Zona abitabile
In astronomia è evidente quanto siano rari i pianeti abitabili. L'abitabilità è determinata da moltissimi fattori, primo dei quali la distanza dalla stella madre. E' dunque possibile individuare una zona attorno a ogni stella nella quale i pianeti sono alla giusta distanza per mantenere acqua liquida in superficie, un ingrediente chiave per la vita. Ma a quale distanza da ogni stella si trova questa "zona abitabile"? Quali sono le sue caratteristiche? Conosciamo esopianeti in questa zona? Nel nostro sistema solare come si evolverà la sua posizione? Seguiteci su Eagle sera per scoprirlo!
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Glossario: esopianeta
Un pianeta extrasolare o esopianeta è un pianeta non appartenente al sistema solare, orbitante cioè attorno a una stella diversa dal Sole.
Zona abitabile: di cosa si tratta?
In astronomia e astrobiologia, zona abitabile, e più precisamente, zona abitabile circumstellare o CHZ, è il termine scientifico per indicare la regione intorno ad una stella dove è teoricamente possibile per un pianeta mantenere acqua liquida sulla sua superficie[1]. Il concetto è basato sulle condizioni favorevoli per la vita per come noi la conosciamo sulla Terra, dove l'acqua liquida è essenziale per tutte le forme di vita conosciute; quindi i pianeti in grado di avere acqua liquida in superficie sono considerati tra i più favorevoli per ospitare vita extraterrestre. "Zona abitabile" è talvolta usato più generalmente per indicare diverse regioni che sono considerate favorevoli alla vita, come ad esempio la zona galattica abitabile, termine coniato da Guillermo Gonzalez nel 1995, e che rappresenta la distanza di un pianeta dal centro galattico. La posizione dei pianeti e dei satelliti naturali all'interno della zona abitabile della propria stella madre (e un'orbita quasi circolare) non è che uno dei tanti criteri da prendere in considerazione circa l'abitabilità planetaria ed è teoricamente possibile che esistano pianeti abitabili al di fuori della suddetta zona. Il termine inglese "Goldilocks planet" è usato per ogni pianeta che si trova all'interno della zona abitabile circumstellare (CHZ), mentre il termine abitabilità planetaria implica che i pianeti abbiano certe similitudini con la Terra e che siano pianeti rocciosi. Sono state scoperte decine di pianeti nella zona abitabile, anche se la maggior parte di essi sembrano significativamente più grandi della Terra; probabilmente ciò è dovuto al fatto che date le grandi distanze coinvolte, è più facile rilevare pianeti di maggiori dimensioni. Le stime attuali indicano che esistono almeno 500 milioni di pianeti all'interno della zona abitabile in tutta la Via Lattea. Alcuni scienziati hanno suggerito che la teoria della zona abitabile sia troppo semplicistica in quanto viene presa in considerazione solo la vita presente sulla Terra, mentre potrebbero esistere zone abitabili in cui altri composti diversi dall'acqua, come l'ammoniaca e il metano, possono esistere in forme liquide stabili. Alcuni astrobiologi ipotizzano che questi ambienti potrebbero permettere di raggiungere biochimiche alternative. Inoltre potrebbe esistere una grande varietà di habitat potenziali al di fuori della zona abitabile, come in oceani d'acqua sotto la superficie di qualche esopianeta, così come abitabili potrebbero essere oceani costituiti da ammoniaca o metano. Il termine "zona abitabile" può anche riferirsi alla fascia del nostro sistema Solare, che comprende, ovviamente, anche la Terra, estendendosi, a seconda degli autori a distanze leggermente differenti: una delle più citate è la stima di Kasting et al. del 1993, che pone la zona abitabile compresa da una estensione minima di 0,95 UA a una di 1,37 UA dal Sole. Nel gennaio 2013, una nuova stima della zona abitabile è stata fatta da un team guidato da Kopparapu. La conclusione del loro studio è che le zone abitabili sono in realtà più lontane dalle stelle di quanto si pensasse in precedenza e che alcuni pianeti extrasolari precedentemente creduti essere nella zona abitabile potrebbero non esserlo più. In questo studio la Terra sarebbe situata vicino al bordo interno della zona abitabile. In un sistema solare, si pensa che un pianeta debba trovarsi a una certa distanza dalla propria stella per poter supportare la vita. La zona circumstellare abitabile (o ecosfera) è una sfera immaginaria circondante una stella: nello spazio delimitato da questa sfera, qualunque pianeta terrestre potrebbe essere in grado di mantenere la presenza di acqua liquida. La presenza di questo elemento sarebbe fondamentale per la vita, a causa dell'importante ruolo di solvente svolto in molte reazioni biochimiche. Nel 1959 i fisici Philip Morrison e Giuseppe Cocconi descrissero la zona circumstellare abitabile in una ricerca del SETI. Due anni dopo, Frank Drake rese popolare il concetto grazie ad una sua equazione (l'equazione di Drake).
Barra delle equazioni per i lettori più curiosi
La distanza da una stella alla quale un pianeta potrebbe sostenere forme di vita può essere calcolata conoscendo la dimensione e la luminosità della stella stessa. L'equazione è la seguente:
dove dUA indica il raggio della zona abitabile espresso in unità astronomiche, Lstella indica la luminosità della stella, e Lsole indica la luminosità del Sole.
Ad esempio: una stella avente il 25% della luminosità del Sole avrà la sua zona abitabile a circa 0,50 UA di distanza, mentre per una stella avente il doppio della luminosità solare, tale zona "si allontanerà" a 1,4 UA di distanza. In pratica, la distanza richiesta è quella alla quale il pianeta riceve dalla sua stella la stessa intensità luminosa che la Terra (presa come modello) riceve dal Sole. Questa equazione è una conseguenza della proporzionalità quadratica inversa dell'intensità luminosa. Ovviamente, un pianeta che si trovasse in questa fascia non sarebbe obbligatoriamente abitabile o abitato: va premesso, infatti, che il pianeta dovrebbe essere di tipo terrestre, avendo quindi molte similarità con la Terra (tra cui, ad esempio, la composizione atmosferica). Dato che le stelle evolvono, cambiando luminosità e temperatura, la zona abitabile tende a spostarsi. Un pianeta, dunque, dovrebbe trovarsi in una posizione che gli permettesse di rimanere sempre nei limiti della zona, affinché resti ipoteticamente abitabile.
Zona abitabile del sistema solare
Diverse sono state le stime della zona abitabile del sistema Solare, basate su diversi modelli scientifici. Lo stesso Sole nel corso del tempo ha aumentato la sua luminosità rispetto ai primi tempi della sua vita, di conseguenza la zona abitabile ha esteso i suoi confini. Viene detta zona abitabile conservativa quella fascia più ristretta entro la quale un pianeta rimane abitabile durante la maggior parte vita della stella nella sequenza principale, mentre la zona abitabile ottimistica è quella dove un pianeta può trovarsi dentro alla zona abitabile solo per un determinato periodo della vita di una stella, non sufficientemente lungo perché possano svilupparsi forme di vita complessa. Kasting et al. nel 1993 elaborarono un modello considerando un pianeta che, come la Terra, abbia come importanti gas serra il vapore acqueo (H2O) e l'anidride carbonica. Secondo quel modello, la zona abitabile conservativa del Sole va da 0,95 a 1,37 UA, con un più "prudente" limite esterno a 1,15 UA, considerando l'età di 4,6 miliardi di anni del Sole e della sua minor luminosità nei primi miliardi di vita. Una rivisitazione dello studio di Kasting è stato fatto da Kopparapu et al. nel 2013, che ha suggerito limiti che vanno da 0,99 a 1,68 UA dal Sole, collocando quindi la Terra vicino al limite interno della zona abitabile conservativa. Secondo lo stesso studio Venere si trova al limite interno della zona abitabile ottimistica, poiché è possibile che ne fosse all'interno quando il Sole era meno luminoso, oltre un miliardo di anni fa, poiché studi condotti tramite le sonde spaziali hanno appurato che l'acqua liquida su Venere è assente da almeno 1 miliardo di anni, da quando il Sole aveva il 92% della luminosità attuale o meno. Dall'altra parte, viene assunto come limite esterno della zona abitabile ottimistica l'orbita di Marte, poiché nei primi milioni di anni di vita del sistema solare, quando era più caldo a causa della recente formazione, aveva probabilmente condizioni per avere acqua liquida in superficie, nonostante un minore irraggiamento del Sole. Considerando diverse composizioni atmosferiche, altri studi suggeriscono limiti più ampi della zona abitabile del Sole, come quello di Zsom et al. del 2013, che basandosi su varie composizioni dell'atmosfera, della pressione e dell'umidità relativa di un pianeta, questi potrebbe essere abitabile anche a soli 0,38 UA dal Sole, mentre al contrario, Ramirez and Kaltenegger nel 2017 suggeriscono che se l'atmosfera avesse una concentrazione almeno del 50% di idrogeno vulcanico un pianeta attorno al Sole potrebbe essere abitabile fino a 2,4 UA di distanza. La stima della zona abitabile del sistema solare è resa difficile a causa di una lunga serie di fattori, e anche se nelle zone abitabili ottimistiche ipotizzate in diversi studi l'afelio del pianeta Venere, l'orbita della Luna e il pianeta Marte si trovano all'interno della zona abitabile, le diverse pressioni atmosferiche di questi pianeti, piuttosto che la zona abitabile, determinano la loro potenziale abitabilità. Nel caso di Venere, la pressione atmosferica è troppo elevata, e un effetto serra estremamente alto determina un grande innalzamento della temperatura superficiale. Nel caso di Marte invece, la pressione atmosferica è troppo bassa, di conseguenza l'atmosfera e l'acqua si sono in gran parte disperse nello spazio, così com'è successo alla Luna. La maggior parte delle stime sono calcolate prendendo come riferimento la Terra, la sua massa e la sua costituzione atmosferica, ma un pianeta con un'atmosfera più densa di quella della Terra (perché più massiccio), come ad esempio Gliese 667 Cd o Gliese 581 d, in orbita nella zona abitabile estesa, potrebbe teoricamente avere acqua allo stato liquido in superficie, inoltre, la zona conservativa di un pianeta attorno a una stella di tipo K o M è proporzionalmente più ampia, poiché queste stelle vivono molto più a lungo del Sole. Lo studio di Kasting rivisitato da Koppararu nel 2013 è comunque quello comunemente più accettato per pianeti con massa e composizione atmosferica simile a quella terrestre. Affinché un pianeta possa avere acqua liquida in superficie deve avere una massa sufficiente per creare una gravità atta a poter trattenere l'acqua allo stato liquido. Se la densità è troppo bassa, allora il pianeta avrà meno probabilità di mantenere una sufficiente pressione atmosferica e l'acqua sublimerebbe e raggiungerebbe la velocità di fuga perdendosi nello spazio, come probabilmente è stato nel caso di Marte. Se la gravità fosse troppo alta potrebbe invece comprimere l'acqua al punto di rimanere allo stato solido indipendentemente dalla temperatura. L'atmosfera è la responsabile principale per regolare la temperatura di un pianeta, contribuendo all'effetto serra e all'albedo che sono i fattori che determinano il riscaldamento e il raffreddamento di un pianeta; se nel primo caso l'esempio più evidente è Venere, un evidente raffreddamento si pensa che si sia verificato sul nostro pianeta durante l'epoca della Terra a palla di neve.
