Vega: una stella straordinaria
Le stelle sono tutte diverse: ognuna di esse ha le proprie peculiarità e, sotto certi aspetti, è assolutamente unica. Il Sole, ad esempio, è l'unica stella conosciuta attorno alla quale orbiti un pianeta abitato da esseri viventi. Una stella veramente unica, però, è Vega, che nasconde molti segreti. Seguici su Eagle sera per saperne di più sulla stella di Vega.
Glossario: stelle e sequenza principale
Due concetti che ci saranno utili:
Stella = Una stella è un corpo celeste che brilla di luce propria. Si tratta di uno sferoide di plasma che attraverso processi di fusione nucleare nel proprio nucleo genera energia, irradiata nello spazio sotto forma di radiazione elettromagnetica (luminosità), flusso di particelle elementari (vento stellare) e neutrini. Buona parte degli elementi chimici più pesanti dell'idrogeno e dell'elio vengono sintetizzati nei nuclei delle stelle tramite il processo di nucleosintesi.
Sequenza principale = La sequenza principale è una continua ed evidente banda di stelle disposta in senso pressoché diagonale nel diagramma Hertzsprung-Russell, una rappresentazione grafica che mette in relazione la temperatura effettiva (riportata in ascissa) e la luminosità (riportata in ordinata) delle stelle.
Approfondiamo: sequenza principale
La sequenza principale è una continua ed evidente banda di stelle disposta in senso pressoché diagonale nel diagramma Hertzsprung-Russell, una rappresentazione grafica che mette in relazione la temperatura effettiva (riportata in ascissa) e la luminosità (riportata in ordinata) delle stelle. Le stelle che si addensano in questa fascia sono dette stelle di sequenza principale o "stelle nane", anche se quest'ultima designazione è caduta in disuso. Dopo essersi formata in una nube molecolare, una stella genera energia nel suo nucleo tramite le reazioni nucleari di fusione dell'idrogeno in elio. Durante questa lunga fase del suo ciclo vitale, la stella si pone all'interno della sequenza principale in una posizione che è determinata principalmente dalla sua massa e da altri fattori quali la sua composizione chimica. Tutte le stelle di sequenza principale si trovano in uno stato di equilibrio idrostatico in cui la pressione termica e, nelle stelle massicce, la pressione di radiazione 3 del nucleo, dirette verso l'esterno, contrastano il naturale collasso gravitazionale degli strati della stella, diretto verso l'interno. A mantenere questo equilibrio contribuisce la forte dipendenza del tasso di creazione dell'energia dalla temperatura e dalla densità. L'energia prodotta nel nucleo viene trasportata attraverso gli strati superiori tramite irraggiamento o convezione, a seconda del gradiente di temperatura e dell'opacità; alla fine raggiunge la fotosfera, da cui è irradiata nello spazio sotto forma di energia radiante. Le stelle di sequenza principale con una massa superiore alle 1,5 masse solari (M☉) possiedono un nucleo convettivo, mentre fra il nucleo e la superficie l'energia viene trasportata per irraggiamento. Nelle stelle di massa compresa fra 1,5 M☉ e 0,5 M☉ avviene il contrario: esse possiedono un nucleo in cui la trasmissione dell'energia avviene per irraggiamento, mentre la convezione si innesca al di sopra del nucleo, in prossimità della superficie. Infine, le stelle di sequenza principale con massa inferiore a 0,5 M☉ hanno un interno completamente convettivo. Più la stella è massiccia, minore è il tempo in cui permane nella sequenza principale; questo perché, all'incrementare della massa, è necessario che i processi nucleari avvengano ad un ritmo superiore (e quindi anche più rapidamente) per contrastare la gravità della maggiore massa ed evitare il collasso. Dopo che il quantitativo di idrogeno nel nucleo si è completamente convertito in elio, la stella esce dalla sequenza principale, seguendo differenti "tragitti" a seconda della massa: le stelle con meno di 0,23 M☉ divengono direttamente delle nane bianche, mentre le stelle con masse maggiori passano per la fase di stella gigante o, a seconda della massa, supergigante, per poi arrivare, previa fenomeni più o meno violenti (come l'esplosione di una supernova), alla fase finale di stella degenere. La sequenza principale è talvolta suddivisa in due parti, una superiore e una inferiore, sulla base del processo prevalentemente utilizzato dalla stella nel produrre energia. La parte bassa della sequenza è occupata dalle stelle aventi una massa inferiore alle 1,5 M☉, le quali fondono l'idrogeno in elio sfruttando una sequenza di reazioni che prende il nome di catena protone-protone. Al di sopra di questa massa, nella sequenza principale superiore, la fusione dell'idrogeno in elio avviene sfruttando come catalizzatori gli atomi di carbonio, azoto e ossigeno, in un ciclo di reazioni noto come ciclo CNO. Agli inizi del XX secolo erano già disponibili numerose informazioni sulle proprietà delle stelle e sulle loro distanze dalla Terra. La scoperta che lo spettro di ogni stella presentava delle caratteristiche che permettevano di distinguere tra una stella e l'altra permise di sviluppare diversi sistemi classificativi; tra questi uno dei più importanti fu quello implementato da Annie Jump Cannon ed Edward Charles Pickering presso l'Harvard College Observatory che divenne noto come schema di Harvard, in seguito alla sua pubblicazione negli Harvard Annals nel 1901. A Potsdam, nel 1906, l'astronomo danese Ejnar Hertzsprung notò che le stelle il cui colore tendeva maggiormente al rosso (classificate nei tipi K ed M dello schema di Harvard) potevano essere suddivise in due gruppi a seconda che queste fossero più o meno luminose del Sole; per distinguere i due gruppi, diede il nome di "giganti" alle più brillanti e "nane" alle meno luminose. L'anno successivo iniziò a studiare gli ammassi stellari (gruppi di stelle poste approssimativamente alla stessa distanza), pubblicando i primi grafici che mettevano a confronto il colore e la luminosità delle stelle che li costituivano; in questi grafici compariva un'evidente banda continua di stelle, cui Hertzsprung diede il nome di "sequenza principale". 7 Una simile linea di ricerca era perseguita presso l'Università di Princeton da Henry Norris Russell, che studiava le relazioni tra la classe spettrale di una stella e la sua luminosità effettiva considerando la distanza (ovvero, la magnitudine assoluta). A tale proposito si servì di un certo numero di stelle che possedevano dei valori affidabili della parallasse e che erano state categorizzate secondo lo schema di Harvard. Quando realizzò una rappresentazione grafica dei tipi spettrali di queste stelle raffrontati con la loro magnitudine assoluta, Russell scoprì che le "stelle nane" individuate da Hertzsprung seguivano una relazione distinta dagli altri tipi; questo consentì di predire la reale luminosità della stella con una ragionevole accuratezza. Le stelle rosse di sequenza principale osservate da Hertzsprung rispettavano la relazione spettro-luminosità scoperta da Russell. Tuttavia le giganti erano molto più luminose delle stelle nane e quindi non rispettavano tale relazione. Russell ipotizzò che le stelle giganti avessero una bassa densità o una grande superficie radiante, mentre il contrario era vero per le stelle nane. Nel 1933 Bengt Strömgren coniò il termine diagramma Hertzsprung-Russell per denotare il diagramma spettro-luminosità. Questo nome derivava dal fatto che Hertzsprung e Russell avevano compiuto ricerche parallele sullo stesso problema nei primi anni del Novecento. I modelli di evoluzione stellare proposti intorno agli anni trenta del novecento prevedevano che, per le stelle di composizione chimica simile, vi fosse una relazione fra la massa stellare, la sua luminosità e il suo raggio. Questa relazione venne enunciata nel teorema Vogt-Russell, così chiamato in onore dei suoi scopritori Heinrich Vogt e Henry Norris Russell. Tale teorema afferma che una volta che sia nota la composizione chimica di una stella e la sua posizione nella sequenza principale è possibile ricavare il raggio e la massa della stella (tuttavia, fu scoperto successivamente che il teorema non si applica alle stelle che hanno composizione chimica non uniforme) . Uno schema perfezionato di classificazione stellare fu pubblicato nel 1943 da W. W. Morgan and P. C. Keenan. La classificazione MK assegna ad ogni stella una classe spettrale (basata sullo schema di Harvard) e una classe di luminosità. Lo schema di Harvard assegnava a ogni stella una lettera dell'alfabeto sulla base della forza delle linee spettrali dell'idrogeno che lo spettro della stella presentava. Ciò era stato fatto quando ancora la relazione fra lo spettro e la temperatura non era nota. Quando le stelle furono ordinate per temperatura e quando alcuni doppioni fra le classi furono rimossi, le classi spettrali furono ordinate secondo una temperatura decrescente a formare la sequenza O, B, A, F, G, K e M (In lingua inglese è stata coniata una frase per ricordarsi facilmente questa scala: "Oh Be A Fine Girl/Guy, Kiss Me"; Oh, sii una ragazza/un ragazzo gentile, baciami). Le classi O e B corrispondevano ai colori blu e azzurri, mentre le classi K e M ai colori arancio-rossi. Le classi intermedie ai colori bianco (classe A) e giallo (classe G), mentre la classe F presentava un colore intermedio fra i due. Le classi di luminosità variavano da I fino a V, in ordine di luminosità decrescente. Le stelle di luminosità V corrispondevano a quelle di sequenza principale . Importante è il concetto di formazione stellare. La locuzione formazione stellare identifica il processo e la disciplina che studia le modalità mediante le quali ha origine una stella. Quale branca dell'astronomia, la formazione stellare studia anche le caratteristiche del mezzo interstellare e delle nubi interstellari in quanto precursori, così come gli oggetti stellari giovani e il processo di formazione planetaria in quanto immediati prodotti. Nonostante le idee che ne stanno alla base risalgano già all'epoca della rivoluzione scientifica, lo studio della formazione stellare nella sua forma attuale vede la luce solamente tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, in concomitanza con i numerosi progressi che l'astrofisica teorica compì all'epoca. L'avvento dell'osservazione a più lunghezze d'onda, soprattutto nell'infrarosso, diede i contributi più sostanziali per comprendere i meccanismi che stanno alla base della genesi di una nuova stella. Il modello attualmente più accreditato presso la comunità astronomica, detto modello standard, prevede che una stella nasca a partire dal collasso gravitazionale delle porzioni più dense (dette "nuclei") di una nube molecolare e dal successivo accrescimento dell'embrione stellare, originatosi dal collasso, a partire dai materiali presenti della nube. Tale processo ha una durata che può variare tra alcune centinaia di migliaia e alcuni milioni di anni, a seconda del tasso di accrescimento e della massa che la stella nascitura riesce ad accumulare: si stima che una stella simile al Sole impieghi all'incirca un centinaio di milioni di anni per formarsi completamente, mentre per le stelle più massicce il tempo è notevolmente inferiore, nell'ordine dei 100 000 anni. Il modello spiega bene le modalità che conducono alla nascita delle singole stelle di massa piccola e media (tra 0,08 e 10 volte la massa solare) e trova riscontro anche nella funzione di massa iniziale; risulta più lacunoso invece per quanto riguarda la formazione dei sistemi e degli ammassi stellari e delle stelle massicce. Per tale ragione sono stati sviluppati dei modelli complementari che includono gli effetti delle interazioni tra gli embrioni stellari e l'ambiente in cui si formano ed eventuali altri embrioni nelle vicinanze, importanti ai fini delle stesse dinamiche interne dei sistemi e soprattutto della massa che le stelle nasciture riusciranno a raggiungere. Le fasi successive della vita della stella, a partire dalla sequenza principale, sono di competenza dell'evoluzione stellare. Lo studio della formazione stellare, nella sua forma moderna, è databile tra il XIX e il XX secolo, anche se le idee che ne stanno alla base affondano le loro radici nel periodo rinascimentale quando, poste le fondamenta per la rivoluzione scientifica, fu messa in discussione la visione geocentrica del cosmo a vantaggio di quella eliocentrica; grazie al contributo di grandi personalità come Copernico e Keplero e, più tardi, Galileo, lo studio dell'universo divenne materia di studio non più teologica ma scientifica. Le teorie sulla formazione delle stelle vedono il loro primo abbozzo nelle ipotesi formulate per spiegare la nascita del sistema solare. Uno dei primi fu Cartesio, che nel 1644 propose una teoria "scientifica" basata sull'ipotesi della presenza di vortici primordiali di materia in contrazione caratterizzati da masse e dimensioni differenti; da uno dei più grandi ebbe origine il Sole, mentre i pianeti si formarono dai vortici più piccoli che a causa della rotazione globale si misero in orbita intorno ad esso: 6 si trattava dell'abbozzo di quella che sarà la cosiddetta ipotesi della nebulosa, formulata nel 1734 da Emanuel Swedenborg, successivamente ripresa da Kant (1755) e perfezionata da Laplace (1796), il cui principio sta tutt'oggi, seppur con sostanziali modifiche e migliorie, alla base di quello che secoli dopo e nonostante alterne vicende sarà definito modello standard della formazione stellare. 8 Tale teoria suggerisce che il Sole e i pianeti che lo orbitano abbiano tratto origine tutti da una stessa nebulosa primordiale, la nebulosa solare. La formazione del sistema avrebbe avuto inizio dalla contrazione della nebulosa, che avrebbe determinato un aumento della propria velocità di rotazione, facendo sì che essa assumesse un aspetto discoidale con un maggiore addensamento di materia in corrispondenza del suo centro, da cui sarebbe nato il proto-Sole. Il resto della materia circumsolare si sarebbe dapprima condensato in anelli, da cui poi avrebbero avuto origine i pianeti. Sebbene abbia goduto di gran credito nel XIX secolo, l'ipotesi laplaciana non riusciva a spiegare alcune particolarità riscontrate, prima fra tutte la distribuzione del momento angolare tra Sole e pianeti: i pianeti infatti detengono il 99% del momento angolare, mentre il semplice modello della nebulosa prevede una più "equa" distribuzione del momento angolare tra Sole e pianeti; 8 per questa ragione tale modello è stato largamente accantonato all'inizio del XX secolo. La caduta del modello di Laplace ha stimolato gli astronomi a ricercare delle valide alternative; si trattava però spesso di modelli teorici che non trovavano alcun riscontro osservativo. L'individuazione poi, nel corso degli ultimi decenni del Novecento, di strutture analoghe al disco protosolare attorno ad oggetti stellari giovani portò alla rivalutazione dell'idea laplaciana. Un contributo importante alla comprensione di cosa desse inizio alla formazione di una stella fu dato dall'astrofisico britannico James Jeans agli inizi del XX secolo. 1 Jeans ipotizzò che all'interno di una vasta nube di gas interstellare la gravità fosse perfettamente bilanciata dalla pressione generata dal calore interno della nube, ma scoprì che si trattava di un equilibrio assai instabile, tant'è che facilmente poteva rompersi a favore della gravità, facendo collassare la nube e dando inizio alla formazione di una stella. L'ipotesi di Jeans trovò ampio riscontro quando, a partire dagli anni quaranta, furono individuate in alcune nebulose oscure delle costellazioni del Toro e dell'Auriga alcune stelle che sembravano in rapporto con le nubi all'interno delle quali erano state individuate; esse inoltre erano di un tipo spettrale caratteristico delle stelle più fredde e meno massicce, mostravano nei loro spettri righe di emissione ed avevano una notevole variabilità. L'astronomo sovietico Viktor Ambarcumjan suggerì, verso la fine degli anni quaranta, che si trattasse di oggetti molto giovani; nello stesso periodo Bart Bok studiava alcuni piccoli aggregati di polveri oscure, 12 oggi noti come globuli di Bok, e ipotizzò che questi, assieme alle nubi oscure più grandi, fossero sede di attiva formazione stellare, tuttavia fu necessario attendere lo sviluppo dell'astronomia dell'infrarosso, negli anni sessanta, prima che queste teorie venissero confermate dalle osservazioni. È stato proprio l'avvento dell'osservazione infrarossa a incentivare lo studio della formazione stellare: Mendoza, nel 1966, scoprì che alcune stelle di tipo T Tauri possedevano un importante eccesso di emissione infrarossa, difficilmente imputabile alla sola estinzione (l'assorbimento della luce da parte della materia posta davanti alla sorgente luminosa che si manifesta con un arrossamento della stessa) operata dal mezzo interstellare; tale fenomeno fu interpretato ipotizzando la presenza di strutture di polveri dense attorno a tali astri in grado di assorbire la radiazione delle stelle centrali e di riemetterla sotto forma di radiazione infrarossa. L'ipotesi fu confermata tra la fine degli anni novanta e i primi anni duemila grazie ai dati osservativi ottenuti tramite strumentazioni innovative, come il ben noto telescopio spaziale Hubble, il telescopio spaziale Spitzer e il Very Large Telescope con le sue ottiche adattive, di densi dischi di materia attorno a stelle in fase di formazione o appena formate; l'interferometria ottica ha inoltre permesso di individuarne numerosi esempi e di visualizzare altre strutture legate a stelle in fasi precoci della loro esistenza, quali getti e flussi molecolari. Una stella è fondamentalmente uno sferoide di plasma costituito per la gran parte da idrogeno, dalla cui fusione l'astro ricava l'energia necessaria per contrastare l'altrimenti inevitabile collasso gravitazionale della grande massa di materia che lo compone. Condizione necessaria dunque perché una stella possa formarsi è una fonte di idrogeno, reperibile nel mezzo interstellare (ISM, dall'inglese interstellar medium) presente comunemente all'interno di una galassia. Una tipica galassia spiraliforme, come la Via Lattea, contiene grandi quantità di mezzo interstellare, che si dispone principalmente lungo i bracci che delineano la spirale, ove la gran parte della materia che lo costituisce, qui convogliata a causa del moto di rotazione della galassia, può formare strutture diffuse. La situazione cambia procedendo lungo la sequenza di Hubble, fino ad arrivare alle più esigue quantità di materia presenti nel mezzo interstellare delle galassie ellittiche; conseguentemente, man mano che si riduce la quantità di ISM vien meno la possibilità che si formino strutture nebulari diffuse, a meno che la galassia carente non acquisisca materiale da altre galassie con cui eventualmente interagisce. Il mezzo interstellare è inizialmente piuttosto rarefatto, con una densità compresa tra 0,1 e 1 particella per cm³, ed è composto per circa il 70% in massa da idrogeno, mentre la restante percentuale è in prevalenza elio con tracce di elementi più pesanti, detti genericamente metalli. La dispersione di energia sotto forma di radiazione nell'infrarosso lontano (meccanismo questo assai efficiente) traducendosi in un raffreddamento della nube, 3 fa sì che la materia del mezzo si addensi in nubi distinte, dette genericamente nubi interstellari, classificate in maniera opportuna a seconda dello stato di ionizzazione dell'idrogeno. Le nubi costituite in prevalenza da idrogeno neutro monoatomico sono dette regioni H I (acca primo). Man mano che il raffreddamento prosegue, le nubi divengono sempre più dense; quando la densità raggiunge le 1000 particelle al cm³, la nube diviene opaca alla radiazione ultravioletta galattica. Tale condizione, unita all'intervento dei granuli di polvere interstellare in qualità di catalizzatori, permette agli atomi di idrogeno di combinarsi in molecole biatomiche (H2): si ha così una nube molecolare. I maggiori esemplari di queste strutture, le nubi molecolari giganti, possiedono densità tipiche dell'ordine delle 100 particelle al cm³, diametri di oltre 100 anni luce, masse superiori a 6 milioni di masse solari (M☉) ed una temperatura media, all'interno, di 10 K. Si stima che circa la metà della massa complessiva del mezzo interstellare della nostra galassia sia contenuta in queste formazioni, 25 suddivisa tra circa 6000 nubi ciascuna con più di 100 000 masse solari di materia al proprio interno. 26 La presenza, frequentemente riscontrata, di molecole organiche anche molto complesse, come amminoacidi ed IPA, all'interno di queste formazioni 27 è il risultato di reazioni chimiche tra alcuni elementi (oltre all'idrogeno, carbonio, ossigeno, azoto e zolfo) che si verificano grazie all'apporto energetico fornito dai processi di formazione stellare che hanno luogo al loro interno. Se la quantità di polveri all'interno della nube molecolare è tale da bloccare la radiazione luminosa visibile proveniente dalle regioni retrostanti, essa appare come una nebulosa oscura; tra le nubi oscure si annoverano i già citati globuli di Bok, "piccoli" aggregati di idrogeno molecolare e polveri che si possono formare indipendentemente o in associazione al collasso di nubi molecolari più vaste. I globuli di Bok, così come le nubi oscure, si presentano spesso come delle sagome scure contrastanti con il chiarore diffuso dello sfondo costituito da una nebulosa a emissione o dalle stelle di fondo. Si pensa che un tipico globulo di Bok contenga circa 10 masse solari di materia in una regione di circa un anno luce (a.l.) di diametro, e che da essi abbiano origine sistemi stellari doppi o multipli. Oltre la metà dei globuli di Bok noti contengono al loro interno almeno un oggetto stellare giovane. L'eventuale raggiungimento di densità ancora superiori (~10 000 atomi al cm³) rende le nubi opache anche all'infrarosso, che normalmente è in grado di penetrare le regioni ricche di polveri. Tali nubi, dette nubi oscure all'infrarosso, contengono importanti quantità di materia (da 100 a 100 000 M☉) e costituiscono l'anello di congiunzione evolutivo tra la nube e i nuclei densi che si formano per il collasso e la frammentazione della nube. Le nubi molecolari e oscure costituiscono il luogo d'elezione per la nascita di nuove stelle. L'eventuale presenza di giovani stelle massicce, che con la loro intensa emissione ultravioletta ionizzano l'idrogeno ad H+, trasforma la nube in un particolare tipo di nube a emissione noto come regione H II (acca secondo). Nella nostra Galassia sono note numerose regioni di formazione stellare; le più vicine in assoluto al sistema solare sono il complesso della nube di ρ Ophiuchi (400-450 a.l.) 33 e la Nube del Toro-Auriga (460-470 a.l.), al cui interno stanno avvenendo processi di formazione che riguardano stelle di massa piccola e media, come pure nella ben nota e studiata Nube di Perseo, tuttavia ben più distante delle altre due (980 a.l.). Tra le regioni H II degne di nota spiccano la Nebulosa della Carena, la Nebulosa Aquila e la famosa Nebulosa di Orione, facente parte di un esteso complesso molecolare, che rappresenta la regione più prossima al sistema solare (1300 a.l.) al cui interno si stia verificando la formazione di stelle massicce. Si ipotizza che le nubi da cui nascono le stelle facciano parte del ciclo del mezzo interstellare, ovvero la materia costituente il mezzo interstellare (gas e polveri) passa dalle nubi alle stelle e, al termine della loro esistenza, torna nuovamente a far parte dell'ISM, costituendo la materia prima per una successiva generazione di stelle Nello studio del processo di formazione stellare sono prese in considerazione due diverse scale temporali. Per una stella di massa solare equivale a circa 20 milioni di anni, ma per un astro di 50 masse solari si riduce ad un centinaio di migliaia di anni. La seconda scala temporale è rappresentata dal tempo di accrescimento, ovvero il tempo necessario perché, a un dato tasso di accrescimento, si accumuli una certa massa; esso è direttamente proporzionale alla massa stessa: è intuitivo, infatti, che sia necessario più tempo per raccogliere quantità di materia maggiori. È inoltre inversamente proporzionale alla temperatura del gas, dal momento che l'energia cinetica, e di conseguenza la pressione, aumentano all'incrementare della temperatura, rallentando dunque l'accumulo di materia. Per una stella di massa solare equivale a circa 20 milioni di anni, ma per un astro di 50 masse solari si riduce ad un centinaio di migliaia di anni. La seconda scala temporale è rappresentata dal tempo di accrescimento, ovvero il tempo necessario perché, a un dato tasso di accrescimento, si accumuli una certa massa; esso è direttamente proporzionale alla massa stessa: è intuitivo, infatti, che sia necessario più tempo per raccogliere quantità di materia maggiori. È inoltre inversamente proporzionale alla temperatura del gas, dal momento che l'energia cinetica, e di conseguenza la pressione, aumentano all'incrementare della temperatura, rallentando dunque l'accumulo di materia. I nuclei supercritici continuano a contrarsi lentamente per alcuni milioni di anni a temperatura costante fintantoché l'energia gravitazionale viene dissipata mediante l'irraggiamento di onde radio millimetriche. Il manifestarsi di fenomeni di instabilità provoca un improvviso collasso del frammento, che porta ad un aumento della densità al centro fino a ~3 × 1010 molecole al cm³ e ad un'opacizzazione della nube alla sua stessa radiazione, che provoca un aumento della temperatura (da 10 a 60-100 K) ed un rallentamento del collasso. Il riscaldamento dà luogo a un aumento della frequenza delle onde elettromagnetiche emesse: la nube ora irradia nell'infrarosso lontano, cui essa è trasparente; in questo modo la polvere media un secondo collasso della nube. Si viene a creare a questo punto una configurazione in cui un nucleo centrale idrostatico attrae gravitazionalmente la materia diffusa nelle regioni esterne: è il cosiddetto first hydrostatic core (primo nucleo idrostatico), che continua ad aumentare la sua temperatura in funzione del teorema del viriale e delle onde d'urto causate dal materiale a velocità di caduta libera. Dopo questa fase di accrescimento a partire dall'inviluppo di gas circostante, il nucleo inizia una fase di contrazione quasi statica. Quando la temperatura del nucleo raggiunge circa i 2000 K, l'energia termica dissocia le molecole di H2 in atomi di idrogeno, 47 che subito dopo si ionizzano assieme agli atomi di elio. Questi processi assorbono l'energia liberata dalla contrazione, permettendole di proseguire per periodi di tempo comparabili col periodo del collasso a velocità di caduta libera. Non appena la densità del materiale in caduta raggiunge il valore di 10−8g cm−3, la materia diviene sufficientemente trasparente da permettere alla luce di sfuggire. La combinazione di moti convettivi interni e dell'emissione di radiazioni permette all'embrione stellare di contrarre il proprio raggio. 