Lune straordinarie
Nel nostro sistema planetario esistono centinaia di satelliti: in questo articolo andremo a scoprire i segreti di quelli più grandi e misteriosi.
Nota: Mercurio e Venere non hanno lune.
La Luna della Terra
La nostra Luna
La Luna è un satellite naturale, l'unico della Terra. Il suo nome proprio viene talvolta utilizzato, per antonomasia e con l'iniziale minuscola («una luna»), come sinonimo di satellite anche per i corpi celesti che orbitano attorno ad altri pianeti. Orbita a una distanza media di circa 384400 km dalla Terra, sufficientemente vicina da essere osservabile a occhio nudo, così che sulla sua superficie è possibile distinguere delle macchie scure e delle macchie chiare. Le prime, dette mari, sono regioni quasi piatte coperte da rocce basaltiche e detriti di colore scuro. Le regioni lunari chiare, chiamate terre alte o altopiani, sono elevate di vari kilometri rispetto ai mari e presentano rilievi alti anche 8000-9000 metri. Essendo in rotazione sincrona rivolge sempre la stessa faccia verso la Terra e il suo lato nascosto è rimasto sconosciuto fino al periodo delle esplorazioni spaziali. Durante il suo moto orbitale, il diverso aspetto causato dall'orientazione rispetto al Sole genera delle fasi chiaramente visibili e che hanno influenzato il comportamento dell'uomo fin dall'antichità. Impersonata dai greci nella dea Selene, fu da tempo remoto considerata influente sui raccolti, le carestie e la fertilità. Condiziona la vita sulla Terra di molte specie viventi, regolandone il ciclo riproduttivo e i periodi di caccia; agisce sulle maree e la stabilità dell'asse di rotazione terrestre. Si pensa che la Luna si sia formata 4,5 miliardi di anni fa, non molto tempo dopo la nascita della Terra. Esistono diverse teorie riguardo alla sua formazione; la più accreditata è che si sia formata dall'aggregazione dei detriti rimasti in orbita dopo la collisione tra la Terra e un oggetto delle dimensioni di Marte chiamato Theia. Il suo simbolo astronomico ☾ è una rappresentazione stilizzata di una sua fase (compresa tra l'ultimo quarto e il novilunio visto dall'emisfero boreale, oppure tra il novilunio e il primo quarto visto dall'emisfero australe) La faccia visibile della Luna è caratterizzata dalla presenza di circa 300 000 crateri da impatto (contando quelli con un diametro di almeno 1 km). Il cratere lunare più grande è il bacino Polo Sud-Aitken, che ha un diametro di circa 2500 km, è profondo 13 km e occupa la parte meridionale della faccia nascosta. Il termine italiano "Luna" (di solito minuscolo nell'uso comune, non astronomico) deriva dal latino lūna, da un più antico *louksna, a sua volta proveniente dalla radice indoeuropea leuk- dal significato di "luce" o "luce riflessa"[13]; dalla stessa radice deriva anche l'avestico raoxšna ("la brillante"), e altre forme nelle lingue baltiche, slave, nell'armeno e nel tocario; paralleli semantici si possono trovare nel sanscrito chandramā ("luna"[15], considerata come una divinità) e nel greco antico σελήνη selḗnē (da σέλας sélas, "fulgore" [del fuoco], "splendore"), esempi che mantengono il significato di "lucente", sebbene siano di diversi etimi. Nelle lingue germaniche il nome della Luna deriva dal proto-germanico *mēnōn, assimilato probabilmente dal greco antico μήν e dal latino mensis che derivavano dalla comune radice indoeuropea *me(n)ses, dal chiaro significato odierno di mese. Da *mēnōn derivò probabilmente quello anglosassone mōna, mutato successivamente in mone attorno al dodicesimo secolo, quindi nell'odierno moon. L'attuale termine tedesco Mond è etimologicamente strettamente correlato a quello di Monat (mese) e si riferisce al periodo delle sue fasi lunari.
Storia delle osservazioni
Nei tempi antichi non erano rare le culture, prevalentemente nomadi, che ritenevano che la Luna morisse ogni notte, scendendo nel mondo delle ombre; altre culture pensavano che la Luna inseguisse il Sole (o viceversa). Ai tempi di Pitagora, come enunciava la scuola pitagorica, veniva considerata un pianeta. Uno dei primi sviluppi dell'astronomia fu la comprensione dei cicli lunari. Già nel V secolo a.C. gli astronomi babilonesi registrarono i cicli di ripetizione (saros) delle eclissi lunari e gli astronomi indiani descrissero i moti di elongazione della Luna. Successivamente fu spiegata la forma apparente della Luna, le fasi, e la causa della Luna piena. Anassagora affermò per primo, nel 428 a.C., che Sole e Luna fossero delle rocce sferiche, con il primo a emettere luce che la seconda riflette. Sebbene i cinesi della dinastia Han credessero che la Luna avesse un'energia di tipo Ki, la loro teoria ammetteva che la luce della Luna fosse solo un riflesso di quella del Sole. Jing Fang, vissuto tra il 78 e il 37 a.C., notò anche che la Luna avesse una certa sfericità. Nel secondo secolo dopo Cristo, Luciano scrisse un racconto dove gli eroi viaggiavano fino alla Luna scoprendo che era disabitata. Nel 499, l'astronomo indiano Aryabhata menzionò nella sua opera Aryabhatiya che la causa della brillantezza della Luna è proprio la riflessione della luce solare. All'inizio del Medioevo alcuni credevano che la Luna fosse una sfera perfettamente liscia, come sosteneva la teoria aristotelica, e altri che vi si trovassero oceani (a tutt'oggi il termine «mare» è impiegato per designare le regioni più scure della superficie lunare). Il fisico Alhazen a cavallo dell'anno 1000, scoprì che la luce solare non è riflessa dalla Luna come uno specchio, ma è riflessa dalla superficie in tutte le direzioni. Quando, nel 1609, Galileo puntò il suo telescopio sulla Luna, scoprì che la sua superficie non era liscia, bensì corrugata e composta da vallate, monti alti più di 8000 m e crateri. La stima dell'elevazione dei rilievi lunari fu oggetto di una brillante intuizione matematica: sfruttando la conoscenza del diametro lunare ed osservando la distanza delle vette montuose dal terminatore, l'astronomo toscano ne calcolò efficacemente l'altitudine; misurazioni moderne hanno confermato la presenza di monti che, avendo origine differente da quelli terrestri, data la minor gravità lunare, giungono ad 8 km di elevazione (il punto più alto misura 10750 m rispetto alla quota media). Ancora agli inizi del Novecento c'erano dubbi sulla possibilità che la Luna potesse avere un'atmosfera respirabile. L'astronomo Alfonso Fresa, ponendosi il problema dell'abitabilità della Luna, la legava inscindibilmente alla presenza dell'acqua e dell'aria:
«Innanzitutto bisogna intendersi sul significato della parola vita, la quale, se va intesa nel senso organico, molto difficilmente potrà ancora albergare sulla Luna, giacché mancano lassù i fattori necessari alla sua esistenza: l'aria e l'acqua. Si potrebbe obiettare che un'assenza completa di esse non debba essere presa alla lettera, perché pur non verificandosi nemmeno in piccolissima parte i fenomeni di rifrazione, un residuo sparutissimo di aria può esistere sul nostro satellite, per quanto anche l'analisi spettroscopica abbia confermato che il nostro satellite è completamente privo di atmosfera.»
Osservazione dalla Terra e esplorazione
La Luna è l'unico oggetto del cielo di cui è possibile osservare dei dettagli superficiali ad occhio nudo. Il nostro satellite infatti mostra una serie di dettagli chiari e scuri, determinati dalla differenza di albedo tra le zone pianeggianti, dette mari - più scure - e le zone più elevate, craterizzate e più chiare. Nel corso di circa un mese essa mostra diverse fasi lunari, caratterizzate da un diverso aspetto e da una conseguente variazione di luminosità. In prossimità della Luna nuova, quando è presente solo un piccolo spicchio illuminato, è possibile osservare la luce cinerea. La luminosità massima della Luna piena è di circa -12 di magnitudine apparente, mentre il semidiametro angolare alla distanza media dalla Terra, secondo Simon Newcomb, è di 0,25905°. Già con un binocolo la Luna mostra moltissimi dettagli come i mari e i crateri. L'osservazione in questo caso risulta particolarmente suggestiva a causa della visione a largo campo. Le fasi lunari descrivono il diverso aspetto che la Luna mostra verso la Terra durante il suo moto, causate a loro volta dal suo diverso orientamento rispetto al Sole. Le fasi lunari si ripetono in un intervallo di tempo detto "mese sinodico", pari a circa 29 giorni. Il mese del nostro calendario gregoriano è derivato da esso. Le fasi lunari sono dovute al moto di rivoluzione della Luna e al suo conseguente ciclico cambiamento di posizione rispetto alla Terra e al Sole. Sono rappresentate dalla parte del satellite terrestre illuminata dal Sole. Vi sono quattro posizioni fondamentali, rappresentate nella figura a lato e nell'elenco sottostante dai numeri dispari, e quattro fasi intermedie:
- Luna nuova (o congiunzione o fase di novilunio)
- Luna crescente
- Luna piena (o opposizione o fase di plenilunio)
- Luna calante
Il termine "quarto" si riferisce alla posizione della Luna nell'orbita attorno alla Terra, da tali due posizioni dalla Terra è visibile mezzo emisfero. Per un osservatore posto nel emisfero boreale, quando la Luna è crescente, la parte illuminata del disco lunare è a destra, mentre quando è calante la parte illuminata è a sinistra. Mentre nell'emisfero australe avviene il contrario: quando è crescente è illuminata la parte sinistra, quando è calante è illuminata la parte destra[1]. La transizione da un emisfero all'altro provoca quindi il fenomeno della "Luna a barchetta" (si veda nei proverbi più sotto). È importante preporre che le fasi lunari, in ambito astronomico, sono calcolate e sempre riferite in termini di geocentricità cioè per un ipotetico osservatore collocato al centro della Terra. Per il calcolo delle fasi lunari si possono impiegare delle specifiche formule chiuse, come quelle proposte in tempi recenti dal matematico Jean Meeus e perfettamente idonee ad essere informatizzate, oppure in modo più semplice e, volendo, rigoroso, tramite un comune calcolo iterativo che interpola da una funzione di secondo grado gli istanti (o tempi) nei quali la differenza, in valore assoluto, fra la longitudine apparente del Sole e quella della Luna raggiunge i seguenti angoli:
- 0° a Luna Nuova
- 270° al primo Quarto
- 180° a Luna Piena
- 90° all'ultimo Quarto
Nonostante l'impiego di formule notevolmente più semplici e brevi, il metodo iterativo ha lo svantaggio di richiedere necessariamente la conoscenza della longitudine apparente del Sole e della Luna, mentre invece non è necessaria applicando un metodo a formula chiusa. Nella pratica, onde evitare di rendere impossibile il calcolo in taluni computer, si preferisce imporre una tolleranza "cautelare", nei valori sopra riportati, di circa 1 milionesimo di grado in più o in meno rispetto ai valori angolari indicati.
- Con la Luna nuova, la Luna è interposta fra la Terra e il Sole: sorge al mattino e tramonta alla sera. Se si allinea in prossimità del nodo con la Terra e il Sole si ha un'eclissi solare.
- Nelle quadrature o quarti (primo quarto e ultimo quarto), le semirette congiungenti la Terra con la Luna e il Sole formano un angolo di 90°: al primo quarto la Luna sorge a mezzogiorno e tramonta a mezzanotte, all'ultimo quarto sorge a mezzanotte e tramonta a mezzogiorno.
- Con la Luna piena la posizione della Terra è compresa tra Sole e Luna: la Luna sorge alla sera e tramonta al mattino. Se invece si allinea dietro l'ombra della Terra si ha un'eclissi lunare.
- Congiunzione ed opposizione vengono denominate sizigie.
La Luna compie una rivoluzione attorno alla Terra in 27 giorni, 7 ore, 43 minuti e 11 secondi (mese siderale). Il mese lunare (ovvero il periodo compreso fra due Lune nuove) ha invece una durata media di 29 giorni, 12 ore, 44 minuti e 3 secondi. La differenza è dovuta al fatto che nel frattempo sia la Terra che la Luna sono avanzate lungo l'orbita terrestre ed il loro allineamento col Sole è cambiato. Tale differenza non è costante principalmente perché nel corso dell'anno la velocità della Terra lungo la sua orbita varia in dipendenza della distanza Terra-Sole. Ci si potrebbe aspettare che una volta al mese, quando la Luna passa tra la Terra e il Sole nel corso di una luna nuova, la sua ombra cada sulla Terra causando una eclissi solare, ma questo non accade ogni mese. E neppure è vero che durante ogni Luna piena, l'ombra della Terra cade sulla Luna, causando una eclissi lunare. Eclissi solari e lunari non sono osservate ogni mese, perché il piano dell'orbita della Luna attorno alla Terra è inclinato di circa 5° 9' rispetto al piano dell'orbita della Terra attorno al Sole (il piano dell'eclittica ). Così, quando si verificano lune nuove e piene, la Luna di solito si trova a nord o a sud della retta che passa per la Terra e il Sole. Quando durante la sua orbita, la Luna si frappone tra la Terra e il Sole, proietta un cono d'ombra sulla Terra detto eclissi solare, o più propriamente eclissi solare totale, sempre che la Luna sia a una distanza dalla Terra tale da farla apparire di diametro angolare lievemente maggiore di quello del Sole, in caso contrario, l'eclissi sarebbe solo anulare, poiché il cono d'ombra della Luna non raggiunge la superficie terrestre. Il fenomeno è ben visibile dalla Terra perché il Sole viene letteralmente oscurato per alcuni minuti durante il giorno. L'evento non è comune e non accade a ogni novilunio: occorre infatti che la precessione del piano dell'orbita lunare sia tale che l'asse nodale coincida con la direzione Terra-Sole al novilunio. Leggeri scostamenti di quest'asse possono provocare uno stato di oscurità non totale proiettando solo la penombra della Luna sulla Terra e in questo caso il fenomeno si chiama eclissi solare parziale; in questi casi dalla Terra il Sole è visto come una mezzaluna e la sua luminosità è parzialmente ridotta. Pur essendo diverse eclissi consecutive, esse si ripetono ogni circa 18 anni in quello che si chiama ciclo di Saros; dopo ogni ciclo, la posizione relativa di Sole, Terra e Luna si ripresenta uguale a prima, e quindi anche le eclissi. Da un punto di vista scientifico le eclissi solari rappresentano un'ottima opportunità per studiare la corona solare, invisibile normalmente per via della eccessiva luminosità del Sole. Un altro fenomeno interessante si ha quando la Terra proietta la sua ombra sulla Luna, che accade quando l'asse nodale dell'orbita lunare coincide con la direzione Terra-Sole al plenilunio, ed è chiamato eclissi lunare. La Luna piena perde improvvisamente di luminosità non appena entra nella penombra terrestre, per poi oscurarsi del tutto appena entra nel cono d'ombra. A differenza dell'eclissi solare, l'eclissi lunare può durare alcune ore, per via della differenza di grandezza dei corpi che proiettano l'ombra. Nel 270 a.C. Aristarco di Samo sfruttò un'eclissi lunare per calcolare il diametro della Luna. A volte capita di vedere la Luna che, nel momento in cui sorge, possiede un colore rossastro. Ciò avviene poiché la sua luce (che proviene dal Sole e che è reindirizzata sulla Terra) deve attraversare uno strato atmosferico più ampio rispetto a quello che trova nel momento in cui è più alta nel cielo; la radiazione luminosa deve pertanto oltrepassare una quantità maggiore di polveri e turbolenze dell'aria ed è soggetta a una maggiore diffusione. Tale azione è più efficace con i raggi a frequenze più elevate, di colore blu, e meno con quelli a frequenze più basse, di colore rosso (scattering di Rayleigh): quindi poiché la componente rossa della sua luce non viene dispersa e arriva diretta ai nostri occhi, noi vediamo la Luna di colore rosso. Il fenomeno della Luna rossa, per questi stessi motivi, si verifica anche durante le eclissi lunari totali. Essendo la Luna il secondo corpo celeste più luminoso dopo il Sole, la sua localizzazione è particolarmente semplice. Tuttavia, la sua eccessiva luminosità crea problemi per l'osservazione con un telescopio amatoriale, in quanto la sua immagine è troppo brillante anche a 50X di ingrandimento, quasi accecante. Si usano particolari filtri astronomici, in particolare filtri a densità neutra per ridurre la luminosità per aumentare l'ingrandimento e apprezzare la visione dei rilievi sulla superficie. Particolarmente interessante è l'osservazione presso il terminatore che permette di apprezzare i rilievi grazie alla lunga ombra proiettata sulla superficie , che risulta limpida per l'assenza di atmosfera. L'esplorazione della Luna è avvenuta sia attraverso sonde robotiche, sia direttamente tramite equipaggi umani. La prima missione per l'esplorazione della Luna è stata la sonda Luna 1 lanciata dall'Unione Sovietica nel 1959 nell'ambito del Programma Luna. La missione eseguì un sorvolo ravvicinato del satellite, ma "mancò" la superficie, obiettivo che venne raggiunto il 14 settembre 1959 dalla successiva Luna 2. Nell'ottobre del 1959 la sonda sovietica Luna 3 ottenne la prima immagine della faccia nascosta. Sempre all'Unione Sovietica spetta il primato del primo lander (Luna 9, 1966) e del primo orbiter (Luna 10, 1966). Gli Stati Uniti risposero con i Programmi Pioneer e Ranger e, grazie al Programma Apollo, riuscirono con l'Apollo 11 a compiere il 20 luglio 1969 il primo atterraggio umano sulla superficie della Luna. Durante le missioni Apollo furono raccolti e portati sulla Terra 381,7 kg di campioni del suolo e delle rocce lunari. Nonostante il successo delle missioni Apollo, l'interesse dell'opinione pubblica statunitense per l'esplorazione lunare calò notevolmente e ciò determinò l'interruzione anticipata del Programma Apollo e la cessazione di missioni dedicate esplicitamente all'esplorazione della Luna. Il processo di esplorazione è ripreso nel 1990 con la prima missione giapponese, Hiten, seguita nel 1994 dalla statunitense Clementine. Proprio l'individuazione di possibili tracce di ghiaccio d'acqua in prossimità dei poli lunari da parte di quest'ultima ha generato un rinnovato interesse per la Luna che negli anni duemila ha condotto al lancio di missioni lunari da parte delle agenzie spaziali statunitense, europea, giapponese, cinese ed indiana. La Cina, la Russia e gli Stati Uniti, inoltre, hanno reso noto di voler riportare un equipaggio umano sulla superficie lunare e di valutare l'opportunità di stabilirvi una base di ricerca permanente. L'esplorazione della Luna ebbe inizio nel 1959, quando la sonda sovietica Luna 2 impattò con la superficie lunare. Nello stesso anno, il 7 ottobre, la missione Luna 3 trasmise a Terra fotografie dell'allora mai vista faccia nascosta della Luna. Fu l'inizio di una serie decennale di esplorazioni lunari condotte da sonde automatiche. In risposta al programma sovietico di esplorazione spaziale, il presidente degli Stati Uniti d'America John F. Kennedy dichiarò al Congresso il 25 maggio 1961: "io credo che questa nazione debba impegnarsi per raggiungere entro la fine del decennio l'obiettivo di portare un uomo sulla Luna e riportarlo sulla Terra". Nello stesso anno le autorità sovietiche annunciano pubblicamente la volontà di portare un equipaggio sulla Luna e di installarvi una base. Nel 1962 John DeNike e Stanley Zahn pubblicarono la loro idea di una base sotto la superficie del Mare della Tranquillità. Una base per un equipaggio di 21 uomini posta a quattro metri di profondità, in modo da essere protetta dalle radiazioni solari in maniera analoga a come la Terra è protetta dall'atmosfera. Sostenevano inoltre la scelta dei reattori nucleari come fonte di energia perché più efficienti dei pannelli solari e funzionanti anche durante le lunghe notti lunari. Anch'essi prevedevano il ricorso a purificatori d'aria basati sulle alghe. L'esplorazione della superficie da parte di esseri umani ebbe inizio con la missione Apollo 8, che nel 1968 orbitò attorno alla Luna con tre astronauti a bordo. Era la prima volta che occhi umani vedevano direttamente la faccia nascosta del satellite. L'anno successivo il modulo Apollo 11 portò sulla superficie due astronauti, dimostrando la possibilità umana di viaggiare fino alla Luna, eseguire attività di ricerca e ritornare con campioni di suolo lunare. I primi esseri umani atterrarono sulla Luna il 20 luglio 1969. Era l'apice della corsa allo spazio, la gara tra URSS e Stati Uniti d'America ispirata dalla guerra fredda. Il primo astronauta a camminare sulla superficie lunare fu lo statunitense Neil Armstrong, comandante dell'Apollo 11. L'ultimo sarebbe stato, poco più di tre anni più tardi, lo statunitense Eugene Cernan, durante la missione Apollo 17, il 14 dicembre 1972. L'equipaggio dell'Apollo 11 lasciò una targa di acciaio inossidabile, per commemorare lo sbarco e lasciare informazioni sulla visita ad ogni altro essere, umano o meno, che la trovi. Sulla targa c'è scritto:
«Qui, uomini dal pianeta Terra posero piede sulla Luna per la prima volta, luglio 1969 DC
Siamo venuti in pace, per tutta l'umanità.»
La targa raffigura i due emisferi del pianeta Terra, ed è firmata dai tre astronauti e dall'allora presidente degli Stati Uniti Richard Nixon. Le missioni successive proseguirono questa fase di esplorazione. Apollo 12 allunò vicino alla nave Surveyor 3 dimostrando la fattibilità di allunaggi di precisione. Dopo il quasi disastro dell'Apollo 13, la missione Apollo 14 fu l'ultima in cui gli astronauti rimasero in quarantena al loro rientro. La missione Apollo 15 fece uso di rover lunari e Apollo 16 fece il primo allunaggio sugli altopiani della Luna. In totale gli sbarchi sulla Luna delle missioni Apollo furono 6 (Apollo 11, 12, 14, 15, 16 e 17), per un totale di 12 astronauti discesi sul nostro satellite; la missione Apollo 13 non atterrò sulla Luna a causa di un incidente durante il volo e le restanti previste missioni Apollo 18, 19 e 20 furono annullate per tagli di bilancio. Dopo gli sbarchi del Programma Apollo, nessun essere umano ha più camminato sulla Luna. L'interesse per l'esplorazione della Luna iniziava a calare presso il pubblico statunitense. Apollo 17 fu l'ultima missione, le successive vennero annullate dal presidente Nixon. L'attenzione si volse sullo Space Shuttle e sulle missioni con equipaggio nelle orbite basse. In risposta a questo cambio di direzione anche l'Unione Sovietica iniziò a lavorare ad un progetto di shuttle, benché negli anni settanta portò a termine il Programma Luna con due rover automatici Lunochod che portarono sulla Luna varie strumentazioni e tre sonde spaziali che riportarono a Terra campioni di suolo lunare. La fine del programma lunare sovietico giunse infine nel 1976. Nei decenni successivi l'interesse per l'esplorazione lunare è calato considerevolmente, lasciando solo pochi entusiasti a sostenere un ritorno. La missione giapponese Hiten, lanciata nel 1990, è stata la prima appositamente dedicata all'esplorazione dalla conclusione del Programma Apollo nel 1972. In seguito alla individuazione di alcuni indizi sulla possibile presenza d'acqua in prossimità dei poli lunari (Clementine, NASA, 1994), negli anni 1990 e nei successivi anni 2000 è rinato un rinnovato interesse per l'esplorazione lunare. La NASA nel 1998 ha lanciato la missione Lunar Prospector che avrebbe dovuto, tra le altre cose, confermare le osservazioni della sonda Clementine, tuttavia la missione non riuscì a dare una risposta definitiva. Nel 2003 l'Agenzia Spaziale Europea ha lanciato la sonda SMART-1, la prima sonda europea per l'esplorazione della Luna. Missione prevalentemente tecnologica, ideata per testare la tecnologia del motore a ioni che avrebbe dovuto essere utilizzato nella missione BepiColombo, ha effettuato una ricognizione completa della superficie lunare, anche nei raggi X, e si è conclusa il 3 settembre 2006 con uno schianto controllato sulla superficie. L'Agenzia Spaziale Giapponese ha lanciato il 14 settembre 2007 la sua seconda missione lunare, SELENE (Selenological and Engineering Explorer) o Kaguya, come è stata ribattezzata subito dopo il lancio. La missione ha dato un notevole contributo nella mappatura delle anomalie gravitazionali della Luna, grazie all'utilizzo di due piccoli satelliti che hanno affiancato l'orbiter principale. Nel frattempo, la Cina ha espresso il proprio interesse all'esplorazione del satellite e l'intenzione di voler costruire una base sulla Luna. Gli Stati Uniti hanno allora risposto agli annunci del programma lunare cinese con l'intenzione di tornare con un equipaggio umano sulla Luna entro il 2020 e di realizzare sul lungo termine una base stanziale che faccia da trampolino per raggiungere Marte. La Cina ha iniziato il suo programma di esplorazione lunare per studiare il satellite e investigare le potenzialità di estrazione dell'elio-3, una possibile sorgente energetica per la Terra[5]. L'orbiter Chanh'e 1 è stato lanciato il 24 ottobre 2007. La missione ha avuto molto successo ed è stata estesa di ulteriori quattro mesi. La sonda è stata fatta impattare deliberatamente sulla superficie lunare. Il 1 ottobre 2010 è stato lanciato l'orbiter Chang'e 2, e tre anni più tardi la missione Chang'e 3 ha fatto atterrare nei pressi della regione Sinus Iridum il rover Yutu, il primo oggetto a compiere un atterraggio morbido lunare dalla sonda Luna 24 nel 1976. Il lander Chang'e 4, inizialmente progettato come sonda di riserva in caso di fallimento del predecessore, è stato destinato all'esplorazione della faccia nascosta della Luna, dove è atterrato con successo il 3 gennaio 2019, nei pressi del cratere Von Kármán. Il lander ha rilasciato sulla superficie il rover Yutu-2. La missione Chang'e 5, lanciata a novembre 2020 e costituita da un lander, un orbiter e un modulo di ascesa, ha prelevato e riportato sulla Terra con successo circa 2 kg di rocce lunari. L'agenzia spaziale indiana ha lanciato il 22 ottobre 2008 l'orbiter lunare Chandrayaan-1. La missione, della durata prevista di due anni, consisteva nel creare una mappa lunare tridimensionale e condurre una mappatura chimica e mineralogica della superficie e rilasciare la sonda Moon Impact Probe che è impattata sulla superficie il 14 novembre. Tra le varie scoperte scientifiche, la sonda ha confermato la presenza di molecole d'acqua nel suolo lunare. La missione successiva Chandrayaan-2 è stata lanciata il 22 luglio 2019 ed era costituita da un orbiter, un lander e il rover Pragyan. L'atterraggio del lander e del rover è fallito a causa di un malfunzionamento. Nel 2009 la NASA ha lanciato la missione Lunar Reconnaissance Orbiter, che ha creato una mappa tridimensionale ad alta risoluzione della superficie e ha trasportato la sonda da impatto LCROSS. L'impatto, avvenuto il 9 ottobre 2009 nei pressi del cratere Cabeo, ha permesso di studiare i detriti sollevati dalla collisione, e ha fornito ulteriori evidenze della presenza di acqua. Nel 2011, la missione GRAIL ha portato in orbita lunare due sonde per misurare le anomalie del campo gravitazionale lunare e desumere informazioni sulla composizione della crosta e del mantello. La missione si è conclusa nel 2012. La sonda israeliana Beresheet, un dimostratore tecnologico di un lander che sarebbe dovuto essere la prima sonda finanziata privatamente a raggiungere la Luna, ha tuttavia fallito l'atterraggio l'11 aprile 2019. Nel 2015 l'Agenzia spaziale russa ha previsto di mandare nuovamente l'uomo sulla Luna nel 2030 per installarvi una base permanente.
Formazione della Luna
Sono state proposte diverse ipotesi per spiegare la formazione della Luna che, in base alla datazione isotopica dei campioni lunari portati a Terra dagli astronauti, risale a 4,527 ± 0,010 miliardi di anni fa, cioè circa 50 milioni di anni dopo la formazione del sistema solare. Storicamente sono state avanzate diverse ipotesi sulla formazione della Luna. Le prime teorie suggerirono che la Luna si sarebbe originata dalla Terra, staccandosi per fissione dalla sua crosta per effetto della forza centrifuga o di un'immensa esplosione, nella zona delle Filippine, fossa delle Marianne (Oceano Pacifico). Questa teoria, nota come teoria della fissione, richiederebbe però un valore iniziale troppo elevato per la rotazione terrestre e non è compatibile con l'età relativamente giovane della crosta oceanica. (età giovane a causa della teoria dell'espansione degli oceani di Harry Hess). Questa teoria è compatibile con i più moderni studi sugli isotopi lunari, che hanno valori molto simili agli isotopi della crosta terrestre e con il fatto che si è recentemente scoperto che le rocce lunari hanno molecole d'acqua legate. Un'altra teoria, detta della cattura, ipotizza invece che la Luna si sia formata in un'altra zona del sistema solare e che sia stata in seguito catturata dall'attrazione gravitazionale terrestre. Un corpo esterno per poter esser catturato in un'orbita stabile ha bisogno di un fattore determinante per il dissipamento dell'energia al momento della sua fase di avvicinamento. Spesso in sistemi più complessi, con già altri elementi di massa rilevante in orbita, questo avviene grazie alla perturbazione gravitazionale di altri satelliti. Il sistema Terra-Luna potrebbe catturare altri asteroidi che si potrebbero posizionare in un'orbita stabile, ma gli effetti gravitazionali terrestri non basterebbero, ci sarebbe bisogno della perturbazione della Luna in un momento preciso della cattura; la Luna non potrebbe essere quindi stata catturata in questo modo, a causa dell'assenza di altri satelliti. D'altro canto, sebbene l'atmosfera possa dissipare l'energia in eccesso, il perielio del satellite catturato si stabilizzerebbe ai limiti dell'atmosfera, quindi in un'orbita troppo bassa; nonostante la Luna fosse molto più vicina alla Terra nella sua orbita primordiale, questa ipotesi richiederebbe un'enorme estensione dell'atmosfera terrestre. L'ipotesi dell'accrescimento presuppone che la Terra e la Luna si formarono assieme nello stesso periodo a partire dal disco di accrescimento primordiale. In questa teoria la Luna si formò dai materiali che circondavano la proto-Terra, analogamente a come si formarono i pianeti attorno al Sole. Questa ipotesi tuttavia non spiega in modo soddisfacente la scarsità di ferro metallico sulla Luna. Comunque nessuna di queste teorie riesce a spiegare l'elevato momento angolare del sistema Terra-Luna. La teoria dell'impatto gigante è quella più accettata dalla comunità scientifica[7]. Fu proposta nel 1975 da William Hartmann e Donald Davis, che ipotizzarono l'impatto di un corpo delle dimensioni di Marte, chiamato Theia o Orpheus, con la Terra. Da quest'impatto, nell'orbita circumterrestre si sarebbe generato abbastanza materiale da permettere la formazione della Luna. Anche l'astronomo canadese Alastair G. W. Cameron era un convinto sostenitore di questa tesi. Inoltre, si pensa che i pianeti si siano formati attraverso un'accessione di corpi più piccoli in oggetti maggiori, ed è riconosciuto che impatti come questo potrebbero essere avvenuti anche per altri pianeti. Simulazioni dell'impatto al computer riescono a predire sia il valore del momento angolare del sistema Terra-Luna, sia la piccola dimensione del nucleo lunare. L'ipotetico corpo Theia si sarebbe formato in un punto di Lagrange relativo alla Terra, ossia in una posizione gravitazionalmente stabile lungo la stessa orbita del nostro pianeta. Qui Theia si sarebbe accresciuto progressivamente inglobando i planetesimi e i detriti che occupavano in gran numero le regioni interne del sistema solare poco dopo la sua formazione. Quando Theia crebbe fino a raggiungere la dimensione di Marte, la sua massa divenne troppo elevata per restare stabilmente nel punto di Lagrange, soprattutto considerando l'influenza di Giove nel turbare le orbite degli altri pianeti del sistema solare. In accordo con questa teoria, 34 milioni di anni dopo la formazione della Terra (circa 4533 milioni di anni fa) questo corpo colpì la Terra con un angolo obliquo, distruggendosi e proiettando nello spazio sia i suoi frammenti sia una porzione significativa del mantello terrestre. L'urto avvenne con un angolo di 45° e a una velocità di circa 4 km/s (circa 14400 km/h), ad una velocità inferiore di quella che Theia si suppone avesse nello stato di corpo orbitante (40000 km/h), e siccome i due pianeti erano ancora allo stato fuso e quindi plastici, ancora prima dello scontro fisico le forze mareali avevano iniziato a distorcerne gli stati superficiali prima ed a smembrarne la protocrosta e il protomantello poi. Sembra inoltre che quasi la totalità della massa lunare sia di derivazione dalla crosta e dal mantello della proto-Terra. La proto-Terra, colpita da Theia, avrebbe dimezzato il suo tempo di rotazione dalle originali 8 ore a 4 ore. Secondo alcuni calcoli il due per cento della massa di Theia formò un anello di detriti, mentre circa metà della sua massa si unì per formare la Luna, processo che potrebbe essersi completato nell'arco di un secolo. È anche possibile che una parte del nucleo di Theia, più pesante, sia affondata nella Terra stessa fondendosi con il nucleo originario del nostro pianeta. Si ritiene che un simile impatto avrebbe completamente sterilizzato la superficie terrestre, provocando l'evaporazione degli eventuali mari primordiali e la distruzione di ogni tipo di molecola complessa. Se mai sulla Terra fossero già all'opera processi di formazione di molecole organiche, l'impatto di Theia dovrebbe averli bruscamente interrotti. Inoltre è stato suggerito che in conseguenza dell'impatto si siano formati altri oggetti di dimensioni significative, ma comunque inferiori a quelle della Luna, che avrebbero continuato ad orbitare attorno alla Terra, magari occupando uno dei punti di Lagrange del sistema Terra-Luna. Nell'arco di un centinaio di milioni di anni al più, le azioni gravitazionali degli altri pianeti e del Sole ne avrebbero comunque destabilizzato le orbite, causandone la fuga dal sistema o delle collisioni con il pianeta o con la Luna. Uno studio pubblicato nel 2011 suggerisce che una collisione tra la Luna e uno di questi corpi minori dalle dimensioni pari ad un trentesimo di quelle lunari potrebbe aver causato le notevoli differenze in caratteristiche fisiche esistenti tra le due facce della Luna. Le simulazioni condotte suggeriscono che, se l'impatto tra i due satelliti fosse avvenuto con velocità sufficientemente bassa, non avrebbe condotto alla formazione di un cratere, ma il materiale del corpo minore si sarebbe "spalmato" sulla Luna aggiungendo alla sua superficie uno spesso strato di crosta degli altipiani che vediamo occupare la faccia nascosta della Luna, la cui crosta è spessa circa 50 km più di quella della faccia visibile. Nel 2001 la ricercatrice statunitense Robin Canup ha modificato la teoria dell'impatto gigante illustrando che la neonata Luna sarebbe stata collocata su un'orbita non stabile e sarebbe ricaduta sul pianeta. L'attuale inclinazione dell'asse di rotazione terrestre è frutto di un secondo impatto. La teoria del doppio impatto nasce perché, con un singolo impatto, non si sarebbe avuta la quantità di materia necessaria a formare la Luna, in quanto la massa del disco che si sarebbe condensata a seguito del primo impatto, sarebbe stata circa 2 volte inferiore a quella dell'attuale massa lunare. Inoltre solo parte di questo materiale era oltre il limite di Roche, quindi non si sarebbe mai potuto aggregare per formare un satellite di grosse dimensioni. Uno studio pubblicato nel 2017 ha proposto che l'impatto in seguito al quale si sarebbe formata la Luna avrebbe contribuito ad accrescere la massa terrestre ben più di quanto in precedenza ipotizzato. Gli indizi che avvalorano questa teoria derivano dalle rocce raccolte durante gli atterraggi delle missioni Apollo, che mostrarono composizioni di isotopi di ossigeno quasi uguali a quelle terrestri. Inoltre la presenza di campioni di rocce di tipo KREEP (ovvero contenenti K = potassio, REE = Terre rare (Rare Earth Elements (EN) ), P = fosforo) indicano che in un periodo anteriore una grande parte della Luna fosse in uno stato fluido e la teoria dell'impatto gigante spiega facilmente l'origine dell'energia richiesta per formare un tale oceano di lava. Esistono diverse prove che la Luna possiede un nucleo ferroso, anche se piccolo. In particolare la densità media, il momento di inerzia e l'induzione magnetica suggeriscono che deve essere circa un quarto del raggio lunare. Per confronto gli altri corpi di tipo terrestre hanno un nucleo pari a metà del raggio. La Luna si sarebbe quindi formata principalmente da materiale proveniente dal mantello terrestre e dall'oggetto che ha impattato mentre il nucleo di quest'ultimo si sarebbe unito alla Terra, spiegando in questo modo il valore del momento angolare. Gli interrogativi ancora aperti che riguardano questa ipotesi sono:
- Alcuni elementi volatili della Luna non si sono esauriti come previsto dalla teoria.
- La percentuale di ossido di ferro (FeO) della Luna implica che il materiale proto-lunare proverrebbe da una piccola frazione del mantello terrestre;
- Se il materiale proto-lunare proviene dal corpo che ha impattato, la Luna dovrebbe essere ricca di elementi siderofili, ma ne sono state rilevate quantità minime.
Uno studio del maggio 2011 condotto dalla NASA porta elementi che tendono a smentire questa ipotesi. Lo studio, eseguito su campioni vulcanici lunari solidificatisi 3,7 miliardi di anni fa e raccolti dalla missione Apollo 17 del 1972, ha permesso di misurare nel magma lunare una concentrazione d'acqua 100 volte superiore a quelle precedentemente stimate. Le rocce vulcaniche tendono a includere all'interno delle loro microstrutture cristalline alcuni elementi volatili, tra cui l'acqua, e con analisi molto sofisticate è possibile ricavare la quantità d'acqua presente nel suolo lunare. Secondo la teoria dell'impatto l'acqua dovrebbe essersi dissolta quasi completamente durante l'impatto, mentre dai dati qui ricavati la quantità d'acqua stimata è simile a quella presente nella crosta terrestre. Studi successivi hanno evidenziato come quest'acqua fosse distribuita e la sua ipotetica origine, portando ad analizzare in modo più dettagliato le rocce lunarie andando ad ipotizzare come la Luna sia composta per un 50% da Theia.
Parametri orbitali, evoluzione e caratteristiche fisiche
Rispetto alle stelle fisse, la Luna completa un'orbita attorno alla Terra in media ogni 27,321661 giorni, pari a 27 giorni, 7 ore, 43 minuti e 12 secondi (mese siderale). Il suo periodo tropicale medio, calcolato da equinozio a equinozio, è invece di 27,321582 giorni, pari a 27 giorni, 7 ore, 43 minuti e 4,7 secondi. Un osservatore sulla Terra conta circa 29,5 giorni tra una nuova luna e la successiva, per via del contemporaneo movimento di rivoluzione del pianeta. Più esattamente il periodo sinodico medio tra due congiunzioni solari è di 29,530589 giorni, cioè 29 giorni, 12 ore, 44 minuti e 2,9 secondi. In un'ora, la Luna percorre sulla sfera celeste circa mezzo grado, distanza all'incirca pari alla sua dimensione apparente[90]. Nel suo moto, rimane sempre confinata in una regione del cielo indicata come lo Zodiaco, che si estende circa 8 gradi sopra e sotto l'eclittica, linea che la Luna attraversa (da Nord a Sud o viceversa) ogni 2 settimane circa. La Terra e la Luna orbitano attorno a un centro di massa comune, che si trova a una distanza di circa 4700 km dal centro della Terra. Poiché questo centro si trova dentro alla massa terrestre il moto della Terra è meglio descritto come un'oscillazione. Viste dal Polo nord della Terra l'orbita della Luna attorno alla Terra e l'orbita di questa attorno al Sole avvengono tutte in senso antiorario. Il sistema Terra-Luna non può essere considerato un pianeta doppio perché il centro di gravità del sistema Terra-Luna non è esterno al pianeta, ma è localizzato 1700 km al di sotto della superficie terrestre, circa un quarto del raggio terrestre. A differenza di quanto accade per gli altri satelliti naturali del sistema solare, la Luna è eccezionalmente grande rispetto al pianeta attorno a cui orbita. Infatti, il suo diametro e la sua massa sono pari rispettivamente a un quarto e a 1/81 di quelli terrestri. Nel sistema solare, solo Caronte nel confronto con Plutone ha dimensioni proporzionalmente maggiori, avendo una massa pari all'11,6% di quella del pianeta nano. Satelliti di dimensioni confrontabili con quelle della Luna orbitano attorno ai giganti gassosi (Giove e Saturno), mentre i pianeti più affini alla Terra o non hanno satelliti (Venere e Mercurio) o ne hanno di minuscoli (Marte). Il piano dell'orbita lunare è inclinato di 5°8' rispetto a quello dell'orbita della Terra intorno al Sole (il piano dell'eclittica). Le perturbazioni gravitazionali del Sole impongono all'orbita lunare un moto di precessione, in senso orario, con periodo di 18,6 anni; questo movimento è correlato alle nutazioni terrestri, che possiedono infatti lo stesso periodo. I punti in cui l'orbita lunare interseca l'eclittica sono chiamati nodi lunari. Le eclissi solari accadono quando un nodo coincide con una luna nuova, le eclissi lunari quando un nodo coincide con una luna piena. Il moto di rotazione della Luna è il movimento che compie intorno all'asse lunare nello stesso senso della rotazione terrestre, da Ovest verso Est, con una velocità angolare di 13° al giorno. La durata è quindi uguale a quella del moto di rivoluzione pari a 27 giorni, 7 ore, 43 minuti e 11,6 secondi. Poiché il periodo di rotazione della Luna è esattamente uguale al suo periodo orbitale, dalla superficie della Terra è visibile sempre la stessa faccia del satellite. Questa sincronia è il risultato dell'attrito mareale causato dalla Terra che ha rallentato la rotazione della Luna nella sua storia iniziale. Dato che il moto di rivoluzione attorno alla Terra non è perfettamente circolare, velocità di rotazione e distanza dalla Terra variano leggermente durante un'orbita e i moti di rotazione e rivoluzione presentano degli sfasamenti tali da creare oscillazioni apparenti di lieve entità nel moto di rotazione lunare dette librazioni; anche la precessione del piano dell'orbita contribuisce, sebbene in misura minore, alle oscillazioni di librazione. Questi sfasamenti consentono ad alcune zone delle superficie lunare di essere visibili per alcuni intervalli di tempo da un osservatore a Terra. Oltre a questo, si aggiunge anche una leggera oscillazione diurna apparente dovuta al moto dell'osservatore sulla superficie terrestre: il medesimo osservatore vedrà la Luna sotto un'angolazione diversa dal momento in cui essa sorge dall'orizzonte al momento in cui tramonta a causa dello spostamento del punto di osservazione dovuto alla rotazione terrestre. Come conseguenza di tutti questi fattori, dalla Terra è osservabile un po' più della metà della superficie lunare (circa il 59%). Il successo dell'esperimento Lunar Laser Ranging, a seguito delle missioni Apollo e Lunochod, ha permesso di rivelare con precisione millimetrica la distanza tra la Terra e la Luna e di misurare l'effettivo allontanamento dei due corpi nel corso degli anni. La Luna si allontana infatti di 3,8 centimetri all'anno. L'allontanamento progressivo della Luna dalla Terra è dovuto alle forze di marea esercitate dal satellite sul pianeta. Le masse d'acqua oceaniche presenti sulla Terra vengono attratte dalla Luna e si protendono nella direzione Terra-Luna, con un leggero disallineamento a causa del periodo di rotazione terrestre inferiore al periodo di rivoluzione lunare. L'attrazione che la Luna esercita su questo lobo di marea ha una componente nella direzione opposta alla rotazione terrestre. Questa azione comporta un rallentamento del momento angolare terrestre, mentre la sua reazione incrementa il momento angolare della Luna con un suo conseguente e progressivo trasferimento su un'orbita a quota più elevata. Da notare che, sebbene la Luna venga accelerata, la velocità del suo moto diminuisce a causa dell'aumento della quota dell'orbita. Subito dopo la formazione, la Luna si trovava a una distanza molto più ravvicinata di adesso. La sua orbita era a circa 25000 km e il periodo di rotazione della Terra era di circa 3 ore[101]. Essendo entrambi i corpi allo stato fuso e molto vicini, le forze mareali avevano un'intensità molto maggiore di quelle attuali ed erano reciproche, in quanto la Luna non era ancora in rotazione sincrona. Col passare del tempo, la Terra attraversò varie ere geologiche con una diversa conformazione del suolo: fuso, solido, con o senza oceani, con solo ghiaccio; ognuna delle conformazioni ha reazioni differenti alle forze di marea della Luna, per questo l'evoluzione nei tempi remoti del periodo di rotazione e della distanza Terra-Luna non può essere determinata con precisione. Nel passare degli anni, il giorno della Terra si è ridotto fino ad arrivare a 24 ore di oggi e la Luna si è allontanata fino a 384000 km e l'attrito mareale ne ha stabilizzato la rotazione fino a renderla sincrona con la rivoluzione. La Luna si allontana di 38 mm all'anno e la Terra rallenta la rotazione di 2,3 millisecondi ogni secolo. Il sistema Terra-Luna è l'unica coppia pianeta-satellite del sistema solare ad avere forze mareali sensibili sul pianeta. Questo è dovuto al rapporto delle masse di ben 1/81, il maggiore del sistema solare. Se oltre ai pianeti si considerano anche i pianeti nani, solo il sistema Plutone-Caronte supera questo valore, con un rapporto di masse di 1/9 che ha portato al raggiungimento dell'equilibrio mareale: il periodo di rotazione di Plutone, quello di Caronte e il periodo di rivoluzione di Caronte sono sincronizzati. Più di 4,5 miliardi di anni fa, la superficie della Luna era un oceano di magma liquido. Gli scienziati pensano che uno dei componenti delle rocce lunari detto KREEP, acronimo dell'espressione inglese K (potassio), Rare Earth Elements (terre rare), e P (fosforo), rappresenti l'ultimo resto del magma originario. Il KREEP è composto da quelli che gli scienziati chiamano "elementi incompatibili": elementi che non possono entrare a far parte delle strutture dei cristalli e che quindi rimangono inutilizzati sulla superficie del magma. Per i ricercatori, il KREEP è un marcatore utile per determinare la storia del vulcanismo lunare e tracciare la cronologia degli impatti da parte di comete e altri oggetti celesti. La crosta lunare è composta da una varietà di elementi primari: uranio, torio, potassio, ossigeno, silicio, magnesio, ferro, titanio, calcio, alluminio e idrogeno. Dai dati forniti dalla missione GRAIL sulle caratteristiche della crosta lunare, i ricercatori hanno ottenuto preziose informazioni anche sulla composizione interna del satellite, scoprendo che racchiude all'incirca la stessa percentuale di alluminio della Terra. Quando viene bombardato dai raggi cosmici, ogni elemento riemette nello spazio una sua propria radiazione particolare, sotto forma di raggi gamma. Alcuni elementi, come l'uranio, il torio e il potassio, sono radioattivi ed emettono spontaneamente raggi gamma. Quale che sia la loro causa, i raggi gamma emessi da ogni elemento sono diversi e uno spettrometro è in grado di distinguerli e appunto in questo modo è stato possibile scoprirne l'esistenza. Una mappa globale della Luna, che riporti l'abbondanza di questi elementi, non è ancora stata realizzata. Le ere geologiche della Luna vengono definite in base alla datazione di alcuni crateri che hanno avuto un effetto significativo sulla sua storia. La Luna è un corpo celeste internamente differenziato: come la Terra ha una crosta geochimicamente distinta, un mantello, la cui astenosfera è parzialmente fusa (di fatto le onde S rilevate dai sismografi non sono in grado di attraversarla), e un nucleo. La parte interna del nucleo, con un raggio di 240 km, è ricca di ferro allo stato solido ed è circondata da un guscio esterno fluido costituito principalmente da ferro liquido, con un raggio di circa 300 km. Attorno al nucleo si trova una fase parzialmente fusa con un raggio di circa 500 km. La sua composizione non è stata ancora pienamente identificata, ma si dovrebbe trattare di ferro metallico in lega con piccole quantità di zolfo e nichel; sono le analisi della variabilità della rotazione lunare a indicare che esso è almeno parzialmente fuso. Si ritiene che questa struttura si sia sviluppata attraverso una cristallizzazione frazionata dell'oceano di magma che ricopriva il satellite 4,5 miliardi di anni fa, al tempo della sua formazione. La cristallizzazione dell'oceano di magma avrebbe creato il mantello femico per precipitazione e separazione dei minerali di olivina e pirosseno; dopo che circa tre quarti del magma si erano cristallizzati, i minerali di plagioclasio, a densità più bassa, poterono galleggiare e formare la crosta superficiale. Gli ultimi liquidi a cristallizzare furono quelli che si trovarono compressi tra la crosta e il mantello, con un'elevata abbondanza di elementi scarsamente compatibili ed esotermici. A conferma di questo, la mappatura geochimica effettuata dalle sonde in orbita, mostra che la crosta è prevalentemente a base di anortosite; anche i campioni di roccia lunare della lava eruttata sulla superficie da fusioni parziali del mantello, confermano la composizione mafica del mantello, più ricco in ferro di quello terrestre. Attraverso i dati inviateci dalla missione GRAIL, le ultime stime effettuate, dimostrano invece che la crosta lunare è più sottile di quanto si pensasse, in media 32-34 km contro i 45 km delle stime precedenti. La Luna è il secondo satellite più denso del sistema solare dopo Io. Tuttavia le dimensioni del nucleo interno lunare sono piuttosto piccole in confronto alla dimensione totale del satellite, solo il 20% rispetto al circa 50% della maggioranza degli altri satelliti di tipo terrestre. La topografia della Luna è stata misurata utilizzando tecniche come l'altimetria laser e l'analisi stereoscopica delle immagini. La caratteristica topografica più rilevante è l'enorme Bacino Polo Sud-Aitken, situato sulla faccia nascosta della Luna e pertanto non direttamente visibile da noi. Si tratta di un vasto cratere da impatto di circa 2 500 km di diametro, il più grande del nostro satellite e uno dei più estesi dell'intero sistema solare. Oltre alle dimensioni, il cratere vanta anche due altri primati: con i suoi 13 km di profondità contiene il punto più basso dell'intera superficie lunare mentre la massima elevazione del satellite si trova sul suo bordo nord-est. Si ritiene che quest'area sia il risultato di un impatto obliquo che ha portato alla formazione del bacino. Anche altri grandi bacini da impatto come Mare Imbrium, Mare Serenitatis, Mare Crisium, Mare Smythii e Mare Orientale posseggono vaste depressioni e bordi molto elevati. L'emisfero nascosto della Luna ha un'elevazione media di 1,9 km più alta rispetto a quella dell'emisfero visibile.