Approfondiamo: La Terra a palla di neve
L'espressione "Terra a palla di neve" (Snowball Earth in inglese) fa riferimento ad una teoria scientifica secondo cui il nostro pianeta in epoche molto remote (Proterozoico) avrebbe attraversato dei periodi di abbassamento drastico della temperatura durante i quali la superficie della Terra fu completamente ricoperta di ghiaccio. L'effettiva occorrenza e il numero di tali eventi rimane al momento oggetto di controversia. I suoi sostenitori affermano che tale ipotesi spiegherebbe meglio di ogni altra la presenza di depositi sedimentari, generalmente ritenuti di origine glaciale, alle latitudini tropicali, oltre ad altre enigmatiche caratteristiche presenti nelle registrazioni geologiche. Gli oppositori contestano invece le implicazioni di tali prove geologiche e la possibilità stessa che tale fenomeno geofisico possa verificarsi. Secondo uno dei maggiori sostenitori di questa teoria, lo studioso statunitense Joseph L. Kirschvink, ci sarebbero stati quattro episodi di questo tipo avvenuti tra i 590 ed i 900 milioni di anni fa, e uno più remoto, circa due miliardi di anni fa. Successivamente alla formazione del supercontinente Rodinia, in loco si verificarono una serie di sconvolgimenti tettonici che portarono progressivamente alla frantumazione dello stesso. In tal modo si formarono numerosi rift e dorsali da cui fuoriusciva lava basaltica proveniente dal mantello terrestre, che ricoprì gran parte del granito che formava la superficie continentale. Il basalto, essendo una roccia porosa, viene erosa molto più facilmente del granito e pertanto, a parità di tempo, la quantità di basalto asportata dai fiumi è maggiore della corrispettiva in granito. Una volta dissolte in acqua, le componenti minerali delle rocce assorbono di norma una parte dell'anidride carbonica disciolta nell'acqua stessa; dopo essersi legati alla CO2, i minerali tendono a precipitare sul fondale marino come sedimenti. Questo fenomeno provoca una carenza di anidride carbonica nelle acque marine che viene compensata dallo scioglimento in acqua di una grossa quantità di CO2 proveniente dall'atmosfera: in pratica il mare la assorbe come una vera e propria "spugna". Quindi, a parità di tempo, si può dire che la roccia basaltica "consumi" più anidride carbonica (circa 8 volte di più) della corrispondente roccia granitica. In seguito alla frantumazione di Rodinia, il consumo di anidride carbonica provocato dall'erosione del basalto aumentò ad un livello tale da superare, a parità di periodo, il quantitativo emesso dalle eruzioni vulcaniche, provocando così una netta diminuzione dell'effetto serra sul pianeta, dato che la CO2 è uno dei cosiddetti gas serra ovvero uno di quei gas che provoca questo fenomeno. A seguito di questa catena di eventi la temperatura media del globo iniziò a scendere e le calotte polari, quasi del tutto inesistenti prima della frantumazione di Rodinia, iniziarono a espandersi. Inoltre il ghiaccio, riflettendo la luce solare, accelerò ulteriormente il raffreddamento del pianeta che, come già detto, era stato favorito dall'assottigliamento dello strato di gas serra. Più la superficie terrestre veniva coperta dal ghiaccio, più la temperatura scendeva. Si avviava così un circolo vizioso che in poche migliaia di anni portò i ghiacciai a ricoprire quasi tutto il pianeta; il ghiaccio arrivò perfino all'equatore, la zona notoriamente più mite del globo, dove era spesso circa 3 metri. La Terra, salvo alcune zone in prossimità dei vulcani, aveva assunto l'aspetto di una enorme palla di neve (snowball, in inglese). In seguito a questo evento la banchisa, ricoprendo interamente il mare terrestre, impedì il processo di dissoluzione della roccia basaltica che per tanto tempo aveva alimentato questa glaciazione e i gas serra dell'atmosfera ripresero ad aumentare. Nel contempo circa il 99% delle forme di vita esistenti sulla Terra (per lo più batteri) si era estinta. Il restante 1% sopravvisse grazie alle sorgenti calde sottomarine oppure perché si trovava nei pressi dell'equatore, dove il minor spessore del ghiaccio permise alla luce solare di passare, seppur ridotta in intensità. Dopo qualche migliaio di anni, il livello di gas serra era giunto a un punto tale da essere circa 350 volte maggiore di quello dei giorni d'oggi. L'effetto serra che ne derivò fu molto intenso e favorì lo scioglimento dei ghiacci; a poco a poco la situazione climatica della terra tornò ad essere simile a quella antecedente alla frammentazione del supercontinente Rodinia. Inoltre il ghiaccio aveva eroso fortemente l'oramai frammentato Rodinia e aveva riportato in superficie lo strato granitico precedentemente sepolto.
L'orbita della Terra e degli altri pianeti del sistema solare è pressoché circolare, e questo permette alla temperatura di rimanere stabile, in prossimità del punto triplo dell'acqua. L'orbita è generalmente nota nel caso degli esopianeti, tuttavia molti dei pianeti scoperti sembrano avere orbite eccentriche, che talvolta li porta a "entrare" e "uscire" dalla zona abitabile durante la rivoluzione attorno alla stella madre. Un esempio in tal senso è 16 Cygni Bb. L'instabilità termica potrebbe portare a cicli di sublimazione e di deposito dell'acqua estremamente lunghi, con la conseguenza che la presenza dell'acqua potrebbe essere instabile e transitoria. La vita già evoluta potrebbe forse adattarsi, ma più difficile è la nascita della stessa, in simili condizioni. Le radiazioni e le variazioni di luminosità della stella possono influenzare la capacità dei pianeti all'interno della zona abitabile di trattenere l'acqua in superficie. Venere e Marte ad esempio possono aver sperimentato una perdita significativa e piuttosto rapida delle acque superficiali. Il vento stellare può contribuire alla perdita della pressione necessaria per mantenere l'acqua allo stato liquido, mentre la fotolisi può convertire l'acqua dell'atmosfera in gas leggeri. I due effetti potrebbe combinarsi e rimuovere completamente qualsiasi idrosfera da un pianeta. Inoltre, la radiazione elettromagnetica emessa dalle stelle madri può essere pericolosa per la vita sulla superficie di pianeti nella zona abitabile. Nel caso delle nane rosse, sono spesso soggette a brillamenti improvvisi che possono avere effetti particolarmente dannosi, ed è infatti oggetto di continua ricerca e dibattito l'abitabilità dei sistemi planetari delle nane rosse. Un pianeta può richiedere un meccanismo di difesa contro gli effetti dannosi che arrivano dallo spazio; la Terra ad esempio ha una combinazione di difese costituita da atmosfera, magnetosfera e cicli geologici e geofisici che le permettono di mantenere acqua liquida in superficie. Le stelle più piccole del Sole hanno zone abitabili molto più vicine alla stella e i pianeti orbitanti attorno ad essa dentro le loro zone abitabili sono sottoposti a forze mareali che potrebbero rimuovere l'inclinazione assiale, con la conseguente mancanza di stagioni. Questo porterebbe un pianeta ad avere poli più freddi e un equatore molto più caldo, e con il tempo l'acqua del pianeta potrebbe evaporare. Le forze mareali potrebbero indurre un pianeta alla rotazione sincrona, con la conseguenza che un emisfero sarebbe sempre all'ombra e uno sempre alla luce della stella, con un grosso squilibrio di temperatura da un emisfero ad un altro. Tuttavia, una luna extrasolare in orbita attorno a un gigante gassoso nella zona abitabile potrebbe avere un clima più stabile e favorevole per avere acqua liquida in superficie. In orbita attorno al pianeta, che non irradia energia al contrario della stella, la luce raggiungerebbe quasi tutta la superficie della luna mentre essa orbita attorno allo stesso pianeta. Come per un pianeta, la luna dovrebbe essere comunque relativamente massiccia per mantenere acqua liquida in superficie. Nel corso della vita di una stella, la zona abitabile può cambiare zona e distanza dalla stella madre. L'evoluzione stellare può essere la causa di un grande cambiamento climatico in un periodo di milioni di anni, e un pianeta potrebbe non essere più dentro la zona abitabile a distanza di tempo. La vita della zona abitabile dipende dal tipo di stella madre: la Terra, ad esempio, uscirà dalla zona abitabile tra circa un miliardo di anni, quando il Sole inizierà ad evolversi verso lo stadio di gigante rossa. Le zone abitabili possono rimanere stabili per molto più tempo attorno a stelle di piccola massa, e nel caso delle nane rosse, la zona abitabile può rimanere stabile per svariati miliardi di anni.
Approfondiamo: la fine del sistema solare
Escludendo qualche fenomeno imprevisto, si ipotizza che il sistema solare come lo conosciamo oggi durerà per altri 5 miliardi di anni circa. Via via che l'idrogeno al centro del Sole andrà esaurendosi, la zona interessata dalle reazioni nucleari tenderà a spostarsi progressivamente in una shell più esterna all'ormai inerte nucleo di elio, che invece inizierà a restringersi innalzando la temperatura e incrementando la velocità della fusione nel "guscio" circostante. Ciò farà lentamente crescere il Sole sia in dimensioni che in temperatura superficiale, e perciò anche in splendore. Quando il Sole avrà aumentato gradualmente la propria luminosità di circa il 10% oltre i livelli attuali, tra circa 1 miliardo di anni, l'aumento di radiazione renderà la superficie della Terra inabitabile a causa del calore e dalla perdita di anidride carbonica, che impedirà la fotosintesi delle piante, mentre la vita potrà ancora resistere negli oceani più profondi. In questo periodo è possibile che la temperatura della superficie di Marte aumenti gradualmente e l'anidride carbonica e l'acqua attualmente congelate sotto la superficie del suolo vengano liberate nell'atmosfera creando un effetto serra in grado di riscaldare il pianeta fino ad ottenere condizioni paragonabili a quelle odierne della Terra e fornendo una futura dimora potenziale per la vita. In circa 3,5 miliardi di anni, quando il Sole avrà incrementato il proprio splendore del 40% rispetto a quello odierno, le condizioni climatiche della Terra saranno simili a quelle che oggi caratterizzano Venere: gli oceani saranno evaporati, l'atmosfera attuale si sarà dispersa poiché l'alta temperatura avrà aumentato il grado di agitazione termica delle molecole del gas consentendo loro di raggiungere la velocità di fuga e di conseguenza la vita - nelle forme che oggi conosciamo - sarà impossibile. In circa 5,4 miliardi di anni, il Sole terminerà le riserve di idrogeno, il nucleo di elio proseguirà il collasso mentre il guscio esterno in cui continuerà a venire combusto l'idrogeno spingerà verso l'esterno, facendo dilatare e raffreddare la superficie della nostra stella. Il Sole si sarà quindi avviato verso l'instabile fase di gigante rossa, nel corso della quale sarà caratterizzato da immani dimensioni e una relativamente bassa temperatura fotosferica, caratteristica quest'ultima che gli conferirà un colore tendente al rosso. Il percorso verso tale stadio evolutivo sarà più evidente quando il Sole, tra circa 6,4 miliardi di anni, avrà triplicato la sua luminosità rispetto al valore attuale e raffreddato la sua superficie fino a circa 5000 K. A distanza di 11,7-12,21 miliardi d'anni dall'inizio della sua sequenza principale, il Sole manifesterà uno splendore 300 volte quello di oggi e una temperatura superficiale di 4000 K. La dilatazione continuerà ad un ritmo più rapido ed in circa 7,59 miliardi di anni da oggi il Sole si sarà espanso fino ad assumere un raggio 256 volte quello attuale (1,2 UA). Con l'espansione del Sole, Mercurio e Venere verranno inghiottiti. Il destino della Terra e forse di Marte è possibile che sia il medesimo, anche se ci sono alcuni studi che parlano di un allontanamento delle orbite planetarie dal Sole a causa della graduale perdita di massa di quest'ultimo. Durante questo periodo è possibile che corpi esterni in orbita attorno alla Fascia di Kuiper, su cui è presente ghiaccio, ad esempio Plutone e Caronte, possano raggiungere condizioni ambientali compatibili con quelle richieste dalla vita umana. Successivamente l'elio prodotto nell guscio cadrà nel nucleo della stella aumentandone la massa e la densità fino a che la temperatura non raggiungerà i 100 milioni di K, sufficienti per innescare la fusione dei nuclei di elio in nuclei di carbonio e ossigeno in quello che gli astronomi definiscono flash dell'elio. A questo punto il Sole dovrebbe contrarsi a una dimensione poco maggiore dell'attuale e consumare il proprio elio per circa altri 100 milioni di anni, in un nucleo avvolto da una sottile shell in cui seguiterà a bruciare l'idrogeno. Tale fase è detta del ramo orizzontale, in riferimento alla disposizione del diagramma H-R. Quando nel nucleo finirà anche l'elio, il Sole risponderà con una nuova contrazione, che causerà l'innesco della fusione dell'elio e dell'idrogeno in due strati esterni attorno al nucleo di carbonio ed ossigeno. Questo determinerà un ulteriore periodo di espansione in gigante rossa, nel corso del quale la stella consumerà l'elio e l'idrogeno negli strati più esterni per altri 100 milioni di anni. Entro 8 miliardi di anni il Sole sarà divenuto una gigante rossa AGB con dimensioni circa 100 volte quelle attuali, arrivando probabilmente a lambire l'orbita della Terra e a fagocitare il nostro pianeta. Dopo appena 100.000 anni, il Sole si lascerà sfuggire la sua rarefatta atmosfera, che avvolgendo il nucleo centrale si disperderà lentamente nello spazio interplanetario sotto forma di "supervento", dando origine a quella che si definisce una nebulosa planetaria. Sarà una transizione relativamente tranquilla, niente di paragonabile a una supernova, dato che la massa del nostro Sole è ampiamente insufficiente per arrivare a quel livello. Se vi saranno ancora terrestri per osservare il fenomeno, registreranno un massiccio incremento del vento solare, ma senza che questo provochi la distruzione del pianeta (se ancora esisterà). Ciò che infine resterà del Sole (il nucleo di carbonio e ossigeno) sarà una nana bianca, un oggetto straordinariamente caldo e denso, di massa circa metà di quella originale, ma compressa in un volume simile a quello della Terra. Visto dalla Terra apparirà come un punto di luce grande poco più di Venere ma dalla luminosità di centinaia di soli. Con la morte del Sole verrà indebolita la sua attrazione gravitazionale sugli altri oggetti del sistema solare; le orbite di Marte e degli altri corpi andranno espandendosi. La configurazione finale del sistema solare sarà raggiunta quando il Sole avrà completato la sua trasformazione in nana bianca: se la Terra e Marte esisteranno ancora, saranno, rispettivamente, su orbite approssimativamente simili a quelle a 1,85 e a 2,80 UA dal Sole. Dopo altri due miliardi di anni il nucleo del Sole, ricco di carbonio, inizierà a cristallizzare, trasformandosi in un diamante di dimensioni planetarie, destinato a spegnersi e cessare di splendere in qualche altro miliardo di anni, diventando una nana nera, ovvero una stella raffreddatasi a tal punto da risultare invisibile, al momento inesistente perché l'universo è troppo giovane per averne consentito il ciclo stellare.
