Le Galassie
Le Galassie sono strutture veramente incredibili: milioni (a volte miliardi) di stelle si riuniscono in un solo, gigantesco, insieme ordinato e organizzato. Se volete scoprirne i misteri, seguiteci su Eagle sera!
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Le Galassie
Una galassia è un grande insieme di stelle, sistemi, ammassi ed associazioni stellari, gas e polveri (che formano il mezzo interstellare), legati dalla reciproca forza di gravità. Il nome deriva dal greco γαλαξίας (galaxìas), che significa "di latte, latteo"; è una chiara allusione alla Via Lattea, la Galassia per eccellenza, di cui fa parte il sistema solare. Le galassie sono oggetti vastissimi di dimensioni estremamente variabili; variano dalle più piccole galassie nane, contenenti poche centinaia di milioni di stelle, alle galassie giganti, che hanno anche mille miliardi di stelle, orbitanti attorno ad un comune centro di massa. Non tutti i sistemi massicci auto-gravitanti costituiti da stelle vengono definiti galassie; il limite dimensionale inferiore, convenzionalmente, per la definizione di galassia è un ordine di massa di 106 masse solari, criterio per cui gli ammassi globulari e gli altri ammassi stellari non sono galassie. Non è definito un limite superiore, tutte le galassie osservate comunque non superano una dimensione massima di circa 1013 masse solari. Le galassie sono state categorizzate secondo la loro forma apparente, ossia sulla base della loro morfologia visuale. Una tipologia molto diffusa è quella ellittica, che, come si può ben arguire dal nome, ha un profilo ad ellisse. Le galassie spirale possiedono invece una forma discoidale con delle strutture spiraliformi che si dipartono dal nucleo. Le galassie con forma irregolare o insolita sono dette galassie peculiari; la loro strana forma è solitamente il risultato degli effetti delle interazioni mareali con le galassie vicine. Se tali interazioni sono particolarmente intense, a causa della grande vicinanza tra le strutture galattiche, può aver luogo la fusione delle due galassie, che risulta nella formazione di una galassia irregolare. La collisione tra due galassie dà spesso origine ad intensi fenomeni di formazione stellare (in gergo starburst). Nell'universo osservabile sono presenti probabilmente più di 100 miliardi di galassie; secondo nuove ricerche, tuttavia, il numero stimato di galassie nell'universo risulterebbe più alto di almeno dieci volte e oltre il 90% delle galassie nell'universo osservabile risulterebbe non rilevabile con i telescopi di cui disponiamo oggi, ancora troppo poco potenti.[8] Gran parte di esse ha un diametro compreso fra 1000 e 100.000 parsec e sono di solito separate da distanze dell'ordine di milioni di parsec (megaparsec, Mpc). Lo spazio intergalattico è parzialmente colmato da un tenue gas, la cui densità è inferiore ad un atomo al metro cubo. Nella maggior parte dei casi le galassie sono disposte nell'Universo organizzate secondo precise gerarchie associative, dalle più piccole associazioni, formate da alcune galassie, agli ammassi, che possono essere formati anche da migliaia di galassie. Tali strutture, a loro volta, si associano nei più imponenti superammassi galattici. Queste grandi strutture sono di solito disposte all'interno di enormi correnti (come la cosiddetta Grande Muraglia) e filamenti, che circondano immensi vuoti dell'Universo. Sebbene non sia ancora del tutto ben chiaro, la materia oscura sembra costituire circa il 90% della massa di gran parte delle galassie a spirale, mentre per le galassie ellittiche si ritiene che questa percentuale sia minore, variando fra lo 0 e circa il 50%. I dati provenienti dalle osservazioni inducono a pensare che al centro di molte galassie, sebbene non di tutte, esistano dei buchi neri supermassicci; la presenza di questi singolari oggetti spiegherebbe l'attività del nucleo delle galassie cosiddette attive. Tuttavia la loro presenza non implica necessariamente che la galassia che li ospiti sia attiva, dato che anche la Via Lattea molto probabilmente nasconde nel suo nucleo un buco nero massivo di nome Sagittarius A*.
Glossario
Una galassia è un grande insieme di stelle, sistemi, ammassi ed associazioni stellari, gas e polveri (che formano il mezzo interstellare), legati dalla reciproca forza di gravità.
La parola "galassia" deriva dal termine greco che indicava la Via Lattea, Γαλαξίας (Galaxìas) per l'appunto, che significa "latteo", o anche κύκλος γαλακτικός (kyklos galaktikòs), col significato di "circolo galattico". Il nome deriva da un episodio piuttosto noto della mitologia greca. Zeus, invaghitosi di Alcmena, dopo avere assunto le fattezze del marito, il re di Trezene Anfitrione, ebbe un rapporto con lei, che rimase incinta. Dal rapporto nacque Eracle, che Zeus decise di porre, appena nato, nel seno della sua consorte Era mentre lei era addormentata, cosicché il bambino potesse bere il suo latte divino per diventare immortale. Era si svegliò durante l'allattamento e si rese conto che stava nutrendo un bambino sconosciuto: respinse allora il bambino e il latte, sprizzato dalle mammelle, schizzò via, andando a bagnare il cielo notturno; si sarebbe formata in questo modo, secondo gli antichi Greci, la banda chiara di luce nota come "Via Lattea". Quando William Herschel compilò il suo catalogo degli oggetti del cielo profondo, usò la locuzione nebulosa spirale per descrivere le caratteristiche di alcuni oggetti di aspetto nebuloso, come la Galassia di Andromeda; queste "nebulose" furono in seguito riconosciute, quando si iniziò a scoprirne la distanza, come immensi agglomerati di stelle estranei alla Via Lattea; ebbe così origine la teoria degli "universi-isola". Tuttavia, tale teoria cadde presto in disuso, poiché per "Universo" si intendeva la totalità dello spazio, con all'interno tutti gli oggetti osservabili, così si preferì adottare il termine galassia. Di fatto, da un punto di vista strettamente etimologico, i termini "galassia" e "Via Lattea" sono analoghi. L'osservazione amatoriale delle galassie, rispetto ad altri oggetti del profondo cielo, è resa difficoltosa da due fattori principali: A) la grandissima distanza che ci separa da esse, che fa in modo che solo le più vicine siano visibili con relativa facilità, quindi la loro luminosità superficiale, in genere molto debole. B) molte delle galassie più vicine a noi sono galassie nane di piccole dimensioni, formate solo da alcuni milioni di stelle, visibili solo con un potente telescopio (e non è un caso che molte di queste siano state scoperte solo in tempi recenti). Oltre alla Via Lattea, la galassia all'interno della quale si trova il nostro sistema solare, solo altre tre sono visibili ad occhio nudo: le Nubi di Magellano (Grande e Piccola Nube di Magellano), visibili solamente dall'emisfero australe del nostro pianeta, si presentano come macchie irregolari, quasi dei frammenti staccati della Via Lattea, la cui scia luminosa corre a breve distanza; si tratta di due galassie molto vicine, orbitanti attorno alla nostra; tra le galassie giganti invece, l'unica visibile ad occhio nudo è la Galassia di Andromeda, osservabile principalmente dall'emisfero boreale terrestre. È la galassia gigante più vicina a noi e anche l'oggetto più lontano visibile ad occhio nudo: si presenta come un alone chiaro allungato, privo di dettagli. La Galassia del Triangolo, una galassia spirale di medie dimensioni poco più lontana di Andromeda, risulta già invisibile ad occhio nudo, rivelandosi solo con un binocolo nelle notti più limpide. Tra le galassie prossime al nostro Gruppo Locale alcune degne di nota sono in direzione della costellazione dell'Orsa Maggiore (M82 e M81), ma già sono visibili solo con un telescopio amatoriale. Dopo la scoperta, nei primi decenni del XX secolo, che le cosiddette nebulose spiraliformi erano entità distinte (chiamate galassie o universi-isola) dalla Via Lattea, si sono condotte numerose osservazioni volte a studiare tali oggetti, principalmente alle lunghezze d'onda della luce visibile. Il picco di radiazione di gran parte delle stelle, infatti, ricade entro questo range; pertanto l'osservazione delle stelle che formano le galassie costituiva la quasi totalità dell'astronomia ottica. Alle lunghezze d'onda del visibile è possibile osservare in maniera ottimale le regioni H II (costituite da gas ionizzato), allo scopo di esaminare la distribuzione delle polveri all'interno dei bracci delle galassie a spirale. La polvere cosmica, presente nel mezzo interstellare, è però opaca alla luce visibile, mentre risulta già più trasparente all'infrarosso lontano, utilizzato per osservare nel dettaglio le regioni interne delle nubi molecolari giganti, sede di intensa formazione stellare, ed i centri galattici. Gli infrarossi sono anche utilizzati per osservare le galassie più lontane, che mostrano un alto spostamento verso il rosso; esse ci appaiono come dovevano presentarsi poco dopo la loro formazione, nei primi stadi dell'evoluzione dell'Universo. Tuttavia, poiché il vapore acqueo e il diossido di carbonio della nostra atmosfera assorbono una parte rilevante della porzione utile dello spettro infrarosso, per le osservazioni nell'infrarosso sono usati solamente telescopi ad alta quota o in orbita nello spazio. Il primo studio sulle galassie, in particolare su quelle attive, non basato sulle frequenze del visibile fu condotto tramite le radiofrequenze; l'atmosfera è infatti quasi totalmente trasparente alle onde radio di frequenza compresa fra 5 MHz e 30 GHz (la ionosfera blocca i segnali al di sotto di questa fascia). Grandi radiointerferometri sono stati usati per mappare i getti emessi dai nuclei delle galassie attive. I radiotelescopi sono in grado di osservare l'idrogeno neutro, includendo, potenzialmente, anche la materia non ionizzata dell'Universo primordiale collassata in seguito nelle galassie. I telescopi a raggi X e ad ultravioletti possono inoltre osservare fenomeni galattici altamente energetici. Un intenso brillamento (flare) agli ultravioletti fu osservato nel 2006 mentre una stella di una galassia distante era catturata dal forte campo gravitazionale di un buco nero. La distribuzione del gas caldo negli ammassi galattici può essere mappata attraverso i raggi X; infine, l'esistenza dei buchi neri supermassicci nei nuclei delle galassie fu confermata proprio attraverso l'astronomia a raggi X. La scoperta che il Sole è all'interno di una galassia, e che vi sono innumerevoli altre galassie, è strettamente legata alla scoperta della vera natura della Via Lattea. Prima dell'avvento del telescopio, oggetti lontani come le galassie erano del tutto sconosciuti, data la loro bassa luminosità e la grande distanza. Alle civiltà classiche poteva essere nota soltanto una macchia chiara in direzione della costellazione di Andromeda (quella che fu per lungo tempo chiamata "Grande Nube di Andromeda"), visibile senza difficoltà ad occhio nudo, ma la cui natura era del tutto ignota. Le due Nubi di Magellano, le altre galassie visibili ad occhio nudo, possedevano una declinazione troppo meridionale perché potessero essere osservate dalle latitudini temperate boreali. Furono sicuramente osservate dalle popolazioni dell'emisfero sud, ma da parte loro ci sono giunti pochi riferimenti scritti. Il primo tentativo di catalogare quelli che allora erano chiamati "oggetti nebulosi" risale all'inizio del XVII secolo, ad opera del siciliano Giovan Battista Odierna, che inserì nel suo catalogo De Admirandis Coeli Characteribus del 1654 anche alcune di quelle che in seguito sarebbero state chiamate "galassie". Verso la fine del XVIII secolo, l'astronomo francese Charles Messier compilò un catalogo delle 109 nebulose più luminose, seguito poco dopo da un catalogo, che comprendeva altre 5000 nebulose, stilato dall'inglese William Herschel. Herschel fu inoltre il primo a tentare di descrivere la forma della Via Lattea e la posizione del Sole al suo interno; nel 1785 compì un conteggio scrupoloso del numero di stelle in seicento regioni differenti del cielo dell'emisfero boreale; egli notò che la densità stellare aumentava man mano che ci si avvicinava ad una determinata zona del cielo, coincidente col centro della Via Lattea, nella costellazione del Sagittario. Suo figlio John ripeté poi le misurazioni nell'emisfero meridionale, giungendo alle stesse conclusioni. Herschel senior disegnò poi un diagramma della forma della Galassia, considerando però erroneamente il Sole nei pressi del suo centro. Nel 1845, William Parsons costruì un nuovo telescopio che gli permise di distinguere le galassie ellittiche da quelle spirali; riuscì inoltre a distinguere sorgenti puntiformi di luce (ovvero delle stelle) in alcune di queste nebulose, dando credito all'ipotesi del filosofo tedesco Immanuel Kant, che riteneva che alcune nebulose fossero in realtà galassie distinte dalla Via Lattea. Nonostante questo, le galassie non furono universalmente accettate come entità separate dalla Via Lattea finché Edwin Hubble non risolse definitivamente la questione nei primi anni venti del XX secolo. Nel 1917 Heber Curtis osservò la supernova S Andromedae all'interno della "Grande Nebulosa di Andromeda" (M31); cercando poi con accuratezza nei registri fotografici ne scoprì altre undici. Curtis determinò che la magnitudine apparente di questi oggetti era 10 volte inferiore di quella che raggiungono gli oggetti all'interno della Via Lattea. Come risultato egli calcolò che la "nebulosa" dovesse trovarsi ad una distanza di circa 150.000 parsec; Curtis divenne così sostenitore della teoria degli "universi isola", che affermava che le nebulose di forma spirale erano in realtà galassie simili alla nostra, ma separate. Nel 1920 ebbe luogo il Grande Dibattito tra Harlow Shapley e Heber Curtis sulla natura della Via Lattea, delle nebulose spiraliformi e sulle dimensioni generali dell'Universo. Per supportare l'ipotesi che la Grande Nebulosa di Andromeda fosse in realtà una galassia esterna, Curtis indicò la presenza di macchie scure, situate nel piano galattico di Andromeda, simili alle nebulose oscure osservabili nella Via Lattea, e fece notare anche il notevole spostamento della galassia secondo l'effetto Doppler. Il problema fu definitivamente risolto da Edwin Hubble nei primi anni venti, grazie all'uso del nuovo e più potente telescopio Hooker, situato presso l'osservatorio di Monte Wilson. Lo scienziato americano fu in grado di risolvere le parti esterne di alcune nebulose spiraliformi come insiemi di stelle e tra esse identificò alcune variabili Cefeidi, che lo aiutarono a stimare la distanza di queste nebulose: queste si rivelarono troppo distanti per essere parte della Via Lattea. Nel 1936 lo stesso Hubble ideò un sistema di classificazione per le galassie ancora usato ai nostri giorni: la sequenza di Hubble. Lo schema classificativo della Sequenza di Hubble si basa sulla morfologia visuale delle galassie; esse si suddividono in tre tipi principali: ellittiche, spirali e irregolari. Dato che tale sequenza si basa esclusivamente su osservazioni di tipo prettamente morfologico visivo, essa non tiene in considerazione alcune delle caratteristiche più importanti delle galassie, quali il tasso di formazione stellare delle galassie starburst e l'attività nel nucleo delle galassie attive.