Acqua sulla Luna, magnetismo e superficie
La Luna per gran parte della sua storia antica è stata bombardata da asteroidi e comete, queste ultime ricche d'acqua. L'energia della luce solare divide la maggior parte di quest'acqua nei suoi elementi costituenti, idrogeno e ossigeno, di cui la maggior parte si disperde immediatamente nello spazio. È stato però ipotizzato che quantità significative di acqua possano rimanere sulla Luna, in superficie, in aree perpetuamente all'ombra o inglobate nella crosta. A causa della modesta inclinazione dell'asse di rotazione lunare (solo 1,5°), alcuni dei crateri polari più profondi non ricevono mai luce dal Sole, rimanendo sempre in ombra. In accordo con i dati raccolti durante la missione Clementine, sul fondo di tali crateri potrebbero essere presenti depositi di ghiaccio d'acqua. Le successive missioni lunari hanno tentato di confermare questi risultati, senza tuttavia fornire dati definitivi. Nell'ambito del suo progetto di ritorno sulla Luna, la NASA ha deciso di finanziare il Lunar Crater Observation and Sensing Satellite. La sonda è stata progettata per osservare l'impatto dello stadio superiore del razzo vettore Centaur che l'avrebbe portata in orbita, su una regione permanentemente in ombra situata in vicinanza al Polo Sud lunare. L'impatto del razzo è avvenuto il 9 ottobre 2009, seguito quattro minuti dopo da quello della sonda che in questo modo ha attraversato il pennacchio così sollevatosi e ne ha potuto analizzare la composizione. Il 13 novembre 2009, la NASA ha annunciato che, in seguito a un'analisi preliminare dei dati raccolti durante la missione di LCROSS, è stata confermata la presenza di depositi di ghiaccio d'acqua nei pressi del Polo Sud lunare. Nello specifico sono state rilevate linee di emissione dell'acqua nello spettro, nel visibile e nell'ultravioletto, del pennacchio generato dall'impatto sulla superficie lunare dello stadio superiore del razzo che aveva portato la sonda in orbita. È stata inoltre rilevata la presenza di idrossile, prodotto dalla scissione dell'acqua investita dalla radiazione solare. L'acqua (sotto forma di ghiaccio) potrebbe in futuro essere estratta e quindi divisa in idrogeno e ossigeno da generatori a energia solare. La quantità di acqua presente sulla Luna è un fattore importante nel rendere possibile la sua colonizzazione, perché il trasporto dalla Terra sarebbe estremamente costoso. L'acqua lunare potrebbe essere contenuta al suo interno e derivare dalla sua formazione, come rileva uno studio recente (maggio 2011) condotto dalla NASA. Lo studio evidenzia che la percentuale di acqua presente nella Luna potrebbe essere simile a quella terrestre e quindi i depositi rilevati potrebbero essere stati generati dalle eruzioni magmatiche del passato. Per più di un miliardo di anni dalla sua formazione, la Luna ebbe un campo magnetico paragonabile a quello terrestre. Gran parte del calore indispensabile a mantenere fluido il nucleo esterno e il mantello era dato, in parte dal decadimento degli isotopi radioattivi, ma soprattutto dalle forze mareali esercitate dalla Terra, come accade ancor oggi per la luna gioviana Io. Le forze mareali creavano un notevole attrito - e, quindi, riscaldamento interno - negli strati interni della Luna in quanto, all'inizio della sua storia, il satellite, che continua anche oggi ad allontanarsi progressivamente dalla Terra, orbitava intorno al pianeta a una distanza molto inferiore a quella odierna, cosicché la forza gravitazionale esercitata dalla Terra era in grado anche di fondere e far rimanere allo stato fuso le rocce del mantello lunare e quelle del nucleo esterno (che sono tuttora fuse). A distanza ravvicinata, le interazioni di marea tra la Terra e la Luna avrebbero, oltretutto, fatto sì che il mantello del nostro satellite ruotasse in modo leggermente diverso da quello del suo nucleo, creando celle convettive che si mantennero fino a circa 3 miliardi d'anni or sono. Proprio questo movimento differenziale avrebbe indotto nel nucleo un rimescolamento in grado, almeno stando alle previsioni teoriche, di dar luogo a una dinamo magnetica. Il campo magnetico esterno attuale della Luna è molto debole, compreso tra uno e cento nanotesla, circa un centesimo di quello terrestre. Non si tratta di un campo magnetico dipolare globale, che richiederebbe un nucleo interno liquido, ma solo una magnetizzazione crostale, probabilmente acquisita nelle prime fasi della sua storia quando la geodinamo era ancora operativa. Parte di questo residuo di magnetizzazione potrebbe anche derivare da campi magnetici transitori generatisi durante grandi eventi di impatto attraverso l'espansione della nube plasmatica associata all'impatto in presenza di un preesistente campo magnetico ambientale. Questa ricostruzione è supportata dalla localizzazione delle grandi magnetizzazioni crostali disposte agli antipodi dei grandi bacini da impatto. Le misurazioni del campo magnetico possono dare inoltre informazioni su dimensione e conduttività elettrica del nucleo lunare, fornendo quindi dati per una migliore teoria dell'origine della Luna. Per esempio, se il nucleo contenesse una proporzione maggiore di elementi magnetici (come il ferro) rispetto a quella terrestre, la teoria della nascita per impatto perderebbe credito (anche se potrebbero esistere spiegazioni alternative per questo fatto). Sopra tutta la crosta lunare si stende uno strato esterno di roccia polverosa, chiamata regolite. Sia la crosta sia la regolite sono distribuite in modo irregolare, l'una con uno spessore da 60 a 100 chilometri, l'altra passando da 3-5 metri nei mari fino a 10-20 metri sulle alture. Gli scienziati pensano che queste asimmetrie siano sufficienti per spiegare lo spostamento del centro di massa della Luna. L'asimmetria della crosta potrebbe anche spiegare la differenza nei terreni lunari che sono formati principalmente da mari sulla faccia vicina e rocce sulla parte lontana. La Luna non possiede quella che si può definire un'atmosfera nel senso comune del termine; si può solo parlare di un velo estremamente tenue, tanto che può essere quasi assimilato al vuoto, con una massa totale di meno di 10 tonnellate. La pressione superficiale risultante è attorno a 10−15 atmosfere (0,3 nPa), variabile in funzione del giorno lunare. La sua origine è imputabile al degassamento e allo sputtering, cioè il rilascio di atomi di gas da parte delle rocce che compongono la Luna, in seguito all'impatto degli ioni portati dal vento solare. Tra gli elementi che sono stati identificati ci sono sodio, potassio (presenti anche nelle atmosfere di Mercurio e del satellite Io) generati da sputtering; elio-4, da vento solare; argon-40, radon-222 e polonio-210 da degassamento per effetto del decadimento radioattivo all'interno di crosta e mantello. Non è ben chiara l'assenza di elementi allo stato neutro (atomi o molecole) come ossigeno, azoto, carbonio e magnesio, normalmente presenti nella regolite. La presenza di vapore acqueo è stata rilevata dalla sonda indiana Chandrayaan-1 a varie latitudini, con un massimo a ~60-70 gradi; si ritiene che possa essere generato dalla sublimazione del ghiaccio d'acqua della regolite. Dopo la sublimazione, questo gas può ritornare nella regolite, sotto l'effetto della debole attrazione gravitazionale della Luna, o essere disperso nello spazio a causa sia della radiazione solare sia del campo magnetico generato dal vento solare sulle particelle ionizzate. Le missioni Apollo che hanno portato astronauti sulla Luna hanno sbarcato anche alcuni sismografi. Questi sismografi hanno funzionato per molti anni ottenendo risultati ben diversi da quelli posti sulla superficie terrestre. Pur avendo registrato qualche migliaio di terremoti l'anno, si è visto che in media l'energia liberata da essi è molto bassa e non ha quasi mai superato il secondo grado della scala Richter. L'assenza di moti crostali impedisce lo sviluppo di terremoti di alta intensità. Il suolo lunare è grigiastro e composto da regolite lunare, una roccia polverosa generata principalmente a seguito dell'impatto di meteoroidi con la superficie e dell'azione del vento solare su di essa. Varia da grana molto fine ad argilla. La superficie si presenta cosparsa di crateri, eccezion fatta per i "mari" ossia le vaste zone pianeggianti resti di antiche colate laviche, dove i crateri sono più radi. Sono in tutto 1 571 (crateri denominati) oltre a 7 066 crateri correlati con raggio non inferiore a un metro. I più grandi raggiungono un diametro anche di 240 km. Non agendo sulla Luna forze tettoniche, eruzioni vulcaniche e fenomeni sismici, sono fenomeni rari, a parte casi estremamente rari causati da impatti con meteoriti. All'equatore la temperatura può raggiungere durante il giorno un massimo di 127 °C e un minimo di -247 °C rilevata in un cratere presso il polo Nord lunare. Non essendovi atmosfera, né scorrimento superficiale di acqua, mancano i relativi fenomeni di erosione tipici della Terra. Tuttavia, il continuo bombardamento di micrometeoriti unito all'impatto dei meteoroidi e degli asteroidi costituisce una forza di erosione, che ha levigato e leviga tuttora lentamente la superficie lunare. Manca l'acqua allo stato liquido; allo stato solido è invece probabilmente presente nei crateri circumpolari. La prima sonda ad allunare è stata la sovietica Luna 2, che rimase distrutta nell'impatto. L'uomo è arrivato col programma Apollo fra il 1969 e il 1972. Il primo a mettervi piede, nella missione Apollo 11, è stato l'astronauta statunitense Neil Armstrong. L'ultima visita è del rover cinese Yutu (Coniglio di giada) della missione Chang'e-3 nel dicembre 2013.
I mari lunari
Mare (plurale maria) è un termine latino utilizzato in esogeologia per designare diverse configurazioni morfologiche presenti sulla superficie della Luna e su Titano. Il termine è stato scelto a causa del colore scuro che contraddistingue queste regioni dai territori circostanti; si tratta in verità di pianure basaltiche, originatesi da antiche eruzioni di materiale incandescente seguite all'impatto con asteroidi particolarmente massicci. La maggiore albedo delle montagne lunari (formate da rocce più antiche) è dovuta alla presenza di regolite, che riflette più luce rispetto al basalto, formatasi dall'impatto di innumerevoli micrometeoriti nel corso di centinaia di milioni di anni di storia lunare. Il 16% della superficie lunare è ricoperta da maria, più numerosi nell'emisfero rivolto verso la Terra che non sulla faccia nascosta, dove sono più piccoli e meno evidenti. La nomenclatura lunare proposta dall'Unione Astronomica Internazionale prevede, oltre ai maria, la presenza di oceani (oceanus), simili ai maria ma più grandi, e di laghi (lacus), paludi (palus) e golfi (sinus), morfologicamente analoghi ai maria, ma di dimensioni inferiori. Vi sono inoltre alcune caratteristiche di albedo di Marte il cui nome comprende il termine mare: Mare Acidalium, Mare Australe, Mare Boreum, Mare Chronium, Mare Cimmerium, Mare Erythraeum, Mare Hadriacum, Mare Serpentis, Mare Sirenum, Mare Tyrrhenum.
I crateri
I crateri lunari occupano la maggior parte della superficie della luna e sono di diversi tipi. I crateri più antichi hanno permesso la datazione dell'intenso bombardamento tardivo che ha coinvolto la Terra 4 miliardi di anni fa. Il più visibile di essi è il Cratere Tycho, ben visibile anche a occhio nudo, che prese il nome dall'astronomo Tycho Brahe; pur non essendo molto grande è datato solo 100 milioni di anni e i detriti successivi all'impatto hanno lasciato segni a raggiera con un'albedo molto elevata, che non sono stati erosi da impatti successivi come per i crateri più antichi. Altri crateri degni di nota sono i crateri Peary e Malapert, situati rispettivamente in prossimità del polo nord e sud lunare. La peculiarità di questi crateri è di avere i bordi quasi sempre illuminati dal sole e i centri al buio totale, grazie alla loro posizione esterna e alla scarsa inclinazione dell'asse lunare. Sebbene l'illuminazione media annua raggiunga un massimo di 89% ai bordi, i centri sono al 100% al buio per tutti i giorni dell'anno e non sono soggetti agli effetti del vento solare: potrebbero quindi contenere elementi volatili cristallizzati, come l'acqua, ed essere di interesse per una futura missione spaziale.
Mappa superficiale
La prima mappa della Luna risale al 3000 a.C., un'illustrazione più che una mappa vera e propria, disegnata col carbone su una tomba di Knowth in Irlanda[146]. È dal XVII secolo che gli astronomi iniziarono a mappare la faccia visibile della superficie e assegnare nomi agli elementi principali, con Leonardo, Galileo e Harriot, soprattutto dopo l'invenzione del telescopio. Molti dei mari e dei crateri hanno ricevuto una denominazione. Dal 1919, l'Unione astronomica internazionale si occupa di catalogare gli elementi della superficie lunare e assegnare loro un nome ufficiale. Oltre agli elementi sopra citati, anche altri elementi meno comuni hanno ricevuto una denominazione, come monti, catene, fossi, valli e altro ancora. Dagli anni 1970, anche agli elementi della faccia nascosta, fino ad allora sconosciuti, è stata assegnata una nomenclatura.
Le due lune di Marte
Marte ha due satelliti: Fobos e Deimos.
Fobos
Fobos (Φόβος, in lingua greca, indicato anche come Marte I) è il maggiore e il più interno dei due satelliti naturali di Marte (l'altro è Deimos). Scoperto il 18 agosto 1877 dall'astronomo statunitense Asaph Hall, è stato così nominato, su suggerimento di Henry Madan, dal personaggio della mitologia greca Fobos, uno dei figli di Ares e Afrodite. Orbita, a meno di 6000 km dalla superficie di Marte, in 7 ore e 39 minuti. È il satellite naturale noto più vicino al proprio pianeta e completa tre orbite nel tempo che Marte impiega per ruotare su sé stesso; se osservato da Marte, sorge a ovest e tramonta a est. Pur così vicino al pianeta, con un diametro di circa 22 km, appare molto più piccolo della Luna vista dalla Terra. La sua origine e la sua composizione rimangono incerti, potrebbe essere un asteroide catturato oppure essersi formato contemporaneamente a Marte o poco dopo a causa di un impatto. È poco riflettente, ha forma irregolare e assomiglia a un asteroide carbonioso. Il cratere Stickney di 8 km di diametro è la caratteristica più prominente di Fobos, sebbene piuttosto peculiari risultino soprattutto le striature (grooves) che percorrono gran parte della superficie. Dagli anni settanta è stato oggetto di osservazioni ravvicinate da parte di sonde spaziali orbitanti attorno a Marte, che hanno permesso di chiarire alcuni dubbi sul suo aspetto, la sua composizione e la sua struttura interna. L'osservazione di Fobos dalla Terra è ostacolata dalle sue ridotte dimensioni e dalla sua vicinanza al pianeta rosso. È osservabile solo per un limitato periodo di tempo quando Marte è prossimo all'opposizione e appare come un oggetto puntiforme, senza che sia possibile risolverne la forma. In tale circostanza Fobos raggiunge una magnitudine di 11,6.[10] Per confronto Marte può raggiungere una magnitudine massima di −2,8, risultando poco meno di 600.000 volte più luminoso. Inoltre all'opposizione Fobos si discosta in media 24,6 arcosecondi dal pianeta. Di conseguenza è più semplice osservare Deimos, che si discosta da Marte 61,8 arcosecondi, pur raggiungendo una magnitudine di 12,8. Per procedere all'osservazione di entrambi i satelliti, in condizioni particolarmente favorevoli, è necessario disporre di un telescopio di almeno 12 pollici (30,5 cm). Utilizzare un elemento che occulti il bagliore del pianeta e dispositivi per la raccolta di immagini quali lastre fotografiche o CCD, con esposizioni di alcuni secondi, risulta d'aiuto. Fobos appare grande quanto un terzo della Luna vista dalla Terra. Data la sua vicinanza col pianeta, la vista migliore si ottiene dalle latitudini equatoriali della superficie di Marte e appare tanto più piccolo quanto maggiore è la latitudine dell'osservatore; risulta invece completamente invisibile (sempre oltre l'orizzonte) da latitudini maggiori di 69°. Raggiunge una magnitudine apparente massima di −3,9 all'opposizione (corrispondente a una fase di Luna piena) con un diametro angolare di 8'. Poiché Fobos completa un'orbita in meno di un giorno marziano, un osservatore sulla superficie del pianeta lo vedrebbe sorgere a ovest e tramontare a est. Il suo moto sarebbe molto veloce, con un periodo apparente di 11 ore (in 4,5 delle quali attraversa il cielo, sorgendo nuovamente 6,5 ore dopo). Il suo aspetto, inoltre, varierebbe a causa del fenomeno delle fasi, il cui ciclo si completa in una notte. Sempre a causa della sua peculiare vicinanza al pianeta, Fobos viene eclissato da Marte, salvo che per brevi periodi in prossimità degli equinozi, subito dopo esser sorto fino a poco prima di tramontare, rimanendo un'ombra scura vagante per gran parte del suo percorso apparente del cielo marziano. Il diametro angolare del Sole visto da Marte è di circa 21'. Di conseguenza non possono verificarsi eclissi totali sul pianeta, perché le due lune sono entrambe troppo piccole per coprire il disco solare nella sua interezza. D'altra parte dall'equatore è possibile osservare transiti di Fobos quasi ogni giorno; essi sono molto rapidi e si concludono in meno di mezzo minuto circa. Invece Deimos transita sul disco solare una volta al mese circa, ma il fenomeno, che dura circa un minuto e mezzo, rimane poco visibile. Fobos è in rotazione sincrona con Marte, cioè mostra sempre la stessa faccia al pianeta, come la Luna alla Terra. Così da tale faccia Marte sarebbe sempre visibile, raggiungendo una dimensione di 42° (pari a circa 80 volte quella della Luna piena vista dalla Terra). Invece dalla faccia opposta sarebbe possibile osservare periodicamente Deimos. Inoltre, come quello di Fobos visto da Marte, l'aspetto di quest'ultimo visto dal satellite cambia a seconda dell'angolazione d'arrivo dei raggi del Sole. Le due lune di Marte furono "scoperte" prima nel mondo della fantasia che in quello reale. Con un ragionamento tanto logico quanto assurdo, all'inizio del XVII secolo Keplero aveva ipotizzato che Marte potesse avere due satelliti, essendo allora noto che ne avesse uno il pianeta che lo precede, la Terra, e quattro quello subito seguente, Giove. Nel 1726 Jonathan Swift, probabilmente ispirato dall'ipotesi di Keplero, nei suoi Viaggi di Gulliver fece descrivere agli scienziati di Laputa il moto di due satelliti orbitanti attorno a Marte. Voltaire, presumibilmente influenzato da Swift, fornì una descrizione analoga nel suo racconto filosofico Micromega del 1752. Al tempo di entrambi, i telescopi non erano abbastanza potenti da poter individuare satelliti così piccoli come Fobos e Deimos. Si tratta quindi di licenze letterarie, se non di vera e propria satira verso gli scienziati del tempo.[40] Asaph Hall scoprì Deimos il 12 agosto 1877 e Fobos il seguente 18 agosto (le fonti dell'epoca adottano la convenzione astronomica, precedente al 1925, che il giorno inizi a mezzogiorno; conseguentemente le scoperte sono riferite rispettivamente all'11 e al 17 agosto) con il telescopio rifrattore di 26 pollici (66 cm) di diametro dello United States Naval Observatory a Washington, il più potente allora esistente, inaugurato quattro anni prima. Hall in quel periodo stava cercando sistematicamente delle possibili lune di Marte e per riuscire nell'impresa aveva utilizzato il micrometro in dotazione allo strumento per schermare la luce del pianeta. Il 10 agosto aveva già visto una luna del pianeta, ma, a causa del maltempo, non riuscì a identificarla se non nei giorni seguenti. I nomi delle due lune, adottati inizialmente con l'ortografia Phobus e Deimus, furono proposti da Henry Madan (1838 - 1901), "Science Master" a Eton e richiamano quelli dei personaggi di Fobos (paura) e Deimos (terrore) che, secondo la mitologia greca, accompagnavano in battaglia il loro padre Ares, dio della guerra.[13] Ares è l'equivalente greco della divinità romana Marte. «Egli [Ares] parlò, e ordinò al Terrore e alla Paura di preparare i suoi destrieri. E lui stesso indossò l'armatura scintillante.» Le dimensioni e le caratteristiche orbitali dei satelliti di Marte hanno consentito, per lungo tempo, la loro osservazione solo in occasioni favorevoli, con il pianeta all'opposizione e i due satelliti in condizioni di elongazione adeguata, che ricorrono circa ogni due anni, con condizioni particolarmente favorevoli che si verificano circa ogni sedici anni. La prima configurazione favorevole si verificò nel 1879. Numerosi osservatori, in tutto il mondo, parteciparono alle osservazioni con lo scopo di determinare con esattezza le orbite dei due satelliti. Nei quarant'anni seguenti la maggior parte delle osservazioni (più dell'85% del totale di quelle compiute tra il 1888 e il 1924) avvennero presso due osservatori statunitensi, lo United States Naval Observatory e l'Osservatorio Lick, con l'obiettivo, tra gli altri, di determinare la direzione dell'asse di rotazione del pianeta. Tra il 1926 e il 1941 proseguì soltanto il Naval Observatory, con 311 osservazioni visuali. Dal 1941 in poi, le osservazioni avvennero solo con la tecnica fotografica. Nei quindici anni seguenti le ricerche furono poche o nulle e ripresero nel 1956, volte soprattutto a individuare eventuali altri satelliti. Nel 1945 Bevan P. Sharpless aveva rilevato un'accelerazione di Fobos, che era stata predetta teoricamente da Hermann Struve all'inizio del Novecento con studi di meccanica orbitale. Nonostante ciò, alcuni astronomi provarono a spiegarla come effetto delle perturbazioni della tenue atmosfera marziana. L'informazione non ricevette particolare attenzione finché non fu ripresa da Iosif Šklovskij, che nel 1959 avanzò l'ipotesi che Fobos potesse essere un oggetto cavo e - speculò - un satellite artificiale lanciato da una civiltà aliena presente anticamente sul pianeta. Tale ipotesi guadagnò una certa notorietà e fu riproposta nel 1966 da Šklovskij stesso nel libro Intelligent Life in the Universe scritto con Carl Sagan. La controversia che l'accompagnò portò a nuove osservazioni astrometriche, che coinvolsero entrambe le lune, negli anni sessanta e settanta, che confermarono l'accelerazione orbitale, ma riducendola a soli 1,8 cm l'anno anziché i 5 cm l'anno misurati inizialmente da Sharpless, che così ridotta poteva essere spiegata con effetti mareali. Nel 1988, in concomitanza con le missioni sovietiche del Programma Phobos, furono condotte osservazioni da Kudriavcev e colleghi. Nei dieci anni seguenti, invece, le due lune non furono oggetto di alcuna osservazione, fino al 2003, quando osservazioni molto accurate furono condotte dall'Osservatorio Lowell. Osservazioni spettroscopiche di Fobos e Deimos sono state condotte dalla fine degli anni ottanta prima con l'Infrared Telescope Facility, presso l'osservatorio di Mauna Kea, e poi con il telescopio spaziale Hubble, confrontando i dati ottenuti con quelli di asteroidi appartenti alle classi C, P, D e T. Sebbene siano state trovate alcune similitudini, i risultati non sono risultati definitivi e non hanno permesso di identificare la composizione delle due superfici. Osservazioni radar sono state condotte nel 1989 dall'osservatorio Goldstone e nel 2005 dal radiotelescopio di Arecibo. Per lo strato superficiale di regolite che ricopre Fobos è stata stimata una densità di (1,6±0,3)×103 kg/m³. Fobos non è risultato invece un obiettivo accessibile per le ottiche adattive del Very Large Telescope. Difficilmente osservabili dalla Terra, è stato possibile studiare estensivamente Fobos e Deimos solo grazie all'esplorazione spaziale del pianeta rosso. La prima sonda a fotografare Fobos fu il Mariner 7 nel 1969. Le immagini ottenute non consentirono di identificare alcuna caratteristica della superficie; nella migliore di esse, identificata dalla sigla 7F91, Fobos occupava solo quaranta pixel, che permisero tuttavia una stima del suo diametro e della sua albedo. La missione successiva fu quella del Mariner 9, che raggiunse Marte nel 1971 e trovò il pianeta interessato da una tempesta di sabbia globale che impedì l'osservazione diretta della superficie marziana per circa due mesi. Parte di questo periodo fu allora utilizzato per condurre uno studio approfondito dei due satelliti di Marte. La sonda raccolse un centinaio di immagini di Fobos - con una risoluzione massima di 100 metri - che permisero di determinarne le dimensioni, la forma e il periodo di rotazione, di migliorare le conoscenze sul suo moto orbitale e di identificare le principali caratteristiche superficiali. Fu inoltre rilevata la presenza di uno strato di regolite sulla superficie di entrambe le lune. Al massimo del suo avvicinamento a Fobos, il Mariner 9 raggiunse una distanza di 5 710 km. Con le missioni Viking 1 e 2 del 1976 si ebbe un ulteriore incremento nelle conoscenze su entrambi i satelliti, grazie sia ai miglioramenti tecnici introdotti nei sistemi di raccolta di immagini, sia ai passaggi più stretti che i due orbiter eseguirono soprattutto su Fobos. Per la prima volta, inoltre, lo studio dei satelliti naturali di Marte fu posto tra gli obiettivi primari durante l'estensione delle missioni e la mole di dati raccolta non fu superata per i successivi quarant'anni. In particolare, la superficie fu osservata ad alta risoluzione nel visibile, nell'infrarosso e nell'ultravioletto, rilevando variazioni di colore. Di Fobos fu determinata la massa, la densità e stimata l'età e la composizione. Furono identificate le striature (indicate grooves in inglese) tanto caratteristiche della superficie della luna: catene di crateri irregolari di diametro compreso tra 50 e 100 m, molto compatte e orientate preferenzialmente in direzione parallela al piano orbitale di Fobos. I dati raccolti condussero a ipotizzare che Fobos fosse un asteroide di tipo C catturato da Marte. Nel 1988, i sovietici, con una nutrita partecipazione internazionale, lanciarono due sonde complementari, denominate Phobos 1 e 2, per l'esplorazione di Marte e Fobos. Dopo aver eseguito osservazioni del mezzo interstellare nella fase di crociera e del pianeta e delle sue lune da un'orbita areocentrica, le sonde avrebbero dovuto eseguire un sorvolo ravvicinato particolarmente stretto su Fobos, transitando a soli 50 m dalla superficie della luna. Contestualmente avrebbero rilasciato ciascuna due lander, dei quali uno avrebbe avuto la possibilità di spostarsi "a saltelli", mentre l'altro sarebbe stato una piattaforma fissa. Phobos 1 fu perduta durante la fase di crociera, Phobos 2 raggiunse Marte, ma andò perduta per un malfunzionamento del computer quando si trovava a meno di 100 km dalla luna, nel sorvolo programmato per il rilascio dei lander. La missione produsse risultati scientifici di rilievo, tra i quali nuovi valori della massa di Fobos e della sua densità, immagini ad alta risoluzione della superficie, indizi della presenza di un debole campo magnetico interno e una prova indiretta (e non definitiva) dell'esistenza di un toro di gas e polveri, probabilmente rilasciati dalla superficie di Fobos, in corrispondenza dell'orbita della luna. Sebbene le ragioni che condussero alla perdita della missione siano state identificate, l'episodio è stato attribuito da alcuni ufologi all'azione di un veicolo alieno, di cui la sonda avrebbe ripreso l'ombra proiettata sulla superficie del pianeta nelle sue ultime fotografie. In realtà, l'ombra osservata sulla superficie di Marte apparteneva a Fobos, deformata dalla particolare prospettiva determinata dal sorvolo ravvicinato e dai tempi di esposizione degli apparecchi fotografici. Nel 1997 Fobos fu oggetto di osservazioni da due sonde statunitensi, Mars Pathfinder, dalla superficie del pianeta, e Mars Global Surveyor, dall'orbita. Per entrambe le sonde, lanciate nel 1996, Fobos costituì un obiettivo secondario, di opportunità. In particolare, nel caso del Mars Global Surveyor l'orbita operativa fu raggiunta attraverso una fase di aerofrenaggio durata quattro mesi, durante i quali la sonda eseguì alcuni passaggi a qualche migliaio di chilometri di distanza da Fobos, acquisendo immagini ad alta risoluzione della superficie e provando a determinarne spettroscopicamente la composizione. Anche Mars Pathfinder eseguì osservazioni spettroscopiche delle due lune, ottenendo dati che misero in discussione alcune conclusioni tratte durante gli anni settanta e correlando Fobos e Deimos agli asteroidi di tipo D.[76] Nei dieci anni in cui il Mars Global Surveyor è stato attivo, non ha più potuto osservare direttamente Fobos, ma ha più volte registrato la posizione della sua ombra sulla superficie di Marte, acquisendo informazioni utili a migliorare la conoscenza dell'orbita della luna. Nel 2001 la NASA lanciò un secondo orbiter marziano, il Mars Odyssey, per il quale non previde alcuna osservazione di Fobos o Deimos. Solo un aggiornamento del software avvenuto nel 2017 ha dato alla sonda la possibilità di riorientarsi verso la piccola luna e rilevare la temperatura in vari punti della superficie. Un netto miglioramento nella comprensione di Fobos è stato dovuto alla sonda Mars Express (MEX), l'esordio europeo nell'esplorazione di Marte. A differenza degli orbiter statunitensi, che erano stati collocati su orbite di lavoro basse, MEX (lanciata nel 2003) fu posta su un'orbita ellittica con apoastro oltre l'orbita di Fobos. In particolare, ogni cinque mesi e mezzo la sonda avrebbe eseguito una serie di passaggi ravvicinati alla luna, addirittura con un rischio non nullo di collidere con essa. Fobos fu quindi incluso tra gli obiettivi secondari della missione. Nella primavera del 2010 ci fu una delle migliori serie di incontri, con dieci sorvoli a una distanza inferiore ai 1 000 km; nel corso del più stretto la sonda transitò a 77 km dal centro della luna, battendo in tal modo il record di 80 km detenuto fino ad allora dal Viking Orbiter 1. MEX ha eseguito un sorvolo ancora più stretto il 29 dicembre 2013, transitando a soli 45 km dal centro della luna. Mars Express ha permesso di ottenere nuove stime della massa di Fobos, delle sue dimensioni e, quindi, della sua densità. È stato inoltre stimato che il materiale che costituisce la luna possegga una porosità del 30% ± 5%. Il 75% della superficie di Fobos è stata mappata con una risoluzione di 50 m/pixel. Ciò ha permesso di tracciare una mappa completa delle striature e di stimare l'età di Fobos utilizzando il metodo del conteggio dei crateri. Mars Express non ha fornito dati conclusivi riguardo all'origine della luna, ma ha rilevato la presenza di minerali ricchi di ferro e magnesio e, in prossimità del cratere Stickney, di argilla. Queste osservazioni supportano l'ipotesi che Fobos si componga dello stesso materiale che costituisce il pianeta e avvalorano l'ipotesi dell'impatto gigante. Infine, l'orbita di Fobos è stata determinata con un errore di 30 m sulla sua posizione. Quando Mars Express non sarà più operativa e non potrà più essere manovrata, alla lunga precipiterà su Fobos. L'impatto, la cui probabilità diventa certa in un periodo di tempo compreso tra 5 secoli e un millennio, originerà una nuvola di detriti di cui sarà necessario tener conto nell'esplorazione della luna.[86] Dal 2005 orbita attorno a Marte il Mars Reconnaissance Orbiter, che ha sperimentato un sistema di navigazione alternativo basato sul puntamento ottico di Fobos e Deimos. Durante la sua missione, ancora operativa al 2019, ha catturato delle immagini ad alta definizione della superficie di Fobos usando lo strumento HiRISE, un telescopio riflettore di mezzo metro. Nel 2011 la Russia ha lanciato la sonda Fobos-Grunt che, dopo essere entrata in orbita su Marte e aver effettuato una serie di sorvoli ravvicinati di Fobos, sarebbe dovuta atterrare sulla sua superficie nel 2013 e recuperare dei campioni di suolo che avrebbe riportato sulla Terra nel 2014. Sfortunatamente, la sonda non lasciò nemmeno l'orbita terrestre per un problema elettrico e dopo un anno precipitò nell'oceano Pacifico. Fobos è stato oggetto di osservazioni nell'ultravioletto da una distanza di 300 km attraverso la sonda statunitense MAVEN, lanciata nel 2013, che percorre un'orbita ellittica con periastro a soli 145 km dalla superficie di Marte e apoastro poco oltre l'orbita di Fobos. L'orbita percorsa da MAVEN, così come quella di Mars Express, espone la sonda al rischio di collidere con Fobos; opportune manovre correttive sono periodicamente condotte per evitare che ciò accada. Anche la Mars Orbiter Mission, lanciata dall'ISRO nel 2013, ha l'opportunità di osservare Fobos, anche se il contributo più significativo l'ha offerto nell'osservazione della "faccia nascosta" di Deimos. I rover utilizzati dalla NASA per esplorare la superficie di Marte hanno rivolto diverse volte le fotocamere al cielo sia durante la notte, per osservare il moto di Fobos, sia di giorno, per fotografare dei transiti di Fobos sul disco solare. Queste osservazioni permettono di migliorare la conoscenza dell'orbita della luna. Fobos è stato più volte indicato come possibile obiettivo di una missione per la raccolta di campioni da riportare sulla Terra. La JAXA (l'Agenzia spaziale giapponese) sta pianificando di lanciare nel 2024 il Martian Moons eXploration (MMX) per raggiungere le due lune di Marte, recuperare dei campioni dalla superficie di Fobos e portarli sulla Terra nel 2029. Un esame dettagliato dei campioni potrebbe risolvere una volta per tutte l'arcano della formazione dei satelliti marziani. Fobos è stato anche indicato come possibile obiettivo di una missione umana, quale passo preliminare di una missione sulla superficie di Marte, della quale potrebbe permettere di stabilire con più precisione costi, rischi e fattibilità. La missione su Fobos risulterebbe di gran lunga più economica, e quindi realizzabile anni prima di una missione su Marte, considerando i limiti di budget a cui le agenzie spaziali nazionali sono sottoposte. Il moto orbitale di Fobos è uno dei più studiati tra quelli dei satelliti naturali del sistema solare. Fobos percorre un'orbita prograda quasi circolare, inclinata di 1,082° rispetto al piano equatoriale di Marte. Con una distanza media dal pianeta di circa 9 380 km (pari a circa 1,75 volte il raggio di Marte), l'orbita di Fobos è più bassa di un'orbita areosincrona (l'equivalente per Marte di un'orbita geostazionaria attorno alla Terra). Fobos cioè orbita più vicino al pianeta rosso di quanto non faccia un satellite geostazionario attorno alla Terra, sia in termini assoluti, sia in proporzione, cioè rapportando le distanze in termini dei raggi dei due pianeti. Conseguentemente, Fobos completa un'orbita in 7 ore e 39 minuti, più rapidamente di quanto Marte ruoti su sé stesso - in 24,6 ore. Prima della sua scoperta, non era noto alcun satellite con tale caratteristica e Fobos ha continuato a rappresentare un'eccezione fino a quando le sonde Voyager non hanno individuato altri casi analoghi nel sistema solare esterno, quali ad esempio Metis. Fobos mantiene il primato di satellite naturale più vicino alla superficie del pianeta madre. Come anche Deimos, è in rotazione sincrona con il pianeta e in virtù di ciò rivolge sempre la stessa faccia verso la superficie marziana. L'asse di rotazione è perpendicolare al piano orbitale. L'asimmetricità del campo gravitazionale marziano impartisce all'orbita di Fobos un moto di precessione degli apsidi e una retrogradazione dei nodi che si completano in circa 2,25 anni. Tuttavia, poiché l'orbita è quasi equatoriale, il suo aspetto complessivamente risulta poco variato. Fobos subisce, inoltre, un'accelerazione stimata in 1,270 ± 0,003 × 10−3 °/anno2, che determina una costante riduzione della sua orbita. Il decadimento dell'orbita di Fobos è di circa 1,8 centimetri all'anno, ovvero di 1,8 metri ogni secolo. Il fenomeno potrebbe portare la luna a precipitare sul pianeta in un tempo compreso tra trenta e cinquanta milioni di anni. È tuttavia probabile che gli effetti mareali che lo determinano condurranno alla disgregazione della luna, portando alla formazione di un anello di detriti attorno a Marte ben prima di allora, quando, avvicinatasi maggiormente alla superficie, supererà il limite di Roche. L'origine dei satelliti naturali di Marte è una questione ancora aperta, che ha visto contrapporsi prevalentemente tre teorie. I due satelliti potrebbero essersi formati per accrescimento nel processo che ha condotto anche alla formazione del pianeta Marte, potrebbero essere degli asteroidi catturati oppure potrebbero essersi formati dopo l'impatto di un corpo vagante col pianeta. La questione si potrebbe risolvere con una missione in loco o con una che preveda il campionamento del suolo con trasferimento dei campioni sulla Terra per un'analisi dettagliata delle loro caratteristiche mineralogiche. Per aspetto, dimensioni e classificazione spettrale, Fobos e Deimos sono stati spesso associati agli asteroidi carboniosi (di tipo C o D) della fascia principale; tuttavia asteroidi catturati dal pianeta difficilmente sarebbero venuti a trovarsi - pur nei tempi in cui è avvenuta la formazione del sistema solare - sulle attuali orbite percorse dai due oggetti, con eccentricità e inclinazioni quasi nulle. Avrebbero anzi potuto mostrare caratteristiche orbitali simili a quelle dei satelliti irregolari dei giganti gassosi. Anche i dati sulla composizione e sulla porosità di Fobos ottenuti grazie alla sonda Mars Express sembrano incompatibili con l'ipotesi che Fobos sia un asteroide della fascia principale catturato dal pianeta. In letteratura sono stati proposti vari modelli per descrivere possibili processi che avrebbero condotto alla regolarizzazione delle due orbite, sebbene non abbiano fornito spiegazioni conclusive. Ad esempio, alcuni modelli riuscirebbero a giustificare la variazione della quota di apocentro di Fobos, ma non quella di Deimos - piccolo e relativamente lontano da Marte. Altre difficoltà verrebbero incontrate nel giustificare i valori dell'inclinazione orbitale, a meno di non assumere che i due oggetti non percorressero già delle orbite eliocentriche fortuitamente prossime al piano equatoriale di Marte. I risultati di simulazioni numeriche pubblicati nel 2018 da B. Hansen forniscono una possibile spiegazione: Fobos e Deimos potrebbero non corrispondere agli oggetti direttamente catturati da Marte, ma si sarebbero aggregati a partire da quelli, nelle ultime fasi di formazione planetaria; ciò potrebbe giustificare anche il fatto che Fobos appaia come un agglomerato di massi. Altrimenti, secondo un'ipotesi avanzata da Geoffrey Landis nel 2009, Fobos e Deimos avrebbero potuto essere lune asteroidali di oggetti delle dimensioni di Cerere o componenti di asteroidi binari a contatto, che si sarebbero avvicinati al pianeta con una velocità d'eccesso iperbolico pressoché nulla. La separazione della coppia avrebbe quindi condotto alla cattura di uno dei due componenti. Il modello proposto da Landis è stato però utilizzato, peraltro dando esito favorevole, solo nella descrizione della cattura di Fobos. I dati spettrografici rilevati dalla sonda Mars Express suggeriscono che il materiale di cui si compone la piccola luna risalga ai tempi della formazione planetaria; Fobos quindi avrebbe potuto essersi formato contemporaneamente a Marte. Ciò giustificherebbe con semplicità anche i valori di eccentricità e inclinazione orbitale delle due lune. D'altra parte, il meccanismo previsto per la formazione di satelliti regolari incontra alcune difficoltà, con i due oggetti che sembrerebbero essersi entrambi aggregati in prossimità dell'orbita areosincrona e quindi troppo vicini tra loro rispetto a quanto previsto dal modello. Un possibile alternativa è che le due lune nascano dal materiale di un precedente satellite regolare, che sarebbe andato distrutto a seguito di un impatto. Robert A. Craddock nel 2011 ha proposto che l'impatto di un terzo corpo con il pianeta potrebbe aver lanciato del materiale in orbita che, organizzatosi in un disco, si sarebbe poi riassemblato in una serie di piccoli oggetti, di cui Deimos e Fobos sarebbero gli ultimi superstiti. Il processo di aggregazione da un disco circumplanetario spiegherebbe bene i valori di inclinazione ed eccentricità delle orbite di entrambi mentre le condizioni di bassa gravità ne spiegherebbero le densità. Già nel 1982, Schultz e Lutz-Garihan avevano in effetti ipotizzato, alla luce di alcune regolarità nei crateri di impatto presenti sulla superficie di Marte, che il pianeta fosse stato circondato da una serie di satelliti che, in una fase molto remota della sua storia, progressivamente impattarono sulla superficie. A rafforzare l'ipotesi ha inoltre concorso il fatto che Mars Express abbia rilevato che la regolite in prossimità del cratere Stickney si componga di basalto e fillosilicati, minerali che potrebbero provenire dalla superficie di Marte. La Vastitas Borealis è stata anche indicata da più soggetti come una possibile sede dell'impatto. In tal caso, l'evento sarebbe stato tanto potente da riorientare l'asse di rotazione del pianeta, portando il bassopiano nell'attuale posizione circumpolare. Tra le difficoltà presentate da questo scenario c'è il fatto che le due lune siano molto piccole e poco massicce. Come nel caso della formazione della Luna, l'impatto avrebbe potuto sollevare tanto materiale da condurre alla formazione di un satellite di dimensioni nettamente maggiori. Una possibile spiegazione verrebbe offerta se l'impatto fosse avvenuto abbastanza precocemente durante la formazione di Marte. Il disco che si sarebbe venuto a formare, sarebbe stato parzialmente depauperato della sua massa dagli incontri ravvicinati che il pianeta avrebbe avuto con i planetoidi che costituivano la nebulosa solare. Fobos ha una forma irregolare, ben lontana da uno sferoide in equilibrio idrostatico; le sue dimensioni sono pressappoco di 27 × 22 × 18 chilometri, cui corrisponde un diametro medio di 22,2 km e un volume di 5 729 km³. Secondo analisi del 2014 delle rilevazioni eseguite attraverso la sonda Mars Express, Fobos ha una massa di 1,0658×1016 kg, circa un milionesimo di quella della Luna. Questo dato conduce a stimare per Fobos una densità di 1,872×103 kg/m³, inferiore a quella tipica delle rocce. La porosità del materiale che compone Fobos è compresa tra il 25 e il 35%. Anche così, si deve presumere che la luna contenga anche una certa percentuale di ghiaccio affinché possa essere ottenuto il valore stimato per la sua densità. Fobos infine ha una gravità trascurabile, di soli 0,0057 m/s², quindi un uomo di 80 kg sulla superficie peserebbe solamente 46 grammi. Nei modelli della struttura interna di Fobos, la sua massa è un parametro assai significativo che i ricercatori vorrebbero conoscere con elevata precisione. Purtroppo però si è osservato che i dati raccolti da missioni spaziali differenti, e anche durante fly-by differenti della stessa missione, hanno condotto a risultati piuttosto lontani fra loro. Questo è dovuto sia all'inaccuratezza ancora presente nella conoscenza dell'orbita di Fobos, sia al rumore nella misura. La composizione di Fobos, così come quella di Deimos, non è nota e rimane una delle questioni aperte più dibattute tra gli scienziati che studiano la luna. Le osservazioni spettroscopiche della superficie, infatti, non hanno mostrato caratteristiche spettrali prominenti, ma fornito solo deboli indizi che non sono risultati conclusivi. La composizione di Fobos è fortemente correlata al processo che ha condotto alla sua formazione. Se la luna si fosse aggregata a partire dallo stesso materiale che compone Marte, oggi dovrebbe avere una composizione molto simile a quella del pianeta. D'altra parte, se così fosse, dovrebbe aver subito nel frattempo un qualche processo di erosione spaziale che avrebbe reso ciò irriconoscibile. Se Fobos invece fosse stato catturato, allora potrebbe avere la stessa composizione degli asteroidi di tipo C o di tipo D, cui è stato spettroscopicamente associato. Per quanto il dato della densità escluda che Fobos possa essere metallico o composto da silicati coesi, esso risulterebbe compatibile con varie combinazioni di materiali porosi e sostanze volatili e, di conseguenza, non permette di discriminare tra di esse. La luna, inoltre, è ricoperta da uno spesso strato di regolite, che contribuisce a mascherarne la composizione. La regolite sembra differenziarsi spettroscopicamente in due tipi: quella "rossa", apparentemente identica a quella presente anche su Deimos, e quella "blu", in prossimità del cratere Stickney. La relazione tra i due materiali non è nota: non è chiaro cioè se si tratta di due stadi temporali dello stesso materiale o di due materiali diversi. Determinare la composizione di Fobos e Deimos non è solo una questione accademica, perché se, ad esempio, fosse presente ghiaccio d'acqua e questo fosse relativamente vicino alla superficie, potrebbe essere estratto e utilizzato durante le missioni umane su Marte. Studi teorici suggeriscono infatti che dovrebbe essere possibile trovare del ghiaccio a una profondità compresa tra 270 e 740 m all'equatore e tra 20 e 60 m in prossimità dei poli, la cui sublimazione sarebbe stata impedita dalla regolite. È stato ipotizzato che Fobos, come gli asteroidi che presentano crateri da impatto di notevoli dimensioni (quali Gaspra, Ida e Mathilde), non sia un corpo compatto, ma un agglomerato di rocce (modello descritto con la locuzione inglese rubble pile), con spazi vuoti macroscopici tra i blocchi e ghiaccio d'acqua che avrebbe riempito parte degli interstizi. Il tutto sarebbe ricoperto dallo spesso strato di regolite, la cui profondità potrebbe essere anche di un centinaio di metri. Questa struttura interna potrebbe spiegare sia il valore della densità media,[126] sia la capacità di resistere a impatti potenzialmente catastrofici, come quello che ha generato il cratere Stickney. La struttura ad agglomerato inoltre renderebbe Fobos deformabile sotto l'azione delle forze mareali esercitate dal pianeta; i movimenti interni non sarebbero direttamente visibili in superficie, nascosti dallo strato di regolite che si comporterebbe come una membrana cementizia elastica. A questo modello si affiancano delle possibili alternative, che si differenziano soprattutto per la quantità e la distribuzione di ghiaccio e vuoti nella struttura. Se Fobos fosse costituito da rocce porose come una spugna, sarebbe sopravvissuto all'impatto pur in assenza di grandi quantità di ghiaccio. Viceversa, se trovasse conferma l'ipotesi della cattura, Fobos potrebbe essere composto da un miscuglio di rocce e ghiaccio, con elevate percentuali di quest'ultimo. Fobos è un corpo molto scuro, con albedo geometrica pari solamente a 0,071. La superficie, estesa quanto la metà del Lussemburgo, appare pesantemente craterizzata. La sua caratteristica più prominente è certamente il grande cratere Stickney, di circa 8 km di diametro, battezzato con il cognome da nubile della moglie di Asaph Hall (Angeline Stickney). Ben 70 crateri hanno dimensioni superiore a 1 km e 26 maggiori di 2 km. La maggior parte dei crateri ha la forma di un paraboloide di rivoluzione o di una calotta sferica. Sono state osservate anche alcune raggiere associati a piccoli crateri, che potrebbero indicare la presenza di ghiaccio d'acqua subito sotto la superficie. Analizzando il numero dei crateri, è stata stimata un'età compresa tra 4,3 e 3,5 miliardi di anni per la superficie di Fobos, tuttavia il dato potrebbe essere falsato dal fatto che l'evento che ha creato il cratere Stickney potrebbe aver prodotto una nube di detriti che sarebbe ricaduta successivamente su Fobos, generando ulteriori crateri. La superficie è ricoperta da uno strato di regolite, di cui - come detto - sono distinguibili due tipologie: una, detta "rossa" perché ha un'emissione spettrale più prominente nell'infrarosso, copre quasi interamente la superficie; l'altra, "blu", con un'emissione spettrale più uniforme alle varie lunghezze d'onda, è presente soprattutto in prossimità del cratere Stickney. Sono riconoscibili anche massi di grandi dimensioni, anche di un centinaio di metri di diametro.[139] Tra questi, c'è un piccolo monolito di poco meno di un centinaio di metri, il monolito di Fobos, situato a 15° Nord e 14° Ovest, pochi chilometri a est del cratere Stickney, che presenta un'albedo considerevolmente alta rispetto al resto del satellite e che in una fotografia del Mars Global Surveyor si erge dalla superficie e proietta un'ombra lunga. Tra le caratteristiche più particolari presenti sulla superficie di Fobos ci sono le striature (indicate come grooves in inglese): alcune famiglie di solchi paralleli, ciascuno formato da una serie di crateri allineati. Ciascuna famiglia non si estende per più di un emisfero; è possibile individuare una regione di Fobos (la Laputa Regio[18]) che ne è praticamente sprovvista e, ai suoi antipodi, una nelle quali esse si concentrano e sovrappongono. Le varie famiglie non sono parallele tra loro, ma sono tangenti, salvo errori di qualche grado, al piano orbitale di Fobos. Infine, in ciascuna striatura è possibile riconoscere una porzione centrale, più larga e nella quale i crateri che la compongono sono più fitti, e regioni periferiche, più sottili e nelle quali i crateri sono più radi.[19] Scoperte nel 1976 nelle immagini acquisite con Programma Viking, furono inizialmente credute fratture prodotte dall'impatto che aveva originato il cratere Stickney oppure catenae di crateri prodotte da impatti secondari, sempre legate al cratere Stickney. Le immagini di migliore qualità ottenute nelle missioni successive dimostrarono in modo inequivocabile, tuttavia, l'inconsistenza di entrambe le ipotesi proposte. Non erano osservabili, infatti, né le distribuzioni radiali che avrebbero dovuto mostrare eventuali impatti secondari, né l'aspetto poligonale che si sarebbe manifestato se fosse stato fratturato un oggetto inizialmente monolitico. L'ipotesi ritenuta a oggi più plausibile, che riesce a spiegare quasi nella loro totalità le caratteristiche osservate, è che le striature siano formate da impatti secondari di detriti (ejecta) lanciati nello spazio da impatti primari sulla superficie di Marte. Le caratteristiche di superficie di Fobos hanno ricevuto nomi di astronomi o di personaggi de I viaggi di Gulliver, il romanzo di Jonathan Swift. In tutto sono venti le denominazioni ufficiali, di cui diciassette crateri, una regio (Laputa Regio), un dorsum (Kepler Dorsum), e una planitia (Lagado Planitia). Tra i primi riferimenti letterari a Fobos e Deimos vi sono alcune descrizioni del loro moto notturno osservato dalla superficie di Marte. Tra queste sono degne di nota quella molto accurata presente nel capitolo XXII del libro di fantascienza To Mars via the moon: an astronomical story di Mark Wicks del 1911 e quella inserita da Edgar Rice Burroughs nel romanzo Sotto le lune di Marte del 1912. Nella trasposizione nella fantascienza, Fobos è talvolta rappresentato come sede di insediamenti umani stabiliti nella colonizzazione di Marte o successivi a essa. Nella Trilogia di Marte (1992-1996) di Kim Stanley Robinson, su Fobos è presente una base militare e la stessa luna diventa un'arma quando, ridotta in pezzi, viene scagliata contro la superficie. In Phobos (2004) di Ty Drago una stazione di ricerca su Fobos è oggetto di attacchi da parte di una fiera autoctona, mentre nel racconto The Wheels of Dream (1980), John M. Ford descrive la costruzione di una ferrovia circumlunare. Arthur C. Clarke ambienta su Fobos il racconto K. 15 (Hide and Seek , 1949), nel quale un agente in fuga sfrutta l'agilità acquisita grazie alla bassa gravità della luna per difendersi dagli attacchi di un incrociatore; ne Le sabbie di Marte (The Sands of Mars, 1951), invece, Fobos viene ignito come un secondo Sole per permettere l'agricoltura nel processo di terraformazione di Marte.[148] In un racconto più vicino ai giorni nostri, Daniel Logan immagina una spedizione statunitense su Fobos in The Phobos Expedition (2017), giocando sulle difficoltà incontrate dai russi nel raggiungere la luna.[149] Un'altra trasposizione ricorrente vede Fobos essere un oggetto artificiale di origine aliena, come in Phobos, the Robot Planet (1955) di Paul Capon e L'enigma del pianeta rosso (Secret of the Martian Moons, 1955) di Donald A. Wollheim, Mission to the Heart Stars (1965) di James Blish, in Mezzogiorno. XXII secolo dei fratelli Arkadij e Boris Strugackij[151] e in Olympos (2005) di Dan Simmons. Fobos compare anche come ambientazione in diversi videogiochi di fantascienza. In Zone of the Enders: The 2nd Runner viene usato come piattaforma per un'arma capace di distruggere qualunque oggetto del sistema solare. In Armored Core 2, invece, è ambientata l'ultima missione del gioco, dove si scopre che il satellite non è naturale, ma è stato costruito da una civiltà extraterrestre e possiede un meccanismo di deorbitazione che va disattivato, in quanto potrebbe farlo schiantare sulla superficie e distruggere la colonia marziana. In Unreal Tournament attorno a Fobos orbita una stazione spaziale che è terreno di battaglia per i giocatori. Nel gioco Leather Goddesses of Phobos la piccola luna marziana è l'origine di una spedizione verso la Terra per schiavizzare l'umanità. In RTX Red Rock da una stazione spaziale situata sulla superficie di Fobos iniziano le avventure del protagonista che deve difendere la colonia marziana da un attacco alieno.