La zona circumstellare abitabile considerava soltanto pianeti molto simili alla Terra, con una grande quantità d'acqua presente in forma liquida, ma, per un pianeta, mantenere una grande quantità d'acqua in forma liquida è una condizione "difficile", che dipende da una combinazione di molti fattori diversi, di cui il più importante è l'orbita entro una ben limitata distanza dalla sua stella: se è troppo distante l'acqua ghiaccia, se è troppo vicino evapora. Secondo un recente studio della NASA è più probabile trovare forme di vita su pianeti desertici come il pianeta Arrakis del romanzo Dune.[18] Un pianeta senza la presenza di oceani, ma ricoperto da vasti deserti asciutti e quindi con una elevata scarsità d'acqua, rispetto alla Terra, può permettere di ospitare forme di vita in una zona circumstellare molto più ampia rispetto ad un pianeta con molta acqua. Infatti se c'è meno acqua vuol dire che:
- se il pianeta è molto distante dal suo sole ci sarà anche meno neve e ghiaccio, pertanto una minor superficie del pianeta sarà bianca o molto chiara e quindi i raggi solari saranno riflessi verso lo spazio in una percentuale molto inferiore, causando un aumento della temperatura del pianeta. Questo permetterà di avere temperature più alte e appropriate alla vita anche molto oltre l'orbita terrestre;
- se il pianeta è vicino al suo sole, ci sarà meno acqua sotto forma di vapore presente in atmosfera e quindi si avrà un effetto serra limitato. Questo permetterà di avere temperature più basse e appropriate alla vita anche a distanze ridotte rispetto all'orbita terrestre.
Con varie simulazioni si è visto che un pianeta desertico può estendere la zona abitabile di tre volte rispetto a quella di un pianeta con molta acqua. Di contro avere poco acqua su un pianeta può portarla a disperdersi nel terreno rendendolo adagio adagio inabitabile.
Zona abitabile galattica
La posizione di un sistema planetario all'interno della galassia è fondamentale per lo sviluppo della vita, e ciò ha portato alla definizione di Zona galattica abitabile (GHZ), concetto sviluppato nel 1995 da Guillermo Gonzalez. La teoria circa l'abitabilità planetaria suggerisce che i sistemi stellari favorevoli alla vita devono trovarsi abbastanza vicino al centro galattico, dove si concentrano alti livelli di elementi pesanti, grazie ai quali possono originarsi pianeti rocciosi. Questo perché gli elementi pesanti sono necessari per la formazione di numerose molecole organiche: ad esempio, il ferro è necessario per formare l'emoglobina, e lo iodio, per le ghiandole endocrine, come la tiroide. D'altra parte, la vita a base di carbonio si trovererebbe più al sicuro lontano dal centro galattico: la maggior parte delle stelle del centro galattico sono vecchie, instabili, e molte sono stelle morenti, il che significa che la formazione stellare è minima nelle vicinanze del centro della Galassia e più difficile sarebbe la formazione di pianeti terrestri. Inoltre, un pianeta vicino al centro galattico è soggetto a vari elementi pericolosi per la vita, come un alto numero di impatti di comete e asteroidi e la frequente esplosione di supernovae, il cui effetto sugli organismi viventi ancora non è chiaro, anche se si presume che le radiazioni emesse rendano più difficoltosa la formazione di molecole complesse. Nel cuore della galassia si trova anche il massiccio buco nero centrale, in grado di risucchiare stelle e pianeti interi. Alcuni studi hanno dimostrato che nelle regioni ad alto contenuto di elementi pesanti, chiamati metalli, è molto alta la possibilità di individuare pianeti massicci orbitanti attorno alle proprie stelle a distanze ravvicinate, e questi pianeti, definiti gioviani caldi, potrebbero precludere l'esistenza di pianeti terrestri con orbite stabili nella zona abitabile della propria stella, a causa delle forze gravitazionali esercitate da essi. Attualmente è comunque molto difficile determinare con precisione quale sia la zona galattica abitabile. Nella nostra galassia (la Via Lattea), la zona galattica abitabile è, al momento, considerata estendersi ad una distanza di circa 25.000 anni luce (8 kiloparsec) dal centro galattico, contenente stelle con una età compresa tra i 4 e gli 8 miliardi di anni. Altre galassie, di composizione differente, possono avere una zona galattica abitabile più vasta o più ristretta, o non averla del tutto. Nel 2008, un team di scienziati ha pubblicato sull'Astrophysical Journal i risultati di una simulazione al computer riguardante le zone galattiche abitabili: essi suggeriscono che, almeno nelle galassie simili alla Via Lattea, stelle come il Sole possono migrare a grandi distanze, mettendo così in discussione l'idea che certe zone delle galassie siano più favorevoli a sostenere la vita rispetto ad altre.
Esopianeti abitabili
I pianeti abitabili si dividono in: I Pianeti abitabili in "zona conservativa" che sono potenzialmente abitabili durante gran parte della vita della stella attorno alla quale orbitano. Un esempio: la Terra. Inoltre, vi sono i Pianeti abitabili in "zona ottimistica" che sono potenzialmente abitabili solo durante alcune fasi della sequenza principale della stella. Un esempio: Kepler 62-e. In astronomia e astrobiologia, zona abitabile, e più precisamente, zona abitabile circumstellare o CHZ, è il termine scientifico per indicare la regione intorno ad una stella dove è teoricamente possibile per un pianeta mantenere acqua liquida sulla sua superficie. Il concetto è basato sulle condizioni favorevoli per la vita per come noi la conosciamo sulla Terra, dove l'acqua liquida è essenziale per tutte le forme di vita conosciute; quindi i pianeti in grado di avere acqua liquida in superficie sono considerati tra i più favorevoli per ospitare vita extraterrestre. "Zona abitabile" è talvolta usato più generalmente per indicare diverse regioni che sono considerate favorevoli alla vita, come ad esempio la zona galattica abitabile, termine coniato da Guillermo Gonzalez nel 1995, e che rappresenta la distanza di un pianeta dal centro galattico. Sono ben uno su quattro i sistemi planetari appena scoperti che potrebbe ospitare la vita complessa. È una conclusione cui sono giunti alcuni ricercatori dell'università di Princeton, costruendo al computer la simulazione di 85 sistemi planetari scoperti. I dati finora esistenti per questi sistemi planetari si riferiscono però solo ai grossi pianeti gassosi che, come Giove, esercitano una grande forza gravitazionale; quelli piccoli come la Terra non si possono vedere. Simulando però la struttura di questi sistemi planetari, gli astrofisici hanno scoperto che la "zona abitabile" (cioè la regione attorno alla stella in cui l'acqua rimane liquida, e quindi la vita è possibile) è presente in circa un quarto dei sistemi studiati. In questi sistemi, oltre alla presenza di una zona abitabile, i giganti gassosi devono essere molto lontani per non rischiare di mandare a pezzi i pianeti con la loro forza gravitazionale. Uno su quattro è una percentuale molto più elevata di quanto non si pensasse fino a qualche tempo fa; le possibili Terre sono quindi molto più probabili di quanto previsto. Gli studiosi mettono in guardia però che potrebbero esistere altri giganti gassosi lontani dalla stella, e che questi pianeti avrebbero la possibilità di influenzare l'orbita dei possibili gemelli della nostra Terra.
Esopianeti potenzialmente abitabili
- Teegarden b: Teegarden b è un esopianeta orbitante nella cosiddetta zona abitabile della stella di Teegarden, una nana rossa di classe M distante circa 12,5 anni luce dal sistema solare. Scoperto nel giugno del 2019, Teegarden b si colloca come l'esopianeta più simile alla Terra con un ESI di 0,93. Teegarden b è stato scoperto a giugno del 2019 grazie al telescopio di nuova generazione CARMENES situato all'Osservatorio di Calar Alto, in grado di trovare piccole variazioni nella velocità radiale anche nelle stelle di dimensioni ridotte. In precedenza sarebbe stato difficile rilevare il pianeta a causa della posizione e scarsa luminosità della Stella di Tee garden. Sono stati necessari 3 anni di ricerca e oltre 200 rilevazioni per scoprire i due pianeti, Teegarden b e Teegarden c. Teegarden b si colloca come il pianeta più interno nel sistema planetario della stella. Ha un periodo orbitale di 4,91 giorni e una composizione probabilmente simile al nostro pianeta, costituito quindi da rocce, con un nucleo probabilmente ferroso e presenza di acqua. Teegarden b è all'interno della zona abitabile "conservativa" della sua stella; riceve solo il 21% in più della radiazione che la Terra riceve dal Sole e la sua temperatura di equilibrio, che non tiene conto dell'effetto serra generato da una probabile atmosfera, è di 264 K, 9 k in più della temperatura di equilibrio della Terra. Gli scienziati del gruppo che hanno scoperto i due pianeti ritengono che abbia un 60% di possibilità di avere, in qualche punto della sua superficie, un temperatura effettiva compresa tra 0 e 50 °C, in media probabilmente vicina a 28 °C. Al 2019, ha il più alto indice di similarità terrestre tra gli esopianeti conosciuti (0,93); l'abitabilità dei sistemi planetari delle nane rosse rimane un problema discusso tra gli astronomi, per via di alcune criticità, come il fatto che a così breve distanza dalla stella un pianeta situato nella zona abitabile è probabilmente in rotazione sincrona, volgendo sempre lo stesso emisfero verso la stella madre. Inoltre, le nane rosse sono sovente soggette a violenti brillamenti che possono essere molto nocivi per lo sviluppo di forme di vita complesse. Tuttavia, la Stella di Teegarden, con un'età di circa 8 miliardi di anni, pare una nana rossa relativamente stabile e tranquilla, a differenza della più giovane Proxima Centauri, la stella più vicina alla Terra, che al contrario ha sovente mostrato violenti flare in grado di sterilizzare la superficie del pianeta scoperto nel 2016.