47 Questa fase continua finché la temperatura dei gas è sufficiente a mantenere una pressione abbastanza elevata da evitare un ulteriore collasso; si raggiunge così un momentaneo equilibrio idrostatico. Quando l'oggetto così formato cessa questa prima fase di accrescimento prende il nome di protostella; l'embrione stellare permane in questa fase per alcune decine di migliaia di anni. In seguito al collasso la protostella deve aumentare la propria massa accumulando gas; ha così inizio una seconda fase di accrescimento che va avanti ad un ritmo di circa 10−6-10−5 M☉ all'anno. L'accrescimento del materiale verso la protostella è mediato da una struttura discoidale, allineata con l'equatore della protostella, che si forma nel momento in cui il moto di rotazione della materia in caduta (inizialmente uguale a quello della nube) viene amplificato a causa della conservazione del momento angolare; tale formazione ha anche il compito di dissipare l'eccesso di momento angolare, che altrimenti causerebbe lo smembramento della protostella. In questa fase si formano inoltre dei flussi molecolari, frutto forse dell'interazione del disco con le linee di forza del campo magnetico stellare, che si dipartono dai poli della protostella, anch'essi probabilmente con la funzione di disperdere l'eccesso di momento angolare. 4 L'urto di questi getti con il gas dell'inviluppo circostante può generare delle particolari nebulose a emissione note come oggetti di Herbig-Haro. L'aggiunta di massa determina un incremento della pressione nelle regioni centrali della protostella, che si riflette in un aumento della temperatura; quando questa raggiunge un valore di almeno un milione di kelvin, ha inizio la fusione del deuterio, un isotopo dell'idrogeno (21H); la pressione di radiazione che ne risulta rallenta (ma non arresta) il collasso, mentre prosegue la caduta di materiale dalle regioni interne del disco di accrescimento sulla superficie della protostella. La velocità di accrescimento non è costante: infatti la futura stella raggiunge in tempi rapidi quella che sarà la metà della sua massa definitiva, mentre impiega oltre dieci volte più tempo per accumulare la restante massa. La fase di accrescimento è la parte cruciale del processo di formazione di una stella, dal momento che la quantità di materia che l'astro nascente riesce ad accumulare condizionerà irreversibilmente il suo destino successivo: infatti, se la protostella accumula una massa compresa tra 0,08 e 8-10 M☉ evolve successivamente in una stella pre-sequenza principale; se invece la massa è nettamente superiore, la protostella raggiunge immediatamente la sequenza principale. La massa determina inoltre la durata della vita di una stella: le stelle meno massicce vivono molto più a lungo delle stelle più pesanti: si va dal bilione di anni delle stelle di classe M V 51 fino ai pochi milioni di anni delle massicce stelle di classe O. Se invece l'oggetto non riesce ad accumulare almeno 0,08 M☉ la temperatura del nucleo permette la fusione del deuterio, ma si rivela insufficiente all'innesco delle reazioni di fusione dell'idrogeno pròzio, l'isotopo più comune di questo elemento (11H); questa "stella mancata", dopo una fase di stabilizzazione, diviene quella che gli astronomi definiscono nana bruna. L'emissione di vento da parte della protostella all'ignizione della fusione del deuterio determina la dispersione di gran parte dell'involucro di gas e polveri che la circonda; la protostella passa così alla fase di stella pre-sequenza principale (o stella PMS, dall'inglese pre-main sequence), la cui fonte di energia è ancora il collasso gravitazionale e non la fusione dell'idrogeno come nelle stelle di sequenza principale. Si riconoscono due principali classi di stelle PMS: le variabili Orione, che hanno una massa compresa tra 0,08 e 2 M☉, e le stelle Ae/Be di Herbig, con una massa compresa tra 2 e 8 M☉. Non si conoscono stelle PMS più massicce di 8 M☉, dal momento che quando entrano in gioco delle masse molto elevate l'embrione stellare raggiunge in maniera estremamente rapida le condizioni necessarie all'innesco della fusione dell'idrogeno e passa direttamente alla sequenza principale. Le variabili Orione si suddividono a loro volta in stelle T Tauri, stelle EX Lupi (EXor) e stelle FU Orionis (FUor). Si tratta di astri simili al Sole per massa e temperatura, ma alcune volte più grandi in termini di diametro e, per questa ragione, più luminosi. N 1 Sono caratterizzate da alte velocità di rotazione, tipiche delle stelle giovani, e possiedono un'intensa attività magnetica, oltre che getti bipolari. Le FUor e le EXor rappresentano delle categorie particolari di T Tauri, caratterizzate da cambiamenti repentini e cospicui della propria luminosità e del tipo spettrale; le due classi differiscono tra loro per tipo spettrale: le FUor sono, in stato di quiescenza, di classe F o G; le EXor di classe K o M. Le stelle Ae/Be di Herbig, appartenenti alle classi A e B, sono caratterizzate da spettri in cui dominano le linee di emissione dell'idrogeno (serie di Balmer) e del calcio presenti nel disco residuato dalla fase di accrescimento. La stella PMS segue un caratteristico tragitto sul diagramma H-R, noto come traccia di Hayashi, durante il quale continua a contrarsi. La contrazione prosegue fino al raggiungimento del limite di Hayashi, dopodiché prosegue a temperatura costante in un tempo di Kelvin-Helmholtz superiore al tempo di accrescimento; in seguito le stelle con meno di 0,5 masse solari raggiungono la sequenza principale. Le stelle da 0,5 a 8 M☉, al termine della traccia di Hayashi, subiscono invece un lento collasso in una condizione prossima all'equilibrio idrostatico, seguendo a questo punto un percorso nel diagramma H-R detto traccia di Henyey. La fase di collasso ha termine quando finalmente, nel nucleo della stella, si raggiungono i valori di temperatura e pressione necessari per l'innesco della fusione dell'idrogeno prozio; quando la fusione dell'idrogeno diviene il processo di produzione energetica predominante e l'eccesso di energia potenziale accumulata con la contrazione viene dispersa, la stella raggiunge la sequenza principale standard del diagramma H-R e l'intenso vento generato a seguito dell'innesco delle reazioni nucleari spazza via i materiali residui, rivelando alla vista la presenza della stella neoformata. Gli astronomi si riferiscono a questo stadio con l'acronimo ZAMS, che sta per Zero-Age Main Sequence, sequenza principale di età zero. La curva della ZAMS può essere calcolata mediante simulazioni computerizzate delle proprietà che le stelle avevano al momento del loro ingresso in questa fase. Le successive trasformazioni della stella sono studiate dall'evoluzione stellare. Pur esplicando in modo chiaro le modalità attraverso cui avviene, il modello standard non spiega che cosa dia inizio al collasso. Non sempre la formazione di una stella inizia in maniera del tutto spontanea, a causa delle turbolenze interne oppure per via della diminuzione della pressione interna del gas a causa del raffreddamento o della dissipazione dei campi magnetici. Anzi, più spesso, come dimostrano innumerevoli dati osservativi, è necessario l'intervento di qualche fattore che dall'esterno perturbi la nube, causando le instabilità locali e promuovendo dunque il collasso. A tal proposito numerosi sono gli esempi di stelle, per lo più appartenenti ad ampie associazioni stellari, le cui caratteristiche mostrano che si sono formate quasi contemporaneamente: dal momento che un simultaneo collasso di nuclei densi indipendenti sarebbe un'incredibile coincidenza, è più ragionevole pensare che questo sia la conseguenza di una forza applicata dall'esterno, che ha agito sulla nube causando il collasso e la successiva formazione stellare. Tuttavia non sono infrequenti gli esempi di collassi iniziati spontaneamente: alcuni esempi di questo sono stati individuati tramite l'osservazione infrarossa in certi nuclei densi isolati, relativamente quiescenti, posti in nubi vicine tra loro. In alcuni di essi, come nel globulo di Bok Barnard 355, sono state riscontrate tracce di lenti moti centripeti interni e sono state osservate anche delle sorgenti infrarosse, segno che potrebbero essere avviati alla formazione di nuove stelle. Diversi possono essere gli eventi esterni in grado di promuovere il collasso di una nube: le onde d'urto generate dallo scontro di due nubi molecolari o dall'esplosione nelle vicinanze di una supernova; le forze di marea che si instaurano a seguito dell'interazione tra due galassie, che innescano una violenta attività di formazione stellare definita starburst (si veda anche il paragrafo Variazioni nella durata e nel tasso di formazione stellare); gli energici super-flare di un'altra vicina stella in uno stadio più avanzato di formazione oppure la pressione del vento o l'intensa emissione ultravioletta di vicine stelle massicce di classe O e B, che può regolare i processi di formazione stellare all'interno delle regioni H II. Si ipotizza inoltre che la presenza di un buco nero supermassiccio al centro di una galassia possa avere un ruolo regolatore nei confronti del tasso di formazione stellare nel nucleo galattico: 72 infatti, un buco nero che sta accrescendo materia con tassi molto elevati può diventare attivo ed emettere un forte getto relativistico collimato in grado di limitare la successiva formazione di stelle. Tuttavia, l'emissione radio attorno ai getti, così come l'eventuale bassa intensità del getto stesso, può avere un effetto esattamente opposto, innescando la formazione di stelle qualora si trovi a collidere con una nube che gli transita nelle vicinanze. 73 L'attività di formazione stellare risulta fortemente influenzata dalle condizioni fisiche estreme che si riscontrano entro 10-100 parsec dal nucleo galattico: intense forze di marea, incremento dell'entità delle turbolenze, riscaldamento del gas e presenza di campi magnetici piuttosto intensi; 74 a rendere più complesso questo quadro concorrono inoltre gli effetti dei flussi microscopici, della rotazione e della geometria della nube. Sia la rotazione che i campi magnetici possono ostacolare il collasso della nube, 75 76 mentre la turbolenza favorisce la frammentazione, e su piccole scale promuove il collasso. 77 Eccettuando la lacuna sopra discussa, il modello standard descrive bene ciò che accade in nuclei isolati in cui sta avvenendo la formazione di una stella. Tuttavia, la stragrande maggioranza delle stelle non nasce in solitaria, ma in folti ammassi stellari, e il modello non spiega l'influenza che tale ambiente esercita sulle stelle nascenti. Inoltre, rispetto a quanto ritenuto in passato, la formazione stellare è un evento piuttosto violento: infatti l'osservazione infrarossa ha mostrato che la formazione di una stella interferisce negativamente sulla nascita degli astri adiacenti, dal momento che la radiazione e il vento prodotti nelle ultime fasi della formazione possono limitare la quantità di gas che può accrescere liberamente sulle vicine protostelle. Per sopperire a tale lacuna sono state sviluppate due teorie. La prima, detta teoria dell'accrescimento competitivo, si concentra sulle interazioni tra nuclei densi adiacenti. La versione più estrema di questa teoria prevede la formazione di numerose piccole protostelle, che si muovono rapidamente nella nube entrando in competizione tra loro per catturare quanto più gas possibile. Alcune protostelle tendono a prevalere sulle altre, divenendo le più massicce; altre potrebbero persino essere espulse dall'ammasso, libere di muoversi all'interno della galassia. La concorrente, la teoria del nucleo turbolento, privilegia invece il ruolo della turbolenza dei gas: la distribuzione delle masse stellari rispecchia, infatti, lo spettro dei moti turbolenti all'interno della nube piuttosto che una successiva competizione per l'accumulo di massa. Le osservazioni sembrano dunque favorire questo modello, anche se la teoria dell'accrescimento competitivo potrebbe sussistere in regioni in cui la densità protostellare è particolarmente elevata.
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Vega
Vega (AFI: /ˈvɛɡa/; α Lyr / α Lyrae / Alfa Lyrae) è la stella più brillante della costellazione della Lira, la quinta più luminosa del cielo notturno, nonché la seconda più luminosa nell'emisfero celeste boreale, dopo Arturo. Vertice nord-occidentale dell'asterismo del Triangolo estivo, Vega è una stella piuttosto vicina, posta a soli 25 anni luce di distanza, la più luminosa in termini assoluti entro un raggio di 30 anni luce dal sistema solare. Si tratta di una stella bianca di sequenza principale di classe spettrale A0 V, che possiede una massa circa due volte quella solare ed una luminosità circa 37 volte superiore. L'astro è caratterizzato da un'altissima velocità di rotazione sul proprio asse, che gli conferisce l'aspetto di uno sferoide oblato. Questa rapida rotazione, a causa di un fenomeno noto come oscuramento gravitazionale, si riflette sulla temperatura effettiva fotosferica, che varia a seconda della latitudine presa in esame: infatti, si è notato che la temperatura all'equatore è di circa 2000 K più bassa rispetto a quella rilevata ai poli, ed è proprio in direzione di uno di essi che la stella risulta visibile dalla Terra. È inoltre una sospetta variabile Delta Scuti, che manifesta pulsazioni nella luminosità di pochi centesimi di magnitudine ogni 0,19 giorni (circa 4,56 ore). Vega, definita dagli astronomi "la stella più importante nel cielo dopo il Sole", riveste una grande importanza nell'astronomia, dal momento è stata impiegata per calibrare gli strumenti osservativi e come riferimento per la misurazione di alcuni parametri comuni a tutte le stelle; inoltre, circa 12 000 anni fa, a causa della precessione dell'asse terrestre, ha svolto il ruolo di stella polare, e lo ricoprirà nuovamente tra altri 13 700 anni. A metà degli anni ottanta il satellite IRAS ha scoperto che la stella presenta un eccesso di emissione infrarossa, attribuito alla presenza in orbita di un disco di polveri circumstellare. Queste polveri sarebbero il risultato di collisioni plurime tra gli oggetti orbitanti all'interno di una cintura asteroidale, assimilabile alla fascia di Kuiper nel sistema solare. Alcune irregolarità riscontrate nel disco suggerirebbero la presenza in orbita di almeno un pianeta, per massa simile a Giove. Il nome Vega deriva dalla seconda parte del nome in arabo della stella النسر الواقع an-nasr al-wāqi', Aquila che plana. Vega è la quinta stella più brillante del cielo se vista ad occhio nudo, data la sua magnitudine apparente pari a +0,03, che, associata al caratteristico colore bianco-azzurro, la rende facilmente distinguibile anche dal cielo fortemente inquinato delle grandi città. La facile rintracciabilità della stella è favorita anche dal fatto che Vega costituisce uno dei vertici dell'asterismo chiamato Triangolo estivo, le cui componenti sono, oltre a Vega, Deneb (α Cygni) e Altair (α Aquilae). Questo esteso triangolo rettangolo è molto ben riconoscibile nei cieli notturni poiché non sono presenti stelle altrettanto luminose nelle sue vicinanze; Vega, la più brillante delle tre, si trova sul vertice nord-occidentale, che coincide con l'angolo retto. Vega domina la costellazione di piccole dimensioni in cui si trova, la Lira, per la maggior parte costituita da stelle relativamente poco luminose; trovandosi quindi in un ambiente povero di stelle luminose, specialmente in direzione ovest, la sua brillantezza risulta particolarmente risaltata. Data la sua declinazione di +38,7°, Vega è una stella dell'emisfero celeste boreale; questa declinazione fortemente settentrionale fa sì che essa possa risultare visibile solo da latitudini a nord di 51° S, mentre a nord di 51° N appare circumpolare, ossia non tramonta mai sotto l'orizzonte. Alle latitudini temperate boreali la stella può essere osservata vicino allo zenit durante le serate estive; in realtà, in virtù della sua posizione molto settentrionale, da questo emisfero è visibile per la gran parte dell'anno. L'astro inizia a diventare ben visibile, in direzione est, nelle sere di fine aprile-inizio maggio; in quest'occasione appare come la seconda stella più brillante della notte, dopo Arturo, che è lievemente più luminosa. Durante i mesi estivi Vega raggiunge il culmine, dominando il cielo; l'astro resta visibile anche durante le serate autunnali in direzione ovest, sempre relativamente alto sull'orizzonte. Il mese di gennaio la vede tramontare sotto l'orizzonte ovest alle luci del crepuscolo, sebbene, poiché si trova molto a nord rispetto all'eclittica, fosse già visibile ad est poco prima dell'alba nel mese di novembre. Alle medie latitudini australi invece si presenta bassa sopra l'orizzonte durante la stagione invernale e permane visibile nel cielo notturno solo per pochi mesi all'anno. Il suo sorgere eliaco avviene a marzo, mentre tramonta col Sole a settembre; il periodo migliore per la sua osservazione nel cielo serale australe è dunque compreso fra luglio e agosto. Vega è ben nota sin dall'antichità, data la sua grande luminosità e il suo brillante colore bianco-azzurro. I pochi riferimenti "scientifici" giuntici da quest'epoca riguardano principalmente i cataloghi stellari compilati dagli astronomi greci e greco-romani (Ipparco e Tolomeo in particolare) e dagli astronomi arabi nel Medioevo. L'astrofotografia, ovvero la fotografia di oggetti celesti, iniziò nel 1840 quando John William Draper riprese un'immagine della Luna. La prima stella ad essere fotografata, a parte il Sole, fu proprio Vega; la stella venne ripresa il 17 luglio 1850 presso l'Harvard College Observatory con un'esposizione di circa cento secondi, sfruttando le tecniche della dagherrotipia. Henry Draper, redattore di un importante catalogo stellare, fu l'autore, nell'agosto 1872, della prima ripresa dello spettro di una stella differente dal Sole: egli infatti immortalò lo spettro di Vega, riuscendo a mostrare per la prima volta la presenza di linee di assorbimento, simili a quelle rilevate nello spettro del Sole. Nel 1879 William Huggins analizzò le immagini dello spettro di Vega e di altre stelle simili, ed identificò un gruppo di dodici "linee molto marcate" che erano comuni a quella categoria stellare: si trattava delle linee della serie di Balmer. Uno dei primi tentativi di misurare una distanza stellare fu compiuto da Friedrich Georg Wilhelm von Struve, che, sfruttando il metodo della parallasse, stimò per Vega il valore di 0,125 arcosecondi. Friedrich Bessel mostrò scetticismo nei confronti della misurazione di Struve e, quando Bessel pubblicò un valore di 0,314″ per la stella 61 Cygni, Struve riesaminò i suoi dati arrivando quasi a raddoppiare la sua precedente stima. Questo fatto gettò discredito sulle misurazioni di Struve e portò ad accreditare Bessel come l'autore della prima misurazione di una parallasse stellare. In realtà, il primo valore ottenuto da Struve per Vega è molto vicino al valore attualmente accettato, pari a 0,129″. Le rilevazioni fotometriche effettuate negli anni trenta hanno mostrato una leggera variazione della luminosità della stella, pari a ± 0,03 magnitudini. Poiché questo valore era al limite della sensibilità degli strumenti dell'epoca, la variabilità di Vega è rimastata un'ipotesi; le osservazioni effettuate nel 1981 presso il David Dunlap Observatory permisero di rilevare nuovamente la presenza di queste leggere variazioni, imputate a pulsazioni intrinseche dell'astro che lo renderebbero quindi una variabile Delta Scuti. Anche se Vega corrisponde in larga parte al profilo fisico caratteristico di questo tipo di stelle variabili, tali variazioni non sono state rilevate da altri osservatori; per questa ragione si è giunti persino a supporre che tali misurazioni siano affette da un errore sistematico nella misurazione. Nel 1983 fu scoperto per la prima volta un disco di polveri attorno a Vega, tramite l'Infrared Astronomical Satellite (IRAS), che rilevò un eccesso di radiazione infrarossa, dovuta all'energia emessa da polvere orbitante che viene scaldata dalla stella. Vega è una delle stelle più interessanti del cielo: la sua posizione, a 39° di declinazione nord e coincidente con le 18h di ascensione retta, fa in modo che venga a trovarsi molto lontano dall'eclittica, al punto da essere la stella di prima magnitudine più vicina al polo nord dell'eclittica, che ricade nella vicina costellazione del Dragone, a poco meno di 27° da essa. A causa del fenomeno conosciuto come precessione degli equinozi, le coordinate celesti di stelle e costellazioni possono variare sensibilmente, a seconda della loro distanza dal polo nord e sud dell'eclittica; un ciclo precessionale ha una durata di 25 770 anni circa, durante i quali l'asse di rotazione terrestre compie un movimento rotatorio descrivendo in cielo due cerchi opposti, uno nell'emisfero nord e uno in quello sud.