Deimos
Deimos (Δεῖμος, in lingua greca, indicato anche come Marte II) è il più piccolo ed esterno dei due satelliti naturali di Marte (l'altro è Fobos). In rotazione sincrona col pianeta, percorre un'orbita quasi circolare, assai prossima al piano equatoriale marziano, in 30,30 ore, periodo di poco superiore a quello di rotazione del pianeta rosso. Di forma irregolare, possiede un diametro medio di 12,4 km ed una massa stimata in 1,4762×1015 kg, con una densità media di 1,471×103 kg/m³. La sua composizione, ritenuta simile a quella degli asteroidi di tipo D e dei nuclei cometari estinti, pone serie difficoltà agli studiosi che cercano di spiegare la sua origine. Non risolvibile dalla Terra, se non come un punto luminoso, è stato oggetto di osservazioni ravvicinate nel corso dell'esplorazione spaziale del pianeta rosso. La sua superficie, fotografata quasi nella sua interezza, è ricoperta da uno spesso strato di regolite dal colore rossastro e presenta delle striature più chiare che si concentrano sui crinali dei piccoli altopiani e dei rilievi. Nonostante sia altamente craterizzata, appare in realtà molto liscia, avendo probabilmente subito un processo di degradazione sismica. Scoperto il 12 agosto 1877 dall'astronomo statunitense Asaph Hall, il satellite è stato così nominato su suggerimento di Henry Madan dal personaggio della mitologia greca Deimos, uno dei figli di Ares ed Afrodite. L'osservazione di Deimos dalla Terra è ostacolata dalle sue ridotte dimensioni e dalla sua vicinanza al pianeta rosso. È osservabile solo per un limitato periodo di tempo, quando Marte è prossimo all'opposizione, ed appare come un oggetto puntiforme senza che sia possibile risolverne la forma. In tale circostanza Deimos raggiunge una magnitudine di 12,8, inferiore di circa una magnitudine rispetto a quella raggiunta da Fobos (11,6). Marte per confronto può raggiungere una magnitudine massima di −2,8 risultando più di un milione di volte più luminoso di Deimos. Inoltre Fobos e Deimos all'opposizione si discostano in media dal pianeta rispettivamente 24,6 e 61,8 arcosecondi. Ciò rende più semplice osservare Deimos che non Fobos. Per procedere alla loro osservazione, in condizioni particolarmente favorevoli, è necessario disporre di un telescopio di almeno 12 pollici (30,5 cm). Utilizzare un elemento che occulti il bagliore del pianeta e dispositivi per la raccolta di immagini quali lastre fotografiche o CCD, con esposizioni di alcuni secondi, risulta d'aiuto. Visto dalle latitudini equatoriali della superficie di Marte Deimos appare come una stella brillante o un pianeta. Un osservatore ne potrebbe rilevare la variabilità, dovuta al fenomeno delle fasi, già nel corso di una notte. Al suo massimo, corrispondente ad una fase di Luna piena o di opposizione, presenta un diametro angolare di circa 2' e raggiunge una magnitudine di −0,1,[8] poco più grande di come appaia Venere visto dalla Terra. Nel cielo notturno di Marte viene abbondantemente surclassato da Fobos che all'opposizione appare grande quanto un terzo della Luna vista dalla Terra e raggiunge una magnitudine massima di −3,9 e, in alcune circostanze, da Giove. Poiché l'orbita di Deimos è relativamente vicina a Marte ed è caratterizzata da una minima inclinazione equatoriale, il satellite non è osservabile da latitudini maggiori di 82°. Poiché si trova appena al di sopra dell'orbita areosincrona (il suo periodo orbitale, pari a circa 30,5 ore, è di poco superiore al giorno solare marziano, corrispondente a 24,5 ore), Deimos attraversa il cielo molto lentamente da est, dove sorge, ad ovest, dove tramonta 2,7 giorni dopo. Il diametro angolare del Sole visto da Marte è di circa 21'. Di conseguenza, non possono verificarsi eclissi totali sul pianeta, perché entrambe le lune sono troppo piccole per coprire il disco solare nella sua interezza. Deimos transita sul disco solare una volta al mese circa, ma il fenomeno che dura circa un minuto e mezzo rimane poco visibile. Deimos mostra sempre la stessa faccia al pianeta, come la Luna alla Terra. Così, da tale faccia, Marte è sempre visibile, raggiungendo una dimensione di 16° (pari a circa 30 volte quella della Luna piena vista dalla Terra). Periodicamente è inoltre possibile osservare Fobos transitare sul disco del pianeta. Le due lune di Marte furono "scoperte" prima nel mondo dell'immaginazione che in quello reale. Con un ragionamento tanto logico quanto assurdo all'inizio del XVII secolo Keplero aveva ipotizzato che Marte potesse avere due satelliti essendo allora noto che ne avesse uno il pianeta che lo precede, la Terra, e quattro quello subito seguente, Giove. Nel 1726 Jonathan Swift, probabilmente ispirato dall'ipotesi di Keplero, nei suoi Viaggi di Gulliver fece descrivere agli scienziati di Laputa il moto di due satelliti orbitanti attorno a Marte. Voltaire, presumibilmente influenzato da Swift, fornì una descrizione analoga nel suo racconto filosofico Micromega del 1752. Al tempo di entrambi, i telescopi non erano abbastanza potenti da poter individuare satelliti così piccoli come Fobos e Deimos. Si tratta quindi solo di licenze letterarie. Asaph Hall scoprì Deimos il 12 agosto 1877 e Fobos il seguente 18 agosto (le fonti dell'epoca adottano la convenzione astronomica, precedente al 1925, che il giorno inizi a mezzogiorno, conseguentemente le scoperte sono riferite rispettivamente all'11 ed al 17 agosto) con il telescopio rifrattore di 26 pollici (66 cm) di diametro dello United States Naval Observatory a Washington, il più potente allora esistente inaugurato quattro anni prima. Hall in quel periodo stava cercando sistematicamente delle possibili lune di Marte. Il 10 agosto aveva già visto una luna del pianeta, ma, a causa del maltempo, non riuscì ad identificarla se non nei giorni seguenti. I nomi delle due lune, adottati inizialmente con l'ortografia Phobus e Deimus, furono proposti da Henry Madan (1838 - 1901), "Science Master" ad Eton, e richiamano quelli dei personaggi di Fobos (paura) e Deimos (terrore), che secondo la mitologia greca accompagnavano in battaglia il loro padre, Ares, dio della guerra.[14] Ares è l'equivalente greco della divinità romana Marte. Le dimensioni e le caratteristiche orbitali dei satelliti di Marte hanno consentito, per lungo tempo, la loro osservazione solo in occasioni favorevoli, con il pianeta all'opposizione e i due satelliti in condizioni di elongazione adeguata che ricorrono circa ogni due anni, con condizioni particolarmente favorevoli che si verificano circa ogni 16 anni. La prima configurazione favorevole si verificò nel 1879. Numerosi osservatori, in tutto il mondo, parteciparono alle osservazioni con lo scopo di determinare con esattezza le orbite dei due satelliti. Nei quarant'anni seguenti la maggior parte delle osservazioni (più dell'85% del totale di quelle compiute tra il 1888 ed il 1924) avvennero presso due osservatori statunitensi, lo United States Naval Observatory e l'Osservatorio Lick, con l'obiettivo, tra gli altri, di determinare la direzione dell'asse di rotazione del pianeta. Tra il 1926 ed il 1941 proseguì soltanto il Naval Observatory, con 311 osservazioni visuali. Dal 1941 in poi, le osservazioni avvennero solo con la tecnica fotografica. Nei quindici anni seguenti le ricerche furono poche o nulle e ripresero nel 1956, volte soprattutto ad individuare eventuali altri satelliti. Aveva generato un rinnovato interesse, inoltre, l'ipotesi, avanzata da Bevan P. Sharpless nel 1945, che il moto di Fobos stesse accelerando, causando altresì una riduzione del semiasse maggiore dell'orbita. La controversia che ne seguì portò a nuove osservazioni astrometriche, volte cioè a determinare la posizione, negli anni sessanta e settanta che coinvolsero entrambe le lune. Nel 1988, in concomitanza con le missioni sovietiche del Programma Phobos, furono condotte osservazioni da Kudryavtsev e colleghi. Nei dieci anni seguenti, invece, le due lune non furono oggetto di alcuna osservazione, fino al 2003, quando osservazioni molto accurate furono condotte dall'Osservatorio Lowell. Nel 2005 sono state condotte osservazioni radar di entrambi i satelliti dal radiotelescopio di Arecibo, che hanno prodotto alcune stime della densità del materiale superficiale. Una svolta nello studio di Deimos è avvenuta grazie all'esplorazione spaziale del pianeta rosso. Le prime (sette) immagini ravvicinate del satellite furono raccolte dal Mariner 9 nel 1971 e permisero di determinarne le dimensioni, la forma ed il periodo di rotazione; furono identificate alcune caratteristiche superficiali e fu rilevata la presenza di uno strato di regolite sulla superficie. L'orbita della sonda, che raggiunse una distanza minima di 5940 km dalla luna, permise tuttavia di fotografare solo la faccia di Deimos rivolta verso Marte. Nell'ottobre del 1977 il Viking 2 Orbiter eseguì alcuni sorvoli ravvicinati di Deimos, raggiungendo, nel suo avvicinamento massimo, una distanza di 20 km dalla superficie della luna. Ciò permise di migliorare la stima della sua massa e della sua densità. La sonda era dotata inoltre di sistemi di raccolta di immagini migliori rispetto a quelli del Mariner 9, con la capacità di eseguire limitate osservazioni anche nell'infrarosso. Le osservazioni permisero di stimare l'età della superficie e fornirono una spiegazione del perché essa apparisse più liscia rispetto a quella di Fobos; l'aspetto dei numerosi crateri presenti era stato infatti mascherato dalla regolite che li aveva riempiti. Deimos era stato indicato come possibile obiettivo della sonda sovietica Fobos 2, se la missione di Fobos 1 verso l'omonima luna fosse riuscita. Fobos 1 tuttavia venne perduta il 2 settembre 1988, così Fobos 2 condusse solo delle osservazioni astrometriche di Deimos, fotografandolo il 27 febbraio 1989 da una distanza di circa 30 000 km, sullo sfondo della costellazione del Toro e di Giove. L'11 agosto 2006, in occasione della ricorrenza della sua scoperta, la NASA ha pubblicato la prima ed unica immagine di Deimos ripresa il 10 luglio dello stesso anno dalla sonda statunitense Mars Global Surveyor, da una distanza di 22985 km. L'orbita seguita dalla sonda ha impedito, infatti, che potessero verificarsi sorvoli ravvicinati. La sonda europea Mars Express ha condotto sia osservazioni astrometriche, sia spettroscopiche. L'unica immagine distribuita al pubblico dall'ESA raffigura entrambe le lune di Marte in un unico fotogramma, definito «pionieristico», ripreso il 5 novembre 2009.[54] Infine, nel 2009 immagini a colori e ad alta risoluzione di Deimos sono state raccolte dal Mars Reconnaissance Orbiter. Deimos è stato fotografato anche dalla superficie di Marte. Il lander Mars Pathfinder nel 1997 lo fotografò già la seconda notte su Marte e successivamente condusse alcune osservazioni spettroscopiche. Negli anni duemila, è stato ripreso dai rover Spirit ed Opportunity sia in immagini notturne, sia in immagini diurne in occasione di transiti sul disco solare. Il 1º agosto 2013 il rover Curiosity - diretto in tali operazioni di Mark Lemmon - ha ripreso per la prima volta un transito di Fobos su Deimos. Tra le proposte di missioni aventi specificatamente in Deimos il loro obiettivo c'è uno studio di fattibilità del 2004 dell'Agenzia Spaziale Europea, indicato come Deimos Sample Return TRS, per il recupero di un campione dal peso di 1 kg sulla superficie di Deimos ed il suo trasporto sulla Terra. Nel 2010, inoltre, l'organizzazione amatoriale AMSAT-Deutschland ha proposto all'Agenzia spaziale tedesca (DLR) lo sviluppo di una missione spaziale low-cost verso Deimos, con un'ipotesi di lancio per il 2018. Deimos percorre un'orbita prograda quasi circolare assai prossima al piano equatoriale di Marte. È inclinata infatti di 2,67° rispetto a tale piano, circa un grado e mezzo in più di quella di Fobos. Inoltre, essa è assai prossima all'essere areosincrona, cioè caratterizzata dall'avere un periodo di rivoluzione pari al periodo di rotazione del pianeta; Deimos infatti completa un'orbita in 30,30 ore, Marte una rotazione in 24,6 ore. Come anche Fobos, Deimos è in rotazione sincrona con il pianeta[10] ed in virtù di ciò rivolge sempre la stessa faccia verso la superficie marziana. L'asse di rotazione è perpendicolare al piano orbitale. L'asimmetricità del campo gravitazionale marziano impartisce all'orbita di Deimos un moto di precessione degli apsidi e una retrogradazione dei nodi che si completano in circa 55 anni. Tuttavia, poiché l'orbita è quasi equatoriale, il suo aspetto complessivamente risulta poco variato. Infine, Deimos subisce una lenta decelerazione per effetto delle azioni mareali di Marte che dovrebbe allontanarlo inesorabilmente dal pianeta, ma in tempi talmente lunghi da risultare quasi ininfluente. L'origine dei satelliti naturali di Marte è una questione ancora aperta, che ha visto contrapporsi prevalentemente due teorie. I due satelliti potrebbero essersi formati per accrezione nel processo che ha condotto anche alla formazione del pianeta Marte, oppure potrebbero essere degli asteroidi catturati. Per aspetto e composizione, Fobos e Deimos sono stati spesso associati agli asteroidi della fascia principale, tuttavia asteroidi catturati dal pianeta difficilmente sarebbero venuti a trovarsi - pur nei tempi in cui è avvenuta la formazione del sistema solare - sulle attuali orbite percorse dai due oggetti, con eccentricità ed inclinazioni quasi nulle. In particolare, la prevista variazione della quota di apocentro di Deimos, piccolo e relativamente lontano da Marte, sembrerebbe richiedere tempi superiori a quelli in cui avrebbe dovuto aver luogo e pone seri limiti a tale teoria, tanto da condurre K. Lambeck nel 1979 ad ipotizzare che Deimos fosse in origine molto più massiccio, ricoperto da un ipotetico mantello di ghiaccio che sarebbe successivamente evaporato. Geoffrey Landis nel 2009 ha ripreso l'ipotesi della cattura, ipotizzando alla luce di nuove scoperte sugli asteroidi che Fobos e Deimos fossero lune asteroidali di oggetti delle dimensioni di Cerere o componenti di asteroidi binari a contatto, che si sarebbero avvicinati al pianeta con una velocità d'eccesso iperbolico pressoché nulla. La separazione della coppia avrebbe quindi condotto alla cattura di uno dei due componenti. Anche il meccanismo previsto per la formazione di satelliti regolari incontra alcune difficoltà, con i due oggetti che sembrerebbero essersi entrambi aggregati in prossimità dell'orbita areosincrona e quindi troppo vicini tra loro rispetto a quanto previsto dal modello. Robert A. Craddock nel 2011 ha proposto che l'impatto di un terzo corpo con il pianeta potrebbe aver lanciato del materiale in orbita che, organizzatosi in un disco, si sarebbe poi riassemblato in una serie di piccoli oggetti, di cui Deimos e Fobos sarebbero gli ultimi superstiti. Il processo di aggregazione da un disco circum-planetario spiegherebbe bene i valori di inclinazione ed eccentricità delle orbite di entrambi mentre le condizioni di bassa gravità ne spiegherebbero le densità. Deimos, in particolare, sarebbe l'unico oggetto ad essersi formato oltre l'orbita areosincrona. Deimos, come anche Fobos, ha forma irregolare. Dei due, è il secondo per massa e dimensioni. Può essere descritto approssimativamente da un ellissoide di 15 × 12,2 × 10,4 km, cui corrisponde un diametro medio di 12,4 km e un volume di 998 km³. Analizzando le perturbazioni prodotte da Deimos sul moto del Voyager 2 Orbiter ed utilizzando le osservazioni astrometriche al 2006 delle sonde MGS e Mars Odyssey, è stata stimata una massa di 1,4762×1015 kg. Da tali informazioni è possibile desumere un valore per la sua densità media, stimata in 1,471×103 kg/m³. Informazioni sulla composizione di Deimos sono state desunte da rilevazioni spettroscopiche condotte dalla Terra o da sonde in orbita attorno a Marte, perché nessuna missione spaziale ha mai raggiunto la superficie della luna. Nel corso degli anni settanta è maturata l'ipotesi che Deimos e Fobos, caratterizzati da un valore dell'albedo piuttosto basso ed una densità inferiore a 2×103 kg/m³, avessero una composizione analoga agli asteroidi di tipo C (e quindi alle condriti carbonacee) e contenessero, probabilmente, ghiaccio d'acqua al loro interno. Tali dati rafforzavano di conseguenza l'ipotesi che fossero due asteroidi catturati. Osservazioni condotte negli anni novanta hanno individuato invece una maggiore similitudine con gli asteroidi di tipo D, presenti nella porzione più esterna della fascia principale. Alla fine degli anni duemila sono state condotte nuove osservazioni con lo spettrometro Compact Reconnaissance Imaging Spectrometer for Mars a bordo del Mars Reconnaissance Orbiter. Entrambe le lune presentano terreni caratterizzati da una colorazione rossastra che non mostrano la tipica linea di assorbimento dell'acqua in corrispondenza dei 3 μm; sembra inoltre che possa essere esclusa la presenza in superficie di materiali femici; infine, nella porzione del rosso dello spettro, altrimenti piuttosto piatta, si rileva una riga di assorbimento in prossimità degli 0,65 μm che potrebbe essere associata alla presenza di fillosilicati ferrosi. Ciò confermerebbe le similitudini con gli asteroidi di tipo D e con nuclei cometari estinti. Altri studi, tuttavia, propongono una spiegazione alternativa, compatibile con l'ipotesi che i due asteroidi si siano formati per accrezione attorno al pianeta. La colorazione rossastra di Deimos e Fobos sarebbe infatti conseguenza dello space weathering e la loro composizione potrebbe trovare delle analogie con quella delle condriti CM. Ciò, inoltre, sarebbe anche compatibile con l'ipotesi che le due lune si siano formate da materiale espulso nello spazio da impatti giganti verificatisi sul pianeta. La determinazione della composizione di Deimos, così come anche per Fobos, rimane, in buona sostanza, una questione ancora aperta, fortemente correlata a quella dell'origine dei due satelliti. La superficie di Deimos è stata fotografata quasi nella sua interezza. Deimos appare di colore rossastro, con sfumature più chiare che si concentrano sui crinali dei piccoli altopiani e dei rilievi e che sono stati interpretati come dovuti all'affioramento di materiale del substrato meno alterato dallo space weathering (esposto a seguito di fenomeni di scorrimento dello strato superficiale). L'albedo medio nel visibile della superficie è stato stimato in 0,068 ± 0,007, con variazioni locali comprese tra 0,06 e 0,09. È stato riscontrato inoltre che l'emisfero "anteriore", che guarda verso la direzione di avanzamento della luna sulla sua orbita, è più chiaro rispetto a quello posteriore di un 10%. Peculiarmente, la superficie appare molto liscia, sebbene la densità dei crateri sia analoga a quella della superficie di Fobos e degli altipiani lunari. Ciò è dovuto alla presenza di uno spesso strato di regolite che riempie quasi completamente alcuni crateri. Si ritiene inoltre che la formazione di una concavità di circa 10 km di diametro, presente nell'emisfero meridionale, sarebbe responsabile della degradazione della superficie. L'energia sismica prodotta dall'impatto, infatti, propagatasi attraverso tutto l'oggetto sotto forma di onde, avrebbe determinato il crollo delle strutture più piccole. È stato ipotizzato che un meccanismo analogo abbia agito anche su 243 Ida e 433 Eros. Per il materiale superficiale è stata misurata, attraverso osservazioni radar condotte nel 2005, una densità di (1,1±0,3)×103 kg/m³, dato che conferma che tale strato si componga di una regolite altamente porosa. Dei crateri di Deimos solo due hanno un nome, Swift e Voltaire; il primo ha un diametro di 1 km, il secondo di circa 2 km. Tra i primi riferimenti letterari a Deimos e Fobos, oltre alle già citate anticipazioni di Swift e Voltaire, vi sono alcune descrizioni del loro moto notturno osservato dalla superficie di Marte. Tra queste sono degne di nota quella molto accurata presente nel capitolo XXII del libro di fantascienza To Mars via the moon: an astronomical story di Mark Wicks del 1911 e quella inserita da Edgar Rice Burroughs nel romanzo Sotto le lune di Marte del 1912. Deimos è una tappa intermedia di spedizioni umane verso Marte in vari romanzi, tra cui Edison's Conquest of Mars (1897) di Garrett P. Serviss, e Il verde di Marte (Green Mars, 1993) di Kim Stanley Robinson, nel racconto Great Wall of Mars pubblicato nella raccolta Galactic North (2006) di Alastair Reynolds e nel quinto episodio Destination Deimos della prima stagione della serie a cartoni animati Astro Boy (2003). Inoltre, è talvolta associato ad antiche civiltà extraterrestri come nell'Universo di Noon, ideato dai fratelli Strugackij, e nel romanzo Impatto (2010) di Douglas Preston.
I satelliti medicei di Giove
Giove ha 79 satelliti. I quattro maggiori furono scoperti da Galileo Galilei nel 1610: egli li dedicò alla famiglia dei Medici, che lo ospitava a Firenze: così, oggi, definiamo Io, Europa, Ganimede e Callisto satelliti galileiani o medicei.
Io
Io è un satellite naturale di Giove, il più interno dei quattro satelliti medicei, il quarto satellite del sistema solare per dimensione e quello più denso di tutti. Il suo nome deriva da quello di Io, una delle molte amanti di Zeus secondo la mitologia greca. Con oltre 300 vulcani attivi, Io è l'oggetto geologicamente più attivo del sistema solare. L'estrema attività geologica è il risultato del riscaldamento mareale dovuto all'attrito causato al suo interno da Giove e dagli altri satelliti galileani. Molti vulcani producono pennacchi di zolfo e biossido di zolfo che si elevano fino a 500 km sulla sua superficie. Questa è costellata di oltre 100 montagne che sono state sollevate dalla compressione della crosta di silicati, con alcuni di questi picchi che arrivano ad essere più alti dell'Everest. A differenza di molti satelliti del sistema solare esterno, che sono per lo più composti di ghiaccio d'acqua, Io è composto principalmente da rocce di silicati che circondano un nucleo di ferro o di solfuro di ferro fusi. La maggior parte della superficie di Io è composta da ampie piane ricoperte di zolfo e anidride solforosa congelata. Il vulcanismo su Io è responsabile di molte delle sue caratteristiche. Le colate laviche hanno prodotto grandi cambiamenti superficiali e dipinto la superficie in varie tonalità di colore giallo, rosso, bianco, nero, verde, in gran parte dovuti ai diversi allotropi e composti di zolfo. Numerose colate laviche di oltre 500 km di lunghezza, segnano la superficie di Io, e i materiali prodotti dal vulcanismo hanno costituito una sottile atmosfera a chiazze, ed hanno anche creato un toro di plasma attorno a Giove. Io ha svolto un ruolo significativo nello sviluppo dell'astronomia nel XVII e XVIII secolo: scoperto nel 1610 da Galileo Galilei, assieme agli altri satelliti galileiani, il suo studio favorì l'adozione del modello copernicano del sistema solare, allo sviluppo delle leggi di Keplero sul moto dei pianeti, e servì per una prima stima della velocità della luce. Dalla Terra, Io è rimasto solo un punto di luce fino alla fine del XIX secolo, quando divenne possibile risolvere le sue caratteristiche superficiali di dimensioni maggiori, come ad esempio le regioni polari rosso scure e le brillanti zone equatoriali. Nel 1979, le due sonde Voyager rivelarono l'attività geologica di Io, dotato di numerose formazioni vulcaniche, grandi montagne, e una superficie giovane priva di crateri da impatto. La sonda Galileo effettuò diversi passaggi ravvicinati tra gli anni novanta e l'inizio del XXI secolo, ottenendo dati sulla struttura interna e sulla composizione di Io, rivelando il rapporto tra Io e la magnetosfera di Giove e l'esistenza di una cintura di radiazioni centrata sull'orbita della luna. Io riceve circa 3600 rem (36 Sv) di radiazione al giorno. Ulteriori osservazioni furono eseguite dalla sonda Cassini-Huygens nel 2000 e dalla New Horizons nel 2007, e man mano che la tecnologia per l'osservazione progrediva, da telescopi terrestri e dal telescopio spaziale Hubble. La prima osservazione riportata di Io è stata fatta da Galileo Galilei il 7 gennaio 1610 con un telescopio rifrattore a 20 ingrandimenti presso l'Università di Padova. Tuttavia, in questa osservazione, Galileo potrebbe non essere riuscito a "separare" Io ed Europa a causa della bassa potenza del suo telescopio, così le due lune furono registrate come un singolo punto di luce. Io e Europa furono visti separatamente per la prima volta durante le osservazioni di Galileo del sistema di Giove il giorno seguente, l'8 gennaio 1610 (data di scoperta per Io della IAU). La scoperta di Io e degli altri satelliti di Giove da parte di Galileo furono pubblicati in Sidereus Nuncius, nel marzo 1610[6]. Nel suo Mundus Jovialis, pubblicato nel 1614, Simon Marius affermò di aver scoperto Io e le altre lune gioviane nel 1609, una settimana prima della scoperta di Galileo. Galileo dubitò di questa affermazione e respinse il lavoro di Marius accusandolo di plagio. In ogni caso, la prima osservazione di Marius avvenne il 29 dicembre 1609 del calendario giuliano, che equivale all'8 gennaio 1610 del calendario gregoriano, utilizzato da Galileo, che quindi scoprì certamente le lune gioviane prima di Marius. Il nome Io, assieme a diversi altri, fu suggerito da Simon Marius nel 1614 − qualche anno dopo la scoperta del satellite da parte di Galileo − nel trattato di astronomia "Mundus Iovialis anno MDCIX Detectus Ope Perspicilli Belgici", ma sia questo nome che quelli proposti per gli altri satelliti galileiani caddero ben presto in disuso e non furono più utilizzati fino alla metà del XX secolo. In gran parte della letteratura astronomica del periodo precedente Io era indicato con la designazione numerica (un sistema introdotto dallo stesso Galileo) di Giove I oppure, semplicemente, come «il primo satellite di Giove». Per i successivi due secoli e mezzo, Io rimase un irrisolto punto di luce di 5° grandezza nei telescopi dell'epoca. Nel corso del XVII secolo, Io e gli altri satelliti galileiani servirono per diversi scopi, come quello di determinare la longitudine, per convalidare la terza legge di Keplero sul moto planetario, e per la determinazione del tempo necessario per la luce nel viaggiare tra Giove e la Terra. Sulla base di effemeridi prodotte dall'astronomo Giovanni Cassini ed altri, Pierre-Simon Laplace creò una teoria matematica per spiegare le orbite in risonanza di Io, Europa e Ganimede. Successivamente questa risonanza fu indicata essere causa di effetti profondi sulle geologie delle tre lune. Il miglioramento della capacità risolutiva dei telescopi, tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo permise agli astronomi di risolvere le caratteristiche superficiali di maggiori dimensioni di Io. Nel 1890, Edward E. Barnard fu il primo ad osservare le variazioni di luminosità di Io nelle regioni equatoriali e polari, stabilendo che questo avveniva a causa delle differenze di colore e albedo tra le due regioni, e non a causa della forma di uovo di Io, come proposto a suo tempo dall'astronomo William Pickering, e che non erano due oggetti separati, come inizialmente aveva proposto Barnard. Osservazioni successive confermarono la differenza di colore delle regioni polari (rosso-marrone) rispetto a quelle equatoriali (giallo-bianche). Osservazioni telescopiche della metà del XX secolo, suggerirono la natura insolita di Io. Osservazioni spettroscopiche indicarono che la superficie di Io era priva di ghiaccio d'acqua (sostanza abbondante negli altri satelliti galileiani). Le stesse osservazioni suggerirono una superficie dominata da composti di sodio e zolfo evaporati. Osservazioni radiotelescopiche hanno rivelato l'influenza di Io sulla magnetosfera di Giove, come hanno dimostrato alcune esplosioni legate al periodo orbitale di Io. Le prime sonde a passare vicino a Io furono le gemelle Pioneer 10 e Pioneer 11 rispettivamente il 3 dicembre 1973 ed il 2 dicembre 1974. La tracciatura radio fornì una più accurata stima della massa di Io e delle sue dimensioni, suggerendo che esso abbia la più alta densità tra i quattro satelliti galileiani e che sia composto prevalentemente di rocce silicee e non di ghiaccio d'acqua. Le due sonde Pioneer rivelarono anche la presenza di una sottile atmosfera e di una intensa fascia di radiazioni attorno all'orbita di Io. Le fotocamere a bordo della Pioneer 11 riuscirono anche a scattare una buona immagine della regione del polo nord. La Pioneer 10 doveva scattare immagini ravvicinate durante il suo sorvolo, ma le fotografie andarono perdute a causa dell'intenso campo di radiazioni. Dotate di tecnologia più avanzata, le sonde Voyager 1 e Voyager 2 nel 1979 catturarono immagini più dettagliate delle Pioneer: la Voyager 1 rivelò pennacchi che salivano da una superficie relativamente giovane e caratterizzata da piane di colate laviche e montagne più alte dell'Everest, dimostrando che Io era geologicamente attivo. La Voyager 2, che passò 4 mesi dopo, confermò che tutti i vulcani osservati dalla Voyager 1 erano ancora attivi, tranne Pele e che durante l'intervallo di tempo tra il passaggio delle due sonde erano avvenuti diversi cambiamenti sulla superficie. La sonda Galileo, destinata allo studio del sistema gioviano, nonostante alcuni malfunzionamenti causati in parte dalle radiazioni provenienti da Giove riportò risultati significativi, scoprendo che Io ha, come i pianeti maggiori, un nucleo ferroso. Osservò nei suoi sorvoli ravvicinati diverse eruzioni vulcaniche e scoprì che il magma era composto di silicati ricchi di magnesio, comuni nella roccia magmatica femica e ultrafemica. La Cassini e la New Horizons hanno monitorato il vulcanismo di Io nei loro viaggi diretti rispettivamente verso Saturno e Plutone, La New Horizons catturò anche immagini nei pressi di Girru Patera nelle prime fasi di un'eruzione, e diverse altre eruzioni avvenute dai tempi della Galileo. Juno, arrivata nel 2016 nel sistema gioviano con l'obiettivo principale di studiare il campo magnetico di Giove, monitorerà anch'essa l'attività vulcanica di Io con lo spettrometro nel vicino infrarosso. Per il futuro l'ESA ha in progetto una missione verso Giove chiamata Jupiter Icy Moons Explorer che arriverebbe nel sistema gioviano nel 2030. Nonostante sia destinata allo studio delle altre 3 lune principali di Giove, potrà comunque monitorare l'attività vulcanica di Io. Un progetto a basso costo con destinazione Io è la proposta della NASA denominata Io Volcano Observer (IVO), una sonda che effettuerebbe diversi sorvoli ravvicinati di Io e che arriverebbe nel sistema gioviano nel 2026. Io è il più interno dei satelliti galileiani, posizionato tra Tebe e Europa ed è il quinto satellite che si incontra a partire dall'interno. Io orbita intorno a Giove ad una distanza di 421800 km dal centro del pianeta e a 350000 km dalla sommità delle sue nubi; impiega 42,456 ore per completare la sua orbita, il che implica che una buona parte del suo movimento può essere rilevata durante una singola notte di osservazioni. È in risonanza orbitale 2:1 con Europa e 4:1 con Ganimede. Questa risonanza contribuisce a stabilizzare l'eccentricità orbitale di 0,0041 che a sua volta costituisce la fonte principale di calore per la sua attività geologica. Senza questa eccentricità, l'orbita di Io sarebbe circolare, riducendo così la sua attività geologica in seguito alla stabilizzazione mareale. Come gli altri satelliti di Giove e la Luna terrestre, la rotazione di Io è in sincronia con il suo periodo orbitale e pertanto il satellite mostra sempre la stessa faccia a Giove. Questa sincronia è utilizzata anche nella definizione del sistema longitudinale del satellite. Il meridiano fondamentale di Io interseca i due poli nord e sud e l'equatore nel punto sub-gioviano; tuttavia non è ancora stata identificata nessuna caratteristica superficiale da assegnare come riferimento univoco per questo meridiano. Il lato rivolto verso il pianeta viene detto emisfero sub-gioviano, mentre il lato opposto viene chiamato emisfero anti-gioviano. Inoltre viene definito come emisfero anteriore il lato rivolto nella direzione del moto e emisfero posteriore quello volto nella direzione opposta. Io gioca un ruolo significativo nel modellare il campo magnetico gioviano, agendo come un generatore elettrico che può sviluppare una corrente elettrica di 3 milioni di ampere, rilasciando ioni che rendono il campo magnetico di Giove due volte più grande di quello che sarebbe senza la presenza di Io. La magnetosfera di Giove investe i gas e le polveri della sottile atmosfera di Io ad una velocità di 1 tonnellata al secondo. Questo materiale, proveniente dall'attività vulcanica di Io, è in gran parte composto da zolfo ionizzato e atomico, ossigeno e cloro. La materia, a seconda della sua composizione e ionizzazione, confluisce in diverse nubi neutre (non ionizzate) e in fasce di radiazione della magnetosfera di Giove e, in alcuni casi, vengono espulse dal sistema gioviano. Durante un incontro con Giove avvenuto nel 1992, la sonda Ulysses rivelò che un flusso di particelle delle dimensioni di 10 μm era stato espulso dal sistema gioviano, e che le particelle di polvere, che viaggiavano alla velocità di diversi chilometri al secondo, erano principalmente composte da cloruro di sodio. La sonda Galileo dimostrò che questi flussi di polvere provengono da Io, anche se non è chiaro come essa si formi. Il materiale che sfugge dall'attrazione gravitazionale di Io va a formare un toro di plasma che si divide sostanzialmente in tre parti: la parte esterna, più calda, si trova appena fuori dell'orbita di Io; più internamente si trova una estesa composta da materiali neutri e da plasma in raffreddamento, situata a circa la stessa distanza di Io da Giove, mentre la parte interna del toro è quella più "fredda", composta da particelle che stanno lentamente spiraleggiando verso Giove. L'interazione tra l'atmosfera di Io, il campo magnetico di Giove e le nubi delle regioni polari del gigante gassoso producono una corrente elettrica conosciuta come tubo di flusso di Io, che genera aurore sia nelle regioni polari di Giove che nell'atmosfera di Io. L'influenza di Io ha una forte ripercussione anche sulle emissioni radio provenienti da Giove e dirette verso la Terra: quando infatti Io è visibile dal nostro pianeta, i segnali radio aumentano considerevolmente. A differenza della maggior parte dei satelliti del sistema solare esterno, composti prevalentemente da un mix di ghiaccio d'acqua e silicati, Io sembra presentare una composizione analoga a quella dei pianeti terrestri, composti in prevalenza di rocce silicee fuse. Io ha una densità di 3,5275 g/cm³, più alta di qualsiasi luna del sistema solare e significativamente più elevata rispetto a quella degli altri satelliti galileiani e superiore alla densità della Luna. I modelli di Io basati sulle misurazioni delle Voyager e della Galileo suggeriscono che il suo interno è differenziato tra una crosta e un mantello ricchi di silicati un nucleo di ferro o di ferro e zolfo fusi. Il nucleo di Io costituisce circa il 20% della sua massa totale[38] e, a seconda della quantità di zolfo presente, il nucleo ha un raggio compreso tra 350 e 650 km se fosse composto quasi interamente da ferro, o tra 550 e 900 km per un nucleo costituito da una miscela di ferro e zolfo. Il magnetometro della Galileo non è riuscito a rilevare un campo magnetico interno, intrinseco ad Io, suggerendo che il nucleo non è convettivo. I modelli dell'interno di Io suggeriscono che il mantello è composto da almeno il 75% da forsterite, minerale ricco di magnesio, e abbia una composizione simile a quella delle meteoriti, in particolare a quelle delle condriti L e LL, con un contenuto di ferro più alto (rispetto al silicio) della Terra e della Luna, anche se inferiore a quello di Marte. Su Io è stato osservato un flusso di calore che suggerisce che il 10-20% del mantello potrebbe essere allo stato fuso. Una rianalisi dei dati del magnetometro della Galileo del 2009 rivelarono finalmente la presenza di un campo magnetico indotto di Io, che si spiegherebbe con la presenza di un oceano di magma dello spessore di 50 km sotto la superficie, che equivale a circa il 10% del mantello di Io, e la cui temperatura si aggira sui 1200 °C. Ulteriori analisi pubblicate nel 2011 confermarono la presenza di questo oceano di magma. La litosfera di Io, composta da basalto e zolfo depositati dall'esteso vulcanismo presente in superficie, è di almeno 12 km di spessore, e probabilmente non più di 40 km. A differenza di quanto avviene per la Terra e la Luna, la principale fonte di calore interno di Io non è causata dal decadimento degli isotopi ma dalle forze mareali di Giove e dalla risonanza orbitale con Europa e Ganimede. Tale riscaldamento dipende dalla distanza di Io da Giove, dalla sua eccentricità orbitale, dalla composizione del nucleo e dal suo stato fisico. La sua risonanza con Europa e Ganimede mantiene invariata nel tempo l'eccentricità di Io ed impedisce che la dissipazione mareale al suo interno circolarizzi l'orbita. La risonanza orbitale aiuta anche a mantenere immutata la distanza di Io da Giove; se essa non fosse presente Io inizierebbe lentamente a spiraleggiare verso l'esterno del pianeta madre. La quantità di energia prodotta dall'attrito mareale all'interno di Io è fino a 200 volte superiore a quella ottenuta unicamente dal decadimento radioattivo e scioglie una quantità significativa del mantello e del nucleo di Io.[1] Questo calore viene rilasciato sotto forma di attività vulcanica, generando l'alto flusso di calore osservato (da 0,6 a 1,6×1014 W su Io. Tutti i modelli relativi alla sua orbita suggeriscono che la quantità di riscaldamento mareale all'interno di Io cambia con il tempo, tuttavia, la quantità attuale di dissipazione mareale è in linea con il flusso di calore effettivamente osservato, inoltre tutti i modelli di riscaldamento mareale e di convezione non prevedono profili coerenti che comprendano simultaneamente la dissipazione mareale e la convezione del mantello per trasportare il calore in superficie. Sulla base dell'esperienza avuta dall'esplorazione delle antiche superfici della Luna, di Marte e di Mercurio, gli scienziati si aspettavano di trovare numerosi crateri da impatto sulla superficie di Io nelle prime immagini della Voyager 1. La densità dei crateri da impatto sulla superficie di Io avrebbe dato indizi sulla sua età. Tuttavia, gli astronomi furono sorpresi nel scoprire che la superficie era quasi del tutto priva di crateri da impatto, ma era invece costellata di pianure lisce e alte montagne, con caldere di varie forme e dimensioni, e colate laviche.[49] A differenza della maggior parte dei mondi osservati fino a quel momento, la superficie di Io era ricoperta di una grande varietà di materiali colorati (in particolare di varie tonalità dell'arancione) da vari composti solforosi. La mancanza di crateri da impatto ha indicato che la superficie di Io è geologicamente giovane, come la superficie terrestre; i materiali vulcanici coprono continuamente i crateri quando questi si producono. La conferma si ebbe con la scoperta di almeno nove vulcani attivi da parte della Voyager 1. La caratteristica più evidente ed importante della superficie di Io è la presenza di numerosissimi vulcani attivi: ne sono stati identificati dalle varie sonde oltre 150 e, sulla base di queste osservazioni, si può stimare che siano presenti fino a 400 vulcani. Il riscaldamento mareale prodotto dalla forzata eccentricità orbitale di Io lo ha portato a diventare uno dei mondi più vulcanicamente attivi nel sistema solare, con centinaia di bocche vulcaniche e vaste colate di lava. Nel corso di una grande eruzione, possono essere prodotte colate di lava di decine o addirittura centinaia di chilometri, costituite per lo più da lave basaltiche di tipo femico o ultrafemico ricche di magnesio. Sottoprodotti di questa attività sono zolfo, anidride solforosa e silicati piroclastici (come la cenere), che vengono soffiati fino a 200 km di altezza, producendo grandi pennacchi a forma di ombrello e colorando il terreno circostante di rosso, nero e bianco, creando l'atmosfera chiazzata di Io. Alcuni dei pennacchi vulcanici di Io sono stati visti estendersi per oltre 500 km al di sopra della superficie prima di ricadere, con il materiale espulso che può raggiungere la velocità di circa 1 km/s, creando anelli rossi di oltre 1000 km di diametro. La superficie di Io è costellata di depressioni di origine vulcanica note come paterae., che sono generalmente piane e delimitate da pareti scoscese. Queste caratteristiche le fanno assomigliare alle caldere terrestri, ma non è noto se si formino allo stesso modo, cioè per il crollo della camera di lava vuota. A differenza di caratteristiche simili sulla Terra e Marte, queste depressioni generalmente non si trovano nei picchi dei vulcani a scudo e sono normalmente più grandi, con un diametro medio di 41 km, con la più grande, Loki Patera, che ha un diametro di 202 km. Qualunque sia il meccanismo di formazione, la morfologia e la distribuzione di molti paterae suggeriscono che queste formazioni siano strutturalmente controllate, per lo più delimitate da faglie o montagne. Le paterae sono spesso sede di eruzioni vulcaniche, che si manifestano sia come colate laviche, che si diffondono nelle piane delle paterae, come nel caso di un'eruzione a Gish Bar Patera nel 2001, sia come laghi di lava. I laghi lava possono avere una crosta lavica in continuo rovesciamento, come nel caso di Pele, oppure esserlo solo episodicamente, come nel caso di Loki. L'analisi delle immagini della Voyager portò gli scienziati a credere che le colate laviche fossero composte principalmente di vari composti dello zolfo fuso. Tuttavia, studi successivi agli infrarossi e le misure della sonda Galileo indicano che queste erano composte da lava basaltica. Questa ipotesi si basa sulle misure della temperatura dei "punti caldi" di Io, che suggeriscono temperature di almeno 1300 K con punti fino a 1600 K. Le stime iniziali suggerirono temperature vicine ai 2000 K, ma erano sovrastimate perché erano errati i modelli termici usati. Oltre agli edifici vulcanici la superficie di Io ospita alte montagne la cui genesi non è ancora ben compresa, numerosi laghi di zolfo fuso, caldere vulcaniche profonde anche chilometri ed estese colate, lunghe anche centinaia di chilometri, di fluidi a bassa viscosità (forse qualche forma di zolfo o silicati fusi). Lo zolfo ed i suoi composti presentano una grande varietà di colori e sono responsabili della colorazione inusuale di Io. Alcune ipotesi sostengono che le montagne potrebbero essere degli enormi plutoni affiorati in superficie in seguito alle continue spinte tettoniche derivanti dalla fuoriuscita di lava dai principali centri vulcanici. La superficie di Io è costellata da oltre un centinaio di montagne che si sono sollevate a causa delle enormi compressioni che si verificano alla base della sua crosta di silicati. Alcuni di questi picchi sono più alti del Monte Everest terrestre. Su Io si contano tra 100 e 150 montagne con un'altezza media di circa 6 km, ma con un massimo di 17,5 km. Le montagne appaiono come grandi e isolate strutture, lunghe in media 157 km. Queste dimensioni richiedono una struttura basata su robuste rocce silicee e non a base di zolfo. Nonostante l'intenso vulcanismo che da ad Io il suo caratteristico aspetto le montagne sembrano di origine tettonica, originate dalle forze compressive alla base della sua litosfera che provocano l'innalzamento della sua crosta attraverso un processo di fagliazione inversa. Gli stress compressivi che portano alla formazione dei rilievi sono il risultato della subsidenza del materiale vulcanico che viene continuamente emesso. La distribuzione globale della presenza dei rilievi appare opposta a quella dei vulcani; le montagne dominano nelle aree a scarsa densità vulcanica e viceversa. Questo suggerisce che nella litosfera di Io vi siano grandi regioni dove dominano le forze compressive, che portano alla formazione di rilievi, o quelle estensive, che portano alla formazione di pateræ. Tuttavia in taluni punti i monti e le pateræ arrivano a toccarsi, suggerendo che il magma abbia sfruttato le fratture innescatesi durante la formazione dei rilievi per raggiungere la superficie. Le montagne di Io non hanno le caratteristiche tipiche dei vulcani e, sebbene molti siano ancora i dubbi sulla loro formazione, forniscono interessanti indicazioni sull'entità dello spessore crostale che le contiene. Per essere in grado di contenere le profonde radici di questi rilievi si è stimato uno spessore della crosta non inferiore a 30 km. I più importanti rilievi sono i Boösaule Montes (17,5 km d'altezza), gli Euboea Montes (13,4 km), lo Ionian Mons (12,7 km), gli Hi'iaka Montes (11,1 km) e gli Haemus Montes (10,8 km). Sembra che gli Euboea Montes si siano formati per l'innalzamento di un enorme plutone poi inclinatosi di circa 6 gradi. Questa inclinazione avrebbe poi favorito la formazione di frane sul loro versante settentrionale anche grazie alla continua erosione causata dalla sublimazione di biossido di zolfo durante le ore diurne. L'analisi dei dati spettroscopici e delle immagini inviate a Terra dalle sonde Voyager verso la fine degli anni settanta del XX secolo portò a concludere che le colate di lava sulla superficie di Io erano composte da vari derivati dello zolfo fuso. Osservazioni successive, condotte dalla Terra nella banda dell'infrarosso, hanno rivelato che esse sono troppo calde per essere costituite da zolfo liquido Un'ipotesi è che le lave di Io siano composte di rocce silicee fuse con composizione che può variare dal basalto alla komatiite. Recenti osservazioni condotte col Telescopio spaziale Hubble indicano che il materiale potrebbe essere ricco di sodio. Non è escluso che le diverse regioni di Io possano essere caratterizzate dalla presenza di differenti materiali. Il 12 maggio 2011 viene pubblicato uno studio di ricercatori dell'Università della California a Los Angeles, dell'Università della California a Santa Cruz e dell'Università del Michigan ad Ann Arbor, basato sui dati trasmessi dalla sonda Galileo, che dimostra la presenza di un "oceano" di magma fuso o parzialmente fuso. A differenza delle altre lune galileiane, Io non possiede praticamente acqua anche se non viene escluso che essa possa esistere in profondità ma non viene rilevata spettroscopicamente a causa della sua instabilità superficiale. Diverse possono essere le ipotesi sull'argomento. Una è probabilmente il calore eccessivo causato da Giove, che durante la formazione del satellite lo surriscaldò a tal punto da espellere tutti gli elementi volatili, acqua compresa, che nei primi milioni di anni di vita era probabilmente abbondante. Altre cause, non giudicate però particolarmente efficaci per la perdita d'acqua di Io, sono la fuga termica, la fotolisi e l'interazione tra particelle cariche, mentre esperimenti di laboratorio hanno dimostrato che piuttosto efficace per la perdita del ghiaccio d'acqua risulta essere la polverizzazione catodica. Anche gli impatti meteorici potrebbero aver contribuito alla vaporizzazione dell'acqua su Io. Io possiede una sottile atmosfera, composta principalmente da diossido di zolfo (SO2) con minori percentuali di monossido di zolfo (SO), cloruro sodico (NaCl), zolfo atomico e ossigeno. L'atmosfera è fortemente influenzata dalle radiazioni presenti nella magnetosfera di Giove, che la depredano costantemente dei suoi costituenti, e dagli episodi di vulcanismo sulla luna, che contribuiscono a ricostituirla. Presenta una struttura non uniforme, con una densità maggiore in corrispondenza dell'equatore, dove la superficie è più calda e dove sono collocati i principali coni vulcanici; qui si concentrano anche i principali fenomeni atmosferici. I più evidenti dalla Terra sono le aurore (che su Io sono quindi equatoriali e non polari). L'atmosfera mostra variazioni significative nella densità e nella temperatura in funzione dell'ora del giorno, della latitudine, dell'attività vulcanica e della brina superficiale. La pressione massima varia tra 3,3×10−5 e 3×10−4 Pa (pari rispettivamente a 0,3×103 nbar) osservate nell'emisfero opposto a Giove e lungo l'equatore, soprattutto nel primo pomeriggio quando la temperatura della superficie raggiunge il suo picco massimo. Nei pennacchi vulcanici sono stati osservati anche picchi localizzati con pressioni tra 5×10−4 e 40×10−4 Pa (da 5 a 40 nbar). La pressione raggiunge invece i valori minimi durante la notte, quando scende a punte comprese tra 0,1×10−7 e 1×10−7 Pa (tra 0,0001×100,001 nbar). La temperatura dell'atmosfera oscilla tra quella della superficie alle basse altitudini, dove il vapore del biossido di zolfo è in equilibrio con la sua brina superficiale, fino ai 1800 K alle grandi altitudini dove il sottile spessore atmosferico permette il riscaldamento generato dal toro di plasma e dall'effetto Joule del flusso magnetico. La bassa pressione limita gli effetti dell'atmosfera sulla superficie, eccetto per la ridistribuzione temporanea del biossido di zolfo da aree ricche di brina a zone povere e dell'espansione delle dimensioni degli anelli di deposito del materiale dei pennacchi quando esso rientra nella più densa atmosfera del lato illuminato. Un'atmosfera sottile implica anche che eventuali futuri moduli di atterraggio di sonde spaziali non necessiteranno di scudi termici di protezione e richiederanno invece retrorazzi per garantire un atterraggio morbido. D'altra parte questo stesso spessore sottile implicherà la necessità di una più efficace schermatura dalle radiazioni provenienti da Giove che sarebbero invece attenuate da un'atmosfera più spessa. Tuttavia per il futuro prossimo probabilmente non sarà possibile atterrare su Io, per problematiche varie legate alla sua vicinanza a Giove (delta-v, radiazioni), mentre è molto più verosimile una missione con sorvoli ravvicinati multipli da una sonda in orbita attorno a Giove.