K2-72 e: K2-72 e, conosciuto anche con la denominazione EPIC 206209135.04, è uno dei quattro pianeti extrasolari scoperti in orbita attorno alla stella K2-72, distante 228 anni luce dal sistema solare e situata nella costellazione dell'Aquario. La scoperta del pianeta è stata confermata nel luglio 2016 grazie ai dati del telescopio spaziale Kepler durante la seconda parte della sua missione. Trattandosi di un pianeta relativamente piccolo, gli astronomi hanno potuto scoprire K2-72 e solo nel 2016 attraverso il telescopio spaziale Kepler. Da allora gli astronomi si sono soffermati soprattutto su di esso che sugli altri mondi del sistema, in quanto è quello che più sembra avere possibilità di ospitare la vita. L'orbita del pianeta è relativamente eccentrica, il semiasse maggiore è di 0,106 UA, impiega poco più di 24 giorni a compiere una rivoluzione e la vicinanza con la stella fa anche sì che K2-72 e sia probabilmente in rotazione sincrona, ovvero mostri al suo sole sempre la stessa faccia. Per via di questa caratteristica, il pianeta ha una faccia costantemente bruciata dal calore della stella e una perennemente avvolta nell'oscurità. Ciò fa sì che ci sia uno sbalzo termico di decine di gradi a seconda su quale faccia del pianeta ci si trovi. La massa non è nota, se avesse una composizione e densità simile a quella terrestre (5,5 g/cm³) sarebbe poco più del doppio di quella del nostro pianeta; si suppone comunque che con quel raggio sia composto principalmente da sostanze presenti anche nel nucleo della Terra, quali ferro, carbonio e roccia. Ciò fa presupporre che il pianeta sia anche provvisto di un potente campo magnetico simile a quello terrestre, e che quindi K2-72 e sarebbe protetto dalle radiazioni ad alta energia provenienti dalla sua stella madre. Il pianeta dovrebbe avere un raggio di circa 8000 km; pertanto si presuppone che la crosta sia spessa tra i 60 e i 100 km, ovvero molto simile alla crosta terrestre. Dopo di essa vi sarebbe, secondo la teoria, un grosso mantello, forse diviso, come sulla Terra, in mantello inferiore e mantello superiore, profondo tra i 1000 e i 2000 km secondo le stime. Infine vi sarebbe un nucleo centrale roccioso spesso circa 2000 km. K2-72 e potrebbe però essere anche simile a Mercurio, e quindi il mantello occuperebbe appena 300 o 500 km, mentre più di 3000 km sarebbero costituiti esclusivamente dal nucleo. Non possiamo sapere, inoltre, se il nucleo interno del pianeta è ancora attivo o si sia già spento, come è accaduto ad alcuni pianeti del Sistema Solare come Mercurio e Marte. In tal caso il campo magnetico sarebbe del tutto inesistente e perciò l'intero corpo celeste sarebbe cotto dalle radiazioni stellari provenienti dalla nana rossa intorno a cui orbita. Se invece ad essere spento fosse il mantello, allora la mancanza di vulcani attivi e quindi di immissioni di anidride carbonica nell'atmosfera provocherebbe un raffreddamento del pianeta in un tempo previsto tra i quindici e i venti milioni di anni. Tuttavia gli astronomi non temono molto questa ipotesi, in quanto il pianeta è molto simile alla Terra ed è quindi probabile che il suo nucleo ci impieghi molto a raffreddarsi. Tuttavia K2-72 e potrebbe anche essere un pianeta simile a Venere, coperto di un'atmosfera tossica e molto velenosa, ma le registrazioni di temperatura che vengono rilevate sul pianeta (con una media di circa 45 °C) sembrano smentire questa ipotesi (le temperatura di Venere superano i 489 °C). L'indice di similarità terrestre (ESI), che misura la somiglianza degli esopianeti rispetto alla Terra, è stimato in 0,90, uno dei più alti tra i pianeti conosciuti a fine 2019. Nonostante la rotazione sincrona non sia un fattore positivo per temperature medie adatte ad avere acqua liquida in superficie, e nonostante il pianeta riceva il 46% in più della radiazione che la Terra riceve dal Sole, è possibile che lungo le zone del terminatore la temperatura sia favorevole per l'esistenza dell'acqua liquida, con una temperatura di equilibrio che il Planetary Habitability Laboratory stima in 261 K (-12 °C). Questa zona sarebbe situata a metà tra la faccia illuminata del pianeta e quella oscurata. In questa sezione la stella sarebbe vista perennemente verso l'orizzonte, mentre ad occidente si avrebbe invece il cielo scuro della notte. Ivi la zona sarebbe costantemente coperta da stagni, fiumi e forse piccoli mari, e le precipitazioni atmosferiche la bombarderebbero continuamente, in quanto sarebbe l'unico punto in cui l'acqua contenuta nell'atmosfera riuscirebbe a cadere sotto forma di pioggia. Le piante potrebbero crescere facilmente e gli animali alternerebbero senza grandi difficoltà il giorno e la notte spostandosi da un lato all'altro del pianeta, in una differenza di circa cinquanta o cento chilometri. Il resto del pianeta sarebbe invece diviso in due : la faccia illuminata sarebbe probabilmente un deserto privo di vita, dovuto alla mancanza della notte, mentre la faccia nascosta sarebbe ghiacciata, forse ricca di ghiacciai lunghi migliaia di chilometri, a causa della mancanza del calore e della luce solare. È tuttavia possibile che i venti portino parte della temperatura della faccia illuminata alla faccia nascosta, mantenendola quindi in calore, ma la mancanza di luce impedirebbe comunque la presenza di piante a causa della mancanza della fotosintesi. Tuttavia queste idee potrebbero rivelarsi infondate : in quanto il pianeta è tutt'ora e si è sempre trovato in rotazione sincrona con la stella, è impossibile che esso presenti satelliti naturali intorno ad esso, in quanto la mancanza di una rotazione vorticosa li farebbe allontanare o schiantare sulla superficie. Pertanto l'asse orbitale di K2-72 e potrebbe essersi in milioni di anni inclinato incontrollatamente a causa della mancanza della gravità di una grande luna fino a raggiungere un'inclinazione di 90°. Ciò farebbe sì che il pianeta, girando come una trattola, mostri una delle sue faccia alla stella per dodici giorni e l'altra per altri dodici. Nonostante il periodo relativamente lungo, esso sarebbe comunque sufficiente a permettere all'acqua liquida di essere presente sia ai poli che all'equatore e consentirebbe alla vita di svilupparsi su tutta la sua superficie. Tuttavia, la stella K2-72, intorno alla quale orbita il pianeta, potrebbe essere una stella a brillamento e quindi lanciare costantemente flussi giganteschi di particelle stellari verso K2-72 e, causando rapidamente tumori e mutazioni alle forme di vita e probabilmente la loro morte. Anche con un campo magnetico le possibilità di sopravvivenza sarebbero molto ristrette, e per resistere a queste potenti scariche la vita dovrebbe evolversi in modi a noi sconosciuti. Pertanto, l'abitabilità del pianeta sarà confermata solo quando si scoprirà che tipo di stella sia K2-72.
Gliese 3323 b: Gliese 3323 b è un pianeta extrasolare che ruota attorno alla stella nana rossa Gliese 3323, distante 17,4 anni luce dalla Terra. È stato scoperto con il metodo della velocità radiale nel marzo 2017 tramite lo spettrografo HARPS dell'Osservatorio di La Silla, in Cile. Situato nella zona abitabile della propria stella, secondo il Planetary Habiltability Laboratory dell'Università di Porto Rico ad Arecibo, al momento della scoperta era il pianeta più simile alla Terra assieme a K2-72 e, con un indice di similarità terrestre di 0,90, poi superato dalla scoperta di Teegarden b. Il pianeta orbita attorno alla sua stella in poco più di 5 giorni, ad appena 5 milioni di chilometri, tuttavia essendo Gliese 3323 molto meno luminosa del Sole, l'esopianeta riceve solo il 21% in più della radiazione totale che la Terra riceve dal Sole. La massa del pianeta è circa il doppio di quella terrestre, e la sua temperatura di equilibrio, assumendo un'albedo come quella della Terra (0,3), è di circa 264 K.
Trappist-1 d: TRAPPIST-1 d è un pianeta extrasolare che orbita attorno alla stella TRAPPIST-1, una fredda nana rossa situata a circa 40 anni luce dalla Terra, in direzione della costellazione dell'Aquario. Scoperto nel 2016, quando vennero annunciati 3 pianeti in orbita alla stella, nel febbraio del 2017 ne sono state ricalcolate le caratteristiche, dopo nuovi studi che hanno portato alla scoperta di altri quattro pianeti attorno a TRAPPIST-1. Meno massiccio e un po' più piccolo della Terra, si presume che sia di natura rocciosa, e che sia situato nella zona abitabile della stella. Secondo il Planetary Habitability Laboratory (PHL) dell'Università di Porto Rico ad Arecibo il suo indice di similarità terrestre è di 0,90, il più alto tra tutti gli esopianeti noti al tempo della scoperta (poi ridotto a 0,89). Sempre il PHL stima che la sua temperatura di equilibrio planetaria, che non tiene conto dell'atmosfera e dell'eventuale effetto serra che essa potrebbe innescare, sia di 264 K (-9 °C), assumendo che abbia un'albedo simile a quella della Terra (0,3). Considerando che riceve un flusso radiante leggermente superiore di quello che riceve la Terra dal Sole, è possibile che durante la formazione possano essere fotoevaporati parte degli oceani eventualmente presenti, tuttavia a differenza dei pianeti più interni, nel caso di TRAPPIST-1d la perdita d'acqua potrebbe essere stata nettamente minore, e potrebbe aver conservato le condizioni per la presenza di acqua liquida sulla superficie. Studi del 2018 hanno stimato una massa minore che al momento della scoperta, circa il 30% di quella terrestre, con un raggio del 77%, quindi una densità minore di quella terrestre, che potrebbe indicare la presenza di grosse quantità di acqua allo stato liquido sotto forma di oceani. Lo stesso studio suggerisce che il pianeta abbia una quantità relativa di acqua 250 volte quella della Terra, e il flusso radiante è solo del 4% superiore a quello che riceve la Terra dal Sole.
Gliese 1061 c: Gliese 1061 c è un pianeta extrasolare in orbita attorno alla stella Gliese 1061, una nana rossa distante 12 anni luce dal sistema solare. Scoperto assieme ad altri due pianeti nel 2019 con il metodo della velocità radiale attraverso lo strumento HARPS dell'ESO,[1] il pianeta è una super Terra e si trova nella zona abitabile della sua stella. Secondo il Planetary Habitability Laboratory dell'Università di Portorico ad Arecibo, a gennaio 2020 il suo indice di similarità terrestre (0,88) è il quinto tra i pianeti che orbitano nella zona abitabile conservativa della propria stella. Non essendo stato osservato un transito, del pianeta è nota solo la massa minima, che risulta essere del 75% superiore a quella terrestre; dovrebbe quindi trattarsi di una super Terra con superficie rocciosa. Orbita in 6,7 giorni ad appena 0,035 UA dalla stella, ossia poco più di 5 milioni di chilometri, tuttavia data la bassa luminosità di Gliese 1061, che è un millesimo di quella del Sole, riceve solo il 35% in più della radiazione che riceve la Terra dal Sole. La sua temperatura di equilibrio è stata stimata essere di circa 275 K, 20 gradi in più della temperatura di equilibrio della Terra.