[20] Nel corso delle epoche l'asse di rotazione visto dalla Terra tende ad avvicinarsi o ad allontanarsi apparentemente da varie stelle; attualmente esso punta il nord in direzione di una stella di seconda magnitudine nota anticamente come Cynosura, la coda dell'Orsa Minore, che oggi prende il nome di Polaris, la stella polare. Fra circa 13 700 anni, quando l'epoca precessionale sarà opposta a quella attuale, l'asse di rotazione terrestre punterà a pochi gradi da Vega, che diventerà così la nuova indicatrice del polo nord celeste; per raggiungerla, l'asse si avvicinerà e attraverserà dapprima la costellazione di Cefeo e infine lambirà la parte nordoccidentale del Cigno. Anche 12 000 anni fa Vega era la Stella Polare, mentre l'attuale Polare, Cynosura, assumerà una declinazione simile a quella che Vega ha al giorno d'oggi, sorgendo e tramontando regolarmente anche nelle regioni di latitudine boreale media. Vega è la più brillante tra tutte le stelle che si sono alternate e si alterneranno nel ruolo di stella polare. Vega è classificata come una stella bianca di tipo spettrale A0 V che si trova nella sequenza principale,[9] dove, come la maggior parte delle altre stelle, sta convertendo nel suo nucleo l'idrogeno in elio per mezzo della fusione nucleare. Durante questa fase di stabilità Vega produce la maggior parte dell'energia che irradia tramite il ciclo CNO, un processo di fusione che, servendosi come intermedi del carbonio, dell'azoto e dell'ossigeno, combina protoni per formare nuclei di elio. Questo processo richiede, per poter avvenire efficientemente, una temperatura di almeno 15 000 000-17 000 000 di K, superiore a quella presente nel nucleo del Sole (circa 13 000 000 -15 000 000[50]), ed è più redditizio del meccanismo usato dalla nostra stella come mezzo principale per produrre energia, la catena protone-protone. Il ciclo CNO è molto sensibile alla temperatura; per questa ragione il nucleo della stella, contrariamente a quanto accade nel nucleo solare, è sede di intensi movimenti convettivi che permettono di "rimescolare" e distribuire uniformemente i materiali residuati dai processi nucleari; la regione sovrastante invece si trova in uno stato di equilibrio radiativo. Questa configurazione è esattamente opposta a quella del Sole, che invece presenta una zona radiativa centrata sul nucleo e una regione convettiva al di sopra di essa. Alla luce poi di una bassa emissione di raggi X, si pensa che la stella possieda una corona molto debole, o addirittura che questa sia inesistente. Vega si trova nella sequenza principale da circa 386 - 511 milioni di anni, e si stima che vi permarrà per almeno altri 700 - 500 milioni di anni; dunque Vega si troverebbe all'incirca a metà della propria sequenza principale, proprio come il Sole, la cui sequenza principale è però dieci volte più lunga. Infatti, le stelle più massicce (e, di conseguenza, più luminose) utilizzano il loro combustibile nucleare più rapidamente delle altre, a causa del fatto che le reazioni nucleari procedono a un ritmo più sostenuto per contrastare il collasso gravitazionale, direttamente proporzionale alla massa, cui la stella è naturalmente soggetta: Vega è infatti circa 2,11 volte più massiccia e circa 37 ± 3 volte più luminosa della nostra stella. Lo scenario successivo al termine della sequenza principale è prevedibile grazie ai modelli fisico-matematici sviluppati sull'evoluzione stellare: infatti, giunta al termine della sequenza principale, la stella attraverserà una serie di fasi di instabilità, che la porteranno dapprima ad espandersi in gigante rossa, quindi, dopo diversi cicli di reazioni nucleari che culmineranno con la produzione del carbonio e dell'ossigeno, a contrarsi in un'evanescente nana bianca. Le osservazioni e le misurazioni fotometriche hanno permesso di scoprire che Vega possiede una piccola variabilità, con un periodo di 0,107 giorni, presumibilmente associata a pulsazioni radiali del corpo celeste; non si è tuttavia certi dell'effettiva appartenenza alla classe delle variabili Delta Scuti, nonostante le caratteristiche fisiche di Vega siano in larga parte corrispondenti a quelle di questa categoria di variabili. La determinazione del raggio di Vega, resa possibile dall'utilizzo di tecniche interferometriche, ha restituito un valore inaspettatamente elevato, pari a circa 2,73 ± 0,01 volte quello solare e superiore di circa il 60% rispetto a quello di Sirio; secondo i modelli fisici invece il diametro di Vega avrebbe dovuto eccedere di non più del 12% il diametro di Sirio. La causa di questa discrepanza fu sin dall'inizio attribuita alla rapida rotazione della stella, dato che ha trovato conferme nelle osservazioni condotte tramite il CHARA Array nel 2005. La velocità di rotazione all'equatore è pari a 274 km/s e corrisponde al 91% della velocità limite che porterebbe una stella a disintegrarsi a causa della forza centrifuga; ad una simile velocità, la stella impiega appena 12,5 ore per compiere una rotazione sul proprio asse. Questa rapida rotazione fa assumere all'astro l'aspetto di uno sferoide oblato, caratterizzato quindi da un forte schiacciamento polare e da un altrettanto pronunciato rigonfiamento equatoriale: il raggio all'equatore è superiore del 23% rispetto al raggio polare. Il raggio polare della stella risulta quindi pari a 2,26 ± 0,02 raggi solari (R☉), mentre il raggio equatoriale è di 2,78 ± 0,02 R☉. È però necessario tener presente che, dato che l'asse di rotazione di Vega risulta inclinato di non più di 5 gradi rispetto alla linea di vista che la congiunge alla Terra,[9] il rigonfiamento equatoriale è osservato in direzione del polo, il che può portare ad una sovrastima del valore effettivo del raggio. Poiché, per effetto della rotazione, l'accelerazione risultante dalla somma vettoriale dell'accelerazione gravitazionale locale e dell'accelerazione tangenziale sui poli è maggiore rispetto all'equatore, per il teorema di von Zeipel anche la luminosità locale e la temperatura effettiva risultano maggiori ai poli: le misurazioni hanno mostrato che i poli che raggiungono una temperatura di 10 000 K, mentre all'equatore è di soli 7 600 K. Di conseguenza, nel rispetto della legge di Stefan-Boltzmann, se Vega fosse osservata dal piano equatoriale, la sua luminosità apparirebbe più che dimezzata.[19][64] Il gradiente termico che si viene a generare crea una regione di convezione nell'atmosfera circostante l'equatore, mentre il resto dell'atmosfera è probabilmente in uno stato di equilibrio radiativo. Questa grande differenza tra i poli e l'equatore produce un effetto di oscuramento gravitazionale: osservata ai poli la stella presenta infatti un bordo più scuro rispetto a quello che si osserverebbe normalmente nel caso di una stella quasi perfettamente sferica (il cosiddetto oscuramento al bordo). Se Vega possedesse una velocità di rotazione ben più inferiore (e quindi fosse simmetricamente sferica) ed irradiasse in tutte le direzioni la stessa quantità di energia che irradia dai poli, la sua luminosità sarebbe 57 volte quella del Sole, un valore ben superiore a quello ottenuto dalle osservazioni;[6] un tale valore sarebbe tuttavia molto più alto rispetto a quello teoricamente previsto per una stella di massa simile a Vega, che non supererebbe le 40 L☉. Lo spettro visibile di Vega è dominato dalle linee di assorbimento dell'idrogeno, in particolare dalla serie di Balmer, costituita, nel visibile, da quattro righe a diverse lunghezze d'onda, che sono prodotte dall'emissione di un fotone da parte dell'unico elettrone dell'atomo di idrogeno che, da uno stato eccitato, si sposta al livello quantico descritto dal numero quantico principale n = 2. Le linee degli altri elementi sono relativamente deboli, e le principali sono relative al magnesio ionizzato, ferro e cromo. Le indagini spettrali hanno permesso di determinare la metallicità della stella; gli astronomi usano il termine "metalli" per definire generalmente gli elementi che hanno un numero atomico superiore a quello dell'elio. La metallicità della fotosfera di Vega è solo il 32% dell'abbondanza di elementi pesanti presenti nell'atmosfera solare; per raffronto il Sole possiede una metallicità (Z) di circa Z☉ = 0,0172 ± 0,002. Quindi, in termini di abbondanza, appena lo 0,54% di Vega consiste di elementi più pesanti dell'elio. Questa metallicità insolitamente bassa rende Vega una stella di tipo Lambda Bootis. Il rapporto tra idrogeno ed elio osservato per Vega è 0,030 ± 0,005, circa il 60% di quello del Sole; questa differenza potrebbe essere dovuta alla mancanza di una zona convettiva poco al di sotto della fotosfera (essa infatti è ubicata, all'interno di Vega, a ridosso del nucleo): il trasferimento dell'energia avviene infatti prevalentemente mediante irraggiamento, il che potrebbe essere all'origine anche di un'anomala diffusione degli elementi all'interno della stella. Le rilevazioni più precise disponibili sul moto spaziale di Vega indicano che la sua velocità radiale, ovvero la componente del moto stellare orientata nella direzione di vista della Terra, è −13,9 ± 0,9 km/s; il segno negativo indica che la sua luce risulta spostata verso il blu, e quindi che la stella è in avvicinamento al sistema solare. Il moto proprio, ovvero la componente del moto trasversale rispetto alla linea di vista, fa sì che Vega si sposti rispetto allo sfondo delle stelle più distanti. Precise misurazioni della sua posizione hanno permesso di calcolare un movimento di 202,04 ± 0,63 milliarcosecondi all'anno (mas/anno) in ascensione retta e 287,47 ± 0,54 mas/anno in declinazione; il movimento netto della stella è di 327,78 milliarcosecondi all'anno, equivalente ad uno spostamento di un grado ogni 11 000 anni. Nel sistema di coordinate galattiche le componenti della velocità della stella sono U = −13,9 ± 0,9, V= −6,3 ± 0,8 e W = −7,7 ± 0,3, dove U indica la velocità rispetto al centro galattico, V rispetto al senso di rotazione galattico e W rispetto al polo nord galattico, con una velocità netta di 17 km/s. La componente radiale, nella direzione del Sole, è −13,9 km/s e la velocità trasversale è di 9,9 km/s. Il raffronto dei dati astrometrici di Vega e di altre stelle hanno mostrato che essa fa parte di un'associazione stellare, l'associazione di Castore, che comprende 16 stelle tra cui Zubenelgenubi (α Lib), Alderamin (α Cep), Castore (α Gem) e Fomalhaut (α PsA). Le componenti dell'associazione si muovono quasi in parallelo con velocità simili (attorno a 16,5 km/s); questa caratteristica implicherebbe una comune origine del gruppo come ammasso aperto da una nube molecolare gigante, il quale nel corso dei milioni di anni si è disperso dando luogo all'attuale associazione. L'età stimata di questo gruppo è circa 200 ± 100 milioni di anni, in linea con l'età media dei membri dell'associazione. Vega dista attualmente 25,3 anni luce dal Sole; da questa distanza l'astro appare come la quinta stella più brillante del cielo. Tuttavia, il suo progressivo avvicinamento al sistema solare la porterà, entro i prossimi 200 000 anni, ad aumentare piuttosto rapidamente la sua luminosità apparente; Sirio è l'attuale stella più brillante del cielo (con una magnitudine di −1,46) e resterà tale ancora per i prossimi 60 000 anni, durante i quali aumenterà la propria luminosità (fino quasi a sfiorare la magnitudine −1,7) per poi andare incontro a un progressivo affievolimento; più in fretta ancora aumenterà la luminosità di Altair, che passerà da un attuale valore di 0,77 a −0,53 in 140 000 anni, per poi decadere altrettanto rapidamente.[83] Arturo si trova attualmente al punto più vicino a noi, dunque in futuro la sua luminosità diminuirà, come quella di Canopo, che fino a 90 000 anni fa era la stella più brillante del cielo. L'attuale stella più vicina a noi è α Centauri, la quale continuerà ad avvicinarsi e ad aumentare in luminosità per i prossimi 25 000 anni, trascorsi i quali l'astro inizierà ad allontanarsi dal sistema solare e a diminuire in luminosità apparente. Le simulazioni suggeriscono che la combinazione del suo moto in avvicinamento e il contemporaneo allontanamento e il conseguente affievolimento di alcune delle stelle più brillanti dell'epoca attuale, renderanno Vega, per il periodo compreso tra 210 000 e 480 000 anni, la stella più brillante del cielo; Vega raggiungerà una magnitudine di picco pari a −0,81 entro 290 000 anni, periodo di tempo necessario perché giunga alla distanza minima di 17 anni luce dal sistema solare. In seguito, la stella si allontanerà, diminuendo progressivamente la sua luminosità apparente fino a raggiungere, nel giro di alcuni milioni di anni, una distanza tale da renderla invisibile ad occhio nudo. La tabella sottostante indica i dati delle magnitudini apparenti delle stelle esaminate nel grafico, con un campionamento di 25 000 anni; il grassetto indica la stella più luminosa nel periodo indicato. Vega è stata utilizzata a lungo come "stella modello" per calibrare i telescopi ed altri strumenti osservativi e come riferimento per la misurazione di alcuni parametri comuni a tutte le stelle, quali magnitudine, luminosità, temperatura effettiva, indice di colore e spettro. La brillantezza di una stella osservata dalla Terra viene espressa tramite una scala logaritmica standard, la magnitudine: si tratta di un valore numerico che decresce all'aumentare della luminosità della stella. Nel cielo notturno le stelle più deboli che possono essere percepite ad occhio nudo sono circa di magnitudine 6, mentre le stelle più brillanti hanno valori di magnitudine negativi. Per standardizzare la scala delle magnitudini, gli astronomi hanno scelto Vega per rappresentare la magnitudine 0; per molti anni quindi la stella fu utilizzata per calibrare le scale di luminosità nella fotometria. Attualmente il valore di magnitudine zero viene tuttavia definito in termini di flusso, poiché risulta di maggiore comodità: Vega infatti non è sempre visibile per effettuare direttamente le calibrazioni. Il sistema fotometrico UBV misura la magnitudine delle stelle mediante filtri ultravioletti, blu e gialli che corrispondono ai valori U, B e V. Vega è una delle sei stelle utilizzate per stabilire i valori medi per questo sistema fotometrico al momento della sua introduzione negli anni cinquanta. La magnitudine media per queste stelle fu definita come U − B = B − V = 0, essendo la medesima per le controparti gialle, blu e ultraviolette dello spettro elettromagnetico.[87] Vega ha quindi uno spettro elettromagnetico relativamente piatto nella regione visibile (350nm<λ<850 nm), in quanto la radiazione che emette ha una densità di flusso di 2000-4000 jansky (Jy). Tuttavia si è notato che la densità di flusso di Vega diminuisce rapidamente nella regione dell'infrarosso, con un valore di circa 100 Jy ad una lunghezza d'onda di 5000 nm (5 micrometri - µm -). La scoperta della sua rapida rotazione potrebbe mettere in discussione molti dei dati formulati assumendo per la stella una simmetria sferica; l'affinamento di queste conoscenze, insieme allo sviluppo di nuovi modelli fisici, permette un miglioramento degli strumenti di calibrazione.[90] Una delle prime scoperte compiute dal satellite IRAS (InfraRed Astronomy Satellite) fu, nel 1983, quella di un eccesso di emissione di radiazione infrarossa da parte di Vega. Misurato alle lunghezze d'onda di 25, 60 e 100 µm, la sua origine è stata circoscritta ad una regione di spazio centrata sulla stella il cui raggio era pari a circa 10 secondi d'arco ("); in base alla distanza stimata della stella, si è dedotto che questo raggio corrispondesse ad un'area di circa 80 unità astronomiche (UA) centrata su di essa. Le prime ipotesi formulate sostenevano che questa radiazione provenisse da un campo di materia orbitante attorno alla stella, che rifletteva sotto forma di radiazione infrarossa la luce che riceveva dalla Vega. Inizialmente si riteneva che questo disco circumstellare fosse costituito da polveri di dimensioni millimetriche; infatti, se le particelle fossero state più piccole, esse sarebbero state spazzate via facilmente dal vento e dalla radiazione della stella, o risucchiate verso di essa a causa dell'effetto Poynting-Robertson. Ulteriori misure, effettuate alla lunghezza d'onda di 193 µm, hanno mostrato un flusso radiativo inferiore a quello previsto dall'ipotesi delle particelle millimetriche, il che suggeriva che le particelle dovessero avere dimensioni ben più modeste, dell'ordine di 100 µm o inferiori. Questo implicava che, per mantenere un simile quantitativo di polveri in orbita, data la loro volatilità, dovesse essere presente una fonte che provvedesse al ricambio di tali materiali. Uno dei meccanismi proposti, ma in seguito scartati, per mantenere costante il livello delle polveri prevedeva la presenza di un disco di materia fusa in procinto di formare un pianeta. I modelli formulati in merito alla distribuzione delle polveri indicavano una disposizione a disco circolare, con un raggio di 120 UA, all'interno del quale era presente una lacuna di raggio non inferiore a 80 UA. Le analisi spettroscopiche hanno mostrato che le polveri del disco di Vega sono composte prevalentemente da grafite ed altri allotropi amorfi del carbonio, con una piccola percentuale (~5%) di silicati, in particolare olivine e forsteriti. Vega è il prototipo di una classe di stelle di sequenza principale che presentano tutte un particolare eccesso di emissione infrarossa, dovuto alla presenza in orbita di un disco di polveri; tali stelle, dette stelle di tipo Vega o, in lingua inglese, Vega-like, rivestono particolare importanza in quanto il loro studio potrebbe fornire importanti indicazioni sull'origine del sistema solare. Nel 2005 il telescopio spaziale Spitzer della NASA ha ripreso delle immagini ad alta risoluzione a diverse lunghezze d'onda dell'infrarosso delle polveri attorno a Vega; a seconda della lunghezza d'onda (λ) presa in considerazione si è notato che le polveri presentano una differente estensione: a λ=24 µm il disco di polveri si estende per 43" (oltre 330 UA), a λ=70 µm per 70" (543 UA) e a λ=160 µm per 105" (815 UA). Le indagini condotte su queste immagini hanno rivelato che il disco si presenta pressoché circolare e privo di addensamenti di materia, e che sarebbe costituito da particelle di dimensioni variabili tra 1 e 50 µm. La massa totale delle polveri è stata stimata in circa 3 × 10−3 volte la massa della Terra.[99] La produzione di tali polveri sarebbe dovuta alle molteplici collisioni che si verificherebbero tra gli asteroidi di una popolazione analoga a quella presente nella fascia di Kuiper del sistema solare; quindi quello in orbita attorno a Vega sarebbe in realtà da considerarsi più un disco di detriti che non un disco protoplanetario, come è stato ipotizzato in precedenza. Il confine interno del disco, posto a circa a 11" ± 2" (70-102 UA), è delimitato dalla pressione della radiazione emessa dalla stella, che quindi spinge verso l'esterno i detriti generati nelle collisioni all'interno della cintura. Tuttavia, per spiegare la continua produzione di polveri osservata, il disco avrebbe dovuto possedere una massa iniziale estremamente grande, stimata in centinaia di volte la massa di Giove; un simile valore risulta, ovviamente, spropositato. Per questo motivo si ritiene più probabile che queste polveri siano state prodotte dalla rottura, a seguito di una collisione recente con una cometa o asteroide di dimensioni medio/grandi, di un oggetto di dimensioni paragonabili a quelle di Plutone, ad una distanza di circa 90 UA dalla stella. Il disco di polveri sarebbe quindi molto più giovane rispetto all'età della stella, e si ritiene che verrà spazzato via dal vento stellare entro mille anni se non avverranno altre collisioni in grado di ristabilire la quantità originaria delle polveri perse. Le osservazioni condotte nell'infrarosso vicino dal CHARA Array nel 2006 hanno rivelato l'esistenza di una seconda banda di polveri più interna, ad una distanza di circa 5-8 UA dalla stella, surriscaldata dalla radiazione stellare sino ad oltre 1500 K. Poiché l'intensa pressione di radiazione della stella sarebbe in grado di spazzar via questa struttura in pochi anni, gli astronomi ritengono che all'interno di essa vi sia un alto tasso di produzione di polveri, dovuto a continue collisioni di corpi cometari o asteroidali. Un simile bombardamento troverebbe una spiegazione ipotizzando la migrazione all'interno del disco maggiore di uno o più pianeti giganti gassosi, i quali avrebbero quindi perturbato le orbite degli asteroidi di questa fascia catapultandoli verso le regioni interne. Queste teorie alimentano l'ipotesi che attorno a Vega possa orbitare quindi un vero e proprio sistema planetario. Le osservazioni effettuate dal James Clerk Maxwell Telescope (JCMT) nel 1997 hanno rivelato una "regione brillante e allungata" ad una distanza di 70 UA da Vega. Si è ipotizzato che questa struttura potesse essere il risultato di una perturbazione del disco di polveri causata da un pianeta o da un altro oggetto orbitante circondato dalle polveri. Gli astronomi del Joint Astronomy Centre, che gestisce il JCMT, hanno ipotizzato che l'immagine potrebbe mostrare un sistema planetario in formazione. Le ricerche condotte dagli astronomi, sfruttando anche i telescopi Keck, non sono riuscite a rilevare l'eventuale radiazione emessa da possibili pianeti o nane brune in orbita attorno alla stella. In una pubblicazione del 2002 si è ipotizzato che i particolari agglomerati nel disco potessero essere causati da un pianeta di massa paragonabile a quella di Giove, posto su un'orbita altamente eccentrica; le polveri si sarebbero accumulate in orbite in risonanza con questo ipotetico pianeta, dando origine ai conglomerati osservati. Nel 2003 è stata formulata un'altra ipotesi, che prevedeva l'esistenza di un pianeta di massa paragonabile a quella di Nettuno, migrato da una distanza di 40 UA fino a 65 UA in circa 56 milioni di anni, con un'orbita sufficientemente ampia da non perturbare le regioni interne del sistema e permettere quindi la formazione di pianeti rocciosi vicini alla stella. La migrazione avrebbe richiesto l'interazione gravitazionale con un secondo pianeta di massa più elevata posto in un'orbita più interna. Nel 2005, mediante l'utilizzo di un coronografo montato sul telescopio Subaru alle Hawaii, gli astronomi sono riusciti ad affinare le stime sulle dimensioni del probabile pianeta, affermando che avrebbe una massa non superiore alle 5-10 masse gioviane. Anche se un pianeta attorno a Vega non è stato ancora osservato direttamente (come è accaduto, al contrario, nei casi di Fomalhaut o HR 8799, due stelle Vega-like), o comunque confermato mediante altri metodi di individuazione, non può essere esclusa la presenza di un sistema planetario, contenente probabilmente anche degli eventuali pianeti di tipo terrestre in un'orbita più vicina alla stella. L'inclinazione orbitale degli eventuali pianeti sarebbe verosimilmente allineata al piano equatoriale della stella. Nel 2021, una pubblicazione su osservazioni degli spettri di Vega in un periodo di tempo di 10 anni, hanno rilevato il segnale di un candidato esopianeta con un periodo di 2,3 giorni; gli autori sostengono che le possibilità che sia un falso positivo sono solo dell'1%. Il pianeta avrebbe una massa minima di 22 volte quella della Terra, tuttavia non è nota l'inclinazione orbitale ed essendo Vega vista da Terra da uno dei suoi poli (i=6,2°) la massa minima richiederebbe un'orbita polare, mentre se il pianeta orbitasse sullo stesso piano della rotazione di Vega la massa sarebbe 10 volte maggiore, ossia 0,6 volte quella di Giove.