Europa
Tra i satelliti più interessanti di Giove c'è Europa. Europa è il quarto satellite naturale del pianeta Giove per dimensioni e il sesto dell'intero sistema solare. È stato scoperto da Galileo Galilei il 7 gennaio 1610 assieme ad Io, Ganimede e Callisto, da allora comunemente noti con l'appellativo di satelliti galileiani. Leggermente più piccolo della Luna, Europa è composto principalmente da silicati con una crosta costituita da acqua ghiacciata, probabilmente al suo interno è presente un nucleo di ferro-nichel ed è circondato esternamente da una tenue atmosfera, composta principalmente da ossigeno. A differenza di Ganimede e Callisto, la sua superficie si presenta striata e poco ricca di crateri ed è la più liscia di quella di qualsiasi oggetto noto del sistema Solare. Nel 1997 il passaggio della sonda Galileo attraverso un pennacchio d'acqua fuoriuscente da un geyser superficiale ha dimostrato oltre ogni dubbio l'esistenza di un oceano d'acqua presente sotto la crosta, che potrebbe essere dimora per la vita extraterrestre. In questa ipotesi viene proposto che Europa, riscaldato internamente dalle forze mareali causate dalla sua vicinanza a Giove e dalla risonanza orbitale con i vicini Io e Ganimede, rilasci il calore necessario per mantenere un oceano liquido sotto la superficie e stimolando al tempo stesso un'attività geologica simile alla tettonica a placche. L'8 settembre 2014, la NASA riferì di aver trovato prove dell'esistenza di un'attività della tettonica a placche su Europa, la prima attività geologica di questo tipo su un mondo diverso dalla Terra. Nel dicembre del 2013 la NASA individuò sulla crosta di Europa alcuni minerali argillosi, più precisamente, fillosilicati, che spesso sono associati a materiale organico. La stessa NASA annunciò, sulla base di osservazioni effettuate con il Telescopio spaziale Hubble, che sono stati rilevati geyser di vapore acqueo simili a quelli di Encelado, il satellite di Saturno. La sonda Galileo, lanciata nel 1989, fornì la maggior parte delle informazioni note su Europa. Nessun veicolo spaziale è ancora atterrato sulla superficie, ma le sue caratteristiche hanno suggerito diverse proposte di esplorazione, anche molto ambiziose. La Jupiter Icy Moon Explorer dell'Agenzia spaziale europea è una missione per Europa (e per le vicine Io e Ganimede), il cui lancio è previsto per il 2022. La NASA invece sta programmando una missione robotica, che verrebbe lanciata a metà degli anni 2020. Si pensa che sotto la superficie di Europa ci sia uno strato di acqua liquida mantenuta tale dal calore generato dalle "maree" causate dall'interazione gravitazionale con Giove. La temperatura sulla superficie di Europa è di circa 110 K (−163 °C) all'equatore e di solo 50 K (−223 °C) ai poli, cosicché il ghiaccio superficiale è permanentemente congelato. I primi indizi di un oceano liquido sotto la superficie vennero da considerazioni teoriche relative al riscaldamento gravitazionale (conseguenza dell'orbita leggermente eccentrica di Europa e della risonanza orbitale con gli altri satelliti medicei). I membri del team imaging del progetto Galileo hanno analizzato le immagini di Europa della sonda Voyager e della sonda Galileo per affermare che anche le caratteristiche superficiali di Europa dimostrano l'esistenza di un oceano liquido sotto la superficie.L'esempio più eclatante sarebbe il terreno "caotico", una caratteristica comune sulla superficie di Europa che alcuni interpretano come una regione in cui l'oceano sotto la superficie ha sciolto la crosta ghiacciata. Questa interpretazione è estremamente controversa. La maggior parte dei geologi che ha studiato Europa favorisce quello che viene chiamato modello del "ghiaccio spesso" in cui l'oceano ha raramente, se non mai, direttamente interagito con la superficie. I diversi modelli per stimare lo spessore del guscio di ghiaccio danno valori oscillanti tra qualche chilometro e qualche decina di chilometri. La prova migliore per il cosiddetto modello del "ghiaccio spesso" è uno studio dei grandi crateri di Europa. I più grandi sono circondati da cerchi concentrici e sembrano essere riempiti con ghiaccio fresco relativamente liscio; basandosi su questo e sulla quantità di calore generata dalle maree di Europa, è stato teorizzato che la crosta esterna di ghiaccio solido sia spessa approssimativamente 10−30 km, il che potrebbe significare che l'oceano liquido sottostante potrebbe essere profondo circa 100 km. Il modello a "ghiaccio sottile" suggerisce invece che lo strato di ghiaccio di Europa sia spesso solo pochi chilometri. Tuttavia, la maggior parte degli scienziati planetari affermano che questo modello considera che solo i più alti strati della crosta di Europa si comportino elasticamente quando colpiti dalla marea di Giove. Questo modello suggerisce che la parte elastica esterna della crosta di ghiaccio potrebbe essere sottile solo 200 metri. Se lo strato di ghiaccio di Europa fosse spesso solo pochi chilometri, come propone il modello "ghiaccio sottile", significherebbe che potrebbero avvenire contatti regolari tra l'interno liquido e la superficie attraverso crepe, causando la formazione di zone di terreno caotico. Alla fine del 2008, venne suggerito che Giove potrebbe mantenere gli oceani di Europa caldi generando grandi onde di marea su Europa a causa della sua piccola (ma non nulla) obliquità. Questo tipo di marea precedentemente non considerata genera le cosiddette onde di Rossby, che pur viaggiando molto lentamente, alla velocità di pochi chilometri al giorno, sono in grado di generare una significativa quantità di energia cinetica. Per l'attuale stima dell'inclinazione assiale di Europa (0,1 gradi), la risonanza delle onde Rossby produrrebbe 7,3×1017 J di energia cinetica, che è duemila volte più grande di quella delle forze di marea dominanti. La dissipazione di questa energia potrebbe essere la principale fonte di calore dell'oceano di Europa. La sonda Galileo ha anche scoperto che Europa ha un debole momento magnetico, variabile e indotto dal grande campo magnetico di Giove, la cui intensità è di circa un sesto di quella del campo di Ganimede e sei volte quello di Callisto. L'esistenza del momento magnetico indotto richiede la presenza di materiale conduttore sotto la superficie, come ad esempio un grande oceano di acqua salata. Le prove spettrografiche suggeriscono che le strisce rosso scuro e le caratterizzazioni sulla superficie di Europa potrebbero essere ricche di sali come il solfato di magnesio, depositatosi tramite l'evaporazione dell'acqua che emerge da sotto. L'acido solforico idrato è un'altra possibile spiegazione dei contaminanti osservati spettroscopicamente. In entrambi i casi, siccome questi materiali sono privi di colore o bianchi quando puri, altri elementi devono essere presenti a loro volta per contribuire al colore rossastro. Si suggerisce la presenza di composti a base zolfo. Europa è considerato come uno dei mondi con la più alta probabilità che si sia sviluppata vita extraterrestre. È stato ipotizzato che la vita potrebbe esistere in questo oceano al di sotto del ghiaccio, in un ambiente simile a quello delle sorgenti idrotermali presenti sulla Terra nelle profondità dell'oceano o sul fondo del Lago Vostok, in Antartide. Allo stato attuale non ci sono prove che attestino la presenza di forme di vita su Europa, ma la presenza di acqua liquida è così probabile da rafforzare le richieste di inviare sonde per investigare. Fino al 1970 si pensava che la vita avesse bisogno dell'energia solare per potersi sviluppare, con le piante che sulla superficie catturano l'energia solare e, attraverso la fotosintesi, producono carboidrati dall'anidride carbonica e dall'acqua, rilasciando ossigeno nel processo, che vengono poi consumati dagli animali creando una catena alimentare. Anche nell'oceano profondo, molto al di sotto della portata della luce del sole, si pensava che il nutrimento venisse da detriti organici che scendono dalla superficie. L'accesso alla luce solare era quindi ritenuto fondamentale per poter sostenere la vita in un determinato ambiente. Tuttavia, nel 1977, durante un'immersione esplorativa alla isole Galápagos con il sommergibile DSV Alvin, gli scienziati scoprirono colonie di vermi tubo giganti, crostacei, molluschi bivalvi e altre creature raggruppate intorno a delle sorgenti idrotermali, da cui esce acqua riscaldata dall'attività tettonica terrestre.[100] Queste creature prosperano nonostante non abbiano accesso alla luce del sole e venne scoperto che erano parte di una catena alimentare del tutto indipendente. Invece delle piante, alla base di questa catena alimentare c'era una forma di batterio, la cui energia deriva dalla ossidazione di sostanze chimiche, come l'idrogeno o l'acido solfidrico, che ribolle dall'interno della Terra. Questa chemiosintesi batterica rivoluzionò lo studio della biologia, rivelando che la vita non dipendeva esclusivamente dall'irraggiamento solare: acqua ed energia erano sufficienti. Con questa scoperta si aprì una nuova strada in astrobiologia, e il numero di possibili habitat extraterrestri da prendere in considerazione aumentò sensibilmente. Anche se i vermi tubo e gli altri organismi multicellulari scoperti attorno alle sorgenti idrotermali respirano ossigeno e sono quindi indirettamente dipendenti dalla fotosintesi, i batteri anaerobici e gli archeobatteri che abitano questi ecosistemi potrebbero fornire un esempio di come potrebbe essersi sviluppata la vita nell'oceano di Europa. L'energia fornita dalle maree gravitazionali mantiene geologicamente attivo l'interno di Europa, proprio come succede, in modo ben più evidente, sulla vicina Io. Europa potrebbe possedere una fonte di energia interna da decadimento radioattivo come la Terra, ma l'energia generata dalle maree sarebbe enormemente maggiore rispetto a qualsiasi sorgente radioattiva. Tuttavia, l'energia mareale non potrebbe mai sostenere un ecosistema su Europa così ampio e diversificato come l'ecosistema terrestre basato sulla fotosintesi. La vita su Europa potrebbe esistere attorno a sorgenti idrotermali dell'oceano, o sotto il fondo dell'oceano stesso, come succede per alcuni endoliti terrestri. Oppure potrebbero esistere organismi aggrappati alla superficie inferiore dello strato di ghiaccio, come alghe e batteri che vivono nelle regioni polari della Terra, o ancora, alcuni microrganismi potrebbero fluttuare liberamente nell'oceano di Europa. Tuttavia, se gli oceani di Europa fossero troppo freddi, i processi biologici simili a quelli noti sulla Terra non potrebbero avvenire e, allo stesso modo, se l'oceano fosse troppo salato, potrebbero vivere in quell'ambiente solo alofili estremi. Nel novembre 2011, un team di ricercatori con un articolo sulla rivista Nature suggerì l'esistenza di vasti laghi di acqua liquida racchiusa nel guscio esterno ghiacciato di Europa e distinta dall'oceano liquido che si pensa esistere più in basso. In caso di conferma, i laghi potrebbero costituire altri habitat potenzialmente abitabili. Un articolo pubblicato nel marzo 2013 suggerisce che il perossido di idrogeno abbonda in gran parte della superficie di Europa. Gli autori affermano che se il perossido sulla superficie che si mescolasse all'oceano sottostante, sarebbe un'importante fonte energetica per eventuali forme di vita semplici e che il perossido di idrogeno è quindi un fattore importante per l'abitabilità dell'oceano di Europa, perché il perossido di idrogeno decade in ossigeno quando mescolato con acqua liquida. L'11 dicembre 2013, la NASA riferì di aver individuato dei fillosilicati, "minerali argillosi", spesso associati a materiali organici, sulla crosta ghiacciata di Europa. Gli scienziati suggeriscono che la presenza dei minerali è dovuta ad una collisione di un asteroide o di una cometa. Nella teoria della panspermia (più precisamente nella Lithopanspermia) viene suggerito che la vita terrestre potrebbe essere arrivata alle lune di Giove tramite la collisione di asteroidi o comete.
Ganimede
Ganimede è il maggiore dei satelliti naturali del pianeta Giove e il più grande dell'intero sistema solare; supera per dimensioni (ma non per massa) lo stesso Mercurio. Ganimede completa un'orbita attorno a Giove in poco più di sette giorni ed è in risonanza orbitale 1:2:4 con Europa ed Io rispettivamente. Composto principalmente da silicati e ghiaccio d'acqua, è totalmente differenziato con un nucleo di ferro fuso. Si ritiene che un oceano di acqua salata esista a circa 200 km di profondità dalla superficie, compreso tra due strati di ghiaccio. La superficie ganimediana presenta due principali tipi di terreno: le regioni scure, antiche e fortemente craterizzate, che si ritiene si siano formate 4 miliardi di anni fa e che coprono un terzo della luna e le zone più chiare, di formazione leggermente più recente, ricche di scoscendimenti e scarpate che coprono la restante parte. La causa delle striature visibili nelle zone chiare non è ancora totalmente compresa, sebbene esse siano probabilmente il risultato dell'attività tettonica attivata dal riscaldamento mareale. Ganimede è l'unico satellite del sistema solare per cui è nota l'esistenza di un campo magnetico proprio, probabilmente sostenuto dai movimenti convettivi all'interno del nucleo di ferro fuso. La ridotta magnetosfera ganimediana è immersa nella ben più grande magnetosfera gioviana, cui è collegata da linee di campo aperte. Il satellite presenta una tenue atmosfera di ossigeno, presente nella forma atomica (O), molecolare (O2) e forse come ozono (O3). L'idrogeno atomico è un costituente minore dell'atmosfera. Ancora non è noto con certezza se il satellite sia dotato anche di una ionosfera. Scoperto da Galileo Galilei nel 1610, deve il suo nome al personaggio di Ganimede, coppiere degli dei della mitologia greca amato da Zeus, l'equivalente greco di Giove. Diverse missioni spaziali hanno potuto studiare Ganimede da vicino durante l'esplorazione del sistema di Giove; tra queste la Pioneer 10 ne ha raccolto le prime immagini ravvicinate, le sonde Voyager hanno raffinato la stima delle sue dimensioni mentre la sonda Galileo ha scoperto, durante ripetuti sorvoli ravvicinati, l'esistenza del campo magnetico proprio ed ha suggerito quella dell'oceano sotto la superficie. In gran parte della prima letteratura astronomica ci si riferiva a Ganimede servendosi della designazione numerica romana come Giove III o come "terzo satellite di Giove". La missione Jupiter Icy Moons Explorer dell'ESA, con data di lancio prevista per il 2022, studierà le tre lune gioviane Europa, Callisto e Ganimede e sarà la prima sonda ad effettuare un'orbita intorno a quest'ultima. Fonti storiche riportano che Ganimede sarebbe stato visto ad occhio nudo dall'astronomo cinese Gan De, nel 364 a.C. Tra i quattro satelliti medicei, Ganimede è quello con la magnitudine apparente più bassa. Essi sarebbero in teoria visibili ad occhio nudo se non fossero nascosti dalla luminosità di Giove. Considerazioni recenti, mirate a valutare il potere risolutivo dell'occhio nudo, sembrerebbero tuttavia indicare che la combinazione della ridotta distanza angolare tra Giove ed ognuno dei suoi satelliti e della luminosità del pianeta, anche valutando le condizioni in cui questa sarebbe minima, renderebbero impossibile per un uomo riuscire ad individuare uno di essi. Basta comunque un piccolo cannocchiale o telescopio rifrattore per poter osservare con facilità Ganimede e gli altri satelliti medicei che appaiono come quattro piccoli punti luminosi, disposti lungo il prolungamento dell'equatore del pianeta. Ganimede orbita attorno a Giove piuttosto rapidamente ed è possibile seguirne la rotazione attorno al pianeta tra una notte e l'altra. Ogni 5,93 anni la Terra si trova per alcuni mesi in prossimità del piano su cui giacciono le orbite dei satelliti medicei. In questa occasione è possibile assistere a transiti ed eclissi tra i satelliti e Giove e anche tra i satelliti stessi. Queste occultazioni mutue sono state utilizzate per confrontare i satelliti in albedo. Questi fenomeni non sono rari, anzi ne possono capitare anche qualche centinaio durante una fase di periodico allineamento. In generale è complesso osservare l'eclissi di una luna per opera di un'altra luna perché l'ombra del corpo anteriore non è visibile sullo sfondo dello spazio finché il corpo posteriore non l'attraversa; di più semplice osservazione è il caso in cui l'eclissi avvenga mentre l'ombra del corpo anteriore ed il corpo celeste posteriore stanno transitando sul disco di Giove. Sebbene sia raro, è possibile che si verifichi l'eclissi di un satellite per opera di un altro, mentre le ombre di entrambi transitano sul disco di Giove. Durante questo evento, avvenuto ad esempio l'11 giugno 1991 tra Io e Ganimede, si osservano le due ombre raggiungersi ed unirsi, mentre il satellite più interno diventa scuro. Un'altra rara possibilità è che un satellite esterno sia occultato da un satellite più interno eclissato a sua volta da Giove. Se la coppia coinvolta nel fenomeno fosse composta da Ganimede e Callisto, l'eclissi di Callisto sarebbe totale. La scoperta di Ganimede è attribuita a Galileo Galilei che ne documentò per primo l'esistenza nel 1610 nel Sidereus Nuncius; il nome fu suggerito da Simon Marius, anche se cadde per un lungo tempo in disuso. Fino alla metà del XX secolo, nella letteratura astronomica ci si riferiva a Ganimede servendosi della designazione numerica romana, introdotta da Galileo, come Giove III o come "terzo satellite di Giove". In seguito alla scoperta dei satelliti di Saturno fu adottata la nomenclatura attuale. Si tratta dell'unico satellite mediceo ad essere intitolato ad una figura mitologica di sesso maschile. Storicamente la denominazione degli asteroidi è stata distinta da quella dei satelliti naturali. Infatti a ogni asteroide sin dalla fine del XIX secolo è assegnato un nome ed numero progressivo in cifre arabe e che segue l'ordine di scoperta; la denominazione di un satellite naturale adotta oltre al nome del satellite, il nome del pianeta attorno a cui orbita, seguito da un numero romano e la numerazione ricomincia per ogni pianeta. Inizialmente il numero romano avrebbe dovuto tener conto dell'ordine di distanza dell'orbita dal pianeta, con il numero I assegnato al satellite più vicino al pianeta, il II al successivo e così via, ma che ormai segue anch'esso l'ordine di scoperta. Quindi è stato permesso che nomi già assegnati ad alcuni satelliti naturali fossero riutilizzati anche per identificare degli asteroidi e viceversa. Ciò è avvenuto anche per l'asteroide 1036 Ganymed scoperto nel 1924 da Walter Baade che reca lo stesso nome della terza luna di Giove. L'annuncio della scoperta dei satelliti galileiani destò l'attenzione degli astronomi dell'epoca che si unirono a Galileo ed a Simon Marius nella loro osservazione. Mentre Martin Horký nella sua Brevissima Peregrinatio Contra Nuncium Sidereum sostenne che l'osservazione dei presunti satelliti galileiani fosse derivata dalla presenza di difetti nel telescopio, Keplero eseguì delle osservazioni in proprio e confermò la scoperta nel Narratio de observatis a se quatuor Iovis satellitibus erronibus, pubblicato nel 1611. Anche gli astronomi Thomas Harriot e Nicolas-Claude Fabri de Peiresc pubblicarono le proprie osservazioni dei satelliti galileiani, rispettivamente in Inghilterra e Francia. Per i due secoli successivi i principali studi si concentrarono sulla determinazione dell'orbita dei satelliti e sul calcolo delle loro effemeridi. All'inizio del 1611, ne furono determinati i periodi orbitali. Odierna (1656), Cassini (1668), Pound (1719) e Bradley (1718-1749) pubblicarono tavole di effemeridi e predissero le eclissi tra i satelliti ed il pianeta. Le prime teorie valide per spiegare il moto dei satelliti furono avanzate da Bailly e Lagrange (1766). Laplace (1788), infine, completò il lavoro producendo un modello teorico in grado di spiegare con completezza il moto dei satelliti galileiani. Una stima del diametro di Ganimede prossima al valore misurato dalla sonda Voyager 1 fu ottenuta alla fine dell'Ottocento. Lo sviluppo nei telescopi registrato nel XX secolo ha permesso l'individuazione di qualche dettaglio e del colore delle superfici; tuttavia soltanto l'era spaziale ha permesso di migliorare significativamente le conoscenze scientifiche su Ganimede e sugli altri satelliti galileiani ad opera di missioni esplorative in loco e di osservazioni condotte dalla Terra attraverso il Telescopio spaziale Hubble. Diverse sonde lanciate per l'esplorazione di Giove hanno esplorato Ganimede in dettaglio. Le prime furono le Pioneer 10 e 11, nessuna delle quali però fornì molte informazioni sul satellite.[24] Le sonde successive furono le Voyager 1 e 2 nel 1979. Esse ne rivelarono le dimensioni, dimostrando che Ganimede è più grande di Titano, fino ad allora ritenuto il più grande satellite naturale del Sistema solare. Furono allora osservate anche le regioni di terreno con scarpate. Nel 1995 la sonda Galileo entrò in orbita attorno a Giove ed eseguì sei sorvoli ravvicinati di Ganimede tra il 1996 ed il 2000. Questi fly-by furono indicati come G1, G2, G7, G8, G28 e G29. Durante il sorvolo più ravvicinato, la Galileo passò a soli 264 km dalla superficie della luna. Durante il primo sorvolo nel 1996, denominato G1, fu scoperta l'esistenza del campo magnetico di Ganimede e l'annuncio della scoperta dell'oceano avvenne nel 2001. La Galileo trasmise a Terra un gran numero di immagini spettrali che permisero la scoperta di componenti non ghiacciati della superficie di Ganimede. La sonda che ha attraversato il sistema di Giove più recentemente è stata la New Horizons nel 2007, diretta verso Plutone. La New Horizons ha raccolto mappe topografiche e della composizione della luna. Proposta per il lancio nel 2020, la Europa Jupiter System Mission (EJSM) era una missione congiunta NASA/ESA per l'esplorazione delle lune di Giove. L'approvazione della missione era subordinata alla vittoria della gara di interesse con la Titan Saturn System Mission, diretta verso Titano ed Encelado: la scelta è avvenuta nel febbraio del 2009. L'EJSM consiste del Jupiter Europa Orbiter, di costruzione NASA, del Jupiter Ganymede Orbiter, di costruzione ESA ed eventualmente del Jupiter Magnetospheric Orbiter, di costruzione JAXA. A causa dei tagli del budget della NASA, nel 2011 l'ESA dichiarò che era improbabile una missione congiunta NASA/ESA con lancio previsto per il 2020, e continuò a sviluppare una propria missione rinominandola Jupiter Icy Moons Explorer (JUICE), il cui lancio è previsto per il 2022. Una precedente proposta di porre un orbiter attorno a Ganimede, che avrebbe permesso uno studio dettagliato della luna, era inclusa nella missione Jupiter Icy Moons Orbiter della NASA, successivamente cancellata. La propulsione per la navicella sarebbe dovuta esser fornita per mezzo della fissione nucleare. Tuttavia la missione fu cancellata nel 2005 a causa di tagli nel budget della NASA. Un'altra vecchia proposta era stata chiamata The Grandeur of Ganymede. Ganimede orbita attorno a Giove ad una distanza di 1070400 km, terzo tra i satelliti medicei. Completa una rivoluzione ogni sette giorni e tre ore. Come la maggior parte delle lune conosciute, Ganimede è in rotazione sincrona con Giove, con un emisfero del satellite costantemente rivolto verso il pianeta. L'orbita è caratterizzata da un bassissimo valore dell'eccentricità e dell'inclinazione rispetto al piano equatoriale di Giove; entrambi i valori cambiano quasi con periodicità a causa delle perturbazioni gravitazionali del Sole e degli altri pianeti con una tempistica di secoli. Gli intervalli di variazione sono di 0,0009-0,0022 e 0,05-0,32° rispettivamente. A queste variazioni nell'orbita corrispondono variazioni comprese tra gli 0 e gli 0,33° nell'inclinazione dell'asse di rotazione della luna rispetto all'asse ortogonale al piano orbitale. Ganimede è in risonanza orbitale con Io ed Europa: a ogni orbita di Ganimede, Europa ed Io completano rispettivamente due e quattro orbite. La congiunzione superiore tra Io ed Europa avviene sempre quando Io è al periasse dell'orbita ed Europa all'apoasse. La congiunzione superiore tra Europa e Ganimede avviene quando Europa è nelle vicinanze del periasse. Le longitudini delle congiunzioni di Io-Europa ed Europa-Ganimede cambiano con la stessa velocità, rendendo possibile che si verifichi una congiunzione triplice. Una così complicata forma di risonanza è detta risonanza di Laplace. La risonanza di Laplace attualmente esistente non è in grado di aumentare l'eccentricità dell'orbita di Ganimede. Il valore di circa 0,0013 è probabilmente ciò che rimane di un'epoca precedente in cui questi incrementi erano possibili. L'eccentricità orbitale di Ganimede è in qualche modo sconcertante: se non fosse esistito un meccanismo che l'avesse mantenuta o "alimentata", avrebbe dovuto essersi azzerata da tempo a causa della dissipazione mareale all'interno di Ganimede. Ciò significa che l'ultimo episodio di eccitazione dell'eccentricità è avvenuto soltanto diverse centinaia di milioni di anni fa. Poiché l'eccentricità orbitale di Ganimede è relativamente bassa (0,0015 in media) il riscaldamento mareale della luna oggi è trascurabile. Tuttavia nel passato Ganimede potrebbe aver attraversato più fasi di risonanza simile a quella di Laplace, che potrebbero aver aumentato l'eccentricità orbitale fino a valori di 0,01-0,02. Ciò deve aver determinato la generazione di un significativo quantitativo di calore mareale all'interno di Ganimede e la formazione del terreno striato potrebbe essere il risultato di uno o più di questi episodici riscaldamenti. L'origine della risonanza di Laplace tra Io, Europa e Ganimede è sconosciuta. Esistono due ipotesi al riguardo: che sia esistita dalla formazione del sistema solare oppure che si sia sviluppata in seguito. Una possibile sequenza degli eventi è la seguente: Io sollevava maree su Giove ed il processo causò un'espansione dell'orbita finché non fu raggiunta la risonanza 2:1 con Europa; dopo di ciò, l'espansione continuò, ma parte del momento angolare venne trasferito ad Europa mentre la risonanza determinava che anche l'orbita della seconda luna si espandesse; il processo continuò finché Europa instaurò una risonanza 2:1 con Ganimede. Infine, la velocità di spostamento delle congiunzioni tra le tre lune si sincronizzò e le bloccò nella risonanza rilevata da Laplace. La densità media di Ganimede, 1,936 g/cm³, suggerisce che acqua, prevalentemente in forma ghiacciata, e materiali rocciosi compongano la luna in egual misura.[6] Il valore del rapporto tra la massa dei ghiacci e la massa totale di Ganimede (frazione di massa) è compreso tra 46-50%, leggermente inferiore a quello stimato per Callisto. Potrebbero essere presenti altri ghiacci di sostanze volatili come l'ammoniaca. La composizione esatta delle rocce di Ganimede non è nota, ma è probabilmente simile alla composizione della condriti ordinarie di tipo L o LL, caratterizzate da un quantitativo complessivo di ferro inferiore rispetto alle condriti H (tra l'altro con meno ferro metallico e più ossido di ferro). Il rapporto di peso tra ferro e silicio è di 1,05:1,27 per Ganimede, mentre è di 1,8 per il Sole. La superficie di Ganimede ha un'albedo del 43%. Il ghiaccio d'acqua sembra essere onnipresente sulla superficie, con una frazione di massa del 50-90%,[6] significativamente superiore al dato ottenuto considerando Ganimede nella sua totalità. Analisi spettroscopiche nel vicino infrarosso hanno rivelato la presenza di forti bande di assorbimento del ghiaccio d'acqua, a lunghezze d'onda di 1,04, 1,25, 1,5, 2,0 e 3,0 μm. Il terreno scanalato è più luminoso e si compone di un quantitativo di ghiaccio superiore rispetto ai terreni più scuri. L'analisi di spettri ad alta risoluzione nel vicino infrarosso e nell'ultravioletto ottenuti dalla sonda Galileo e dalla Terra ha rivelato anche altri materiali: anidride carbonica (CO2), anidride solforosa (SO2) e probabilmente il cianogeno ((CN)2), l'idrogeno solfato (HSO4-) e vari composti organici. I dati raccolti dalla Galileo hanno rivelato inoltre la presenza di solfato di magnesio (MgSO4) e, probabilmente, solfato di sodio (Na2SO4) sulla superficie di Ganimede. Questi sali potrebbero essersi originati nell'oceano al di sotto della superficie. La superficie di Ganimede è asimmetrica; l'emisfero "anteriore", che guarda verso la direzione di avanzamento della luna sulla sua orbita, è più luminoso rispetto a quello posteriore. Lo stesso accade su Europa, mentre su Callisto accade la situazione opposta. L'emisfero anteriore di Ganimede sembra essere il più ricco di diossido di zolfo, mentre la distribuzione dell'anidride carbonica non sembra rivelare alcuna asimmetria tra gli emisferi, sebbene non siano state osservate le regioni in prossimità dei poli. I crateri da impatto su Ganimede, eccetto uno, non presentano arricchimento di anidride carbonica, cose che nuovamente distingue Ganimede da Callisto. I livelli di anidride carbonica di Ganimede furono probabilmente esauriti nel passato. Ganimede si compone principalmente di silicati e ghiaccio d'acqua; presenta una crosta ghiacciata che scivola su di un mantello di ghiaccio più tiepido, e che ospita uno strato di acqua liquida. Le indicazioni provenienti dalla sonda Galileo sembrano suffragare una differenziazione di Ganimede in tre strati concentrici: un piccolo nucleo di ferro-solfuro di ferro, un mantello roccioso ricco di silicati ed una crosta ghiacciata. Il modello è supportato da un basso valore del momento di inerzia adimensionale, pari a 0,3105 ± 0,0028, misurato durante i fly-by della sonda Galileo. Per una sfera omogenea esso vale 0,4, ma il suo valore diminuisce se la densità aumenta con la profondità. Ganimede ha il momento d'inerzia adimensionale più basso tra i corpi solidi del Sistema solare. L'esistenza di un nucleo liquido e ricco in ferro fornirebbe inoltre una spiegazione piuttosto semplice dell'esistenza del campo magnetico proprio della luna, misurato dalla sonda Galileo. I moti convettivi nel ferro liquido, che presenta una conduttività elettrica elevata, è il modello più ragionevole per la generazione di un campo magnetico planetario. La presenza di un nucleo metallico suggerisce inoltre che in passato Ganimede possa essere stato esposto a temperature più elevate delle attuali. Gli spessori indicati per gli strati all'interno di Ganimede dipendono dalla presunta composizione dei silicati (olivine e pirosseni) nel mantello e dei solfuri nel nucleo. I valori più probabili sono di 700-900 km per il raggio del nucleo e 800-1000 km per lo spessore del mantello ghiacciato esterno, con la parte rimanente occupata dal mantello di silicati. La densità del nucleo è di 5,5-6 g/cm³ e quella del mantello di silicati è di 3,4-3,6 g/cm³. Alcuni modelli per la generazione di un campo magnetico planetario richiedono l'esistenza di un nucleo solido di ferro puro all'interno del nucleo liquido di Fe-FeS - similmente alla struttura del nucleo terrestre. Il raggio di questo nucleo solido potrebbe raggiungere un valore massimo di 500 km. Il nucleo di Ganimede è caratterizzato da una temperatura di circa 1500-1700 K e da una pressione di 100 kbar (equivalente ad 1 GPa). La superficie di Ganimede presenta due tipi di terreno assai differenti; regioni scure, antiche e fortemente craterizzate si contrappongono a zone più chiare, di formazione più recente, ricche di scoscendimenti e scarpate. La loro origine è chiaramente di natura tettonica, ed è probabilmente da attribuirsi ai movimenti di rilassamento e di riposizionamento della crosta ghiacciata del satellite. Sono visibili anche formazioni geologiche che testimoniano la presenza di flussi lavici in passato; sembrerebbe invece che il criovulcanismo abbia svolto soltanto un ruolo marginale.[6] Grazie ad analisi spettroscopiche delle regioni più scure sono state individuate tracce di materiali organici che potrebbero indicare la composizione degli impattatori che parteciparono al processo di accrezione dei satelliti di Giove. Le regioni più giovani della superficie ganimediana sono relativamente simili a quelle di Encelado, Ariel e Miranda; le regioni più antiche, che coprono circa un terzo della superficie, ricordano la superficie di Callisto. Il motore degli sconvolgimenti tettonici potrebbe essere connesso con gli episodi di riscaldamento mareale avvenuti nel passato della luna, probabilmente rafforzatisi quando il satellite attraversava fasi di risonanza orbitale instabile. La deformazione mareale del ghiaccio potrebbe aver riscaldato l'interno della luna e teso la litosfera, conducendo alla formazione di fratture e di sistemi di horst e graben, che erosero il terreno più antico e più scuro sul 70% della superficie. La formazione del terreno più chiaro e striato potrebbe essere anche connessa con quella del nucleo, durante la cui evoluzione pennacchi di acqua calda proveniente dalle profondità della luna potrebbero essere risaliti alla superficie, determinando la deformazione tettonica della litosfera. Il riscaldamento derivante dal decadimento di elementi radioattivi all'interno del satellite è la principale fonte di calore interno attualmente esistente. Dal flusso di calore da esso generato dipende, ad esempio, lo spessore dell'oceano al di sotto della superficie. Modelli recenti sembrerebbero indicare che il flusso di calore prodotto dal riscaldamento mareale potrebbe aver raggiunto un ordine di grandezza maggiore rispetto al flusso attuale se l'eccentricità fosse stata anch'essa di un ordine di grandezza maggiore dell'attuale, come potrebbe essere stato nel passato. Entrambi i tipi di terreno sono fortemente craterizzati, con il terreno più scuro che sembra essere saturato da crateri e la cui evoluzione è avvenuta grandemente per mezzo di eventi di impatto. Il terreno più chiaro e striato presenta un numero nettamente inferiore di caratteristiche da impatto, che hanno avuto un ruolo di minore importanza nell'evoluzione tettonica del terreno. La densità dei crateri suggerisce che il terreno scuro risalga a 3,5-4 miliardi di anni fa, un'età simile a quella degli altopiani lunari, mentre il terreno chiaro sarebbe più recente, ma non è chiaro di quanto. Ganimede potrebbe aver sperimentato un periodo di intenso bombardamento meteorico da 3,5 a 4 miliardi di anni fa, simile a quello sperimentato dalla Luna. Se fosse vero, la grande maggioranza degli impatti sarebbe avvenuta in quell'epoca ed il tasso di craterizzazione da allora si sarebbe fortemente ridotto. Alcuni crateri si sovrappongono alle fenditure nel terreno, mentre altri ne sono divisi; questo indica un'origine simultanea dei diversi tipi di formazione geologica. I crateri più recenti presentano anche le caratteristiche strutture a raggiera; a differenza dei crateri lunari, tuttavia essi sono relativamente più piatti e meno pronunciati e sono privi dei rilievi circostanti e della depressione centrale, probabilmente per via dell'assenza di roccia dalla superficie del satellite. La superficie ganimediana è inoltre ricca di palinsesti, antichi crateri livellati dall'attività geologica successiva, che hanno lasciato traccia dell'antica parete solamente sotto forma di una variazione di albedo. La formazione principale della superficie di Ganimede è una pianura scura nota come Galileo Regio, in cui sono distinguibili una serie di fenditure concentriche, o solchi, probabilmente originatisi durante un periodo di attività geologica. Un'altra importante caratteristica di Ganimede sono le calotte polari, probabilmente composte di brina di acqua. La brina raggiunge i 40° di latitudine. Le calotte polari furono osservate la prima volta dalle sonde Voyager. Sono state sviluppare due teorie sulla loro formazione: esse potrebbero derivare dalla migrazione di acqua a latitudini maggiori oppure dal bombardamento da plasma del ghiaccio superficiale. I dati raccolti durante la missione Galileo suggeriscono che la seconda ipotesi è quella corretta. Nel 1972 un gruppo di astronomi indiani, britannici e statunitensi che lavoravano presso l'Osservatorio Bosscha in Indonesia annunciarono la scoperta di una sottile atmosfera attorno al satellite durante l'occultazione di una stella da parte di Giove e dello stesso Ganimede. Essi ipotizzarono una pressione superficiale di 1 μBar circa (0,1 Pa). Tuttavia nel 1979 la sonda Voyager 1 osservò l'occultazione della stella κ Centauri durante il suo sorvolo del pianeta, compiendo analisi che portarono a risultati differenti da quelli trovati nel 1972. Le misurazioni furono condotte nello ultravioletto lontano, ad una lunghezza d'onda inferiore ai 200 nm, e, sebbene molto più sensibili alla presenza dei gas rispetto alle osservazioni nel visibile fatte nel 1972, la sonda non rilevò alcuna atmosfera. Il limite superiore della densità numerica fu stimato essere di 1,5×109 cm−3, corrispondente ad una pressione superficiale di circa 2,5×10-5 μBar, cioè un valore di cinque ordini di grandezza inferiore a quanto troppo ottimisticamente era stato indicato nel 1972. Al contrario dei dati della Voyager, una tenue atmosfera di ossigeno, similmente a quanto trovato anche per Europa, venne rilevata su Ganimede dal Telescopio spaziale Hubble nel 1995. Il telescopio spaziale rilevò la presenza di ossigeno atomico da osservazioni nel lontano ultravioletto, alle lunghezze d'onda di 130,4 nm e 135,6 nm, che individuarono il manifestarsi di luminescenze notturne. Questo tipo di emissioni si verificano quando l'ossigeno molecolare viene dissociato in atomi dall'impatto con elettroni rivelando così la presenza di un'atmosfera sostanzialmente neutra composta principalmente di molecole di O2. Il valore della densità numerica alla superficie è probabilmente compreso tra 1,2-7×108 cm-3, corrispondente alla pressione superficiale di 0,2-1,2×10-5 μBar. Questi valori sono in accordo con il limite superiore ricavato dai dati raccolti dalla Voyager e calcolato nel 1981. L'ossigeno non è però una prova dell'esistenza di vita su Ganimede; infatti si pensa che esso sia prodotto per effetto delle radiazioni incidenti sulla superficie che determinano la scissione di molecole di ghiaccio d'acqua in idrogeno e ossigeno. Mentre l'idrogeno viene rapidamente disperso a causa del suo basso peso atomico, l'ossigeno così liberato va a costituire l'atmosfera del satellite.[69] Le emissioni luminose (airglow) osservate su Ganimede non sono spazialmente omogenee come lo sono quelle su Europa. Il Telescopio spaziale Hubble ha osservato due chiazze luminose localizzate nell'emisfero sud e nell'emisfero nord, vicino ai ± 50° di latitudine, corrispondenti al confine tra le linee di campo aperte e chiuse del campo magnetico di Ganimede. Le emissioni luminose potrebbero essere aurore polari, causate dalla precipitazione del plasma lungo le linee di campo aperte. L'esistenza di un'atmosfera neutra implica quella di una ionosfera, poiché le molecole di ossigeno vengono ionizzate dall'impatto con gli elettroni altamente energetici provenienti dalla magnetosfera e dalle radiazioni solari nell'estremo ultravioletto.[9] Tuttavia la natura della ionosfera di Ganimede è ancora controversa, come lo è del resto la natura dell'atmosfera. Alcune misurazioni della sonda Galileo accertarono un valore elevato della densità di elettroni vicino al satellite, suggerendo così la presenza di una ionosfera, mentre altre misurazioni non riuscirono a rilevare niente. La densità di elettroni vicino alla superficie potrebbe essere dell'ordine di circa 400-2500 cm−3. Al 2008 non sono stati ancora trovati limiti precisi dei parametri che caratterizzano la ionosfera ganimediana. Ulteriori evidenze di una atmosfera di ossigeno derivano dal rilevamento spettroscopico di gas intrappolato tra i ghiacci d'acqua di Ganimede. La scoperta di ozono (O3) nell'atmosfera venne annunciata nel 1996. Nel 1997 venne rivelata, tramite l'analisi delle righe di assorbimento spettroscopico, la presenza di una fase densa di ossigeno molecolare, compatibile con del gas intrappolato nel ghiaccio d'acqua. L'intensità delle righe di assorbimento rilevate dipende più dalla latitudine e dalla longitudine che dall'albedo della superficie; le righe tendono a diminuire all'aumentare della latitudine, mentre l'ozono mostra un comportamento opposto. Esperimenti di laboratorio hanno trovato che, alla temperatura relativamente calda di 100 K della superficie di Ganimede, l'ossigeno molecolare tende a dissolversi nel ghiaccio invece di raggrupparsi in bolle. La ricerca del sodio nell'atmosfera, subito dopo il ritrovamento dello stesso su Europa, non portò ad alcun risultato nel 1997; pertanto il sodio è almeno 13 volte meno abbondante su Ganimede che su Europa. La causa è legata o alla relativa scarsezza sulla superficie o al fatto che la magnetosfera scherma le particelle più energetiche. Un altro costituente minore dell'atmosfera di Ganimede è l'idrogeno atomico. Gli atomi di idrogeno vennero scoperti a 3000 km dalla superficie. La loro densità sulla superficie è di circa 1,5×104 cm−3. La sonda Galileo ha eseguito sei sorvoli ravvicinati di Ganimede tra il 1995 ed il 2000 (indicati come G1, G2, G7, G8, G28 e G29) e ha scoperto che la luna ha un campo magnetico proprio all'interno della ben più vasta magnetosfera di Giove, ma indipendente da questa. Il valore del momento magnetico è di circa 1,3×1013 T·m3, un valore tre volte superiore a quello del pianeta Mercurio. L'asse del dipolo magnetico è inclinato rispetto all'asse di rotazione di Ganimede di 176°, opponendosi quindi al campo magnetico di Giove; quindi è possibile che si verifichino episodi di riconnessione magnetica. Il polo nord magnetico si trova al di sotto del piano orbitale. Il campo magnetico di Ganimede raggiunge un'intensità di 719 ± 2 nT all'equatore della luna, mentre il campo magnetico di Giove ha un'intensità di circa 120 nT in corrispondenza dell'orbita di Ganimede. In corrispondenza dei poli il campo magnetico di Ganimede raggiunge un'intensità doppia di quella misurata all'equatore - 1440 nT. Il campo magnetico permanente scava una nicchia attorno a Ganimede, creando una piccola magnetosfera inclusa in quella di Giove. Nel Sistema solare questa caratteristica non si ripete per nessun'altra luna. Il diametro della magnetosfera di Ganimede è pari a 4-5 RG (RG = 2.631,2 km). La magnetosfera presenta una regione di linee di campo chiuse compresa entro i 30° di latitudine, dove sono intrappolate particelle cariche (elettroni e ioni), creando una sorta di fasce di van Allen. La specie chimica più presente nella magnetosfera è ossigeno atomico ionizzato (O+) che si adatta bene alla tenue atmosfera di ossigeno della luna. Nelle regioni polari, per latitudini superiori a 30°, le linee del campo magnetico sono aperte e connettono Ganimede con la ionosfera di Giove. In queste regioni, sono state rilevate particelle cariche altamente energetiche (decine e centinaia di keV), che potrebbero essere le responsabili delle aurore osservate attorno ai poli di Ganimede. Inoltre, ioni pesanti precipitano continuamente sulle superfici polari della luna, determinando lo sputtering e lo scurimento del ghiaccio. L'interazione tra la magnetosfera di Ganimede ed il plasma appartenente a quella gioviana è per molti aspetti simile all'interazione tra la magnetosfera terrestre ed il vento solare.[80][81] Il plasma co-rotante con Giove impatta sulla parte della magnetosfera di Ganimede opposta rispetto alla direzione di avanzamento della luna sulla sua orbita, così come il vento solare impatta sulla magnetosfera terrestre. La principale differenza è nella velocità del flusso di plasma - supersonico nel caso della Terra e subsonico nel caso di Ganimede. A causa di ciò, non si forma alcuna onda d'urto davanti all'emisfero "posteriore" di Ganimede. In aggiunta al campo magnetico proprio, Ganimede presenta un campo magnetico indotto. La sua esistenza è connessa con la variazione del campo magnetico gioviano in prossimità della luna. Il momento indotto è diretto radialmente da o verso Giove e segue la direzione della variazione nel campo magnetico planetario. Il campo magnetico indotto ha un'intensità di un ordine di grandezza inferiore rispetto a quello proprio; all'equatore l'intensità del campo è di circa 60 nT, circa la metà dell'intensità assunta dal campo magnetico di Giove nella stessa zona. Il fatto che il campo magnetico indotto di Ganimede sia confrontabile con quelli di Callisto ed Europa indica che anche questa luna ha un oceano al di sotto della superficie con elevata conduttività elettrica. Poiché Ganimede è totalmente differenziato ed ha un nucleo metallico, alcune teorie prevedono che il campo magnetico intrinseco sia generato in modo simile a quanto accade sulla Terra: dalla rotazione di materiale conduttore presente nel suo interno, nel quale si siano instaurati flussi di corrente elettrica. A dispetto della presenza del nucleo ferroso però, il campo magnetico di Ganimede rimane enigmatico, particolarmente perché altri corpi simili a Ganimede ne sono sprovvisti. Altre ricerche suggeriscono che il nucleo, relativamente piccolo nelle dimensioni, possa ormai essersi raffreddato al punto da non essere più in grado di sostenere il campo magnetico. In alternativa allora questo potrebbe derivare da uno strato di acqua liquida ricca di sale situato ad una profondità di circa 150 km. Altri studiosi invece ritengono che il nucleo possa essere ancora caldo, avendo ricevuto energia da episodi di risonanza orbitale e grazie ad un mantello composto da materiale particolarmente isolante. Infine, un'ultima alternativa è che il campo sia generato da silicati magnetizzati presenti nel mantello, rimanenze di un passato in cui Ganimede possedeva un campo magnetico molto più potente generato dal nucleo ancora fluido. Ganimede si è formato probabilmente per accrezione nella sub-nebulosa di Giove, un disco di gas e polveri che circondava il pianeta dopo la sua formazione. Il processo ha richiesto circa 10 000 anni,[83] un lasso di tempo molto inferiore ai 100 000 anni stimati per l'accrezione di Callisto (causato probabilmente da un relativamente ridotto quantitativo di gas nella sub-nebulosa di Giove al momento della formazione dei satelliti galileiani). Essendo Ganimede più interno di Callisto, la sua formazione ha richiesto comunque tempi inferiori perché avvenuta in una regione della nube più vicina a Giove e quindi più densa. Un processo di formazione relativamente veloce ha impedito che il calore di accrezione fosse disperso nello spazio, favorendo il processo di differenziazione, che ha condotto alla separazione del ghiaccio dalle rocce e ad un'organizzazione interna secondo strati sovrapposti di composizione chimica differente. In ciò, Ganimede è molto differente da Callisto, che ha perso molto calore durante la lenta fase di accrezione ed oggi appare congelato in una forma precoce di differenziazione, con il processo completato solo parzialmente. Questa ipotesi spiega il perché le due lune appaiano così differenti a dispetto di masse e composizioni assai simili. Subito dopo la formazione di Ganimede il nucleo roccioso, che durante l'accrezione e la differenziazione aveva accumulato una grande quantità di calore, iniziò lentamente a trasmetterlo al mantello ghiacciato. Quest'ultimo, a sua volta, lo trasferiva alla superficie per convezione. Inoltre il decadimento degli elementi radioattivi nelle rocce riscaldò ulteriormente il nucleo roccioso, determinandone un'ulteriore differenziazione in un nucleo di ferro-solfuro e ferro ed un mantello di silicati. A questo punto Ganimede aveva terminato il processo di differenziazione. Per paragone, si ritiene che il calore proveniente dal decadimento radioattivo in Callisto abbia instaurato moti convettivi nell'interno ghiacciato della luna, moti che la raffreddarono ed impedirono la fusione su grande scala del ghiaccio ed una rapida differenziazione. I moti convettivi su Callisto hanno condotto solo ad una parziale separazione delle rocce dal ghiaccio. Ganimede oggi continua a raffreddarsi lentamente con il calore rilasciato dal nucleo e dal mantello di silicati che permette la sussistenza dell'oceano al di sotto della superficie, mentre il lento raffreddamento del nucleo liquido di Fe - FeS determina i moti convettivi che supportano il campo magnetico. Il flusso di calore attualmente proveniente da Ganimede è probabilmente maggiore rispetto a quello di Callisto.