Approfondimento: la sequenza di Hubble
La sequenza di Hubble è uno schema di classificazione dei tipi di galassie sviluppato da Edwin Hubble nel 1926 e successivamente perfezionato nel 1936. È stata descritta e illustrata per la prima volta sotto forma di catalogo in "The Hubble Atlas of Galaxies" (1961) curato da Allan Sandage contenente poche centinaia di galassie ed in seguito applicata a più di 1200 galassie nel "A Revised-Shapley Ames Catalog of Bright Galaxies" (1981 Sandage & Tammann). Nel 1994 Sandage insieme a Bedke pubblica "The Carnegie Atlas of Galaxies" dove sono illustrate le galassie descritte nel precedente catalogo. La divisione è la seguente:
Dove i tipi da E0 a E7 sono galassie ellittiche, S0 e SB0 sono galassie "lenticolari", da Sa a Sc sono galassie spirali, da SBa a SBc sono spirali barrate e Irr sono galassie irregolari. Il particolare diagramma che rappresenta questa classificazione è chiamato diagramma a Diapason.
- le galassie ellittiche hanno una forma ellissoidale, con una distribuzione di stelle piuttosto uniforme. Il numero descrive la loro ellitticità: le galassie E0 sono quasi sferiche, mentre le E7 sono molto appiattite. Questo numero descrive più che altro l'aspetto della galassia perché, essendo sconosciuto l'angolo di vista, non è dato sapere la sua forma reale soltanto attraverso delle semplici immagini. È però possibile avere qualche indizio sulla loro forma reale attraverso l'analisi fotometrica.
- le galassie lenticolari (S0 e SB0) hanno una struttura simile ad un disco, con un bulge centrale sferico. Ognuna delle due classi si divide in tre sottoclassi designate con gli indici 1,2,3. Non mostrano alcuna struttura a spirale. Le SB0 presentano una barra che a seconda della prominenza ne definisce l'appartenenza ad una delle sottoclassi precedentemente elencate. Per le normali ellittiche lo sottoclassificazione è definita dalla presenza di gas e polveri nel disco.
- le galassie a spirale hanno un bulge centrale ed un disco esterno che contiene bracci di spirale. I bracci si avvolgono attorno al bulge, e variano da molto stretti (Sa) a molto aperti (Sc). Oltre all'avvolgimento dei bracci la classificazione di queste galassie avviene anche attraverso altri due parametri, comunque sempre collegati: dimensione del bulge (più è piccolo più il tipo morfologico è avanzato) e risoluzione dei bracci in sottostrutture (stelle, nubi, etc... più sono risolti più il tipo è avanzato).
- le galassie a spirale barrata sono simili alle galassie a spirale, ma i bracci partono da una specie di barra che attraversa il bulge invece che direttamente da esso. Sono denominate da SBa a SBc ed i parametri di classificazione sono gli stessi delle galassie a spirali normali. Contrariamente a quanto si possa pensare sono queste le galassie a spirale più diffuse nell'universo (sono circa il 70% del totale).
- le galassie a spirale intermedia, classificate come SAB (ovverò a metà tra le galassie a spirale e le galassie a spirale barrata). Sono molto rare, tanto da non comparire nella sequenza di Hubble (infatti più propriamente è una terminologia appartenente alla classificazione elaborata da de Vaucouleurs).
- le galassie irregolari non mostrano alcuna forma regolare riconoscibile, sono state divise da Hubble in due classi: Irregolari di tipo I e di tipo II. In seguito queste classi sono state rinominate in Irregolari di tipo magellanico (Im) e barrate di tipo magellanico (Ibm) pensate come continuazione dei due bracci del diagramma a diapason.
In astronomia, una galassia ellittica è un tipo di galassia caratterizzato dalle seguenti proprietà:
- momento angolare assente o ridotto
- assenza di bracci spirale
- stelle giovani assenti
- ammassi aperti assenti o molto ridotti
- sono costituite principalmente da stelle di popolazione II
- nubi di gas e polveri interstellari assenti o molto ridotte
Le galassie ellittiche variano enormemente di grandezza, e annoverano tra di esse sia galassie molto piccole (non si sa se quelle davvero microscopiche, le nane sferoidali, siano anch'esse da considerarsi galassie ellittiche), sia le più grandi galassie conosciute. M32 e M110, due satelliti della Galassia di Andromeda, sono galassie ellittiche nane. M87, la galassia principale dell'Ammasso della Vergine, è un'enorme ellittica grande forse 10 volte la nostra Via Lattea e circondata da 15.000 ammassi globulari, contro i 157 della nostra galassia. Maffei 1 è considerata, a 10 milioni di a.l. di distanza, la galassia ellittica gigante più vicina alla nostra galassia. Questo ritratto tradizionale delle galassie ellittiche le dipinge come galassie dove la formazione stellare è finita dopo i primi momenti, e che adesso risplendono solo grazie a stelle che stanno invecchiando. Si pensava che una galassia ellittica non attraversasse alcun cambiamento durante la sua vita, se non per il graduale affievolimento di luminosità. Alcune recenti osservazioni hanno però trovato ammassi aperti blu e giovani all'interno di alcune galassie ellittiche, assieme ad altre strutture che possono essere spiegate dalla fusione tra galassie. In questa nuova visione (ancora piuttosto sperimentale), le galassie ellittiche sarebbero il risultato di un lungo processo dove due o più galassie più piccole, di qualunque tipo, entrano in collisione e si fondono in un unico oggetto più grande. Questo processo di fusione a volte può protrarsi fino ad epoche contemporanee, e non è limitato alle galassie ellittiche. Per esempio, sappiamo che la nostra stessa Via Lattea è impegnata a "digerire" un paio di piccole galassie in questo istante (un istante che va misurato in milioni di anni). Studi recenti hanno evidenziato che le galassie ellittiche ruotano meno velocemente delle galassie a spirale.
Una galassia a spirale, o anche galassia spiraliforme o galassia spirale, è un tipo di galassia della sequenza di Hubble, caratterizzato dalle seguenti proprietà:
- È composta da un bulge centrale circondato da un disco
- Il bulge somiglia ad una piccola galassia ellittica, contenente molte stelle vecchie (la cosiddetta popolazione II), e spesso un buco nero supermassiccio al suo centro
- Il disco è un agglomerato di stelle giovani di popolazione I, ammassi aperti e nubi di gas, piatto e rotante
- Ha un considerevole momento angolare.
Le galassie spirali prendono il loro nome dai brillanti bracci di formazione stellare presenti nel disco, che si estendono all'incirca come una spirale logaritmica dal bulge. Questi bracci possono essere più o meno evidenti, e a volte sono difficili da vedere, ma distinguono comunque le galassie spirali da quelle lenticolari, che hanno anche loro un disco ma senza bracci. Il disco delle galassie spirali è in genere circondato da un grande alone sferoidale di stelle di popolazione II, la maggior parte delle quali sono concentrate in ammassi globulari in orbita attorno al centro galattico. La nostra Via Lattea è stata confermata essere, in tempi recenti, una spirale barrata, anche se la barra del disco galattico è difficile da osservare dalla nostra posizione. La prova più convincente che sia una galassia di questo tipo viene da osservazioni delle stelle nel centro galattico con il telescopio spaziale Spitzer. Una peculiare galassia a spirale è la cosiddetta Galassia cometa, membro dell'ammasso di galassie Abell 2667: si tratta probabilmente di una galassia osservata durante una rapida fase di trasformazione dalla forma a spirale a quella lenticolare. Uno studio pubblicato a giugno 2017 effettuato con i telescopi ALMA ed Herschel ha evidenziato che le galassie a spirale ruotano più velocemente di quelle ellittiche, con un momento angolare cinque volte maggiore di queste ultime. Lo studio si è concentrato sulle quantità dei gas che precipitano verso la regione centrale delle galassie in formazione. Nelle galassie ellittiche questo processo è molto più rapido. Tale processo di formazione viene successivamente bloccato dalle fughe di gas dovute alla esplosione di supernove, dai venti stellari sino alle energie che si sprigionano dagli eventuali buchi neri che si formano al loro interno. Il momento angolare iniziale viene così controbilanciato e dissipato. Nelle galassie a spirale il processo di addensamento dei gas nella regione centrale è più lento, in tempi comparabili a quelli dell'Universo; la formazione stellare avviene più lentamente ed il momento angolare iniziale viene in tal modo mantenuto. Tale ricerca ha evidenziato come il differente momento angolare e quindi la differenza di velocità della rotazione delle galassie sia correlata alle caratteristiche insite nelle regioni centrali delle galassie in formazione e non, come in precedenza supposto, ad eventi di fusione. Uno studio pubblicato nel 2016 ha identificato un tipo particolare di galassia a spirale denominato galassia a spirale superluminosa che si presenta insolitamente di grandi dimensioni, massiccia e luminosa al pari di una galassia ellittica gigante ma con un tasso di formazione stellare elevato, in media 30 masse solari/anno.
Una galassia a spirale barrata, o anche galassia spirale barrata, è una galassia a spirale dal cui bulbo centrale si dipartono due prolungamenti di stelle che nell'insieme ricordano una barra. In queste galassie i bracci curvi della spirale partono dalla barra, anziché dal nucleo. Si usa anche il più generico galassia barrata, in quanto la barra è presente anche in galassie di diversa morfologia. Le osservazioni col telescopio spaziale Spitzer, nel 2005, hanno fornito una prova che la Via Lattea ha una barra che passa attraverso il centro, stimata della lunghezza di circa 27.000 anni luce. Gli astronomi hanno ipotizzato che questa formazione sia temporanea e sia causata dalla forza mareale tra galassie. Nonostante ciò, molti astronomi rifiutano l'idea di una galassia a spirale barrata, e preferiscono attribuire alla Via Lattea il modello a spirale classico. Nella sequenza di Hubble questo tipo di galassie è indicata come "SB" ed è diviso in 3 sottocategorie:
- SBa - i bracci della spirale si avvolgono fino a formare una struttura complessiva quasi circolare intorno al nucleo galattico e alla barra, posta in posizione diametrale
- SBb - a metà strada fra le SBa e le SBc
- SBc - le spirali sono molto più allargate e la configurazione complessiva richiama quella di una lettera "S"
Esiste inoltre un'ulteriore classificazione (introdotta nel 1959 dall'astronomo francese Gérard Henri de Vaucouleurs), che distingue le (più rare) galassie SBd; inoltre esistono galassie irregolari che presentano la struttura di una barra, classificate come SBm (la Grande Nube di Magellano ad esempio è spesso così classificata). Esistono anche galassie lenticolari che presentano barre e sono classificate come SB0. Sebbene le galassie a spirale siano molto numerose, le spirali barrate sono circa il 15% del totale delle galassie. Contando anche altri tipi di galasse barrate che non sono spirali, nel catalogo RSA (Revised Shapley-Ames Catalog of Bright Galaxies) le galassie classificate come barrate sono circa il 25% di quelle catalogate. Tuttavia ulteriori ricerche suggeriscono che in campo radio sia possibile individuare un gran numero di barre non osservate con la strumentazione ottica. Secondo questo studio, la percentuale di galassie barrate fra le spirali sarebbe di circa il 72%.
Una galassia peculiare è una galassia che presenta una forma insolita, una dimensione eccezionale o una composizione diversa dalle altre galassie. Normalmente una galassia peculiare è il risultato di un fenomeno di interazione o forze mareali di altre galassie. Può contenere una quantità insolita di polvere interstellare e gas, e possedere una luminosità superficiale più o meno alta rispetto alle galassie o getti dipolari. Le galassie peculiari sono indicate con la sigla "pec" o la lettera "p" nei vari cataloghi di galassie. Esempi di galassie peculiari sono le galassie irregolari, le galassie dello starburst e le galassie ad anello, che possiedono una struttura anulare di stelle e mezzo interstellare che circonda una barra centrale.
Per galassia nana si intende una galassia di piccole dimensioni composta da un numero di stelle variabile da 100 milioni ad alcuni miliardi, poche se confrontate con i 200/400 miliardi circa di stelle che popolano la Via Lattea, la nostra galassia. La Grande Nube di Magellano, con oltre 30 miliardi di stelle, è a volte classificata come galassia nana. Nella Sequenza di Hubble sono classificate con il prefisso d (da Dwarf, in lingua inglese "nano") che precede la categoria morfologica attribuita alla galassia. Le galassie nane orbitano normalmente intorno a galassie molto più grandi. Essendo oggetti non molto luminosi, sono note in particolare le galassie nane del Gruppo Locale, ovvero dell'ammasso di galassie di cui fanno parte la Via Lattea, la Galassia di Andromeda e la Galassia del Triangolo. Tuttavia l'avvento dei telescopi spaziali come Hubble e dei moderni telescopi terrestri, come Subaru e Keck, hanno permesso di spingersi con le osservazioni ben oltre il Gruppo Locale, identificando galassie nane estremamente remote che risalgono addirittura alle prime fasi della formazione dell'Universo, come ad esempio la galassia Abell 1835 IR1916. Fino ad oggi sono state identificate oltre 40 galassie nane, tra confermate e candidate, satelliti della Via Lattea, oltre alla scoperta di numerose correnti stellari che rappresentano quanto resta di galassie nane ormai completamente disgregate dalle forze mareali della nostra galassia. Le galassie nane si differenziano in base alla morfologia e/o in base ad altre caratteristiche peculiari:
- Galassie nane ellittiche (dE)
- Galassie nane sferoidali (dSph)
- Galassie nane irregolari (dI)
- Galassie nane spirali (dS)
- Galassie nane di tipo magellanico (dSm)
- Galassie nane compatte blu (BCD)
- Galassie nane ultra-compatte (UCD)
- Galassie nane ultra-deboli (UFD)
- Galassie nane a bassa luminosità superficiale (LSBD)
- Pea galaxies
- Extreme emission-line galaxies (EELG)
Alcune galassie nane note sono quelle ellittiche del Sagittario e del Cane Maggiore. È stata scoperta recentemente una nuova tipologia: le galassie nane ultra-compatte, caratterizzate da dimensioni molto piccole: 100 - 200 anni luce di diametro.