[108] Un ipotetico osservatore situato su un eventuale pianeta in orbita attorno a Vega vedrebbe il cielo leggermente diverso da quello osservabile sulla Terra: questo perché le distanze dal sistema solare di molte delle stelle più brillanti visibili dal nostro pianeta differiscono in maniera sostanziale rispetto a quelle che le separano da Vega. Altair dista da Vega 14,8 anni luce, contro i 16,7 che la separano dal Sole;[110] apparirebbe quindi appena più brillante (con una magnitudine apparente pari a 0,49) che vista dalla Terra. Lo stesso discorso vale per Arturo, che dista dall'astro principale della Lira 32 a.l. (contro i 37 che la distanziano dal sistema solare), e quindi appare nel cielo di Vega come un oggetto di magnitudine −0,33.[111] Sirio e Procione, rispettivamente prima e ottava stella più brillante del cielo terrestre, distano rispettivamente 33 e 34 a.l. da Vega, il che le farebbe apparire come delle modeste stelle di seconda e terza grandezza. Un aspetto curioso riguarda come apparirebbe il Sole se osservato da Vega. Com'è noto, Vega è visibile dal sistema solare in direzione di uno dei suoi poli; se l'asse di rotazione di questo ipotetico pianeta fosse perpendicolare al piano orbitale, e quindi puntasse nella medesima direzione dell'asse stellare, il Sole apparirebbe come la stella polare. Il Sole apparirebbe comunque come un debole astro di magnitudine 4,2, e risulterebbe visibile alle coordinate diametralmente opposte a quelle alle quali Vega risulta visibile dalla Terra (nel sistema di coordinate equatoriali terrestri sarebbero AR=6h 36m 56,3364s - Dec=−38° 47′ 01,291″), che corrispondono alla regione occidentale della costellazione della Colomba. Non lontano dalla nostra stella risulterebbe visibile Sirio, mentre dalla parte opposta brillerebbe Canopo, che apparirebbe lievemente meno brillante rispetto al cielo terrestre. Il nome originario della stella, Wega (in seguito corrotto in Vega), deriva da una libera traslitterazione della parola araba wāqi (planante), estratta dalla frase النسر الواقع an-nasr al-wāqi', "l'avvoltoio planante", che era il nome con cui designarono la stella gli astronomi arabi dell'XI secolo, i quali videro nella Lira la forma di un'aquila (o un altro uccello rapace, probabilmente un avvoltoio) nell'atto di planare. La rappresentazione della costellazione come un avvoltoio non era nuova: era infatti già riconosciuta come tale dagli Egizi e nell'antica India. Il nome comparve per la prima volta in Occidente nelle tavole alfonsine, compilate tra il 1215 e il 1270 per ordine del re di Castiglia Alfonso X, e si affermò nel corso del XIII secolo. In quest'epoca erano molto diffuse diverse varianti del nome originale arabo, in particolare Waghi, Vagieh e Veka. Intorno a Vega, per via della sua grande brillantezza e della sua posizione nel cielo notturno, si è intessuto un discreto apparato mitologico e religioso-esoterico. Per gli Assiri la stella si chiamava Dayan-same, il "Giudice dei Cieli", mentre per gli Accadi era Tir-anna, la "Vita del Cielo"; i Babilonesi la conoscevano presumibilmente con nome Dilgan, "il Messaggero della Luce", attribuito anche ad altre stelle. Gli antichi Greci, così come i Romani dopo di loro, ritenevano che la costellazione della Lira rappresentasse lo strumento musicale di Orfeo, costruito da Ermes sfruttando il carapace di una tartaruga come cassa armonica e il budello di una pecora per fabbricare le corde; Vega rappresentava il manico della lira ed era nota col nome di Λύρα (Lyra). Presso i Romani l'astro era noto, oltre che col nome Lyra, anche con i sinonimi Fidis, Fides e Fidicula, tutti indicanti lo strumento di Orfeo; inoltre la data d'inizio della stagione autunnale era stata scelta in modo da coincidere con la data in cui Vega tramontava al sorgere del Sole. La stella è associata al mito di 七夕 (Qi Xi, " I Sette Crepuscoli"), originario della Cina ma molto diffuso, seppur con alcune varianti, anche in Corea e Giappone. Il mito tratta della storia d'amore che lega 織女 (Zhi Nü, "la Tessitrice", che rappresenta Vega) e il marito 牛郎 (Niu Lang, "il Mandriano", ovvero la stella Altair), che si trova insieme ai due figli della coppia (le vicine stelle Tarazed e Alshain); i due coniugi sono costretti a restare separati alle due sponde del 銀河 "Fiume d'Argento" (la Via Lattea). Tuttavia, i due possono incontrarsi per un solo giorno all'anno, la "settima notte della settima luna" (ovvero il settimo giorno del settimo mese del calendario lunisolare cinese, corrispondente nel calendario gregoriano agli inizi del mese di agosto); in questa circostanza le gazze si adoperano per formare con le loro ali un momentaneo ponte che unisca le due rive del fiume, permettendo l'incontro dei due amanti. Da questo mito traggono origine due festività: in Cina il Qi Qiao Jie, mentre in Giappone il Tanabata. Presso i popoli polinesiani Vega era nota come whetu o te tau, la stella dell'anno: infatti il sorgere eliaco della stella, per un certo periodo della storia di queste popolazioni, segnava l'inizio del nuovo anno e il momento in cui il terreno poteva essere preparato per piantare i vegetali coltivati; questa funzione fu in seguito assunta dalle Pleiadi. Nella religione zoroastriana era talvolta associata a Vanant, una divinità minore il cui nome significa "conquistatore". Nell'astrologia medioevale occidentale ed araba Vega era annoverata tra le quindici stelle fisse beheniane, stelle di importanza magica denominate da Agrippa di Nettesheim Behenii (donde il loro nome), dall'arabo bahman che significa radice; i suoi pianeti collegati erano Mercurio e Venere, la pietra preziosa l'olivina e la pianta la santoreggia invernale. Agrippa assegnò inoltre alla stella il simbolo cabalistico Agrippa1531 Vulturcadens.png con il nome Vultur cadens ("Avvoltoio cadente"), una traduzione letterale in latino del nome arabo. La stella ha dato il proprio nome a numerosi manufatti umani, prevalentemente mezzi di trasporto e strumenti scientifici. Vega è stata la prima stella a cui sia stata intitolata, nel 1971, un'automobile, la Chevrolet Vega; alla stella è stato intitolato anche un velivolo, il Lockheed Vega. L'Agenzia Spaziale Europea ha assegnato il nome della stella ad un suo lanciatore, mentre l'Unione Sovietica alle sonde Vega 1 e 2, dalle iniziali delle destinazioni esplorative, il sorvolo di Venere (VEnus) e l'analisi della cometa di Halley (GAlley, nella pronuncia russa)
Altre stelle notevoli
Vega non è l'unica stella ad essere unica nel suo genere. Esistono altre stelle straordinarie quali:
- Il Sole. Il Sole (dal latino: Sol) è la stella madre del sistema solare, attorno alla quale orbitano gli otto pianeti principali (tra cui la Terra), i pianeti nani, i loro satelliti, innumerevoli altri corpi minori e la polvere diffusa per lo spazio, che forma il mezzo interplanetario. La massa del Sole, che ammonta a circa 2×1030 kg, rappresenta da sola il 99,86% della massa complessiva del sistema solare. Il Sole è una stella di dimensioni medio-piccole costituita principalmente da idrogeno (circa il 74% della sua massa, il 92,1% del suo volume) ed elio (circa il 24-25% della massa, il 7,8% del volume), cui si aggiungono altri elementi più pesanti presenti in tracce. È classificato come una "nana gialla" di tipo spettrale G2 V: "G2" indica che la stella ha una temperatura superficiale di 5 777 K (5 504 °C), caratteristica che le conferisce un colore bianco estremamente intenso e cromaticamente freddo, che però spesso può apparire giallognolo, a causa della diffusione luminosa nell'atmosfera terrestre, in ragione dell'elevazione dell'astro sull'orizzonte e nondimeno della limpidezza atmosferica. La V (5 in numeri romani) indica che il Sole, come la maggior parte delle stelle, è nella sequenza principale, ovvero in una lunga fase di equilibrio stabile in cui l'astro fonde, nel proprio nucleo, l'idrogeno in elio. Tale processo genera ogni secondo una grande quantità di energia (equivalente a una potenza di 3,9×1026 W), emessa nello spazio sotto forma di radiazioni elettromagnetiche (radiazioni solari), flusso di particelle (vento solare) e neutrini. La radiazione solare, emessa fondamentalmente come luce visibile ed infrarossi, consente la vita sulla Terra fornendo l'energia necessaria ad attivare i principali meccanismi che ne stanno alla base; inoltre l'insolazione della superficie terrestre regola il clima e la maggior parte dei fenomeni meteorologici. Collocato all'interno del Braccio di Orione, un braccio secondario della spirale galattica, il Sole orbita attorno al centro della Via Lattea ad una distanza media di circa 26 000 anni luce e completa la propria rivoluzione in 225-250 milioni di anni. Tra le stelle più vicine, poste entro un raggio di 17 anni luce, il Sole è la quinta più luminosa in termini intrinseci: la sua magnitudine assoluta, infatti, è pari a +4,83. Se fosse possibile osservare la nostra stella da α Centauri, il sistema stellare più vicino, essa apparirebbe nella costellazione di Cassiopea con una magnitudine apparente di 0,5. Il simbolo del Sole consiste di una circonferenza con un punto al centro. La locuzione osservazione del Sole indica l'insieme di procedimenti legati all'osservazione astronomica atti a rivelare e studiare i fenomeni che caratterizzano la superficie (e di riflesso gli strati interni) della nostra stella. Il Sole è l'unica stella la cui forma possa essere apprezzata semplicemente alla vista. Possiede infatti un diametro angolare apparente medio di 32' 03" d'arco, che varia però a seconda del punto in cui la Terra si trova nel corso della sua orbita: raggiunge infatti il valore massimo (32' 35") quando il nostro pianeta si trova al perielio, mentre il valore minimo (31' 31") all'afelio. Simili dimensioni apparenti consentono, previo l'utilizzo di particolare strumentazione ed adeguate protezioni, di osservare i dettagli della superficie della nostra stella allo scopo di rivelare e studiare i fenomeni che la caratterizzano. A occhio nudo è possibile distinguere il disco solare al tramonto o in presenza di nebbia e nubi, quando l'intensità luminosa decresce sensibilmente. Tali osservazioni permettono, seppure in rare circostanze, di osservare delle macchie solari particolarmente estese. Utilizzando poi un modesto telescopio, dotato di un adeguato filtro o utilizzato per proiettare l'immagine della stella su uno schermo bianco, è possibile osservare agevolmente le macchie solari e i brillamenti. Il conteggio delle macchie e il calcolo del numero di Wolf rappresenta un'attività legata alle campagne osservative astronomiche cui molti astrofili prendono parte. Tuttavia, a causa dei rischi a cui è soggetta la retina dell'occhio, l'osservazione del Sole senza le giuste protezioni è dannosa alla vista. La combinazione delle dimensioni e della distanza dalla Terra del Sole e della Luna sono tali che i due astri appaiono nel cielo pressappoco col medesimo diametro; tale situazione è all'origine di periodiche occultazioni della stella da parte del nostro unico satellite naturale, che prendono il nome di eclissi solari; le eclissi totali, in particolare, consentono di visualizzare la corona solare e le protuberanze. Un altro tipo di osservazione non riguarda direttamente la stella ma i suoi moti apparenti sulla volta celeste. Il moto apparente del Sole nell'arco della giornata è sfruttato dagli uomini nella scansione delle ore, grazie anche all'utilizzo di strumenti preposti come le meridiane. Inoltre, la stella sembra compiere, nell'arco di un anno, un tragitto lungo la fascia zodiacale che varia di giorno in giorno. La traiettoria descritta dal Sole, rilevata alla stessa ora ogni giorno durante l'anno, prende il nome di analemma ed ha una forma assomigliante ad un numero 8, allineato secondo un asse nord-sud. La variazione della declinazione solare annua in senso nord-sud è di circa 47° (per via dell'inclinazione dell'asse terrestre rispetto all'eclittica di 66° 33', causa fondamentale dell'alternarsi delle stagioni), mentre vi è anche una piccola variazione in senso est-ovest causata dalla differente velocità orbitale della Terra, che, nel rispetto delle leggi di Keplero, è massima al perielio e minima all'afelio. La luce solare è estremamente forte e guardare direttamente il Sole ad occhio nudo, anche per brevi periodi, può essere doloroso, relativamente dannoso per un normale occhio anche se con pupille non dilatate. Un'osservazione prolungata senza precauzioni può tuttavia causare una sensazione luminosa di puntini o scintille, nota come fosfene, ed una temporanea cecità parziale: infatti la retina viene moderatamente riscaldata da circa 4 milliwatt di luce solare, che causano una momentanea risposta errata alla luminosità da parte degli occhi. L'esposizione diretta ai raggi ultravioletti (raggi UV) è altresì dannosa per gli occhi: infatti, nel corso degli anni, può portare ad una progressiva opacizzazione del cristallino (la "lente" dell'occhio), che risulta nella formazione di una cataratta. Inoltre i raggi UV sono responsabili di lesioni retinee simili ad ustioni, che iniziano a manifestarsi dopo circa 100 secondi dall'esposizione, soprattutto nel caso in cui la radiazione ultravioletta sia particolarmente intensa e ben messa a fuoco. Gli individui giovani (in grado di tollerare un carico di ultravioletti superiore agli individui più vecchi) o che hanno subito un impianto di cristallino sono più esposti al pericolo di lesioni retinee da raggi UV, così come coloro che osservano il Sole da altitudini elevate o quando si trova vicino allo zenit. Il filtro minimo per osservare direttamente il sole in sicurezza è il Neutral Density ND 5.0 che abbatte la luce di 1:100000 volte, vedere Valori filtri a densità neutra. Vedere il Sole attraverso strumenti ottici che concentrano la luce, come i binocoli, è rischioso senza l'uso di adeguati filtri che blocchino gli ultravioletti e riducano sostanzialmente l'intensità luminosa. È necessario tuttavia scegliere i filtri più adatti: un filtro a densità neutra attenuante potrebbe rivelarsi insufficiente, poiché potrebbe non filtrare correttamente i raggi UV. I binocoli senza filtri possono concentrare sulla retina fino ad oltre 500 volte la quantità di energia solare che raggiungerebbe normalmente l'occhio nudo, distruggendo le cellule retinee quasi istantaneamente: infatti, sebbene l'energia luminosa che raggiunge ogni unità d'area della retina sia la stessa sia col binocolo sia ad occhio nudo, nel primo caso il calore non può essere disperso sufficientemente in fretta perché l'area dell'immagine risulta ingrandita. Osservare il Sole a mezzogiorno attraverso binocoli non filtrati può pertanto causare cecità permanente. Un modo per osservare la stella in sicurezza è proiettare la sua immagine su uno schermo usando un telescopio e un oculare senza elementi cementati; il tutto è possibile con un piccolo telescopio rifrattore (o con un binocolo) con un oculare senza filtri. Non è consigliabile usare altri tipi di telescopi per questa procedura, in quanto potrebbero risultarne danneggiati. I filtri attenuanti per osservare il Sole dovrebbero essere progettati per questo specifico uso: i filtri improvvisati possono non filtrare adeguatamente i raggi UV. Inoltre i filtri per telescopi o binocoli dovrebbero essere montati sugli obiettivi o sull'apertura dello strumento, mai sull'oculare, perché i filtri da oculare si possono rompere facilmente e senza preavviso a causa dell'elevato calore che passa attraverso l'oculare stesso e che viene assorbito dal filtro. Delle lenti da saldatore con opacità non inferiore a UNI EN169 W13 sono dei filtri solari accettabili per l'osservazione fugace del sole, non in modo continuo, il W14 è adatto, mentre i rullini fotografici, anche se non impressionati ("in nero", vergini) sarebbero da evitare, in quanto lasciano passare troppi infrarossi. Le eclissi parziali sono pericolose da osservare ad occhio nudo, poiché le pupille, che non sono abituate agli alti contrasti tra la luminosità della stella e l'ombra proiettata dalla Luna, si dilatano in base alla quantità totale di luce presente nel campo visivo e non rispetto all'oggetto più luminoso nel campo. Durante le eclissi parziali, infatti, gran parte dei raggi emessi dalla stella sono oscurati dalla Luna, che viene a interporsi tra la Terra e il Sole, ma la parte della fotosfera non oscurata ha la stessa luminosità superficiale che possiede normalmente la stella. Nell'area di oscurità, la pupilla si dilata da 2 mm fino a circa 6 mm, esponendo così ogni cellula retinea ad una quantità di luce circa dieci volte superiore rispetto alle osservazioni in condizioni normali; le cellule retinee sono così gravemente danneggiate o uccise, mentre nella retina permangono delle piccole aree di cellule morte. Questo tipo di azzardo è insidioso per gli osservatori inesperti o per i bambini, perché non si ha una percezione immediata del danno causato alla vista dall'osservazione, né questo provoca dolore. Durante l'alba e il tramonto, la luminosità della stella appare attenuata a causa della diffusione (in inglese scattering) della luce solare da parte dell'atmosfera, soprattutto la diffusione di Rayleigh e di Mie: infatti, i raggi solari vengono riflessi mentre attraversano strati estremamente densi dell'atmosfera terrestre, al punto che il disco solare può essere visto senza problemi anche a occhio nudo o con delle lenti, facendo attenzione che il Sole sia sufficientemente basso, in modo che non ci sia il rischio di improvvisi brillamenti in caso di apertura di eventuali nuvole basse sull'orizzonte. Condizioni di cielo velato, umidità e presenza di polveri atmosferiche contribuiscono ad attenuare ulteriormente i raggi solari. L'uomo, fin dalle sue origini, ha reso oggetto di attenzioni e spesso venerazione molti fenomeni naturali, tra cui il Sole. Le prime conoscenze astronomiche dell'uomo preistorico, che riteneva le stelle dei puntini immutabili "incastonati" nella sfera celeste, consistevano essenzialmente nella previsione dei moti del Sole, della Luna e dei pianeti sullo sfondo delle stelle fisse. Un esempio di questa "protoastronomia" è dato dagli orientamenti dei primi monumenti megalitici, che tenevano conto della posizione del Sole nei vari periodi dell'anno: in particolare i megaliti di Nabta Playa (in Egitto) e Stonehenge (in Inghilterra) erano stati costruiti tenendo conto della posizione dell'astro durante il solstizio d'estate. Molti altri monumenti dell'antichità sono stati costruiti tenendo in considerazione i moti apparenti del Sole: un esempio è il Tempio di Kukulkan (meglio noto come El Castillo) a Chichén Itzá, nel Messico, che è stato progettato per proiettare ombre a forma di serpente durante gli equinozi. Il moto apparente del Sole sullo sfondo delle stelle fisse e dell'orizzonte fu utilizzato per redigere i primi calendari, impiegati per regolare le pratiche agricole. Rispetto alle stelle fisse, infatti, il Sole sembra compiere una rotazione attorno alla Terra nell'arco di un anno (sul piano dell'eclittica, lungo la fascia zodiacale); per questo la nostra stella, contrariamente a quanto oggi noto, fu considerata dagli antichi astronomi greci come uno dei pianeti che ruotavano attorno alla Terra, la quale era ritenuta al centro dell'Universo; tale concezione prende il nome di "sistema geocentrico" o "sistema aristotelico-tolemaico" (dai nomi del filosofo greco Aristotele, IV secolo a.C., e dell'astronomo alessandrino Claudio Tolomeo, II secolo d.C.). Una delle prime "spiegazioni scientifiche" sul Sole venne fornita dal filosofo greco Anassagora. Questi lo immaginava come una grande sfera di metallo infiammato più grande del Peloponneso e riteneva impossibile che potesse esser trascinato dal carro del dio Elio. Per aver insegnato questa dottrina, considerata eretica, venne accusato dalle autorità di empietà, imprigionato e condannato a morte (venne però in seguito rilasciato per intervento di Pericle). Eratostene di Cirene, probabilmente, fu il primo a calcolare accuratamente la distanza della Terra dal Sole, nel III secolo a.C.; secondo quanto tramandatoci da Eusebio di Cesarea,[30] egli calcolò la distanza dalla nostra stella in «σταδίων μυριάδας τετρακοσίας καὶ ὀκτωκισμυρίας» (stadìōn myrìadas tetrakosìas kài oktōkismyrìas), ovvero 804 milioni di stadi, equivalenti a 149 milioni di chilometri: un risultato sorprendentemente molto simile a quello attualmente accettato, da cui differisce di appena l'1%. Un altro scienziato che sfidò le credenze del suo tempo fu Niccolò Copernico, che nel XVI secolo riprese e sviluppò la teoria eliocentrica (che considerava il Sole al centro dell'Universo), già postulata nel II secolo a.C. dallo scienziato greco Aristarco di Samo. È grazie anche all'opera di importanti scienziati del XVII secolo, come Galileo Galilei, Cartesio e Newton, che il sistema eliocentrico arrivò, infine, a prevalere su quello geocentrico. Galileo fu inoltre il pioniere dell'osservazione solare, grazie al cannocchiale; lo scienziato pisano scoprì nel 1610 le macchie solari, e confutò una presunta dimostrazione dello Scheiner che esse fossero oggetti transitanti tra la Terra ed il Sole piuttosto che presenti sulla superficie solare. Isaac Newton, il padre della legge di gravitazione universale, osservò la luce bianca solare attraverso un prisma, dimostrando che essa era composta da un gran numero di gradazioni di colore, mentre verso la fine del XVIII secolo William Herschel scoprì la radiazione infrarossa, presente oltre la parte rossa dello spettro solare. Nel XIX secolo la spettroscopia conseguì enormi progressi: Joseph von Fraunhofer, considerato il "padre" di questa disciplina, effettuò le prime osservazioni delle linee di assorbimento dello spettro solare, che attualmente vengono chiamate, in suo onore, linee di Fraunhofer. Nei primi anni dell'era scientifica moderna gli scienziati si interrogavano su quale fosse la causa dell'energia solare. William Thomson, I barone Kelvin, ipotizzò che il Sole fosse un corpo liquido in graduale raffreddamento, che emetteva nello spazio la sua riserva interna di calore; l'emissione energetica venne spiegata da Kelvin e Hermann von Helmholtz attraverso la teoria detta meccanismo di Kelvin-Helmholtz, secondo la quale l'età del Sole era di 20 milioni di anni: un valore nettamente inferiore ai 4,6 miliardi di anni suggeriti per il nostro pianeta dagli studi geologici. Nel 1890 Joseph Lockyer, scopritore dell'elio nello spettro solare, suggerì che la stella si fosse formata dalla progressiva aggregazione di frammenti rocciosi simili alle meteore. Una possibile soluzione alla discrepanza tra il dato di Kelvin-Helmholtz e quello geologico arrivò nel 1904, quando Ernest Rutherford suggerì che l'energia del Sole potesse essere originata da una fonte interna di calore, generata da un meccanismo di decadimento radioattivo. Fu tuttavia Albert Einstein a fornire lo spunto decisivo sulla questione, con la sua relazione massa-energia E=mc². Lo stesso Einstein riuscì a dimostrare tra il 1905 ed il 1920 la ragione del particolare moto orbitale di Mercurio, attribuita inizialmente alle perturbazioni di un pianeta più interno, chiamato dagli astronomi Vulcano. Einstein suppose che il particolare moto del pianeta non fosse dovuto ad alcuna perturbazione planetaria, bensì al campo gravitazionale del Sole, la cui enorme massa genera una curvatura dello spazio-tempo. Nel 1919 il fisico inglese Arthur Eddington confermò la teoria in occasione di un'eclissi. L'anno successivo il fisico inglese ipotizzò che l'energia solare fosse il risultato delle reazioni di fusione nucleare, causate dalla pressione e dalla temperatura interna del Sole, che trasformerebbero l'idrogeno in elio e produrrebbero energia a causa della differenza di massa. La