TRAPPIST-1 e: TRAPPIST-1 e è un pianeta extrasolare, di tipo roccioso, che orbita intorno alla stella nana rossa ultrafredda TRAPPIST-1, distante circa 40 anni luce dal Sole. È il quarto dei sette pianeti che orbitano intorno alla stella. Il 22 febbraio 2017 la NASA annuncia mediante una conferenza la scoperta, attraverso il metodo del transito, di 4 nuovi pianeti che orbitano attorno a TRAPPIST-1, i primi tre (b; c; d) già annunciati nel maggio del 2016, formando un totale di sette pianeti, tra cui TRAPPIST-1 e. Il primo transito di quest'ultimo davanti alla propria stella era stato già rilevato nell'ottobre del 2015, ma non fu subito riconosciuto come un nuovo pianeta. I telescopi utilizzati per rilevare TRAPPIST-1 e e gli altri tre pianeti scoperti più recentemente sono: TRAPPIST, Spitzer Space Telescope, Very Large Telescope, UKIRT, Liverpool Telescope e il William Herschel Telescope.
Approfondiamo: TRAPPIST-1
TRAPPIST-1, nota anche come 2MASS J23062928-0502285, è una stella nana rossa ultrafredda di classe spettrale M8, distante 39,5 anni luce dal sistema solare, osservabile nella costellazione dell'Aquario. Attraverso studi resi noti nel maggio 2016 e nel febbraio 2017 è stata annunciata la scoperta, tramite il metodo del transito, di sette esopianeti di dimensioni terrestri orbitanti attorno ad essa. TRAPPIST-1 è una piccola nana rossa che ha l'8% della massa del Sole, appena al di sopra del limite che le consente di innescare la fusione dell'idrogeno da convertire in elio al suo interno. La sua temperatura effettiva è di appena 2550 K, rispetto ai 5778 del Sole e il suo raggio è del 12% rispetto a quello solare. Non è chiara l'età della stella, in qualche pubblicazione la si è descritta come relativamente giovane (500 milioni di anni), altri studi, come quello di Luger et al. collocano la sua età compresa tra 3 e otto miliardi di anni, infine, Adam J. Burgasser e Eric E. Mamajek stimano l'età in 7,2±2,2 miliardi di anni combinando vari fattori quali l'abbondanza di litio, la velocità di rotazione, la cinematica, la metallicità e l'attività stellare. In ogni caso data la piccola massa TRAPPIST-1 vivrà molto più a lungo di una stella di tipo solare (10 miliardi di anni), rimanendo in sequenza principale anche per oltre un bilione di anni. La stella venne osservata per la prima volta nel 1999 da John Gizis dell'Università del Delaware nell'ambito del programma di ricerca 2MASS ricevendo la denominazione del catalogo 2MASS. Nel 2015 un gruppo di astronomi, guidati da Michaël Gillon dell'Institut d'Astrophysique et de Géophysique presso l'Università di Liegi in Belgio, ha scoperto con il telescopio TRAPPIST dell'Osservatorio di La Silla, nel deserto di Atacama in Cile, tre esopianeti utilizzando il metodo fotometrico dei transiti. Il gruppo ha effettuato le osservazioni da settembre a dicembre 2015, e pubblicato i risultati a maggio 2016. Il 22 febbraio 2017 la NASA ha annunciato di aver scoperto altri 4 esopianeti attorno alla stella grazie al telescopio spaziale infrarosso Spitzer, portando a 7 il numero totale dei pianeti del sistema, di cui almeno tre (e, f, g) si trovano nella zona abitabile. La configurazione planetaria di TRAPPIST-1 suggerisce che questi pianeti si siano formati in altre regioni del sistema, più lontani alla stella madre, e che solo successivamente siano migrati verso l'interno. Uno studio canadese pubblicato a maggio 2017 ha evidenziato una forte catena di risonanze orbitali che contribuisce a mantenere il sistema estremamente stabile.
- Gliese 667 Cf: Gliese 667 Cf è un pianeta extrasolare che orbita intorno alla nana rossa di classe M Gliese 667 C, nella costellazione dello Scorpione. La scoperta è avvenuta nel giugno 2013. Il pianeta orbita ad una distanza media di 0,156 UA dalla stella madre, più piccola e fredda del Sole, e si trova all'interno della zona abitabile. Il periodo di rivoluzione del pianeta, una super Terra con una massa che è circa il doppio di quella della Terra, è di 39 giorni. Si calcola che la radiazione ricevuta dal pianeta sia circa l'85% di quella che la Terra riceve dal Sole e la sua temperatura di equilibrio, con un'albedo simile a quelle terrestre, è stimata essere di 245 K, 10 gradi in meno della temperatura di equilibrio della Terra (255 K).
Il suo indice di similarità terrestre, pari a 0,87, lo colloca al sesto posto tra i pianeti potenzialmente più simili alla Terra.
Proxima b: Proxima Centauri b (chiamato anche Proxima b) è un pianeta extrasolare in orbita nella zona abitabile della nana rossa Proxima Centauri (componente C del sistema Alfa Centauri che si trova nella costellazione del Centauro). Proxima Centauri, distante dalla Terra 4,224 anni luce[3], è la stella più vicina al Sistema Solare e questo rende Proxima b l'esopianeta conosciuto più vicino possibile alla Terra e, a maggio 2020, quello con l'ottavo ESI (indice di similarità terrestre) più alto tra tutti gli esopianeti conosciuti (0,87). La scoperta è stata resa possibile da osservazioni della velocità radiale di α Centauri C attraverso lo spettrografo HARPS, montato sul telescopio da 3,6 m di diametro presso l'Osservatorio di La Silla dello European Southern Observatory (ESO), condotte dal 2013 al 2016 da un gruppo di astronomi afferenti alla Queen Mary, University of London a seguito di una campagna osservativa denominata Pale Red Dot. L'annuncio della sua scoperta è stato dato il 24 agosto 2016 con un resoconto scientifico pubblicato online dalla rivista Nature, con Guillem Anglada-Escudé quale primo firmatario. Il pianeta è stato scoperto attraverso il metodo delle velocità radiali, rilevando le variazione prodotte dall'effetto Doppler nello spettro di α Centauri C. Grazie alla precisione di HARPS sono state rilevate variazioni corrispondenti a velocità radiali di 5 km/h. Data la piccola massa della stella madre e i relativi modelli disponibili per stelle di questo tipo, non sembra plausibile l'ipotesi che un pianeta come Proxima Centauri b si sia formato nella sua attuale posizione, ed è più probabile che abbia avuto origine in un'altra zona del sistema e che solo successivamente sia migrato nella sua orbita attuale. In caso contrario dovrebbero essere rivisti gli attuali modelli sulla formazione planetaria. Proxima Centauri b orbita a 0,05 au dalla sua stella, un ottavo circa della distanza che separa Mercurio dal Sole, all'interno della zona abitabile del sistema, compiendo un'orbita completa in 11,186 giorni (11 giorni, 4 ore, 27 minuti e 50,4 secondi). È probabile che sia in rotazione sincrona a causa della prossimità con la sua stella. Per la sua massa è stato stimato un limite inferiore di 1,17 masse terrestri. Per una stima più accurata sarebbe necessario conoscere il valore della sua inclinazione orbitale, per ora incognito. Il 90% delle possibili orientazioni comportano una massa del pianeta comunque inferiore a 3 masse terrestri. Non è noto con precisione il raggio, in quanto non è stato osservato nessun transito del pianeta davanti alla propria stella madre, tuttavia esso dovrebbe essere compreso tra 0,94 e 1,4 volte il raggio terrestre. Se il pianeta fosse roccioso e con una densità simile a quella della Terra, la sua dimensione potrebbe essere il 10% maggiore di quella terrestre. Rimangono sconosciute composizione e condizioni atmosferiche, dal momento che non sono stati osservati suoi transiti. La sua massa suggerisce possa trattarsi di un pianeta terrestre, nel caso il suo raggio sia attorno ai valori terrestri, mentre nel caso della stima più elevata (1,4 R⊕) è probabile che esso sia completamente ricoperto da un unico oceano profondo 200 km. In quest'ultimo caso si tratterebbe dunque di un pianeta oceano. Proxima b riceve dalla sua stella all'incirca il 65% del flusso luminoso totale che la Terra riceve dal Sole, anche se la maggior parte del flusso elettromagnetico proveniente da una fredda nana rossa è nell'infrarosso, e nella banda della luce visibile il pianeta riceve solo il 2% della radiazione che la Terra riceve dal Sole, e la luminosità sul pianeta non sarebbe visualmente mai superiore a quella di un crepuscolo terrestre. Tuttavia riceve anche circa 400 volte il flusso di raggi X che la Terra riceve dal Sole. La sua temperatura di equilibrio planetaria è stata stimata essere 234 K (−39 °C), tuttavia a causa della forte escursione termica tra la faccia perennemente illuminata e quella in ombra è probabile che esista una zona intermedia in cui sia possibile la presenza di acqua allo stato liquido.