Moto
Le stelle all'interno delle galassie sono in costante movimento; nelle galassie ellittiche, a causa del bilanciamento fra velocità e gravità, i movimenti sono relativamente contenuti, le stelle si muovono in direzioni casuali ed i movimenti rotazionali attorno al nucleo sono minimi; ciò conferisce a queste galassie la tipica forma sferica. Nelle galassie a spirale, le dinamiche sono notevolmente più complesse. Il nucleo, di forma sferoidale, possiede un'elevata densità di materia, il che comporta che questo si comporti in modo simile ad un corpo rigido. Nei bracci di spirale (che costituiscono il disco galattico), invece, la componente di rotazione è preponderante, il che spiega la forma appiattita del disco. La velocità orbitale della gran parte delle stelle della galassia non dipende necessariamente dalla loro distanza dal centro. Se si suppone, per l'appunto, che le parti più interne dei bracci di spirale ruotino più lentamente delle parti esterne (come avviene, ad esempio, in un corpo rigido), le galassie spirali tenderebbero ad "attorcigliarsi" e la struttura a spirale diverrebbe staccata dal nucleo. Questo scenario è in realtà l'opposto di quanto si osserva nella galassie spirali; per questo motivo gli astronomi suppongono che i bracci delle spirali siano il risultato di diverse onde di densità emanate dal centro galattico. Da ciò ne consegue che i bracci di spirale cambiano di continuo morfologia e posizione. L'onda di compressione aumenta la densità dell'idrogeno molecolare, che, manifestando fenomeni di instabilità gravitazionale, collassa facilmente dando luogo alla formazione di protostelle; di fatto, i bracci appaiono più luminosi del resto del disco non perché la loro massa sia notevolmente più elevata, ma perché contengono un gran numero di stelle giovani e brillanti. Fuori dalle regioni del bulge o dal bordo esterno, la velocità di rotazione galattica è compresa fra 210 e 240 km/s. Pertanto, il periodo orbitale di una stella che orbita nei bracci di spirale è direttamente proporzionale solo alla lunghezza della traiettoria percorsa, a differenza di quanto può invece essere osservato nel sistema solare, dove i pianeti, percorrendo orbite differenti nel rispetto delle leggi di Keplero, possiedono anche significative differenze nella velocità orbitale; quest'andamento delle orbite dei bracci di spirale costituisce uno degli indizi più evidenti dell'esistenza della materia oscura. Il senso di rotazione di una galassia a spirale può essere misurato studiando l'effetto Doppler riscontrato sulla galassia stessa, che rivela se le sue stelle sono in avvicinamento o in allontanamento da noi; tuttavia, questo è possibile solo a determinate condizioni: innanzitutto, la galassia non deve presentarsi "di faccia" o "di taglio", ossia l'angolo di visuale non deve essere uguale a 0º o 90º, questo perché se una galassia che si mostra perfettamente di faccia, le sue stelle giacciono approssimativamente alla stessa distanza da noi, in qualunque punto della loro orbita esse si trovino. Nel secondo caso - quello delle galassie con angolo di visuale inclinato - occorre dapprima stabilire quale parte di essa è più vicina e quale è più lontana. Alcune galassie possiedono dinamiche del tutto particolari e insolite; è questo il caso della Galassia Occhio Nero (nota anche con la sigla del Catalogo di Messier M64). M64 è all'apparenza una normale galassia a spirale, oscurata in più punti da fitte nebulose oscure; tuttavia, recenti analisi dettagliate hanno portato alla scoperta che i gas interstellari delle regioni esterne ruotano in direzione contraria rispetto ai gas e le stelle delle regioni interne. Alcuni astronomi ritengono che la rotazione contraria abbia avuto inizio quando M64 assorbì una propria galassia satellite, entrata in collisione con essa probabilmente più di un miliardo di anni fa. Nelle regioni di contatto tra le opposte rotazioni, i gas collisero e si compressero contraendosi, dando vita a una zona di formazione stellare molto attiva. Della piccola galassia scontratasi con M64 ora non resta quasi più nulla; le sue stelle o sono state assimilate dalla galassia principale o sono state disperse nello spazio come stelle iperveloci, ma i segni della collisione sarebbero visibili nel moto contrario dei gas nelle regioni esterne di M64. Le galassie interagenti sono due o più galassie influenzate dalla reciproca forza di gravità. Un esempio di interazione minore è quello dato da una galassia che disturba uno dei bracci principali di un'altra galassia; un esempio di interazione maggiore è invece dato dalle galassie in collisione. Una galassia gigante che interagisce con le sue galassie satelliti è un evento comune: la gravità della galassia satellite può attrarre e distorcere uno dei bracci della galassia principale, come sembra stia avvenendo tra la Via Lattea e la Galassia Nana Ellittica del Sagittario; in queste occasioni si può verificare un fenomeno di formazione stellare localizzato. Un altro celebre esempio è dato dalla Galassia Vortice, che interagisce e viene deformata dalla piccola galassia satellite NGC 5195. Una fusione galattica è un evento che può verificarsi quando due o più galassie collidono. Si tratta del tipo più violento di interazione galattica, i cui effetti sulle singole galassie, dovuti sia alle interazioni gravitazionali tra i soggetti interagenti che all'attrito dinamico tra i gas e la polvere cosmici, sono di enorme portata e dipendono da diversi fattori, come gli angoli di collisione, le velocità dei corpi celesti coinvolti e le dimensioni relative di questi ultimi. Le fusioni galattiche sono un vasto argomento di ricerca per l'astrofisica odierna, poiché il tasso di fusione galattica è una misura di fondamentale importanza per capire l'evoluzione galattica e fornisce agli astrofisici indizi per ricostruire la storia dell'Universo. Durante una fusione galattica sia le stelle che la materia oscura di una galassia possono essere disturbate dalle altre galassie in avvicinamento, tanto che, durante le ultime fasi della fusione, il potenziale gravitazionale (vale a dire la forma della galassia) inizia a cambiare così rapidamente e drasticamente, in un processo che viene chiamato "rilassamento violento", che le orbite delle stelle possono subire alterazioni così profonde da far perdere ogni indizio sul loro precedente percorso. Per esempio, all'inizio di una collisione tra due galassie a disco, le stelle di entrambe le galassie ruotano ordinatamente sui piani dei due dischi separati ma, durante la fusione, tale moto si trasforma tanto che la galassia risultante è dominata da stelle che orbitano attorno al centro galattico in una complicata rete di orbite interagenti dai tracciati quasi casuali, come si osserva nelle galassie ellittiche. Le fusioni sono eventi che portano spesso anche a un elevato tasso di formazione stellare, risultando essere dei veri e propri siti starburst. Il valore tipico di tale tasso di formazione è di poco meno di 100 masse solari all'anno, che è già un valore importante se rapportato all'attuale tasso di formazione stellare della nostra galassia, la Via Lattea, che è di circa 0,68-1,45 masse solari all'anno, ma che può arrivare anche alle migliaia di masse solari all'anno a seconda del contenuto di gas di ogni galassia e del suo spostamento verso il rosso. Sebbene durante una fusione galattica la stelle delle galassie interagenti non si avvicinino quasi mai abbastanza da poter effettivamente collidere, accade comunque che enormi nubi molecolari precipitino velocemente verso il centro della galassia in formazione, unendosi quindi con altre nubi molecolari e formando nubi che, collassando, danno origine a nuove stelle. Si ritiene che tale fenomeno, attualmente osservabile in molte fusioni galattiche a noi note, abbia avuto una maggiore intensità durante le fusioni che hanno portato alle galassie ellittiche oggi visibili e che si stima siano avvenute tra 1 e 10 miliardi di anni fa, quando le galassie erano più ricche di gas e conseguentemente di nubi molecolari. Inoltre, anche lontano dal centro della galassia in formazione, le nubi di gas si compenetrano l'un l'altra, dando origine a onde d'urto che, propagandosi all'interno delle nubi stesse, possono innescare la formazione stellare. Il risultato di tutti questi processi è che, una volta terminata la fusione, la galassia formatasi risulta avere un basso contenuto di gas residuo utile a dare origine a nuove stelle. Quindi, se due galassie sono coinvolte in una fusione "maggiore", al termine di questa, ossia dopo diverse centinaia di milioni di anni, la galassia risultante dalla fusione avrà un basso contenuto di stelle giovani rimaste, esattamente come si può oggi osservare nelle galassie ellittiche a noi note, in cui sono presenti poche stelle giovani e poche nubi molecolari. Proprio per questo si ritiene oggi che le galassie ellittiche siano il risultato finale di enormi fusioni galattiche che hanno consumato la maggior parte del gas durante il loro procedere dando come risultato una galassia con un tasso di formazione stellare decisamente basso. Al giorno d'oggi grazie a software sempre più avanzati, è possibile simulare diversi tipi di fusioni galattiche, utilizzando coppie di galassie di qualsiasi tipo e tenendo conto di molti fattori come tutte le interazioni gravitazionali, l'energia e la massa rilasciate nel mezzo interstellare dalle supernove, la fluidodinamica dei gas interstellari e molto altro. Un simile archivio di fusioni galattiche, chiamato Galmer, può essere liberamente consultato online. Una delle più vaste fusioni mai osservate è quella attualmente visibile nell'ammasso di galassie ClG J0958+4702, a una distanza di circa 5 miliardi di anni luce dalla Terra, che coinvolge ben quattro galassie ellittiche e che potrebbe dar origine a una delle più grandi galassie conosciute.
Classificazione
Le fusioni galattiche possono essere classificate in base ad alcune delle proprietà delle galassie coinvolte nell'evento, come il loro numero, la loro dimensione relativa e il loro quantitativo di gas.
Numero
Le fusioni possono essere catalogate in base al numero di galassie in esse coinvolte:
- Fusione binaria Una fusione galattica è detta "binaria" quando coinvolge due galassie interagenti.
- Fusione multipla Una fusione galattica è detta "multipla" quando coinvolge tre o più galassie interagenti.
Dimensione
Le fusioni possono essere catalogate in base a quanto la galassia più grande tra quelle coinvolte nel processo risulta modificata nella forma o nella dimensione dopo la fusione:
- Fusione minore Una fusione è detta "minore" se una delle galassie coinvolte è significativamente più grande dell'altra o delle altre. In un simile scenario la galassia più grande ingloberà la più piccola, assorbendo la gran parte del suo gas e delle sue stelle senza subire una modifica sostanziale. Si ritiene che la stessa Via Lattea stia attualmente assorbendo diverse galassie più piccole in questo modo, come la Galassia Nana Ellittica del Cane Maggiore e probabilmente anche la Grande Nube di Magellano, e che la Corrente stellare della Vergine sia quello che rimane di una galassia nana sferoidale quasi del tutto fusasi con essa.
- Fusione maggiore Una fusione è detta "maggiore" quando riguarda galassie che hanno approssimativamente la stessa dimensione; prendendo il caso di due galassie a spirale, si ritiene che se i due corpi celesti collidono con un angolo e una velocità appropriati, allora la fusione avviene in modo tale da portare all'espulsione di polveri e gas attraverso una serie di meccanismi che spesso includono uno stadio in cui sono presenti dei nuclei galattici attivi, attivati proprio dalla concentrazione conseguente al processo di fusione. Si ritiene che in questo caso il risultato della fusione sia una galassia ellittica e molti astronomi concordano nel ritenere che sia stato proprio questo il meccanismo originario alla base della creazione di tali galassie. Un esempio di fusione maggiore è quello visibile nella costellazione del Leone, tra le galassie NGC 3808 e NGC 3808A (conosciute anche come Arp 87), mentre un'altra fusione maggiore è quella che ci si attende avverrà tra circa 4,5 miliardi di anni tra la Via Lattea e la galassia di Andromeda e che darà come risultato una galassia ellittica gigante.
Contenuto di gas
Le fusioni possono essere catalogate in base alle interazioni dei gas presenti all'interno o attorno alle galassie coinvolte:
- Fusione bagnata Una fusione galattica è detta "bagnata" quando avviene tra due o più galassie con un alto contenuto di gas intergalattico (le cosiddette "galassie blu"). Questo tipo di fusioni è caratterizzato da un elevato tasso di formazione stellare, trasforma due galassie a disco in una galassia ellittica e può innescare l'attività di un quasar.
- Fusione a secco Una fusione galattica è detta "a secco" quando avviene tra due o più galassie con un basso contenuto di gas intergalattico (le cosiddette "galassie rosse"). Solitamente questo genere di fusioni non cambia molto il tasso di formazione stellare delle galassie coinvolte, ma aumenta comunque la massa stellare.
- Fusione umida Una fusione galattica è detta "umida" quando avviene tra due galassie dello stesso tipo, blu o rosse, e nel caso in cui sia presente abbastanza gas da consentire una significativa formazione stellare ma non abbastanza da formare ammassi globulari.
- Fusione mista Una fusione galattica è detta "mista" quando avviene tra galassie ricche di gas e galassie che ne hanno invece un basso contenuto.
Approfondimento: la collisione tra la Via Lattea e Andromeda
La collisione tra Andromeda e la Via Lattea è un'ipotesi di collisione galattica, che potrebbe avere luogo tra circa 5 miliardi di anni, fra le due maggiori galassie del Gruppo Locale, la Via Lattea e la Galassia di Andromeda. Viene spesso usato come esempio del tipo di fenomeno associato alle collisioni nei simulatori. Come per tutti questi tipi di collisione, è molto improbabile che oggetti come le stelle contenute in ciascuna delle galassie interessate possano scontrarsi, poiché la distanza tra le singole stelle all'interno di una galassia è relativamente alta; per fare un esempio, la stella più vicina al Sole si trova infatti ad una distanza pari a trenta milioni di volte il diametro solare. Se si immagina il Sole delle dimensioni di una moneta, la moneta/stella più vicina si troverebbe a quasi 800 km di distanza. Se la teoria è corretta, le stelle e i gas contenuti nella Galassia di Andromeda saranno visibili ad occhio nudo fra circa tre miliardi di anni. Se la collisione avrà luogo, le due galassie si fonderanno l'una con l'altra. Non vi è modo di sapere se la collisione avverrà per certo oppure no; la velocità radiale della Galassia di Andromeda rispetto a quella della Via Lattea può essere misurata esaminando lo spostamento Doppler o le linee spettrali dalle stelle nella galassia, ma la velocità trasversa (o moto proprio, ossia la direzione effettiva) non può essere direttamente misurata. Per tal motivo, sebbene si sappia che la Galassia di Andromeda si avvicina alla nostra ad una velocità di circa 120 km/s, non si può prevedere con certezza se avverrà lo scontro oppure se le galassie si avvicineranno senza scontrarsi. La migliore stima indiretta della velocità indica un valore di meno di 100 km/s.[4] Questo suggerisce che almeno l'alone galattico delle galassie, escludendo dunque i dischi, collideranno. Il satellite Gaia, una sonda inviata dall'ESA nel 2013, misurerà la posizione delle stelle della galassia di Andromeda con sufficiente precisione da poter rilevare la velocità trasversa. Frank Summers, dello Space Telescope Science Institute, ha creato una visualizzazione CGI dell'evento, basato su ricerche condotte dalla Case Western Reserve University e dalla Harvard University. Per la Galassia di Andromeda questo tipo di collisioni di grande portata non sarebbero una novità: si crede infatti che in passato la galassia abbia conosciuto nel corso della sua vita almeno un'altra collisione. Si è ipotizzato inoltre che il nostro Sistema Solare verrà espulso per qualche tempo dalla nuova galassia; un evento simile non dovrebbe avere effetti negativi sul sistema. Cambiamenti come ogni sorta di disturbo al Sole o ai pianeti stessi sono da considerarsi di possibilità remota anche perché in quel momento il Sole si sarà già avviato da tempo verso la fase di gigante rossa o si sarà già dissolto in una nebulosa planetaria. Per la galassia gigante che ne risulterebbe da questo scontro sono stati proposti diversi nomi, tra cui Lattomeda (in inglese, Milkomeda).