teoria venne ulteriormente sviluppata negli anni trenta dagli astrofisici Subrahmanyan Chandrasekhar e Hans Bethe; quest'ultimo studiò nei dettagli le due principali reazioni nucleari che producono energia nelle stelle, ovvero la catena protone-protone ed il ciclo del carbonio-azoto, calcolando il quantitativo energetico sviluppato da ciascuna reazione. Nel 1957 venne poi pubblicato un articolo, intitolato Synthesis of the Elements in Stars,[39] in cui veniva proposto un modello consistente con i dati a disposizione, e a tutt'oggi valido, secondo il quale la maggior parte degli elementi nell'Universo furono creati dalle reazioni nucleari all'interno delle stelle, a eccezione di idrogeno, elio e litio, formatisi in massima parte durante la nucleosintesi primordiale e dunque già presenti in notevole quantità prima che si formassero le prime stelle. Con l'avvento, nei primi anni cinquanta, dell'era spaziale e l'inizio delle esplorazioni del sistema solare, numerose sono state le sonde appositamente progettate per l'esplorazione del Sole, allo scopo fondamentalmente di studiarne le caratteristiche fisico-chimiche non rilevabili dal nostro pianeta. I primi satelliti progettati per osservare il Sole furono i Pioneer 5, 6, 7, 8 e 9 della NASA, lanciati tra il 1959 e il 1968. Le sonde orbitarono attorno al Sole ad una distanza di poco inferiore a quella dell'orbita terrestre ed effettuarono le prime misure dettagliate del vento e del campo magnetico solare. La sonda Pioneer 9 operò per molto tempo, trasmettendo dati fino al 1987. Negli anni settanta la sonda Helios 1 e la stazione spaziale Skylab fornirono agli scienziati nuovi e significativi dati sull'emissione del vento solare e sulla corona. Il satellite Helios 1 fu una joint-venture tra gli USA e la Germania Ovest e studiò il vento solare attraverso un'orbita passante all'interno del perielio di Mercurio. La stazione spaziale, lanciata dalla NASA nel 1973, includeva un modulo che fungeva da osservatorio solare (denominato Apollo Telescope Mount) impiegato dagli astronauti che risiedevano nella stazione. Effettuò le prime osservazioni della zona di transizione solare e delle emissioni ultraviolette da parte della corona solare; vennero osservate anche le prime espulsioni di massa e i buchi della corona solare. La NASA lanciò nel 1980 la Solar Maximum Mission, costituita da una sonda progettata per osservare le radiazioni ultraviolette, i raggi gamma ed X emanati dai flare solari durante il periodo di massima attività. Tuttavia, dopo qualche mese di operatività, un guasto elettronico fece entrare la sonda in standby e rimase in questo stato per i successivi tre anni. Nel 1984 la missione STS-41C dello Space Shuttle Challenger riparò il guasto e la sonda acquisì migliaia di immagini della corona solare, prima di rientrare nell'atmosfera terrestre e disintegrarsi nel giugno 1989. Il satellite giapponese Yohkoh (letteralmente raggio di Sole) venne lanciato nel 1991 e osservò i flare solari alle lunghezze d'onda dei raggi X. I dati raccolti permisero di identificare diversi tipi di flare e dimostrarono che la corona solare, anche nei periodi diversi da quelli di massima attività, fosse più attiva e dinamica di quanto non si supponesse in precedenza. La sonda entrò in modalità standby quando un'eclissi anulare nel 2001 le fece perdere l'orientamento verso il Sole; si è disintegrata durante il rientro in atmosfera nel 2005. Una delle principali missioni solari è stata svolta dal Solar and Heliospheric Observatory (SOHO), frutto della collaborazione tra ESA e NASA, lanciato il 2 dicembre del 1995. Concepita inizialmente come una missione biennale, SOHO è operativa da oltre dieci anni, durante i quali si è dimostrata talmente utile che il lancio della missione successiva, la Solar Dynamics Observatory (SDO), è stato posticipato al 26 gennaio 2010. Situata in corrispondenza del punto di Lagrange tra la Terra e il Sole (in cui è uguale l'attrazione gravitazionale esercitata dai due corpi), SOHO ha garantito sin dal suo lancio una costante osservazione della nostra stella in gran parte delle lunghezze d'onda dello spettro elettromagnetico. Oltre all'osservazione solare, SOHO ha permesso di scoprire un gran numero di comete, gran parte delle quali classificate come radenti (un particolare tipo di cometa che al perielio passa molto vicino alla superficie solare). Queste sonde hanno tuttavia effettuato osservazioni dettagliate solamente delle regioni equatoriali del Sole, visto che le loro orbite erano situate sul piano dell'eclittica. La sonda Ulysses venne invece progettata per studiare le regioni polari; lanciata nel 1990, fu inizialmente diretta verso Giove in modo da sfruttare l'effetto fionda gravitazionale del gigante gassoso ed allontanarsi dal piano delle orbite planetarie. Per una interessante coincidenza, la Ulysses si trovò in un buon punto per osservare la collisione della cometa Shoemaker-Levy 9 con Giove nel 1994. Una volta nell'orbita prevista, la sonda iniziò le misurazioni del vento solare e dell'intensità del campo magnetico. Nel 1998 fu lanciata la sonda TRACE, finalizzata ad individuare le connessioni tra il campo magnetico della stella e le strutture in plasma associate, grazie anche all'ausilio di immagini ad alta risoluzione della fotosfera e della bassa atmosfera del Sole. A differenza della fotosfera, ben studiata attraverso la spettroscopia, la composizione interna del Sole è poco conosciuta. La missione Genesis fu progettata per prelevare dei campioni di vento solare e avere una misura diretta della composizione della materia costituente la stella. La sonda rientrò sulla terra nel 2004 ma fu danneggiata dall'atterraggio a causa di un guasto al paracadute; sono stati comunque recuperati alcuni campioni, attualmente sotto analisi, dai resti del modulo della sonda. Nell'ottobre 2006 è stata lanciata la missione Solar Terrestrial Relations Observatory (STEREO), che consiste di due navicelle identiche poste in orbite che permettono di ottenere una visione stereoscopica della nostra stella e dei suoi fenomeni. Nell'agosto 2018 è stata lanciata la missione Parker Solar Probe, che prevede di fare arrivare un orbiter a meno di 6 milioni di km dal Sole (circa un decimo della distanza da Mercurio) dotato di uno scudo termico, dovendo resistere a temperature di 2000 °C. l Sole orbita a una distanza dal centro della Via Lattea stimata in 26 000 ± 1400 anni luce (7,62 ± 0,32 kpc). La stella è situata in una regione periferica della Galassia,[53] più precisamente all'interno della Bolla Locale, una cavità nel mezzo interstellare della Cintura di Gould, collocata nel bordo più interno del Braccio di Orione, un braccio galattico secondario posto tra il Braccio di Perseo e il Braccio del Sagittario;[54] i due bracci sono separati da circa 6500 anni luce di distanza. La nostra stella si trova attualmente nella Nube Interstellare Locale, un addensamento del mezzo interstellare dovuto all'unione della Bolla Locale con l'adiacente Bolla Anello I. Data la relativa lontananza dal centro galattico, da altre regioni ad elevata densità stellare e da forti sorgenti di radiazioni quali pulsar o oggetti simili, il Sole, e dunque il sistema solare, si trova in quella che gli scienziati definiscono zona galattica abitabile. Il sistema solare impiega 225-250 milioni di anni per completare una rivoluzione attorno al centro della Galassia (anno galattico); perciò il Sole avrebbe completato 20-25 orbite dal momento della sua formazione ed 1/1250 di orbita dalla comparsa dell'essere umano sulla Terra. La velocità orbitale della nostra stella è di circa 220 km/s; a questa velocità il sistema solare impiega circa 1 400 anni per percorrere la distanza di un anno-luce, ossia 8 giorni per percorrere una unità astronomica (UA). La direzione apparente verso cui si muove la nostra stella durante la propria rivoluzione attorno al centro di massa della Galassia prende il nome di apice solare e punta verso la stella Vega e la costellazione di Ercole, con un'inclinazione di circa 60° in direzione del centro galattico. Si ritiene che l'orbita del Sole abbia una forma ellittica quasi circolare, tenendo conto delle perturbazioni causate dalla diversa distribuzione delle masse nei bracci della spirale galattica; inoltre il Sole oscilla al di sopra e al di sotto del piano galattico mediamente 2,7 volte ogni orbita, secondo un andamento assimilabile ad un moto armonico. Poiché la densità stellare è piuttosto alta nel piano galattico e nei suoi pressi, tali oscillazioni coincidono spesso con un incremento nel tasso degli impatti meteoritici sulla Terra, responsabili talvolta di catastrofiche estinzioni di massa. Tale incremento è dovuto al fatto che le altre stelle esercitano delle forze mareali sugli asteroidi della Fascia principale o della Cintura di Kuiper o sulle comete della Nube di Oort, che vengono di conseguenza dirette verso il sistema solare interno. Il Sole fa parte di un gruppo di oltre 100 milioni di stelle di classe spettrale G2 note all'interno della Via Lattea e supera in luminosità ben l'85% delle stelle della Galassia, gran parte delle quali sono deboli nane rosse. Tra le stelle luminose più vicine, poste entro un raggio di 17 anni luce, il Sole occupa la quinta posizione in termini di luminosità intrinseca: la sua magnitudine assoluta, infatti, è pari a +4,83. Il Sole è una stella di popolazione I (o terza generazione) la cui formazione sarebbe stata indotta dall'esplosione, circa 5 miliardi di anni fa, di una o più supernova/e nelle vicinanze di un'estesa nube molecolare del Braccio di Orione. È accertato che, circa 4,57 miliardi di anni fa, il rapido collasso della nube, innescato da supernovae, portò alla formazione di una generazione di giovanissime stelle T Tauri, tra le quali anche il Sole, che, subito dopo la sua formazione, assunse un'orbita quasi circolare attorno al centro della Via Lattea, ad una distanza media di circa 26 000 a.l. Le inclusioni ricche di calcio e alluminio, residuate dalla formazione stellare, formarono poi un disco protoplanetario attorno alla stella nascente. Tale ipotesi è stata formulata alla luce dell'alta abbondanza di elementi pesanti, quali oro e uranio, nel nostro sistema planetario. Gli astronomi ritengono che questi elementi siano stati sintetizzati o tramite una serie di processi nucleari endoergonici durante l'esplosione della supernova (fenomeno che prende il nome di nucleosintesi delle supernovae), o grazie alle trasmutazioni, per mezzo di successivi assorbimenti neutronici, da parte di una stella massiccia di popolazione II (o di seconda generazione). Il Sole è attualmente nella sequenza principale del diagramma Hertzsprung-Russell, ovvero in una lunga fase di stabilità durante la quale l'astro genera energia attraverso la fusione, nel suo nucleo, dell'idrogeno in elio; la fusione nucleare inoltre fa sì che la stella sia in uno stato di equilibrio, sia idrostatico, ossia non si espande (a causa della pressione di radiazione delle reazioni termonucleari) né si contrae (per via della forza di gravità, cui sarebbe naturalmente soggetta), sia termico. Una stella di classe G2 come il Sole impiega, considerando la massa, circa 10 miliardi (1010) di anni per esaurire completamente l'idrogeno nel suo nucleo. Il Sole si trova a circa metà della propria sequenza principale. Al termine di questo periodo di stabilità, tra circa 5 miliardi di anni, il Sole entrerà in una fase di forte instabilità che prende il nome di gigante rossa: nel momento in cui l'idrogeno del nucleo sarà totalmente convertito in elio, gli strati immediatamente superiori subiranno un collasso dovuto alla scomparsa della pressione di radiazione delle reazioni termonucleari. Il collasso determinerà un incremento termico fino al raggiungimento di temperature tali da innescare la fusione dell'idrogeno negli strati superiori, che provocheranno l'espansione della stella fino ad oltre l'orbita di Mercurio;[9] l'espansione causerà un raffreddamento del gas (fino a 3500 K), motivo per il quale la stella avrà una colorazione fotosferica tipicamente gialla intensa. Quando anche l'idrogeno dello strato superiore al nucleo sarà totalmente convertito in elio (entro poche decine di milioni di anni) si avrà un nuovo collasso, che determinerà un aumento della temperatura del nucleo di elio fino a valori di 108 K; a questa temperatura si innescherà repentinamente la fusione dell'elio (flash dell'elio) in carbonio e ossigeno. La stella subirà una riduzione delle proprie dimensioni, passando dal ramo delle giganti al ramo orizzontale del diagramma H-R. A causa delle elevatissime temperature del nucleo, la fusione dell'elio si esaurirà in breve tempo (qualche decina di milioni di anni) e i prodotti di fusione, non impiegabili in nuovi cicli termonucleari a causa della piccola massa della stella, si accumuleranno inerti nel nucleo; frattanto, venuta a mancare nuovamente la pressione di radiazione che spingeva verso l'esterno, avverrà un successivo collasso che determinerà l'innesco della fusione dell'elio nel guscio che avvolge il nucleo e dell'idrogeno nello strato ad esso immediatamente superiore. Queste nuove reazioni produrranno una quantità di energia talmente elevata da provocare una nuova espansione dell'astro, che raggiungerà così dimensioni prossime ad 1 UA (circa 100 volte quelle attuali), tanto che la sua atmosfera arriverà ad inglobare molto probabilmente Venere. Incerto è invece il destino della Terra: alcuni astronomi ritengono che anche il nostro pianeta verrà inglobato dalla stella morente; altri invece ipotizzano che il pianeta si salverà, poiché la perdita di massa da parte della nostra stella farebbe allargare la sua orbita, che slitterebbe di conseguenza sino a quasi 1,7 UA. Il nostro pianeta sarà però inabitabile: gli oceani saranno evaporati a causa del forte calore e gran parte dell'atmosfera verrà dispersa nello spazio dall'intensa energia termica, che incrementerà l'energia cinetica delle molecole del gas atmosferico, consentendo loro di vincere l'attrazione gravitazionale del nostro pianeta. Tutto ciò avverrà entro i prossimi 3,5 miliardi di anni e, cioè, ancor prima che il Sole entri nella fase di gigante rossa. Entro 7,8 miliardi di anni, esaurito ogni processo termonucleare, il Sole rilascerà i suoi strati più esterni, che verranno spazzati via sotto forma di "supervento" creando una nebulosa planetaria; le parti più interne collasseranno e daranno origine ad una nana bianca (circa delle dimensioni della Terra), che lentamente si raffredderà sino a diventare, nel corso di centinaia di miliardi di anni, una nana nera. Questo scenario evolutivo è tipico di stelle con una massa simile a quella del Sole, ossia che hanno una massa non sufficientemente elevata da esplodere come supernove.
- Il sistema Alpha Centauri: Alfa Centauri (α Cen/ α Centauri/ Alfa Centauri; conosciuta anche come Rigel Kentaurus o Rigil Kent o, più raramente, come Toliman) è un sistema stellare triplo situato nella costellazione australe del Centauro. È la stella più luminosa della costellazione, nonché terza stella più brillante del cielo notturno a occhio nudo, dopo Sirio e Canopo: infatti, sommando la magnitudine apparente delle due componenti, A (+0,01) e B (+1,34), come si osserva a occhio nudo, il sistema appare di magnitudine −0,27. È anche il sistema stellare più vicino al sistema solare, in quanto ne dista 4,365 anni luce. In particolare Proxima Centauri, delle tre stelle che compongono il sistema, è in assoluto, dopo il Sole, la stella più vicina alla Terra. Il sistema di α Centauri è costituito da una coppia di stelle di sequenza principale di simile luminosità, una nana gialla e una nana arancione molto vicine fra loro, al punto che a occhio nudo o con un piccolo binocolo sembrano essere un'unica stella. In aggiunta a queste se ne trova una terza, una nana rossa molto più distante e meno luminosa, chiamata Proxima Centauri, la quale compie un'orbita molto ampia attorno alla coppia principale. Nell'ottobre del 2012, dopo lunghe ricerche, è stata pubblicata la scoperta di un pianeta terrestre orbitante attorno alla componente B del sistema. Il sistema di α Centauri appare a occhio nudo come una stella singola di colore giallastro; si osserva in direzione della Via Lattea australe, a una declinazione di −60°50', dunque invisibile dall'intera area dell'Europa continentale, dal Mar Mediterraneo, dalla Cina settentrionale e da gran parte dell'America del Nord. Inizia invece a essere osservabile a sud del 29º parallelo nord, corrispondente all'Egitto, al Texas, alla Penisola Arabica, al nord dell'India e alla Cina del sud; i mesi migliori per la sua osservazione dall'emisfero nord sono quelli di aprile-maggio. Dall'emisfero australe la stella diventa circumpolare appena lasciato in direzione sud il Tropico del Capricorno: dalla Nuova Zelanda e dal sud dell'Australia fino a Sydney, come pure dall'Argentina, è visibile durante tutto l'anno. La culminazione a mezzanotte di α Centauri è il 9 aprile, mentre la culminazione alle 21:00 è l'8 giugno. L'area di cielo in cui si trova α Centauri è particolarmente ricca di stelle brillanti, il che facilita notevolmente il suo riconoscimento: è infatti accoppiata a un'altra stella molto luminosa, Hadar (β Centauri), un astro di colore azzurro distante apparentemente solo pochi gradi; continuando l'allineamento delle due stelle verso ovest per un breve tratto si raggiunge un altro gruppo di stelle molto luminoso e particolarmente conosciuto, che forma la costellazione della Croce del Sud. Per questa ragione nell'emisfero australe α Centauri e Hadar vengono chiamate Puntatori del Sud. Sebbene α Centauri appaia molto meno luminosa di Sirio e di Canopo la sua luminosità può rivaleggiare con quella di alcuni pianeti, come Saturno e talvolta anche Marte, a seconda della loro distanza da noi. Le due componenti principali del sistema, α Centauri A e α Centauri B, sono troppo vicine fra di loro per potere essere distinte a occhio nudo, dato che la loro separazione angolare varia fra 2 e 22 secondi d'arco, ma per gran parte del loro periodo orbitale sono risolvibili con facilità tramite dei potenti binocoli o un telescopio amatoriale. Vista dalla Terra la terza componente del sistema, Proxima Centauri, si trova circa 2,2° a sud-ovest di α Centauri; questa separazione apparente equivale a circa quattro volte il diametro apparente della Luna Piena e a circa la metà della distanza angolare fra α Centauri e Hadar. Proxima appare come una stella di colore rosso intenso di magnitudine apparente pari a 13,1, in un campo povero di altre stelle di fondo; è indicata come V645 Cen nel General Catalogue of Variable Stars: si tratta infatti di una stella variabile UV Ceti, che può variare fino a raggiungere la magnitudine 11 senza un periodo regolare. Alcuni astronomi amatoriali e professionisti sono soliti monitorare le variazioni di luminosità di questa stella tramite l'uso di telescopi ottici o radiotelescopi. Il riconoscimento di α Centauri come sistema composto da due stelle risale al dicembre 1689, quando Padre Richaud risolse le due componenti per la prima volta dalla città indiana di Pondicherry, durante l'osservazione di una cometa. Nel 1752 Nicholas Louis de Lacaille fece degli studi astrometrici del sistema usando un circolo meridiano, uno strumento per determinare il punto in cui una stella raggiunge il punto più alto sull'orizzonte (passa il meridiano); nel 1834 furono invece condotte le prime osservazioni micrometriche, a opera di John Herschel. Dai primi anni del XX secolo, le osservazioni vennero condotte su lastre fotografiche. Nel 1926 William Stephen Finsen calcolò dei parametri orbitali approssimativi prossimi a quelli oggi accettati per questo sistema. Tutte le posizioni future sono ora abbastanza accurate da permettere a un osservatore di determinare le posizioni relative delle stelle sulla base di effemeridi delle stelle doppie. La scoperta che il sistema di α Centauri è in realtà quello più vicino a noi fu di Thomas James Henderson, che misurò la parallasse trigonometrica del sistema fra l'aprile del 1832 e il maggio del 1833; egli non pubblicò subito i suoi risultati, poiché temeva che le sue misurazioni fossero troppo grandi per essere verosimili, ma dopo che Friedrich Wilhelm Bessel ebbe pubblicato i risultati dei suoi studi della parallasse di 61 Cygni, nel 1838, si decise a pubblicare a sua volta i risultati per α Centauri l'anno successivo. α Centauri fu così ufficialmente la seconda stella la cui distanza era stata misurata. Robert Innes fu il primo a scoprire, nel 1915 dal Sudafrica, la stella Proxima Centauri, utilizzando delle lastre fotografiche prese in periodi differenti durante uno studio dedicato al monitoraggio del moto proprio delle stelle. Il grande moto proprio e la parallasse di questa apparentemente anonima stellina rossa sembravano perfettamente compatibili con quelli del sistema di α Centauri AB. Trovandosi a una distanza di 4,22 anni luce dalla Terra Proxima Centauri fu così riconosciuta come la stella più vicina in assoluto. Le distanze attualmente accettate derivano dalle misure di parallasse eseguite dal satellite Hipparcos e riportate nell'omonimo catalogo. Nel 1951 l'astronomo americano Harlow Shapley annunciò che Proxima Centauri è una stella variabile di tipo UV Ceti. Shapley scoprì le variazioni della stella esaminando vecchie lastre fotografiche che mostravano in alcuni casi un incremento della sua luminosità di circa l'8% rispetto al normale, facendone di fatto la più attiva variabile di tipo UV Ceti allora conosciuta. α Centauri attualmente appare come una delle stelle luminose più meridionali; in epoche passate, tuttavia, la precessione degli equinozi aveva portato questa e le altre stelle circostanti a declinazioni più prossime all'equatore celeste, così che potevano essere osservate, 4000-5000 anni fa, anche dall'Europa centrale. Nell'epoca presente infatti la stella possiede un'ascensione retta pari a 14h 39m, dunque si trova in quella fascia di coordinate di ascensione retta compresa fra le 6h e le 18h, in cui gli oggetti tendono ad assumere declinazioni sempre più meridionali (tranne l'area attorno al polo sud dell'eclittica). Ciò è dovuto al fatto che l'asse terrestre, in direzione sud, tende ad avvicinarsi a questa parte di cielo; ne consegue che l'area di cielo verso cui l'asse tende a puntare assume declinazioni meridionali, mentre l'area di cielo da cui si allontana tende a diventare visibile anche a latitudini più settentrionali. All'epoca dei Greci e dei Romani la parte di cielo in cui si trova α Centauri era visibile anche alle latitudini medie del Mediterraneo; i popoli mediterranei infatti conoscevano bene questa stella, che veniva considerata come il piede del Centauro: il nome proprio di α Centauri infatti è Rigel Kentaurus, e anche se derivato dalla frase araba per "Piede del Centauro", ricorda sempre la sua "funzione" all'interno della costellazione. Fra circa 3000 anni l'ascensione retta di α Centauri sarà pari a 18h, che equivale al punto più meridionale che la stella potrà raggiungere; dopo di che, l'asse terrestre inizierà a riallontanarsi da questa stella, che quindi assumerà declinazioni sempre più settentrionali. A questo movimento si aggiunge il grande moto proprio della stella stessa, che essendo molto vicina è logicamente notevole: infatti α Centauri sembra muoversi nella direzione di Hadar, alla velocità di 6,1 minuti d'arco al secolo. Con una magnitudine apparente integrata di −0,27,[6] α Centauri appare a occhio nudo come una stella singola, un po' meno brillante di Sirio e di Canopo, anch'esse poste nell'emisfero australe; la quarta stella più luminosa è invece Arturo, con una magnitudine di −0,04, nell'emisfero boreale. Se si considera invece il sistema di α Centauri come due stelle separate, la stella