Abitabilità del sistema planetario di una nana rossa
La determinazione dell'abitabilità dei sistemi planetari delle nane rosse può aiutare a rivelare come la vita extraterrestre possa eventualmente esistere, dato che le nane rosse sono il tipo di stelle più diffuso all'interno della nostra e probabilmente di tutte le galassie. I fattori critici per l'abitabilità planetaria includono la relativamente bassa energia proveniente dalla stella madre, che riduce le fasce della zona abitabile, la possibilità di pianeti marealmente bloccati e quindi indotti alla rotazione sincrona e la forte variabilità della stella[1]. Questa combinazione di fattori indica che le probabilità di vita su pianeti attorno a nane rosse sia sensibilmente minore rispetto a stelle di classe G, come il Sole. Tuttavia, l'ubiquità e la longevità delle nane rosse sono fattori estremamente positivi che suggeriscono che l'esistenza di pianeti abitabili attorno a questo tipo di stelle siano eventi tutt'altro che rari. Basandosi sui dati pubblici del telescopio spaziale Kepler, nel 2013 alcuni astronomi del Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics hanno stimato una statistica in base alla quale il 6% delle nane rosse della nostra galassia avrebbe almeno un pianeta abitabile. Considerando che le nane rosse nella nostra galassia sono decine di miliardi, il numero di pianeti potenzialmente abitabile in orbita attorno a nane rosse è estremamente elevato. Le nane brune sono probabilmente ancor più numerose delle nane rosse; tuttavia, non sono in genere classificate come stelle, né potrebbero aiutare a sostenere la vita così come noi la intendiamo, dato che emettono una bassissima quantità di energia. Le nane rosse sono le stelle più piccole e fredde e anche le più diffuse. Stime sulla loro abbondanza vanno dal 70% al 90% delle stelle della nostra Galassia. Il termine "nana" si applica in realtà a tutte le stelle di sequenza principale, fra le quali il Sole. Le nane rosse sono, secondo la classificazione stellare, di tipo M e delle ultime classi del tipo K, ed emettono una luce rossa; le nane rosse più vicine a noi, Proxima Centauri e la Stella di Barnard, nonostante siano molto più vicine delle altre stelle che noi vediamo, non sono visibili ad occhio nudo. Per molti anni gli astronomi hanno scartato l'ipotesi che le nane rosse possano favorire la vita: a causa delle loro piccole dimensioni (da 0,1 a 0,6 masse solari) le loro reazioni di fusione nucleare procedono in modo molto lento, emettendo così una luce molto debole (dal 3% di quella prodotta dal Sole fino ad appena lo 0,01%). Un pianeta in orbita attorno a queste stelle dovrebbe trovarsi molto in prossimità della sua stella madre per poter godere di condizioni climatiche simili a quelle terrestri: da 0,3 UA (poco all'interno dell'orbita di Mercurio) per stelle come Lacaille 8760 ad appena 0,032 UA per una stella come Proxima Centauri (un pianeta così vicino avrebbe un'orbita di appena 6,3 giorni). A queste distanze, la gravità della stella potrebbe causare un blocco mareale, vale a dire il pianeta mostrerebbe alla sua stella sempre la stessa faccia, come accade con la Luna attorno alla Terra. Che un pianeta sia abitabile o meno dipende in parte anche dalla presenza o meno di un'atmosfera che causi sulla superficie un effetto serra e, se presente, dall'entità dell'effetto serra stesso. Alla parte sempre illuminata del pianeta si contrapporrebbe una parte sempre in ombra, per cui le condizioni sarebbero di caldo infernale nella parte illuminata e di freddo polare in quella sempre al buio, a meno che l'atmosfera planetaria non sia sufficientemente spessa da consentire un transito di energia verso la parte in ombra. D'altra parte, un'atmosfera troppo spessa sarebbe in grado di bloccare i raggi della stella, non permettendo la fotosintesi. Questo pessimismo è stato stemperato dalle ricerche; studi più moderni da parte della NASA hanno mostrato che un'atmosfera planetaria (assumendo che vi si trovino anche gas serra come CO2 e H2O), per essere in grado di portare il calore verso la parte non illuminata del pianeta, può essere anche solo del 10% più spessa di quella terrestre (ovvero con una pressione superiore di 100 millibar).[6] Questo livello sarebbe ancora sufficiente per la realizzazione della fotosintesi, comunque l'acqua resterebbe ghiacciata nella parte oscura del pianeta, secondo alcuni modelli teorici. L'acqua di mare potrebbe essere allo stato liquido se il fondale marino fosse abbastanza profondo da lasciare sufficiente spazio fra gli strati idrici superficiali, ghiacciati, e le parti inferiori, che resterebbero liquide, non diversamente da come avviene ai poli terrestri. La liquidità delle masse d'acqua sarebbe favorita dall'eventuale presenza di sorgenti geotermiche. Si è ipotizzato che persino le piante superiori possano sopravvivere sviluppando la fotosintesi anche in pianeti marealmente bloccati. Diversi astronomi che hanno effettuato simulazioni al computer ritengono che nei pianeti in blocco mareale attorno a nane rosse la vita sia possibile lungo il terminatore. Se provvisto di atmosfera e sufficiente acqua, questa evaporerebbe dall'emisfero diurno e verrebbe trasportata dai venti in quello notturno, dove congelerebbe. Tuttavia lo scambio di calore causato dai venti e la pressione dei ghiacci accumulati nell'emisfero oscuro farebbe sciogliere parte dell'acqua lungo il terminatore, consentendo l'esistenza di una fascia abitabile dove l'acqua liquida potrebbe scorrere in fiumi che, addentrandosi nell'emisfero diurno evaporerebbero, continuando il ciclo. Le dimensioni non sono l'unico fattore che renderebbero le nane rosse potenzialmente inadatte a sostenere la vita. Su un pianeta orbitante attorno ad una di queste stelle, la fotosintesi avrebbe forti limiti di territorio, in quanto sarebbe impossibile che essa avvenga nella parte in ombra del pianeta; nella parte esposta invece, poiché la stella sarebbe sempre presente in cielo nello stesso punto, le aree in ombra a causa della morfologia del territorio (rilievi, depressioni, spaccature) resterebbero sempre in ombra. La fotosintesi come noi la intendiamo sarebbe inoltre complicata dal fatto che una nana rossa produce la gran parte della sua radiazione nell'infrarosso, mentre sulla Terra il processo dipende dallo sfruttamento della luce visibile. Su questo tipo di pianeti servirebbero pertanto sei fotoni per scindere la molecola dell'acqua, a fronte di due necessari sulla Terra, a causa del loro basso livello di energia media. Dovendosi adattare al tipo di spettro per ricevere la massima quantità di energia, il fogliame di ipotetiche piante viventi in un pianeta di questo tipo dovrebbe probabilmente apparire nero. Le nane rosse sono molto più variabili e turbolente rispetto alle stelle più grandi; sulla Terra la vita si è adattata a livelli di variazioni meno estremi e può sopravvivere in ibernazione, come pure nelle profondità marine, dove le temperature anche durante l'inverno restano relativamente stabili. Nell'eventualità in cui anche l'intera superficie oceanica ghiacciasse, il colore del ghiaccio rifletterebbe verso l'esterno il calore ricevuto dal pianeta, trasformandolo in una sorta di Terra "palla di neve". Talvolta, come nel caso di Proxima Centauri, le nane rosse sono soggette ad improvvisi brillamenti che ne raddoppiano la luminosità nel giro di pochi minuti.[12] Queste variazioni potrebbero essere molto pericolose per la vita, potendo influenzare e disgregare le molecole organiche complesse destinate a formare le basi della vita. I brillamenti potrebbero inoltre spazzare via parti rilevanti dell'atmosfera planetaria, la quale potrebbe essere protetta soltanto da un forte campo magnetico, causato da una forte rotazione del pianeta. Ma i pianeti marealmente bloccati hanno un periodo di rotazione molto lento, coincidente con quello di rivoluzione attorno al proprio astro. Si ritiene peraltro che i brillamenti più violenti avvengano solo nel primo periodo di vita delle nane rosse, ossia entro i primi 1,2 miliardi di anni. Se un pianeta formatosi in orbite più esterne, che quindi non sia mai stato influenzato dai brillamenti, migrasse verso un'orbita interna in una fase successiva, la vita avrebbe una possibilità di evolversi. La vita inizialmente potrebbe proteggersi dalle radiazioni restando sott'acqua fino a quando la stella non abbia concluso le sue fasi di instabilità iniziali. Una volta raggiunta la terraferma, la bassa percentuale di raggi ultravioletti prodotta dalla nana rossa farebbe sì che la fascia di ozono non sia indispensabile. Altri scienziati non credono invece che le nane rosse possano sostenere la vita, in particolare coloro che favoriscono l'ipotesi della rarità della Terra, in quanto il blocco mareale e le espulsioni di massa coronali sottoporrebbero l'atmosfera planetaria ad una forte erosione, spazzandola via e rendendo il pianeta completamente inabitabile. C'è tuttavia un vantaggio molto importante per eventuali forme di vita ospitate nei sistemi delle nane rosse: le stelle di questo tipo sono molto longeve. Ci sono voluti 4,5 miliardi di anni prima che l'uomo apparisse sulla Terra, mentre la vita che noi conosciamo ha sperimentato le migliori condizioni soltanto da mezzo miliardo di anni.[16] Le nane rosse possono invece avere una vita stabile lunga diversi miliardi di anni, poiché le reazioni nucleari sono molto più lente rispetto alle stelle più grandi. Inoltre, se è vero che trovare un pianeta nella zona abitabile di una specifica nana rossa è una possibilità molto esigua, è anche vero che la somma totale delle aree abitabili di tutte le nane rosse è uguale alla somma di tutte le aree abitabili attorno a stelle come il Sole. Un'altra possibilità di vita attorno alle nane rosse potrebbe darsi in un lontano futuro, quando esaurito l'idrogeno interno queste si evolvono in nane blu. In questo stadio esse sono più luminose e pianeti che precedentemente erano completamente congelati potrebbero avere un clima confortevole per diversi miliardi di anni (5 miliardi di anni per una stella di 0,16 M⊙), il che darebbe alla vita l'opportunità di evolversi.
Anche l'abitabilità dei sistemi planetari delle nane arancioni è oggetto di studio per gli esperti di astrofisica, astrobiologia e esoplanetologia. Le nane arancioni, o stelle di classe K V, sono stelle che per massa, raggio e luminosità si situano a metà strada tra le nane gialle come il Sole e le nane rosse, e potrebbero essere ottime candidate per ospitare pianeti adatti alla vita extraterrestre, con diversi vantaggi rispetto all'abitabilità dei pianeti che orbitano attorno alle nane rosse, e anche alcuni vantaggi rispetto alle stelle come il Sole. Queste stelle rimangono stabili nella sequenza principale più a lungo del Sole, concedendo più tempo perché la vita possa formarsi e svilupparsi su un pianeta attorno ad esse. Le nane arancioni emettono radiazioni nello spettro dei raggi non-UV sufficienti a fornire una temperatura che permetterebbe all'acqua liquida di esistere sulla superficie di un pianeta situato nella zona abitabile. Inoltre, dipendendo anche dalla grandezza, le zone abitabili attorno a queste stelle sono sufficientemente lontane perché un pianeta non vada in rotazione sincrona, rivolgendo sempre lo stesso emisfero verso la stella, come capita spesso invece per i pianeti orbitanti attorno a piccole nane rosse. Inoltre, la maggior distanza mette maggiormente al riparo i pianeti da improvvisi e violenti brillamenti, peraltro più frequenti nelle stesse nane rosse. Rispetto alle analoghe solari invece, queste stelle hanno il vantaggio di emettere meno radiazione ultravioletta e raggi X, solitamente nocivi per la vita, e questo, unito al loro ciclo vitale, le rende ottime candidate per la ricerca di forme di vita aliene. A seconda della loro massa, le nane arancioni hanno una temperatura compresa tra 3 500 a 5 000 K e una massa da 0,6 a 0,9 masse solari. Dato che la speranza di vita di una stella è inversamente proporzionale alla sua massa e alla sua luminosità, una nana arancione può rimanere nella sequenza principale da 20 a 40 miliardi di anni, contro i 10 miliardi di anni del ciclo vitale del Sole. Dopo le numerosissime nane rosse, le stelle di tipo K sono le seconde più comuni nell'universo, con una percentuale del 9% sulla popolazione totale di stelle, e sono 3-4 volte più comuni delle nane gialle come il Sole. La zona abitabile attorno ad una nana arancione va mediamente da 0,3 a 1 UA, anche se potrebbe essere un po' più ampia, soprattutto verso l'esterno, e varia comunque in funzione delle dimensioni e della luminosità della stella. Mentre per una stella di classe K5 e 0,64 R☉ la zona abitabile va da 0,342 a 0,67 UA, per una stella di tipo K0 e 0,83 R☉ va da 0,604 a 1,188 UA. A quelle distanze difficilmente un pianeta avrebbe una rotazione sincrona per effetti mareali, e sarebbe sufficientemente lontano da deleterie espulsioni di massa coronali della sua stella, anche se, rispetto alle nane rosse, le nane arancioni sono generalmente più stabili. Nelle loro fasi iniziali, le stelle di classe M hanno macchie in superficie che possono ridurre la loro luminosità del 40% per diversi mesi, mentre i flare improvvisi possono duplicarne la luminosità in pochi minuti. Specialmente verso il bordo esterno della zona abitabile, i pianeti attorno a nane arancioni riceverebbero una quantità giusta di radiazioni per poter avere acqua liquida in superficie, senza ricevere un eccesso di radiazione ultravioletta che potrebbe spazzar via la loro atmosfera. Nonostante le stelle simili al Sole abbiano in passato ricevuto maggiori attenzioni dai cacciatori di esopianeti, nuove ricerche hanno suggerito che attorno alle nane arancioni potrebbero esistere i migliori pianeti candidati ad ospitare la vita. Nel 2014, gli astrofici René Heller e John Armstrong hanno suggerito che potrebbero esistere pianeti più abitabili della Terra, i cosiddetti pianeti superabitabili. Una delle caratteristiche di questi pianeti è che appartengano ad un sistema di una nana arancione. Secondo i loro studi le nane arancioni hanno migliori livelli, per la vita, di emissione di radiazioni. Tutte le stelle passano per un periodo iniziale della loro vita di intensa attività, con repentini cambi di luminosità e di attività, la cui durata è inversamente proporzionale alla loro massa. Per una stella gialla come il Sole questo periodo dura all'incirca 500 milioni di anni, mentre una nana rossa può rimanere in questa fase fino a 3 miliardi di anni. Dopo questo periodo, le stelle rimangono relativamente stabili per il resto della loro vita nella sequenza principale. Nelle nane rosse il lungo periodo di intensa radiazione potrebbe far disperdere l'atmosfera di pianeti posti nella zona abitabile, e la loro radiazione ultravioletta sarebbe troppo bassa per permettere la sintesi di alcuni biocomposti essenziali. Al contrario, rispetto alle nane gialle, le nane arancioni hanno un più lungo periodo di attività iniziale con intensa attività ultravioletta, tuttavia molto più breve rispetto alle nane rosse, e nello stesso tempo, quando si stabilizzano, emettono meno radiazioni del Sole, comunque sufficienti per sostenere i processi chimici necessari per la vita, ma con il vantaggio che eventuali organismi viventi probabilmente non avrebbero bisogno di protezione come gli organismi terrestri, protetti anche dalla cappa di ozono dell'atmosfera terrestre e dal suo campo magnetico. Alcuni scienziati del SETI e della NASA hanno formulato l'ipotesi che il processo della fotosintesi sia possibile anche su pianeti attorno a nane rosse. Il colore delle piante, che varia in funzione della radiazione ricevuta, su un pianeta attorno ad una nana arancione potrebbe essere arancio o rosso.