Glossario: Andromeda
La Galassia di Andromeda (nota talvolta anche con il vecchio nome Grande Nebulosa di Andromeda o con le sigle di catalogo M 31 e NGC 224) è una galassia a spirale gigante che dista circa 2,538 milioni di anni luce dalla Terra in direzione della costellazione di Andromeda, da cui prende il nome.
Approfondiamo: la Galassia di Andromeda
La Galassia di Andromeda (nota talvolta anche con il vecchio nome Grande Nebulosa di Andromeda o con le sigle di catalogo M 31 e NGC 224), è una galassia a spirale gigante che dista circa 2,538 milioni di anni luce dalla Terra in direzione della costellazione di Andromeda, da cui prende il nome. Si tratta della galassia di grandi dimensioni più vicina alla nostra, la Via Lattea; è visibile anche a occhio nudo ed è tra gli oggetti più lontani visibili senza l'ausilio di strumenti. La Galassia di Andromeda è la più grande del Gruppo Locale, un gruppo di galassie di cui fanno parte anche la Via Lattea e la Galassia del Triangolo, più circa cinquanta altre galassie minori, molte delle quali satelliti delle principali. Secondo studi pubblicati negli anni duemila, derivati dalle osservazioni del telescopio spaziale Spitzer, conterrebbe circa un bilione di stelle (mille miliardi), un numero di gran lunga superiore a quello della Via Lattea. Sulla massa e sul numero di stelle ci sono tuttavia opinioni discordanti: alcuni studi indicano un valore di massa per la Via Lattea pari all'80% di quello di Andromeda, mentre secondo altri le due galassie avrebbero dimensioni simili. Alcuni studi suggeriscono però che la Via Lattea contenga più materia oscura e potrebbe così essere quella con la massa più grande. Con una magnitudine apparente pari a 3,4, la Galassia di Andromeda è uno degli oggetti più luminosi del catalogo di Messier. La Galassia di Andromeda si individua con estrema facilità: una volta individuata la costellazione di appartenenza e in particolare la stella Mirach (β Andromedae), si prosegue in direzione nordovest seguendo l'allineamento delle stelle μ Andromedae e ν Andromedae, in direzione NE/SW, fra Perseo e Pegaso, per arrivare a identificare una macchia a forma di fuso, allungato in senso nordest-sudovest; è possibile notarlo anche ad occhio nudo se il cielo è in condizione ottimali e senza inquinamento luminoso. Un binocolo 8×30 o 10×50 non mostra molti più dettagli, ma consente di individuare la satellite M32; un telescopio da 120-250 mm di apertura consente di notare che la regione centrale è più luminosa, anche se non notevolmente rispetto al resto del fuso, il quale degrada dolcemente verso il fondo cielo specialmente ai lati nordest e sudovest. Ingrandimenti eccessivi non consentono di avere una visione di insieme. La Galassia di Andromeda può essere osservata da entrambi gli emisferi terrestri, sebbene la sua declinazione settentrionale favorisca notevolmente gli osservatori dell'emisfero nord; dalle regioni boreali si presenta estremamente alta nel cielo nelle notti d'autunno, mostrandosi persino circumpolare dalle regioni più settentrionali e della fascia temperata medio-alta, come l'Europa centro-settentrionale e il Canada, mentre dall'emisfero australe resta sempre molto bassa, ad eccezione delle aree prossime all'equatore. È comunque visibile da buona parte delle aree abitate della Terra.
Il periodo migliore per la sua osservazione nel cielo serale è quello compreso fra settembre e marzo; nell'emisfero boreale è uno degli oggetti più caratteristici dei cieli autunnali. La prima osservazione della Galassia di Andromeda messa per iscritto risale al 964 ed è stata condotta dall'astronomo persiano Abd al-Rahmān al-Sūfi, il quale la descrisse come una "piccola nube" nel suo Libro delle stelle fisse; anche altre carte celesti, (tra cui quelle olandesi) risalenti allo stesso periodo la riportano con la definizione di "Piccola Nube". La prima descrizione dell'oggetto basata sulle osservazioni telescopiche fu fatta da Simon Marius il 15 dicembre del 1612, il quale la definì come "la luce di una candela osservata attraverso un corno traslucido". Charles Messier la inserì in seguito nel suo celebre catalogo col numero 31 nell'anno 1764, accreditando erroneamente Marius come scopritore, non essendo a conoscenza del precedente libro di Sufi. Nel 1785, l'astronomo William Herschel notò un debole alone rossastro nella regione centrale di M31; egli credeva che si trattasse della più vicina fra tutte le "grandi nebulose" e, basandosi sul colore e la magnitudine della nube, stimò (scorrettamente) una distanza non superiore a 2000 volte la distanza di Sirio. William Huggins nel 1864 osservò lo spettro di M31 e notò che era differente da quello delle nebulose gassose; gli spettri di M31 mostravano un continuum di frequenze, sovrapposte a linee scure, molto simile a quello delle singole stelle: da ciò dedusse che si doveva trattare di un oggetto di natura stellare. Nel 1885 fu osservata nell'alone di M31 una supernova, catalogata come S Andromedae, la prima e l'unica osservata finora nella galassia; all'epoca dato che M31 era considerato un oggetto "vicino", si credeva che si trattasse di un evento molto meno luminoso, chiamato nova, così fu indicata come "Nova 1885". Le prime immagini fotografiche della galassia furono prese nel 1887 da Isaac Roberts dal suo osservatorio privato nel Sussex; la lunga esposizione permise di mostrare, per la prima volta, che M31 possiede una struttura a spirale. Tuttavia si credeva ancora che si trattasse di una nebulosa compresa nella nostra Galassia e Roberts pensò erroneamente che si trattasse di una nube a spirale in cui si formano sistemi simili al nostro sistema solare, dove le nubi satelliti sarebbero state dei pianeti in formazione.La velocità radiale di M31 rispetto al sistema solare fu misurata nel 1912 da Vesto Slipher all'Osservatorio Lowell, utilizzando uno spettroscopio; il risultato fu la più alta velocità radiale mai misurata fino ad allora, di ben 300 km/s, in avvicinamento al Sole. Nel 1917 Heber Curtis osservò una nova nei bracci di M31; ricercando nelle lastre fotografiche, ne scoprì altre 11; Curtis scrisse che queste novae possedevano una magnitudine apparente media di 10, più deboli di quelle che si osservano nella Via Lattea. Come risultato, egli pose la Galassia di Andromeda alla distanza di 500000 al, diventando così il proponente della teoria dei cosiddetti "universi-isola", secondo la quale le nebulose a spirale non sono altro che insiemi di gas e stelle simili alla nostra Via Lattea, indipendenti fra loro. Nel 1920 ebbe luogo il Grande Dibattito fra Harlow Shapley e Heber Curtis, in cui si discuteva della natura della Via Lattea, delle "nebulose a spirale" e delle dimensioni dell'Universo; per supportare l'ipotesi che la "Grande Nebulosa di Andromeda" fosse in realtà una galassia indipendente, Curtis riportò pure l'esistenza di linee oscure che ricordano le nubi di polvere tipiche della nostra Galassia, come pure il notevole effetto Doppler. Nel 1922 Ernst Öpik presentò un metodo astrofisico molto semplice per stimare la distanza di M31, secondo cui la "nube" risultava essere distante 450 kpc (quasi 1,5 milioni di anni luce). Edwin Hubble risolse il dilemma nel 1925, quando per la prima volta identificò alcune variabili Cefeidi in alcune foto della galassia create nell'Osservatorio di Monte Wilson, rendendo così molto più accurata la misurazione della distanza; le sue misurazioni infatti dimostrarono inequivocabilmente che M31 è una galassia indipendente situata a notevole distanza dalla nostra. Questa galassia svolge un ruolo importante negli studi galattici, dato che si tratta della galassia spirale gigante più vicina a noi. Nel 1943 Walter Baade risolse per la prima volta alcune singole stelle nella regione centrale della galassia; basandosi sulle sue osservazioni, egli fu in grado di distinguere due distinte popolazioni di stelle in base alla loro metallicità: chiamò il gruppo più giovane e vicino al disco "Tipo I" e le più vecchie e tendenti al rosso presenti nel bulge "Tipo II". Questo sistema di classificazione delle popolazioni stellari, per altro già notato in precedenza da Jan Oort, fu in seguito esteso alle stelle della Via Lattea e in generale di tutte le galassie note. Baade scoprì inoltre che sono presenti due tipi di variabili Cefeidi, che comportò un raddoppio della distanza stimata di M31, come pure delle galassie del resto dell'Universo. La prima mappa alle onde radio della Galassia di Andromeda fu completata negli anni cinquanta da John Evan Baldwin e dai suoi collaboratori nel Cambridge Radio Astronomy Group; il core della galassia è chiamato 2C 56 nel catalogo radioastronomico 2C. La Galassia di Andromeda è in avvicinamento alla Via Lattea alla velocità di circa 400.000 km/h, pertanto è una delle poche galassie a mostrare un spostamento verso il blu; dato il movimento del Sole all'interno della nostra Galassia, si ricava che le due galassie si avvicinano alla velocità di 100-140 km/s. Le due galassie potrebbero così collidere in un tempo stimato sui 2,5 miliardi di anni: in quel caso probabilmente si fonderanno dando origine ad una galassia ellittica di grandi proporzioni; tuttavia, la velocità tangenziale rispetto alla Via Lattea di M31 non è ben conosciuta, creando così incertezza sul quando la collisione avverrà e sul come essa procederà. Scontri di questo tipo sono frequenti nei gruppi di galassie. Dopo la scoperta di un secondo tipo di Cefeidi più deboli, nel 1953, la distanza della Galassia di Andromeda è stata raddoppiata; negli anni novanta le misurazioni del satellite Hipparcos furono usate per ricalibrare le distanze delle Cefeidi, portando così la distanza della galassia al valore provvisorio di 2,9 milioni di anni luce. Per determinare la distanza della galassia sono state utilizzate quattro tecniche distinte. Nel 2003, utilizzando le fluttuazioni di luminosità superficiale infrarosse, rivedendo il valore periodo-luminosità e utilizzando una correzione della metallicità di −0,2 mag dex−1 in (O/H), si è ricavata una distanza di 2,57 ± 0,06 milioni di anni luce (787 ± 18 kpc). Utilizzando il metodo delle variabili Cefeidi, il valore ottenuto nel 2004 è di 2,51 ± 0,13 milioni di anni luce (770 ± 40 kpc).Nel 2005 è stata annunciata la scoperta di una stella binaria a eclisse appartenente alla Galassia di Andromeda; questo sistema, catalogato come M31VJ00443799+4129236, è formato da due stelle blu luminose e calde di classe spettrale O e B. Studiando l'eclisse delle stelle, che avviene ogni 3,54969 giorni, gli astronomi sono stati in grado di misurare il loro diametro; conoscendo il loro diametro e le temperature, si è potuta ottenere la magnitudine assoluta dei due astri, che rapportata alla magnitudine apparente ha fornito un valore di distanza pari a 2,52 ± 0,14 milioni di anni luce (770 ± 40 kpc); pertanto questa distanza può essere presa come un valore medio per la galassia. Questo valore si inquadra perfettamente fra i valori precedentemente identificati e viene accettato come estremamente accurato, a prescindere dalla scala Cefeidi-distanza. La sua vicinanza consente pure di poter utilizzare delle stime basate sulle giganti rosse; tramite questa tecnica è stato trovato sempre nel 2005 un valore di 2,56 ± 0,08 milioni di anni luce (785 ± 25 kpc). Facendo una media delle distanze ottenute coi vari metodi si ottiene una stima di 2,54 ± 0,06 milioni di anni luce (778 ± 17 kpc); basandosi sulle distanze citate, è stato stimato un diametro della galassia pari a 141000±3000 al. Le stime della massa della Galassia di Andromeda, inclusa la materia oscura danno un valore di circa 1,23×1012 M⊙, mentre quella della Via Lattea sarebbe di 1,9×1012: la massa di M31 sarebbe dunque inferiore a quella della Via Lattea, nonostante le sue dimensioni siano superiori; tuttavia il tasso di imprecisione sarebbe troppo largo per poter confermare questo valore. Di fatto, M31 contiene molte più stelle della Via Lattea e possiede un diametro notevolmente maggiore. In particolare, M31 avrebbe molte più stelle comuni rispetto alla Via Lattea e la sua luminosità è doppia rispetto a quella della nostra; tuttavia, il tasso di formazione stellare della Via Lattea è molto più alto: la Galassia di Andromeda produce stelle per circa una massa solare all'anno, mentre nella nostra Galassia si stima che se ne producano 3-5 all'anno. Anche il tasso di supernovae è doppio rispetto a quello di M31. Ciò suggerisce che M31 abbia sperimentato un'intensa fase di formazione stellare nel suo passato, mentre la Via Lattea è nel mezzo di una di queste fasi; ciò potrebbe anche significare che in futuro le stelle della Via Lattea potrebbero diventare numerose così come si osserva in M31. Basandosi sul suo aspetto alla luce visibile, la Galassia di Andromeda è classificata come di tipo SA(s) b nella sequenza di Hubble; tuttavia, i dati provenienti dal monitoraggio 2MASS mostrano che il bulge di M31 possiede una struttura leggermente allungata, il che implica che si potrebbe trattare di una galassia a spirale barrata con l'asse della barra disposto quasi esattamente lungo la nostra linea di vista. Nel 2005 le osservazioni fatte con il Telescopio Keck mostrarono che i tenui filamenti di stelle che si estendono al di fuori della galassia fanno in realtà parte del disco principale; ciò comporta che il disco a spirale della galassia è tre volte più grande di quanto si credesse (il diametro attualmente stimato della galassia è di circa 220 000 anni luce; in precedenza si pensava fosse compreso fra i 70 000 e i 120 000 anni luce). La galassia è inclinata di 77° rispetto alla linea di vista della Terra (un angolo di 90° corrisponde ad una vista perfettamente di taglio). Le analisi della sua forma dimostrano che il disco possiede una accentuata distorsione (warp) a "S" e non una forma piatta; una possibile causa di questo warp potrebbe essere l'influenza gravitazionale delle galassie satelliti, come pure una remota influenza della Galassia del Triangolo, ma mancano ancora le misurazioni di distanza e velocità radiale in