Callisto
Callisto è uno dei quattro principali satelliti naturali del pianeta Giove, la terza più grande luna del sistema solare, la seconda più grande del sistema gioviano, dopo Ganimede, e il più grande oggetto del sistema solare a non essere completamente differenziato. Scoperto da Galileo Galilei nel 1610, Callisto ha un diametro di 4821 km, equivalente al 99% del diametro del pianeta Mercurio ma solo circa un terzo della sua massa. È la quarta luna galileiana in ordine di distanza da Giove, trovandosi a circa 1880000 km dal pianeta. Callisto non partecipa alla risonanza orbitale che coinvolge gli altri 3 satelliti galileiani: Io, Europa e Ganimede, quindi non subisce i riscaldamenti mareali, che originano i fenomeni endogeni presenti su Io ed Europa. Privo di campo magnetico interno e appena al di fuori della fascia di radiazioni del gigante gassoso, non interagisce particolarmente con la magnetosfera di Giove. Callisto è composto, più o meno in egual misura, da rocce e ghiacci, con una densità media di circa 1,83 g/cm³, la più bassa tra i satelliti medicei. Sulla sua superficie è stata rilevata spettroscopicamente la presenza del ghiaccio d'acqua, del biossido di carbonio, di silicati e composti organici. Studi condotti dalla sonda Galileo hanno rivelato che Callisto potrebbe avere un piccolo nucleo di silicati e forse uno strato di acqua liquida al di sotto della superficie, a profondità superiori a 100 km. La superficie di Callisto è la più antica e la più pesantemente craterizzata del sistema solare. Non risultano tracce di processi del sottosuolo, come tettonica a placche o vulcanismo; non c'è alcun segno che un'attività geologica si sia mai verificata in passato e l'evoluzione della sua superficie si è prodotta principalmente per gli impatti meteoritici. Le principali caratteristiche superficiali includono strutture con multipli anelli concentrici, con scarpate, creste e depositi ad essi associati, crateri da impatto di varie forme e catene di crateri. Le età delle diverse morfologie non sono note. Callisto è circondato da una sottile atmosfera composta di biossido di carbonio e ossigeno molecolare, nonché da una ionosfera piuttosto intensa. Si pensa che Callisto si sia formato nel processo di accrescimento che ha interessato il disco di gas e polveri che circondava Giove dopo la sua formazione. La lentezza del processo di accumulo di materia e la mancanza del riscaldamento mareale ha evitato la differenziazione chimica, mentre una lenta convezione all'interno di Callisto ha portato a una differenziazione solo parziale e alla possibile formazione di un oceano nel sottosuolo ad una profondità di 100-150 km, con un piccolo nucleo roccioso interno. La probabile presenza di un oceano nel sottosuolo di Callisto lascia aperta la possibilità che possa ospitare la vita. Tuttavia, le condizioni sembrano essere meno favorevoli rispetto alla vicina Europa. Diverse sonde spaziali, le Pioneer 10 e 11, la Galileo e la Cassini hanno studiato Callisto, che, a causa dei suoi bassi livelli di radiazione, è stato a lungo considerato il luogo più adatto per una base umana in una futura esplorazione del sistema gioviano. La scoperta di Callisto è attribuita a Galileo Galilei, che nel 1610 ne documentò l'esistenza assieme alle altre tre lune principali di Giove nel Sidereus Nuncius. Prende il nome da una delle tante amanti di Zeus nella mitologia greca, dove Callisto era una ninfa (o secondo altre fonti, figlia di Licaone) associata alla dea della caccia Artemide. Il nome fu proposto dall'astronomo Simon Marius su suggerimento di Johannes Kepler. Tuttavia, i nomi dei satelliti galileiani caddero in disuso per molto tempo, fino alla metà del XX secolo e nella relativamente recente letteratura astronomica veniva usata la designazione numerica romana introdotta da Galileo, e Callisto veniva chiamato Giove IV, o quarto satellite di Giove. Le sonde Pioneer 10 e Pioneer 11 inviate verso Giove nei primi anni settanta non diedero molte nuove informazioni su Callisto rispetto a quello che era già noto da osservazioni terrestri. La vera svolta avvenne più tardi con i sorvoli ravvicinati delle sonde Voyager 1 e Voyager 2 negli anni 1979-1980. Esse ripresero più della metà della superficie di Callisto, con una risoluzione di 1-2 km, misurando temperatura, massa e forma della luna gioviana. Una seconda tornata esplorativa avvenne dal 1994 al 2003, quando la sonda Galileo effettuò otto sorvoli ravvicinati di Callisto, il più vicino dei quali a 138 km dalla superficie. La sonda Galileo completò la mappa globale della superficie, con una serie di immagini con risoluzione fino a 15 metri di alcune aree selezionate. Nel 2000, la sonda Cassini in viaggio verso Saturno acquisì immagini di alta qualità nell'infrarosso dei satelliti galileiani, Callisto compreso. Nel 2007, la sonda New Horizons nel suo cammino verso Plutone ottenne nuove immagini e spettri di Callisto. La prossima missione prevista per il sistema di Giove è la Jupiter Icy Moon Explorer (JUICE) dell'Agenzia spaziale europea (ESA), che partirà nel 2022, durante la quale saranno previsti diversi sorvoli ravvicinati di Callisto. Precedentemente era stata proposta la Europa Jupiter System Mission (EJSM), un progetto congiunto di ESA e NASA per l'esplorazione delle lune gioviane. Tuttavia nel 2011 l'ESA annunciò che, a causa dei problemi di budget della NASA, era improbabile che la missione sarebbe stata possibile nei primi anni del 2020, e che avrebbe quindi puntato sulla JUICE. Callisto è il più esterno dei quattro satelliti galileiani e orbita ad una distanza di circa 1880000 km (equivalenti a 26,3 raggi gioviani) da Giove, significativamente maggiore rispetto a quella del vicino Ganimede (1 070 000 km). Per questo motivo Callisto non è in risonanza orbitale come lo sono invece i tre satelliti galileiani interni. Come la maggior parte delle altre lune regolari, la rotazione del Callisto è bloccata in rotazione sincrona con la sua orbita, di conseguenza la lunghezza del giorno di Callisto è pari al suo periodo orbitale, che è di circa 16,7 giorni. Percorre un'orbita quasi circolare e assai prossima al piano equatoriale di Giove, con eccentricità e Inclinazione orbitale che subiscono variazioni su una scala temporale di secoli a causa delle perturbazioni gravitazionali solari e planetarie. L'eccentricità varia da 0.0072 a 0,0076°, mentre l'inclinazione orbitale varia da 0,20 a 0,60°, ed entrambe contribuiscono a variare l'inclinazione assiale di Callisto tra 0,4 e 1,6°. L'isolamento dinamico di Callisto implica che non sia mai stato sensibilmente influenzato da maree gravitazionali, e ciò ha influito sulla sua evoluzione e sulla sua struttura interna. Data la sua distanza da Giove, il flusso di particelle cariche appartenenti alla magnetosfera gioviana che raggiungono la sua superficie è piuttosto basso (circa 300 volte inferiore rispetto a Europa) ed ha avuto effetti trascurabili su di essa, a differenza di quanto accaduto sugli altri satelliti galileiani. Il livello di radiazione sulla superficie di Callisto è equivalente a una dose di circa 0,01 rem (0,1 mSv) al giorno, sette volte inferiore alla radiazione che riceve la Terra. La densità media di Callisto, 1,83 g/cm³, suggerisce una composizione di parti approssimativamente uguali di materiale roccioso e ghiaccio d'acqua, con tracce di ghiacci volatili come l'ammoniaca.[8] La percentuale di massa di ghiacci presente è del 49-55 % mentre non è nota con esattezza la componente rocciosa, anche se probabilmente è simile alla composizione delle condriti ordinarie L e LL, che sono caratterizzate da un basso contenuto di ferro metallico e da una più abbondante presenza di ossido di ferro rispetto alle condriti H. La superficie di Callisto ha un'albedo di circa 0,2, cioè riflette il 20% della luce solare che riceve. Si ritiene che la composizione superficiale sia sostanzialmente simile a quella del resto del satellite. Osservazioni spettroscopiche nel vicino infrarosso hanno rivelato la presenza di bande di assorbimento del ghiaccio acqua a lunghezze d'onda di 1,04, 1,25, 1,5, 2,0 e 3,0 micrometri. Il ghiaccio d'acqua sembra essere onnipresente sulla superficie di Callisto, con una frazione della massa totale pari al 25-50%. L'analisi ad alta risoluzione degli spettri nel vicino infrarosso e nell'ultravioletto ottenuti dalla sonda Galileo hanno rivelato la presenza di diversi materiali non ghiacciati in superficie, come idrosilicati di ferro e magnesio, anidride carbonica, biossido di zolfo, e forse, ammoniaca e vari composti organici. I dati spettrali indicano anche che la superficie di Callisto è estremamente eterogenea su piccola scala. Piccole zone luminose formate da ghiaccio d'acqua pura sono miste a zone formate da una miscela di roccia e ghiaccio e ad estese aree scure di materiali non ghiacciati. La superficie di Callisto è asimmetrica: l'emisfero rivolto nella direzione del moto orbitale è più scuro dell'altro, al contrario di quanto accada sugli altri satelliti galileani. L'emisfero più scuro sembra più ricco in anidride solforosa rispetto all'altro, nel quale abbonda maggiormente l'anidride carbonica, elemento che pare associato a molti crateri da impatto di recente formazione, come il cratere Lofn. Generalmente la composizione chimica della superficie, specialmente quella delle aree scure, pare essere simile a quella degli asteroidi di tipo D, le cui superfici sono ricoperte di materiali carboniosi. La superficie butterata di Callisto sovrasta una litosfera gelida, spessa 80-150 km, mentre, ad una profondità di 50-200 km, si troverebbe uno strato di acqua liquida e salata dallo spessore di 10 km. Tale oceano interno è stato scoperto indirettamente attraverso studi del campo magnetico attorno a Giove e ai suoi satelliti più interni. Callisto, infatti, non possiede un campo magnetico proprio, ma solo un campo indotto che varia in direzione, in risposta alle diverse configurazioni orbitali del satellite rispetto al campo magnetico di Giove. Ciò suggerisce che all'interno di Callisto si trovi uno strato di fluido molto conduttivo. L'esistenza di un oceano sarebbe più probabile se l'acqua contenesse una piccola quantità di ammoniaca o altre sostanze antigelo, fino al 5% del peso. In tal caso, lo strato di acqua e ghiaccio potrebbe raggiungere uno spessore di 250-300 km. I modelli che non prevedono l'esistenza dell'oceano indicano un maggiore spessore per la litosfera ghiacciata, che potrebbe raggiungere una profondità di circa 300 chilometri. Un altro indizio a favore dell'esistenza dell'oceano interno è che l'emisfero del satellite direttamente opposto al bacino di Valhalla non mostra alcuna frattura, a differenza di quanto succede agli antipodi di crateri di simili dimensioni sulla Luna o su Mercurio. Uno strato liquido sarebbe probabilmente in grado di assorbire le onde sismiche prima che esse possano rifocalizzarsi sul punto opposto della crosta planetaria. Al di sotto dell'oceano, Callisto sembra presentare un nucleo particolare, non interamente uniforme, ma stabile. I dati della sonda Galileo suggeriscono che questo nucleo sia composto da roccia e ghiaccio compressi, con una percentuale di roccia crescente all'aumentare della profondità. Fra i satelliti galileiani Callisto è quello con la densità minore; esso si compone per il 40% di ghiaccio e il 60% di roccia e ferro, inoltre è solo parzialmente differenziato, al contrario di Ganimede, di dimensioni di poco maggiori. La densità e il momento d'inerzia sono compatibili con l'esistenza di un piccolo nucleo di silicati al centro di Callisto. Il raggio di tale nucleo non può superare i 600 km e la densità sarebbe compresa tra 3,1 e 3,6 g/cm³. Si ritiene che Titano e Tritone, due fra i principali satelliti del sistema solare, presentino una composizione analoga. Callisto è il satellite naturale più pesantemente craterizzato del sistema solare. A differenza del vicino Ganimede, che mostra un terreno variegato, Callisto non presenta evidenza di attività simili alla tettonica a placche. Pur trattandosi di due oggetti relativamente simili sembra che Callisto abbia avuto una storia geologica più semplice. In effetti, i crateri da impatto e gli anelli ad essi concentrici rappresentano le uniche strutture presenti su Callisto; non vi sono infatti grandi montagne o altre caratteristiche prominenti. Ciò è dipeso probabilmente dalla natura della superficie: lo scorrimento del ghiaccio in tempi geologici ha cancellato i crateri e le montagne più grandi. I crateri da impatto e le strutture multianello, le scarpate e i depositi ad esse associate sono le uniche grandi caratteristiche che si trovano sulla superficie. La superficie di Callisto è dominata da due enormi strutture: Valhalla (la più grande) presenta una regione centrale brillante larga 600 km e anelli concentrici che raggiungono i 3000 km di diametro; la seconda, Asgard, presenta un diametro esterno di 1400 km. Sono presenti inoltre delle catenae, come la Gipul Catena, una lunga serie di crateri da impatto in linea retta sulla superficie. L'origine di ciascuna di esse è da ricondursi all'impatto su Callisto di oggetti catturati dalla gravità gioviana e poi frammentati dalle forze di marea del pianeta (come accaduto alla Cometa Shoemaker-Levy 9). Alla crosta del satellite è stata assegnata un'età di circa 4,5 miliardi di anni, risalente quindi quasi alla formazione del sistema solare, mentre le strutture ad anelli concentrici hanno un'età compresa tra 1 e 4 miliardi di anni, a seconda delle fonti prese in considerazione. Callisto ha un'atmosfera molto tenue, composta da anidride carbonica, rilevata attraverso lo spettrometro nel vicino infrarosso a bordo della sonda Galileo. Si stima che sulla superficie sia raggiunta una pressione di 0,75 μPa ed una densità di 4×108 cm−3. Poiché un'atmosfera di tale entità sarebbe perduta dal satellite in circa 4 giorni, deve essere presente un meccanismo che la reintegra costantemente, probabilmente la sublimazione del ghiaccio di anidride carbonica presente sulla superficie, ipotesi compatibile con la formazione delle striature brillanti visibili sulla superficie. Callisto è dotato di una ionosfera, rilevata durante i sorvoli ravvicinati della sonda Galileo; i valori della densità elettronica, misurata in (7-17)×104 cm−3, non trovano spiegazione nella sola fotoionizzazione dell'anidride carbonica presente nell'atmosfera. Di conseguenza, si ritiene che l'atmosfera sia in realtà dominata da una seconda specie, presente in quantità 10 − 100 volte superiori rispetto alla CO2. Sebbene gli studiosi ritengano che possa trattarsi dell'ossigeno molecolare, non sono ancora riusciti a rilevarlo direttamente. Ciononostante, le osservazioni condotte con il telescopio spaziale Hubble hanno posto un limite superiore alla concentrazione dell'ossigeno (sulla base della sua mancata rilevazione) ancora compatibile con tale ipotesi. Il telescopio spaziale è invece riuscito ad individuare ossigeno condensato ed intrappolato sulla superficie della luna. Callisto si è formato probabilmente per lenta accrezione nella sub-nebulosa di Giove, un disco di gas e polveri che circondava il pianeta dopo la sua formazione. Tuttavia, a differenza di Ganimede è solo parzialmente differenziato, e questo è dovuto al fatto che probabilmente non si è mai riscaldato a sufficienza perché potesse sciogliersi la sua componente ghiacciata. La sua formazione è avvenuta in tempi stimabili da 100.000 a 10 milioni di anni. L'evoluzione geologica di Calisto dopo l'accrezione è determinata dall'equilibrio tra il riscaldamento radioattivo e il raffreddamento dovuto alla conduzione termica nei pressi della superficie e la convezione dello stato solido nell'interno del satellite. È noto che questa convezione si verifica quando la temperatura è abbastanza vicina al punto di fusione del ghiaccio ed è un processo lento, con movimenti del ghiaccio dell'ordine di 1 cm all'anno, tuttavia molto efficace per lunghi periodi temporali. La precoce convezione subsolida nell'interno di Callisto avrebbe impedito la fusione del ghiaccio su larga scala e la completa differenziazione, che avrebbe formato un nucleo roccioso circondato da un mantello di ghiaccio. A causa del processo di convezione, la lenta e parziale separazione e differenziazione di rocce e ghiacci all'interno Callisto è proceduta per miliardi di anni ed è possibile che stia continuando anche nell'epoca attuale. L'attuale comprensione dell'evoluzione di Callisto non pregiudica l'esistenza di un oceano di acqua liquida sotto la superficie, per via del comportamento "anomalo" del punto di fusione del ghiaccio, che diminuisce all'aumentare della pressione, e che arriva a 251 K (-22 °C) quando la pressione raggiunge i 2 070 bar. In tutti i modelli realizzati su Callisto la temperatura nello strato compreso tra 100 e 200 km di profondità è molto vicina, o supera leggermente, questa temperatura di fusione anomala. La presenza anche di piccole quantità di ammoniaca (1-2% della massa), garantirebbe l'esistenza del liquido poiché l'ammoniaca abbasserebbe ulteriormente la temperatura di fusione. A differenza del vicino Ganimede, che mostra un terreno variegato, Callisto non presenta evidenza di attività simili alla tettonica a placche. Pur trattandosi di due oggetti relativamente simili sembra che Callisto abbia avuto una storia geologica più semplice. Questa differenza è un problema di notevole interesse per la planetologia. Come Europa e Ganimede, si pensa che la vita microbica extraterrestre potrebbe esistere in un oceano salato sotto la superficie di Callisto. Tuttavia, le condizioni sembrano essere meno favorevoli su Callisto che su Europa. Le principali ragioni sono la mancanza di contatto con materiale roccioso e il minor flusso di calore proveniente dall'interno di Callisto. Lo scienziato Torrence Johnson, confrontando le probabilità di vita su Callisto e su altre lune galileiane a proposito disse:
«Gli ingredienti di base per la vita, che noi chiamiamo "chimica pre-biotica", sono abbondanti in molti oggetti del sistema solare, come le comete, gli asteroidi e lune ghiacciate. I biologi ritengono che l'acqua liquida e l'energia siano necessari per sostenere realmente la vita, quindi è emozionante trovare un altro posto dove esiste acqua allo stato liquido. Ma l'energia è un'altra cosa, e mentre l'oceano di Callisto viene riscaldato solo da elementi radioattivi, Europa ha dalla sua l'energia delle maree e la maggiore vicinanza a Giove.»
Sulla base di queste considerazioni e di altre osservazioni scientifiche, si pensa che di tutte le lune galileiane di Giove, Europa sia quella con la maggiore possibilità di sostenere la vita microbica.
I satelliti di Saturno
Le lune del "pianeta con gli anelli"
I satelliti naturali di Saturno sono numerosi, con dimensioni che vanno da piccole lune di meno di 1 km fino all'enorme Titano, più grande del pianeta Mercurio. Saturno ha 82 satelliti naturali con orbite confermate, 53 dei quali hanno un nome proprio e solo 13 con un diametro maggiore di 50 chilometri, gli ultimi satelliti naturali scoperti hanno tutti un diametro di circa 5 km e 17 di questi hanno un moto retrogrado, ovvero orbitano in senso opposto rispetto alla rotazione del pianeta sul proprio asse. Saturno, il pianeta con densi anelli con propri moti orbitali complessi, ha sette lune di dimensioni sufficientemente grandi da determinare una forma ellissoidale (anche se solo due, Titano e Rea, sono attualmente in equilibrio idrostatico). Tra le lune di Saturno particolarmente degne di nota vi sono Titano, la seconda luna più grande del sistema solare, con una ricca atmosfera di azoto e un paesaggio con laghi di idrocarburi e reti fluviali secche, ed Encelado, che emette getti di gas e polvere, e che potrebbe contenere acqua liquida nel sottosuolo della regione del suo polo sud. Ventiquattro delle lune di Saturno sono satelliti regolari; hanno orbite con moto diretto poco inclinate rispetto al piano equatoriale di Saturno. Esse comprendono i sette satelliti principali, quattro piccole lune collocate in un'orbita troiana con lune più grandi, due lune reciprocamente co-orbitali e due lune che fungono da pastori dell'anello F. Altri due satelliti regolari orbitano tra le lacune negli anelli di Saturno. Iperione, relativamente grande, è bloccata in risonanza orbitale con Titano. Le restanti lune regolari orbitano vicino al bordo esterno dell'anello A, all'interno dell'anello G e tra le lune maggiori Mimas e Encelado. I satelliti regolari hanno avuto il loro nome dai Titani o da altre figure associate alla mitologia di Saturno. Le altre 38 lune, tutte piccole tranne una, sono satelliti irregolari le cui orbite, fortemente inclinate e con moto diretto o retrogrado, sono molto più lontane da Saturno. Queste lune sono probabilmente pianeti minori catturati, oppure detriti dalla disintegrazione di pianeti minori dopo essere stati catturati, con formazione di famiglie collisionali. In base alle loro caratteristiche orbitali, i satelliti irregolari sono stati classificati nei gruppi Inuit, Nordico, e Gallico; i loro nomi sono stati scelti dalle relative mitologie. La più grande delle lune irregolari è Febe, la nona luna di Saturno, scoperta verso la fine del XIX secolo. Gli anelli di Saturno sono composti da oggetti di dimensioni che variano da microscopiche a centinaia di metri, ciascuno nella propria orbita attorno al pianeta. Pertanto, non può essere assegnato a Saturno un numero preciso di lune, in quanto non vi è un confine netto tra gli innumerevoli piccoli oggetti anonimi che popolano il sistema di anelli di Saturno e gli oggetti più grandi che sono stati designati come lune. Oltre 150 piccole lune immerse negli anelli sono state identificate dalle perturbazioni che creano nel materiale degli anelli circostanti, anche se esse rappresentano solo un piccolo campione della popolazione totale di questi oggetti. Prima dell'avvento della fotografia telescopica, otto lune di Saturno erano state scoperte attraverso l'osservazione diretta con telescopi ottici. La più grande luna di Saturno, Titano, fu scoperta nel 1655 da Christiaan Huygens utilizzando un obiettivo da 57 millimetri. montato su un telescopio rifrattore di sua progettazione. Teti, Dione, Rea e Giapeto (i "Sidera Lodoicea") furono scoperti tra il 1671 e il 1684 da Giovanni Domenico Cassini. Mimas e Encelado furono scoperti nel 1789 da William Herschel. Iperione fu scoperto nel 1848 da W.C. Bond, G.P. Bond e William Lassell. L'uso di lastre fotografiche a lunga esposizione ha reso possibile la scoperta di altri satelliti. Il primo ad essere scoperto con questa tecnica fu Febe, nel 1899 da William Henry Pickering. Nel 1966 il decimo satellite di Saturno, poi chiamato Giano, fu scoperto da Audouin Dollfus, quando gli anelli vennero osservati di taglio all'incirca a un equinozio. Pochi anni dopo ci si rese conto che tutte le osservazioni del 1966 potevano essere spiegate solo in presenza di un altro satellite con un'orbita simile a quella di Giano. Questo oggetto è oggi conosciuto come Epimeteo, l'undicesima luna di Saturno. Condivide la stessa orbita con Giano, con il quale rappresenta l'unico esempio conosciuto di lune co-orbitali del Sistema Solare. Nel 1980 tre altre lune di Saturno furono scoperte da terra e successivamente confermate dalle sonde Voyager. Sono il satellite troiano di Dione, (Elena), e quelli di Teti, (Telesto e Calipso). Da allora, lo studio dei pianeti esterni è stato rivoluzionato con l'uso delle sonde spaziali senza equipaggio. L'arrivo della sonda Voyager su Saturno nel 1980-1981 portò alla scoperta di altre tre lune, Atlas, Prometeo e Pandora, portando il totale a 17. Inoltre, Epimeteo fu confermato come distinto da Giano. Nel 1990, Pan fu scoperto nell'archivio immagini di Voyager. La missione Cassini, che arrivò a Saturno nell'estate del 2004, inizialmente scoprì tre piccole lune interne, Metone e Pallene tra Mimas e Encelado, e Polluce, la seconda luna lagrangiana di Dione. Inoltre osservò tre possibili lune, successivamente non confermate, nell'anello F. Nel novembre del 2004 gli scienziati di Cassini annunciarono che la struttura degli anelli di Saturno indicava la presenza di diverse altre lune che orbitavano all'interno degli anelli, sebbene uno solo, Dafni, fu confermato visivamente fino ad allora (2005). Nel 2007 fu annunciata Antea.[18] Nel 2008 fu segnalato che le osservazioni di Cassini relative a un impoverimento di elettroni energetici nella magnetosfera di Saturno vicino a Rea poteva essere la prova di un tenue sistema di anelli attorno alla seconda luna più grande di Saturno. Nel marzo 2009, fu annunciata l'esistenza di Egeone, una piccola luna all'interno dell'anello G. Nel luglio dello stesso anno, fu osservata S/2009 S 1, la prima piccola luna all'interno dell'anello B. Nell'aprile del 2014, è stato segnalato il possibile inizio di una nuova luna all'interno dell'anello A. Lo studio delle lune di Saturno è stato agevolato anche dai progressi nella strumentazione dei telescopi, soprattutto con l'introduzione dei dispositivi a carica accoppiata (CCD) digitali che hanno sostituito le lastre fotografiche. Per tutto il XX secolo, Febe è rimasta l'unica tra le lune conosciute di Saturno ad avere un'orbita fortemente irregolare. A partire dal 2000, tuttavia, tre dozzine di altre lune irregolari sono stati scoperte tramite telescopi terrestri. A partire dalla fine del 2000, un'indagine condotta utilizzando tre telescopi di medie dimensioni scoprì tredici nuove lune che orbitano Saturno a grande distanza, in orbite eccentriche molto inclinate sia rispetto all'equatore di Saturno che all'eclittica. Esse sono probabilmente frammenti di corpi più grandi catturati dall'attrazione gravitazionale di Saturno. Nel 2005, alcuni astronomi dell'Osservatorio di Mauna Kea annunciarono la scoperta di altre dodici lune esterne più piccole. Nel 2006, gli astronomi, utilizzando un telescopio Subaru di 8,2 m, segnalarono la scoperta di altre nove lune irregolari. Nell'aprile del 2007, fu annunciato Tarqeq (S/2007 S 1) e, nel maggio dello stesso anno, S/2007 S 2 e S/2007 S 3. I nomi moderni per le lune di Saturno furono proposti da John Herschel nel 1847. Egli propose di dar loro i nomi delle figure mitologiche associate al dio romano dell'agricoltura e del raccolto, Saturno (corrispondente al greco Crono). In particolare, i sette satelliti allora conosciuti presero il nome dai Titani, fratelli e sorelle di Saturno. Nel 1848 Lassell propose che l'ottavo satellite di Saturno fosse chiamato Iperione, un altro Titano. Quando nel XX secolo i nomi dei Titani furono esauriti, le lune presero il nome da personaggi della mitologia greca e romana o da giganti di altre mitologie. Tutte le lune irregolari (eccetto Febe) hanno nomi di divinità della mitologia inuit, di quella celtica e di giganti di ghiaccio della mitologia norrena. Alcuni asteroidi condividono gli stessi nomi delle lune di Saturno: 55 Pandora, 106 Dione, 577 Rea, 1809 Prometeo, 1810 Epimeteo e 4450 Pan. Inoltre, altri due asteroidi avevano condiviso i nomi di altrettante lune di Saturno fino a quando l'Unione Astronomica Internazionale (IAU) ha reso permanente le differenze di ortografia: Calipso e l'asteroide 53 Kalypso, Hélène e l'asteroide 101 Helena. Anche se le distinzioni possono apparire un po' vaghe, le lune di Saturno possono essere suddivise in dieci gruppi in base alle loro caratteristiche orbitali. Molti di loro, come Pan e Dafni, orbitano all'interno degli anelli di Saturno e hanno periodi orbitali solo leggermente più lunghi del periodo di rotazione del pianeta. Le lune più interne e parecchi satelliti regolari hanno tutti un'Inclinazione orbitale media che va da meno di un grado a 1,5° circa (tranne Giapeto che ha un'inclinazione di 7,57°) e una piccola eccentricità orbitale. D'altra parte, i satelliti irregolari nelle regioni più periferiche del sistema lunare di Saturno, in particolare il gruppo Nordico, hanno raggi orbitali di milioni di chilometri e periodi orbitali della durata di diversi anni. Inoltre, le lune del gruppo Nordico orbitano in direzione opposta alla rotazione di Saturno. Verso la fine di luglio del 2009 fu scoperta, dall'ombra che gettava, una piccola luna nell'anello B, a 480 km dal bordo esterno dell'anello. Il suo diametro fu stimato di 300 m. A differenza delle piccole lune dell'anello A (vedi sotto), essa non induce l'effetto 'elica', probabilmente a causa della maggior densità dell'anello B. Nel 2006, tra le immagini di Cassini dell'anello A, furono scoperte quattro minuscole lune. Prima di questa scoperta si conoscevano solo due lune grandi all'interno delle lacune dell'anello A: Pan e Dafni. Queste ultime hanno dimensioni tali da spazzare il materiale lasciando delle lacune nell'anello. Al contrario, una luna con massa ridotta è in grado di spazzare parzialmente solo due piccole lacune di circa 10 km nelle immediate vicinanze della luna stessa, creando una struttura a forma di elica di aeroplano. Le lune stesse sono minuscole, con un diametro che va da 40 a 500 metri, troppo piccole per essere osservate direttamente. Nel 2007, la scoperta di altre 150 piccole lune ha rivelato che (con l'eccezione di due che sono state viste al di fuori della Divisione di Encke) sono confinate in tre bande strette nell'anello A tra 126 750 e 132 000 km dal centro di Saturno. Ogni banda è larga circa un migliaio di chilometri, meno dell'1% della larghezza degli anelli di Saturno. Questa regione è relativamente libera da perturbazioni causate da risonanze con satelliti più grandi, anche se altre zone dell'anello A senza perturbazioni sono apparentemente prive di piccole lune. Le lune si formarono probabilmente a seguito della disintegrazione di un satellite più grande.[34] Si stima che l'anello A contenga 7000-8000 eliche con dimensioni superiori a 0,8 chilometri e alcuni milioni con dimensioni superiori a 0,25 km. Piccole lune di questo tipo potrebbero risiedere nell'anello F. Lì, "getti" di materiale possono essere dovuti a collisioni (avviate da perturbazioni della vicina piccola luna Prometeo) di queste piccole lune con il nucleo dell'anello F. Una delle piccole lune di maggiori dimensioni dell'anello F potrebbe essere l'oggetto non ancora confermato S/2004 S 6. Una delle lune scoperte di recente, Egeone, risiede all'interno dell'arco luminoso dell'anello G ed è bloccato in una risonanza di moto medio 7:6 con Mimas. Ciò significa che fa esattamente sette giri attorno a Saturno mentre Mimas ne fa esattamente sei. La luna è la più grande tra la popolazione dei corpi che sono fonte di polvere in questo anello. Nell'aprile del 2014, gli scienziati della NASA hanno segnalato il possibile inizio di una nuova luna all'interno dell'anello A del pianeta Saturno. Giano ed Epimeteo sono lune co-orbitali.[15] Esse sono di dimensioni quasi uguali, con Giano leggermente più grande di Epimeteo. Giano ed Epimeteo hanno orbite con semiassi maggiori che differiscono solo di pochi chilometri, così vicine che colliderebbero se tentassero di superarsi l'un l'altra. Invece di collidere, tuttavia, la loro interazione gravitazionale li forza a scambiarsi le orbite ogni quattro anni. Giano è un satellite naturale di Saturno, conosciuto come Saturno X, è stato chiamato in onore alla divinità romana Giano. Giano occupa essenzialmente la stessa orbita del satellite Epimeteo. Questa caratteristica ha provocato una certa confusione tra gli astronomi, che pensavano fosse presente un solo corpo in quella orbita. Infine si capì che i problemi provenivano dal tentativo di riconciliare le osservazioni di due corpi distinti, interpretandoli come un singolo oggetto. La scoperta di Giano è attribuita al suo primo osservatore: Audouin Dollfus il 15 dicembre 1966. All'epoca, l'oggetto appena scoperto fu chiamato temporaneamente S/1966 S 2. Precedentemente era stato fotografato il 29 ottobre 1966 da Jean Texereau senza saperlo[2]. Vennero effettuate osservazioni simili da Richard Walker, a cui è stata attribuita la scoperta di Epimeteo. Giano fu osservato in momenti diversi e gli vennero assegnati diversi nomi provvisori. Venne osservato dalla sonda Pioneer 11 mentre passava vicino a Saturno il 1º settembre 1979 quando la sua ombra venne rivelata da tre rilevatori di particelle energetiche (S/1979 S 2 Tom Gehrels e James A. van Allen). Venne successivamente osservato da Dan Pascu il 19 febbraio 1980 (S/1980 S 1) e in seguito, il 23 febbraio, da John W. Fountain, Stephen M. Larson, Harold J. Reitsema e Bradford A. Smith (S/1980 S 2). La sua esistenza venne infine confermata dalla sonda Voyager 1 il 1º marzo 1980. Quindi tutte queste persone condividono il merito della scoperta di Giano. Il nome proviene dalla divinità romana a due facce Giano, che gli venne attribuito ufficialmente nel 1983, anche se venne proposto in modo informale poco dopo la sua scoperta iniziale nel 1966. Nello stesso periodo venne attribuito anche il nome al satellite Epimeteo. Giano ed Epimeteo sono "co-orbitali": il raggio orbitale di Giano è attualmente solo di 50 km inferiore a quello di Epimeteo. Tali orbite, essendo molto vicine, hanno velocità maggiori e i due satelliti inevitabilmente si avvicinano e a prima vista sembrerebbe inevitabile una collisione. Tuttavia quando il satellite interno raggiunge il satellite esterno la loro mutua attrazione gravitazionale aumenta la quantità di moto della luna interna e aumenta la sua orbita, che causa un rallentamento. Nello stesso momento, il satellite esterno perde una quantità di moto uguale e scende in un'orbita inferiore, accelerando. Quindi i satelliti si "scambiano" le orbite e si separano nuovamente, senza sorpassarsi e senza neppure avvicinarsi eccessivamente dato che la loro distanza non è mai inferiore a 10000 km. Lo scambio avviene ogni quattro anni. In base alle attuali conoscenze, questa disposizione è unica nel sistema solare. Questa relazione tra le orbite può essere compresa come una applicazione del problema dei tre corpi, dove il terzo corpo è costituito da Saturno e le due lune hanno approssimativamente la stessa dimensione. Gli asteroidi troiani e l'orbita a ferro di cavallo di 3753 Cruithne rispetto alla Terra costituiscono altri esempi di questo problema, oltre a dozzine di altri oggetti. Giano ha molti crateri, alcuni dei quali più grandi di 30 km di diametro, ma poche strutture lineari. La superficie sembra più antica rispetto a quella di Prometeo ma più giovane di quella di Pandora. Dalla sua densità molto bassa e dalla sua relativamente alta albedo si pensa che Giano sia un corpo ghiacciato e poroso, tuttavia questi dati non sono certi, e devono essere confermati. Anche Epimeteo (in greco Επιμηθεύς), o Saturno XI, è un satellite naturale di Saturno. Deve il suo nome al titano Epimeteo della mitologia greca, figlio di Giapeto e di Climene. Epimeteo occupa essenzialmente la stessa orbita di Giano. Gli astronomi ritenevano inizialmente che ci fosse un solo corpo celeste in quell'orbita e incontravano difficoltà nel determinare le caratteristiche orbitali, tentando di conciliare le osservazioni di due corpi distinti considerandole come un oggetto singolo. È stato osservato da Audouin Dollfus il 15 dicembre 1966, che propose il nome "Giano" (Janus). Il 18 dicembre Richard Walker effettuò un'osservazione simile e per questo oggi viene riconosciuto come scopritore. Tuttavia all'epoca si pensava che ci fosse un solo satellite, conosciuto ufficiosamente come "Giano", che occupava quell'orbita. Dodici anni dopo, nell'Ottobre 1978, Stephen M. Larson e John W. Fountain capirono che le osservazioni del 1966 potevano essere spiegate dalla presenza di due oggetti distinti (Giano ed Epimeteo) che condividevano orbite molto simili. Questa ipotesi venne confermata nel 1980 dalla sonda Voyager 1, quindi Walker, Larson e Fountain vengono ufficialmente considerati come co-scopritori di Epimeteo. La scoperta della sonda Voyager era stata chiamata temporaneamente S/1980 S 3, e venne chiamata ufficialmente "Epimeteo" nel 1983, Il nome Giano fu approvato dalla IAU nello stesso anno, anche se il nome era stato usato ufficiosamente fin dalla proposta di Dollfus dal 1966. Su Epimeteo sono presenti diversi crateri con diametri maggiori di 30 km, assieme a piccole e grandi creste e solchi. L'estesa craterizzazione indica che Epimeteo dovrebbe essere piuttosto antico. Potrebbe derivare, assieme a Giano, da un singolo corpo successivamente disgregatosi in due oggetti distinti; in questo caso la disgrezione deve essere avvenuta nella fase iniziale della formazione del sistema satellitare. Dalla sua densità molto bassa e dalla sua relativamente alta albedo, si pensa che si tratti di un corpo ghiacciato e poroso, tuttavia questi dati non sono certi, e devono essere confermati. Il polo sud mostra quelli che sembrano i resti di un grande cratere da impatto che copriva gran parte della superficie del satellite e che potrebbe spiegare la forma un po' appiattita della parte meridionale di Epimeteo. Sembra che ci siano due tipi di terreno: il primo scuro e liscio, il secondo più brillante, un po' più giallastro e fratturato. È possibile che il materiale più scuro sia scivolato lungo i pendii e che abbia un contenuto di ghiaccio inferiore al materiale più chiaro. Entrambi potrebbero comunque contenere ghiaccio d'acqua. Nella regione di spazio occupata da Epimeteo e Giano è presente un tenue anello di polveri, come è stato rivelato dalle immagini in luce diffusa diretta riprese dalla sonda Cassini nel 2006. Questo anello ha un diametro di circa 5.000 km. L'anello è formato dalle polveri emesse dalla superficie del satellite in seguito ad impatti meteoritici, polveri che vanno a formare un anello diffuso attorno al percorso orbitale. Le grandi lune interne di Saturno orbitano all'interno del suo tenue anello E, insieme con tre lune più piccole del gruppo Alcionidi. Le quattro grandi lune interne di Saturno sono:
- Mimas (Μίμας in lingua greca), anche noto come Mima o Mimante, è uno dei principali satelliti naturali di Saturno. Con un diametro di 396 chilometri è il settimo satellite di Saturno e il ventunesimo del sistema solare per dimensione. Mimas è il corpo celeste più piccolo che si conosca ad avere forma sferica a causa del proprio campo di gravità. Mimas è la più piccola e meno massiccia delle quattro, anche se la sua massa è sufficiente a perturbare l'orbita di Metone. Ha una marcata forma ovoidale, essendo schiacciata ai poli e rigonfia all'equatore (di 20 km circa) per effetto della gravità di Saturno. Mimas ha un cratere da impatto largo un terzo del suo diametro, Herschel, situato nel suo emisfero anteriore. Mimas non ha attività geologica nel presente o nel passato, e la sua superficie è piena di crateri da impatto. Le uniche caratteristiche tettoniche conosciute sono alcune fossae arcuate e lineari, che probabilmente si formarono quando Mimas subì l'impatto di Herschel. Mimas venne scoperto il 17 settembre 1789 dall'astronomo tedesco William Herschel. Il satellite deve il suo nome al personaggio di Mimas, figlio di Gea secondo la mitologia greca; è anche designato Saturno I. Il nome di Mimas, come quelli degli altri sei satelliti di Saturno noti a metà del XIX secolo, fu suggerito da John Herschel, figlio dello scopritore, in una sua pubblicazione del 1847. Il nome Mimas (Mimante) era anche il nome del monte sul quale il filosofo Anassagora andava a stare in osservazione del cielo. Mimas è la più interna delle lune principali di Saturno: ha un semiasse maggiore di 185.539 km. Il suo periodo orbitale è pari a 0,942 giorni. Come la maggior parte delle lune di Saturno è in rotazione sincrona e volge quindi lo stesso emisfero verso Saturno. Mimas è responsabile della mancanza di materiale nella divisione di Cassini, poiché eventuali particelle che si trovassero ad orbitare in tale regione presenterebbero una risonanza orbitale 2:1 con esso (ovvero due rivoluzioni delle particelle corrisponderebbero esattamente a una rivoluzione di Mimas attorno a Saturno). La ripetizione periodica dell'influenza gravitazionale di Mimas porterebbe entro breve tempo ad una modifica dei parametri orbitali di tali particelle Mimas è anche in risonanza 2:1 con Teti, e in risonanza 2:3 con la piccola luna pastore dell'anello F, Pandora. La bassa densità di Mimas (1,17 volte quella dell'acqua) indica che è composto soprattutto da ghiaccio d'acqua, con solo una piccola quantità di roccia. A causa dell'attrazione mareale esercitata da Saturno, la forma di Mimas è quella di un ellissoide avente un asse maggiore circa il 10% più lungo di quello minore. La caratteristica più distintiva della sua superficie è un colossale cratere di impatto di 140 km di diametro, battezzato Herschel in omaggio allo scopritore di Mimas. Herschel si estende per circa un terzo del diametro dell'intero satellite; le sue pareti sono alte 5 km, in alcune parti è profondo fino a 10 km rispetto alla superficie circostante, e la sua vetta centrale si innalza per 6 km sopra la base del cratere. A titolo di confronto, un cratere terrestre che, in scala, fosse caratterizzato dalle stesse dimensioni di Herschel, avrebbe un diametro di 4.000 km (più largo del Canada). L'impatto che ha formato questo cratere ha quasi disgregato Mimas; sul lato opposto del satellite sono visibili alcune fratture causate dalle onde d'urto dell'impatto che hanno attraversato l'interno del corpo. La parte restante della superficie è ricca di crateri, sebbene nessuno si avvicini minimamente alla taglia di Herschel. La distribuzione dei crateri non è uniforme: la maggior parte delle zone equatoriali e tropicali è costellata di crateri più grandi di 40 km di diametro, mentre nella regione polare meridionale generalmente mancano crateri più grandi di 20 km. Questo suggerisce che qualche processo di natura geologica possa aver rimosso i crateri più significativi da tale regione.
- Encelado (pronuncia /enˈʧɛlado/; in greco Ἐγκέλαδος) è un satellite naturale di Saturno, scoperto il 28 agosto 1789 da William Herschel. È il sesto satellite naturale di Saturno in ordine di grandezza. Encelado è dopo Mimas la seconda luna più piccola di Saturno di forma sferica. Tra le lune piccole di Saturno è al momento l'unica con attività endogena, oltre ad essere il più piccolo corpo conosciuto nel Sistema Solare geologicamente attivo oggi. La sua superficie è morfologicamente diversificata, avendo sia antichi terreni craterizzati che giovani zone lisce con pochi crateri da impatto. Su Encelado diverse pianure sono fratturate e intersecate da sistemi di lineamenti. Cassini ha scoperto che la zona intorno al polo sud è stranamente calda e tagliata da un sistema di fratture di 130 km circa di lunghezza chiamato "strisce di tigre", alcune delle quali emettono getti di vapore acqueo e polvere. Questi getti formano un esteso pennacchio sopra al polo sud, che inonda l'anello E di Saturno e costituisce la principale fonte di ioni della magnetosfera di Saturno. Il gas e la polvere vengono rilasciati a una velocità di oltre 100 kg/s. Encelado potrebbe avere acqua liquida sotto la superficie al polo sud. Si ritiene che la fonte di energia di questo criovulcanismo sia una risonanza di moto medio 2:1 con Dione. Il ghiaccio puro sulla superficie rende Encelado uno degli oggetti più brillanti del sistema solare, con un'albedo geometrica superiore al 140%. Fino al passaggio delle due sonde Voyager, all'inizio degli anni 1980, le caratteristiche di questo corpo celeste erano poco conosciute, a parte l'identificazione di ghiaccio d'acqua sulla superficie. Le sonde hanno mostrato che questo satellite ha un diametro di soli 500 km e riflette quasi il 100% della luce solare. La Voyager 1 ha permesso di scoprire che Encelado orbita nella regione più densa dell'anello E di Saturno mentre Voyager 2 ha rivelato che nonostante le sue piccole dimensioni il satellite presenta regioni che variano da superfici antiche con molti crateri da impatto a zone recenti datate circa 100 milioni di anni. Nel 2005, grazie a diversi voli ravvicinati della sonda Cassini, sono stati rivelati dettagli della superficie che hanno risposto a molte delle domande aperte dalle sonde Voyager e ne hanno poste di nuove. In particolare la sonda ha scoperto un pennacchio ricco d'acqua che si erge nella regione polare sud. Questa scoperta, assieme alla presenza di fuoriuscite di calore interno e di pochi crateri da impatto nel polo sud, indica che Encelado è attualmente geologicamente attivo. Le lune nei sistemi dei giganti gassosi sono spesso intrappolate in risonanze orbitali che comportano delle librazioni forzate o a eccentricità orbitali; la vicinanza con il pianeta madre può indurre inoltre il riscaldamento del satellite generato dalle forze mareali. Encelado è uno dei tre corpi celesti del sistema solare esterno (assieme alla luna Io di Giove e la luna Tritone di Nettuno) dove sono state osservate delle eruzioni attive. Le analisi dei gas emessi suggeriscono che siano stati generati da acqua liquida situata sotto la superficie. Assieme alle analisi chimiche del pennacchio, queste scoperte hanno alimentato le ipotesi che Encelado sia un importante soggetto di studio nel campo dell'esobiologia. Inoltre è stato suggerito che Encelado sia la fonte dei materiali dell'anello E. Il nome di questo satellite deriva dall'Encelado della mitologia greca. È designato anche Saturno II o II S Encelado. Il nome "Encelado", e i nomi di tutti i sette satelliti di Saturno allora conosciuti, furono suggeriti dal figlio di William Herschel, John Herschel, nella sua pubblicazione del 1847 sui risultati delle osservazioni astronomiche fatte a Capo di Buona Speranza. Fu scelto questo nome perché nella mitologia antica Saturno, noto anche come Crono, era il capo dei Titani. Le caratteristiche di Encelado hanno ricevuto il nome dalla IAU in base ai personaggi e i luoghi del libro Le mille e una notte. I crateri da impatto sono chiamati in base ai personaggi, mentre le altre strutture come Fossae (depressioni o fosse), Dorsa (creste), Planitiae (pianure) e Sulci (lunghe scanalature parallele) prendono la denominazione dei luoghi. Hanno ricevuto ufficialmente il nome dalla IAU 57 caratteristiche, di cui 22 dopo i sorvoli delle sonde Voyager e 35 nel novembre 2006 dopo i tre sorvoli della sonda Cassini del 2005. Alcuni dei nomi che sono stati conferiti sono Samarkand Sulci, il cratere Aladdin, Daryabar Fossa e Sarandib Planitia. Encelado è stato scoperto da Fredrick William Herschel il 28 agosto 1789, con l'uso del suo nuovo telescopio da 1,2 m, il più grande del mondo in quel tempo. Herschel ha osservato per la prima volta questo satellite nel 1787, ma non lo riconobbe con il suo piccolo telescopio da 16,5 cm di apertura. La debole magnitudine (circa +11,7) e la sua vicinanza al brillante Saturno e ai suoi anelli, rendono difficile l'osservazione di Encelado dalla Terra e richiede un telescopio con un'apertura di 15-30 cm, a seconda delle condizioni atmosferiche e dell'inquinamento luminoso della zona di osservazione. Come molti satelliti di Saturno scoperti prima dell'era spaziale, venne osservato per la prima volta quando gli anelli di Saturno sono posizionati "di taglio" rispetto alla Terra, ovvero quando il nostro pianeta è all'interno del piano degli anelli durante l'equinozio del gigante gassoso. In questi periodi la luminosità degli anelli è ridotta e facilita l'osservazione di Encelado. Prima del programma Voyager, sono stati compiuti pochi miglioramenti nella visione del satellite rispetto al punto luminoso visto da Herschel ed è stato possibile stimare solo le caratteristiche orbitali, la massa, la densità e l'albedo. Le prime immagini ravvicinate sono state ottenute dalle sonde Voyager. Voyager 1 è stata la prima a sorvolare il satellite a una distanza di 202000 km il 12 novembre 1980. Le immagini acquisite da questa distanza hanno una risoluzione spaziale bassa ma hanno rivelato una superficie altamente riflettente priva di crateri da impatto, che ne ha suggerito un'età relativamente recente. Voyager 1 confermò anche che Encelado è circondato dalla regione a maggiore densità dell'anello E di Saturno. In combinazione con la recente formazione della superficie, gli scienziati hanno dedotto che l'anello E si sarebbe generato dalle particelle emesse dalla superficie del satellite. La Voyager 2 ha sorvolato Encelado da una distanza inferiore (87010 km) il 26 agosto 1981, cosa che ha permesso la ripresa di immagini a risoluzione superiore. Esse hanno rivelato la giovane natura della sua superficie. La superficie presenta diverse regioni con differenti età, tra cui una zona a latitudini medio-alte con molti crateri e un'altra con pochi crateri vicino all'equatore. Questa diversità geologica contrasta con la superficie antica e coperta di crateri di Mimas, un altro satellite di Saturno con dimensioni leggermente inferiori. La giovane epoca di formazione geologica fu una grande sorpresa per la comunità scientifica, poiché nessuna teoria era in grado di spiegare come un corpo celeste così piccolo (e freddo, paragonato a Io) poteva avere segni di una tale attività. Tuttavia Voyager 2 non riuscì a determinare se Encelado era attivo oppure se era la sorgente dei materiali dell'anello E. La risposta a questi e altri interrogativi ha dovuto attendere fino all'arrivo della sonda Cassini che entrò in orbita di Saturno il 1º luglio 2004. Dati i risultati ricavati dalla sonda Voyager 2, Encelado venne considerato una priorità nelle indagini di Cassini e vennero pianificati diversi sorvoli ravvicinati entro 1500 km di distanza e vari sorvoli "di opportunità" a una distanza inferiore a 100000 km. I sorvoli già compiuti hanno rivelato importanti informazioni sulla superficie, come la scoperta di vapore acqueo che si sprigiona dalla regione polare sud. Queste scoperte hanno imposto delle correzioni del piano di volo della sonda per effettuare sorvoli più ravvicinati. Encelado è uno dei più grandi satelliti interni di Saturno, il quattordicesimo in ordine di distanza, e orbita all'interno dell'anello E, il più esterno di Saturno. La distanza dal centro del pianeta madre è di 238000 km e di 180000 km dal confine dell'atmosfera, tra le orbite di Mimas e Teti. L'orbita richiede 32,9 ore per effettuare una rotazione (l'orbita è sufficientemente veloce per rendere osservabile il movimento del satellite durante una singola notte). La risonanza orbitale è in rapporto di 2:1 con quella di Dione, compiendo due orbite per ogni orbita effettuata da Dione. Questa risonanza aiuta a mantenere l'eccentricità orbitale di 0,0047 e fornisce l'energia per l'attività geologica. Come molti dei satelliti maggiori di Saturno, ha una rotazione sincrona con il periodo orbitale, mantenendo una faccia puntata sempre verso Saturno. A differenza della Luna, Encelado non sembra possedere un movimento di librazione attorno al suo asse di rotazione; tuttavia le analisi della forma di questo corpo celeste suggeriscono che in qualche momento abbia posseduto una librazione forzata. Essa potrebbe aver costituito un'ulteriore fonte di energia. L'anello E è il più esterno ed esteso tra gli anelli di Saturno. Costituito da materiali microscopici composti da polvere e ghiaccio, si estende dall'orbita di Mimas e Teti, anche se alcune osservazioni suggeriscono che possa estendersi oltre l'orbita di Titano, con una larghezza di 1000000 km. I modelli matematici hanno tuttavia mostrato che un tale anello sarebbe instabile, e avrebbe una vita compresa tra 10 000 e 1 000 000 di anni. Per questo motivo dovrebbe essere costantemente rifornito di particelle. Encelado orbita all'interno di questo anello, nel punto dove è più stretto ma possiede maggiore densità, ed è stato ipotizzato che sia la fonte principale delle particelle dell'anello. Questa ipotesi è stata confermata da un sorvolo della sonda Cassini. Ci sono di fatto due meccanismi che riforniscono l'anello con le particelle: la prima, e probabilmente la più importante fonte di materiali proviene dal pennacchio criovulcanico nella regione polare sud, siccome la velocità di fuga del satellite è bassa (solo 866 km/h). Il secondo meccanismo proviene dal bombardamento meteorico del satellite che solleva particelle di polvere dalla superficie. Questo fenomeno non è unico, ma è presente per tutte le lune di Saturno che orbitano all'interno dell'anello E. Encelado è un satellite relativamente piccolo, con un diametro medio di 505 km, solo un settimo del diametro della Luna. La massa e le dimensioni lo rendono il sesto satellite più grande di Saturno dopo Titano (5 150 km), Rea (1 530 km), Giapeto (1 440 km), Dione (1 120 km) e Teti (1 050 km), oltre a essere uno dei più piccoli satelliti di forma sferica. La forma è di un ellissoide schiacciato e le dimensioni (calcolate dalle immagini riprese dagli strumenti della sonda Cassini) sono di 513(a)×503(b)×497(c) km dove (a) corrisponde al diametro in direzione di Saturno, (b) al diametro tra il polo più lontano e il più vicino lungo l'orbita e (c) alla distanza tra i poli nord e sud. Almeno cinque tipi diversi di terreno sono stati identificati su Encelado. Oltre ai crateri, ci sono pianure lisce, estese fessure lineari e catene montuose. Una parte della superficie è relativamente giovane, probabilmente meno di 100 milioni di anni. Questo significa che Encelado è stato recentemente attivo con qualche tipo di criovulcanismo o altro processo di rinnovamento della superficie. Il recente