Pianeti superabitabili
Un pianeta superabitabile è un tipo ipotetico di esopianeta che potrebbe essere più adatto della Terra per l'origine e l'evoluzione della vita. Il concetto è stato introdotto nel 2014 dagli astrofisici René Heller e John Armstrong, che hanno criticato l'approccio antropocentrico nella ricerca di pianeti abitabili, suggerendo che la Terra o un analogo terrestre non rappresenti l'abitabilità planetaria ottimale per supportare la massima biodiversità. In altre parole, definiscono superabitabile un pianeta terrestre o una esoluna che potrebbe supportare una flora e fauna più variegata di quella presente sulla Terra. Heller e Armstrong sottolineano anche che non tutti i pianeti rocciosi situati nella zona abitabile abbiano le condizioni adatte per essere effettivamente abitabili, poiché potrebbero soffrire di un effetto serra, creato da una densa atmosfera, che alzerebbe notevolmente la temperatura superficiale, mentre potrebbero essere abitabili alcuni corpi situati al di fuori della zona abitabile, poiché la rotazione sincrona potrebbe renderli vivibili, in maniera simile a come accade su Europa, che si presume ospiti un oceano al di sotto della sua superficie ghiacciata. Heller e Armstrong propongono di stabilire un profilo per gli esopianeti che tenga conto del tipo stellare, della massa e della posizione nel loro sistema planetario, e altre caratteristiche, suggerendo anche che questi pianeti sarebbero più comuni degli analoghi terrestri. Secondo gli autori, tali mondi superabitabili sarebbero probabilmente più grandi, più caldi e più vecchi della Terra e in orbita a stelle di tipo K di sequenza principale. Al 2016, nessun pianeta extrasolare confermato è considerato superabitabile. Heller e Armstrong hanno proposto che i pianeti o i satelliti superabitabili debbano riunire una serie di caratteristiche di base per essere definiti tali. I loro studi concludono che corpi con 2 masse terrestri e un raggio 1,3 volte quello terrestre hanno le giuste dimensioni per sviluppare un'ottimale tettonica delle placche. Inoltre, con quella massa hanno una maggiore attrazione gravitazionale che aumenta la ritenzione dei gas durante la formazione del pianeta, ed è quindi probabile che abbiano un'atmosfera più densa in grado di offrire una maggiore concentrazione di ossigeno e gas serra, che a loro volta aumentano la temperatura media a circa 25 °C, un livello ottimale per la vita vegetale. Un'atmosfera densa può anche influenzare i rilievi superficiali, rendendoli più regolari e diminuendo la dimensione dei bacini oceanici, migliorando la diversificazione della vita marina in acque poco profonde. Altri fattori da considerare sono il tipo di stella madre: le nane arancioni, o stelle di tipo K di sequenza principale, sono meno massicce del Sole, e sono stabili nella sequenza principale per tempi molto lunghi (da 15 a 30 miliardi di anni, rispetto ai 10 miliardi del Sole), dando più tempo perché la vita abbia origine e possa evolversi. Un mondo superabitabile richiede anche di essere situato vicino al centro della zona abitabile del suo sistema, per lunghi periodi di tempo. Un pianeta extrasolare con un volume maggiore di quello della Terra, oppure con una superficie più complessa, o maggiormente coperta di acqua liquida, potrebbe essere più accogliente della Terra per ospitare la vita. Poiché il volume del pianeta tende ad essere correlato alla sua massa, più massiccio è, maggiore è la sua forza gravitazionale, da cui può derivare un'atmosfera più densa. Alcuni studi indicano che vi è un limite naturale, fissato a 1,6 R⊕, sotto il quale quasi tutti i pianeti sono di tipo terrestre, composti principalmente da miscele roccia-ferro-acqua. In genere, gli oggetti con una massa inferiore a 6 M⊕ hanno probabilmente una composizione simile a quella della Terra. Sopra questo limite, la densità dei pianeti diminuisce con l'aumento delle dimensioni, e il pianeta sarebbe un pianeta oceano e, con dimensioni ancora maggiori, un gigante gassoso; inoltre, le super Terre massicce possono essere carenti di una tettonica a zolle. Si prevede pertanto che qualsiasi esopianeta con una densità simile a quella della Terra e un raggio di meno di 1,6 R⊕ sia adatto alla vita. Tuttavia, altri studi indicano che i mondi d'acqua rappresentino una fase di transizione tra i mininettuno e i pianeti terrestri, in particolare se appartenenti a stelle poco massicce, come nane rosse o nane arancioni. Anche se i pianeti oceano possono essere abitabili, la profondità media delle acque e l'assenza di zone di terreno solido, non li renderebbe superabitabili nella concezione di Heller e Armstrong. Dal punto di vista geologico, la massa ottimale di un pianeta è di circa 2 M⊕, quindi per avere una densità come quella della Terra, il raggio dovrebbe essere circa 1,2-1,3 R⊕. La profondità media degli oceani influisce sull'abitabilità di un pianeta. I mari poco profondi, data la quantità di luce e calore che ricevono, sono solitamente più adatti per le specie acquatiche, quindi è probabile che gli esopianeti con una bassa profondità media degli oceani siano più adatti alla vita, ed esopianeti più massicci tenderebbero ad avere una superficie più regolare, che può significare anche avere bacini oceanici meno profondi e più ospitali. La tettonica delle placche, in combinazione con la presenza di grandi masse d'acqua su un pianeta, è in grado di mantenere costanti i livelli di anidride carbonica (CO2) nella sua atmosfera. Questo processo sembra essere comune nei pianeti terrestri geologicamente attivi con una velocità di rotazione significativa. Quanto più è massiccio un corpo planetario, tanto più a lungo manterrà il suo calore interno, che è il fattore principale che contribuisce alla tettonica delle placche. Tuttavia, una massa troppo alta potrebbe rallentare la tettonica a zolle a causa di un aumento di pressione e viscosità del mantello, che ostacola lo scorrimento della litosfera. Gli studi suggeriscono che la tettonica delle placche raggiunge la sua massima attività in corpi con una massa compresa tra una e 5 M⊕, con una massa ottimale di circa 2 masse terrestri. Se l'attività geologica non è sufficientemente intensa per generare una quantità di gas serra tale da aumentare la temperatura globale al di sopra del punto di congelamento dell'acqua, il pianeta potrebbe sperimentare una glaciazione globale e permanente, a meno che il processo non sia compensato da una fonte di calore interno molto intensa, come il riscaldamento mareale. Un'altra caratteristica favorevole alla vita, è la capacità del pianeta di sviluppare una forte magnetosfera che protegga la superficie e l'atmosfera dalla radiazione cosmica e dal vento stellare, in particolare attorno a stelle nane rosse. I corpi poco massicci, quelli con una rotazione lenta o quelli che sono in blocco mareale potrebbero avere un debole campo magnetico o non averlo affatto, e nel tempo ciò potrebbe comportare la perdita di una parte significativa della sua atmosfera, soprattutto dell'idrogeno, per fuga idrodinamica. La temperatura ottimale per la vita su un pianeta terrestre non è nota con precisione, anche se sulla Terra la biodiversità è stata maggiore in epoche più calde. È quindi possibile che esopianeti con temperature medie leggermente superiori a quella terrestre siano più adatti alla vita. L'effetto termoregolatore di grandi oceani su pianeti extrasolari eviterebbe le escursioni termiche che si verificano sulla Terra, causate dalle diverse latitudini e dalle diverse stagioni, le quali, con un'inclinazione assiale meno pronunciata, potrebbero essere meno estreme che sulla Terra. Anche la configurazione delle terre emerse, con più ambienti costieri, potrebbe favorire la biodiversità, ed evitare che al centro di grandi continenti si formino dei deserti. Tuttavia, gli studi suggeriscono che la Terra si trova già in prossimità del bordo interno della zona abitabile del sistema solare, e che la sua vivibilità a lungo termine potrebbe essere compromessa per il naturale aumento della luminosità stellare nel corso del tempo, che spinge la zona abitabile verso l'esterno. Pertanto, esopianeti superabitabili dovrebbero essere più caldi della Terra, ma allo stesso tempo più lontani dalla propria stella di quanto non lo sia la Terra dal Sole, più vicino al centro della zona abitabile del sistema. Ciò sarebbe possibile con un'atmosfera più spessa o con una maggiore concentrazione di gas serra. Le stelle più massicce e luminose come quelle di classe O e B, producono un processo di fotoevaporazione che impedisce la formazione di pianeti attorno alla stella, inoltre, la vita di una stella è inversamente proporzionale alla sua massa e si pensa che perfino in stelle di tipo A e F la vita non abbia il tempo per svilupparsi. All'altro estremo, le piccole nane rosse hanno zone abitabili molto vicine a esse, ed è molto probabile che qualsiasi pianeta situato alla giusta distanza sia in rotazione sincrona, volgendo sempre lo stesso emisfero alla stella. Inoltre, le dinamiche delle nane rosse sono molto diverse da quelle del Sole, mostrando forti cali e aumenti di luminosità che influenzano negativamente qualsiasi forma di vita presente nel sistema, soprattutto nel loro primo miliardo di anni di vita, ed è quindi improbabile che un pianeta in orbita ad una nana rossa sia superabitabile. Scartando i due estremi, i sistemi di stelle di tipo K (o anche G) offrono le migliori zone abitabili per la vita. Queste stelle permettono la formazione di pianeti intorno a sé stesse, hanno una lunga aspettativa di vita, e forniscono una zona abitabile stabile per lunghi periodi, anche tre volte maggiore rispetto a stelle come il Sole, inoltre, la radiazione prodotta da una nana arancione è sufficientemente bassa da permettere lo sviluppo della vita complessa nonostante l'assenza di un'ozonosfera protettiva. La rotazione sincrona di pianeti in blocco mareale alla stella può non essere un fattore importante per la vita se l'atmosfera è abbastanza densa per distribuire il calore dall'emisfero diurno all'emisfero notturno. Tuttavia, si è dibattuto ampiamente se questi pianeti siano in grado di ospitare la vita, e in ogni caso, ben difficilmente potrebbero essere classificati come superabitabili.