grado di confermare questa ipotesi. Gli studi spettroscopici hanno fornito misure molto dettagliate della curva di rotazione di M31 a varie distanze dal nucleo. In prossimità di questo, a una distanza di 1300 anni luce, la velocità di rotazione raggiunge un picco di 225 km/s; successivamente decresce fino a un minimo a 7000 anni luce di distanza, dove potrebbe essere pari ad appena 50 km/s; più all'esterno la velocità aumenta di nuovo fino a 33 000 anni luce di distanza, dove raggiunge picchi di 250 km/s; a 80 000 anni luce dal nucleo si stabilizza sui 200 km/s. Queste misurazioni implicano una massa concentrata di circa 6×109 M⊙ nella regione del nucleo; la massa totale della galassia aumenta linearmente fino ai 45 000 anni luce, dove inizia poi a rallentare. Nella galassia sono state anche scoperte delle sorgenti multiple di raggi X, tramite le osservazioni dell'osservatorio orbitante XMM-Newton dell'ESA; alcuni scienziati hanno ipotizzato che si tratti di possibili buchi neri o di stelle di neutroni, che riscaldano il gas in avvicinamento fino a milioni di kelvin, provocando l'emissione raggi X. Lo spettro delle stelle di neutroni è lo stesso dei buchi neri ipotizzati, ma le due ipotesi potrebbero essere distinguibili in base alla massa. La Galassia di Andromeda ospita nel suo centro reale un ammasso di stelle molto denso e compatto; in grandi telescopi è possibile osservare le stelle immerse nel bulge diffuso circostante. La luminosità del nucleo supera quella dei più luminosi ammassi globulari. Nel 1991, studiando le immagini ottenute con il Telescopio Spaziale Hubble delle regioni più interne del nucleo, si è scoperto che la galassia ospita un doppio nucleo, formato da due concentrazioni separate da 1,5 parsec (circa 5 anni luce); la concentrazione più luminosa, catalogata come P1, è decentrata rispetto al vero centro galattico, mentre la concentrazione minore, P2, ricade esattamente al centro e contiene un buco nero di 108 M☉. La spiegazione più accreditata è quella secondo la quale P1 è una proiezione di un disco di stelle in un'orbita eccentrica attorno al buco nero centrale; anche P2 contiene un disco compatto di stelle calde di classe A, le quali non sono evidenti in filtri rossi, mentre alle luci blu e ultravioletta dominano il nucleo, rendendo P2 più luminosa di P1 a queste lunghezze d'onda. Inizialmente si era ritenuto che la parte più brillante del doppio nucleo fosse il resto di un'antica galassia nana "cannibalizzata" da M31, ma attualmente quest'ipotesi non è più considerata una spiegazione plausibile: questi nuclei infatti avrebbero avuto una vita estremamente breve a causa della disgregazione mareale del buco nero centrale; infatti la parte più brillante non possiede buchi neri per potersi stabilizzare. Inoltre l'addensamento secondario non sembra essere un nucleo galattico e non vi è comunque evidenza di un'interazione profonda fra galassie. I bracci di spirale della Galassia di Andromeda sono segnati da una serie di regioni H II che Baade descrisse come una fila di perline; appaiono molto frequenti, sebbene siano più separate fra loro e meno frequenti che nella nostra Galassia. Le immagini rettificate della galassia mostrano una comune galassia spirale con i bracci avvolti in senso orario; sono presenti dei bracci maggiori continui separati fra loro da un minimo di 13 000 anni luce e possono essere seguiti dall'esterno fino a una distanza di circa 1 600 anni luce dal nucleo; ciò può essere notato dallo spostamento di nubi di idrogeno neutro dalle stelle. Nel 1998 le immagini dell'Infrared Space Observatory dell'ESA hanno dimostrato che la forma complessiva della Galassia di Andromeda potrebbe essere uno stadio transitorio verso una galassia ad anello; il gas e le polveri della galassia sono infatti distribuite generalmente attorno ad alcune strutture anulari, fra le quali una di grandi proporzioni alla distanza di 32 000 anni luce dal centro. Questo anello è nascosto alla luce visibile, poiché è composto da polveri fredde. Studi al dettaglio delle regioni interne della galassia mostrano un piccolo anello di polveri che si crede sia stato causato da un'interazione con la vicina M32 avvenuta più di 200 milioni di anni fa; le simulazioni mostrano che la piccola galassia satellite passò attraverso il disco di M31 lungo l'asse polare. Questa collisione strappò via la metà della massa originaria di M32 e creò la struttura anulare visibile ora in M31. L'alone galattico di M31 è comparabile a quello della Via Lattea, dove le stelle dell'alone sono principalmente povere in metalli e la loro povertà aumenta con la distanza; ciò indica che le due galassie hanno seguito un modello evoluzionistico comune. Probabilmente sono cresciute assimilando circa 100-200 galassie di piccola massa nel corso degli ultimi 12 miliardi di anni;[46] le stelle dell'alone esteso della Galassia di Andromeda e della Via Lattea potrebbero arrivare ad occupare fino a un terzo della distanza che separa le due galassie. Associati a M31 ci sono circa 460 ammassi globulari; il più massiccio di questi, catalogato come Mayall II e soprannominato "Globular One", possiede una luminosità superiore a qualunque altro ammasso globulare noto nel Gruppo Locale di galassie. Mayall II contiene alcuni milioni di stelle ed è due volte più luminoso di Omega Centauri, l'ammasso globulare più luminoso conosciuto nella Via Lattea. Contiene inoltre alcune popolazioni stellari e una struttura troppo massiccia per un normale ammasso globulare; per questa ragione alcuni considerano Mayall II un residuo del nucleo di una galassia nana cui M31 ha strappato via le stelle esterne in un lontano passato. Il globulare con la luminosità apparente più alta vista dalla nostra prospettiva, è però G76, che si trova nella metà orientale del braccio di sud-ovest. Nel 2005 gli astronomi hanno scoperto inoltre un nuovo tipo di ammasso stellare; la sua particolarità consiste nel fatto che contiene centinaia di migliaia di stelle, un numero simile a quello osservabile negli ammassi globulari, da cui si distinguono perché sono molto più estesi (fino ad alcune centinaia di anni luce di diametro) e centinaia di volte meno densi. La distanza fra le stelle è, inoltre, molto più grande nei nuovi ammassi estesi scoperti. Così come la Via Lattea, anche la Galassia di Andromeda possiede un sistema di galassie satelliti, consistente di 14 galassie nane conosciute; le meglio note e le più facili da osservare sono M32 e M110. Basandosi sulle evidenze, sembra che M32 subì un incontro ravvicinato con la Galassia di Andromeda nel passato: M32 potrebbe infatti essere stata una galassia più grande di come appare attualmente e il suo disco di stelle sarebbe stato strappato via da M31, la quale assunse una forma distorta e aumentò il tasso di formazione stellare nelle regioni del nucleo, che terminò in un passato relativamente recente. Anche M110 sembra essere in interazione con M31 e gli astronomi hanno scoperto nell'alone di quest'ultima una corrente di stelle ricche in metalli che sembra siano state strappate da entrambe le galassie satelliti. M110 contiene una banda di polveri, che potrebbe essere indice di un recente fenomeno di formazione stellare, una cosa insolita per una galassia nana ellittica, che di solito è quasi completamente priva di gas e polveri. Nel 2006 si è scoperto che nove delle galassie satelliti si trovano lungo un piano che interseca il nucleo della Galassia di Andromeda, anziché essere distribuite causalmente come sarebbe lecito aspettarsi in caso di interazioni indipendenti; ciò potrebbe significare che le galassie satelliti hanno un'origine mareale comune.
Una galassia starburst (o galassia dello starburst) è una galassia in cui il processo di formazione stellare è eccezionalmente violento, se comparato al normale tasso di formazione nella gran parte delle galassie. Le galassie mostrano un picco nella formazione di nuove stelle specialmente dopo una collisione o un incontro ravvicinato con altre galassie. Questo tasso di formazione stellare è talmente elevato per una galassia che ne va incontro, che, se il tasso è sostenuto, le sue riserve di gas si esauriranno molto più in fretta rispetto a quella che è la normale scala evolutiva della galassia ospitante; per questa ragione, si pensa che i fenomeni di starburst siano temporanei. Galassie starburst molto note sono M82, le Galassie Antenne, IC 10 e la Galassia Baby Boom. Esistono alcune definizioni del termine starburst, non c'è una definizione univoca su cui tutti gli astronomi sono d'accordo. In generale, esiste un accordo su alcuni punti fondamentali:
- il tasso in cui la galassia converte il gas in stelle (il tasso di formazione stellare);
- la quantità di gas disponibile da cui le stelle si possono formare;
- il rapporto fra il tempo della formazione stellare e l'età o il periodo di rotazione della galassia.
Le definizioni comunemente usate includono:
- una continua formazione stellare, con il tasso di formazione che esaurirebbe le riserve di gas disponibile in molto meno tempo rispetto all'età dell'Universo (il Tempo di Hubble); questo è talvolta indicato come vero starburst;
- una continua formazione stellare, con il tasso di formazione che esaurirebbe le riserve di gas disponibile in molto meno tempo rispetto alla scala evolutiva della galassia;
Affinché scatti un fenomeno di starburst, è necessario concentrare una grande quantità di gas molecolare freddo in un piccolo volume. Si sospetta che queste concentrazioni e perturbazioni siano la causa principale dei fenomeni di starburst nella gran parte dei fenomeni di fusione fra galassie, sebbene l'esatto meccanismo non sia del tutto chiaro. Osservazioni condotte sulle galassie dello starburst hanno da tempo mostrato che c'è spesso una combustione di un disco di formazione stellare e una coppia di galassie in fusione fra loro. Si crede anche che le vicine interazioni fra galassie che non arrivano alla fusione completa possano provocare delle forti instabilità rotazionali della galassia, come l'instabilità della barra (nelle galassie spirali barrate), che causa un deflusso del gas nelle regioni attorno al nucleo, dove inizia a precipitare su se stesso, dando luogo ad un violento fenomeno di formazione stellare attorno al nucleo. Creare delle categorie di starburst non è semplice, in quanto le galassie dello starburst non rappresentano una tipologia specifica di galassie. Lo starburst può avvenire nel disco galattico, ma anche le galassie irregolari mostrano fenomeni di starburst. Tuttavia, si possono individuare alcuni differenti sottotipi di galassie dello starburst:
- Galassie blu compatte (BCGs): queste galassie possiedono spesso una massa molto bassa, una bassa metallicità e una quantità minima di polveri. Proprio grazie alla quasi assenza di polveri e alla presenza di molte stelle giovani blu e molto calde, queste galassie appaiono blu sia nella luce visibile che agli ultravioletti. Si pensava inizialmente che le galassie blu fossero semplicemente galassie giovani nel processo di formazione della loro prima generazione di stelle, che mostravano infatti una bassa metallicità. Tuttavia si è in seguito trovato che queste galassie possiedono anche una popolazione stellare più vecchia, portando a credere che l'unione delle due popolazioni possa spiegare l'apparente mancanza di polveri e metalli. Molte di queste galassie mostrano i segni di recenti fusioni e/o interazioni ravvicinate. Galassie blu compatte ben studiate sono IZw18 (la galassia più povera in metalli conosciuta), ESO338-IG04 e Haro11.
- Galassie ultra-luminose all'infrarosso (ULIRGs): queste galassie sono di solito oggetti saturi di polveri. La radiazione ultravioletta prodotta dalla formazione stellare è oscurata ed assorbita dalla polvere e riemessa all'infrarosso alla lunghezza d'onda di circa 100 micrometri; ciò spiega il colore estremamente rosso associato a questo tipo di galassie. Non è ben noto se la radiazione ultravioletta sia prodotta solo dalla formazione stellare e alcuni astronomi credono che le galassie all'infrarosso siano (almeno in parte) potenziate da un nucleo galattico attivo. Le osservazioni ai raggi X di molte di queste galassie suggeriscono che molte siano dei sistemi a doppio nucleo, dando credito all'ipotesi secondo cui le galassie all'infrarosso siano il risultato di uno starburst avvenuto a seguito di una fusione completa fra galassie. Tra le galassie ben studiate si trova Arp 220.
- Galassie Wolf-Rayet, dove una gran parte delle stelle più luminose sono stelle di Wolf-Rayet.
Glossario: stella di Wolf-Rayet
Le stelle di Wolf-Rayet (abbreviazione: stelle W.R.) sono massicce (almeno 20 M⊙ alla nascita) molto evolute, e molto calde rispetto alla media. Spesso sono stelle eruttive. Il colore è bianco-azzurro, e corrisponde a temperature superficiali comprese fra 30000 K e 200000 K. Si tratta di stelle molto luminose, con una luminosità compresa fra centinaia di migliaia e milioni di volte quella del Sole, sebbene nella banda del visibile non siano eccezionalmente luminose, in quanto la maggior parte della radiazione viene emessa sotto forma di raggi ultravioletti e perfino di raggi X molli. Nella Via Lattea sono state individuate circa 500 stelle di questo tipo. La maggior parte di esse è stata scoperta negli anni 2000, in seguito a estese indagini fotometriche e spettroscopiche dedicate alla ricerche di tali oggetti nel piano galattico. A causa delle loro marcate linee di emissione, le WR sono individuabili anche in altre galassie. Perdono massa a ritmi elevati per mezzo di venti stellari molto intensi e veloci (fino a oltre 2000 km/s). Le Wolf-Rayet perdono generalmente 10−5 M☉ ogni anno, un miliardo di volte la massa persa dal Sole ogni anno. Una tale perdita di massa causa l'espulsione del guscio di idrogeno che avvolge la stella scoprendo il nucleo di elio, che ha temperature molto elevate. Le stelle visibili a occhio nudo γ Velorum e θ Muscae sono Wolf-Rayet, così come lo è la stella più massiccia attualmente conosciuta, R136a1 nella Nebulosa Tarantola.