e pulito ghiaccio che domina la sua superficie dà a Encelado l'albedo più alto di qualunque altro corpo nel sistema solare, 0,99[17]. Poiché riflette così tanta luce solare, la temperatura di superficie media è di soli -201 °C. Encelado è troppo piccolo per essere ancora scaldato dal decadimento radioattivo al suo interno. Encelado è in risonanza orbitale 2:1 con Dione, in modo simile a ciò che accade tra Io ed Europa, e questo può offrire un meccanismo di riscaldamento mareale; tuttavia è probabilmente insufficiente per sciogliere il ghiaccio d'acqua. Perciò Encelado potrebbe essere composto di qualche materiale con punto di fusione più basso, invece che dall'acqua pura, sebbene nessuna traccia di tale materiale è stata finora trovata dal VIMS (Spettrometro visuale e infrarosso) della Cassini. Comunque ci sono fessure, pianure, terreno corrugato e altre deformazioni della crosta che indicano che l'interno della luna può essere liquido, anche se sarebbe dovuto gelare miliardi di anni fa. Le osservazioni effettuate nel 2005 dalla sonda Cassini hanno rivelato ulteriori caratteristiche della superficie, ad esempio le pianure lisce osservate dalla Voyager 2 sono state riprese a una maggiore risoluzione, rivelando delle regioni relativamente libere da crateri che presentano molte piccole creste e scarpate. Inoltre, le diverse fratture all'interno delle regioni più antiche e ricoperte di crateri hanno suggerito che la superficie deve essere stata soggetta a deformazioni successive alla formazione dei crateri e sono state scoperte diverse aree in parti del satellite che non erano state riprese dalla sonda Voyager, tra cui lo strano terreno presente vicino al polo sud. I crateri da impatto sono comuni in molti corpi del sistema solare. Gran parte della superficie di Encelado presenta crateri. Dai dati della Voyager sono stati identificate tre diverse unità geologiche nella topografia dei crateri in base alla densità dei crateri stessi, da ct1 e ct2 che contengono crateri di diametro variabile tra i 10 e 20 km e diversi gradi di degradazione a cp che si riferisce a pianure caratterizzate da pochi crateri. Questa suddivisione suggerisce che Encelado ha rinnovato la sua superficie durante diverse fasi.Le osservazioni più recenti della Cassini hanno permesso uno sguardo più approfondito alle unità ct2 e cp. Queste osservazioni, rivelano che molti crateri di Encelado sono stati fortemente deformati attraverso delle fratture e dei rilassamenti viscosi (Viscous relaxation). Questi ultimi provocano la deformazione di strutture geologiche come i crateri che si sono formati sul ghiaccio d'acqua durante periodi geologici a causa degli effetti gravitazionali. I crateri che subiscono questo effetto tendono ad avere il fondo a forma di cupola o sono costituiti solo dal rialzamento del bordo circolare dalla superficie. Il grande cratere Dunyazad è un primo esempio di questo fenomeno e presenta un fondo a forma di cupola. Inoltre molti altri crateri sono stati modificati dalle fratture tettoniche: le fratture sono larghe da diversi centinaia di metri fino a un chilometro e hanno alterato pesantemente il bordo e il fondo del cratere. Quasi tutti i crateri di Encelado ripresi dalla sonda Cassini nella unità geologica ct2 mostrano segni di deformazione tettonica. Queste due deformazioni dimostrano che, mentre i terreni che presentano molti crateri sono regioni più antiche, quasi tutti i crateri sono in qualche fase di degradazione. La Voyager 2 ha rilevato diversi fenomeni geologici, e le analisi più recenti suggeriscono che il tipo di deformazione predominante è quello della tettonica a zolle. Uno degli esempi più significativi è costituito da canyon che raggiungono i 200 km di lunghezza, da 5 a 10 km di larghezza e un chilometro di profondità. Un ulteriore esempio è un tipo di terreno scanalato costituito da scanalature e creste curvilinee. Queste bande, scoperte dalla Voyager 2 spesso separano le pianure lisce dalle regioni ricoperte da crateri. Queste aree ricordano dei fenomeni analoghi presenti su Ganimede, anche se su Encelado la topografia appare più complessa: invece di essere rettilinee, queste strisce di terreno appaiono come bande allineate in modo rozzo e a volte sembrano piegarsi verso l'alto con fratture e creste che scorrono lungo la loro lunghezza. Oltre alle fratture profonde e i terreni scanalati, Encelado presenta altri tipi di terreni: fratture più strette (larghe qualche centinaia di metri) che sono state scoperte per la prima volta dalla sonda Cassini. Queste fratture sono state osservate in bande che tagliano dei terreni con molti crateri, con profondità di qualche centinaio di metri. Molte sembrano essere state influenzate durante la loro formazione dalla friabile regolite prodotta dai crateri da impatti. Alcune scanalature lineari osservate dalla Voyager sono state riprese a una risoluzione maggiore e scorrono da nord verso sud. Su Encelado sono state anche osservate delle creste, anche se non si estendono come quelle presenti su Europa. Le prime pianure lisce osservate dalla Voyager 2 erano caratterizzate da bassi rilievi e pochi crateri, particolari che indicano un'età relativamente recente. In una di esse, chiamata Sarandib Planitia, non sono visibili crateri da impatto, mentre a sudovest si trovano delle scarpate. Si è notato che queste pianure sono ricoperte da creste basse e fratture. Queste caratteristiche sono interpretate come l'effetto di deformazioni dette sforzi di taglio. Le immagini ad alta risoluzione di Sarandib Planitia hanno rivelato inoltre piccoli crateri, che permettono di stimare l'età in 170 milioni di anni o 3,7 miliardi di anni, a seconda della popolazione degli oggetti impattatori. La maggiore copertura fornita dalla Cassini ha permesso l'identificazione di ulteriori regioni dove sono presenti aree lisce e piane, in particolare sull'emisfero anteriore (il lato del satellite che è diretto verso il moto mentre il corpo celeste orbita attorno a Saturno). Queste nuove zone non presentano basse creste ma numerose fosse e creste che si incrociano similmente alla regione polare sud. Quest'area è nell'emisfero opposto rispetto alle pianure Sarandib e Diyar, quindi queste regioni potrebbero essere state influenzate dagli effetti di marea provocati da Saturno. Il 14 luglio 2005 sono state riprese immagini che rivelavano una regione deformata circondante il polo sud di Encelado. Questa area, che raggiunge a nord la latitudine di 60° sud, è coperta da fratture e creste, con pochi crateri. Si pensa che sia la regione più giovane del satellite e di tutte le altre lune ghiacciate di dimensioni medie: i modelli riguardanti il tasso di crateri suggeriscono che l'età sia inferiore a 10-100 milioni di anni. Vicino al centro sono presenti quattro fratture chiamate Tiger stripes limitate da creste su entrambe le estremità. Queste fratture sembrano le strutture più giovani della regione e sono circondate da ghiaccio d'acqua a grani grezzi, che in falsi colori è di colore verde menta, che è stato osservato in altri punti della superficie all'interno di affioramenti e fratture. La regione è sufficientemente giovane da non essere stata ricoperta dal ghiaccio a grani fini proveniente dall'anello E. I risultati spettrografici indicano che il materiale di colore verde presente in questa regione è distinto chimicamente dal resto dei materiali presenti sulla superficie. Infatti è stato rilevato ghiaccio cristallino, che potrebbe essere molto recente (inferiore a 1 000 anni) oppure alterato termicamente nel recente passato. Sono stati rilevati anche composti organici semplici nella regione, che non sono stati finora trovati in nessun altro satellite. I confini della regione polare sud sono contrassegnati da una serie di valli e creste parallele a forma di Y o di V. La forma, l'orientamento e la posizione di queste strutture indicano che sono state generate dal cambiamenti globali della forma di Enceladus. Attualmente sono state formulate due teorie che possono spiegare una tale modifica della superficie. La prima teoria indica che l'orbita potrebbe essere stata postata verso l'interno, aumentando la velocità di rotazione, e provocando l'appiattimento lungo l'asse di rotazione di Encelado. Una seconda ipotesi suggerisce che un eventuale spostamento verso l'alto di una massa di materiale caldo e a bassa densità all'interno del satellite potrebbe aver spostato la regione che si trovava alle latitudini medie verso la regione polare. Una conseguenza della teoria dell'appiattimento lungo l'asse è che entrambe le regioni polari dovrebbero avere lo stesso andamento di deformazione, tuttavia la regione polare nord presenta molti crateri e ha un'età molto superiore a quella del polo sud. Questo potrebbe essere spiegato da variazioni nello spessore della litosfera, supportate dalle correlazioni tra le discontinuità a forma di Y e le cuspidi a forma di V lungo la regione polare sud. Le discontinuità a forma di Y e le fratture che sono state provocate dalla tensione lungo la direzione nord sud sono correlate con il terreno di età minore con una litosfera più sottile. Le cuspidi a forma di V sono adiacenti a terreni più antichi e contenenti più crateri. A seguito dei sorvoli della Voyager nei primi anni 1980, gli scienziati ipotizzarono che la luna poteva essere geologicamente attiva, a causa della sua superficie giovane e riflettente e la sua posizione all'interno dell'anello E. Basandosi sulla connessione tra Encelado e l'anello E, si pensò che Encelado fosse la fonte dei materiali dell'anello, forse attraverso emissioni di vapore acqueo dall'interno del satellite. Tuttavia le sonde Voyager non riuscirono a trovare delle prove definitive. I dati forniti dai numerosi strumenti della sonda Cassini hanno permesso di rilevare nel 2005 fenomeni di criovulcanismo. In questi fenomeni i materiali eruttati sono acqua e altri elementi volatili, invece di magma. Dalle immagini riprese tra gennaio e febbraio dalla sonda Cassini venne osservato infatti un pennacchio di particelle ghiacciate dal polo sud del satellite, anche se in un primo momento venne ipotizzata la presenza di un artefatto sull'immagine. I dati provenienti dai magnetometri fornirono un indizio che il fenomeno potesse essere reale quando trovarono i segni di un'atmosfera su Encelado. Il magnetometro infatti registrò un aumento dell'energia delle onde elettrostatiche degli ioni nei pressi di Encelado. Queste onde sono prodotte dall'interazione delle particelle ionizzate con i campi magnetici e la loro frequenza può essere usata per identificare la composizione, che in questo caso era vapore acqueo. Durante i successivi due incontri, il team scientifico determinò che i gas nell'atmosfera del satellite erano concentrati nella regione polare sud, con una densità atmosferica che scendeva man mano che ci si allontanava dal polo. Lo spettrografo a ultravioletti ha confermato questo risultato osservando sue occultazioni stellari durante i sorvoli del 17 febbraio e del 14 luglio. A differenza dei magnetometri, quest'ultimo strumento non ha rilevato l'atmosfera durante il sorvolo di febbraio ma ha invece rilevato vapore acqueo sopra la regione polare sud a luglio. Fortuitamente, la sonda ha volato attraverso questa nube di gas durante l'incontro di luglio permettendo l'analisi diretta da parte degli strumenti Ion and Neutral Mass Spectrometer (INMS) e il Cosmic Dust Analyser (CDA). Mentre il primo ha misurato la composizione dei gas, rilevando per la maggior parte vapore acqueo assieme a elementi minori come azoto, metano e anidride carbonica[30], il Cosmic Dust Analyzer ha rilevato un notevole incremento del numero di particelle attorno a Encelado, confermando che la luna è la fonte primaria dei materiali dell'anello E. Le analisi dei due strumenti hanno suggerito che la nube di gas attraversata dalla sonda era in realtà un pennacchio criovulcanico ricco d'acqua proveniente dalla regione polare. A novembre 2005 è giunta la conferma visuale dell'emanazione delle particelle, quando la sonda ha ripreso un pennacchio di particelle ghiacciate mentre fuoriusciva dalla regione polare sud (un pennacchio era stato ripreso in precedenza, ma per la conferma definitiva erano necessarie ulteriori analisi). Queste immagini mostrano la struttura del pennacchio e rivelano numerosi getti (forse generati da diversi punti di emissione) all'interno di una componente più debole e diffusa che si estende a circa 500 km dalla superficie, rendendo Encelado il quarto corpo del sistema solare con attività vulcanica confermata (assieme alla Terra, a Tritone e Io). L'analisi combinata delle immagini, della spettrografia di massa e di dati magnetosferici hanno suggerito che il pennacchio viene emanato da camere pressurizzate sottosuperficiali, analogamente ai geyser terrestri. Poiché non è stata rilevata ammoniaca nei materiali espulsi, che poteva fungere da anticongelante, le camere pressurizzate potrebbero essere costituite da acqua pura liquida a una temperatura di 270 K. L'acqua pura richiederebbe più energia per fondere, proveniente da forze mareali o sorgenti radiogeniche, rispetto a un misto di acqua e ammoniaca. Un altro metodo possibile per generare un tale fenomeno è attraverso la sublimazione di ghiaccio superficiale. Il 14 luglio 2005 il Composite Infrared Spectrometer (CIRS) ha rilevato una regione calda vicino al polo sud, con temperature attorno agli 85-90 K e delle piccole aree che raggiungevano i 157 K. Queste temperature sono troppo elevate per essere causate dal riscaldamento solare, quindi alcune zone della regione polare sono riscaldate dall'interno del satellite. In tali condizioni il ghiaccio è caldo a sufficienza per sublimare a una velocità superiore rispetto alla superficie, generando un pennacchio. Lo strato sottosuperficiale che riscalda il ghiaccio di superficie potrebbe essere una fanghiglia mista di acqua e ammoniaca a temperature di 170 K, che richiederebbe meno energia per produrre il getto. Tuttavia, l'abbondanza di particelle nei pennacchi favorisce il modello a "geyser freddo", invece del modello della sublimazione del ghiaccio. In alternativa, Kieffer et al. (2006) ha suggerito che i geyser potrebbero essere generati da clatrati idrati, dove anidride carbonica, metano e idrogeno vengono rilasciati quando sono esposti al vuoto dello spazio dalle fratture. Questa ipotesi non richiederebbe l'energia per sciogliere il ghiaccio richiesta dal modello a "geyser freddo", e spiegherebbe anche la mancanza di ammoniaca. Nel gennaio del 2020 un team di scienziati guidati da Christopher Glein dello Southwest Research Institute (SwRI) ha fornito nuovi indizi sulla possibile presenza di vita nell'oceano nascosto di Encelado. Basandosi sull'analisi dei dati provenienti dalla sonda Cassini, gli studiosi hanno evidenziato come l'anidride carbonica presente nei geyser potrebbe derivare dalle reazioni chimiche che avvengono tra il nucleo roccioso della luna e l'acqua dell'oceano. Sempre nei geyser è stata identificata la presenza di silice e idrogeno molecolare, spie della presenza di sorgenti idrotermali sul fondale. Nel marzo del 2005 la NASA ha annunciato che un magnetometro sull'orbiter della sonda spaziale Cassini ha scoperto un'atmosfera significativa su Encelado, che potrebbe essere vapore acqueo ionizzato. Nel 2006 la NASA ha confermato l'osservazione di sbuffi di vapore d'acqua dalla superficie del satellite: si tratta della prima osservazione certa di acqua non ghiacciata al di fuori della Terra. La Cassini ha compiuto un primo fly-by il 17 febbraio 2005, un secondo e più ravvicinato il 9 marzo 2005. Poiché la gravità di Encelado è troppo debole per trattenere un'atmosfera, essa deve essere rifornita da qualche fonte, la Nasa ha ipotizzato vulcani di ghiaccio o geyser. Sebbene l'atmosfera è stata descritta dai suoi scopritori come "significativa", la definizione è valida solamente se paragonata alle altre lune ghiacciate; l'atmosfera di Encelado è milioni di volte più sottile di quella della Terra, ed è invisibile alla Cassini. Prima della missione Cassini-Huygens era poco nota la struttura interna di Encelado, ma i recenti sorvoli della sonda hanno fornito varie informazioni per modellare l'interno del satellite, tra cui una migliore misurazione della massa e della forma tridimensionale dell'ellissoide, le osservazioni ad alta risoluzione della superficie e nuove scoperte nella geochimica del corpo celeste. Le stime della massa effettuate dalle sonde Voyager suggerivano che Encelado fosse costituito quasi interamente di ghiaccio. In base agli effetti gravitazionali sulla sonda Cassini è stata stimata una massa molto superiore rispetto ai dati precedenti, ricavando una densità di circa 1,61 g/cm3. Questo dato è superiore a quello delle altre lune ghiacciate di media dimensione di Saturno, indicando che Encelado possiede una percentuale superiore di silicati e ferro. Ne consegue che l'interno del satellite potrebbe aver generato una maggiore quantità di calore dal decadimento degli elementi radioattivi. Castillo et al. 2005 suggerì che Giapeto e le altre lune ghiacciate di Saturno si siano formate velocemente dopo la formazione della nebulosa saturniana e quindi ricche di radionuclei con vita breve. Questi, come l'alluminio-26 e il ferro-60 hanno un tempo di dimezzamento breve e producono calore in un tempo relativamente breve. Senza questi radionuclei brevi, l'ammontare di radionuclei a vita lunga non sarebbe stato sufficiente per evitare il congelamento rapido dell'interno, anche considerando la maggiore massa. Data la frazione relativamente elevata della massa composta di roccia, l'arricchimento di 26Al e 60Fe avrebbe generato un corpo celeste con un mantello ghiacciato e un nucleo planetario roccioso. Il successivo riscaldamento dovuto agli effetti di marea e dalla radioattività avrebbe innalzato la temperatura del nucleo fino a 1 000 K, sufficiente a fondere il mantello interno. Tuttavia si sarebbe fuso anche parte del nucleo, formando delle camere magmatiche che si sarebbero modificate sotto la pressione gravitazionale di Saturno. Il riscaldamento da marea, come quello generato dalla risonanza con Dione o dalla librazione avrebbe sostenuto questi punti caldi fino a oggi e avrebbe fornito energia per le attività geologiche. Sul finire del 2008, gli scienziati hanno osservato pennacchi di vapore acqueo fuoriuscire dalla superficie di Encelado, dirigendosi poi verso Saturno. Questo fenomeno potrebbe essere dovuto alla presenza di acqua liquida, e ciò significa che Encelado potrebbe essere in grado di supportare la vita. Candice Hansen, una ricercatrice del Jet Propulsion Laboratory, ha diretto un gruppo di ricerca sui pennacchi dopo che è stato scoperto che questi raggiungono la velocità di circa 2 189 km/h. Siccome tale velocità è difficile da ottenere se non sono coinvolti liquidi, è stato deciso di investigarne la composizione. Si è scoperto così che nell'anello E circa il 6% delle particelle contiene una quantità significativa di sali di sodio, lo 0,5-2% in massa. Nella regione dei getti vicina a Encelado la frazione delle particelle "salate" aumenta del 70% in numero e più del 99% in massa. Queste particelle sono presumebilmente spray ghiacciato proveniente dall'oceano salato nel sottosuolo, mentre le particelle povere di sale si formano per nucleazione omogenea direttamente dalla fase gassosa. Le sorgenti delle particelle salate sono distribuite uniformemente lungo le "tiger stripes", mentre le sorgenti delle particelle più "dolci" sono collegate ai getti ad alta velocità. Le particelle "salate" si muovono lentamente e per la gran parte ricadono sulla superficie della luna, al contrario di quelle più "dolci", che essendo più veloci fuggono verso l'anello E, spiegando così la sua composizione debolmente salata. La composizione dei pennacchi suggerisce che la loro origine sia un oceano salato sotto la superficie, o comunque una serie di cavità contenenti acqua salata. Ipotesi alternative, quali la sublimazione dei clatrati idrati, non spiegano la formazione delle particelle salate. In aggiunta, Cassini ha trovato tracce di componenti organici in alcuni granelli di polvere, Encelado potrebbe quindi ospitare vita extraterrestre. La presenza di acqua liquida al di sotto della crosta implica che ci sia una sorgente di calore interna per mantenerla in tale stato: si pensa sia una combinazione tra il decadimento radioattivo e il riscaldamento mareale, in quanto quest'ultimo da solo non è sufficiente per spiegare tutto il calore. Mimas, un'altra della lune di Saturno, è più vicina al pianeta e ha un'orbita più eccentrica, e di conseguenza dovrebbe essere sottoposta a forze mareali maggiori di quelle di Encelado, ma la sua superficie vecchia e segnata implica che sia geologicamente morta. Nell'aprile del 2014 è apparsa la notizia su Science che nuove prove sono emerse a sostegno dell'ipotesi dell'oceano di acqua liquida sotto la superficie ghiacciata. Da studi effettuati sulle analisi gravitazionali effettuate dalla sonda Cassini gli astronomi affermano che esiste nell'emisfero meridionale del pianeta un oceano 30-40 km sotto lo strato superficiale di ghiaccio, profondo 8 km e la cui massa totale è paragonabile a quella del Lago Superiore della Terra. Come il nucleo della luna, il fondale marino potrebbe essere roccioso, e questo creerebbe un ambiente favorevole ad alcune forme di vita. I dati della navicella spaziale Cassini hanno rivelato complesse molecole organiche provenienti da Encelado, rafforzando l'idea che questo mondo oceanico ospiti condizioni adatte alla vita. Potenti bocche idrotermali mescolerebbero il materiale proveniente dal nucleo poroso pieno d'acqua della luna con l'acqua proveniente dal suo oceano sottosuperficiale. Tale materiale viene rilasciato nello spazio, sotto forma di vapore acqueo e grani di ghiaccio. Visto da un ipotetico osservatore sulla superficie di Encelado, Saturno avrebbe un diametro visibile di almeno 30°, sessanta volte più grande di quello della Luna vista dalla Terra. Siccome la rotazione di Encelado è sincrona con il periodo orbitale e quindi mantiene sempre una faccia rivolta verso Saturno, il gigante gassoso non si sposterebbe mai nel cielo di Encelado (e sarebbe sempre invisibile dal lato opposto). Gli anelli sarebbero visti da un angolo di soli 0,019° e apparirebbero come una linea stretta e luminosa che attraversa il disco di Saturno, con un'ombra chiaramente visibile. Come per la Luna, Saturno possiederebbe delle fasi, variando dalla fase piena alla fase nuova in circa 16 ore. Dal satellite il Sole avrebbe un diametro di soli 3,5 minuti d'arco, nove volte più piccolo rispetto alla Luna vista dalla Terra. Un osservatore potrebbe vedere la luna Mimas transitare su Saturno circa ogni 72 ore, con un diametro massimo di circa 26 minuti d'arco, circa lo stesso della Luna terrestre. Le lune Pallene e Metone apparirebbero invece puntiformi, mentre Teti raggiungerebbe una dimensione massima di un grado di arco (il doppio della Luna), ma sarebbe visibile solo dalla faccia non rivolta verso Saturno.
- Teti (dal greco Τηθύς), anche chiamato Saturno III, è un satellite naturale di Saturno scoperto da Giovanni Domenico Cassini il 21 marzo del 1684. Le sue caratteristiche più importanti sono un grande (400 km di diametro) cratere da impatto, il cratere Odisseo, nel suo emisfero anteriore e un vasto sistema di canyon denominato Ithaca Chasma che si estende per almeno 270° attorno a Teti. Ithaca Chasma è concentrico a Odisseo, il che fa ritenere che queste due caratteristiche possano essere correlate. Teti non sembra avere in corso alcuna attività geologica. Un terreno collinare craterizzato occupa la maggior parte della sua superficie, mentre una regione più piccola e più liscia formata da pianure si trova nell'emisfero opposto a quello di Odisseo. Le pianure contengono meno crateri e sono apparentemente più giovani. Un confine netto le separa dalla zona craterizzata. Vi è anche un sistema di fossae estese che si irradiano da Odisseo. La densità di Teti (0,985 g/cm³) è inferiore a quella dell'acqua, ad indicare che è fatto principalmente di ghiaccio d'acqua con soltanto una piccola frazione di roccia. Il nome Teti deriva dalla dea greca Teti (Τηθύς), una titanessa (non va confusa con la ninfa nereide Teti - Θέτις -, la madre di Achille). Cassini chiamò i quattro satelliti da lui scoperti (Teti, Dione, Rea e Giapeto) Sidera Lodoicea ("le stelle di Luigi") in onore al re Luigi XIV. I nomi dei sette satelliti di Saturno allora conosciuti derivano dalla pubblicazione Results of Astronomical Observations made at the Cape of Good Hope di John Herschel nel 1847 (figlio di William Herschel, scopritore di Mimas ed Encelado), dove suggeriva l'uso dei nomi dei Titani, fratelli e sorelle di Crono (il nome greco del dio Saturno). Teti è un corpo ghiacciato di composizione simile a Dione e Rea. La sua densità di 0,97 g/cm³ indica che è composto quasi interamente di ghiaccio d'acqua. La superficie di Teti è fortemente craterizzata e contiene numerose crepe causate dalle fratture nel ghiaccio. Su Teti sono presenti due tipi di terreni, uno composto da regioni con molti crateri e l'altro di colore scuro e contenente una cintura leggermente craterizzata che si estende attorno alla luna. Questa seconda regione indica che Teti fu internamente attiva nel passato. L'emisfero occidentale di Teti è dominato da un enorme cratere da impatto chiamato Odisseo, il cui diametro di 400 km è circa 2/5 di Teti stessa. Questo cratere è quasi piatto (o, più precisamente, conforme alla forma sferica del satellite), come i crateri su Callisto e senza le alte montagne ad anello o picchi centrali che sono presenti sulla Luna e su Mercurio. Questa caratteristica è probabilmente causata dal cedimento della debole crosta ghiacciata di Teti poco dopo la sua formazione. La seconda struttura principale del satellite è un'enorme valle chiamata Ithaca Chasma. La temperatura superficiale è di circa −187 °C. Nei punti di Lagrange L4 e L5 di Teti sono presenti le lune co-orbitali Telesto e Calipso. La prima sonda che si avvicinò a Teti fu il Pioneer 11, che passò a 329197 km dalla luna il 1º settembre 1979, mentre un anno più tardi, il Voyager I il 12 novembre 1980 si avvicinò a Teti fino a 415 670 km, ma molto più vicino passò la sonda gemella, il Voyager 2, che alla distanza di 93 000 km riprese le migliori foto delle missioni Voyager, rilevando particolari con una risoluzione di 2 km. La sonda Cassini effettuò vari flyby di Teti, il più vicino dei quali avvenne il 23 settembre 2005 quando si avvicinò alla luna fino a 1503 km. Successivi incontri avvicinati avvennero in seguito, tra cui uno nel 2012 alla distanza di 9100 km. Durante la sua missione Cassini ha mappato la superficie di Teti con una risoluzione di 0,29 km.
- Dione (pron. [diˈone]) è un satellite naturale del pianeta Saturno, il quarto per dimensioni, dopo Titano, Rea e Giapeto . Esso ha una densità maggiore di quella della geologicamente inattiva Rea, la luna interna più grande, ma minore di quella dell'attivo Encelado. Mentre la maggior parte della superficie di Dione è occupata da antico terreno craterizzato, vi è anche una vasta rete di depressioni e di lineamenti, ad indicare che in passato vi è stata un'attività tettonica a livello globale. Le depressioni e i lineamenti sono notevoli soprattutto nell'emisfero posteriore, con diversi gruppi di fratture che si intersecano. Nelle pianure ci sono alcuni crateri da impatto che raggiungono i 250 km di diametro. Pianure lisce con pochi crateri da impatto sono presenti su una piccola parte della sua superficie. Probabilmente erano tettonicamente riemerse relativamente tardi nella storia geologica di Dione. In due zone nell'area delle pianure lisce, sono state individuate strane formazioni (depressioni) che assomigliano a crateri da impatto oblunghi, entrambe situate presso i centri da cui si irradiano le reti di crepe e di avvallamenti; queste caratteristiche possono essere di origine criovulcanica. Dione potrebbe essere geologicamente attiva anche oggi, sebbene in misura nettamente minore rispetto al criovulcanismo di Encelado. Ciò emerge da misurazioni magnetiche di Cassini che mostrano che Dione è una fonte di plasma nella magnetosfera di Saturno, molto simile a Encelado. Cassini, che oltre a Dione aveva scoperto Teti, Rea e Giapeto, chiamò i nuovi corpi celesti satelliti lodicei, in onore di Luigi XIV, senza specificare alcun nome per ognuno di essi; gli astronomi presero così l'abitudine di riferirsi a loro e a Titano, già noto in precedenza, come Saturno 1, 2, ..., fino a Saturno 5. Quando nel 1789 vennero scoperti Mimante ed Encelado lo schema di numerazione fu esteso fino a Saturno 7. I nomi attuali dei satelliti naturali di Saturno furono suggeriti da John Herschel (figlio di William Herschel, scopritore di Mimante ed Encelado) in una sua pubblicazione del 1847, dove suggerì di adottare i nomi dei titani e delle titanidi, i fratelli e le sorelle di Crono secondo la mitologia greca (nella quale Crono corrisponde alla divinità romana Saturno). Dione orbita attorno a Saturno in 2,74 giorni; il semiasse maggiore della sua orbita, di 377396 km, è circa il 2% inferiore a quello della Luna attorno alla Terra. Data la maggior massa di Saturno, il periodo orbitale di Dione è comunque solo un decimo di quello della Luna. Dione è in risonanza orbitale 1:2 con Encelado, ossia completa un'orbita attorno a Saturno mentre Encelado ne completa due. Questa risonanza contribuisce a mantenere l'eccentricità orbitale di Encelado (0,0047), fornendo una fonte di calore per una vasta attività geologica di quest'ultimo, che presenta una rilevante attività criovulcanica sulla sua superficie. Dione ha due satelliti co-orbitali, o troiani, Elena e Polluce. Essi si trovano all'interno dei punti lagrangiani L4 e L5 di Dione, rispettivamente 60 gradi davanti e dietro a Dione. Come gli altri maggiori satelliti di Saturno, Dione è in rotazione sincrona e volge sempre la stessa faccia al pianeta. Dione è composto principalmente di ghiaccio d'acqua.Infatti nasconde un oceano di acqua a una profondità di circa 100 km. Ma trattandosi del più denso fra i satelliti naturali di Saturno (a parte Titano) si ritiene comunemente che al suo interno sia presente una quantità considerevole di materiale più denso, come ad esempio silicati, che costituiscono circa un terzo della massa del satellite. Sebbene più piccola di Rea, Dione è per certi aspetti molto simile a tale oggetto. Entrambi i corpi presentano composizioni simili, distribuzioni di albedo analoghe (che denunciano una grande varietà di terreni), e sono caratterizzati da una chiara divisione fra l'emisfero anteriore e quello posteriore. L'emisfero anteriore di Dione è pesantemente craterizzato ed uniformemente brillante; l'emisfero posteriore, al contrario, presenta un aspetto peculiare, essendo caratterizzato da una rete di brillanti e sottili striature su sfondo scuro che si sovrappone ai crateri, indicando che si tratta di una formazione geologica più recente. Si tratta in verità di dirupi di ghiaccio. Prima del fly-by effettuato dalla sonda spaziale Cassini il 13 dicembre 2004 l'origine del sottile materiale brillante che caratterizza la superficie di Dione era ignota, anche perché le uniche fotografie disponibili erano state scattate da grande distanza. Tutto ciò che si sapeva era che il materiale presentava un'elevata albedo, e consisteva di uno strato abbastanza sottile da non oscurare la superficie sottostante. Una teoria comunemente accettata prevedeva che poco dopo la sua formazione Dione fosse geologicamente attivo, e che tramite qualche processo, forse di natura criovulcanica, del materiale proveniente dall'interno potesse essere riemerso in superficie; le strisce si sarebbero dunque formate in seguito ad eruzioni lungo le fessure che precipitarono sulla superficie sotto forma di neve o cenere. Più tardi, quando l'attività interna cessò, la formazione dei crateri si concentrò principalmente sull'emisfero anteriore, cancellandone le striature. Le immagini inviate dalla Cassini, tuttavia, mostrano che le strisce non sono depositi di ghiaccio, ma piuttosto rupi scoscese ricoperte di materiale ghiacciato, create da fratture tettoniche; Dione si è rivelato un corpo lacerato da enormi fratture sull'emisfero posteriore. La sonda Cassini ha compiuto un ulteriore e più ravvicinato fly-by del satellite l'11 ottobre 2005, ad una distanza record di appena 500 km dalla sua superficie. In passato l'emisfero posteriore di Dione è stato oggetto di un pesante bombardamento meteorico, che ha generato numerosi crateri più grandi di 100 km di diametro; al contrario, l'emisfero anteriore presenta crateri nell'ordine dei 30 km di diametro. Il dato contrasta con le previsioni dei planetologi; Eugene Shoemaker e Wolfe avevano avanzato un modello di craterizzazione per un satellite in rotazione sincrona che indicava un maggior tasso di craterizzazione per l'emisfero anteriore. La peculiarità della distribuzione dei crateri su Dione potrebbe suggerire che, durante il periodo di maggior bombardamento, l'oggetto presentasse un diverso emisfero anteriore; trattandosi di un corpo di dimensioni ridotte, qualsiasi impatto in grado di provocare un cratere di 35 chilometri avrebbe potuto causarne una rotazione, e dato l'alto numero di crateri di dimensioni simili Dione potrebbe essere stato soggetto più volte a rotazioni cataclismatiche nel corso delle prime fasi di vita del sistema solare. La struttura dei crateri e l'elevata albedo del lato anteriore suggeriscono che Dione è rimasto nell'orientamente attuale per diversi miliardi di anni. Come su Callisto, anche su Dione mancano le strutture rilevate che circondano solitamente i crateri sulla Luna e su Mercurio, probabilmente a causa del cedimento della debole crosta ghiacciata nel tempo. All'inizio del marzo 2012 la sonda Cassini ha scoperto una tenue atmosfera composta da ossigeno molecolare ionizzato.
Tre piccole lune orbitano tra Mimas e Encelado: Metone, Antea e Pallene. Chiamate con il nome delle Alcionidi della mitologia greca, sono tra le più piccole lune del sistema di Saturno. Antea e Metone possiedono archi d'anello molto deboli lungo le loro orbite, mentre Pallene possiede un tenue anello completo. Di queste tre lune, solo Metone è stato fotografato a distanza ravvicinata, mostrando di essere a forma di uovo con pochissimi o nessun cratere. I Satelliti troiani rappresentano una caratteristica unica, conosciuta solo nel sistema di Saturno. Un corpo troiano orbita attorno al punto di Lagrange anteriore L4 o posteriore L5 di un oggetto molto più grande, come una grande luna o un pianeta. Teti ha due lune troiane, Telesto (anteriore) e Calipso (posteriore); altrettante ne ha Dione, Elena (anteriore) e Polluce (posteriore). Elena è di gran lunga la più grande luna troiana, mentre Polluce è il più piccolo e ha l'orbita più caotica. Le quattro grandi lune esterne di Saturno sono:
- Rea: Rhea (o Rea) è il secondo satellite naturale di Saturno e il nono del sistema solare per dimensioni; con un raggio di 764 km si tratta dell'entità del sistema solare più piccola che si trova in equilibrio idrostatico. Fu scoperta il 23 dicembre 1672 dall'astronomo italiano Giovanni Domenico Cassini. Rea è chiamata come la titanide Rea della mitologia greca. È designata anche Saturno V. Cassini chiamò le quattro lune da lui scoperte, (Teti, Dione, Rea e Giapeto) Sidera Lodoicea ("le stelle di Luigi"), in onore di re Luigi XIV. Gli astronomi avevano l'abitudine di riferirsi a loro e a Titano come "Saturno 1" fino a "Saturno 5". Quando nel 1789, furono scoperti Mimante ed Encelado, lo schema di numerazione fu esteso fino a "Saturno 7". Gli attuali nomi dei primi sette satelliti di Saturno furono proposti da John Herschel (figlio di William Herschel, scopritore di Mimas ed Encelado) nella sua pubblicazione del 1847, dove suggerì i nomi dei Titani e delle Titanidi, i fratelli e le sorelle di Crono (il Saturno greco). Rea è un corpo ghiacciato con una densità di circa 1,240 kg/m³. Era stato ipotizzato, prima della Missione della sonda Cassini, che Rea avesse un nucleo roccioso al centro. Tuttavia dopo il primo passaggio ravvicinato della Cassini questa ipotesi fu messa in dubbio e venne sostenuto che l'interno di Rea è omogeneo con una piccola compressione del ghiaccio al suo interno. Le caratteristiche di Rea assomigliano a quelle di Dione, con emisferi anteriore e posteriore dissimili tra loro, suggerendo per le due lune simile composizione e storia. In base alla densità dei crateri, la superficie di Rea può essere divisa in due differenti aree; la prima contiene crateri più grandi di 40 km di diametro mentre la seconda area, nelle regioni polari ed equatoriali, ha crateri al di sotto di 40 km in diametro. Ciò suggerisce un qualche evento di rimodellazione superficiale accaduto durante la sua formazione. L'emisfero anteriore (cioè l'emisfero che per effetto della rotazione sincrona precede costantemente l'altro lungo l'orbita) è pesantemente craterizzato e uniformemente brillante. Come su Callisto i crateri non presentano strutture e altorilievi presenti invece sulla Luna e Mercurio. L'emisfero posteriore presenta una rete di strisce chiare su fondo scuro, e pochi crateri. Queste strisce potrebbero essere materia espulsa da vulcani di ghiaccio quando Rea era ancora liquida sotto la superficie. L'orbiter della sonda spaziale Cassini ha effettuato un sorvolo di Rea il 25 novembre 2005. Durante questo passaggio i dati ricavati dalla sonda hanno portato gli scienziati ad ipotizzare la presenza di anelli planetari, sebbene non vi sia ancora nessuna prova certa. Nel caso di una verifica fotografica si tratterebbe della prima luna conosciuta in possesso di un sistema di questo tipo. Di conseguenza gli oggetti facenti parte potrebbero considerarsi una sorta di satelliti di satellite, una novità assoluta nel sistema solare. Il 26 novembre 2010, la NASA ha reso noto che la sonda Cassini ha individuato attorno a Rea una tenue atmosfera composta da ossigeno e anidride carbonica. La presenza di ossigeno allo stato gassoso è stata spiegata come conseguenza dell'influenza del campo magnetico di Saturno sulla superficie ghiacciata di Rea, il ghiaccio reagirebbe e rilascerebbe ossigeno gassoso. La temperatura su Rea è −174 °C con luce solare diretta e tra −200 °C e −220 °C in ombra. Rea è rimasta un piccolo punto luminoso all'osservazione dalla Terra prima dell'arrivo delle sonde Voyager 1 e Voyager 2 nel 1980 e 1981.[6] Successivamente negli anni duemila la sonda Cassini effettuò diversi fly-by col satellite saturniano, il primo dei quali avvenne il 26 novembre 2005 alla distanza di 500 km. Negli anni seguenti la Cassini effettuò diversi altri fly-by: ad una distanza di 5.750 km il 30 agosto del 2007, a 100 km il 2 marzo 2010 e al 69 km l'11 gennaio 2011, il più prossimo alla luna. Un ultimo fly-by avvenne il 9 marzo 2013 a una distanza di 992 km.
- Titano: Titano è il più grande satellite naturale del pianeta Saturno ed uno dei corpi rocciosi più massicci dell'intero sistema solare; supera in dimensioni (ma non per massa) il pianeta Mercurio mentre per dimensioni e massa è il secondo satellite del sistema solare dopo Ganimede. Scoperto dall'astronomo olandese Christiaan Huygens il 25 marzo 1655, all'epoca Titano è stata la prima luna osservata intorno a Saturno e la quinta nell'intero sistema solare. Si tratta inoltre dell'unico satellite del sistema solare in possesso di una densa atmosfera. Titano è composto principalmente di ghiaccio d'acqua e materiale roccioso. La sua spessa atmosfera ha impedito l'osservazione della superficie, fino all'arrivo della missione spaziale Cassini-Huygens nel 2004, che ha permesso di raggiungere la superficie con un veicolo d'atterraggio. L'esplorazione della Cassini-Huygens ha portato alla scoperta di laghi di idrocarburi liquidi nelle regioni polari del satellite. Geologicamente la superficie è giovane; sono presenti alcune montagne e dei possibili criovulcani, ma è generalmente piatta e liscia con pochi crateri da impatto osservati. L'atmosfera di Titano è composta al 95% da azoto[4]; sono presenti inoltre componenti minori quali il metano e l'etano, che si addensano formando nuvole. La temperatura superficiale media è molto vicina al punto triplo del metano dove possono coesistere le forme liquida, solida e gassosa di questo idrocarburo. Il clima, che include vento e pioggia di metano, ha creato caratteristiche superficiali simili a quelle presenti sulla Terra, come dune, fiumi, laghi e mari, e, come la Terra, presenta le stagioni. Con i suoi liquidi e la sua spessa atmosfera, Titano è considerato simile alla Terra primordiale, ma con una temperatura molto più bassa, dove il ciclo del metano sostituisce il ciclo idrologico presente invece sul nostro pianeta. Titano non è visibile ad occhio nudo. La sua magnitudine apparente quando osservato in opposizione dalla Terra arriva a +8,4, sensibilmente meno brillante rispetto ai satelliti medicei di Giove, che con magnitudini attorno alla quinta o anche inferiori potrebbero invece anche essere scorti a occhio nudo, se non fossero immersi nella luce del pianeta. Nonostante Titano non si discosti mai oltre una distanza angolare di 77 secondi d'arco da Saturno, è agevolmente visibile attraverso piccoli telescopi (con diametro maggiore di 5 cm) o binocoli particolarmente potenti. Il diametro apparente del suo disco è mediamente pari a 0,8 secondi d'arco; può quindi essere risolto solo con grandi telescopi professionali. Titano fu scoperto il 25 marzo 1655 dall'astronomo olandese Christiaan Huygens con un telescopio rifrattore di 57 mm di diametro e 310 mm di focale. Johannes Hevelius e Christopher Wren lo avevano osservato precedentemente, ma l'avevano scambiato per una stella fissa. Si trattava del primo satellite naturale ad essere individuato dopo i satelliti galileiani di Giove. Huygens lo denominò semplicemente, in lingua latina, Luna Saturni ("il satellite di Saturno") ad esempio nell'opera De Saturni Luna observatio nova del 1656. Quando più tardi Giovanni Domenico Cassini scoprì quattro nuovi satelliti, li volle chiamare Teti, Dione, Rea e Giapeto (complessivamente noti come satelliti lodicei); la tradizione di battezzare i nuovi corpi celesti scoperti in orbita attorno a Saturno proseguì e Titano iniziò ad essere designato, nell'uso comune, come Saturno VI, perché apparentemente sesto in ordine di distanza dal pianeta. Il nome di Titano venne suggerito per la prima volta da John Herschel (figlio del più celebre William Herschel) nella sua pubblicazione Risultati delle osservazioni astronomiche condotte presso il Capo di Buona Speranza del 1847. Di conseguenza iniziò la tradizione di denominare gli altri satelliti saturniani in onore dei titani della mitologia greca o delle sorelle e dei fratelli di Crono. Prima dell'era spaziale non furono registrate molte osservazioni di Titano. Nel 1907 l'astronomo spagnolo Josep Comas i Solà osservò un oscuramento al bordo di Titano, la prima evidenza che esso era dotato di un'atmosfera. Nel 1944 Gerard P. Kuiper utilizzando una tecnica spettroscopica rilevò la presenza di metano nell'atmosfera. La prima sonda spaziale a visitare il sistema di Saturno fu il Pioneer 11 nel 1979, che confermò che Titano era troppo freddo per poter sostenere la vita. Il Pioneer 11 trasmise le prime immagini ravvicinate di Saturno e Titano, la cui qualità fu poi superata da quelle delle due Voyager, che sarebbero transitate per il sistema nel 1980 e nel 1981. La traiettoria della Voyager 1, in particolare, fu modificata per ottenere un sorvolo ravvicinato di Titano (impedendole in tal modo di raggiungere Plutone), ma non era provvista di alcuno strumento in grado di vedere attraverso la densa atmosfera del satellite, circostanza che non era stata prevista. Solo molti anni più tardi tecniche di manipolazione intensiva delle immagini riprese attraverso il filtro arancione della sonda hanno permesso di ricavare quelle che sono a tutti gli effetti le prime fotografie mai scattate della regione luminosa di Xanadu, ritenuta dagli scienziati un altopiano, e la pianura scura di Shangri-La. Quando la Voyager 2 raggiunse il sistema di Saturno apparve chiaro che un possibile cambio di traiettoria per favorire un incontro ravvicinato con Titano avrebbe impedito la prosecuzione del viaggio verso Urano e Nettuno. Dati gli scarsi risultati ottenuti dalla sonda gemella, la NASA decise di rinunciare alla possibilità e la sonda non fu attivamente impiegata per uno studio intensivo di Titano. Anche dopo le missioni delle due Voyager, la superficie di Titano rimaneva sostanzialmente un mistero, così come lo era stato nel XVII secolo per Giovanni Cassini e Christiaan Huygens. La grande mole di dati conosciuti sul satellite è quasi interamente dovuta alla missione spaziale italo-euro-statunitense che porta il nome dei due astronomi del passato, la Cassini-Huygens. La sonda ha raggiunto Saturno il 1º luglio 2004 quando ha avviato le prime attività di mappatura della superficie di Titano attraverso strumenti radar. Il primo sorvolo diretto del satellite è avvenuto il 26 ottobre 2004 ad una distanza record di appena 1200 km dall'atmosfera titaniana. Gli strumenti della Cassini hanno individuato strutture superficiali chiare e scure che sarebbero state invisibili all'occhio umano. Dalla sonda madre è stato sganciato il modulo di terra Huygens, privo di motori, che il 14 gennaio 2005 si è tuffato con successo nella densa atmosfera di Titano raggiungendone la superficie dopo una discesa di circa due ore. La sonda era equipaggiata per galleggiare temporaneamente su eventuali mari o laghi la cui esistenza era stata ipotizzata, ma atterrò su un suolo apparentemente asciutto. La consistenza è tuttavia risultata simile a quella della sabbia bagnata ed è stato ipotizzato che il terreno possa essere periodicamente irrorato da flussi liquidi. Il sorvolo ravvicinato più vicino Cassini lo fece il 21 giugno 2010, transitando a 880 km dalla superficie. Le regioni dove sono stati trovati abbondanti liquidi, sotto forma di laghi e mari, erano concentrate soprattutto nei pressi del polo nord. La sonda Huygens si posò sulla superficie di Titano il 14 gennaio 2005, non lontano da una zona ora chiamata Adiri. La sonda fotografò un altopiano chiaro, composto principalmente da ghiaccio, letti di fiumi scuri, dove si ritiene scorra periodicamente metano liquido, e pianure, anch'esse scure, dove questi liquidi si raccolgono provenienti dall'altopiano. Dopo essere atterrata, Huygens fotografò una piana scura coperta da piccole rocce e sassi, composti da ghiaccio d'acqua. Nell'unica foto ripresa da Huygens, le due rocce che appaiono appena in basso del centro dell'immagine sono più piccole rispetto alle apparenze: quella di sinistra è di 15 centimetri di diametro e quella nel centro 4 centimetri, e distano circa 85 centimetri dalla sonda. Le rocce mostrano segni di erosione alla base, che suggerisce una possibile attività fluviale. La superficie, più scura del previsto, è costituita da una miscela di acqua e idrocarburi ghiacciati. Ben visibile è anche la foschia di idrocarburi sovrastante il paesaggio. Nel marzo 2007, la NASA, l'ESA e la COSPAR decisero di nominare il sito di atterraggio della sonda Hubert Curien Memorial Station, in memoria dell'ex presidente dell'ESA. Oltre ad osservazioni di telerilevamento (una camera e una radar SAR) Huygens ha fornito una serie di registrazioni dei suoni atmosferici (in particolare del rombo del vento durante l'atterraggio) captati dalla sonda durante la discesa. Le registrazioni audio sono state realizzate in laboratorio elaborando i dati forniti dai microfoni montati sulla sonda (Acoustic Sensor Unit). Considerato l'interesse sollevato nella comunità scientifica sin dai primi risultati della missione Cassini-Huygens, le principali agenzie spaziali hanno valutato varie proposte per missioni spaziali successive. Nel 2006, la NASA ha studiato una missione che prevedeva l'esplorazione dei maggiori laghi di Titano tramite un lander galleggiante, per un periodo di 3-6 mesi, denominata Titan Mare Explorer. Il lancio era stato proposto per il 2016, con arrivo su Titano nel 2023[32]; tuttavia, nel 2012, l'agenzia spaziale statunitense ha preferito privilegiare una missione meno avveniristica quale InSight, destinata allo studio di Marte. Il progetto del lander acquatico su Titano confluì nella missione Titan Saturn System Mission[33]. La Titan Saturn System Mission (TSSM) è stata proposta come una possibile missione congiunta della NASA e dell'ESA, diretta all'esplorazione di Titano ed Encelado[34]. La missione comprende un orbiter per lo studio di Titano e degli altri corpi che compongono il sistema di Saturno, una mongolfiera per lo studio dell'atmosfera e della superficie di Titano ed un lander acquatico, TiME, per lo studio dei mari. Nonostante nel febbraio del 2009 sia stata data la priorità alla missione Europa Jupiter System Mission, ufficialmente la TSSM rimane in gara per una successiva selezione di una missione con lancio successivo al 2020. Nel 2012 Jason Barnes, uno scienziato dell'Università dell'Idaho propose un'altra missione, la Aerial Vehicle for In-situ and Airborne Titan Reconnaissance (AVIATR). Il progetto prevede il volo nell'atmosfera di Titano di un aereo senza pilota o comandato da un drone, per catturare immagini in alta definizione della superficie. Il progetto, che stimava un costo di 715 milioni di dollari non è stato tuttavia approvato dalla NASA e il suo futuro rimane incerto. La società privata spagnola SENER e il Centro de Astrobiologia di Madrid hanno progettato nel 2012 un altro lander acquatico per l'esplorazione di un lago. La sonda è stata denominata Titan Lake In-situ Sampling Propelled Explorer (TALISE) e si differenzia dalla proposta TiME principalmente perché sarebbe dotata di un proprio sistema di propulsione che le consentirebbe di spostarsi liberamente, per un periodo di 6 mesi, attraverso il Ligeia Mare. Nel 2015 il NASA Institute for Advanced Concepts ha finanziato, tra gli altri, uno studio per la progettazione di un sottomarino per l'esplorazione dei mari di Titano. Nel 2019 è stata finalmente approvata una nuova missione su Titano, che partirà nel 2026 e arriverà nel 2034. Si tratta della missione Dragonfly, un drone alimentato da un generatore termoelettrico a radioisotopi al plutonio 238, tipico sistema usato dove l'energia solare è esigua. Il drone volerà con agilità sfruttando la bassa gravità e l'elevata densità dell'atmosfera. L'esplorazione inizierà dal cratere Selk e potrà allargarsi ad altre zone grazie alla versatilità del movimento del robot. Titano ruota attorno a Saturno in 15 giorni e 22 ore, su un'orbita avente un semiasse maggiore di 1221870 km e un'eccentricità di 0,028, quindi relativamente bassa, ed un'inclinazione di 0,33° rispetto al piano equatoriale di Saturno. Come la Luna e molti altri satelliti dei giganti gassosi, il suo periodo orbitale è identico al suo periodo di rotazione; Titano è quindi in rotazione sincrona con Saturno. Titano è in risonanza orbitale 3:4 con il piccolo ed irregolare Iperione. Da un'analisi basata su modelli teorici è ritenuta improbabile un'evoluzione lenta e progressiva della risonanza, durante la quale Iperione sarebbe migrato da un'orbita caotica all'attuale. Piuttosto Iperione si è probabilmente formato in una fascia orbitale stabile mentre Titano, più massiccio, assorbiva o scacciava gli oggetti che gli si trovavano in fasce orbitali intrinsecamente instabili. Titano ha un diametro di 5150 km, maggiore di quello di Mercurio (4879 km). Prima dell'esplorazione della sonda Voyager 1 Titano era ritenuto il satellite più grande del sistema solare, con un diametro superiore a quello di Ganimede (5262 km). Tuttavia le osservazioni dalla Terra avevano sovrastimato le dimensioni reali del corpo, a causa della sua densa atmosfera che lo faceva apparire di dimensioni maggiori. La massa di Titano è 1,345×1023 kg, che equivale a 1/44 della massa terrestre, 2,5 volte inferiore a quella di Mercurio nonostante il pianeta sia più piccolo. Anche in termini di massa Titano è al secondo posto tra i satelliti naturali del sistema solare, leggermente superato anche in questo caso da Ganimede. Le proprietà fisiche di Titano sono simili a quelle di Ganimede e Callisto, e sulla base della sua densità, pari a 1,88 g/cm³, si può ritenere che il satellite sia formato verosimilmente per metà da ghiaccio e per l'altra metà da materiale roccioso. Titano, nonostante abbia una composizione chimica molto simile a quella degli altri satelliti naturali di Saturno come Dione, Encelado e in particolar modo Rea, presenta una densità maggiore per via della compressione gravitazionale. La sua struttura interna è probabilmente stratificata, con un nucleo roccioso dal diametro di circa 3400 km circondato da strati composti da diverse forme cristalline del ghiaccio. L'interno di Titano potrebbe essere ancora caldo e vi potrebbe essere uno strato liquido composto da acqua ed ammoniaca situato fra il nucleo roccioso e la crosta ghiacciata. Prove a sostegno di questa ipotesi sono state scoperte dalla sonda Cassini, nella forma di onde radio ELS naturali, nell'atmosfera della luna. Si ritiene che la superficie di Titano sia poco riflettente per le onde ELS; quindi queste dovrebbero venir riflesse da una superficie di separazione tra uno strato ghiacciato ed uno liquido in un oceano presente al di sotto della superficie. Inoltre, dal confronto fra le immagini raccolte nell'ottobre del 2005 ed il maggio del 2007, appare evidente una traslazione della crosta anche di 30 km, per effetto dei venti atmosferici. Ciò avvalora l'ipotesi della presenza di uno strato liquido all'interno del satellite sul quale galleggerebbe il leggero strato superficiale. Analizzando dati della sonda Cassini, nel 2014 alcuni ricercatori del Jet Propulsion Laboratory hanno presentato un modello della struttura interna di Titano: il guscio esterno di Titano è rigido e la densità presente al suo interno sarebbe relativamente elevata per poter spiegare i dati sulla gravità riscontrati, l'oceano sotto la superficie della luna dovrebbe essere composto da acqua mista a diversi sali di zolfo, sodio e potassio, rendendo l'oceano paragonabile a quello dei laghi e mari più salati della Terra, come ad esempio il Mar Morto. La superficie di Titano è complessa, in alcune zone fluida, e geologicamente giovane. Titano esiste sin dalla formazione del sistema solare, ma la sua superficie è molto più giovane, tra 100 milioni e 1 miliardo di anni. L'atmosfera di Titano è due volte più spessa di quella terrestre, rendendo difficile per gli strumenti astronomici fotografarla nello spettro della luce visibile. La sonda Cassini ha utilizzato strumenti a infrarossi, altimetria radar e radar ad apertura sintetica (SAR) per mappare porzioni di Titano durante i suoi voli ravvicinati. Le prime immagini hanno rivelato una geologia diversificata, con alcune regioni lisce e irregolari, mentre altre sembrano di origine criovulcanica, probabilmente frutto di acqua miscelata con ammoniaca fuoriuscita dal sottosuolo. Ci sono anche prove che la crosta di ghiaccio di Titano potrebbe essere sostanzialmente rigida, il che suggerirebbe una scarsa attività geologica. Altre caratteristiche ancora sono regioni che mostrano lunghe striature, alcune delle quali si estendono per centinaia di chilometri, e la cui causa potrebbero essere delle particelle trasportate dal vento. La missione Cassini ha rilevato che la superficie di Titano è relativamente liscia; le poche formazioni simili a crateri da impatto sembra siano state riempite da piogge di idrocarburi o vulcani. L'altimetria del radar suggerisce che le variazioni di altitudine sono tipicamente dell'ordine di 150 metri, tuttavia, alcune aree raggiungono fino a 500 metri di altitudine e le montagne più alte arrivano fino a più di un chilometro d'altezza. La superficie di Titano è segnata da vaste regioni di terreno chiaro e scuro, inclusa un'area grande come l'Australia identificata dalle immagini all'infrarosso provenienti dal telescopio spaziale Hubble e dalla sonda Cassini. Questa regione è stata chiamata Xanadu ed è relativamente elevata. Ci sono altre zone scure presenti su Titano osservate dal suolo e dalla sonda Cassini, tra i quali Ligeia Mare, il secondo mare più grande di Titano, composto da metano quasi completamente puro. Inoltre la Cassini ha osservato variazioni della superficie coerenti con eruzioni di criovulcani. A differenza dei vulcani attivi sulla Terra i vulcani di Titano eruttano presumibilmente acqua, ammoniaca (che non potrebbe essere altresì presente in superficie, la cui identificazione appare ancora dubbia) e metano nell'atmosfera, dove congelano rapidamente ricadendo al suolo. Un'alternativa a questa ipotesi è che le variazioni superficiali siano derivate dallo spostamento di detriti in seguito a piogge di idrocarburi. L'ipotesi dell'esistenza su Titano di laghi e mari di metano venne suggerita già ai tempi dei dati ricevuti dalle Voyager 1 e 2 sull'atmosfera, sulla sua composizione, densità e temperatura, e un'ulteriore conferma della presenza del metano allo stato liquido arrivò nel 1995, con osservazioni radar da terra e dal telescopio spaziale Hubble.