superterra"). In questo range di grandezza, di solito i pianeti sono rocciosi oppure "mondi d'acqua" e non gassosi ma si tratta ovviamente solo di supposizioni in quanto non abbiamo dati per capire come è composto il pianeta stesso. Lo stesso pianeta, poi denominato OGLE-2018-BLG-0677Lb e orbitante intorno alla stella OGLE-2018-BLG-0677L, si trova ad una distanza di circa 25.000 anni luce da lui e potrebbe orbitare in una posizione intorno alla sua stella comparabile a quella che c'è tra Venere, Terra rispetto al Sole. Il suo "anno" durerebbe circa 617 giorni. Si tratterebbe del pianeta simile alla Terra più distante mai individuato oltre ad essere il pianeta extrasolare più distante in assoluto tra quelli scoperti. Riportiamo l'analisi dell'evento di microlensing OGLE-2018-BLG-0677. Una piccola caratteristica nella curva di luce dell'evento porta alla scoperta che l'obiettivo è un sistema stella-pianeta. Sebbene ci siano due soluzioni degenerate che non possono essere distinte per questo evento, entrambe portano a un rapporto di massa pianeta-ospite simile. Eseguiamo un'analisi bayesiana basata su un modello galattico per ottenere le proprietà del sistema e scoprire che il pianeta corrisponde a una super-Terra / sub-Nettuno con una massa di . La stella ospite ha una massa di . La separazione prevista per la soluzione interna ed esterna è rispettivamente au e au. A , questo è di gran lunga il più basso Δ χ 2 per qualsiasi pianeta microlente rilevato in modo sicuro fino ad oggi, una caratteristica che è strettamente collegata al fatto che viene rilevato principalmente tramite un "tuffo" piuttosto che un "urto".

La dott.ssa Herrara Martin, autrice principale dell'articolo, ha dichiarato: "Per avere un'idea della rarità del rilevamento, il tempo impiegato per osservare l'ingrandimento dovuto alla stella ospite è stato di circa cinque giorni, mentre il pianeta è stato rilevato solo durante una piccola distorsione di cinque ore. "

"Dopo aver verificato che ciò fosse effettivamente causato da un altro 'corpo' diverso dalla stella, e non da un errore strumentale, si è proceduto ad ottenere le caratteristiche del sistema stella-pianeta. "La gravità combinata del pianeta e della sua stella ospite ha fatto sì che la luce proveniente da una stella di fondo più distante venisse ingrandita in un modo particolare. "Abbiamo utilizzato telescopi distribuiti in tutto il mondo per misurare l'effetto di curvatura della luce". E il professor Michael Albrow, che ha anche lavorato allo studio, ha aggiunto: "Questi esperimenti rilevano circa 3000 eventi di microlensing ogni anno, la maggior parte dei quali sono dovuti alla lente di singole stelle. "Il dottor Herrera Martin ha notato per la prima volta che c'era una forma insolita nell'emissione di luce da questo evento e ha intrapreso mesi di analisi computazionale che ha portato alla conclusione che questo evento era dovuto a una stella con un pianeta di piccola massa". È stato descritto come uno dei pochi pianeti simili al nostro. Gli astronomi che hanno lavorato al documento hanno continuato: "Il nuovo pianeta è solo una manciata di pianeti extra-solari che sono stati rilevati con entrambe le dimensioni e orbite vicine a quella della Terra".


Altre superterre conosciute e caratteristiche

Un team di ricerca internazionale guidato da scienziati della Carnegie Institution for Science di Washington ha scoperto due super Terre potenzialmente abitabili non troppo distanti dal Sistema solare, rispettivamente a 19 e 40 anni luce. I due esopianeti, GJ180d e GJ229Ac, hanno una massa sensibilmente superiore a quella della Terra e orbitano attorno a due nane rosse, in 106 e 122 giorni. Scoperti due pianeti potenzialmente abitabili non troppo distanti (dal punto di vista astronomico) dal Sistema solare. Si tratta delle due super Terre GJ180d e GJ229Ac, che hanno una massa rispettivamente di 7,5 e 7,9 volte quella del nostro pianeta. Entrambi gli esopianeti orbitano attorno a due nane rosse, le stelle più diffuse nella Via Lattea, la nostra galassia); poiché si tratta di astri più piccoli e freddi del Sole, la loro zona abitabile (cioè quella che permetterebbe la presenza di acqua allo stato liquido sulla superficie) si trova molto più vicina di quella in cui ci troviamo noi, a 150 milioni di chilometri circa dalla stella (pari a una Unità Astronomica o UA).A scoprire le due super Terre è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati della Carnegie Institution for Science di Washington, Stati Uniti, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dell'Osservatorio UCO/Lick presso l'Università della California di Santa Cruz, del Centro per la Ricerca Atrofisica dell'Università dell'Hertfordshire (Regno Unito), del MIT, dell'Università del Cile e della NASA. Gli scienziati, coordinati dal professor Fabo Feng, docente presso il Dipartimento di Magnetismo Terrestre dell'istituzione americana, hanno scovato i pianeti analizzando i dati dell'indagine Ultraviolet and Visual Echelle Spectrograph dell'ESO (Osservatorio Europeo Australe) condotta tra il 2000 e il 2007. I pianeti sono stati individuati grazie alla tecnica della cosiddetta velocità radiale, che si basa sull'oscillazione di una stella determinata dall'influenza gravitazionale dei pianeti che orbitano attorno ad essa. La conferma di GJ180d e GJ229Ac è stata ottenuta utilizzando diversi strumenti, tra i quali lo spettrografo Carnegie Planet Finder (PFS), lo spettrometro ad alta risoluzione Echelle (HIRES) presso l'Osservatorio di Keck e il Planet Searcher dell'ESO.
GJ180d è la super Terra potenzialmente abitabile più vicina al nostro pianeta; si trova infatti a circa 40 anni luce. È una distanza umanamente incolmabile con le tecnologie di cui disponiamo attualmente, ma in un futuro lontano potremmo essere in grado di mandare almeno delle sonde a "sbirciare". Il pianeta completa un'orbita attorno alla sua stella in 106 giorni ed è sufficientemente lontano per non essere in rotazione sincrona, cioè non favorisce al pianeta sempre la stessa faccia (come fa la Luna con la Terra). Questa caratteristica non è molto congeniale con la vita che conosciamo noi, dato che un emosfero è sempre molto caldo e alla luce giorno, mentre l'altro è costantemente fredda e al buio. La seconda super Terra, GJ229Ac, orbita in 122 giorni ed è più massiccia della prima. Curiosamente la sua stella ha una compagna nana bruna, una cosiddetta "stella fallita", troppo grande per essere un pianeta ma troppo piccola per avviare la fusione nucleare dell'idrogeno. GJ229Ac si trova a 19 anni luce di distanza da noi. Feng e colleghi hanno scoperto anche un pianeta molto simile a Nettuno, GJ 433d.
"La nostra scoperta si aggiunge all'elenco dei pianeti che possono essere potenzialmente ripresi direttamente dalla prossima generazione di telescopi. Stiamo lavorando verso l'obiettivo di poter determinare se i pianeti in orbita attorno alle stelle vicine ospitano la vita", ha dichiarato il professor Feng in un comunicato stampa della Carnegie Institution. "Vogliamo costruire una mappa di tutti i pianeti in orbita attorno alle stelle più vicine al nostro Sistema Solare, in particolar modo di quelli potenzialmente abitabili", ha aggiunto il coautore dello studio Jeff Crane. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata The Astrophysical Journal Supplement Series.

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