Approfondiamo: le stelle Wolf-Rayet
Nel 1867 gli astronomi francesi Charles Wolf e Georges Rayet (da cui prende il nome questa classe stellare), utilizzando il telescopio Foucault da 40 cm dell'Osservatorio di Parigi, scoprirono tre stelle nella costellazione del Cigno (HD 191765, HD 192103 e HD 192641, ora designate rispettivamente come WR 134, WR 135 e WR 137) che mostravano delle marcate bande di emissione in uno spettro altrimenti continuo. La gran parte delle stelle mostra nel proprio spettro delle linee di assorbimento, a causa degli elementi dell'atmosfera stellare che assorbono le radiazioni elettromagnetiche a specifiche lunghezze d'onda. Il numero di stelle con linee di emissione nel proprio spettro è molto esiguo, dunque si comprese quasi subito la particolarità di tali oggetti. La causa delle bande di emissione degli spettri delle stelle di Wolf-Rayet rimase un mistero per alcuni decenni. Edward Pickering ipotizzò che le linee fossero causate da un'inusuale stato dell'idrogeno e si scoprì che la serie di linee spettrali che fu chiamata serie di Pickering ricalcava in maniera sostanziale la serie di Balmer, quando furono sostituiti i numeri quantici semi-interi. In seguito si vide che le linee erano causate dalla presenza dell'elio, gas nobile che fu scoperto nel 1868. Pickering notò le somiglianza fra gli spettri delle WR e quelli delle nebulose planetarie e ciò portò alla conclusione, poi rivelatasi errata, che tutte le WR sono stelle centrali di nebulose planetarie. Nel 1929 alcuni astronomi attribuirono lo spessore delle bande di emissione all'effetto Doppler, ipotizzando dunque che il gas che circondava tali stelle doveva muoversi a velocità di 300-2400 km/s rispetto alla linea di vista. La conclusione fu che una stella di Wolf-Rayet espelle continuamente gas nello spazio, producendo un inviluppo nebuloso di gas. La forza che espelle i gas alle alte velocità osservate è la pressione di radiazione. Si scoprì inoltre che molte stelle con lo spettro delle WR non sono stelle centrali di nebulose planetarie e che quindi c'è una differenza sostanziale fra nebulose planetarie e WR. Gli spettri delle stelle WR presentano linee di emissione, oltre che dell'elio, anche di carbonio, ossigeno e azoto. Nel 1938 l'Unione Astronomica Internazionale classificò gli spettri delle stelle WR nei tipi WN e WC, a seconda che le linee spettrali dominanti fossero rispettivamente quelle dell'azoto o quelle del carbonio-ossigeno. Le stelle di Wolf-Rayet furono identificate sulla base della peculiarità dei loro spettri elettromagnetici, che presentano larghe e marcate linee di emissione, identificabili con le linee dell'elio, dell'azoto, del carbonio, del silicio e dell'ossigeno, mentre le linee dell'idrogeno sono deboli o assenti. Le linee di emissione esibiscono frequentemente un lobo di accentuato redshift, tipico dei profili P Cygni, che indica la presenza di materiale circumstellare. I primi sistemi di classificazione dividevano le WR fra quelle i cui spettri erano dominati dalle linee dell'azoto ionizzato (NIII, NIV, e NV) e quelle nei cui spettri erano invece marcate le linee del carbonio ionizzato (CIII e CIV) e più raramente dell'ossigeno (OIII - OVI). Le due classi furono chiamate rispettivamente WN e WC[10]. Esse furono successivamente divise ulteriormente nelle sequenze WN5-WN8 e WC6-WC8, sulla base della marcatezza delle linee 541,1 nm HeII e 587,5 nm HeI La sequenza WN è stata poi espansa per includere le classi WN2-WN9, che sono state ridefinite sulla base della marcatezza delle linee NIII a 463,4-464,1 nm e 531.4 nm, NIV a 347,9-348,4 nm e 405,8 nm e NV a 460,3 nm, 461,9 nm, e 493,3-494,4 nm. Queste linee sono ben separate dalle aree dello spettro relative alle linee di emissione dell'elio e sono ben correlate con la temperatura superficiale. Infine le stelle con spettri intermedi fra le WN e le Ofpe vengono assegnate alle classi WN10 e WN11, sebbene questa nomenclatura non sia universalmente accettata. Gli studi dettagliati delle WR possono menzionare altre caratteristiche spettrali, indicate mediante suffissi aggiunti alla classe spettrale:
- h righe di emissione dell'idrogeno;
- ha righe di emissione e assorbimento dell'idrogeno;
- w linee allargate;
- s linee sottili;
- d polveri (a volte vd, pd, o ed per polveri variabili, periodiche o episodiche).
La classificazione delle WR è complicata dal fatto che esse frequentemente sono circondate da una nebulosità densa o sono binarie. Il suffisso "+ abs" viene spesso utilizzato per segnalare la presenza di linee di assorbimento, probabilmente dovute alla presenza di una compagna non WR. Come tutte le stelle, anche le WR vengono distinte in "tipi precoci" o E (in inglese: early types) e "tipi tardivi" o L (in inglese: late types) sulla base della credenza in voga all'inizio del XX secolo e non più ritenuta valida che le stelle si raffreddassero man mano durante la loro esistenza. WNE e WCE si riferiscono quindi alle prime e più calde sottoclassi delle stelle WN e WC mentre WNL e WCL alle ultime sottoclassi. Di solito la divisione fra tipi E e tipi L viene approssimativamente posta intorno alle sottoclassi 6 o 7. Nessuna distinzione del genere viene fatta per le stelle WO. Le stelle WNE sono solitamente più povere di idrogeno mentre quelle WNL presentano le linee di questo elemento. Le prime tre WR identificate, casualmente aventi tutte e tre una compagna di tipo O, erano già presenti nel Catalogo Draper. Inizialmente, benché fossero riconosciute come Wolf-Rayet, non fu creata alcuna nomenclatura specifica per tali stelle, che continuarono a essere nominate mediante le loro sigle preesistenti. I primi tre cataloghi contenenti WR non erano specificatamente dedicati a esse e contenevano anche altri tipi di stelle. Nel 1962 fu creato uno specifico catalogo per le WR in cui esse erano numerate progressivamente in ordine di ascensione retta. Un secondo catalogo (il quinto, se si contano anche i primi tre non dedicati), pubblicato nel 1968, utilizzava gli stessi numeri del catalogo precedente con il prefisso MR (dall'autore del primo catalogo, Morton Roberts) più una sequenza addizionale di numeri con il prefisso LS per le nuove stelle scoperte (dall'autore del catalogo, Lindsey Smith). Nessuno di questi schemi di numerazione è ancora in uso. Un terzo catalogo dedicato alle Wolf-Rayet, risalente al 1981, introdusse la sigla WR seguita da un numero, che è la nomenclatura accettata ancora oggi. Esso numerava le stelle di Wolf-Rayet dalla WR 1 alla WR 158 in ordine di ascensione retta. Il quarto catalogo (il settimo, se si contano i primi tre) e le sue espansioni, pubblicato a partire dal 2001, ha mantenuto la stessa sequenza del catalogo precedente, inserendo le nuove WR scoperte mediante suffissi costituiti da lettere latine minuscole, ad esempio WR 102ka. Alcune indagini moderne condotte su ampie porzioni di cielo utilizzano propri schemi di numerazione per le nuove WR scoperte. Le WR nelle galassie diverse dalla Via Lattea sono numerate secondo schemi differenti. Per quanto riguarda la Grande Nube di Magellano, la nomenclatura più diffusa e completa è quella del "Quarto Catalogo delle stelle Wolf-Rayet di popolazione I nella Grande Nube di Magellano" (1999), in cui il numero della stella è prefissato da BAT-99, ad esempio BAT-99 105. Molte WR di questa galassia sono elencate nel terzo catalogo con il prefisso "Brey", ad esempio Brey 77 Infine, viene usata anche una terza nomenclatura, che utilizza i numeri del RMC (Radcliffe observatory Magellanic Cloud), a volte abbreviato semplicemente con R, come in R136a1. Per le WR della Piccola Nube di Magellano viene utilizzato il catalogo di Azzopardi e Breysacher del 1979 e quindi i numeri vengono prefissati da AB, come ad esempio in AB7. Nella Via Lattea sono state individuate circa 500 Wolf Rayet. La maggior parte di esse sono state scoperte negli anni 2000 in seguito a estese indagini fotometriche e spettroscopiche dedicate alla ricerche di tali oggetti nel piano galattico. A causa delle loro marcate linee di emissione, le WR sono individuabili anche in altre galassie. Un totale di 134 WR sono state catalogate nella Grande Nube di Magellano, la maggior parte di tipo WN, ma anche tre del raro tipo WO. Nella Piccola Nube di Magellano ci sono invece solo 12 WR, a causa della bassa metallicità media della galassia. Ne sono state inoltre individuate 206 nella Galassia del Triangolo e 154 nella Galassia di Andromeda. È quindi presumibile che esistano poche migliaia di WR nel Gruppo Locale. Al di fuori del Gruppo Locale sono state individuate alcune migliaia di WR, frequenti specialmente nelle galassie starburst. Per esempio, più di mille WR, di magnitudine compresa fra 21 e 25, sono state osservate nella galassia Girandola. Le WR hanno due caratteristiche fisiche molto peculiari. La prima, come si è detto, consiste nella presenza nel loro spettro di linee di emissione molto marcate. Esse si formano in una regione circumstellare caratterizzata da un vento stellare denso e molto veloce, che viene investito da grandi quantità di raggi ultravioletti provenienti dalla fotosfera della stella. Le radiazioni ultraviolette vengono assorbite dai gas circostanti la stella e vengono riemesse per fluorescenza facendo comparire le linee di emissione. La seconda caratteristica fisica consiste nell'alta temperatura superficiale delle WR (da 30 000 a oltre 100000 K), che è responsabile dell'emissione dei raggi UV e che ne fa fra le stelle più calde conosciute. Le grandi quantità di vento stellare emesso causano notevoli perdite di massa che scoprono prima le regioni ricche di azoto prodotto dal ciclo CNO (stelle di classe WN) e poi le regioni ricche di carbonio e ossigeno, prodotto dal processo tre alfa (stelle di classe WC e WO). Mano a mano che la WR perde massa la sua temperatura superficiale aumenta in quanto vengono scoperti strati sempre più interni e vicini al nucleo. A ciò corrisponde una diminuzione del raggio della stella e della sua luminosità. Per contro, invece, la velocità del vento stellare emesso aumenta. La perdita di massa causata dal vento rimane pressoché costante. Sebbene gli studiosi siano concordi sulle caratteristiche generali di questo processo, i dettagli differiscono. Alcune WR, specie quelle di tipo WC appartenenti alle ultime sottoclassi, producono polveri. Questo avviene soprattutto nelle stelle che fanno parte di sistemi binari, come prodotto della collisione dei venti stellari delle stelle che formano la coppia, come nel caso della famosa binaria WR 104; tuttavia questo processo è stato osservato anche nelle stelle singole Una piccola percentuale (circa un decimo) delle stelle che si trovano all'interno delle nebulose planetarie sono molto simili alle WR dal punto di vista osservativo, ossia esibiscono delle larghe linee di emissione nei loro spettri, in cui sono riconoscibili elementi come l'elio, il carbonio e l'ossigeno. Tuttavia, a differenza delle WR, si tratta di stelle di piccola massa (tipicamente 0,6 M☉), molto vecchie e giunte agli ultimi stadi della loro esistenza, prima di evolvere in nane bianche. Dato che invece le WR sono stelle giovani e massicce, di popolazione I, si preferisce distinguerle dalle nebulose planetarie ed escludere dalle WR le stelle che si trovano al centro di tali nebulose. Le WR sono stelle distanti, rare e spesso oscurate da polveri e gas. Sono pertanto difficili da studiare e le teorie circa la loro evoluzione sono state formulate più tardi rispetto alle teorie riguardanti l'evoluzione di stelle meno estreme. Tuttora molti aspetti rimangono non chiari. Nel corso degli anni sessanta e anni settanta alcuni astronomi, fra cui Rublev (1965) e Conti (1976) ipotizzarono che le stelle di tipo WR discendessero da massicce stelle di classe O, in cui i forti venti stellari caratteristici delle stelle estremamente luminose avessero espulso gli strati superficiali ricchi di idrogeno. Questa idea si è rivelata essenzialmente corretta, sebbene i processi che portano dalle stelle di tipo O alle WR si siano rivelati molto complessi. I primi modelli di evoluzione stellare non erano compatibili con questo quadro in quanto prevedevano che le stelle massicce non evolvessero in WR ma in supergiganti rosse. Anziché aumentare la loro temperatura superficiale, quindi, esse avrebbero dovuto diminuirla. Secondo tali modelli, le supergiganti rosse sono solo di poco più luminose delle stelle di tipo O da cui si sono evolute e diventano sempre più instabili mano a mano che i loro nuclei incrementano la loro temperatura e che le loro atmosfere si estendono. I processi di fusione interni ai loro nuclei le portano a produrre elementi chimici sempre più pesanti fino a che esse non esplodono in supernovae, non diventando mai quindi delle WR. I modelli successivi, più accurati, mostrarono che c'è un limite superiore alla luminosità delle stelle, oltrepassato il quale la stella perde rapidamente massa. Di conseguenza le stelle sufficientemente massicce non diventano mai delle supergiganti rosse, ma rimangono delle supergiganti blu espellendo grandi quantitativi di massa tramite venti stellari intensissimi. Esse possono quindi diventare delle WR se le loro atmosfere ricche di idrogeno vengono completamente espulse. Sono pertanto stelle che diventano tanto più piccole e più calde quanto più perdono i loro strati esterni. Si ritiene attualmente che la maggior parte delle WR sia la naturale evoluzione delle stelle più massicce esistenti o dopo essere passate per la fase di supergigante rossa o dopo quella di supergigante blu o direttamente dopo avere terminato la fase di sequenza principale. I modelli attuali predicono che le supergiganti rosse discendenti da stelle con una massa iniziale inferiore a 20 M⊙ esplodano in supernovae di tipo II, cioè supernovae che presentano nei loro spettri le linee dell'idrogeno. Le loro progenitrici non hanno quindi perso gli strati superiori ricchi di questo elemento. Invece, le supergiganti rosse discendenti da stelle di massa compresa fra le 20 e le 45 M⊙, a causa dei loro intensi venti stellari, espellono le loro atmosfere e perdono il loro strato superficiale di idrogeno. Alcune di loro possono esplodere in supernovae dopo essere ridiventate delle supergiganti gialle, ma altre possono diventare ancora più calde ed evolvere in WR. Le stelle di sequenza principale ancora più massicce (con massa iniziale superiore a 45 M⊙) sviluppano nuclei convettivi estremamente caldi e massicci che mescolano i prodotti del ciclo CNO nell'intera stella. Il rimescolamento può essere accentuato dalla rotazione della stella, che spesso si manifesta sotto forma di rotazione differenziale, dove il nucleo ruota a una velocità maggiore rispetto alla superficie. Dato il rimescolamento degli elementi, queste stelle esibiscono la presenza dell'azoto in superficie fin da giovane età. Questa particolarità viene segnalata assegnandole alla classe Of o Of*, ove "f" indica la presenza delle linee dell'azoto. Con l'aumentare dell'azoto in superficie esse evolvono in stelle di classe WNh, cioè stelle di tipo WN che contengono ancora quantità di idrogeno (h) in superficie. Uscendo dalla sequenza principale queste massicce stelle evolvono ulteriormente o in stelle LBV oppure, se il mescolamento degli elementi dovuto alla rapida rotazione, è stato sufficientemente efficiente, direttamente in stelle WN, con assenza di idrogeno in superficie. Secondo un modello alternativo, le fasi WNh e LBV sarebbero invertite e la fase LBV corrisponderebbe all'ultimo stadio di fusione dell'idrogeno nel nucleo, mentre la fase WNh agli primi stadi del processo di fusione dell'elio nel nucleo. In ogni caso, queste stelle particolarmente massicce non passano mai attraverso lo stadio di supergigante rossa a causa delle cospicue perdite di massa dovute ai loro intensi venti stellari e al rimescolamento degli elementi dovuto alla loro rapida rotazione. Le stelle WNh sono stelle spettroscopicamente simili alle WR, ma meno evolute in quanto hanno appena incominciato a espellere le loro atmosfere e quindi sono ancora molto massicce. Le stelle più massicce conosciute sono di tipo WNh piuttosto che di tipo O, il che non è inaspettato dato che stelle così massicce rimangono nella sequenza principale per poche centinaia di migliaia di anni dopo la loro formazione. Una spiegazione alternativa è che stelle così massicce non possono formarsi come stelle di sequenza principale ma solo attraverso la fusione di due stelle meno estreme. Lo statuto delle stelle WO non è molto chiaro. Esse sono estremamente rare e tutti gli esempi noti sono più massicci e più luminosi delle più comuni stelle di tipo WC. Quindi i dati non supportano l'ipotesi che le stelle WO siano il normale stadio di evoluzione successivo a quello delle più comuni stelle WC. È stato ipotizzato che le stelle WO si formino solo a partire dalle stelle di sequenza principale più massicce oppure che corrispondano a una fase estremamente breve, della durata di poche centinaia di migliaia di anni immediatamente prima delle loro esplosione in supernovae, ove le stelle WC corrisponderebbero alla fase della fusione dell'elio nel nucleo, mentre quelle WO corrisponderebbero alle fasi di fusione successive. Sebbene le WR evolvano da stelle eccezionalmente massicce, esse non hanno masse elevatissime perché si formano in seguito perdita degli strati superficiali della stella. Per esempio, γ2 Velorum A si è formata da una stella avente una massa iniziale di 40 M⊙, ma ha attualmente una massa di 9 M⊙. Poiché le WR si formano da stelle molto massicce e poiché le stelle molto massicce sono molto rare sia perché si formano meno spesso delle stelle meno massicce, sia perché hanno esistenze relativamente brevi, anche le WR sono stelle molto rare. La WR più luminosa vista dalla Terra è Gamma2 Velorum[3], la stella più brillante della costellazione delle Vele. Ha una magnitudine apparente di 1,83 ed è visibile solo a coloro che si trovano più a sud del 40° parallelo N. Si tratta in realtà di un sistema multiplo nel quale le due componenti principali sono una WR di classe spettrale WC8 e una supergigante blu di classe O7,5. Il sistema dista circa 850 al: si tratta probabilmente della WR più vicina alla Terra. La seconda WR più brillante vista dalla Terra è θ Muscae, una stella di magnitudine 5,53, visibile solo più a sud del tropico del Cancro. Si tratta anche in questo caso di un sistema multiplo nel quale una WR di classe WC5 è accompagnata da altre stelle massicce[50]. Dista circa 7500 al. Alcune delle stelle più massicce conosciute sono delle WR, in particolare della classe WNh. Fra queste vi è anche R136a1, una stella visibile nella costellazione del Dorado e appartenente alla Grande Nube di Magellano, che è considerata la stella più massiccia attualmente conosciuta, con una massa stimata di circa 270 M⊙. Un altro esempio notevole di WR è la stella binaria WR 104, i cui venti stellari generano una spettacolare quanto rarissima nube a spirale la cui estensione potrebbe coprire una distanza pari a 20 volte il nostro Sistema Solare.