[64] La conferma definitiva si ebbe con analisi dei dati raccolti dalla sonda Cassini: inizialmente non si evidenziarono prove certe dai primi dati, tuttavia nel giugno 2005, al Polo Sud, venne identificato il primo potenziale lago in un'area molto buia, successivamente chiamato Ontario Lacus, probabilmente creato dalla precipitazioni da nubi di metano. Dai dati del flyby del 22 luglio 2006, la Cassini riprese delle immagini alle latitudini settentrionali del satellite, nelle quali risaltavano grandi aree lisce che punteggiano la superficie vicino al polo. Sulla base di queste osservazioni, l'esistenza di laghi pieni di metano sulla superficie di Titano venne confermata nel gennaio 2007. I laghi di Titano divennero così le prime distese liquide stabili scoperte al di fuori della Terra. Alcuni di essi si trovano in depressioni topografiche e sembrano avere canali associati e collegati con essi. La scoperta confermava la teoria che sul satellite di Saturno sia presente un ciclo idrologico basato sul metano analogo a quello terrestre basato sull'acqua. Sono stati infatti trovati indizi consistenti di fenomeni di evaporazione, piogge e canali naturali scavati da fluidi. Nel dicembre del 2009 la NASA ha annunciato ufficialmente, dopo esserne stata a conoscenza fin dal 2007, la presenza di un lago di metano, battezzato Kraken Mare, dall'estensione di 400000 km². Il lago non è stato osservato direttamente dagli scienziati, ma la sua presenza è stata intuita grazie ai dati elaborati dallo spettrometro a infrarossi presente sulla sonda Cassini. Il secondo grande lago di cui si è attestata l'esistenza è stato il Ligeia Mare, a questi due sono seguiti molti altri laghi di dimensioni inferiori. Dalle immagini scattate dalla sonda nel dicembre del 2012, alcune evidenziano una vallata che sfocia nel Kraken Mare, attraversata da un fiume di idrocarburi lungo quasi 400 km. Le prime osservazioni radar sull'Ontario Lacus riprese tra il 2009 e 2010 mostravano che era un distesa liquida superficiale, con profondità che arrivavano al massimo tra 4 e 7 m, al contrario, le osservazioni condotte successivamente sul Ligeia Mare, i cui dati sono stati pubblicati nel 2014, mostravano una profondità media di 20-40 m, e in diversi punti la profondità massima era certamente oltre i 200 metri. Nel 2016, la Cassini ha trovato la prima prova di canali di liquidi su Titano, osservando una serie di profondi e scoscesi canyon che sfociano nel Ligeia Mare. Questa rete di canyon, chiamata Vid Flumina, è profonda da 240 a 570 metri e le sue "rive" hanno pendenze superiori a 40°. Si pensa che si sia formato da un sollevamento della crosta, come il Grand Canyon della Terra, o da un abbassamento del livello del mare, o forse da una combinazione delle due cose. Tale erosione evidenziata dalle immagini della Cassini suggerisce che la presenza di flussi di liquidi in questa regione di Titano persista da migliaia di anni. La sonda Cassini individuò pochi crateri da impatto sulla superficie di Titano, indicando che la sua superficie è relativamente giovane. Tra i crateri scoperti, i più rilevanti sono il Menrva, il cui bacino ad anelli ha un diametro di 400 km; il Sinlap, un cratere a fondo piatto di 80 km di diametro; e il cratere Ksa, di 30 di larghezza, con un picco centrale e un fondo scuro. Cassini ha individuato anche oggetti circolari sulla superficie che potrebbero essere correlati a impatti, ma le loro caratteristiche rendono incerta la loro identificazione. Per esempio, un anello di materiale trasparente di 90 km di diametro chiamato Guabonito potrebbe essere un cratere parzialmente sepolto da sedimenti. Altre aree simili si trovano nelle aree scure Shangri-La e Aaru, e altri oggetti circolari sono stati osservati in alcune zone di Xanadu durante il passaggio della Cassini del 30 aprile 2006. Modelli elaborati prima della missione Cassini su traiettorie e angoli di collisione suggeriscono che, dove l'oggetto impatta la crosta di ghiaccio d'acqua, una piccola porzione di materiale espulso potrebbe rimanere allo stato liquido dentro al cratere per diversi secoli, una durata sufficiente per la sintesi delle molecole precursori della vita. L'atmosfera di Titano potrebbe fare in parte da scudo per la superficie, riducendo il numero di impatti e di conseguenza dei crateri della metà. Titano potrebbe essere soggetto a fenomeni di criovulcanismo, tuttavia nessuna caratteristica superficiale ripresa dalla sonda Cassini può con assoluta certezza essere interpretata come criovulcano. Il rilevamento dell'argon-40 nell'atmosfera di Titano nel 2004 indicava la presenza di pennacchi di una miscela di liquidi composta da acqua e ammoniaca, inoltre l'attività vulcanica di Titano spiegherebbe la presenza continua del metano in superficie, che difficilmente sarebbe duratura se non ci fosse un rifornimento di metano dall'interno del satellite. In uno studio di Moore e Pappalardo del 2008, viene suggerita l'ipotesi alternativa che in realtà l'interno di Titano possa essere completamente inattivo, con una spessa crosta di ghiaccio che ricopre un oceano di ammoniaca. Le caratteristiche superficiali che potrebbero far pensare a criovulcani sono, secondo gli autori di questo studio, riconducibili a fenomeni meteorologici, come a venti e a depositi ed erosioni causate da fiumi di liquidi, o anche alla perdita di massa. La stessa Ganesa Macula, che inizialmente si pensava fosse un cratere vulcanico, da rilievi topografici ottenuti nel 2008 dalla Cassini da diverse angolazioni, pare sia una depressione o un cratere da impatto che ha subito una notevole erosione per fenomeni meteorologici. Nel 2010 venne annunciata una probabile formazione criovulcanica, Sotra Patera, precedentemente nota come Sotra Facula e assomigliante ai farrum di Venere. Si tratta di una catena di almeno 3 montagne che arrivano a 1000-1500 metri d'altezza, e che sono sormontate da diversi crateri. Il terreno circostante le loro basi sembra ricoperto di "lava congelata". Le montagne più alte di Titano si trovano nei pressi dell'equatore; si pensa che siano di origine tettonica, come sulla Terra, e la loro formazione potrebbe essere stata causata dalle forze mareali di Saturno. Nel 2016, il team della missione Cassini ha annunciato quella che ritengono essere la montagna più alta su Titano: situata nella Mithrim Montes, è alta 3337 m. Nelle prime immagini della superficie di Titano prese dai telescopi terrestri nei primi anni 2000, furono scoperte ampie regioni di terreno scuro a cavallo dell'equatore.[89] Prima dell'arrivo della Cassini, si pensava che queste regioni fossero mari di idrocarburi liquidi. Le immagini radar catturate dalla sonda spaziale hanno invece rivelato che alcune di queste regioni erano vaste pianure ricoperte da dune longitudinali, alte fino a 100 metri, larghe circa un chilometro e lunghe da decine a centinaia di chilometri. Solitamente dune di questo tipo sono sempre allineate con la direzione media del vento, tuttavia, nel caso di Titano, i venti costanti di superficie provenienti da est si combinano con venti di marea variabili (circa 0,5 metri al secondo), causati dalle forze di maree esercitate da Saturno, che è 400 volte più intensa delle forze di marea della Luna sulla Terra e che tendono a guidare il vento verso l'equatore. Questo modello di vento in teoria causa l'accumulo graduale di granelli in superficie che formano lunghe dune parallele allineate da ovest a est. Le dune si interrompono nei pressi delle montagne, dove la direzione del vento varia. Inizialmente si presumeva che le dune longitudinali fossero formate da venti moderatamente variabili che seguono una direzione media o si alternano tra due direzioni diverse. Osservazioni successive indicano invece che le dune puntano verso est sebbene le simulazioni climatiche indicano che i venti di superficie di Titano dovrebbero spirare verso ovest. A meno di 1 metro al secondo le brezze non sono abbastanza potenti da sollevare e trasportare il materiale di superficie, e le recenti simulazioni al computer indicano che le dune possono essere il risultato di rari venti di tempesta che avvengono solo ogni quindici anni, quando Titano si trova all'equinozio. Queste tempeste producono forti correnti discendenti, che scorrono verso est fino a 10 metri al secondo quando raggiungono la superficie. La "sabbia" su Titano non è probabilmente composta da piccoli granelli di silicati come la sabbia sulla Terra, ma potrebbe essersi formata quando il metano liquido piovuto ha creato alluvioni improvvise, erodendo il substrato roccioso di ghiaccio d'acqua. Un'alternativa a questa teoria potrebbe essere che la sabbia provenga da solidi organici chiamati toline, prodotti da reazioni fotochimiche nell'atmosfera di Titano. Gli studi sulla composizione delle dune nel maggio 2008 hanno rivelato che possedevano meno acqua rispetto al resto di Titano e quindi sono molto probabilmente derivati da fuliggine organica come i polimeri di idrocarburi che si aggregano insieme dopo essere piovuti sulla superficie. I calcoli indicano che la sabbia su Titano ha una densità di un terzo rispetto alla sabbia terrestre. La bassa densità combinata con l'aridità dell'atmosfera di Titano potrebbe causare il raggruppamento dei grani a causa dell'elettricità statica. I deboli venti di superficie su Titano, che spirano a meno di 5 km/h, non riescono a spostare la sabbia verso ovest che rimane quindi immobile, ma l'arrivo dei forti venti delle tempeste stagionali possono invece spostarla verso est. Durante l'equinozio di Titano, tra il 2009-2010, la sonda Cassini ha tre brillamenti nell'infrarosso di breve durata, le cui cause sono da attribuirsi a tempeste di polvere composta da particelle organiche solide di dimensioni micrometriche. Lo studio suggerisce che Titano sperimenta cicli attivi della polvere (come la Terra e Marte) che modificano nel corso del tempo le distese di dune equatoriali. Titano è l'unico satellite naturale del sistema solare a possedere una consistente atmosfera, composta per il 95% circa da azoto, da un 5% di metano e tracce minime di altri gas. Nella stratosfera l'azoto è presente al 98,4%, contro l'1,4% di metano, il quale assieme all'etano costituisce il componente principale delle nubi. La sua scoperta risale al 1944 quando Gerard Kuiper, facendo uso di tecniche spettroscopiche, stimò la pressione parziale del metano in 10 kPa. In seguito le osservazioni condotte da distanza ravvicinata nell'ambito del programma Voyager hanno permesso di determinare che l'atmosfera titaniana è più densa di quella terrestre, con una pressione alla superficie di circa il 50% maggiore, e il suo imponente spessore rende impossibile l'osservazione diretta della superficie. A causa della minor gravità della luna, l'atmosfera di Titano si estende maggiormente al di sopra della superficie rispetto all'atmosfera terrestre, arrivando a 600 km di altezza sulla superficie e anche più, considerando che è stata rilevata la presenza di molecole complesse e ioni anche ad un'altezza di 950 km sopra la superficie. Le osservazioni compiute della sonda Cassini suggeriscono che l'atmosfera di Titano ruota più velocemente della sua superficie, così come avviene nel caso di Venere. La velocità dei venti su Titano è stata misurata dalla velocità delle nubi, in realtà poco presenti nell'atmosfera della luna. Tra una decina di nubi monitorate dalla sonda Cassini la velocità massima registrata è stata di 34 m/s, coerente coi modelli meteorologici previsti per Titano. Nel settembre 2013, è stato rilevato propilene nell'atmosfera di Titano, ed era la prima volta che questo idrocarburo veniva trovato in un'atmosfera che non fosse quella terrestre. Alchene peraltro usato largamente sulla Terra per produrre materiale plastico, la sua scoperta risolve anche una lacuna risalente al passaggio della sonda Voyager 1, avvenuto nel 1980. La Voyager aveva rivelato la presenza di vari idrocarburi, prodotti dalla scissione del metano causati dalla radiazione solare, e aveva rilevato la presenza, oltre che del metano, dell'etano e del propano, tuttavia, non era rilevata traccia di propilene, molecola peraltro intermedia tra quelle più pesanti, come il propano, e quelle più leggere, come il propino. Osservazioni effettuate con il radiotelescopio ALMA hanno consentito di confermare la presenza in atmosfera di cianuro di vinile, un composto chimico organico le cui molecole, in particolari condizioni possono aggregarsi formando microscopiche strutture a bolla. Titano riceve solo l'1% della radiazione solare che riceve la Terra e la sua temperatura superficiale è di 94 K (−179.2 °C). Il metano presente nell'atmosfera crea un effetto serra senza il quale Titano sarebbe di 21 K più freddo. Tuttavia, esiste anche un effetto serra al contrario, creato dalla foschia ad alta quota, trasparente all'infrarosso ma che riflette la radiazione solare, e riduce la temperatura superficiale di 9 K. Sommando i due effetti risulta che la temperatura è 12 K maggiore della temperatura di equilibrio, cioè 94 K invece di 82 K. Le nubi di Titano, probabilmente composte da metano, etano e altre sostanze organiche semplici, sono sparse e variabili nella foschia generale dell'atmosfera. I risultati della sonda Huygens indicano che piovono periodicamente metano liquido e altri composti organici. Le nubi in genere coprono l'1% del disco di Titano, anche se sono stati osservati eventi in cui la copertura nuvolosa si espandeva rapidamente fino a coprire l'8% della superficie. Un'ipotesi afferma che le nubi si formino quando aumenta la radiazione solare che riscalda e solleva l'atmosfera, come avvenuto nelle regioni dell'emisfero meridionale, nel quale l'estate è durata fino al 2010. L'attuale composizione atmosferica di Titano è ritenuta essere simile a quella della seconda atmosfera della Terra (quella che precedette e condusse allo sviluppo degli esseri viventi che rilasciarono l'ossigeno in atmosfera), sebbene non si possa stabilire una completa analogia perché Titano è molto lontano dal Sole e piuttosto freddo. La presenza nell'atmosfera di composti organici complessi lo rende oggetto di notevole interesse per gli esobiologi. L'esperimento di Miller-Urey ed altre prove in laboratorio dimostrano come si possano sviluppare, in un'atmosfera simile a quella di Titano ed in presenza di radiazione ultravioletta, molecole complesse come la tolina. Gli esperimenti suggeriscono che vi sia materiale organico sufficiente perché su Titano possa avvenire l'evoluzione chimica avvenuta sulla Terra. Perché questo avvenga, tuttavia, si presuppone che sia presente acqua liquida per periodi più lunghi di quelli attualmente osservati. Se la crosta di Titano si compone grandemente di ghiaccio d'acqua, è stato ipotizzato che un impatto ad alta velocità di un corpo celeste potrebbe comportare la formazione di un lago d'acqua che si manterrebbe liquida per centinaia d'anni, periodo sufficiente per la sintesi di molecole organiche complesse. Inoltre, se l'interno della luna fosse completamente roccioso, le maree gravitazionali di Saturno avrebbero condotto alla formazione di rilievi di altezze piuttosto significative; viceversa, le rilevazioni della sonda Cassini indicano che questi raggiungono altezze piuttosto modeste. Ciò può essere giustificato dalla presenza di un oceano di acqua mista ad ammoniaca sotto la crosta e, sebbene vi si raggiungerebbero condizioni estreme per organismi terrestri, è stato comunque ipotizzato che possa ospitare organismi viventi. Potrebbero essersi evolute su Titano forme di vita che non hanno bisogno d'acqua liquida. Alcuni astrobiologi ritengono possibile infatti l'esistenza di forme di vita basate sul metano. Questa ipotesi è supportata da alcune recenti osservazioni: molecole di idrogeno scendono nell'atmosfera di Titano e scompaiono in superficie, sulla quale è stata altresì rivelata la mancanza di acetilene, composto che dovrebbe invece trovarvisi in abbondanza e che potrebbe essere la migliore fonte di energia per una vita a base di metano. Il ciclo degli idrocarburi imiterebbe dunque il ciclo dell'acqua sulla Terra ed eventuali organismi potrebbero utilizzare idrogeno e acetilene per produrre metano, senza necessità di acqua liquida. Come fatto notare dalla NASA in un articolo del giugno 2010: "Ad oggi le forme di vita basate sul metano sono solo ipotetiche, gli scienziati non hanno ancora rilevato questa forma di vita da nessuna parte", anche se alcuni di essi credono che queste firme chimiche sostengano l'argomento per una forma di vita primitiva ed esotica o siano un precursore della vita sulla superficie di Titano.[119] Nel febbraio 2015 è stata modellata una ipotetica membrana cellulare in grado di funzionare in metano liquido con le stesse condizioni che avrebbe su Titano. Composto da piccole molecole di acrilonitrile contenenti carbonio, idrogeno e azoto, avrebbe la stessa stabilità e flessibilità delle membrane cellulari sulla Terra, che sono composte da fosfolipidi, composti di carbonio, idrogeno, ossigeno e fosforo. Questa ipotetica membrana cellulare è stata denominata "azotosome", una combinazione di "azote", francese per azoto e "liposoma".
- Iperione: Iperione è un satellite naturale del pianeta Saturno; la sua scoperta, ad opera di William Cranch Bond, George Phillips Bond e William Lassell, risale al 1848. Il suo nome deriva da quello di Iperione, un Titano della mitologia greca. È anche noto come Saturno VII. La scoperta di Iperione avvenne poco dopo che John Herschel aveva ufficialmente proposto dei nomi per gli altri sette satelliti di Saturno già noti, nella sua pubblicazione Risultati delle osservazioni astronomiche condotte presso il Capo di Buona Speranza del 1847. Lassell, che scoprì Iperione due giorni dopo i Bond ed indipendentemente da loro, aveva già abbracciato lo schema proposto da Herschel e suggerì quindi un nome in linea con quelli precedenti. Inoltre batté sul tempo i Bond nella pubblicazione della scoperta. Iperione è il corpo irregolare più grande del sistema solare dopo Proteo, un satellite naturale di Nettuno; questi è appena più grande, ma quasi sferico. Sembra probabile che Iperione sia un frammento di un corpo di dimensioni maggiori, interessato da un impatto catastrofico nel lontano passato. Le immagini della sonda spaziale Voyager 2 e le successive osservazioni condotte dalla Terra hanno evidenziato che la rotazione di Iperione è caotica, ossia che il suo asse di rotazione si sposta in maniera imprevedibile al passare del tempo. Iperione è attualmente l'unico corpo conosciuto del sistema solare che presenti una rotazione caotica, ma simulazioni al computer sembrano indicare che altri satelliti di forma irregolare potrebbero aver esibito comportamenti analoghi in passato. Diverse caratteristiche di Iperione contribuiscono a causare la rotazione caotica: si tratta di un corpo estremamente irregolare, dall'orbita fortemente eccentrica, e che lo porta ad avvicinarsi periodicamente ad un satellite particolarmente massiccio, Titano, con cui si trova in risonanza orbitale 3:4. La rotazione caotica di Iperione è probabilmente il motivo per cui esso ha una superficie con caratteristiche più o meno uniformi; la maggior parte degli altri satelliti naturali di Saturno presenta invece due emisferi assai diversi, a seconda dell'esposizione verso l'atmosfera del pianeta o verso lo spazio interplanetario. A differenza della maggior parte dei satelliti naturali di Saturno, Iperione presenta un'albedo bassa (0,3), essendo ricoperto da uno strato di materiale scuro. Le cause della bassa albedo potrebbero essere diverse; potrebbero essere residui del metano proveniente dall'atmosfera di Titano e spogliatosi dell'idrogeno a causa della radiazione solare, oppure potrebbe trattarsi di biossido di carbonio congelato misto a idrocarburi. Una terza possibilità è del materiale scuro proveniente da Febe che può aver scurito la superficie come successo nel caso di Giapeto[4]. Iperione mostra infatti una colorazione più rossa di quella di Febe e assai simile a quella del materiale scuro presente su Giapeto. Da un punto di vista geologico, la superficie di Iperione è dominata da un vasto cratere largo circa 120 km e profondo 10 km[11]. Il corpo si presenta ricco di crateri minori profondi e particolarmente scoscesi, che gli conferiscono un tipico aspetto spugnoso; il letto dei crateri è colmo di materiale più scuro. La sua porosità e la sua bassa gravità sulla superficie sono l'effetto di numerosi impatti con rocce spaziali, che hanno compresso il materiale. Come la maggior parte dei satelliti naturali di Saturno, Iperione è caratterizzato da una bassa densità; l'oggetto dovrebbe dunque essere composto prevalentemente da ghiaccio d'acqua, con una piccola percentuale di rocce. Iperione è stato osservato per la prima volta da vicino dalla sonda Voyager 2, negli anni ottanta del XX secolo. La sonda ha attraversato il sistema di Saturno senza tuttavia avvicinarsi particolarmente al satellite; le immagini inviate a Terra hanno permesso di individuare singoli crateri, ma non sono state sufficienti ad elaborare una mappa della superficie dell'oggetto. La sonda spaziale Cassini ha effettuato il suo unico fly-by previsto di Iperione il 26 settembre 2005, raggiungendo una distanza minima di 510 chilometri dalla superficie del corpo.
Collage di foto catturate dalla sonda Cassini nel 2004; è mostrata la faccia scura di Giapeto, da nord, con la cresta equatoriale ben evidente.
- Giapeto: Giapeto (nome sdrucciolo: Giàpeto) è il terzo satellite naturale di Saturno per dimensioni dopo Titano e Rea, e l'undicesimo satellite naturale più grande del sistema solare. È il più grande corpo noto a non essere in equilibrio idrostatico e la sua peculiarità più nota è di avere la superficie divisa in due regioni all'apparenza molto differenti tra loro. Inoltre possiede altre caratteristiche insolite scoperte nel 2007 dalla sonda Cassini, come la grande cresta che percorre due terzi della lunghezza del suo equatore. Fu scoperto dall'astronomo italiano Giovanni Domenico Cassini il 25 ottobre 1671. Deve il suo nome al Giapeto della mitologia greca ed è anche noto come Saturno VIII. Cassini chiamava i quattro satelliti saturniani da lui scoperti (Teti, Dione, Rea e Giapeto) Sidera Lodoicea ("le stelle di Luigi"), in onore di re Luigi XIV. Gli astronomi presero l'abitudine di riferirsi a loro e a Titano come Saturno I fino a Saturno V quindi, in base alla sua distanza dal pianeta, Giapeto era noto come Saturno V. Quando nel 1789 furono scoperti Mimas ed Encelado, lo schema di numerazione fu esteso a Saturno VII. Dal 1848 Giapeto è noto con il nome di Saturno VIII, quando il suo posto come Saturno VII è stato occupato da Iperione. Gli attuali nomi dei primi sette satelliti di Saturno furono dati da John Herschel (figlio di William Herschel, scopritore di Mimas ed Encelado) nel 1847, quando suggerì i nomi dei Titani e delle Titanidi, i fratelli e le sorelle di Crono (il Saturno greco). Giapeto è il terzo satellite di Saturno per dimensioni, è molto più lontano dal pianeta rispetto agli altri satelliti maggiori. Tra i grandi satelliti di Saturno, Giapeto è quello con la più alta inclinazione orbitale; solo i satelliti esterni irregolari, come Febe, hanno orbite caratterizzate da piani orbitali inclinati in modo significativo sull'equatore del pianeta. A causa di questa lontananza e dell'orbita inclinata, Giapeto è la sola grande luna dalla quale gli anelli di Saturno sarebbero ben visibili; dagli altri satelliti interni infatti, gli anelli sarebbero visti di taglio e difficili da scorgere. Visto da Giapeto, Saturno ha un diametro angolare di 1° 56' (quattro volte la dimensione della Luna vista dalla Terra). La bassa densità di Giapeto, pari a 1,083 g/cm³, indica che è composto principalmente da ghiaccio con una piccola quantità di materiali rocciosi. Misurazioni triassiali di Giapeto ne stimano le dimensioni radiali in 746 × 746 × 712 km³, con un raggio medio di 734,5±2,8 km[6]. Queste misurazioni sono relativamente inaccurate in quanto non tutta la superficie del satellite è stata fotografata ad alta risoluzione. A dispetto delle sue dimensioni appare evidente che la luna non è in equilibrio idrostatico, altrimenti la sua forma oblata potrebbe essere spiegata solo con un periodo di rotazione di circa 10 ore, mentre Giapeto attualmente ruota attorno al proprio asse molto più lentamente, con un periodo pari a 79 giorni terrestri. Una possibile spiegazione di questa discrepanza è che la luna si sia congelata poco dopo la sua formazione, quando la rapida rotazione ne schiacciava i poli; nel corso del tempo la rotazione avrebbe continuato a rallentare per via degli attriti mareali e la sua forma sarebbe rimasta invariata. La superficie di Giapeto ha una distintiva colorazione a due toni. Un emisfero è scuro (albedo 0,03-0,05) con una lieve colorazione rossastra, mentre l'altro emisfero è brillante (albedo 0,5, quasi quanto Europa). Questa differenza è così evidente che Cassini notò che poteva osservare Giapeto solamente su un lato di Saturno e non sull'altro.
Le due parti della luna si dividono in realtà secondo uno schema simile a quello dei due lembi che compongono una palla da tennis, abbracciandosi l'un l'altra. La parte scura si chiama Cassini Regio, la parte chiara invece è divisa dall'equatore nella Roncevaux Terra (a nord) e nella Saragossa Terra (a sud). È probabile che i materiali scuri siano composti organici simili alle sostanze trovate in alcune meteoriti o sulle superfici di comete. L'origine di questo materiale non è attualmente nota, anche se sono state proposte numerose teorie. Anche lo spessore dello strato non è conosciuto con certezza; sull'emisfero scuro non ci sono crateri brillanti, quindi se lo strato scuro fosse sottile questo dovrebbe essere rinnovato di continuo, altrimenti un impatto meteoritico si spingerebbe oltre lo strato superficiale e rivelerebbe il materiale sottostante più brillante. È possibile che il materiale scuro provenga da qualche fonte interna, forse portata alla superficie da combinazioni di impatti meteoritici e vulcanismo. Questa teoria è supportata dall'apparente concentrazione del materiale sul fondo dei crateri. Siccome Giapeto è lontano da Saturno, è stato ipotizzato che potrebbe aver evitato gran parte del riscaldamento che le altre lune di Saturno hanno ricevuto durante la formazione del sistema solare. Quindi avrebbe potuto trattenere al suo interno metano o ghiaccio di ammoniaca, che più tardi eruttò sulla superficie, e poi annerì a causa della radiazione solare, particelle cariche e raggi cosmici. Un'indicazione di questo tipo di vulcanismo proviene da un anello di materiale scuro, di circa 100 chilometri in diametro, che si estende sul confine tra le due zone di Giapeto, simili strutture sulla Luna e su Marte sono il risultato di materiale vulcanico fluito in crateri di impatto con un picco centrale. Una teoria alternativa ipotizza che il materiale scuro provenga da Febe, o da altri satelliti esterni in rivoluzione retrograda, e sia stato liberato dalla superficie del satellite più piccolo da impatti di meteoritici. Febe è probabilmente l'origine del più largo fra gli anelli di Saturno finora scoperti, l'anello di Febe appunto, rivelato solo nel 2009 dalle osservazioni nell'infrarosso del telescopio spaziale Spitzer. Siccome la Cassini Regio corrisponde alla faccia che Giapeto rivolge in direzione del proprio moto orbitale, eccezion fatta per i poli, su di essa si sarebbero raccolti questi detriti. Tuttavia la superficie di Febe presenta una colorazione più grigia rispetto al materiale scuro di Giapeto, ed una composizione più simile alla sua superficie brillante, perciò l'arrivo del materiale da Febe spiega solo una piccola differenza di albedo, che dovrebbe essere accentuata da un processo posteriore. Quale che sia l'origine dei materiali scuri, infatti, l'opacità della superficie di Giapeto potrebbe essere eccentuata dalle radiazioni solari a causa del lungo periodo di rotazione della luna: mentre la parte ghiacciata le riflette meglio, quella scura si surriscalda maggiormente, facendo sublimare il ghiaccio e ogni eventuale elemento volatile, che tende a depositarsi sui poli o sull'emisfero opposto. durante il lunghissimo giorno di Giapeto la parte chiara della superficie arriva fino a 113 K circa, quella più scura fino a 128; questa differenza, seppur leggera, è sufficiente perché il ghiaccio si disperda in misura nettamente maggiore nella Cassini Regio che sul resto del satellite. Su tempistiche geologiche questo avrebbe accentuato la differenza di albedo fra le due aree. Un ulteriore mistero è stato scoperto quando la sonda Cassini fotografò Giapeto il 31 dicembre 2004 e rivelò la presenza di una cresta larga all'incirca 20 km ed alta 13 km che si estende per oltre 1300 km nella Cassini Regio, seguendo quasi perfettamente la linea equatoriale della luna. Alcuni picchi della cresta raggiungono i 20 km d'altezza e costituiscono alcune delle più grandi montagne del sistema solare. Alcune delle montagne più chiare nei pressi del bordo della Cassini Regio, che sembrano appartenere a questa cresta, erano già state viste nelle foto delle Voyager; tuttavia, queste ultime non furono in grado di fornire dettagli della regione oscura, dunque l'estensione del complesso geologico si è reso visibile solo di recente. L'immenso sistema crestale è altamente craterizzato, il che indica che è molto antico. Diverse ipotesi sono state prodotte riguardo alla sua origine. La cresta potrebbe essere nata al momento della sua formazione quando la luna ruotava molto più velocemente; quest'ipotesi è sostenuta dal team che ha seguito la missione Cassini ed implicherebbe che il giovane Giapeto ruotasse in un periodo di almeno 17 ore. Raffreddandosi, la luna ha mantenuto la cresta, anche sotto l'influenza delle maree di Saturno che ne hanno rallentato la rotazione alle attuali 79,33 giorni. La cresta equatoriale potrebbe essersi formata, secondo un'altra ipotesi, da materiale fuoriuscito in superficie dal sottosuolo e poi solidificatosi. È stato anche suggerito che Giapeto avesse potuto avere un anello, nei primi periodi della sua esistenza, un anello poi collassato gradualmente lungo la fascia equatoriale. Infatti, Giapeto ha un'importante sfera di Hill, il che giustificherebbe sia la presenza dell'anello nel proto-Giapeto che l'attrazione di altro materiale, anch'esso poi collassato sulla superficie. Un'ipotesi simile vede la cresta come il risultato dell'impatto di un satellite di Giapeto, spezzato dalle forze congiunte delle maree di Saturno e Giapeto stesso, per infine precipitare lungo l'equatore della luna. La cresta equatoriale sembra però troppo solida per essere il risultato di materiale precipitato dall'anello, senza contare che le immagini mostrano che è attraversata da faglie d'origine tettonica, il che non sembra confermare quest'ipotesi. La cresta potrebbe essere il risultato di un antico episodio di convezione. Questa ipotesi afferma che la cresta è in equilibrio isostatico tipico delle montagne terrestri. Significa che sotto la cresta c'è materiale a bassa densità. Il peso della cresta è compensato dalla forza di galleggiamento. Queste ipotesi, comunque, non spiegano perché la cresta si estenda per la sola Cassini Regio. La luna possiede numerosi crateri di notevoli dimensioni, alcuni dei quali sono stati scoperti grazie alle foto della sonda Voyager 2; solo con la Cassini è stato possibile rilevare la presenza di vasti crateri d'impatto nella regione oscura. Il più grande, Turgis, possiede un diametro di 580 km (due quinti di quello della luna) ed è uno dei più vasti del sistema solare. L'orlo del cratere è molto ripido e parte della scarpata supera i 15 km d'altezza.
I satelliti di Urano
Urano ha ventisette satelliti.
Titania
Titania è la più grande delle lune di Urano e, con un diametro di 1578 km, l'ottava del sistema solare. Scoperta da William Herschel nel 1787, Titania prende il nome dalla Regina delle Fate in Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare. Titania è costituita da ghiaccio e roccia in misura all'incirca uguale, ed è probabilmente differenziata in un nucleo di roccia e un mantello di ghiaccio. Uno strato di acqua liquida potrebbe essere presente al confine tra nucleo e mantello. La superficie di Titania (piuttosto scura e leggermente rossa) sembra essere stata modellata sia da impatti che da processi endogeni. È coperta da numerosi crateri da impatto che raggiungono i 326 km di diametro, ma in misura minore rispetto alla superficie della luna più esterna di Urano, Oberon. Titania probabilmente ha subito un precoce evento di ripavimentazione endogena che ha modificato la sua vecchia superficie molto craterizzata. La superficie di Titania è attraversata da un sistema di enormi canyon e scarpate, come risultato dell'espansione del suo interno durante le ultime fasi della sua evoluzione. Come tutte le lune maggiori di Urano, Titania si è probabilmente formata da un disco di accrescimento che circondava il pianeta poco dopo la sua formazione. La spettroscopia agli infrarossi condotta dal 2001 al 2005 ha rivelato la presenza di ghiaccio d'acqua e di anidride carbonica ghiacciata sulla superficie di Titania, il che indica che la luna potrebbe possedere una tenue atmosfera di anidride carbonica con una pressione superficiale di circa un decitrilionesimo di bar. Misurazioni della pressione superficiale durante l'occultazione di una stella da parte di Titania hanno stabilito un limite superiore di 10-20 nbar. A tuttora il sistema di Urano è stato studiato da vicino una sola volta, dalla sonda Voyager 2 nel gennaio 1986. Ci sono volute diverse immagini di Titania per ottenere la mappatura del 40% circa della sua superficie. Titania fu scoperta da William Herschel l'11 gennaio 1787, lo stesso giorno in cui scoprì Oberon, la seconda luna di Urano in ordine di grandezza. In seguito egli annunciò la scoperta di altri quattro satelliti,[8] annuncio rivelatosi in seguito non veritiero. Per quasi cinquant'anni dopo la loro scoperta, Titania e Oberon non vennero osservate da nessun altro strumento oltre a quello di William Herschel,[10] anche se sarebbe stato sufficiente un buon telescopio amatoriale dei nostri giorni. Tutti i satelliti di Urano prendono il nome da personaggi creati da William Shakespeare o da Alexander Pope. Il nome Titania si riferisce alla Regina delle Fate nel Sogno di una notte di mezza estate. I nomi di tutti i quattro satelliti di Urano fino ad allora conosciuti furono suggeriti nel 1852 dal figlio di Herschel, John, su richiesta di William Lassell, che l'anno prima aveva scoperto le altre due lune, Ariel e Umbriel. Titania venne inizialmente indicata come "il primo satellite di Urano"; nel 1851 William Lassell designò con numeri romani tutti e quattro i satelliti in ordine di distanza dal pianeta, e da allora Titania è conosciuta anche come Urano III. Il nome Titania è di origine greca antica e significa "Figlia dei Titani". Titania orbita Urano a una distanza di circa 436000 km ed è, tra le sue cinque lune principali, la seconda più lontana dal pianeta. L'orbita di Titania è poco eccentrica e pochissimo inclinata rispetto all'equatore di Urano.[18] Il suo periodo orbitale è di 8,7 giorni circa, e coincide con il suo periodo di rotazione. In altre parole, Titania è un satellite in rotazione sincrona, con un lato sempre rivolto verso il pianeta. L'orbita di Titania si trova completamente all'interno della magnetosfera di Urano. Ciò è importante, perché gli emisferi di coda dei satelliti in orbita all'interno di una magnetosfera vengono colpiti dal plasma della magnetosfera, che è in rotazione con il pianeta. Questo bombardamento può comportare l'oscuramento degli emisferi di coda, fatto che si verifica per tutte le lune di Urano, ad eccezione di Oberon. Poiché Urano orbita intorno al Sole quasi su un fianco, e le sue lune orbitano nel piano equatoriale del pianeta, esse (tra cui Titania) sono soggette ad un ciclo stagionale estremo. Entrambi i poli trascorrono 42 anni in un buio completo, e altri 42 anni alla luce solare continua, con il Sole che sorge vicino allo zenit su uno dei poli ad ogni solstizio. Il sorvolo ravvicinato di Voyager 2 coincise con il solstizio d'estate dell'emisfero meridionale nel 1986, quando quasi tutto l'emisfero settentrionale non era illuminato. Una volta ogni 42 anni, quando Urano ha un equinozio e il suo piano equatoriale interseca la Terra, diventano possibili mutue occultazioni dei satelliti di Urano. Nel 2007-2008 furono osservati alcuni eventi di questo tipo, tra cui due occultazioni di Titania da parte di Umbriel, il 15 agosto e l'8 dicembre 2007. Titania è la luna più grande e più massiva di Urano, l'ottava luna del Sistema Solare per massa. La sua densità di 1,71 g/cm³, molto superiore alla densità media dei satelliti di Saturno, indica che è composta in proporzioni quasi uguali di ghiaccio d'acqua e di dense componenti non di ghiaccio; queste ultime potrebbero essere roccia e materiale carbonioso, tra cui composti organici pesanti. La presenza di ghiaccio d'acqua cristallino sulla superficie della luna è supportata da osservazioni spettroscopiche a raggi infrarossi fatte nel 2001-2005. Le bande di assorbimento del ghiaccio d'acqua sono un po' più forti sull'emisfero di testa che sull'emisfero di coda, il contrario di ciò che si osserva su Oberon, dove l'emisfero di coda presenta maggiori evidenze di ghiaccio d'acqua. La causa di questa asimmetria non è conosciuta, ma potrebbe essere correlata al bombardamento di particelle cariche della magnetosfera di Urano, che è più intenso nell'emisfero di coda (a causa della co-rotazione del plasma). Le particelle energetiche tendono a erodere il ghiaccio, a decomporre il metano intrappolato nel ghiaccio sotto forma di idrato clatrato e a scurire altri composti organici, lasciandosi dietro un residuo scuro ricco di carbonio. A parte l'acqua, l'unico altro composto identificato sulla superficie di Titania mediante spettroscopia infrarossa è l'anidride carbonica (CO2), concentrata principalmente nell'emisfero di coda. L'origine del biossido di carbonio non è completamente chiara. Potrebbe essere prodotta localmente da carbonati o materiali organici sotto l'influenza della radiazione ultravioletta solare o delle particelle cariche provenienti dalla magnetosfera di Urano. Quest'ultimo processo spiegherebbe l'asimmetria nella sua distribuzione, poiché l'emisfero di coda è soggetto a una più intensa influenza magnetosferica rispetto a quello di testa. Un'altra fonte possibile è il degassamento del CO2 primordiale intrappolato dal ghiaccio d'acqua all'interno di Titania. La fuga di CO2 dall'interno potrebbe essere correlata alla passata attività geologica su questa luna. Titania potrebbe essere differenziata in un nucleo roccioso circondato da un mantello di ghiaccio. Se questo è il caso, il raggio del nucleo di 520 km è circa il 66% del raggio della luna, e la sua massa è circa il 58% della massa totale; le proporzioni sono dettate dalla composizione della luna. La pressione al centro di Titania è di circa 0,58 GPa (5,8 kbar). L'attuale stato del manto ghiacciato non è chiaro. Se il ghiaccio contenesse sufficiente ammoniaca o altro antigelo, Titania potrebbe possedere uno strato di oceano liquido al confine nucleo-mantello. Lo spessore di questo oceano, ammesso che esista, può arrivare fino a 50 chilometri e la sua temperatura è di 190 K circa. C'è da notare tuttavia che la struttura interna di Titania dipende in larga misura dalla sua storia termica, che attualmente è poco conosciuta. Tra le lune di Urano, Titania è di luminosità intermedia tra gli oscuri Oberon e Umbriel e i luminosi Ariel e Miranda. La sua superficie si presenta con un forte effetto di opposizione: il suo potere riflettente diminuisce dal 35% ad un angolo di fase di 0° (albedo geometrica) al 25% ad un angolo di circa 1°. Titania ha un'albedo di Bond piuttosto bassa, circa il 17%. La sua superficie è per lo più rossastra, meno comunque rispetto a quella di Oberon. Tuttavia, i più recenti depositi da impatto danno maggiormente sul blu, mentre le pianure lisce situate nell'emisfero di testa vicino al cratere Ursula e lungo alcuni graben sono un po' più rosse. Potrebbe esserci un'asimmetria cromatica tra gli emisferi testa e di coda: il primo sembra essere più rosso del secondo dell'8%. Tuttavia, questa differenza è collegata alle pianure lisce e potrebbe essere casuale. L'arrossamento delle superfici probabilmente dipende dalla meteorologia spaziale causata da bombardamenti di particelle cariche e di micro meteoriti in un arco di tempo dell'età del sistema solare. Tuttavia, l'asimmetria cromatica di Titania probabilmente è più relativa all'accrescimento di materiale rossastro proveniente da parti esterne al sistema di Urano, forse da satelliti irregolari, che si sarebbe depositato prevalentemente sull'emisfero di testa. Gli scienziati hanno classificato tre caratteristiche geologiche su Titania: crateri, chasmata (canyon) e rupes (scarpate). La superficie di Titania è molto meno craterizzata di quelle di Oberon e di Umbriel, il che significa che è molto più giovane. Il diametro dei crateri varia da pochi chilometri a 326 km per il più grande, cratere Gertrude. Alcuni crateri (ad esempio, Ursula e Jessica) sono circondati da materiale espulso (ejecta) luminoso, raggiere di ghiaccio relativamente fresco. Tutti i grandi crateri di Titania presentano fondi piatti e picchi centrali, a parte Ursula che ha un pozzo al centro. A ovest di Gertrude c'è una zona con topografia irregolare, il cosiddetto "bacino senza nome", che potrebbe essere un altro bacino da impatto fortemente degradato con un diametro di circa 330 chilometri. La superficie di Titania è attraversata da un sistema di enormi faglie, o scarpate. In alcuni luoghi, due scarpate parallele segnano depressioni nella crosta del satellite, con la formazione di graben, a volte chiamati canyon. Il più importante tra i canyon di Titania è Messina Chasmata, che si estende per circa 1.500 chilometri dall'equatore fin quasi al polo sud. I graben su Titania sono larghi 20-50 km con una profondità di 2-5 km circa. Le scarpate non collegate a canyon si chiamano Rupes, come Rousillon Rupes vicino al cratere Ursula. Le regioni lungo alcune scarpate e vicino a Ursula appaiono lisce alla risoluzione delle immagini di Voyager. Queste pianure lisce sono state probabilmente ripavimentate successivamente nella storia geologica di Titania, dopo la formazione della maggior parte dei crateri. La ripavimentazione potrebbe essere stata sia di natura endogena, con eruzione di materiale fluido dall'interno (criovulcanismo), oppure dovuta alla copertura da parte del materiale espulso dai vicini crateri di grandi dimensioni. I graben sono probabilmente gli elementi geologici più giovani su Titania: essi intersecano tutti i crateri e le pianure lisce. La geologia di Titania è stata influenzata da due forze concorrenti: la formazione di crateri da impatto e la ripavimentazione endogena. La prima ha agito durante tutta la storia della luna e ha influenzato tutte le superfici. Anche i processi della seconda sono stati di natura globale, ma attivi soprattutto per un periodo successivo alla formazione della luna.[27] Essi hanno cancellato il terreno originale molto craterizzato, spiegando così il numero piuttosto basso di crateri da impatto sulla attuale superficie. Ulteriori episodi di ripavimentazione potrebbero essersi verificati successivamente portando così alla formazione di pianure lisce. In alternativa le pianure lisce possono essere coperture di materiale espulso dai crateri nelle vicinanze. I processi endogeni più recenti sono stati soprattutto di natura tettonica e hanno causato la formazione dei canyon, che sono in realtà crepe giganti della crosta di ghiaccio. La rottura della crosta è stata causata dall'espansione globale di Titania del 0,7% circa. La presenza di anidride carbonica sulla superficie indica che Titania potrebbe avere una tenue atmosfera stagionale di CO2, molto simile a quella della luna gioviana Callisto. È poco probabile che siano presenti altri gas, come azoto o metano, in quanto la debole gravità della luna non avrebbe potuto impedire loro di disperdersi nello spazio. Alla temperatura massima raggiungibile durante il solstizio d'estate di Titania (89 K), la pressione di vapore di anidride carbonica è di 3 nbar circa. L'8 settembre 2001, Titania occultò una stella (HIP106829) con magnitudine apparente di 7,2; fu questa l'occasione per determinare con più precisione il diametro della luna, le sue effemeridi e di rilevare l'esistenza di un'eventuale atmosfera. I dati non hanno rivelato alcuna atmosfera ad una pressione superficiale di 10-20 nanobars; se esistesse, dovrebbe essere molto più sottile di quella di Tritone o di Plutone. La particolare geometria del sistema di Urano determina che i poli delle lune ricevano più energia solare rispetto alle loro regioni equatoriali. Poiché la pressione di vapore della CO2 aumenta rapidamente con la temperatura, ciò potrebbe portare all'accumulo di anidride carbonica nelle regioni a bassa latitudine, dove essa potrebbe trovarsi stabilmente in zone ad elevata albedo e in regioni ombreggiate della superficie sotto forma di ghiaccio. Durante l'estate, quando le temperature polari raggiungono anche 85-90 K, l'anidride carbonica sublima migrando verso il polo opposto e verso le regioni equatoriali, dando luogo a una specie di ciclo del carbonio. L'anidride carbonica ghiacciata può essere eliminata dalle zone fredde dove si è accumulata dalle particelle della magnetosfera, che la rimuovono dalla superficie. Si ritiene che Titania abbia perso una notevole quantità di anidride carbonica dalla sua formazione 4,6 miliardi anni fa.[20] Si ritiene che Titania si sia formata per accrescimento nella sub-nebulosa di Urano, un disco di gas e polvere che era presente attorno a Urano per qualche tempo dopo la sua formazione, oppure creato da un impatto gigantesco che molto probabilmente ha dato a Urano la sua elevata obliquità. La precisa composizione della nebulosa non è conosciuta, tuttavia, la densità piuttosto alta di Titania e di altre lune di Urano rispetto alle lune di Saturno indica che era povera d'acqua. Significative quantità di azoto e di carbonio potrebbero essere state presenti sotto forma di monossido di carbonio e N2 al posto di ammoniaca e metano. Le lune che si formarono in questa nebulosa contenevano meno ghiaccio d'acqua (con CO e N2 intrappolati come clatrato) e più roccia, determinando così la maggiore densità. L'accrescimento di Titania probabilmente durò per diverse migliaia di anni. Gli impatti che accompagnarono l'accrescimento causarono il riscaldamento dello strato esterno della luna. La temperatura massima di circa 250 K (−23 °C), è stata raggiunta a una profondità di 60 chilometri circa. Dopo la fine della formazione, lo strato sotto la superficie si raffreddò, mentre l'interno di Titania si riscaldò a causa del decadimento di elementi radioattivi presenti nelle rocce. Lo strato freddo in prossimità della superficie si contrasse, mentre l'interno si espanse. Ciò causò forti tensioni distensive nella crosta lunare che portarono a fratture. Alcuni degli attuali canyon potrebbero essere il risultato di questo processo durato per circa 200 milioni di anni, il che significa che ogni attività endogena ebbe fine miliardi di anni fa. Il riscaldamento iniziale dovuto all'accrescimento insieme con il continuo decadimento di elementi radioattivi erano probabilmente abbastanza forti da fondere il ghiaccio in presenza di anticongelanti come ammoniaca (sotto forma di idrato) o sale. Successive fusioni potrebbero aver determinato la separazione del ghiaccio dalla roccia e la formazione di un nucleo roccioso circondato da un mantello di ghiaccio. Uno strato di acqua liquida (oceano) ricco di ammoniaca disciolta potrebbe aver formato la zona di confine tra il nucleo e il mantello. La temperatura eutettica di questa miscela è 176 K (−97 °C). Se la temperatura fosse scesa al di sotto di questo valore, l'oceano si sarebbe successivamente congelato. Il congelamento dell'acqua avrebbe causato l'espansione dell'interno, che potrebbe essere stata responsabile della formazione della maggior parte dei canyon. C'è da tener presente che l'attuale conoscenza dell'evoluzione geologica di Titania è piuttosto limitata. Finora le uniche immagini ravvicinate di Titania sono state riprese dalla sonda Voyager 2, durante il flyby di Urano nel gennaio 1986. Poiché la distanza minima tra il Voyager 2 e Titania era solo di 365200 km, le migliori immagini di questa luna hanno una risoluzione spaziale di circa 3,4 km (solo Miranda e Ariel sono stati ripresi con una risoluzione maggiore). Le immagini coprono circa il 40% della superficie, ma solo il 24% è stato fotografato con la precisione richiesta dalla cartografia geologica. Al momento del sorvolo ravvicinato, l'emisfero meridionale di Titania (come quello delle altre lune) era puntato verso il Sole, così che l'emisfero nord era al buio e pertanto non poté essere studiato. Nessun altro veicolo spaziale ha mai visitato Urano e Titania. Una possibilità (non realizzata) avrebbe potuto essere quella di far proseguire la sonda Cassini da Saturno verso Urano, con una estensione della missione; un'altra è il programma Uranus orbiter and probe, la cui missione è prevista per gli anni 2020.