Approfondiamo: rotazione sincrona
Un corpo orbitante si dice in rotazione sincrona quando il suo periodo di rotazione è uguale al suo periodo di rivoluzione. Come effetto della rotazione sincrona, il corpo orbitante mostra sempre la stessa faccia al corpo attorno al quale orbita. Ad esempio, la Luna mostra sempre la stessa faccia alla Terra indipendentemente dal punto di osservazione sulla Terra. La faccia nascosta della Luna fu vista per la prima volta solo nel 1959, quando la sonda sovietica Luna 3 inviò le prime immagini. La rotazione sincrona avviene quando gli oggetti astronomici, come pianeti e lune, orbitano uno vicino all'altro. Questo produce una sincronizzazione della rotazione o in alternativa una risonanza orbitale. L'attrazione gravitazionale tra due corpi genera forze di marea su entrambi, allungando leggermente ciascun corpo lungo l'asse diretto verso il compagno. Se i corpi in questione hanno sufficiente flessibilità e la forza di marea è sufficientemente forte, la forma generalmente sferica dei corpi orbitanti viene distorta. Se entrambi i corpi orbitanti stanno ruotando su loro stessi, questa forma allungata non è stabile. La rotazione del corpo causerà lo spostamento dell'asse più lungo rispetto all'allineamento con l'altro oggetto, e la forza di marea dovrà "riformarlo" per ripristinare la situazione precedente. In altre parole, le protuberanze di marea si "muovono" attorno al corpo ruotante per restare allineate col corpo che le produce. Questo è chiaramente osservabile sulla Terra da come le maree oceaniche salgono e scendono col sorgere e tramontare della Luna, e ciò accade su tutti i corpi orbitanti in rotazione. La rotazione della protuberanza in direzione del corpo che l'ha provocata dà luogo ad una piccola ma significativa forza che rallenta la rotazione del primo corpo rispetto al secondo. Dato che occorre un certo intervallo di tempo, breve ma non nullo, per riposizionarsi, la protuberanza mareale del satellite è sempre leggermente spostata nella direzione di rotazione del satellite. Perciò, la protuberanza del satellite viene attirata dalla gravità del pianeta nella direzione opposta alla sua rotazione. Quindi la velocità di rotazione del satellite si riduce lentamente e il suo momento angolare orbitale aumenta della stessa quantità. Questo è valido nei casi in cui il satellite ruoti più velocemente della sua rivoluzione. Nel caso contrario le forze di marea aumentano la velocità di rotazione a spese del momento angolare orbitale. Pressoché tutti i satelliti dei pianeti del sistema solare sono in rotazione sincrona, poiché orbitano molto vicino al pianeta e le forze di marea aumentano rapidamente col decrescere della distanza. Fra i pianeti invece, solo Mercurio è in rotazione sincrona con il Sole, anche se in risonanza 3:2: tre rotazioni intorno al proprio asse ogni 2 rivoluzioni intorno al Sole. La Terra è in rotazione asincrona rispetto al Sole, cioè compie una rotazione sul proprio asse (in circa 24 ore) mentre ruota attorno alla stella in circa 365 giorni. Se così non fosse la Terra avrebbe illuminata costantemente solo una faccia. Il periodo trascorso tra due successivi perigei di Venere è pari circa a cinque rotazioni del pianeta sul suo asse. Ciononostante l'ipotesi di risonanza orbitale con la Terra è stata smentita. Caronte, satellite di Plutone, è in rotazione sincrona con quest'ultimo. Come la Luna, che presenta alla Terra sempre la stessa faccia. Ma contrariamente alla Luna, Caronte si trova sull'orbita geostazionaria di Plutone. Così, oltre a presentare sempre la stessa faccia, Caronte appare immobile nel cielo di Plutone. In generale, ogni oggetto che orbita vicino ad un altro oggetto massiccio per lunghi periodi (parliamo di milioni di anni) è verosimilmente in rotazione sincrona, perché la forza mareale ha gradualmente spento, per così dire, la forza del corpo con massa minore, portandolo ad avere un tempo di rotazione uguale al tempo di rivoluzione. Infine, si prevede che in tutto l'universo siano in rotazione sincrona le coppie di stelle binarie tra loro vicine; lo stesso dovrebbe valere, come per Mercurio, per i pianeti extrasolari situati su un'orbita stretta attorno al proprio sole.
Gli esperti non hanno raggiunto un consenso sulla velocità di rotazione ottimale per un pianeta super abitabile, ma non dovrebbe essere né troppo rapida né troppo lenta. In quest'ultimo caso potrebbero sorgere problemi come nel caso di Venere, che compiendo una rotazione ogni 243 giorni terrestri, non può generare un campo magnetico simile a quello terrestre. L'ipotesi della rarità della Terra ha suggerito la necessità di un satellite naturale di notevoli proporzioni per bilanciare l'asse planetario, tuttavia questa teoria è stata fortemente criticata, e gli studi più recenti suggeriscono che sarebbe preferibile l'assenza di un satellite. L'orbita di un pianeta superabitabile dovrebbe essere situata nel centro della zona abitabile del sistema. Non vi è consenso sull'effetto che potrebbe avere una maggiore eccentricità orbitale in analoghi terrestri: è possibile che fluttuazioni termiche derivanti da marcate differenze nella distanza dalla stella nell'apoastro e nel periastro possano essere dannosi per la vita, anche se, d'altra parte, un'eccentricità moderata superiore a quella terrestre potrebbe proteggere il pianeta da eventi di glaciazione globale o effetti serra incontrollati. Non ci sono argomenti solidi per poter dire che l'atmosfera terrestre abbia la composizione ottimale per ospitare la vita. Supponendo che la presenza di una notevole quantità di ossigeno nell'atmosfera sia necessaria per sviluppare forme di vita complesse, la percentuale di ossigeno nell'atmosfera sembra limitare le dimensioni massime di alcuni esseri viventi, e una maggior concentrazione permetterebbe una maggior diversità animale, influendo sull'ampiezza delle reti metaboliche. Sulla Terra, nel carbonifero, la percentuale di ossigeno nell'atmosfera era del 35%, e coincideva con uno dei periodi di maggiore biodiversità del nostro pianeta. Pianeti con atmosfere più dense possono bloccare più efficacemente le radiazioni cosmiche e livellare le differenze termiche tra notte e giorno e la distribuzione delle precipitazioni tra le zone equatoriali e quelle polari, per nulla ottimale sulla Terra. La densità atmosferica dovrebbe essere maggiore nei pianeti più massicci, e ciò rafforza l'ipotesi che le super Terre possano presentare condizioni di superabitabilità. Dal punto di vista biologico, i pianeti più vecchi della Terra possono avere una maggiore biodiversità, dal momento che le specie autoctone hanno avuto più tempo per evolversi, adattarsi e stabilizzare le condizioni ambientali per sostenere un ambiente adatto alla vita del quale possono beneficiare i loro discendenti. Tuttavia, per molti anni si è dubitato della possibilità di trovare vita in sistemi antichi, per via della relazione tra la metallicità della stella e la formazione planetaria, poiché la presenza di metalli pesanti è andata via via aumentando nell'universo dai tempi della sua origine, e si riteneva che le stelle più antiche, con basse metallicità, avessero poche possibilità di avere pianeti attorno a sé. Le prime scoperte di pianeti extrasolari, per lo più pianeti giganti gassosi in orbite strette attorno alle loro stelle, suggerivano che i pianeti erano rari attorno a stelle con bassa metallicità, e che quindi oggetti di massa terrestre non fossero presenti in sistemi molto antichi. Nel 2012, le osservazioni del telescopio spaziale Kepler hanno permesso di scoprire che questa relazione è molto più restrittiva in sistemi con pianeti gioviani caldi, mentre i pianeti terrestri potrebbero formarsi anche in stelle con metallicità più basse, e si pensa che i primi oggetti di massa terrestre siano apparsi tra 7 e 12 miliardi di anni fa. Data la maggiore stabilità delle nane arancioni (tipo K) rispetto al Sole e l'aspettativa di vita più lunga, è possibile che esopianeti appartenenti a stelle di tipo K siano superabitabili, per via del lungo periodo di tempo che hanno avuto le specie autoctone per evolversi. Nonostante la scarsità di informazioni disponibili, e nonostante il consenso su alcuni punti non sia unanime, le ipotesi sopra presentate sulle caratteristiche dei pianeti superabitabili possono essere così riassunte:
- Massa: circa 2 M⊕.
- Raggio: con una densità simile alla Terra, il suo raggio deve essere compreso tra 1,2 e 1,3 R⊕.
- Oceani: simile percentuale di superficie coperta da oceani come sulla Terra, ma maggiormente distribuiti senza grandi masse di terra continue.
- Distanza: minor distanza dal centro della zona abitabile del sistema di quanto non lo sia la Terra.
- Temperatura: temperatura media superficiale di circa 25 °C.
- Stella ed età: appartenenza a una stella di tipo K intermedio con un'età più avanzata rispetto al Sole (4,5 miliardi di anni), ma inferiore a 7 miliardi di anni.
- Atmosfera: leggermente più densa di quella terrestre e con una maggiore concentrazione di ossigeno.
Al 2016, non ci sono pianeti confermati che soddisfano tutte queste esigenze. Dopo l'aggiornamento del database di esopianeti il 23 luglio 2015, quello che più si avvicina è Kepler-442 b, appartenente ad una stella nana arancione, che ha un raggio di 1,34 R⊕ e una massa di 2,34 M⊕, ma con una temperatura superficiale stimata di -2.65 °. È comunque possibile che la maggior massa gli abbia consentito di mantenere un'atmosfera più densa, più ricca di gas serra, e possa quindi avere una temperatura uguale o leggermente superiore a quella terrestre. In quel caso, potrebbe anche essere un pianeta superabitabile. L'aspetto di un pianeta superabitabile è sostanzialmente simile a quello della Terra. Le principali differenze rispetto al profilo visto in precedenza, sarebbero derivate dalla sua massa. La sua atmosfera densa probabilmente previene la formazione di calotte polari, a causa della minore differenza termica tra le diverse regioni del pianeta, inoltre avrebbe anche una maggiore concentrazione di nubi e le precipitazioni sarebbero abbondanti. Probabilmente, la vegetazione sarà differente, a causa della maggiore densità dell'aria, per le temperature e la piovosità, e per la diversa luce delle stelle. Con il tipo di radiazione emessa dalle stelle di tipo K, le piante probabilmente assumerebbero diverse tonalità di giallo, arancione o rosso, e non verdi come sulla Terra. La vegetazione coprirebbe aree più vaste che sulla Terra, e il suo colore sarebbe visibile dallo spazio, come succede per le grandi aree delle foreste pluviali sulla Terra. Heller e Armstrong ipotizzano che il numero di pianeti superabitabili possa essere di gran lunga superiore a quello degli analoghi della Terra. Le stelle meno massicce di sequenza principale sono più abbondanti rispetto alle stelle più grandi e luminose, quindi esistono più nane arancioni di analoghe solari, e si stima che circa il 9% delle stelle nella Via Lattea siano stelle di tipo K. Un altro punto che favorisce il predominio dei pianeti superabitabili rispetto agli analoghi terrestri è che, a differenza di questi ultimi, la maggior parte delle esigenze di un mondo superabitabile può avvenire spontaneamente semplicemente avendo una massa maggiore. Un corpo planetario vicino a 2 o 3 M⊕ dovrebbe svolgere meglio la sua attività tettonica e avrà anche una maggiore superficie rispetto ad un pianeta di massa terrestre. Allo stesso modo, è probabile che i suoi oceani siano meno profondi per effetto della gravità sulla crosta, il suo campo gravitazionale più intenso e l'atmosfera più densa. Al contrario, pianeti di massa terrestre possono avere una più ampia gamma di condizioni. Ad esempio, alcuni possono sostenere una tettonica attiva per un periodo di tempo più breve, una minore densità atmosferica e maggiori probabilità di sviluppare una glaciazione globale, come nel periodo della Terra a palla di neve, che potrebbe essere anche permanente. Un altro effetto negativo della minore densità atmosferica sono le oscillazioni termiche, che aumentano la variabilità del clima globale e le probabilità di eventi catastrofici. Inoltre, avendo una magnetosfera più debole, questi pianeti potrebbero perdere il loro idrogeno atmosferico più facilmente, per fuga idrodinamica, e diventare pianeti deserti, e solo uno di questi esempi potrebbe impedire la comparsa della vita sul pianeta. In ogni caso, la moltitudine di scenari che possono trasformare un pianeta di massa terrestre situato nella zona abitabile di un analogo solare in un luogo inospitale, sono meno probabili su un pianeta che soddisfi le caratteristiche di base di un mondo superabitabile, per cui questi ultimi dovrebbero essere più comuni.