primaria del sistema, α Centauri A, ha una magnitudine apparente di +0,01, ossia appena meno luminosa di Arturo e impercettibilmente meno luminosa di Vega, la quinta stella, ponendosi così al quarto posto fra le stelle più luminose. La seconda compagna, α Centauri B, possiede invece una magnitudine di 1,33, diventando la ventunesima stella del cielo in ordine di luminosità. α Centauri A è il membro principale (o primario) del sistema, e appare leggermente più luminoso del nostro Sole, in termini assoluti. Si tratta comunque di una stella simile al nostro astro, di sequenza principale, con un colore tendente al giallastro, la cui classificazione è G2 V. Questa stella è circa il 10% più massiccia del nostro Sole, con un raggio del 23% più grande; La velocità di rotazione (v × sini) di α Centauri A è 2,7±0,7 km/s, che equivale a un periodo di rotazione di 22 giorni. α Centauri B è la componente secondaria del sistema, leggermente più piccola e meno luminosa del nostro Sole; anche questa è nella fase di sequenza principale; la sua classe spettrale è K1 V, ossia una stella di colore giallo-arancione. La sua massa è pari al 90% di quella del Sole e il suo raggio è del 14% più piccolo; la velocità di rotazione è 1,1±0,8 km/s, equivalente a un periodo di 41 giorni. Una stima precedente indicava questo valore pari a 36,8 giorni. Osservazioni effettuate nei raggi X con i satelliti ROSAT e XMM-Newton hanno evidenziato che la componente B emette più energia in questo intervallo spettrale rispetto ad α Centauri A, nonostante sia complessivamente la meno luminosa delle due. Le curve di luce in banda X hanno evidenziato inoltre una certa variabilità delle due stelle, più rapida per α Centauri B che per A. Per quest'ultima la spiegazione più accreditata è la presenza di un ciclo solare simile a quello undecennale del Sole, mentre α Centauri B è una vera e propria stella a brillamento: sono stati infatti osservati due brillamenti, sia con ROSAT che con XMM-Newton, anche se sono fra i più deboli registrati per questo tipo di stelle. La terza componente, α Centauri C, è anche nota come Proxima Centauri; la sua classe spettrale è M5Ve o M5VIe, il che suggerisce che possa trattarsi o di una stella di sequenza principale (tipo V) o una stella subnana (tipo VI) il cui spettro presenta linee di emissione; l'indice di colore B-V è pari a +1,81. La sua massa è circa 0,12 M☉. Le due componenti visibili luminose del sistema doppio sono chiamate α Centauri AB: la designazione "AB" indica il centro gravitazionale apparente delle componenti principali relativamente all'altra (o alle altre) compagna minore. "AB-C" si riferisce all'orbita di Proxima attorno alla coppia centrale. Questo sistema di designazione consente agli astronomi specializzati in sistemi stellari multipli di definire gli astri componenti in funzione delle diverse relazioni che intercorrono fra essi, come nel caso di questo terzetto di stelle. La designazione di tutte le componenti viene gestita e controllata dallo U.S. Naval Observatory, in un catalogo aggiornato continuamente chiamato Washington Double Star Catalog (WDS), che contiene oltre 100 000 stelle doppie, indicate secondo questa nomenclatura. Alcuni vecchi riferimenti riportano la designazione, oggi deprecata, di A×B. Dato che la distanza fra il Sole e α Centauri AB non è significativamente diversa rispetto a quella fra il Sole e le singole componenti, da un punto di vista gravitazionale questo sistema è considerato come se fosse un unico oggetto. Le componenti AB di α Centauri percorrono le loro orbite attorno al baricentro del sistema in un periodo di 79,91 anni,[16] avvicinandosi reciprocamente fino a 11,2 au (1,68 miliardi di chilometri), circa la distanza media fra il Sole e Saturno) e allontanandosi fino a una distanza di 35,6 au (5,33 miliardi di chilometri), circa la distanza media fra il Sole e Plutone.[16][39] Le orbite delle due stelle sono dunque ellittiche, ma a differenza di quelle dei pianeti del Sistema solare, la loro eccentricità è notevole (e = 0,5179). Dai parametri orbitali, utilizzando la terza legge di Keplero, è possibile risalire alla massa del sistema, che risulta essere pari a circa 2 M⊙; una stima delle masse delle due singole stelle è di 1,09 M⊙ e 0,90 M⊙ rispettivamente per α Centauri A e B. Stime successive, tuttavia, danno valori leggermente più alti: 1,14 M☉ per α Centauri A e 0,92 M☉ per α Centauri B, portando la massa complessiva del sistema a 2,06 M☉ . α Centauri A e B hanno una magnitudine assoluta pari rispettivamente a +4,38 e +4,71. Questi valori, insieme alle caratteristiche spettrali dei due astri, permettono di desumere l'età delle due stelle che, secondo le attuali teorie sull'evoluzione stellare, oscillerebbe fra i 5 e i 6 miliardi di anni, leggermente più vecchie del Sole. Vista dalla Terra l'orbita apparente di questa stella binaria risulta essere fortemente inclinata (oltre 79º), causando una notevole variazione della separazione angolare dei due astri nel corso del tempo: fino al febbraio del 2016 le due stelle si avvicineranno sempre di più, raggiungendo una distanza minima apparente di quattro secondi d'arco, dopo di che riprenderanno ad allontanarsi. La minima separazione angolare possibile è di poco inferiore a 2", mentre la massima è di 22" e si è avuta l'ultima volta nel febbraio del 1976; la prossima si avrà nel gennaio del 2056. Se consideriamo l'orbita reale, invece, le due stelle hanno raggiunto il periastro (il punto di minima distanza reale) nell'agosto del 1956, mentre il prossimo sarà raggiunto nel maggio del 2035; il punto di massimo allontanamento (apoastro) è stato raggiunto invece nel maggio 1995, mentre il prossimo lo sarà nel 2075. In questa fase dell'orbita, pertanto, le due stelle sono in fase di reciproco avvicinamento. Proxima Centauri (spesso chiamata anche solo Proxima) è la debolissima nana rossa che si trova a circa 12000 o 13000 au dal sistema α Centauri AB, equivalente a 0,12 anni luce o 1,94 bilioni di km (circa il 5% della distanza fra il Sole e la coppia α Centauri AB). Proxima appare gravitazionalmente legata al sistema AB, compiendo un'orbita attorno alle due stelle in un periodo di circa 550000 anni, con un'eccentricità pari a circa 0,50; ciò determina che la stella raggiunga una distanza da α di circa 4300 au al periastro (ossia il punto più vicino dell'orbita rispetto al sistema centrale) e di circa 13000 au all'apoastro (il punto più lontano dell'orbita rispetto al sistema centrale). Proxima è una nana rossa di classe spettrale M5.5V, con una magnitudine assoluta di +15,53, dunque notevolmente inferiore a quella del Sole. La massa di questa stella è stimata sui 0,123±0,06 M⊙ (arrotondato a 0,12 M☉) o circa un ottavo di quella del Sole. Tutte le componenti di α Centauri mostrano un moto proprio notevole rispetto alle stelle di fondo, similmente a quanto avviene per altre stelle luminose, come Sirio e Arturo. Nel corso dei secoli questo causa un lento spostamento della posizione apparente della stella; stelle di questo tipo vengono chiamate stelle a elevato moto proprio. Questi moti stellari erano sconosciuti agli antichi astronomi, che credevano che le stelle fossero eterne e permanentemente fissate sulla sfera celeste, come si evince per esempio dalle opere del filosofo Aristotele. Edmond Halley nel 1718 scoprì che alcune stelle si erano notevolmente spostate dalla posizione astrometrica rilevata in passato;[49] per esempio, la brillante stella Arturo (α Boo), nella costellazione di Boote, mostrava di essersi spostata di circa mezzo grado in 1800 anni, come pure Sirio (α CMa), nel Cane Maggiore. Il raffronto che fece Halley si basò sulle posizioni indicate nel catalogo di Tolomeo (l'Almagesto), i cui dati si basavano sulle misurazioni eseguite da Ipparco durante il I secolo a.C. Gran parte dei moti propri stellari rilevati da Halley furono relativi a stelle dell'emisfero boreale, così quello di α Centauri non fu determinato fino all'Ottocento. L'osservatore scozzese Thomas James Henderson fu colui che scoprì, all'inizio dell'Ottocento, la vera distanza di α Centauri, dal Royal Observatory sul Capo di Buona Speranza. Le sue conclusioni furono dovute proprio allo studio dell'insolitamente alto moto proprio del sistema che comportava che la velocità reale osservata attraverso lo spazio doveva essere molto più elevata. In questo caso il moto stellare apparente fu trovato utilizzando le osservazioni astrometriche condotte da Nicholas Louis de Lacaille risalenti al 1751-1752, attraverso le discrepanze di posizione fra quelle del Lacaille e quelle dell'epoca di Henderson. Dai dati del Catalogo Hipparcos (HIP), risulta che il moto proprio delle singole componenti del sistema sia pari a −3678 mas/anno (ovvero −3,678 secondi d'arco all'anno) in ascensione retta e +481,84 mas/anno (0,48184 secondi d'arco all'anno) in declinazione. Dato che il moto proprio è cumulativo, il movimento di α Centauri è pari a circa 6,1 minuti d'arco/secolo (367,8 secondi d'arco/secolo), quindi 61,3 minuti d'arco/millennio (1,02°/millennio). Questi movimenti sono pari rispettivamente a un quinto e due volte il diametro della Luna Piena. La spettroscopia ha determinato la velocità radiale di α Centauri AB pari a −25,1±0,3 km/s. Un calcolo più preciso prende in considerazione anche la leggera differenza di distanza stellare rispetto al moto della stella: attualmente infatti sia il moto proprio che la parallasse di α Centauri aumentano leggermente a causa del fatto che il sistema si sta avvicinando a noi. Tali cambiamenti si osservano pure nelle dimensioni del semiasse maggiore a dell'orbita apparente, che sta aumentando a un ritmo di 0,03 secondi d'arco al secolo come le due stelle si avvicinano. Anche il periodo orbitale di α Centauri AB si accorcia brevemente (circa 0,006 anni al secolo), sebbene sia una variazione apparente causata dalla riduzione del tempo che la luce impiega a giungere fino a noi, come la distanza si riduce.[37] Di conseguenza, l'angolo di posizione osservato delle stelle è soggetto a cambiamenti degli elementi orbitali nel tempo, come fu determinato dall'equazione di W. H. van den Bos nel 1926. Alcune piccole ulteriori differenze, di circa 0,5% nella misura del moto proprio, sono causate dal movimento orbitale di α Centauri AB. Basandosi su queste misure di moto proprio e velocità radiale osservate, si può affermare che α Centauri continuerà in futuro a diventare leggermente più luminosa, passando dapprima a meno di un grado da Hadar e poi poco a nord della Croce del Sud, muovendosi poi verso nord-ovest e infine verso l'equatore celeste, allontanandosi sempre più dalla scia della Via Lattea. Attorno all'anno 29700 α Centauri si troverà nell'area dell'attuale costellazione dell'Idra e sarà a una distanza di esattamente 1 pc (3,3 anni luce) dal Sistema solare. Quindi raggiungerà una velocità radiale (RVel) stazionaria di 0,0 km/s. Subito dopo questa fase il sistema inizierà ad allontanarsi da noi, mostrando così una velocità radiale positiva. Attorno al 43300 α Centauri passerà vicino alla stella di seconda magnitudine Alphard (α Hydrae); a quel punto la sua distanza sarà aumentata a 1,64 pc (5,3 anni luce). A causa della prospettiva, fra circa 100000 anni, il sistema di α Centauri raggiungerà il punto di fuga finale e scomparirà rapidamente confondendosi fra le deboli stelle di fondo della Via Lattea. A quel punto quella che una volta era una brillante stella gialla finirà al di sotto della visibilità a occhio nudo, in un punto situato nell'attuale debole costellazione australe del Telescopio: quest'insolito punto di fuga (insolito perché attualmente la stella sembra dirigersi proprio nella direzione opposta a questa costellazione) è dovuto all'orbita di α Centauri attorno al centro galattico, che è molto inclinata rispetto al piano galattico e anche rispetto a quella del nostro Sole. In virtù della sua vicinanza al sistema solare α Centauri appare come la terza stella più brillante del cielo; Sirio è l'attuale stella più luminosa del cielo notturno (con una magnitudine di −1,46) e resterà ancora tale per i prossimi 50 000 anni, durante i quali aumenterà la propria luminosità (fino quasi a sfiorare la magnitudine −1,7) per poi andare incontro a un progressivo affievolimento. Le simulazioni suggeriscono che la combinazione del suo moto in avvicinamento e il contemporaneo allontanamento e il conseguente affievolimento di alcune delle stelle più brillanti dell'epoca attuale, renderanno Vega, per il periodo compreso, la stella più brillante del cielo, con una magnitudine apparente di −0,81; Più in fretta ancora aumenterà la luminosità di Altair, che passerà da un attuale valore di +0,77 a −0,53 in 140 000 anni, per poi decadere altrettanto rapidamente. Arturo si trova attualmente al punto più vicino a noi, dunque in futuro la sua luminosità diminuirà, come quella di Canopo, che fino a 100 000 anni fa era la stella più brillante del cielo. Il suo moto in avvicinamento verso il sistema solare, che la porterà sino alla distanza di 1 pc, farà sì che α Centauri nei prossimi 30 000 anni incrementi la propria luminosità apparente, sino a raggiungere un valore di circa −0,86, superando la brillantezza di Canopo. Il successivo allontanamento porterà la stella a diminuire la propria brillantezza; tra 40 000 anni la sua magnitudine sarà scesa a +1,03. La tabella sottostante indica i dati delle magnitudini apparenti delle stelle esaminate nel grafico, con un campionamento di 25 000 anni; il grassetto indica la stella più luminosa nel periodo indicato. In passato si pensava che la presenza di pianeti extrasolari orbitanti attorno a stelle doppie fosse improbabile, a causa delle perturbazioni gravitazionali indotte delle stelle componenti il sistema. Ma la scoperta di pianeti attorno ad alcune stelle doppie, come γ Cephei, ha fatto ritenere possibile l'esistenza di pianeti di tipo terrestre nel sistema di α Centauri. Essi possono infatti orbitare attorno alla componente A o alla componente B, oppure possedere un'orbita sufficientemente ampia da comprendere entrambe le stelle. Le due stelle principali del sistema mostrano caratteristiche molto simili a quelle del nostro Sole (come per esempio l'età e la metallicità, quest'ultima un fattore molto importante per la formazione di pianeti rocciosi di tipo terrestre), per cui l'interesse degli astronomi verso questo sistema è ulteriormente incrementato. Vari gruppi di ricerca specializzati nel trovare pianeti extrasolari hanno utilizzato diversi sistemi di misurazione della velocità radiale o del transito per cercare eventuali corpi orbitanti attorno alle due stelle principali,[71] ma per un lungo periodo tutte le ricerche condotte non avevano permesso di individuare attorno alle due stelle principali di α Centauri alcun corpo celeste, come nane brune, pianeti gioviani o piccoli pianeti terrestri. Il 17 ottobre 2012 viene pubblicata su Nature la scoperta, annunciata dall'Osservatorio Europeo Australe (ESO), di un possibile esopianeta, orbitante intorno alla componente B del sistema stellare, avente una massa di poco superiore a quella terrestre denominato Alfa Centauri Bb. Tuttavia l'estrema vicinanza alla sua stella lo collocherebbe ben al di qua della cosiddetta zona abitabile. Modelli simulati al computer suggeriscono che la formazione di giganti gassosi simili a Giove e Saturno sia molto improbabile, a causa dei forti effetti gravitazionali e del momento angolare orbitale di questo sistema binario. Basandosi su simulazioni al computer inizialmente alcuni astronomi fecero l'ipotesi che eventuali pianeti terrestri orbitanti vicino alla zona abitabile non avrebbero potuto mantenere il loro moto di rivoluzione stabile in quella fascia per diverso tempo. La perdita di questi piccoli corpi sarebbe potuta avvenire alcuni miliardi di anni fa, durante la formazione del sistema, a causa delle forti perturbazioni a opera delle due componenti stellari. Studi successivi hanno invece dimostrato che entrambe le componenti possono mantenere in orbite stabili eventuali pianeti di tipo terrestre. La vicinanza del sistema lo rende il primo candidato per un'eventuale missione spaziale interstellare. Per percorrere la distanza che separa α Centauri dal Sole occorrerebbero, con la tecnologia attuale, non meno di alcuni secoli. Il 25 marzo 2015 Demory et al. hanno pubblicato un articolo con i risultati di 40 ore di osservazioni compiute su Alfa Centauri B con il telescopio spaziale Hubble. Anche se il gruppo di astronomi ha escluso eventi di transito per Alfa Centauri Bb (che non esclude la sua esistenza, ma solamente che il pianeta non si trova sullo stesso piano rispetto al Sole e α Centauri)), hanno rilevato un evento di transito corrispondente a un possibile corpo planetario. Questo pianeta molto probabilmente orbita attorno a Alfa Centauri B in un periodo di 20,4 giorni circa, con una probabilità del 5% che la sua orbita sia più lunga. Se confermato, questo pianeta sarebbe chiamato Alfa Centauri Bc, e anch'esso, come Alfa Centauri Bb, sarebbe troppo vicino alla sua stella madre per potere ospitare la vita. Nel 2016 arrivò notizia dall'osservatorio australe europeo di La Silla, in Cile, della presenza di un pianeta roccioso simile alla Terra intorno alla stella Proxima Centauri. Risulta inoltre che il pianeta di Proxima Centauri ha un'atmosfera contenente metano e ossigeno, gas che possono fare pensare alla presenza di alghe e di batteri. A una sonda da spedire verso Proxima Centauri punta un progetto finanziato dal miliardario russo Yuri Milner. Questo progetto era sostenuto anche dal fisico Steven Hawking. Diversi studi hanno suggerito che attorno alle componenti di α Centauri esistono delle regioni in cui eventuali pianeti possano avere delle orbite stabili; queste orbite possono trovarsi a non meno di 70 au attorno alle due componenti, oppure a meno di 3 UA da ciascuna delle due componenti prese singolarmente. Alcuni astronomi credono però che eventuali pianeti di tipo terrestre potrebbero essere aridi o non possedere un'atmosfera con spessore sufficiente a sostenere la vita; questo perché nel nostro sistema solare sia Giove che Saturno furono probabilmente fondamentali nel perturbare l'orbita delle comete, dirigendole verso la parte più interna del sistema solare, dove avrebbero fornito ghiaccio, e quindi acqua, ai pianeti interni. Le comete avrebbero potuto trovarsi in una sorta di "Nube di Oort" posta nelle regioni più esterne del sistema, quando avrebbero potuto essere influenzate gravitazionalmente sia da giganti gassosi sia da eventuali stelle che transitavano nelle vicinanze, così che queste avrebbero potuto viaggiare verso la zona interna. Tuttavia non ci sono state finora dirette evidenze dell'esistenza di una "Nube di Oort" attorno a α Centauri AB e teoricamente questa potrebbe essere stata completamente disgregata durante la formazione del sistema. Altri invece sostengono che l'esistenza di una Nube di Oort non può essere al momento esclusa, e comunque il ruolo di Giove e Saturno potrebbe essere stato svolto dall'azione gravitazionale di una delle stelle del sistema nei confronti dell'altra. Un eventuale pianeta simile alla Terra attorno a α Centauri A dovrebbe trovarsi a circa 1,25 UA dalla stella (circa a metà strada fra la distanza dell'orbita terrestre e quella marziana) per avere delle condizioni climatiche che consentano la presenza di acqua allo stato liquido. Per mantenere queste condizioni attorno a α Centauri B, un pianeta dovrebbe trovarsi a una distanza di 0,7 UA, con un'orbita dunque simile a quella di Venere. Per trovare prove dell'esistenza di questi pianeti sia Proxima Centauri che il sistema α Centauri AB sono fra gli obiettivi della Space Interferometry Mission (SIM) della NASA; trovare pianeti con una massa pari o inferiore a tre masse terrestri compresi entro due UA sarà possibile tramite l'applicazione di questo programma, che comunque non partirà prima del 2015. Un monitoraggio del sistema su base decennale effettuato con il telescopio Chandra ha concluso che eventuali pianeti orbitanti intorno alle due stelle più luminose del sistema, con buona probabilità vengono colpiti dai raggi X della propria stella in misura inferiore rispetto a pianeti simili orbitanti intorno al sole, stimando eventuali prospettive di vita favorevoli. Osservato dalla coppia di stelle più interna del sistema di α Centauri, il cielo (a parte le tre stelle del sistema) apparirebbe quasi identico a come appare visto dalla Terra, con la maggior parte delle costellazioni, come l'Orsa Maggiore e Orione, praticamente invariate. Tuttavia, il Centauro perderebbe la sua stella più brillante e il nostro Sole apparirebbe come una stella di magnitudine 0,5 nella costellazione di Cassiopea, vicino a ε Cassiopeiae. La sua posizione è facilmente calcolabile, poiché sarebbe agli antipodi della posizione di α Centauri vista dalla Terra: avrebbe ascensione retta 02h 39m 35s e declinazione +60° 50′ 00″. Un ipotetico osservatore vedrebbe così la caratteristica "\/\/" di Cassiopea mutata in un segno simile a questo "/\/\/". Le stelle vicine brillanti come Sirio e Procione si troverebbero in posizioni molto diverse, come pure Altair con uno scarto minore. Sirio andrebbe a fare parte della costellazione di Orione, due gradi a ovest di Betelgeuse, poco più debole che visto dalla Terra (−1,2). Fomalhaut e Vega, invece, essendo abbastanza lontane, sarebbero visibili quasi nella stessa posizione. Proxima Centauri, pur facendo parte dello stesso sistema, sarebbe appena visibile a occhio nudo, con magnitudine 4,5. Un pianeta attorno a α Centauri A o B vede l'altra stella come un "secondo sole". Per esempio un ipotetico pianeta terrestre a 1,25 UA da α Centauri A (con una rivoluzione di 1,34 anni) sarebbe illuminato come dal Sole dalla sua primaria, mentre α Centauri B apparirebbe da 5,7 a 8,6 magnitudini più fioca (da −21 a −18,2), da 190 a 2700 volte più debole della primaria, ma ancora da 29 a 9 volte più luminoso della Luna piena. Viceversa un pianeta a 0,71 AU da α Centauri B (con un periodo di 0,63 anni) sarebbe illuminato come dal Sole dalla sua primaria e vedrebbe la secondaria da 4,6 a 7,3 magnitudini più debole (da −22,1 a −19,4), da 70 a 840 volte più fioca della principale, ma ancora da 45 a 15 volte più luminosa della Luna piena. In entrambi i casi il sole secondario farebbe il giro di tutto il cielo durante l'anno planetario, partendo a fianco del principale e finendo, mezzo periodo dopo, nella posizione opposta: si avrebbero dunque le condizioni del "Sole di mezzanotte", con almeno uno o due giorni privi di scambio notte-giorno. Questa brillante stella del sud ben nota con il nome di α Centauri (secondo la designazione di Bayer), possiede in realtà diversi nomi propri; il più diffuso è quello di Rigel Kentaurus spesso abbreviato nella forma Rigil Kentaurus, inizialmente derivante da Rijil Kentaurus[ (Riguel Kentaurus in portoghese), tutte forme derivate dall'arabo Rijl Qanṯūris (o Rijl al-Qanṯūris, con il significato di "Piede del Centauro"). Un nome alternativo, ma meno usato in italiano, è Toliman, la cui etimologia deriva sempre dall'arabo, al-Ẕulmān ("le ostriche"). Durante l'Ottocento l'astrofilo Elijah H. Burritt chiamò questa stella Bungula, forse unendo la lettera "β" (sebbene la lettera di questa stella sia "α") al termine latino ungula ("zoccolo"). Quest'ultimo nome è raramente usato. La luminosità di questo sistema stellare e soprattutto la sua vicinanza a noi (quattro anni luce sono davvero un'inezia se paragonati alle normali distanze spaziali) ha giocato un ruolo fondamentale nel fare sì che α Centauri fosse oggetto di speculazioni fantascientifiche, che venisse citata nella letteratura e nei videogiochi. Proxima Centauri (dal latino Proxima, col significato di "prossima", "la più vicina"), spesso abbreviata in Proxima, è una