Galassia attive
Una galassia attiva è una galassia dove una frazione significativa dell'energia viene emessa da oggetti diversi dai normali componenti di una galassia: stelle, polveri e gas interstellare. Questa energia, a seconda del tipo di galassia attiva, può essere emessa lungo tutto lo spettro elettromagnetico, onde radio, infrarossi, visibile, ultravioletto, raggi X e raggi gamma. Spesso viene usata l'abbreviazione AGN (active galactic nuclei, nuclei galattici attivi), perché tutte le galassie attive sembrano essere alimentate da una regione compatta posta al loro centro. Alcune di queste regioni emettono getti di materia che possono essere molto lunghi, trasportando energia verso strutture estese (come nelle radiogalassie). Ma in tutti i casi è il nucleo, il cosiddetto motore centrale, ad essere la fonte di energia. I nuclei galattici attivi sono le più luminose tra le fonti persistenti di radiazione elettromagnetica nell'universo e lo studio della loro evoluzione può fornire importanti contributi ai modelli cosmologici che cercano di spiegare l'origine dell'universo. Il concetto di nuclei galattici attivi fu proposto all'inizio degli anni 1950 dal fisico sovietico Viktor Amazaspovič Ambarcumjan. Inizialmente l'idea di un'attività da parte dei nuclei galattici fu accolta con un certo scetticismo, ma osservazioni degli anni successivi, tra cui la scoperta dei quasar, emissioni radio nelle galassie, esplosioni nei nuclei, portarono ad una generale accettazione del concetto di AGN. Secondo il modello standard degli AGN, l'energia che li alimenta è generata dalla materia che cade all'interno di un buco nero supermassiccio di massa compresa tra 1 milione e 10 miliardi di volte quella del Sole. Quando la materia cade verso il buco nero, il suo momento angolare la costringe a formare un disco di accrescimento attorno al buco nero. L'attrito riscalda la materia e ne cambia lo stato in plasma, e questo materiale carico in movimento produce un forte campo magnetico. Il materiale che si muove dentro questo campo magnetico produce grandi quantità sia di radiazione di sincrotrone che di radiazione termica sotto forma di raggi X. Infatti la temperatura vicino al buco nero è di milioni e forse di miliardi di gradi, in quest'ultimo caso migliaia di volte più calda del centro del Sole. Spesso, vengono osservati getti che si originano dal disco di accrescimento, anche se il meccanismo che porta alla formazione di questi getti è poco compreso. Tutto questo processo, alimentato dalla gravità del buco nero, è molto efficiente nel trasformare la materia in energia: quasi il 50% della materia in caduta può essere convertito in energia, contro i pochi punti percentuali della fusione nucleare che alimenta le stelle, e i decimi dell'uno per cento della fissione nucleare dei reattori nucleari contemporanei. Si pensa che quando il buco nero abbia inglobato tutto il gas e la polvere nelle sue vicinanze, semplicemente il nucleo smetta di emettere grandi quantità di radiazione e la galassia diventi "normale". Questo modello è supportato da osservazioni che suggeriscono la presenza di un buco nero supermassiccio ma tranquillo nel centro della Via Lattea e di molte altre galassie, e spiega facilmente come mai i quasar erano molto più comuni nelle prime ere dell'Universo, quando era disponibile più "carburante". Questo modello inoltre spiega i differenti tipi di nuclei galattici attivi, che si pensa siano tutti simili tra loro, ma che possono apparire in modo molto diverso a seconda dell'angolo da cui sono visti e dell'ammontare di materia che cade nel buco nero. Un corollario di questo modello è che una galassia una volta attiva, ma ormai normale dopo aver esaurito la materia attorno al buco nero (come sembra essere la nostra Via Lattea), possa un giorno "riaccendersi" se nuova materia arriva nei pressi del nucleo. Secondo recenti ricerche l'attivazione dei buchi neri supermassicci al centro delle galassie che danno origine agli AGN è dovuta alla caduta nel nucleo galattico di nubi di gas come la Nube di Smith: la caduta di queste nubi provoca la nascita di stelle e fornisce materia per alimentare i buchi neri. La caduta di queste nubi avviene con intervalli irregolari e l'AGN appena finito d'inglobare la massa della nebulosa tornerebbe in stato di quiete fino alla caduta successiva. A parità di massa, le galassie contenenti buchi neri supermassicci rallenterebbero la formazione delle stelle al loro interno. L'attività del nucleo sarebbe strettamente correlata con la formazione stellare all'interno della relativa galassia. Il nucleo attivo inibirebbe il raffreddamento dei gas che altrimenti si disperderebbero consentendo la formazione di stelle. I nuclei galattici attivi sono compatti, ma estremamente luminosi e duraturi; la loro luminosità infatti non è limitata a brevi intervalli di tempo, come nel caso delle supernovae, ma è persistente in quanto, data l'elevata massa del buco nero che fornisce l'energia necessaria ad alimentarli, il loro limite di Eddington è molto elevato. Si ritiene che al centro della maggior parte delle galassie sia presente un buco nero supermassiccio e che la sua massa sia in correlazione con la dispersione delle velocità nel bulge (il rigonfiamento spesso presente al centro delle galassie) e con la sua luminosità. Questa luminosità elevata e costante degli AGN è stata sfruttata anche come strumento per calcolare le distanze cosmiche. Il metodo si basa sul raffronto tra la magnitudine assoluta delle galassie e quella apparente vista dalla Terra. Esiste anche un gruppo di soluzioni a bassa efficienza radiativa delle equazioni che governano l'accrezione, le più note delle quali sono i flussi di accrescimento dominati dall'avvezione (in inglese ADAF, Advection Dominated Accretion Flow). In questi tipi di accrescimento, importanti soprattutto per velocità di accrezione al di sotto del limite di Eddington, il materiale in accrescimento non va a spiraleggiare in modo da formare un disco sottile e di conseguenza non irradia l'energia che ha acquisito durante la fase di avvicinamento al buco nero. Questo accrescimento a bassa efficienza radiativa è stato ipotizzato per spiegare la mancanza di forti emissioni da parte di buchi neri massicci al centro di galassie ellittiche negli ammassi, dove invece ci aspetteremmo grandi velocità di accrezione e conseguentemente elevate luminosità. Ci si attende che i nuclei attivi a bassa efficienza radiativa siano privi di molte delle caratteristiche tipiche degli AGN dotati di disco di accrescimento. Si possono suddividere le galassie attive in due gruppi, a seconda che presentino una forte emissione di onde radio o che invece siano relativamente quiete sotto questo punto di vista. Negli oggetti fortemente attivi la luminosità nelle onde radio, ma probabilmente anche nelle altre frequenze, è dominata dai getti e dai lobi che ne vengono influenzati; negli oggetti in quiete, le emissioni collegate ai getti sono trascurabili. La terminologia in uso per distinguere i nuclei attivi non è però sempre univoca, in quanto a volte riflette le differenze storiche legate al periodo della scoperta, invece che le reali differenze dal punto di vista fisico. Le galassie di Seyfert, i quasar e i blazar sono i tipi principali di AGN che emettono radiazione energetica (raggi X e gamma). I quasar, in particolare, sembrano essere gli oggetti più luminosi dell'universo conosciuto.
- Le galassie di Markarian sono galassie intrinsecamente più brillanti che emettono dalla zona centrale prevalentemente luce blu. Vi si distinguono due tipi principali di galassie di Markarian: le galassie s e le galassie d. Le 'd' sono formate perlopiù di stelle giganti blu mentre le 's' hanno un nucleo molto condensato di aspetto stellare o quasi.
- I quasar attivi nelle onde radio si comportano come gli altri, con l'aggiunta di un'emissione da un getto, per cui mostrano uno spettro continuo nel visibile, linee di emissione larghe e strette, forti emissioni di raggi X assieme a emissioni radio e nucleari.
- Blazar, oggetti BL lacertae e quasar OVV (Optically Violently Variable) sono caratterizzati da emissioni radio e X rapidamente variabili e otticamente polarizzate. Gli oggetti BL Lacertae non mostrano righe di emissione, né larghe né strette, per cui il loro redshift può essere determinato solo in base allo spettro della galassia ospitante. Le caratteristiche delle linee di emissione possono essere intrinsecamente assenti o semplicemente coperte dalla componente variabile; in quest'ultimo caso le linee di emissione risultano distinguibili solo se la componente variabile è debole. I quasar OVV si comportano come gli altri con l'aggiunta della componente rapidamente variabile. In entrambi casi si ritiene che l'emissione variabile abbia origine in un getto relativistico orientato quasi nella nostra linea di vista. Gli effetti relativistici amplificano sia la luminosità del getto che l'ampezza della variabilità.
- Le radiogalassie sono un gruppo eterogeneo di galassie che mostrano un'estesa emissione radio e nucleare. Le altre proprietà sono piuttosto eterogenee. Si possono dividere in due grandi categorie, ad alta o bassa eccitazione. I tipi a bassa eccitazione non mostrano forti linee di emissione strette o larghe, e le deboli mostrate potrebbero derivare da un meccanismo di eccitazione differente. Le emissioni nucleare e nel visibile sono compatibili con quelle originatesi solo da un getto. Sembrano attualmente i migliori candidati per gli AGN a bassa efficienza radiativa.Invece gli oggetti ad alta eccitazione (radiogalassie a banda stretta) hanno linee di emissione simili a quelle delle Seyfert-2. Il piccolo gruppo di radiogalassie a banda larga, che mostrano un'emissione nucleare e visibile relativamente forte, probabilmente include anche oggetti che sono in realtà semplicemente radio-quasar a bassa luminosità. Le galassie ospitanti, indipendentemente dal tipo di linee di emissione, sono quasi sempre ellittiche.La maggior parte delle radiogalassie hanno enormi lobi simmetrici, da cui viene emessa la gran parte della radiazione. Alcune mostrano uno o due getti (l'esempio più famoso è M87 nell'Ammasso della Vergine) che escono direttamente dal nucleo e si dirigono verso i lobi. Si pensa che i getti siano manifestazioni visibili dei getti di particelle di alta energia che alimentano i lobi.
Alcuni dei differenti tipi di galassie attive sono legati dai modelli unificati, in cui sono in realtà lo stesso oggetto visto da differenti angolazioni. L'assorbimento da parte di polveri presenti nella galassia, e gli effetti relativistici di un getto così potente rivolto verso l'osservatore, in questi modelli sono la causa delle differenze. I due modelli unificati principali legano le differenti classi di galassie di Seyfert e di radio galassie, quasar e blazar. Uno studio effettuato con il satellite Swift nella banda spettrale dei raggi X ha ipotizzato che la differenziazione del tipo di galassie attive (tipo I e tipo II) dipenderebbe essenzialmente dalla quantità del materiale accrescente il buco nero centrale e dalla conseguente quantità di radiazioni che esso emette, a prescindere dall'angolo di osservazione.