Oberon
Oberon è il più esterno dei satelliti di Urano. Il nome deriva dalla commedia di Shakespeare Sogno di una notte di mezza estate, in cui Oberon è il re delle fate. Oberon fu scoperto l'11 gennaio 1787 da William Herschel. Nella stessa occasione, l'astronomo tedesco scoprì anche Titania, il più grande dei satelliti di Urano. Herschel successivamente annunciò anche la scoperta di altri quattro satelliti, scoperta che si rivelò poi errata. Nei primi venticinque anni successivi alla loro scoperta, Oberon e Titania non furono osservati da nessun altro telescopio, anche se oggi sono alla portata di un buono strumento amatoriale. Tutti i nomi dei satelliti di Urano derivano da personaggi delle opere di Shakespeare o di Alexander Pope. Nel caso di Oberon, il nome deriva dalla commedia di Shakespeare Sogno di una notte di mezza estate, in cui Oberon è il re delle fate. Fu il figlio di William Herschel, John, a proporre questi nomi nel 1852 su richiesta di William Lassell, che aveva scoperto l'anno precedente altri due satelliti Ariel e Umbriel. Oberon fu inizialmente indicato come il secondo satellite di Urano e nel 1848 fu designato come Urano II da Lassel, anche se egli stesso occasionalmente utilizzava la numerazione introdotta da William Herschel dove Titania era indicata come Urano II e Oberon come Urano IV. Infine nel 1851 Lassel ordinò i quattro satelliti in funzione della loro distanza dal pianeta identificandoli con i numerali romani e da allora Oberon viene identificato come Urano IV. Oberon orbita intorno a Urano a una distanza media di 584000 km ed è così il più lontano dei cinque satelliti principali del pianeta (gli altri sono Miranda, Ariel, Umbriel, Titania). La sua orbita è caratterizzata da una modesta eccentricità e inclinazione orbitale rispetto all'equatore di Urano. Il suo periodo orbitale è di circa 13,5 giorni, coincidente con il suo periodo di rivoluzione; pertanto la sua orbita è in rotazione sincrona, con la conseguenza di mostrare sempre la stessa faccia al suo pianeta. L'orbita di Oberon rimane per una parte significativa del suo percorso al di fuori della magnetosfera di Urano, per cui la sua superficie viene direttamente colpita dal vento solare. Invece l'emisfero anteriore di un satellite che orbita all'interno della magnetosfera è soggetto al plasma magnetosferico, che è corotante con il pianeta. Questo bombardamento può portare all'inscurimento dell'emisfero anteriore, come è effettivamente osservato per tutti i satelliti di Urano con l'eccezione di Oberon. Poiché Urano orbita il Sole quasi di lato e poiché i suoi satelliti orbitano intorno al suo piano equatoriale, essi sono soggetti a un ciclo stagionale estremo. Sia il polo nord sia il polo sud trascorrono 42 anni nel buio completo, seguiti da 42 anni di luce continua, con il Sole che raggiunge lo zenit a ogni solstizio.[18] Il sorvolo del Voyager 2 è coinciso con il solstizio estivo del 1986 dell'emisfero meridionale e pertanto l'intero emisfero settentrionale non era illuminato. Ogni 42 anni, quando Urano ha un equinozio e il suo piano equatoriale intersca quello terrestre, è possibile l'occultazione reciproca dei suoi satelliti. Un evento di questo tipo è stato osservato il 4 maggio 2007 quando Oberon ha occultato Umbriel. Oberon è per dimensioni il secondo satellite di Urano, dopo Titania, e il decimo del sistema solare (dopo Ganimede, Titano, Callisto, Io, la nostra Luna, Europa, Tritone, Titania e Rea). La sua densità è di 1,63 g/cm³, più alta della densità tipica dei satelliti di Saturno, indicando che è costituito in proporzioni circa uguali di ghiaccio d'acqua e altri elementi non ghiacciati e più densi, tra cui rocce e materiali ricchi in carbonio inclusi i composti organici. La presenza di ghiaccio d'acqua è supportata da osservazioni spettroscopiche che hanno rivelato la presenza di cristalli di ghiaccio sulla superficie del satellite. La presenza di bande di assorbimento dell'acqua è più forte nell'emisfero anteriore che in quello posteriore, che è l'esatto contrario di quello che avviene sugli altri satelliti di Urano. La causa di questa asimmetria non è nota, ma potrebbe essere legata agli effetti di modifica del suolo conseguenti a impatti meteoritici, che normalmente sono più diffusi sull'emisfero anteriore e che disperdono il ghiaccio della superficie lasciandosi dietro una fascia più scura di materiale non ghiacciato. Il materiale scuro potrebbe essere il risultato dell'effetto della radiazione sui clatrati di metano o dell'inscurimento dei composti organici sempre a causa dell'irraggiamento. È possibile che in Oberon si sia differenziato un nucleo interno roccioso circondato da un mantello ghiacciato. In questo caso il raggio del nucleo (480 km) corrisponderebbe al 63% del raggio del satellite e la sua massa sarebbe il 54% di quella totale (i valori sono calcolati in base alla composizione del satellite). La pressione al centro di Oberon è di circa 0,5 GPa (5 000 bar). Lo stato attuale del mantello ghiacciato non è ancora chiaro. Se il ghiaccio contiene abbastanza ammoniaca o un altro anticongelante, Oberon potrebbe possedere uno strato liquido al confine tra il nucleo e il mantello. Lo spessore di questo oceano, sempreché esista, potrebbe raggiungere i 40 km e la sua temperatura i 180 K. È da notare tuttavia che la struttura interna di Oberon dipende fortemente dalla sua storia termica, che è attualmente poco conosciuta. Possiede una superficie ghiacciata e ricoperta di crateri, che non mostra tracce evidenti di attività tettonica, a parte la presenza di alcuni materiali scuri che sembrano ricoprire la superficie di alcuni crateri. Possiede almeno una montagna molto alta che raggiunge i 6000 m di altitudine, una altezza rilevante e pari a 7,8 millesimi del raggio del satellite di gran lunga superiore ai 1,4 millesimi del raggio terrestre che raggiunge l'Everest. Oberon è il secondo satellite più scuro di Urano dopo Umbriel. La sua superficie mostra un forte effetto di opposizione: la sua riflettività decresce da un'albedo del 31% a un angolo di fase 0° fino al 22% a un angolo di circa 1°. Oberon ha una bassa albedo di Bond, attorno al 14%. La sua superficie è generalmente rossastra, tranne che nei depositi da impatti recenti che sono di colore neutro o bluastro. Oberon è infatti il più rosso tra i satelliti maggiori di Urano. I suoi emisferi anteriore e posteriore sono asimmetrici nella colorazione: il secondo appare più rosso del primo perché contiene più materiale rosso scuro. L'arrossamento della superficie è spesso collegato all'erosione spaziale causata dal bombardamento della superficie da parte di particelle e micrometeoriti che hanno l'età del sistema solare. L'asimmetria di colore di Oberon è però più probabilmente collegata all'accrezione di materiale rossastro che spiraleggia dalle zone esterne del sistema di Urano, presumibilmente dai satelliti irregolari, e influisce soprattutto sull'emisfero anteriore. Gli studiosi hanno identificato due classi di caratteristiche geologiche su Oberon: crateri da impatto e chasmata (profondi canyon o depressioni come le fosse tettoniche o le scarpate terrestri). La superficie di Oberon è la più craterizzata tra tutti i satelliti di Urano, con una densità di crateri che si approssima alla saturazione, cioè al punto in cui la formazione di nuovi crateri è bilanciata dalla distruzione di quelli più vecchi. Questa elevata craterizzazione indica che Oberon ha la superficie più antica tra i satelliti di Urano. Il diametro dei crateri arriva fino ai 206 km di Amleto, il più grande tra i crateri conosciuti. Da alcuni dei crateri maggiori si dipartono raggi di materiale espulso più chiaro che consiste principalmente di ghiaccio depositatosi in tempi recenti.[16] Il fondo dei crateri maggiori come Amleto, Otello e Macbeth è coperto di materiale molto scuro depositatosi dopo la loro formazione. Un picco alto circa 11 km è stato osservato in alcune immagini del Voyager vicino al bordo esterno meridionale di Oberon; potrebbe trattarsi del picco centrale di un grande bacino da impatto largo circa 37 km. La superficie di Oberon è intersecata da un sistema di canyon, che sono tuttavia meno diffusi di quelli trovati su Titania. Le fiancate dei canyon sono delimitate dalle normali scarpate (alcune definibili come graben), alcune delle quali appaiono antiche, altre recenti: su queste ultime sono presenti depositi brillanti provenienti da grandi crateri, indicanti che la loro formazione è recente. Il chasma più imponente è il Mommur Chasma. La geologia di Oberon è stata influenzata da forze contrapposte: la formazione di crateri da impatto e il rimodellamento della superficie provocato da effetti endogeni. La prima è stata attiva durante l'intera vita del satellite ed è la principale responsabile del suo aspetto odierno. I processi endogeni, di natura tettonica, sono stati attivi per un periodo successivo alla formazione del satellite e hanno portato alla formazione dei canyon, risultanti da fessurazioni della crosta ghiacciata, che hanno in parte cancellato la vecchia superficie. La fessurazione della crosta è stata causata da un'espansione di Oberon dello 0,5% avvenuta in due fasi corrispondenti ai vecchi e nuovi canyon. La natura delle chiazze scure, presenti soprattutto nell'emisfero anteriore e all'interno dei crateri, non è ben nota. Secondo alcuni esse sono di origine criovulcanica come i mari lunari, mentre altri ritengono che gli impatti abbiano portato in superficie del materiale più scuro interrato al di sotto della crosta ghiacciata. Nel secondo caso Oberon dovrebbe essere almeno parzialmente differenziato, con la crosta ghiacciata disposta al di sopra dell'interno non differenziato. Le uniche immagini ravvicinate di Oberon sinora disponibili provengono dalla sonda Voyager 2, che ha fotografato la superficie del satellite nel corso del suo fly-by del sistema di Urano, il 24 gennaio 1986. La distanza minima di avvicinamento della sonda è stata di 470600 km permettendo di ottenere immagini con una risoluzione massima di circa 6 km. Le immagini coprono circa il 40% della superficie, ma solo per il 25% di essa è stato possibile ottenere una risoluzione sufficiente per produrre una mappatura geologica del satellite. All'epoca del sorvolo infatti l'emisfero meridionale di Oberon era rivolto verso il Sole, cosicché l'emisfero settentrionale risultava troppo scuro per poter essere studiato. Dopo di allora nessun'altra sonda ha visitato Urano e non ne è attualmente prevista nessuna nemmeno per il prossimo futuro.
Umbriel
Umbriel è il terzo satellite naturale di Urano per grandezza. Umbriel fu scoperta nel 1851 da William Lassell, insieme ad Ariel. I loro nomi, come quelli degli altri due satelliti di Urano allora conosciuti (Titania e Oberon, già noti dal 1787) furono suggeriti da John Herschel nel 1852, su richiesta di Lassell. Lassell aveva già approvato, nel 1847, la proposta del 1847 di Herschel di utilizzare i nomi dei fratelli e delle sorelle di Crono per i sette satelliti allora conosciuti di Saturno (il corrispondente di Crono nella mitologia romana). La proposta di Herschel per il sistema di Urano prevedeva che i satelliti dovessero essere intitolati a personaggi delle opere di William Shakespeare ed Alexander Pope; a tutt'oggi la tradizione è stata sempre rispettata. Casualmente, il nome di Umbriel ben si addice alla sua caratteristica colorazione scura: Umbriel è l'oscuro folletto della malinconia ne Il ricciolo rapito di Alexander Pope, ed il nome richiama l'espressione latina umbra, ombra. Umbriel è caratterizzata, come già detto, dalla superficie più scura fra tutti i satelliti di Urano. La superficie del satellite è pesantemente craterizzata; la sua caratteristica più rilevante, nota con il nome di cratere Wunda, è un grande anello di materiale brillante. Sembra naturale presumere che si tratti di un cratere, ma l'esatta natura della formazione è ancora incerta. Umbriel è, fra i cinque satelliti naturali maggiori di Urano, quello che mostra un'attività geologica meno pronunciata. Il satellite si compone principalmente di ghiaccio d'acqua, e per il resto di silicati e ghiaccio di metano (la maggior parte di quest'ultimo si trova sulla superficie).
Ariel
Ariel o Ariele è la più luminosa e la quarta in ordine di grandezza delle 27 lune conosciute di Urano. Ariel orbita e ruota nel piano equatoriale di Urano, che è quasi perpendicolare all'orbita di Urano, e ha quindi un ciclo di stagioni estreme. Fu scoperto nel mese di ottobre 1851 da William Lassell, e prese il nome da un personaggio di due distinte opere letterarie. Gran parte della conoscenza dettagliata di Ariel deriva da un unico sorvolo di Urano effettuato dalla sonda Voyager 2 nel 1986, che è riuscita a riprendere l'immagine di circa il 35% della superficie della luna. Non ci sono per il momento piani per tornare a studiare la luna in modo più dettagliato, anche se vari progetti, come Urano orbiter and probe, vengono proposti di volta in volta. Dopo Miranda, Ariel è il secondo più piccolo dei cinque maggiori satelliti sferici di Urano, e il secondo più vicino al pianeta. Tra le più piccole delle 19 lune sferiche conosciute del sistema solare (è la 14ª per diametro), si ritiene che sia composto di ghiaccio e materiale roccioso più o meno in parti uguali. Come tutte le lune di Urano, Ariel si formò probabilmente da un disco di accrescimento che circondava il pianeta poco dopo la sua formazione e, come altre lune di grandi dimensioni, è verosimilmente differenziato, con un nucleo interno di roccia circondato da un mantello di ghiaccio. Ariel ha una superficie complessa composta da un ampio terreno craterizzato attraversato da un sistema di scarpate di faglia, canyon e creste. La superficie mostra segni di attività geologica più recente rispetto ad altre lune di Urano, molto probabilmente a causa delle forze di marea. È stato scoperto il 24 ottobre 1851 da William Lassell (insieme a Umbriel). Anche se William Herschel, che scoprì le due lune più grandi di Urano Titania e Oberon nel 1787, sostenne di aver osservato quattro altre lune, le sue affermazioni non sono mai state confermate. Tutti i satelliti di Urano prendono il nome da personaggi di opere di William Shakespeare o da Il ricciolo rapito di Alexander Pope. I nomi di tutti e quattro i satelliti di Urano allora conosciuti furono suggeriti da John Herschel nel 1852 su richiesta di Lassell. Ariel, designato anche come Urano I, prende il nome dalla silfide principale ne Il ricciolo rapito. È anche il nome dello spirito che serve Prospero ne La Tempesta di Shakespeare. Tra le cinque maggiori lune di Urano, Ariel è la seconda più vicina al pianeta, orbitando alla distanza di circa 190.000 km. La sua orbita è poco eccentrica ed è inclinata molto poco rispetto all'equatore di Urano. Il suo periodo orbitale è di circa 2,5 giorni terrestri, coincidente con il suo periodo di rotazione. Ciò significa che una faccia della luna è sempre rivolta verso il pianeta, una condizione nota come rotazione sincrona. L'orbita di Ariel si trova completamente all'interno della magnetosfera di Urano. L'emisfero di coda (quello che si trova dalla parte opposta rispetto alla direzione dell'orbita) di satelliti senza atmosfera che orbitano all'interno di una magnetosfera (come Ariel) viene colpito da plasma magnetosferico co-rotante con il pianeta. Questo bombardamento può portare all'oscuramento dell'emisfero di coda riscontrato per tutte le lune di Urano ad eccezione di Oberon (vedi sotto). Inoltre Ariel cattura le particelle cariche della magnetosfera, producendo una netta flessione nel conteggio di particelle energetiche vicino all'orbita della luna osservata da Voyager 2 nel 1986. Poiché Ariel, come Urano, orbita intorno al Sole quasi sul proprio fianco rispetto alla sua rotazione, i suoi emisferi settentrionale e meridionale sono rivolti verso il Sole o dalla parte opposta ai solstizi. Questo significa che è soggetto ad un ciclo di stagioni estreme; proprio come i poli della Terra vedono la notte permanente o la luce del giorno intorno ai solstizi, allo stesso modo i poli di Ariel vedono la notte permanente o la luce del giorno per mezzo anno di Urano (42 anni terrestri), con il Sole che passa vicino allo zenit sopra ad uno dei poli ad ogni solstizio. Il flyby di Voyager 2 coincise con il solstizio d'estate del 1986 dell'emisfero meridionale, quando quasi tutto l'emisfero nord non era illuminato. Una volta ogni 42 anni, quando Urano ha un equinozio e il suo piano equatoriale interseca la Terra, diventano possibili mutue occultazioni dei satelliti di Urano. Alcuni di questi eventi si sono verificati nel 2007-2008, tra cui un'occultazione di Ariel da parte di Umbriel il 19 agosto 2007. Al 1990, Ariel non si trova in alcuna risonanza orbitale con altri satelliti di Urano. In passato, tuttavia, potrebbe essere stato in risonanza 5:3 con Miranda, che quindi potrebbe essere stata in parte responsabile del suo riscaldamento (anche se il riscaldamento massimo attribuibile a una precedente risonanza 1:3 di Umbriel con Miranda doveva essere probabilmente circa tre volte maggiore). Ariel potrebbe essere stato un tempo legato in risonanza 4:1 con Titania, dalla quale si è poi affrancato. Fughe da una risonanza di moto medio sono molto più facili per le lune di Urano piuttosto che per quelle di Giove o di Saturno, a causa del minor grado di schiacciamento di Urano. Questa risonanza, che probabilmente si è verificata circa 3,8 miliardi di anni fa, avrebbe incrementato l'eccentricità orbitale di Ariel, con conseguente attrito mareale a causa delle forze di marea di Urano. Ciò potrebbe aver provocato il riscaldamento delle parti interne della luna di 20 K. Ariel è la quarta più grande delle lune di Urano, e potrebbe avere la terza massa più grande. La densità è di 1,66 g/cm³, il che significa che si compone circa di parti uguali di acqua ghiacciata e di un componente denso non di ghiaccio. Quest'ultimo potrebbe consistere in rocce e materiale carbonioso comprendente composti organici pesanti noti cometoline. La presenza di ghiaccio d'acqua è avvalorata da osservazioni spettroscopiche agli infrarossi che hanno rivelato ghiaccio d'acqua cristallina sulla superficie della luna. Le righe di assorbimento del ghiaccio d'acqua sono più forti nell'emisfero di testa che in quello di coda. La causa di questa asimmetria non è nota, ma potrebbe essere correlata al bombardamento da parte di particelle cariche provenienti dalla magnetosfera di Urano, che è più forte sull'emisfero di coda (a causa della co-rotazione del plasma). Le particelle energetiche tendono a polverizzare il ghiaccio d'acqua, decompongono il metano intrappolato nel ghiaccio come clatrato idrato ed oscurano altre sostanze organiche, lasciando dietro un residuo oscuro ricco di carbonio. A parte l'acqua, l'unico altro composto identificato sulla superficie di Ariel dalla spettroscopia infrarossa è il biossido di carbonio (CO2), che si concentra soprattutto nell'emisfero di coda. Tra i satelliti di Urano, Ariel mostra la maggiore evidenza spettroscopica del CO2, ed è stato il primo su cui è stato scoperto questo composto. L'origine del biossido di carbonio non è del tutto chiara. Potrebbe essere prodotto localmente da carbonati o materiali organici sotto l'influenza delle particelle energetiche cariche provenienti dalla magnetosfera di Urano o dalla radiazione solare ultravioletta. Questa ipotesi spiegherebbe l'asimmetria nella sua distribuzione, dato che l'emisfero di coda è soggetto a una più intensa influenza magnetosferica rispetto a quello di testa. Un'altra fonte possibile è il degassamento di CO2 primordiale intrappolato dal ghiaccio d'acqua all'interno di Ariel. La fuoriuscita di CO2 dall'interno può essere correlata alla passata attività geologica su questa luna. Data la sua dimensione, la composizione di roccia/ghiaccio e la possibile presenza di sale o ammoniaca in soluzione per abbassare il punto di congelamento dell'acqua, l'interno di Ariel può essere differenziato in un nucleo roccioso circondato da un mantello ghiacciato. Se questo è il caso, il raggio del nucleo (372 km) è circa il 64% del raggio della luna, e la sua massa è circa il 56% della massa della luna; i parametri sono dettati dalla composizione della luna. La pressione nel centro di Ariel è di circa 0,3 GPa (3,0 kbar). Lo stato del mantello ghiacciato non è chiaro, anche se l'esistenza di un oceano sotterraneo è ritenuta improbabile. Ariel è il più luminoso dei satelliti di Urano. La sua superficie mostra un effetto di opposizione: la riflettività diminuisce dal 53% ad un angolo di fase di 0° (albedo geometrica) al 35% con un angolo di circa 1°. L'albedo di Bond di Ariel è di circa il 23%, la più alta tra i satelliti di Urano. La superficie di Ariel è generalmente di colore neutro. Ci può essere una asimmetria tra l'emisfero di testa e quello di coda; il secondo sembra essere più rosso del primo del 2%. La superficie di Ariel generalmente non mostra alcuna correlazione tra albedo e geologia da un lato e colore dall'altro. Ad esempio, i canyon hanno lo stesso colore del terreno craterizzato. Tuttavia, i depositi chiari da impatto attorno ad alcuni crateri recenti sono di colore leggermente più blu. Ci sono anche alcuni punti leggermente blu, che non corrispondono ad alcuna caratteristica nota della superficie. La superficie di Ariel mostra all'osservazione tre tipi di terre: di crateri, di rilievi e di pianure. Le principali strutture geologiche sono i crateri da impatto, i canyon, le scarpate di faglia, le creste e le depressioni. La terra di crateri, una superficie ondulata ricoperta di numerosi crateri da impatto che circonda il polo sud di Ariel, è la più antica e più estesa unità geologica. È attraversata da una rete di scarpate di faglia, di canyon (graben) e di creste scoscese soprattutto alle medie latitudini dell'emisfero meridionale. I canyon, conosciuti anche come chasmata, rappresentano probabilmente graben formatisi attraverso processi tettonici, derivanti da sollecitazioni provocate dal congelamento di acqua (o di ammoniaca acquosa) all'interno della luna. Sono larghi 15-50 km e si estendono in direzione est o nord-est. Il fondo di parecchi canyon è convesso e si eleva di 1-2 km. A volte il fondo è separato dalle pareti del canyon da scanalature di circa 1 km di larghezza. I graben più ampi hanno delle scanalature (chiamate valles) che scorrono lungo le creste dei loro fondi convessi. Il canyon più lungo è il Chasma Kachina, di oltre 620 km (si estende fino nell'emisfero di Ariel che Voyager 2 non ha visto illuminato). La seconda tipologia di terra, quella di rilievi, consiste in strisce di creste e di avvallamenti che si estendono per centinaia di chilometri. I rilievi delimitano la terra di crateri e la tagliano in poligoni. All'interno di ogni striscia (larga fino a 25-70 km), ci sono singole creste e avvallamenti lunghi fino a 200 km di e distanti tra loro da 10 a 35 km. Queste strisce sono spesso continuazioni di canyon, suggerendo che potrebbero essere una forma modificata di graben oppure il risultato di una reazione diversa della crosta alle stesse sollecitazioni, ad esempio la frattura fragile. Le terre più recenti osservate su Ariel sono le pianure: zone relativamente basse e lisce che devono essersi formate in un lungo periodo di tempo, a giudicare dalla diversità dei loro crateri. Le pianure si trovano sul fondo di canyon e, in qualche depressione irregolare, nel mezzo di terreno craterizzato. In quest'ultimo caso sono separati dal terreno craterizzato da confini netti, che in alcuni casi si presentano in forma lobata. L'origine più probabile delle pianure è attraverso processi vulcanici; la geometria lineare delle loro bocche, le fanno assomigliare ai vulcani terrestri a scudo, e i margini topografici distinti indicano che il liquido eruttato era molto viscoso, forse una soluzione acqua-ammoniaca super-raffreddata, oppure si tratta di vulcanismo di ghiaccio solido. Lo spessore di questi ipotetici flussi di criolava è stimato nell'ordine di 1-3 km. I canyon devono quindi essersi formati in un tempo in cui la ripavimentazione endogena della superficie era ancora in corso su Ariel. Ariel sembra essere uniformemente craterizzato rispetto ad altre lune di Urano; la relativa scarsità di crateri estesi indica che la sua superficie non risale alla formazione del Sistema Solare: ciò significa che Ariel, ad un certo punto della sua storia, deve essere stato completamente "riasfaltato". Si pensa che la passata attività geologica di Ariel sia stata influenzata dalle forze di marea in un momento in cui la sua orbita era più eccentrica rispetto a quella misurata per la prima volta. Il cratere più esteso su Ariel, Yangoor, è largo solo 78 km, e mostra i segni di una deformazione successiva. Tutti i grandi crateri di Ariel hanno fondi appiattiti e picchi centrali, e alcuni sono circondati da depositi luminosi di materiale espulso. Molti crateri sono poligonali, il che indica che il loro aspetto è stato influenzato dalla preesistente struttura crostale. Nelle pianure craterizzate ci sono alcune macchie chiare di grandi dimensioni (circa 100 km di diametro), che potrebbero essere crateri da impatto degradati. Se questo è il caso, sarebbero simili ai palinsesti su Ganimede, una luna di Giove. Si pensa che una depressione circolare di 245 km di diametro situata a 10°S 30°E sia una struttura da impatto estremamente degradata. Si ritiene che Ariel sia stato formato da un disco di accrescimento o nebulosa secondaria: un disco di gas e polvere esistente attorno a Urano per qualche tempo dopo la sua formazione o creato dal gigantesco impatto che molto probabilmente ha dato al pianeta la sua notevole inclinazione. La composizione precisa della nebulosa secondaria non è nota; tuttavia, la maggiore densità delle lune di Urano rispetto alle quelle di Saturno indica che potrebbe essere stata relativamente povera d'acqua. Significative quantità di carbonio e di azoto potrebbero essere state presenti sotto forma di monossido di carbonio (CO) e azoto molecolare (N2) al posto di metano e ammoniaca. Le lune formatesi in questa nebulosa conterrebbero meno ghiaccio d'acqua (con CO e N2 intrappolati come clatrato) e più roccia, spiegando così la densità più elevata. Il processo di accrescimento durò probabilmente per diverse migliaia di anni prima che la luna fosse completamente formata. I modelli suggeriscono che gli impatti che accompagnarono l'accrescimento causarono il riscaldamento dello strato esterno di Ariel, raggiungendo una temperatura massima di circa 195 K ad una profondità di circa 31 km. Dopo la fine della formazione, lo strato di sottosuolo si raffreddò, mentre l'interno di Ariel si riscaldò a causa del decadimento di elementi radioattivi presenti nelle sue rocce. Lo strato raffreddato prossimo alla superficie si contrasse, mentre l'interno si espanse. Ciò causò forti tensioni interne nella crosta lunare raggiungendo 30 MPa, cosa che potrebbe aver portato a fessurazioni. Alcune scarpate di faglia e canyon odierni potrebbero essere un risultato di questo processo, che durò per 200 milioni di anni. Il riscaldamento iniziale dovuto all'accrescimento insieme con il continuo decadimento di elementi radioattivi e il probabile attrito mareale potrebbero aver portato alla fusione del ghiaccio se un antigelo come l'ammoniaca (sotto forma di idrato) o del sale fosse stato presente. La fusione potrebbe aver portato alla separazione del ghiaccio dalle rocce e alla formazione di un nucleo roccioso circondato da un mantello ghiacciato. Uno strato di acqua liquida (oceano) ricco di ammoniaca disciolta potrebbe essersi formato ai confini tra il nucleo e il mantello. La temperatura eutettica di questa miscela è di 176 K. L'oceano, tuttavia, è probabile che si sia congelato da molto tempo. Il congelamento dell'acqua ha probabilmente portato all'espansione dell'interno, cosa che potrebbe aver causato la formazione dei canyon e l'obliterazione della superficie antica. Dall'oceano, i liquidi potrebbero essere stati in grado di eruttare in superficie, inondando il fondo dei canyon in un processo noto come criovulcanismo. La modellazione termica di Dione, una luna di Saturno, simile ad Ariel per dimensioni, densità e temperatura della superficie, indica che la convezione di stato solido sarebbe potuta durare all'interno di Ariel per miliardi di anni, e che temperature superiori a 173 K (il punto di fusione dell'ammoniaca acquosa) potrebbero essere persistite in prossimità della sua superficie per diverse centinaia di milioni di anni dopo la formazione, e all'incirca un miliardo di anni nelle zone più vicine al nucleo. La magnitudine apparente di Ariel è di 14,4; simile a quella di Plutone nei pressi del perielio. Tuttavia, mentre Plutone può essere visto attraverso un telescopio di 30 cm di apertura, Ariel, a causa della vicinanza al bagliore di Urano, spesso non è visibile a telescopi con apertura di 40 cm. Le uniche immagini ravvicinate di Ariel sono state ottenute dalla sonda Voyager 2, che fotografò la luna nel corso del suo flyby di Urano nel gennaio 1986. Il massimo avvicinamento di Voyager 2 di Ariel fu di 127000 km, significativamente inferiore rispetto alla distanza della sonda da tutte le altre lune di Urano ad eccezione di Miranda. Le migliori immagini di Ariel hanno una risoluzione spaziale di circa 2 km. Esse coprono circa il 40% della superficie, ma solo il 35% è stato fotografato con la qualità richiesta per la mappatura geologica e il conteggio dei crateri. Al momento del flyby l'emisfero meridionale di Ariel (come quello delle altre lune) era rivolto verso il Sole, così che l'emisfero settentrionale (buio) non poté essere studiato. Nessun altro veicolo spaziale ha mai visitato il sistema di Urano, e nessuna missione è prevista verso Urano e le sue lune. La possibilità di inviare la sonda Cassini verso Urano è stata valutata in fase di pianificazione per una possibile estensione della missione. Ci sarebbero voluti una ventina d'anni per arrivare al sistema di Urano dopo essere partiti da Saturno. Informazioni approfondite in lingua inglese su studi di missioni nel sistema solare sono pubblicati sulle documentazioni di Planetary Science Decadal Survey. Il 26 luglio 2006, il Telescopio spaziale Hubble catturò un raro transito compiuto da Ariel davanti a Urano, che gettò un'ombra che poteva essere vista nella parte superiore della nube di Urano. Tali eventi sono rari e si verificano solo intorno agli equinozi, quando il piano orbitale della luna attorno a Urano è inclinato di 98° rispetto al piano orbitale di Urano attorno al Sole. Un altro transito venne registrato nel 2008 dall'Osservatorio europeo australe.
Miranda
Miranda è il più piccolo ed interno satellite di Urano tra le cinque lune maggiori. Scoperto da Gerard Kuiper il 16 febbraio 1948 dall'osservatorio McDonald, lo stesso astronomo ne suggerì il nome, derivante dall'omonimo personaggio de La tempesta di Shakespeare. È designato anche Urano V. Ad oggi, le uniche immagini ravvicinate di Miranda provengono dalla sonda spaziale Voyager 2, scattate durante il suo sorvolo di Urano nel gennaio del 1986. È stato fotografato e quindi studiato soltanto l'emisfero meridionale della luna, perché illuminato dalla luce solare durante l'incontro. È stata una fortunata coincidenza che la luna fosse l'oggetto a minor distanza, circa 30.000 km, dalla sonda dato che si è rivelato l'oggetto più interessante nel sistema di Urano: le immagini riprese, infatti, rivelano una passata attività geologica nettamente superiore a quella che ha interessato le altre lune del pianeta. Il Voyager 2 ha dovuto avvicinarsi il più possibile ad Urano per avere la spinta necessaria a raggiungere Nettuno, questo ha permesso di avere immagini con risoluzione, della superficie di Miranda, di alcune centinaia di metri. La superficie sembra essere composta da ghiaccio d'acqua mista a composti di silicati e carbonati, con presenza anche di ammoniaca. Come le altre lune di Urano, la sua orbita giace su un piano perpendicolare all'orbita del pianeta attorno al Sole, e come il pianeta è quindi soggetta a variazioni stagionali estreme. Come altre lune di Urano, Miranda si formò probabilmente da un disco di accrescimento che circondava il pianeta poco dopo la sua formazione, o dopo l'evento catastrofico che ha prodotto la sua insolita inclinazione. Tuttavia, Miranda è inclinata di 4,338° rispetto al piano dell'equatore di Urano, e si tratta dell'inclinazione più marcata tra le principali lune uraniane. Miranda sarebbe potuta essere solo una piccola luna inerte ghiacciata ricoperto di crateri da impatto, invece le immagini della Voyager mostrarono un mondo dalla superficie sorprendentemente variegata e unica, un mosaico di diverse aree dalle differenti caratteristiche, con vaste pianure ondulate costellate da crateri e attraversate da una rete di faglie ripide e rupes. Questa zona ha tre coronae impressionanti, il cui diametro è superiore ai 200 km. Queste formazioni geologiche e l'inclinazione anomala dell'orbita suggeriscono una storia passata e un'attività geologica complessa. La geologia di Miranda pare sia stata caratterizzata dalle forze di marea, dalle risonanze orbitali, da una parziale differenziazione planetaria e da movimenti di convezione, dall'espansione del suo mantello e da episodi di criovulcanismo. Miranda fu scoperta il 16 febbraio 1948 dall'astronomo statunitense di origine olandese Gerard Kuiper, che lo osservò dall'Osservatorio McDonald in Texas, 97 anni dopo la scoperta di Ariel e Umbriel. Kuiper in realtà stava cercando di ottenere dati precisi sui quattro satelliti di Urano fino ad allora conosciuti, cioè Titania, Oberon, Ariel e Umbriel. A seguito di una proposta da John Herschel, figlio di William, lo scopritore di Urano, tutte le lune di tale pianeta presero il nome di personaggi delle opere di William Shakespeare e Alexander Pope. Miranda è la figlia del mago Prospero, duca di Milano, nella commedia La tempesta di Shakespeare. Talvolta, il satellite viene chiamato anche "Urano V". Allo stesso modo, le notevoli formazioni geologiche di Miranda prendono il nome da luoghi delle opere di Shakespeare. Le uniche immagini ad alta risoluzione di Miranda sono state scattate dalla sonda spaziale Voyager 2, che fotografò il satellite durante il suo passaggio ravvicinato a Urano nel gennaio 1986, quando arrivò ad una distanza minima da Miranda di 31 000 km, distanza notevolmente inferiore rispetto a quella tra la sonda e le altre lune uraniane.[4] Le migliori immagini di Miranda hanno una risoluzione di 500 m, una risoluzione sufficiente per poter compilare una carta geologica e per poter contare i crateri. Al momento del sorvolo ravvicinato, l'emisfero meridionale di Miranda (come quello delle altre lune) era puntato verso il Sole, quindi l'emisfero settentrionale (immerso nelle tenebre) non poteva essere studiato. Nessun altro veicolo spaziale ha mai visitato Urano (e Miranda). Il programma Uranus orbiter and probe, proposto dalla NASA nel 2011 prevede il lancio per gli anni 2020-2023, e potrebbe approfondire la conoscenza dei satelliti di Urano tra cui Miranda. La missione era il terzo programma a più alta priorità degli anni 2013-2022, ma è tuttavia stato messo in attesa perché a priorità più bassa rispetto a quelli per Marte ed Europa, la luna di Giove. Trovandosi ad una distanza di circa 129900 km da Urano, Miranda è il più vicino al pianeta tra i suoi principali satelliti. L'orbita è significativamente inclinata rispetto al piano orbitale di Urano e anche la sua eccentricità è un ordine di grandezza superiore rispetto a quella delle altre lune principali di Urano. Queste caratteristiche orbitali potrebbero essere la conseguenza di risonanze orbitali avute in passato con altre lune di Urano: Miranda avrebbe potuto essere risonanza 3: 1 con Umbriel e forse in risonanza 5: 3 con Ariel. Urano è leggermente schiacciato ai poli ed è anche meno nutrito di satelliti rispetto a Giove e Saturno, pertanto, le sue lune possono più facilmente sfuggire alle forze gravitazionali che mantengono le risonanze costante nel tempo. La sua eccentricità e soprattutto la sua singolare inclinazione orbitale potrebbero essere nate quando Miranda sfuggì a queste risonanze. Miranda è in rotazione sincrona con Urano, infatti il periodo orbitale di Miranda è di 1.413 giorni terrestri e coincide con il periodo di rotazione quindi la luna volge sempre lo stesso emisfero verso il pianeta. Tuttavia, l'orientamento degli emisferi e di conseguenza dei poli geografici non sono sempre stati quelli osservati dalla Voyager 2 durante il suo passaggio, ma è stata rivelata l'esistenza di un antico orientamento. Vi è una netta distinzione tra i diversi satelliti in base alla loro forma e alle loro dimensioni. Satelliti aventi un diametro superiore ai 400 km sono di forma sferica e l'altezza dei rilievi è quindi trascurabile rispetto alle dimensioni, e con una raggio medio di 235 km, Miranda è vicino a questo limite. È il meno denso dei principali satelliti di Urano, con una densità di 1,15±0,15 g/cm³ è simile a quello del ghiaccio d'acqua. Osservazioni all'infrarosso suggeriscono che la superficie sia composta da ghiaccio d'acqua misto a composti di silicati e carbonati. Le stesse osservazioni superficiali suggeriscono anche la presenza di ammoniaca (NH3) in una percentuale del 3%. Sulla base delle misurazioni effettuate dalla Voyager 2, la percentuale di rocce rappresentano tra il 20 e il 40% della massa totale del satellite. Miranda potrebbe essere parzialmente differenziato, con un nucleo di silicati e un mantello di ghiacci, che potrebbe avere uno spessore di 135 km, mentre il nucleo avrebbe un raggio di circa 100 km. Se questo modello è corretto, la dissipazione del calore interno di Miranda avviene per conduzione termica. Tuttavia la presenza delle coronae potrebbe essere la testimonianza di un movimento di convezione termica in superficie che avrebbe origine al suo interno e che giustificherebbe una differenziazione parziale di Miranda. L'aspetto della superficie di Miranda è sorprendente e unica nel suo genere: sono evidenti vari strati sovrapposti, alcuni recenti ed altri più antichi, solcati da canyon (i più profondi del sistema solare), rupes, da vaste strutture ellissoidali, chiamate coronae, che potrebbero essere la sommità di diapiri ed essere state prodotte dalla risalita di materiale più caldo dall'interno della luna. I canyon sembrerebbero dei graben, mentre altre strutture potrebbero essere conseguenza di fenomeni legati al criovulcanismo. I diapiri potrebbero aver determinato variazioni nella densità locale dell'interno della luna, causando uno spostamento dell'asse di rotazione di Miranda, in un processo simile a quello che si ritiene sia accaduto su Encelado, luna di Saturno. Miranda è uno dei pochi corpi celesti del sistema solare che presentano una circonferenza all'equatore di lunghezza inferiore rispetto alla circonferenza polare. Si crede che queste attività possano essere state causate dalle forze di marea generate da Urano. Un'altra teoria, ora considerata meno attendibile, suggerisce che Miranda sia stata colpita da un corpo massivo che ha frammentato la luna. I frammenti successivamente si sarebbero riassemblati in posizioni differenti dando origine alla strana morfologia superficiale attuale. L'orbita di Miranda è inclinata di 4,34°; tale inclinazione è molto inusuale per una luna così vicina al suo pianeta. È possibile che sia stata ad un certo punto in risonanza orbitale 3:1 con Umbriel. L'attrito di marea risultante può aver causato il riscaldamento interno della luna e così essere il colpevole della passata attività geologica. Le regiones identificate nelle immagini scattate dalla Voyager 2 sono chiamate "Regio Mantova", "Efeso Regio", "Sicilia Regio" e "Regio Dunsinane". Esse indicano aree caratterizzate da terreni ondulati e pianure più o meno fortemente segnati da antichi crateri d'impatto. In questi antichi terreni sono presenti anche delle faglie normali e delle scarpate, alcune vecchie come la formazione delle regiones, mentre altre sono molto più recenti e sembrano essersi formate dopo le coronae. Queste faglie sono accompagnate da graben causati da un'antica attività tettonica. La superficie di queste regioni è abbastanza uniforme e scura, tuttavia le falesie che si affacciano su alcuni crateri da impatto rivelano in profondità la presenza di materiale molto più luminoso. Dall'emisfero che Miranda rivolge ad Urano il pianeta rimane fisso nel cielo, raggiungendo una dimensione di 22º (40 volte la Luna piena vista dalla Terra). Dall'altra parte è possibile vedere periodicamente gli altri satelliti attraversare la volta celeste.
I satelliti di Nettuno
Nettuno ha quattordici satelliti.
Tritone
Tritone è il più grande satellite naturale di Nettuno, ed uno dei più massicci dell'intero sistema solare, precisamente il settimo, dopo Titano, la Luna e i quattro satelliti medicei di Giove. Scoperto nel 1846 dall'astronomo inglese William Lassell, diciassette giorni dopo la scoperta del pianeta, prende il nome dal figlio del dio del mare Poseidone della mitologia greca.Tritone è l'unica grande luna che orbita attorno al proprio pianeta con moto retrogrado, ad una distanza media da Nettuno di circa 355000 km e in un periodo di poco inferiore ai sei giorni. Per la sua orbita retrograda e per la sua composizione, simile a quella di Plutone, si pensa che Tritone non si sia formato nei pressi di Nettuno ma che sia piuttosto un oggetto proveniente dalla Fascia di Kuiper. La sua superficie è composta in gran parte da azoto ghiacciato, la crosta e il mantello da acqua congelata e il nucleo, che costituisce i due terzi della massa totale, da rocce e metalli. La superficie è relativamente giovane, in quanto è caratterizzato da un'attività geologica particolarmente intensa, con numerosi geyser visibili che eruttano azoto e una tenue atmosfera che ha una pressione di 1/70 000 di quella terrestre. Tritone è stato sorvolato da un'unica sonda spaziale, la Voyager 2, nel 1989; i dati e le immagini inviate a terra hanno permesso di stimarne con precisione i parametri fisici e orbitali, di individuarne le principali formazioni geologiche e di studiarne la tenue atmosfera. Tritone venne scoperto da William Lassell il 10 ottobre 1846, 17 giorni dopo la scoperta dello stesso Nettuno, seguendo un suggerimento di John Herschel. Lassell riteneva anche di aver individuato un anello attorno a Nettuno. Anche se la presenza di anelli è stata successivamente confermata, essi sono così deboli ed oscuri che si ritiene non fossero osservabili con i mezzi che aveva a disposizione. Il primo tentativo di misurare il diametro di Tritone fu fatto da Gerard Kuiper nel 1954 che ottenne un valore di 3800 km. Tentativi di misurazione successivi arrivarono a stimare il diametro da 2 500 a 6000 km, da leggermente più piccolo della nostra Luna a quasi la metà del diametro della Terra. La Voyager 2 passò a 40000 km da Tritone il 25 agosto 1989, mappando la superficie con una risoluzione di 600 metri. I dati raccolti dalla Voyager 2 permisero una stima più accurata del diametro di Tritone, pari a 2706 km. Nel 1990, furono effettuate diverse osservazioni dalla Terra di Tritone sfruttando l'occultazione di alcune stelle vicine, che indicarono la presenza di un'atmosfera e una superficie esotica. Le osservazioni suggerirono che l'atmosfera era più densa di quanto indicato dalla Voyager 2. Gli scienziati della NASA hanno identificato Tritone come un obiettivo primario per future missioni nel sistema solare, proponendo nuove missioni, come quella suggerita nel 2010, la Neptune Orbiter, che tra alcune opzioni proposte sarebbe stata dotata di un veicolo d'atterraggio dedicato allo studio di Tritone, così come fu per la Huygens che atterrò su Titano. Ad oggi, tuttavia, gli sforzi diretti all'esplorazione di Nettuno e Tritone sono stati posticipati e il finanziamento della NASA sulle missioni nel sistema solare esterno è attualmente focalizzata sui sistemi di Giove e Saturno. Il suo nome, che onora la divinità della mitologia greca Tritone (dal greco Τρίτων), figlio di Poseidone, fu proposto da Camille Flammarion nel 1880 nel suo libro Astronomie Populaire, ma adottato solo parecchi anni dopo; infatti fino al 1949, data della scoperta di Nereide, il secondo satellite di Nettuno, Tritone era noto semplicemente come il satellite di Nettuno. Lassell non aveva pensato a proporre un nome per il nuovo corpo celeste, ma lo fece pochi anni più tardi per la sua successiva scoperta, Iperione, un satellite di Saturno. I nomi di Ariel e Umbriel, terzo e quarto satellite di Urano, scoperti da Lassel nel 1851, furono assegnati da John Herschel. Tritone è particolare fra tutti i principali satelliti del sistema solare esterno, a causa della sua orbita retrograda attorno al pianeta. Altri satelliti minori di Giove e Saturno presentano orbite retrograde, ma sono tutti caratterizzati da un diametro inferiore al 10% di quello di Tritone. L'orbita retrograda rende evidente che Tritone non può essersi formato nella stessa regione della nebulosa solare di Nettuno, ma è con tutta probabilità un oggetto della fascia di Kuiper catturato in un secondo momento. Questo potrebbe spiegare anche l'orbita estremamente eccentrica di Nereide, così come la provenienza del calore necessario a fondere l'interno di Tritone e differenziarlo (il calore generato dalle forze di marea risultanti dalla circolarizzazione dell'orbita eccentrica avrebbe potuto mantenere Tritone liquido per circa un miliardo di anni). L'orbita di Tritone è caratterizzata da due inclinazioni, quella di 30° propria di Nettuno e quella di 157° propria di Tritone stesso rispetto all'orbita del suo pianeta (un'inclinazione superiore a 90° indica un moto retrogrado). L'inclinazione complessiva oscilla tra 127° e 173° e attualmente ha un valore attorno a 130°. Tritone precede Nettuno nella sua orbita, con un periodo di 678 anni terrestri, corrispondenti a 4,1 anni nettuniani. Tritone è in rotazione sincrona con Nettuno e gli mostra pertanto sempre la stessa faccia; l'equatore è quasi esattamente allineato al piano orbitale. Attualmente l'asse di rotazione di Tritone è inclinato di circa 40° rispetto al piano orbitale di Nettuno, il che comporta che durante il suo periodo di rivoluzione ciascuno dei poli punterà a un certo punto verso il Sole, come fanno anche i poli di Urano. Di conseguenza anche i poli di Tritone saranno alternativamente volti il Sole, variando così la loro illuminazione e innescando delle variazioni di tipo stagionale, come è stato recentemente osservato. A causa del moto retrogrado le forze di marea stanno facendo lentamente decadere l'orbita di Tritone, già assai vicino a Nettuno, e si prevede che entro i prossimi 3,6 miliardi di anni entrerà nel limite di Roche del pianeta, quindi Tritone colliderà con l'atmosfera di Nettuno o andrà a formare un nuovo anello planetario attorno al pianeta. Le teorie sulla formazione del sistema solare indicano che i satelliti con moto retrogrado non possono formarsi nella regione della nebulosa solare dove si formano i pianeti principali, quindi Tritone proviene da un'altra regione del sistema solare, e molto probabilmente la sua origine è nella Fascia di Kuiper, un disco di piccoli oggetti ghiacciati che si estende da poco oltre l'orbita di Nettuno fino ad una distanza di 50 au dal Sole. La Fascia di Kuiper è il luogo d'origine di molte comete a corto periodo e di alcuni oggetti più grandi come i plutini, di cui Plutone è il prototipo, e che sono in risonanza orbitale con Nettuno. Tritone è poco più grande di Plutone e la sua composizione chimica è quasi identica, il che lascia ipotizzare che la loro origine sia comune. La cattura di Tritone da parte di Nettuno spiegherebbe alcune caratteristiche del sistema nettuniano, come la forte eccentricità orbitale di Nereide, la terza luna per dimensioni di Nettuno, e spiegherebbe anche il basso numero di satelliti naturali del pianeta rispetto agli altri giganti gassosi. Si pensa che l'orbita in origine molto eccentrica di Tritone avrebbe intersecato quelle delle altre più piccole lune, perturbandole gravitazionalmente e disperdendole dalle loro orbite originarie che avevano prima della cattura di Tritone. Durante il periodo post-cattura, l'eccentricità della sua orbita e le interazioni mareali avrebbero mantenuto Tritone allo stato liquido per un miliardo d'anni, come dimostra la differenziazione del suo interno. Successivamente, con la circolarizzazione dell'orbita la fonte di calore interno cessò. Sono stati proposti due diversi tipi di meccanismi per la cattura di Tritone. Per essere gravitazionalmente catturato da un pianeta, un corpo di passaggio deve perdere energia sufficiente per essere rallentato ad una velocità inferiore a quella di fuga. La prima teoria è che Tritone potrebbe essere stato frenato da una collisione con un altro oggetto, molto probabilmente una luna o proto-luna in orbita attorno a Nettuno, o forse, ipotesi meno probabile, da un oggetto che transitava casualmente nel sistema nettuniano. Una ipotesi più recente e maggiormente accettata dagli astronomi suggerisce che, prima della sua cattura, Tritone aveva un compagno di massa simile al satellite di Plutone, Caronte, con la quale formava un sistema binario. Quando i due corpi si avvicinarono a Nettuno, l'energia orbitale fu trasferita da Tritone al compagno, che sarebbe stato espulso, mentre Tritone rimase legato a Nettuno. Questa ipotesi è supportata da diverse evidenze, come quella che i sistemi binari sono molto comuni tra i grandi oggetti della fascia di Kuiper. La cattura sarebbe stata breve e dolce, salvando Tritone dalla collisione. Eventi come questi potrebbero essere stati molto comuni durante la formazione di Nettuno o, più tardi, quando questi emigrò verso l'esterno del sistema solare.
Proteo
Proteo (dal greco Πρωτέας), o Nettuno VIII, è il secondo satellite di Nettuno per dimensioni dopo Tritone. Il suo nome deriva da quello di Proteo, una divinità minore del mare in grado di modificare, secondo la mitologia greca, il proprio aspetto. Proteo venne scoperto grazie a un'immagine catturata dalla sonda statunitense Voyager 2 durante il sorvolo di Nettuno del 1989. Ricevette la designazione provvisoria di S/1989 N 1. Stephen Synnott e Bradford Smith annunciarono (circolare UAI 4806) la sua scoperta il 7 luglio 1989, citando 17 immagini scattate nell'arco di 21 giorni, facendo in tal modo risalire la scoperta al 16 giugno. Proteo ha un diametro superiore a 400 km, ed è pertanto più grande di Nereide, un altro satellite di Nettuno già precedentemente noto grazie ad osservazioni effettuate dalla Terra. Si ritiene che Proteo non sia stato scoperto dai telescopi terrestri a causa della sua orbita troppo vicina al pianeta, che ne impedisce l'individuazione diretta. Inoltre Proteo è uno degli oggetti più scuri del sistema solare, con un'albedo pari ad appena 0,10 (viene riflesso il 6-10% della luce solare incidente), che lo accomuna a Febe, satellite di Saturno. Questo porta a concludere che, a differenza di altri satelliti, non abbia avuto attività geologica di rilievo. Ha un aspetto irregolare; gli scienziati credono che Proteo abbia la densità limite per un corpo non sferoidale. Il satellite saturniano Mimas si presenta più regolare, nonostante sia meno massiccio di Proteo. La formazione geologica più prominente della superficie di Proteo è certamente il cratere Pharos.
Nereide
Nereide (dal greco Νηρεΐς -ίδος o Νηρηΐς -ίδος), noto anche come Nettuno II, è il terzo satellite naturale di Nettuno per grandezza, con un diametro di 340 km. La sua scoperta risale al 1º maggio 1949, ad opera di Gerard Peter Kuiper e fu il secondo satellite di Nettuno ad essere scoperto. Il suo nome deriva da quello delle Nereidi, le ninfe del mare nella mitologia greca. A causa della sua grande distanza dalla traiettoria seguita dalla sonda spaziale statunitense Voyager 2 nel suo passaggio attraverso il sistema di Nettuno nel 1989, Nereide non fu adeguatamente fotografata; le immagini inviate ne mostrano solamente la forma irregolare, ma non permettono di identificare alcuna formazione geologica sulla sua superficie. Nereide fu scoperto il 1º maggio 1949 da Gerard Peter Kuiper basandosi su lastre prese dal telescopio da 82 pollici dell'Osservatorio McDonald. Ne propose il nome già nel rapporto sulla sua scoperta, derivandolo da quello delle Nereidi, le ninfe del mare nella mitologia greca e assistenti del dio Nettuno. Fu il secondo satellite di Nettuno ad essere scoperto prima dell'arrivo sonda Voyager 2 (non considerando un occultamento di Larissa nel 1981). Nereide orbita intorno a Nettuno con moto progrado ad una distanza media di circa 5513400 km. La sua alta eccentricità di 0,7507 (la più elevata finora scoperta nel sistema solare per un satellite naturale) lo porta ad avvicinarsi al periastro a 1372000 km e allontanarsi all'afastro fino a 9655000 km. Questa orbita inusuale fa pertanto ritenere che il satellite sia in realtà un asteroide o un oggetto della fascia di Kuiper catturato in un secondo momento dalla gravità di Nettuno, oppure che la sua orbita possa essere stata disturbata durante la cattura di Tritone da parte dello stesso Nettuno. Nel 1991, in base all'analisi della curva di luce del satellite, fu calcolato un periodo di rotazione di 13,6 ore. Nel 2003 fu stimato un periodo di rotazione di 11,52±0,14 ore, anche se questo valore fu in seguito considerato controverso. Altri ricercatori non sono riusciti a rilevare una modulazione nella curva di luce di Nereide. Il raggio di Nereide, circa 170 km, ne fa il terzo satellite di Nettuno in ordine di grandezza. Le sue dimensioni sono piuttosto grandi per un satellite irregolare, mentre la sua forma non è ancora nota. Osservazioni fotometriche condotte dal 1987 hanno rilevato variazioni di luminosità che arrivano fino a circa 1 magnitudine; la durata delle oscillazioni varia da pochi giorni, fino a qualche mese. Esse persistono anche dopo le correzioni per gli effetti di distanza e di fase. Tuttavia non tutti gli astronomi che hanno osservato Nereide hanno rilevato queste variazioni, il che implica che possano essere piuttosto casuali. Non esiste al momento una spiegazione accettata di questo fenomeno che tuttavia, se confermato, dovrebbe essere collegato alla rotazione del satellite. A causa della sua orbita fortemente ellittica, il satellite può trovarsi sia in uno stato di precessione forzata, che in rotazione caotica come Iperione. In ogni caso la sua rotazione dovrebbe essere piuttosto irregolare. Da un punto di vista spettroscopico, Nereide appare di colore neutro ed è stata rilevata la presenza di ghiaccio d'acqua sulla sua superficie. Il suo spettro appare intermedio tra quello di Titania e Umbriel, due satelliti di Urano, il che suggerisce che la sua superficie sia composta di una miscela di ghiaccio e qualche altra sostanza spettroscopicamente neutra. Lo spettro è inoltre significativamente diverso da quello dei pianeti minori del sistema solare esterno, i centauri Pholus, Chiron e Chariklo, suggerendo che Nereide si sia formato attorno a Nettuno e non si tratti di un oggetto catturato. Alimede, che ha colori simili, potrebbe essere un frammento di Nereide staccatosi in seguito ad una collisione. Finora l'unica sonda che ha visitato Nereide è il Voyager 2, che è passata ad una distanza di 4700000 km tra il 20 aprile e il 19 agosto 1989 e ha scattato 83 immagini del satellite con una risoluzione da 70 a 800 km. Prima dell'arrivo del Voyager 2, le osservazioni di Nereide erano state possibili solo dalla Terra e avevano potuto stabilire solo la luminosità intrinseca e i parametri orbitali. Anche se le immagini ottenute dalla sonda spaziale non avevano una risoluzione sufficiente a distinguere le formazioni geologiche sulla superficie, il Voyager 2 ha permesso di misurare le dimensioni di Nereide, di rilevare che il suo colore è neutro e che l'albedo è più alta degli altri piccoli satelliti di Nettuno.