stella nana rossa di classe spettrale M5 Ve, posta a circa 4,2 al in direzione della costellazione del Centauro; fu scoperta da Robert Innes, direttore dello Union Observatory, in Sudafrica, nel 1915. Parte del sistema di α Centauri, è la stella più vicina al Sole. Grazie alla sua vicinanza, il suo diametro angolare può essere misurato direttamente; le misurazioni indicano che il suo raggio equivale a circa un settimo di quello solare. La massa equivale a circa un ottavo di quella solare, mentre la densità è quaranta volte superiore a quella del Sole. Sebbene Proxima possieda una luminosità molto bassa, è soggetta a improvvisi e casuali brillamenti, causati dalla sua attività magnetica. Il campo magnetico di questa stella è alimentato dai moti convettivi che avvengono nel suo interno e il brillamento che ne risulta periodicamente genera un'emissione a raggi X simile a quella prodotta dal Sole. La composizione di Proxima, il suo basso tasso di produzione di energia e le sue dinamiche indicano che resterà nella sequenza principale per almeno altri 4 000 miliardi di anni, ossia per circa 300 volte l'età attuale dell'Universo. Nel 2016 è stato individuato un pianeta potenzialmente dotato di acqua liquida superficiale nella fascia orbitale abitabile. Data la sua natura di nana rossa e di stella a brillamento, la possibilità che sul pianeta possa svilupparsi la vita è ancora da accertare. A causa della sua declinazione fortemente australe, Proxima Centauri, come del resto anche le componenti primarie del sistema di α Centauri, resta invisibile da gran parte delle aree dell'emisfero boreale; soltanto in prossimità del Tropico del Cancro le componenti maggiori diventano visibili, mentre Proxima, trovandosi quasi due gradi più a sud, si leva sull'orizzonte meridionale soltanto a partire dal 27º parallelo nord, equivalente alla latitudine della Florida, dell'Alto Egitto e dell'India settentrionale. Per contro, da gran parte dell'emisfero australe, questa stella si presenta circumpolare e può essere osservata durante tutto l'anno. Le nane rosse come questa sono in realtà troppo deboli, anche quando sono vicine, per poter essere osservate ad occhio nudo; basta pensare che da un ipotetico pianeta orbitante attorno ad una delle due stelle centrali del sistema, Proxima sarebbe soltanto di quinta magnitudine, ossia al limite della visibilità ad occhio nudo. La sua magnitudine apparente è pari a circa 11, così per poter essere osservata occorre un telescopio con un'apertura di almeno 80-100 mm ed un cielo in condizioni atmosferiche ottimali, possibilmente senza Luna e con Proxima non rasente l'orizzonte. Robert Innes fu il primo a scoprire, nel 1915, che Proxima Centauri possiede lo stesso moto proprio del sistema di α Centauri; egli suggerì anche quello che poi sarebbe diventato il suo nome proprio attuale. Nel 1917, l'astronomo olandese Joan Voûte, nel Royal Observatory del Capo di Buona Speranza misurò la parallasse trigonometrica della stella, scoprendo che Proxima Centauri si trovava ad una distanza dal Sole simile a quella di α Centauri; inoltre all'epoca Proxima era anche la stella con la più bassa luminosità assoluta conosciuta (MV = 15,5). Nel 1951, Harlow Shapley annunciò che Proxima Centauri era in realtà una stella a brillamento: uno studio comparato delle lastre fotografiche antecedenti aveva infatti mostrato che la stella si mostrava più luminosa in circa l'8% delle immagini, diventando così la stella a brillamento più attiva conosciuta. La sua vicinanza consentì inoltre di studiare i suoi brillamenti molto dettagliatamente; nel 1980 l'Osservatorio Einstein produsse una curva precisa dell'energia dei raggi X rilasciata durante i brillamenti. Ulteriori osservazioni dell'attività della stella sono stati compiuti dai satelliti EXOSAT e ROSAT, mentre le emissioni minori, simili a quelle solari, sono state osservate dal satellite giapponese ASCA nel 1995. Proxima Centauri è stata anche oggetto di ricerca da parte dei principali osservatori a raggi X, fra cui XMM-Newton e Chandra. Proxima Centauri è classificata come una nana rossa, ossia una stella di classe spettrale M (a cui corrisponde un colore rosso) che si trova nella fase di sequenza principale nel diagramma HR; in seguito è stata classificata come M5.5, ossia una nana rossa al limite inferiore di massa. La sua magnitudine assoluta, ossia la magnitudine apparente che la stella avrebbe se posta ad una distanza di 10 pc è 15,5; la sua luminosità totale, comprendendo tutte le lunghezze d'onda, è pari allo 0,17% di quella del Sole, sebbene se osservata alle lunghezze d'onda della luce visibile possieda solo lo 0,0056% della luminosità solare. Oltre l'85% dell'energia irradiata dalla stella si osserva infatti alle lunghezze d'onda dell'infrarosso. Nel 2002 l'interferometro ottico del Very Large Telescope permise di misurare direttamente il diametro angolare della stella, equivalente a 1,02±0,08 mas; rapportato alla distanza, emerge che il diametro effettivo di Proxima Centauri è circa un settimo di quello solare, cioè una volta e mezzo maggiore di quello di Giove; la massa della stella è stata stimata in appena il 12,3% di quella solare, pari a centoventinove volte quella di Giove. Dato che la densità media di una stella di sequenza principale è inversamente proporzionale alla massa della stella stessa, la densità di Proxima Centauri è comunque maggiore di quella del Sole: 56800 kg/m³ contro 1409 kg/m³. A causa della sua piccola massa, la struttura interna di Proxima è costituita interamente da una zona convettiva, che provoca un movimento di energia dall'interno all'esterno soltanto tramite un movimento fisico del plasma, anziché attraverso una zona radiativa; ciò implica che l'elio prodotto dalla fusione nucleare dell'idrogeno non si accumula nel nucleo, ma viene messo in circolo in tutta la stella. A differenza del Sole, che brucerà soltanto il 10% del suo idrogeno disponibile prima di uscire dalla sequenza principale, Proxima Centauri consumerà quasi totalmente la sua riserva di idrogeno prima di evolvere.vLa convezione è associata alla generazione e alla persistenza di un campo magnetico stellare; l'energia magnetica che proviene da questo campo viene rilasciata sulla superficie tramite i brillamenti, che aumentano brevemente la luminosità complessiva della stella. I brillamenti possono far sì che una porzione della superficie della stella possa raggiungere temperature fino a 27 milioni di K, sufficienti per emettere raggi X. La cromosfera di questa stella è attiva e il suo spettro mostra una forte linea di emissione tipica del magnesio monoionizzato, alla lunghezza d'onda di 280 nm. Circa l'88% della superficie di Proxima Centauri potrebbe essere attiva, una percentuale molto più alta di quella del Sole quando è al picco del ciclo solare. Anche durante i periodi di quiescenza con pochi o nessun brillamento, quest'attività costante aumenta la temperatura della corona fino a 3,5 milioni di K, mentre quella solare raggiunge al massimo i 2 milioni. Tuttavia, il livello totale di attività di questa stella è considerato relativamente basso rispetto ad altre stelle nane di classe M,[13] che è comunque elevato se rapportato all'età stimata della stella, dato che ci si aspetta che il livello di attività di una nana rossa cali costantemente nel corso dei miliardi di anni, come il tasso di rotazione stellare diminuisce. Da alcuni studi il livello di attività sembrava variare con un periodo di circa 442 giorni, un lasso di tempo più breve del ciclo solare, che dura 11 anni, tuttavia uno studio del 2016 sembra confermare che la stella ha un ciclo simile a quello del Sole, della durata di circa 7 anni. Proxima Centauri possiede anche un vento stellare, relativamente debole, consistente in non più del 20% del tasso di perdita di materia tipico del vento del nostro Sole. Poiché la stella è molto più piccola del nostro astro, tuttavia, il tasso di perdita per unità di superficie di Proxima Centauri risulta essere in proporzione fino a otto volte più elevato di quello della superficie solare. Una nana rossa con la massa di Proxima Centauri rimarrà nello stadio di sequenza principale per circa altri quattro bilioni (4×1012) di anni; come l'abbondanza di elio aumenta a seguito dei processi di fusione dell'idrogeno, la stella diventerà più piccola e più calda, cambiando il suo colore da rosso a blu, diventando così una nana blu evoluta. Quando il suo ciclo vitale sarà quasi al termine, diventerà pure più luminosa, raggiungendo il 2,5% della luminosità solare e riscaldando eventuali corpi orbitanti attorno ad essa per un periodo di diversi miliardi di anni. Una volta che la riserva di idrogeno si sarà esaurita, Proxima Centauri evolverà verso lo stadio di nana bianca (senza passare la fase di gigante rossa), esaurendo progressivamente la sua energia termica. Basandosi sulla parallasse di 772,3±2,4 millisecondi d'arco, misurata da Hipparcos (e l'ancor più precisa misurazione ottenuta utilizzando il Telescopio Spaziale Hubble, pari a 768,7±0,3[8] millisecondi d'arco), Proxima Centauri si trova a circa 4,2 anni luce di distanza da noi, pari a 270 000 volte la distanza fra la Terra e il Sole. Dal nostro Sistema solare Proxima si trova a 2,18° da α Centauri, equivalente in termini apparenti a quattro volte il diametro angolare della Luna; Proxima possiede anche un elevato moto proprio, pari a circa 3,85 secondi d'arco all'anno. La velocità radiale è di 21,7 km/s. Fra le stelle finora conosciute, Proxima è la stella più vicina a noi da circa 32 000 anni e resterà tale per almeno altri 33 000 anni, dopo i quali la stella più vicina diventerà Ross 248, un'altra nana rossa. Proxima continuerà ad avvicinarsi al Sole per i prossimi 26 700 anni, quando raggiungerà una distanza di appena 3,11 anni luce. La stella orbita nella Via Lattea ad una distanza dal centro che varia fra 8,3 e 9,5 kpc, con un'eccentricità pari a 0,07. Fin dalla scoperta di Proxima, fu ipotizzato che potesse trattarsi di una possibile compagna del sistema di α Centauri: la stella infatti si trova ad una distanza di appena 0,21 al (13 000 au) dalla coppia principale, della quale condivide il moto spaziale. La probabilità che ciò fosse solo casuale è stata data in circa una su un milione in uno studio del 1993. Per questa ragione, Proxima è talvolta indicata con la sigla α Centauri C. Anche i dati raccolti dal satellite Hipparcos, combinati con le osservazioni condotte a terra, supportarono l'ipotesi che le tre stelle fossero effettivamente parte di un unico sistema, con la possibilità che Proxima fosse vicina al suo apoastro, ossia il punto più lontano dell'orbita rispetto al sistema centrale. Mancavano tuttavia delle misure della velocità radiale dei tre astri sufficientemente accurate per ottenere una conferma definitiva. Queste sono state ottenute tra il 2004 e il 2016 tramite lo spettrografo HARPS, installato sul telescopio di 3,6 metri di diametro dell'ESO posto all'Osservatorio di La Silla, sviluppato per individuare nuovi pianeti extrasolari con il metodo delle velocità radiali. I risultati delle analisi, pubblicati nel 2016, indicano che Proxima orbita attorno alla coppia principale con un periodo orbitale dell'ordine di 550 000 anni, ad una distanza media di 8 700 UA. L'orbita presenta un valore piuttosto elevato dell'eccentricità orbitale, pari a circa 0,50; ciò determina che la stella raggiunga una distanza di circa 4 300 UA al periastro (ossia il punto più vicino dell'orbita rispetto al sistema centrale) e di circa 13 000 UA all'apoastro. Conseguenza che Proxima sia legata gravitazionalmente ad α Centauri è che le tre stelle abbiano condiviso il processo di formazione ed abbiano probabilmente la stessa composizione chimica; è inoltre possibile che l'interazione gravitazionale tra le tre stelle abbia avuto un'importante influenza sulla formazione e sulle caratteristiche dei pianeti nel sistema. Sei singole stelle, due sistemi binari ed una stella tripla mostrano un moto comune a quello del sistema di α Centauri attraverso lo spazio; le velocità spaziali di questo gruppo di stelle sono tutte comprese entro i 10 km/s rispetto al moto mostrato da α Centauri. Ciò farebbe pensare che si possa trattare di un'associazione stellare, che indicherebbe pertanto pure un punto di origine comune, come avviene negli ammassi aperti. Dopo tre anni di misure della velocità radiale della stella attraverso lo spettrografo HARPS, il 24 aprile del 2016 è stata annunciata la scoperta di un pianeta extrasolare, Proxima Centauri b (o Proxima b) avente una massa stimata di 1,27±0,18 M⊕ e che orbita nella zona abitabile di Proxima Centauri in poco più di undici giorni. Nel dicembre 2017 è stata annunciata la possibile scoperta mediante il metodo dei transiti di un ulteriore pianeta. Il pianeta, ancora da confermare, avrebbe un periodo di rivoluzione di 2-4 giorni e un diametro e massa inferiori a quelli della Terra. È però misurando le variazioni della velocità radiale che, nel 2019, un gruppo guidato da Mario Damasso dell'INAF ha annunciato la probabile presenza di un secondo pianeta in orbita a Proxima Centauri. Un primo annuncio è avvenuto nell'aprile del 2019, al quale ha fatto seguito una pubblicazione nel gennaio del 2020 sulla rivista Science Advances. Il pianeta sarà studiato nel 2020 e nel 2021 per la definitiva conferma con lo spettrografo HARPS, da Terra, e con il satellite Gaia dallo spazio. Proxima c sarebbe una super Terra con una massa circa 6 volte quella terrestre, in orbita a circa 1,5 UA dalla stella e con un periodo orbitale di 5,2 anni. Nel novembre del 2017 è stata annunciata[61] la scoperta da parte del radiotelescopio ALMA di una fascia di polveri attorno a Proxima Centauri. Secondo l'autore della ricerca, Guillem Anglada, la fascia di polveri fredde è ''la prima indicazione della presenza di un elaborato sistema planetario e non solo di un solo pianeta, attorno alla stella più vicina al nostro Sole''. Le particelle di roccia e ghiaccio varierebbero in dimensioni da meno di un millimetro sino a diversi chilometri di diametro, ad una temperatura di circa -230° e con una massa totale di circa un centesimo di quella terrestre. I dati di ALMA suggeriscono la presenza di una seconda cintura ancora più fredda, entrambe ad una distanza molto superiore rispetto a Proxima b che orbita a soli quattro milioni di chilometri dalla stella madre. Sempre secondo Anglada, «questo risultato suggerisce che Proxima Centauri possa avere un sistema a pianeti multipli con una ricca storia di interazioni che hanno portato alla formazione di una cintura di polvere.» L'autore dello studio condivide il proprio nome con l'astronomo che ha guidato il gruppo che ha scoperto Proxima Centauri b, Guillem Anglada-Escudé. Proxima Centauri è stata spesso suggerita come destinazione logica per il primo viaggio interstellare dell'umanità nonostante le stelle a brillamento non siano particolarmente ospitali. In ogni caso, la velocità massima che un veicolo può raggiungere con le attuali tecnologie è sufficiente solo per raggiungere la stella dopo ben 110000 anni. Tuttavia, sfruttando l'effetto fionda, una sonda spaziale può superare questa velocità, arrivando a raggiungere i 17 km/s, a fronte degli 8,3 km/s delle missioni Apollo. Le sonde Voyager 1 e Voyager 2 si stanno allontanando dal nostro sistema solare a questa velocità. Un più probabile viaggio di una sonda spaziale in grado di accelerare continuamente, con un motore atomico a ioni, fino al 30% della velocità della luce, con una analoga decelerazione nella parte finale del viaggio, impiegherebbe poco meno di venti anni, più quattro anni necessari perché il segnale radio giunga fino a noi. Il Sole da Proxima Centauri apparirebbe come una stella di magnitudine apparente 0,4, in direzione della costellazione di Cassiopea, in una posizione leggermente diversa rispetto a come apparirebbe dalle stelle centrali del sistema di α Centauri. Alfa Centauri A (α Cen A / α Centauri A) è una stella nana gialla della costellazione del Centauro. Si tratta della stella più brillante delle tre che compongono il sistema di Alfa Centauri; le sue due compagne sono α Centauri B e Proxima Centauri. La α Centauri A è anche una delle stelle più vicine al Sistema solare, trovandosi ad appena 4,36 al dal Sole, e la quarta stella per luminosità nel cielo notturno terrestre. La distanza ravvicinata al Sistema solare conferisce inoltre ad α Centauri un elevato moto proprio. α Centauri A appare estremamente simile al Sole per massa, diametro e temperatura; è infatti circa il 10% più massiccia del nostro astro, con un raggio del 23% più grande. Si tratta di una stella di sequenza principale, la cui classificazione è G2 V. La velocità di rotazione (v.sin i) di α Centauri A è 2,7 ± 0,7 km s-1, che equivale ad un periodo di rotazione di 22 giorni (per confronto quello del Sole è di 25 giorni). α Centauri A ha una magnitudine assoluta pari a +4,38. Questo valore, insieme alle caratteristiche spettrali dell'astro, permette di desumere l'età della stella che, secondo le attuali teorie sull'evoluzione stellare, oscillerebbe fra i 5 e i 6 miliardi di anni, leggermente più vecchia del Sole. Osservazioni effettuate nei raggi X con i satelliti ROSAT e XMM-Newton hanno evidenziato che α Centauri A emette meno energia in questo intervallo spettrale rispetto ad α Centauri B, nonostante quest'ultima sia complessivamente la meno luminosa delle due. Le curve di luce in banda X hanno evidenziato inoltre una certa variabilità delle due stelle, più rapida per α Centauri B che per A. Per quest'ultima la spiegazione più accreditata è la presenza di un ciclo solare simile a quello undecennale del Sole. Alfa Centauri B (α Cen B) è una stella nana arancione del sistema stellare di Alfa Centauri. Si tratta della seconda stella più brillante delle tre che compongono il sistema di Alfa Centauri; le sue due compagne sono α Centauri A e Proxima Centauri. Si trova a 4,40 anni luce dal Sistema solare, ed è una delle stelle più vicine. La distanza ravvicinata dal Sistema solare conferisce inoltre ad α Centauri un elevato moto proprio. α Centauri B è leggermente più piccola e meno luminosa del nostro Sole; anche questa è nella fase di sequenza principale, la cui classe spettrale è K1 V, ossia una stella di colore giallo-arancione. La sua massa è pari al 90% di quella del Sole e il suo raggio è del 14% più piccolo; la velocità di rotazione è 1,1±0,8 km/s, equivalente ad un periodo di 41 giorni. Una stima precedente indicava questo valore pari a 36,8 giorni. Osservazioni effettuate nei raggi X con i satelliti ROSAT e XMM-Newton hanno evidenziato che la componente B emette più energia in questo intervallo spettrale rispetto ad α Centauri A, nonostante sia complessivamente la meno luminosa delle due. Le curve di luce in banda X hanno evidenziato inoltre una certa variabilità della stella. α Centauri B è infatti una vera e propria stella a brillamento: sono stati infatti osservati due brillamenti, sia con ROSAT che con XMM-Newton, anche se sono fra i più deboli registrati per questo tipo di stelle. Il 17 ottobre 2012 sul settimanale Nature è stato pubblicato un articolo[8] che annunciava la scoperta tramite il metodo delle velocità radiali di un pianeta in orbita attorno alla stella. Tale pianeta, denominato Alfa Centauri Bb, possiede una massa di sole 1,14 M⊕ ed è tra i più piccoli esopianeti conosciuti. Orbita attorno alla sua stella madre con un periodo di 3,236 giorni ad una distanza di sole 0,04 au. Si tratta dell'esopianeta più prossimo alla Terra finora individuato. Il 25 marzo 2015, Demory et al. hanno pubblicato un articolo con i risultati di 40 ore di osservazioni compiute su Alfa Centauri B con il telescopio spaziale Hubble.[9] Anche se il gruppo di astronomi ha escluso eventi di transito per Alfa Centauri Bb (che non esclude la sua esistenza, ma solamente che il pianeta non si trova sullo stesso piano rispetto al Sole e α Centauri), hanno rilevato un evento di transito corrispondente ad un possibile corpo planetario. Questo pianeta molto probabilmente orbita attorno a Alfa Centauri B in un periodo di 20,4 giorni circa, con una probabilità del 5% che la sua orbita sia più lunga. Se confermato, questo pianeta sarebbe chiamato Alfa Centauri Bc, e anch'esso, come Alfa Centauri Bb, sarebbe troppo vicino alla sua stella madre per poter ospitare la vita. Nell'ottobre del 2015, un team di scienziati dell'Università di Oxford ha smentito l'esistenza del pianeta, dimostrando i difetti delle analisi dei dati di tre anni prima, al tempo della scoperta. Dumusque, lo scopritore del pianeta nel 2012, si è dichiarato d'accordo con questa analisi, affermando che il pianeta b molto probabilmente non esiste. Proxima Centauri b (chiamato anche Proxima b) è un pianeta extrasolare in orbita nella zona abitabile della nana rossa Proxima Centauri (componente C del sistema Alfa Centauri che si trova nella costellazione del Centauro). Proxima Centauri, distante dalla Terra 4,224 anni luce, è la stella più vicina al Sistema Solare e questo rende Proxima b l'esopianeta conosciuto più vicino possibile alla Terra e, a maggio 2020, quello con l'ottavo ESI (indice di similarità terrestre) più alto tra tutti gli esopianeti conosciuti (0,87). La scoperta è stata resa possibile da osservazioni della velocità radiale di α Centauri C attraverso lo spettrografo HARPS, montato sul telescopio da 3,6 m di diametro presso l'Osservatorio di La Silla dello European Southern Observatory (ESO), condotte dal 2013 al 2016 da un gruppo di astronomi afferenti alla Queen Mary, University of London a seguito di una campagna osservativa denominata Pale Red Dot. L'annuncio della sua scoperta è stato dato il 24 agosto 2016 con un resoconto scientifico pubblicato online dalla rivista Nature, con Guillem Anglada-Escudé quale primo firmatario. Il pianeta è stato scoperto attraverso il metodo delle velocità radiali, rilevando le variazione prodotte dall'effetto Doppler nello spettro di α Centauri C. Grazie alla precisione di HARPS sono state rilevate variazioni corrispondenti a velocità radiali di 5 km/h. Data la piccola massa della stella madre e i relativi modelli disponibili per stelle di questo tipo, non sembra plausibile l'ipotesi che un pianeta come Proxima Centauri b si sia formato nella sua attuale posizione, ed è più probabile che abbia avuto origine in un'altra zona del sistema e che solo successivamente sia migrato nella sua orbita attuale. In caso contrario dovrebbero essere rivisti gli attuali modelli sulla formazione planetaria. Proxima Centauri b orbita a 0,05 au dalla sua stella, un ottavo circa della distanza che separa Mercurio dal Sole, all'interno della zona abitabile del sistema, compiendo un'orbita completa in 11,186 giorni (11 giorni, 4 ore, 27 minuti e 50,4 secondi). È probabile che sia in rotazione sincrona a causa della prossimità con la sua stella. Per la sua massa è stato stimato un limite inferiore di 1,17 masse terrestri. Per una stima più accurata sarebbe necessario conoscere il valore della sua inclinazione orbitale, per ora incognito. Il 90% delle possibili orientazioni comportano una massa del pianeta comunque inferiore a 3 masse terrestri. Non è noto con precisione il raggio, in quanto non è stato osservato nessun transito del pianeta davanti alla propria stella madre, tuttavia esso dovrebbe essere compreso tra 0,94 e 1,4 volte il raggio terrestre. Se il pianeta fosse roccioso e con una densità simile a quella della Terra, la sua dimensione potrebbe essere il 10% maggiore di quella terrestre. Rimangono sconosciute composizione e condizioni atmosferiche, dal momento che non sono stati osservati suoi transiti. La sua massa suggerisce possa trattarsi di un pianeta terrestre, nel caso il suo raggio sia attorno ai valori terrestri, mentre nel caso della stima più elevata (1,4 R⊕) è probabile