L'Evoluzione delle galassie
La formazione e l'evoluzione delle galassie è una delle aree di ricerca più attive in astrofisica; alcune teorie, a ogni modo, sono ora ampiamente accettate. Dopo il Big Bang, l'universo avrebbe vissuto un periodo in cui sarebbe stato omogeneo, come può essere osservato nella radiazione cosmica di fondo, le cui fluttuazioni sono minori di una parte su centomila. La teoria più accreditata è che tutte le strutture dell'universo che si possono osservare si formarono dall'accrescimento delle fluttuazioni primordiali per mezzo dell'instabilità gravitazionale. Dati recenti suggeriscono che le prime galassie si formarono già 600 milioni di anni dopo il Big Bang, molto prima di quanto si credeva. Questo periodo lascia tempo appena sufficiente alle minuscole instabilità primordiali per crescere abbastanza. La maggior parte della ricerca in questo campo si è concentrata su oggetti della nostra galassia, la Via Lattea. Le osservazioni a cui fornire spiegazione in accordo, o almeno non in disaccordo, con una teoria dell'evoluzione galattica, includono:
- il disco galattico è piuttosto sottile, denso, e ruota;
- l'alone galattico è molto grande, rado, non ruota (o forse ha anche una leggera rotazione retrograda), apparentemente senza alcuna sottostruttura;
- le stelle di alone sono tipicamente molto più vecchie e hanno metallicità molto più bassa delle stelle di disco (c'è una correlazione, ma non c'è collegamento completo tra questi dati);
- alcuni astronomi hanno identificato una popolazione intermedia di stelle. Se questa fosse davvero una popolazione distinta, sarebbe descritta come povera di metalli (ma non povera come le stelle di alone), vecchia (ma non vecchia come le stelle di alone), e che orbita molto vicina al disco.
- gli ammassi globulari sono di solito vecchi e poveri di metalli, ma ce ne sono alcuni per niente poveri di metalli, e/o hanno stelle più giovani. Alcune stelle negli ammassi globulari sembrano essere vecchie come l'universo stesso (da misurazione completamente differenti e metodi d'analisi diversi).
- in ogni ammasso globulare, potenzialmente, tutte le stelle nacquero nello stesso periodo (a parte alcuni ammassi che mostrano epoche diverse di formazione stellare);
- ammassi globulari con orbite strette (vicino al centro galattico) hanno orbite piuttosto piatte (meno inclinate rispetto al disco galattico), e più circolari, mentre quelli più lontani hanno orbite con varie inclinazioni, e tendono a essere più eccentriche;
- nubi ad alta velocità (nubi di idrogeno neutro), "piovono" sul piano della galassia, e presumibilmente l'hanno fatto sin dal principio (probabilmente sono la fonte indispensabile di gas per la formazione stellare).
Si suppone che le galassie a spirale non si formino da unioni di galassie più piccole. Quando due galassie collidono, le rispettive stelle difficilmente collidono l'una con l'altra a causa delle distanze enormi che le separano. Gli effetti gravitazionali disgregano tuttavia la struttura delle galassie interessate. Quando si separano la gravità le rallenta, e, se sono legate gravitazionalmente, le riporterà insieme per un'altra collisione. Dopo molte collisioni le loro strutture individuali sono così cambiate, con stelle mescolate tra loro, che identifichiamo il risultato come un unico oggetto. Quindi dopo una fusione, la maggior parte delle stelle originali rimangono a formare la nuova galassia, mentre una piccola frazione viene scagliata via. Anche se entrambe le galassie prima della collisione fossero a spirale, la violenza dell'evento disgregherebbe la delicata struttura del disco. Le stelle esistenti non possono cambiare le loro orbite per formare in seguito un nuovo disco. Poiché il disco stellare deve essenzialmente formarsi con un ordine preciso. Prima si forma un denso disco di gas ruotante, poi le stelle nascono al suo interno. La prima teoria moderna di formazione della nostra galassia (modello di ELS: Eggen, Lynden-Bell e Sandage), descriveva un singolo, relativamente rapido e compatto collasso, con l'alone che si forma per primo e in seguito il disco. Un'altra teoria pubblicata alcuni anni più tardi (nota come SZ: Searle e Zinn) descrive un processo più graduale, con gli elementi più piccoli che collassano per primi, unendosi in seguito a formare gli elementi più grandi. Un'idea più recente è che rilevanti porzioni dell'alone stellare potrebbero essere frammenti di galassie nane distrutte e di ammassi globulari che una volta orbitavano intorno alla Via Lattea. L'alone sarebbe quindi un componente "nuovo", formatosi dopo una stabilizzazione della struttura galattica e composto di vecchie parti attratte da una galassia satellite e "riciclate". Negli ultimi anni, l'attenzione si è concentrata nel capire le fusioni nell'evoluzione delle galassie. Rapidi progressi tecnologici nei computer hanno permesso simulazioni migliori, e progressi nelle tecnologie di osservazione hanno offerto molti più dati sulle fusioni in corso nelle galassie lontane. Dopo la scoperta nel 1994 che la nostra Via Lattea ha una galassia satellite (la Galassia Nana Ellittica del Sagittario, o SagDEG) la quale viene attualmente lacerata e gradualmente "mangiata" dalla Via Lattea, si pensa che questo genere di eventi siano piuttosto comuni nell'evoluzione di grandi galassie. Le Nubi di Magellano sono galassie satellite della Via Lattea che quasi certamente divideranno lo stesso destino della SagDEG. Una fusione con una galassia satellite piuttosto grande potrebbe spiegare perché M31 sembra avere un duplice nucleo. La SagDEG orbita attorno alla nostra galassia quasi ad angolo retto col disco. Sta passando attualmente attraverso il disco; alcune stelle vengono strappate via a ogni passaggio e si uniscono all'alone della nostra galassia. Alla fine, solamente il nucleo di SagDEG sopravviverà. Sebbene abbia la stessa massa di un grande ammasso globulare come Omega Centauri e G1, apparirà piuttosto diverso, poiché ha densità di superficie molto più bassa a causa della presenza di sostanziali quantità di materia oscura, mentre gli ammassi globulari appaiono, misteriosamente, contenere poca materia oscura. Le galassie ellittiche giganti probabilmente si formano da fusioni su ampia scala. Nel Gruppo Locale, la Via Lattea e M31 sono legate gravitazionalmente, e si stanno avvicinando ad alta velocità. Alla fine si incontreranno e si attraverseranno, la gravità le distorcerà nettamente ed espellerà nello spazio intergalattico gas, polvere e stelle. In seguito si separeranno, rallenteranno, e poi di nuovo l'una verso l'altra, per un nuovo scontro. Alla fine le due galassie si fonderanno completamente in una galassia ellittica gigante. Dal gas emesso dalla fusione, nuovi ammassi globulari e forse anche nuove galassie nane, formeranno l'alone dell'ellittica. Anche gli ammassi attuali di M31 e della Via Lattea faranno parte dell'alone; gli ammassi globulari sono legati così saldamente da essere in gran parte immuni alle interazioni su scala galattica. M31 in realtà è già distorta: i bordi sono curvati a causa delle interazioni con la galassia del Triangolo, una galassia a spirale non lontana. Alla fine tutte e tre le galassie formeranno una galassia ellittica gigante, facente parte del Superammasso della Vergine. Nella nostra epoca, le grandi concentrazioni di galassie (ammassi e superammassi) si stanno ancora assemblando. Questo quadro "dal basso in su" è noto come "formazione gerarchica" (simile al ritratto di SZ sulla formazione di galassie, ma su una scala più vasta). Secondo il modello "top-down", circa un miliardo di anni dopo la formazione delle galassie comparvero le prime strutture tipo: gli ammassi globulari, l'eventuale buco nero supermassiccio ed il bulge (centro) galattico, composto da stelle di popolazione II, povere in metalli. La creazione del buco nero supermassiccio sembra giocare un ruolo fondamentale nell'afflusso di materia che andrà ad accrescere la galassia. Durante questo periodo, all'interno delle galassie si verificò un intenso e diffuso fenomeno di formazione stellare. Durante i due miliardi di anni seguenti, la materia accumulata si dispose lungo il disco galattico. Una galassia continuerà nel corso della sua esistenza a ricevere materia, principalmente idrogeno ed elio, proveniente dalle nubi ad alta velocità e dalle galassie nane cannibalizzate. Il ciclo della nascita e morte stellare fa lentamente aumentare l'abbondanza di elementi pesanti, che favoriscono la formazione dei pianeti. L'evoluzione delle galassie può essere interessata da eventi come le interazioni e le collisioni, molto comuni durante le epoche più antiche; la gran parte delle galassie possedeva allora una morfologia peculiare. A causa della grande distanza che intercorre tra le stelle, la quasi totalità dei sistemi stellari nelle galassie in collisione ne risultano indenni. Tuttavia, le forze mareali e gravitazionali in gioco possono creare delle lunghe correnti di stelle e polveri all'esterno delle galassie interessate, correnti note come "code mareali"; esempi di queste strutture possono essere osservate in NGC 4676 o nelle Galassie Antenne. Uno di questi eventi interesserà molto probabilmente le due galassie principali del Gruppo Locale, la Via Lattea e la Galassia di Andromeda, le quali si stanno avvicinando alla velocità di 130 km/s e, a seconda del loro movimento laterale, potrebbero collidere tra circa cinque o sei miliardi di anni. Sebbene la Via Lattea non si sia mai scontrata con galassie grandi come la Galassia di Andromeda, ci sono comunque sempre più evidenze del fatto che la nostra Galassia si sia scontrata in passato (e tuttora stia interagendo) con galassie nane minori. Interazioni su larga scala come queste sono piuttosto rare; col passare del tempo le collisioni fra due galassie di pari dimensioni diventano sempre meno comuni, poiché la distanza tra le galassie tende generalmente ad aumentare. Molte delle galassie più luminose non hanno subito sostanziali cambiamenti negli ultimi miliardi di anni ed anche il tasso di formazione stellare raggiunse il picco massimo cinque miliardi di anni fa. Attualmente, gran parte dei fenomeni di formazione stellare avvengono nelle galassie più piccole, nelle quali le nubi molecolari contengono un quantitativo di idrogeno ancora piuttosto elevato. Le galassie spirali, come la Via Lattea, producono nuove generazioni di stelle solo se e dove possiedono dense nubi molecolari di idrogeno interstellare; le galassie ellittiche sono invece di fatto quasi del tutto prive di nubi di gas, ragion per cui il loro tasso di formazione stellare è estremamente basso, se non in certi casi assente. L'afflusso di materia che provoca la formazione stellare, soprattutto dalle galassie cannibalizzate, ha un limite: infatti, una volta che le stelle avranno convertito l'idrogeno disponibile in elementi più pesanti, i fenomeni di formazione di nuove stelle avranno termine. Gli astrofisici sono propensi a ritenere che i fenomeni di formazione stellare dureranno ancora per circa cento miliardi di anni, dopo i quali l'"era delle stelle" inizierà a declinare, in un periodo compreso fra dieci e cento bilioni di anni (1 bilione = mille miliardi, 1012), quando le stelle più piccole e longeve dell'Universo, le deboli nane rosse, termineranno il loro ciclo vitale. Alla fine dell'era delle stelle, le galassie saranno composte solo da oggetti compatti: nane brune, nane bianche tiepide o fredde ("nane nere") stelle di neutroni e buchi neri; è questa la cosiddetta "era degenere dell'Universo". Alla fine, come risultato della relazione gravitazionale, tutte le stelle potrebbero precipitare all'interno del buco nero supermassiccio centrale, oppure potrebbero essere scagliate nello spazio intergalattico in seguito a collisioni.
Strutture a grande scala
Le osservazioni dello spazio profondo mostrano che le galassie si trovano spesso in associazioni relativamente strette con altre galassie. Le galassie solitarie che non hanno avuto interazioni significative con altre galassie di massa simile negli ultimi miliardi di anni sono molto rare: solo il 5% delle galassie osservate mostra condizioni di vero isolamento. Tuttavia queste formazioni isolate potrebbero aver avuto interazioni ed eventualmente subìto delle fusioni con altre galassie nel passato, e potrebbero anche possedere delle galassie satelliti più piccole. Le galassie isolate, dette talvolta anche galassie di campo, possono produrre stelle ad un tasso più alto del normale, poiché il loro gas non è strappato via dalle interazioni con altre galassie vicine. In scala maggiore, l'Universo, nel rispetto della legge di Hubble, è in continua espansione, e risulta dall'aumento della distanza tra le singole galassie. Le associazioni galattiche possono superare questa tendenza all'espansione solo in scala locale, attraverso la loro reciproca attrazione gravitazionale. Tali associazioni si formarono nei primi stadi dell'Universo, quando insiemi di materia oscura attrassero assieme le loro rispettive galassie; successivamente i gruppi più vicini si fusero, dando luogo ad ammassi di più grandi dimensioni. Questo processo di fusione tra gruppi di galassie riscaldò il gas intergalattico compreso all'interno dell'ammasso portandolo ad alte temperature, che raggiunsero in certi casi i 30-100 milioni di K. Questo valore di temperatura non è da considerarsi in termini classici, ma è un valore ottenuto tenendo conto dell'energia cinetica delle particelle, che per altro sono estremamente rarefatte. Circa il 70-80% della massa di un ammasso è formata da materia oscura, di cui il 10-30% va a costituire questo gas ad alta temperatura; il restante 20-30% del totale forma le galassie. La maggior parte delle galassie dell'Universo sono legate gravitazionalmente in strutture gerarchiche di ammassi, che ricalcano la forma di un frattale, contenenti la gran parte della massa barionica dell'Universo. La tipologia più diffusa è l'associazione galattica, costituita da pochi membri. Perché l'associazione si mantenga stabile, ogni galassia membro deve avere una velocità sufficientemente bassa da evitare il proprio allontanamento (vedi Teorema del viriale); se però l'energia cinetica è troppo bassa, il gruppo potrebbe evolvere in un gruppo con meno galassie, poiché alcune di esse tenderanno a fondersi l'un l'altra. Le strutture maggiori, che contengono invece diverse migliaia di galassie concentrate in un'area di pochi megaparsec (1Mpc = un milione di parsec), sono chiamate ammassi. Tali strutture sono spesso dominate da una singola galassia ellittica gigante, nota come galassia di ammasso più luminosa, che col tempo disgrega le sue galassie satelliti a causa della sua grande forza di marea, acquistandone la massa. Gli ammassi e le associazioni, spesso insieme ad alcune galassie singole, sono a loro volta raggruppati in superammassi di galassie, che contengono decine di migliaia di galassie. Al livello dei superammassi le galassie sono disposte all'interno di vaste superfici e filamenti, circondati da vaste aree vuote. Oltre questa scala, l'Universo appare essere isotropico ed omogeneo. La Via Lattea è membro di un'associazione chiamata Gruppo Locale, un gruppo relativamente piccolo di galassie che ha un diametro di circa un megaparsec. La Via Lattea e la Galassia di Andromeda sono le due galassie più luminose del gruppo, e ne regolano le dinamiche gravitazionali; gli altri membri del gruppo sono galassie nane, spesso satelliti delle due principali. Il Gruppo Locale è a sua volta parte di una struttura di forma sferoidale all'interno del Superammasso della Vergine, una struttura molto vasta di gruppi di galassie che circonda l'Ammasso della Vergine.