che esso sia completamente ricoperto da un unico oceano profondo 200 km. In quest'ultimo caso si tratterebbe dunque di un pianeta oceano. Proxima b riceve dalla sua stella all'incirca il 65% del flusso luminoso totale che la Terra riceve dal Sole, anche se la maggior parte del flusso elettromagnetico proveniente da una fredda nana rossa è nell'infrarosso, e nella banda della luce visibile il pianeta riceve solo il 2% della radiazione che la Terra riceve dal Sole, e la luminosità sul pianeta non sarebbe visualmente mai superiore a quella di un crepuscolo terrestre. Tuttavia riceve anche circa 400 volte il flusso di raggi X che la Terra riceve dal Sole. La sua temperatura di equilibrio planetaria è stata stimata essere 234 K (−39 °C), tuttavia a causa della forte escursione termica tra la faccia perennemente illuminata e quella in ombra è probabile che esista una zona intermedia in cui sia possibile la presenza di acqua allo stato liquido. Non è noto al momento se il pianeta sia abitabile o meno. Proxima b orbita all'interno della zona abitabile di Proxima Centauri, cioè in quella regione di spazio che è alla distanza giusta dalla propria stella affinché, nelle corrette condizioni e proprietà atmosferiche, sia possibile l'esistenza di acqua liquida sulla superficie del pianeta. Essendo la stella però una nana rossa, quindi molto più fredda del nostro Sole, un pianeta che orbita Proxima, per rientrare nella zona abitabile, deve essere molto più vicino alla propria stella di quanto lo sarebbe se orbitasse una stella più calda, come il Sole. Proxima b è così vicino alla propria stella che potrebbe essere in rotazione sincrona, cioè avrebbe sempre la stessa faccia rivolta verso la stella. Ciò comporterebbe che una metà del pianeta sia costantemente illuminata e quindi caldissima, mentre l'altra metà sia costantemente oscurata e quindi congelata[20]. Al limite tra queste due aree estreme, cioè nella zona crepuscolare, le temperature potrebbero essere però ideali per l'esistenza di acqua liquida sulla superficie. La presenza di un'atmosfera abbastanza spessa da garantire uno scambio termico tra le due zone renderebbe la porzione abitabile del pianeta più vasta. L'ipotesi di rotazione sincrona dipende dall'eccentricità dell'orbita, la quale non è ancora nota con esattezza, ma si sa essere comunque inferiore a 0,35[22] e quindi abbastanza elevata per poter garantire la possibilità di una risonanza orbitale 3:2, simile a quella di Mercurio con il Sole, che renderebbe possibile un'alternanza del giorno e della notte (a differenza della rotazione sincrona) e quindi un ambiente molto meno estremo e con temperature medie più simili a quelle terrestri. Il fatto che Proxima Centauri sia una stella a brillamento potrebbe precludere l'abitabilità di Proxima b perché continui brillamenti potrebbero portare via porzioni di atmosfera dal pianeta e le intense radiazioni sarebbero fatali per la vita sul pianeta, se non fosse protetto da un forte campo magnetico planetario. La presenza di tale campo magnetico, che dipende da fattori come la velocità di rotazione del pianeta e il riscaldamento interno mareale, non è esclusa rendendo teoricamente possibile la vita. Inoltre, osservazioni e simulazioni al computer del 2016 confermano che la stella ha un ciclo come il Sole di circa 7 anni; l'instabilità delle nane rosse riguarda i primissimi miliardi di anni della loro vita, ma Proxima, con un'età stimata di circa 5 miliardi di anni, potrebbe essere più stabile di ciò che si pensava in precedenza, anche se ciò non esclude che sia ancora soggetta a forti brillamenti, in proporzione molto più violenti di quelli delle stelle di tipo solare. Il primo studio deterministico per rilevare il clima su Proxima b è stato effettuato da ricercatori dell'Università di Exeter, utilizzando un programma modificato di meteorologia, il Met Office Unified Model, utilizzato per le previsioni climatiche terrestri. Uno studio effettuato a luglio 2017 con ulteriori modelli deterministici ha evidenziato che se un pianeta come la Terra orbitasse alla stessa posizione di Centauri-b intorno al proprio astro, l'intensa radiazione stellare ionizzerebbe rapidamente il gas atmosferico disperdendone rapidamente gli elementi nello spazio. Uno studio successivo basato sull'analisi di un super-brillamento osservato nel 2016 su Proxima b congiuntamente ad altri brillamenti inferiori avvenuti e rilevati dall'osservatorio di Cerro Tololo, ha evidenziato che la luce UV generata da tali brillamenti avrebbe raggiunto la superficie del pianeta con un'intensità cento volte maggiore di quella necessaria ad uccidere eventuali microorganismi UV resistenti e riducendo del 90% in cinque anni eventuali concentrazioni di ozono presenti e necessarie a bloccarne i raggi su un'atmosfera simile alla Terra. Alfa Centauri Bb è un ipotetico pianeta extrasolare in orbita intorno alla componente B del sistema Alfa Centauri che si trova nella costellazione del Centauro, la cui esistenza è stata però smentita nel 2015. Alla distanza dalla Terra di 4,37 anni luce, era l'esopianeta scoperto più vicino alla Terra fino alla scoperta di Proxima Centauri b avvenuta nel 2016. L'annuncio della scoperta di Alfa Centauri Bb ricevette l'attenzione dei media, e l'esistenza di questo pianeta fu vista come un punto di riferimento importante per gli studi futuri sugli esopianeti. Tuttavia, nel mese di ottobre del 2015, alcuni astronomi dell'Università di Oxford hanno pubblicato un articolo scientifico smentendo l'esistenza del pianeta, affermando che si trattava probabilmente di un artefatto nell'analisi dei dati. Lo stesso Dumusque, scopritore del pianeta tre anni prima, ha accettato il risultato, e affermato che, nonostante non ci sia la certezza assoluta della smentita, il pianeta probabilmente non esiste. La scoperta fu resa possibile da osservazioni della velocità radiale di α Centauri B attraverso lo spettrografo HARPS,[9] montato sul telescopio da 3,6 m di diametro presso l'Osservatorio di La Silla dello European Southern Observatory (ESO), condotte dal febbraio del 2008 al luglio del 2011 da un gruppo di astronomi europei afferenti all'Osservatorio di Ginevra e al Centro di Astrofisica dell'Università di Porto. Nei quattro anni della ricerca, sono state condotte 459 osservazioni dello spettro della stella, che sono state successivamente analizzate con metodi statistici. L'annuncio venne dato il 16 ottobre 2012 ed un resoconto scientifico pubblicato online il giorno seguente dalla rivista Nature, con Xavier Dumusque quale primo firmatario. Il pianeta era stato scoperto attraverso il metodo delle velocità radiali, rilevando le variazioni prodotte dall'effetto Doppler nello spettro di α Centauri B. Grazie alla precisione di HARPS sono state rilevate variazioni corrispondenti a velocità radiali di 51 cm/s. La probabilità che la scoperta possa rilevarsi spuria è dello 0,02%. Le caratteristiche che vennero annunciate al tempo della scoperta di Alfa Centauri Bb erano di un corpo che orbita a 0,04 au dalla sua stella, un decimo circa della distanza che separa Mercurio dal Sole, in 3,236 giorni (3 giorni, 5 ore, 39 minuti e 24,5 ± 69 secondi), al di fuori della zona abitabile del sistema, probabilmente in rotazione sincrona. La sua massa era stata stimata in, minimo, 1,13 masse terrestri. Rimanevano comunque sconosciute le sue dimensioni, composizione e condizioni atmosferiche, dal momento che non sono stati osservati suoi transiti. Tuttavia, la sua massa suggerisce possa trattarsi di una Super Terra. La temperatura superficiale è stata stimata in 1200 °C, superiore alla temperatura di fusione di molti silicati. (Per confronto, sulla superficie di Venere - la più calda del sistema solare - si raggiungono al massimo i 460 °C). A tali temperature, quindi, vaste zone della superficie potrebbero essere fuse e il pianeta apparirebbe come un "mondo di lava". Si ritiene che l'orbita di un pianeta con tali caratteristiche, così come quelle incluse nella zona abitabile di α Centauri B, non fossero destabilizzate dall'influenza gravitazione della compagna α Centauri A, il cui massimo avvicinamento è di 8,5 UA - valore confrontabile con quello dell'orbita di Saturno attorno al Sole. Al massimo avvicinamento, α Centauri A raggiungerebbe una magnitudine di −22,5 - pari a circa il 2% di come appare il Sole visto dalla Terra. La nostra stella, vista dal pianeta, raggiungerebbe una magnitudine di +0,47, leggermente più fioca di quanto appaia Procione dalla Terra. Analisi astrosismiche, dell'attività cromosferica e studi sulla rotazione stellare per le stelle A e B indicano che il sistema di α Centauri sia leggermente più vecchio del sistema solare, con un'età stimata compresa tra 4,5 e 7 miliardi di anni. Per mostrare l'influenza di un pianeta sulla velocità radiale della stella si sono dovute isolare diverse componenti, come gli effetti di macchie stellari, della rotazione e della fotosfera della stella, nonché le interferenze della vicina Alfa Centauri A. La variazione della velocità radiale era al limite della strumentazione di HARPS,[13] che ha una precisione a lungo termine di 0,8 m/s[1]. Il cacciatore di esopianeti Artie Hatzes ha tuttavia espresso dubbi sull'esistenza del pianeta, e suggerito che necessitano ulteriori conferme. Egli ha infatti provato prima a rimuovere il segnale periodico più forte trovando solo una debole traccia dell'esistenza di un corpo substellare, quindi ha provato altre tecniche tra cui quella di generare un falso segnale per trovare un corpo "estraneo", senza arrivare a nessun risultato. L'astronoma statunitense Debra Fischer approva invece il nuovo metodo di ricerca di Dumusque, tuttavia sottolinea che una conferma osservativa sia necessaria. L'astronoma e il suo team hanno iniziato una campagna di osservazione, tuttora in corso, all'osservatorio di Cerro Tololo poco dopo l'annuncio della scoperta del pianeta. Il gruppo europeo che ha fatto la scoperta tenterà di rilevare in futuro un transito planetario sulla stella madre e ha chiesto la disponibilità del telescopio spaziale Hubble per le osservazioni. Un transito potrebbe fornire informazioni su dimensioni del pianeta, composizione e condizioni atmosferiche. Tuttavia, data la linea di vista rispetto alla Terra, le dimensioni relativamente ridotte del pianeta e la natura binaria del sistema stellare, le possibilità di un transito di Alpha Centauri Bb osservabile dalla Terra sono stimate solo tra il 10 e il 30%. Nell'ottobre del 2015, un team di scienziati dell'Università di Oxford ha smentito l'esistenza del pianeta, dimostrando i difetti delle analisi dei dati di tre anni prima, al tempo della scoperta. Dumusque, lo scopritore del pianeta nel 2012, si è dichiarato d'accordo con questa analisi, affermando che il pianeta molto probabilmente non esiste.
- Nemesis. Nemesis è un oggetto astronomico ipotetico, più precisamente una stella nana rossa o nana bruna, in orbita intorno al Sole a una distanza da (circa) 50 000 a 100000 au, poco oltre la Nube di Oort. L'esistenza di questa stella è stata postulata in origine come una possibile spiegazione dei cicli di estinzioni di massa nella storia della Terra. Nel 1984 i paleontologi David Raup e Jack Sepkoski pubblicarono un articolo sostenendo di aver individuato una periodicità statistica nelle estinzioni di massa avvenute nel corso degli ultimi 250 milioni di anni, utilizzando diverse forme di analisi delle serie temporali. I due autori incentrarono l'estinzione sull'intensità di famiglie di fossili di vertebrati marini, invertebrati e protozoi, individuando 12 eventi di estinzione nel periodo di tempo preso in considerazione. L'intervallo di tempo medio fra gli eventi di estinzione era stimato sui 26 milioni di anni. A tutt'oggi, due degli eventi di estinzione individuati (Cretaceo-Terziario e Tardo Eocene) potrebbero essere messi in relazione a eventi di grande impatto. Sebbene Raup e Sepkoski non fossero riusciti a identificare le cause delle loro presunte periodicità, supposero che questi eventi potessero avere una connessione non-terrestre. La sfida di individuare un meccanismo di tipo non-terrestre è stata affrontata da diversi astronomi. Due squadre di astronomi (Whitmire & Jackson e la squadra Davis, Hut e Muller) hanno pubblicato nel 1984, indipendentemente, ipotesi simili per spiegare le estinzioni di massa avanzate da Raup e Sepkoski nella rivista Nature. Una di queste ipotesi propone che il sole potrebbe avere una stella compagna non ancora definita, in un'orbita ellittica molto ampia, la quale, periodicamente, disturberebbe la Nube di Oort, causando un incremento del numero di comete in viaggio verso il centro del nostro Sistema solare con un conseguente incremento di eventuali impatti sulla Terra. Questa ipotetica stella prende il nome di Nemesis o, come fu prontamente ribattezzata dai media,Death Star ("Stella della morte", in inglese il nome della Morte Nera di Guerre stellari). Ammessa l'esistenza di tale stella, l'esatta natura di Nemesis è ancora incerta. Richard A. Muller suggerisce che molto probabilmente l'oggetto sia una nana rossa con una magnitudine tra 7 e 12; mentre Daniel P. Whitmire e Albert A. Jackson sostengono che essa sia una nana bruna. Da precedenti studi sulle stelle di tipo solare, era emerso che l'84% di esse fa parte di un sistema binario. Muller, che all'epoca lavorava presso il telescopio del Leuschner Observatory al Lawrence Berkeley National Laboratory, diede incarico di individuare Nemesis all'astrofisico Saul Perlmutter che nel 1986 terminò la tesi "Ricerca astronomica di una compagna stellare del Sole" senza poterne confermare l'esistenza. L'ultimo grande evento di estinzione è stato (circa) 5 milioni di anni fa, così Muller stima la distanza di Nemesis da noi a circa 1-1 al identificando la posizione della stella nella porzione di cielo occupata dalla costellazione dell'Idra: idea basata su una supposta orbita, derivata dall'osservazione dei lunghi periodi atipici delle comete che descrivono un arco orbitale incontrando le specifiche delle ipotesi di Muller. Se Nemesis esistesse potrebbe essere rilevata da telescopi astronomici di nuova generazione e se fosse una nana bruna, come proposto dal Dr. Dan Whitmire e Albert A. Jackson IV, allora la missione WISE (iniziatasi il 14 dicembre 2009) potrebbe trovarla facilmente. Matese e Whitman hanno suggerito che l'ipotetica estinzione periodica potrebbe essere causata dall'oscillazione del Sistema Solare attraverso il piano della Via Lattea. Queste oscillazioni possono condurre a disturbi gravitazionali nella nube di Oort con le stesse conseguenze proposte dalla possibile orbita di Nemesis. Comunque, il periodo di oscillazione non è ben osservabile e potrebbe differire dai 26 milioni di anni (necessari alla teoria) fino al 40% in più. Dal 2000 in poi sono stati osservati dei planetoidi (oltre l'orbita di Nettuno), come (148209) 2000 CR105, aventi un'orbita ellittica molto accentuata e un elevato valore del perielio tale da fare escludere l'influenza di Nettuno su questi planetoidi. In questi casi, in genere, si invoca la remota possibilità del passaggio di giganti gassosi o di stelle nell'estrema periferia del Sistema Solare (nel nostro caso potrebbe coincidere con Nemesis). Nemesis ha iniziato ad influenzare anche la letteratura: Isaac Aimov, scrittore di fantascienza ha dedicato a questa stella un libro. Vi sono alcune inesattezze scientifiche (le catastrofi provocate dalla nana bruna -o nana rossa, non lo sappiamo ancora- vengono esagerate e la stella non viene descritta come compagna del sole) ma, quando parliamo di Nemesis si tratta comunque di un argomento interessante. Il nome Nemesis deriva da quello della dea greca Nemesi. Nemesi (in greco antico: Nέμεσις, Némesis) è una dea della mitologia greca, secondo alcuni figlia di Zeus, secondo altri figlia di Oceano e Notte e poi posseduta dallo stesso Zeus nel tempio di Ramnunte: genera un uovo che viene raccolto e consegnato a Leda e da cui usciranno Elena e i Dioscuri. Il nome deriva dal greco νέμεσις (némesis), νέμω (némō, "distribuire"), dalla radice indoeuropea nem- nella mitologia greca, e fu il nome della dea "Distribuzione della Giustizia"; la giustizia intesa come codice giuridico era invece attribuita alla dea Diche. Nemesi provvedeva soprattutto a metter giustizia ai delitti irrisolti o impuniti, distribuendo e irrogando gioia o dolore a seconda di quanto era giusto, perseguitando soprattutto i malvagi e gli ingrati alla sorte. Non esiste una dea corrispettiva nella Religione romana che invece ereditò l'ora Diche come dea della giurisdizione, l'attuale Iustitia con la benda sugli occhi e la bilancia in mano, tuttavia i Romani dedicarono a Nemesi un'ara sul Campidoglio dove i soldati erano soliti deporre una spada prima di partire per la guerra. Ricercatori dell'Università della California (Berkeley) e dell'Università di Harvard hanno dimostrato con un modello matematico che tutte le stelle nascerebbero in sistemi binari o multipli, di conseguenza anche il nostro Sole dovrebbe aver avuto il suo gemello. Gli studiosi, coordinati dal fisico teorico Steven Stahler e dalla radioastronoma Sarah Sadavoy, che segue Hubble per conto della NASA presso il prestigioso Smithsonian Astrophysical Observatory, hanno in pratica rispolverato la teoria di Nemesis, il gemello 'cattivo' del Sole che ciclicamente - ogni 27 milioni di anni - si ripresenterebbe ai margini del Sistema solare. La stella viene chiamata in questo modo poco lusinghiero poiché, in base ad alcuni studi, molti dei quali condotti verso la fine degli anni '80, a causa della forza gravitazionale si porterebbe dietro pericolose comete in grado di bersagliare i pianeti del Sistema solare, compresa la nostra Terra. Benché non vi siano evidenze dirette, Nemesis sarebbe responsabile delle estinzioni di massa osservate sul nostro pianeta, che si presentano con un inquietante ciclo periodico. I dinosauri non aviani e altri gruppi di animali, 64 milioni di anni fa, nel tardo Cretaceo, sarebbero estinti proprio a causa di un asteroide "trasportato" da Nemesi. Ma torniamo allo studio che ha ridato linfa vitale a questa suggestiva teoria. Gli studiosi hanno determinato la nascita non solitaria delle stelle grazie allo studio della nube molecolare di Perseo, considerata una vera e propria culla per stelle in formazione. Attraverso la missione VANDAM sono state censite diverse giovani stelle di classe 0 (con meno di 500mila anni) e quelle di classe 1 (con meno di un milione di anni) all'interno della nube, che si trova a 600 anni luce da noi. Combinando questi dati con altre osservazioni, i ricercatori hanno individuato 45 stelle solitarie, 19 sistemi binari e 5 sistemi multipli. Dall'analisi delle distanze, delle posizioni e della distribuzione delle stelle, attraverso un modello matematico Sadavoy e colleghi sono giunti alla conclusione che esse sono nate tutte da sistemi binari o multipli. "Le stelle di tipo solare non sono primordiali - ha sottolineato il professor Stahler - ma sono il risultato della rottura dei sistemi binari". In base alle stime, attualmente il gemello del Sole dovrebbe trovarsi a una distanza di tre giorni luce, ovvero circa 500UA (unità astronomiche, la distanza tra Terra e Sole), nascosto da qualche parte nel cuore della Via Lattea. Sebbene venga definito gemello, Nemesis potrebbe essere una debole nana bruna, ridotto in questa situazione proprio dal Sole che, durante le fasi accrescimento, gli avrebbe strappato la maggior parte di polveri e gas. Le prove della sua esistenza, come specificato, non sono mai state trovare, tuttavia alcuni pensano che possano essere lette nella curiosa orbita del pianeta nano Senda, influenzata dalla forza gravitazionale di un misterioso oggetto celeste. I dettagli della ricerca sono stati divulgati su arXiv.org e sono in attesa di pubblicazione sull'autorevole rivista scientifica Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Steven Stahler, astronomo dell'Università di Berkeley, e Sarah Sadavoy, collega dell'università di Harvard, a seguito di una ricerca effettuata su una nube molecolare (un tipo di nube interstellare in cui la densità e la temperatura permettono la formazione di molecole di idrogeno a partire da singoli atomi di idrogeno) nella costellazione di Perseo hanno portato alla luce nuovi elementi che confermerebbero la possibile esistenza di Nemesis, l'ipotizzata stella gemella del nostro Sole. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica della Royal Astronomical Society. La ricerca dei due astronomi si è basata sullo studio dei dati relativi alla Nube di Perseo, un'enorme nube di gas e polveri a circa 600 anni luce dalla Terra, raccolti tra il 2013 e il 2015 attraverso il Very Large Array, il raggruppamento di radiotelescopi situato nel Nuovo Messico, che ha consentito di fotografare le formazioni stellari all'interno della nube. Stahler e Sadavoy, unendo questi dati con quelli emersi da un altro studio relativo alla Cintura di Gould (un anello parziale di stelle che si estende per circa 3000 anni luce), attraverso dei modelli matematici hanno effettuato un vero e proprio censimento delle stelle singole e doppie di Perseo, accertando che c'erano cinquantacinque giovani stelle di cui quarantacinque sono stelle solitarie, diciannove i sistemi binari e cinque quelli multipli. La ricerca si è focalizzata sulle stelle di piccola massa - come il Sole o più piccole - per capire se è normale che due o più stelle nascano assieme, formando di conseguenza sistemi binari o multipli. Nel corso dei decenni, infatti, le osservazioni astronomiche hanno mostrato che i sistemi formati da due o più stelle sono molto comuni, soprattutto tra stelle di massa grande. Per molto tempo, quindi, gli studiosi si sono domandati se si fossero generati così o se si trattasse di stelle nate separatamente e unite da attrazione gravitazionale solo in seguito. Grazie a questa ricerca, i due astronomi sono arrivati alla conclusione che tutte le stelle di massa piccola, quindi simili al Sole, sono nate in sistemi binari o multipli dai quali si sono separate nel 60 percento dei casi. Ne consegue che è altamente probabile, quindi, che anche il nostro Sole sia nato con almeno una stella gemella, quella Nemesis di cui si ipotizza l'esistenza da una trentina d'anni e che dovrebbe trovarsi, secondo alcune stime, a circa 500 UA (Unità Astronomiche, cioè la distanza Terra-Sole) dal Sole. Ovviamente si tratta solo di "prove indiziarie" e saranno necessari ulteriori studi su altre nubi per poter verificare la reale efficacia del modello matematico, ma intanto le suggestioni sulla gemella del Sole sono tornate alla ribalta. Per capire quando e in che contesto nasce l'ipotesi di questa stella gemella e del perché del suo nefasto nome, facciamo un salto indietro nel tempo fino al 1984. In quell'anno, infatti, i paleontologi David Raup e Jack Sepkoski pubblicarono uno studio in cui sostenevano di aver individuato una periodicità statistica delle estinzioni di massa avvenute nel corso degli ultimi 250 milioni di anni, che si susseguivano con un intervallo di 26 milioni di anni. Diversi astronomi cercarono una spiegazione non-terrestre a questa ciclicità e una di queste ipotesi proponeva che il sole avesse una stella compagna - probabilmente una nana bruna - in un'orbita ellittica molto ampia. Il periodico passaggio di questa stella disturberebbe la Nube di Oort (una nube sferica di comete situata a 20.000 UA dal Sole) causando un incremento del numero di comete in viaggio verso il centro del nostro Sistema solare. Ovviamente ciò comporterebbe un cospicuo incremento di eventuali impatti sulla Terra che sarebbero quindi la causa delle estinzioni di massa. A causa della sua "malvagità" fu dato alla stella il nome di Nemesis, e i media la ribattezzarono prontamente Stella della morte.